5

— Mia moglie è incinta — disse Carewe, cauto; poi bevve un sorso di caffè, aspettando di vedere come avrebbero reagito alla notizia.

Barenboim e Pleeth erano tutt’e due dietro la scrivania rosso-azzurro. Era un po’ come rivivere il mattino in cui Carewe era entrato per la prima volta nell’ufficio del presidente. Le mani dell’uomo più vecchio erano intrecciate, formando una guglia di protezione davanti ai suoi occhi attenti; Pleeth si dondolava sulla sua poltrona invisibile, gli occhi scintillanti, la linea della bocca curvata verso l’alto, in segno di soddisfazione.

— Ne sei sicuro, Willy? — La voce di Barenboim era perfettamente controllata.

— Al cento per cento. Athene ha fatto due prove.

— Ed è una gravidanza recente?

— Risale all’ultima settimana. — Carewe si teneva calmissimo, deciso a non rivelare i propri sentimenti agli occhi di Barenboim, antichi di due secoli.

— In questo caso, direi che si tratta della prova definitiva. L’E-ottanta è proprio quello che speravamo. Tu che ne pensi, Manny?

Pleeth accarezzò il ciondolo d’oro a forma di sigaro. L’arco della sua bocca si allargò, decretando il trionfo. — Perfetto, perfetto — rispose. — È esattamente quello che ci aspettavamo. — I due si fissarono, soddisfatti, comunicando senza parlare, come solo due freddi con tanti anni d’esperienza potevano fare.

— E adesso cosa succede? — chiese Carewe. — Fate un annuncio pubblico?

— No! — Barenboim si protese in avanti. — Non a questo punto. Finché non avremo brevettato la formula, il segreto è più vitale che mai.

— Capisco.

— Inoltre, e spero che non ti dispiaccia se lo dico, Willy, sarebbe consigliabile aspettare. Bisogna vedere se la gravidanza giunge a termine e se il bambino nasce sano.

— No, non mi dispiace che tu l’abbia detto, Hy.

— Bravo ragazzo. — Barenboim tornò ad appoggiarsi alla poltrona. — Manny! Ma dove abbiamo la testa? Ce ne stiamo qui a discutere solo degli aspetti tecnici e ci siamo completamente dimenticati di congratularci col nostro giovane Willy per la paternità.

Pleeth annuì, contento, ma non disse niente. Il colorito roseo della sua faccia giovanile s’accentuò.

Carewe trasse un gran respiro. — Non voglio congratulazioni, Hy. A dire il vero, Athene e io ci siamo divisi. Solo per un periodo di prova.

— Oh? — Le sopracciglia di Barenboim si unirono, in un’espressione calcolata al millimetro per fingere dispiacere. — Mi sembra un momento strano per separarsi.

— È un anno o più che la cosa è nell’aria — mentì Carewe. Gli tornò in mente la fuga precipitosa da casa dopo l’assalto verbale di Athene. — E, con un figlio in arrivo, abbiamo deciso che poteva essere la nostra ultima possibilità, la possibilità migliore, di scoprire cosa proviamo l’uno per l’altra. Spero che questo non danneggi i vostri piani.

— Niente affatto, Willy. Però, tu cos’hai intenzione di fare?

— È proprio di questo che volevo parlarvi. Lo so che sono importante per l’esperimento dell’E-ottanta… Manny mi ha definito una cavia da un miliardo di dollari… Però pensavo che mi piacerebbe andarmene per un po’.

Barenboim non parve sorpreso. — Si può provvedere facilmente. La Farma ha uffici in diverse città del mondo… Ma non c’è bisogno che te lo dica io, Willy. Che posto avevi in mente?

— Veramente non pensavo a una città. — Carewe, irrequieto, si agitò sulla poltrona. — La Farma tiene ancora contatti con le squadre Primitivi?

Barenboim diede un’occhiata a Pleeth prima di rispondere. — Sì. Non come in passato, però riforniamo ancora di biostaci diverse zone d’operazione.

— È questo che voglio fare, Hy. — Carewe si mise a parlate in fretta, ansioso di spiegarsi prima che lo interrompessero. — So che in circostanze del genere non ho nessun diritto di espormi al pericolo, però sento proprio il bisogno di allontanarmi da tutto per un po’. Vorrei offrirmi volontario per una squadra Selvaggi. — Era convinto che Barenboim rifiutasse; invece, incredibilmente, il presidente stava annuendo, e un’ombra di sorriso gli era apparsa sulle labbra.

— Vuoi raffreddare un po’ di selvaggi? A volte si uccidono, piuttosto che lasciarsi disattivare… Pensi di avere il fegato per sopportarlo?

— Credo di sì.

— Come hai fatto notare tu stesso, Willy, dal punto di vista dell’azienda esiste una certa dose di rischio. — Barenboim guardò di nuovo Pleeth. — D’altra parte, in questo modo scompariresti per qualche mese, il che potrebbe non essere una cattiva idea, al punto in cui ci troviamo. Appena daremo il via alle pratiche per il brevetto, la situazione si farà incandescente. Tu cosa ne pensi, Manny?

Pleeth meditò sui suoi imperscrutabili trionfi. — La cosa presenta parecchi aspetti positivi, però mi chiedo se il nostro giovane Willy sa esattamente in cosa va a cacciarsi. La violenza peggiore che si possa fare a un essere umano è forse di costringerlo a diventare immortale.

— Sciocchezze! — La voce di Barenboim aveva una punta di asprezza. — Sono convintissimo che Willy possa affrontare un paio di mesi in una squadra Selvaggi. Sarà come bere un bicchiere d’acqua, vero, ragazzo?

Carewe esitò; poi ricordò Athene, e capì che doveva scappare subito, e scappare lontano, per non correre il rischio di essere tanto debole o tanto pazzo da perdonarla. — Ce la farò — disse, amaramente.

Un’ora più tardi, scendeva a pianterreno. In tasca aveva l’ordine ufficiale di trasferimento al personale Farma di una squadra Selvaggi. L’orario di lavoro era terminato da pochi minuti, e l’atrio era ancora affollato. Carewe guardò incuriosito tecnici e impiegati, chiedendosi come mai il fatto che l’indomani sarebbe partito per l’Africa rendesse tutti un po’ strani ai suoi occhi. “Non può essere vero” pensò. “Me la sono cavata troppo facilmente…”

— Ciao, Willy — disse una, voce vicinissima. — Cos’è questa storia che vuoi andartene dal nido? Non è vero, eh? Dimmi che non è vero.

Girandosi, Carewe si trovò davanti la faccia barbuta di Ron Ritchie, un attivo sui vent’anni, alto, biondo, coordinatore vendite junior del reparto biopoiesi.

— Invece è vero — rispose, riluttante. — Sono stufo di stare qui.

Ritchie si grattò il naso e sorrise. — Sono fiero di te, ragazzo mio. L’altra gente della tua età, appena si fa disattivare, si mette a leggere libri di filosofia. Tu, invece, alzi i tacchi e te ne vai in Brasile.

— In Africa.

— Sì, insomma, da quelle parti. Bisogna fare baldoria per festeggiare.

— Non… — Carewe esitò. Per la prima volta, gli fu chiaro che non aveva più una moglie e una casa dove rifugiarsi per la serata. — Ultimamente ho bevuto troppo. Avevo intenzione di smettere.

— Balle. — Ritchie circondò le spalle di Carewe col braccio. — Ti rendi conto che potrei non rivederti mai più? È un’occasione che vale un bicchierino o due.

— Probabilmente. — Carewe aveva sempre pensato di non avere niente in comune con Ritchie; ma l’unica alternativa possibile era trascorrere la serata da solo. Era quasi convinto che Barenboim lo avrebbe invitato a cena, oppure che avrebbe trascorso qualche ora con lui, a discutere della sua partenza (dopo tutto, era una parte essenziale del progetto più grandioso mai intrapreso dalla Farma); invece, le formalità erano state sbrigate a velocità incredibile, e Barenboim e Pleeth erano usciti per un appuntamento. Partire per l’Africa era un’idea tutta sua, però adesso gli sembrava quasi che qualcuno gli avesse messo le ali ai piedi. — A pensarci meglio, potrei bere qualcosa.

— Benissimo. — Ritchie si fregò le mani, mostrò in un sorriso l’arcata dentaria stretta. — Dove andiamo?

— Da Beaumont — rispose Carewe, pensando alle pareti color tabacco del locale, alle sedie imbottite, al whisky invecchiato dieci anni.

— Balle. Forza, ti porto io in un bel posticino. — Ritchie afferrò l’estremità del proprio sospensorio, lo puntò con aria teatrale verso la porta e corse avanti, come attirato da una forza invisibile. Le gambe sottili ma muscolose gli fecero attraversare l’atrio in pochi passi. La sua marcia fu sottolineata dalle risate di un gruppo di ragazze che stavano spuntando da un corridoio laterale. C’era anche Marianne Toner.

— Non ho ancora potuto dirtelo, Marianne — disse Carewe. — Oggi è il mio ultimo giorno qui…

— Anche il mio — lo interruppe lei, gli occhi puntati sulla figura ormai lontana di Ritchie. — Addio, Willy.

La ragazza si girò, indifferente. La mano di Carewe corse alla pelle glabra della faccia. Fissò Marianne, oltraggiato, poi si lanciò verso la porta, all’inseguimento di Ritchie. Ritchie abitava vicino alla Farma, e guidava un’automobile dal tetto basso. Carewe la trovò strana e più scomoda della sua pallottola. Si accomodò a fianco dell’altro, e per tutta la durata del breve viaggio restò a guardare fuori dal finestrino, depresso. Marianne Toner gli aveva tirato un colpo allo stomaco: non lo considerava più un vero essere umano. Ma, se fosse stato davvero freddo, si sarebbe sentito così urtato? Athene era sua moglie, e in un certo senso lui si aspettava già di vederla trasformata; Marianne era semplicemente una donna che non perdeva occasione per dichiararsi disponibile, ma Carewe, a livello più o meno inconscio, si era convinto che il fatto di essersi disattivato non avrebbe cambiato niente nella loro amicizia.

— Eccoci qua — disse Ritchie, svoltando in un parcheggio.

— Qua dove?

— Al “Tempio di Astarte”.

— Andiamo via — sbottò Carewe. — I bordelli non mi interessavano molto nemmeno quando ero attivo, e…

— Calma, Willy. — Ritchie spense il motore a turbina. — Non sei obbligato a salire in camera, e non ti dispiace se io guadagno qualche soldo, vero?

Carewe provò di nuovo la sensazione di essere manipolato, guidato da altri come una pecora; ma scese dall’auto e si avvicinò all’entrata del tempio. Una ragazza snella, coperta da un abito a perline luminose blu-viola, si avvicinò ai due. In mano aveva una specie di salvadanaio. Fissò la faccia liscia di Carewe e si disinteressò immediatamente di lui. Si girò verso Ritchie, che si tolse di tasca un biglietto da cento neo-dollari e lo infilò nel salvadanaio.

— Astarte vi invita a entrare — sussurrò la ragazza, e spalancò la porta sul grande bar che occupava l’intero pianterreno del locale.

— Non afferro — disse Carewe. — Credevo che in questi posti fossero le donne a pagare gli uomini.

Ritchie sospirò. — Ma voi contabili avete tutti la testa fra le nuvole? Certo che le donne ti pagano, però la casa deve guadagnarci una percentuale. I cento bigliettoni d’ingresso servono a mantenere ben frequentato il locale e a pagare le spese. D’altronde, un tipo come me riesce a guadagnare qualcosa con quello che mi danno le ragazze.

— Oh! E quanto ti danno? Ritchie fece una scrollata di spalle molto teatrale, si avviò verso il banco, in un’oscurità densa di molti colori. — Venti neodollari a prestazione.

— Adesso capisco come fa a guadagnarci la casa — commentò acidamente Carewe.

— Cosa vorresti dire, coglione d’un freddo? — chiese Ritchie. — Credi che non riuscirò a recuperare quei cento neo-dollari? Aspetta e vedrai, coglione d’un freddo. Cosa bevi?

— Whisky.

Ritchie raggiunse il banco a specchi, appoggiò il disco di credito su una pupilla elettronica. — Uno scotch e uno sputafuoco — disse al microfono incorporato. Subito uscirono due bicchieri incrostati di ghiaccio. Uno dei due era circondato da un alone rosa, a indicare che conteneva qualcosa di diverso dal semplice alcol. Carewe prese l’altro bicchiere e sorseggiò il liquore, osservando l’ambiente. Quasi tutti i clienti erano attivi di età variabile. Le ragazze della casa, tutte coi soliti vestiti di perline luminose, si aggiravano fra tavoli e separé, simili a lingue di fuoco solidificato. I freddi erano pochi. Comunque Carewe si sentì sollevato scoprendo che vestivano tutti normalmente e chiacchieravano fra loro con perfetta disinvoltura.

— Calmati, Willy. — Sembrava che Ritchie gli avesse letto nel pensiero. — Questo è un locale per bene. Nessuno ti farà proposte.

I dubbi di Carewe su quella serata con Ritchie crebbero di colpo. — Io non credo poi molto alla necessità di tabù sociali — disse, calmo, — ma non ti ha mai detto nessuno che i maschi inattivi sentono una profonda avversione al fatto di essere ritenuti omosessuali potenziali?

— Chiedo scusa, professore. Ma cosa ho detto?

— Perché qualcuno dovrebbe farmi delle proposte?

— Ti ho chiesto scusa. — Ritchie bevve quasi tutto il suo sputafuoco e sorrise. — Non scaldarti, coglione d’un pirla. Io penso semplicemente che bisognerebbe infrangere tutti i tabù. È l’unico modo intelligente di vivere.

— Tutti i tabù?

— Già.

— Ne sei sicuro?

— Certo. — Ritchie appoggiò il bicchiere sul banco. — Beviamo qualcos’altro.

— Prendi il mio whisky. L’ho appena assaggiato. — Carewe afferrò la calzamaglia di Ritchie all’altezza del petto, la tirò verso di sé, vuotò il bicchiere dentro la scollatura, poi lasciò andare il tessuto elasticizzato.

— Cosa diavolo… — La gola di Ritchie sembrava squassata dal passaggio delle parole. — Cosa diavolo stai facendo?

— Infrango il tabù che impedisce di versare un liquore addosso a un altro. Anch’io voglio vivere con intelligenza.

— Sei pazzo! — Ritchie abbassò gli occhi, fissò il liquido che gli stava uscendo dal fondo della calzamaglia. Infuriato, strinse i pugni. — Io ti riduco a pezzettini.

— Se ci provi — disse Carewe, serissimo, — ti prometto che non rivedrai mai più i cento neodollari che hai pagato per entrare qui.

— Allora è proprio vero quello che si dice di te.

— Cioè?

— Cioè che sei il finocchio più finocchio di questo mondo. — Ritchie gli mise d’improvviso la faccia sotto il naso. — Lo sappiamo tutti perché Barenboim ti ha fatto fare carriera così in fretta, Willy. Allora, dov’è che ve ne siete andati voi due, con la scusa che tu dovevi fare un salto a Pueblo?

Carewe, che non aveva mai picchiato un altro essere umano da quando aveva raggiunto l’età della ragione, tirò un pugno alla gola di Ritchie. Un pugno da inesperto, ma l’altro crollò in ginocchio, boccheggiando. Dalle tenebre si materializzò uno squadrone di donne robuste, con l’elmetto. Afferrarono Carewe per le braccia e lo trascinarono fuori dal bar. Nell’atrio, lo tennero immobile per un attimo davanti a un analizzatore elettronico, per permettere al computer del locale di memorizzare il suo aspetto, poi lo scortarono fino alle scale e lo lasciarono andare. Gli uomini che entravano, sghignazzando, fecero diverse ipotesi sul fatto che un freddo venisse sbattuto fuori da un bordello, ma Carewe non provò il minimo imbarazzo. Era da un po’ di tempo che sentiva il bisogno di dare un pugno a qualcuno, ed era riconoscente a Ritchie per avergli reso tutto così facile. Il ricordo del pugno viaggiava ancora nella sua mano, nel braccio, come una specie di scossa elettrica, e lui si sentì quasi in pace per quello che era successo con Athene.

Fu solo molto più tardi, dopo aver bevuto una quantità eccessiva di whisky, che Carewe cominciò a riflettere. Ritchie, che lo conosceva appena, sembrava perfettamente al corrente del suo rapporto “segreto” con Barenboim. Sia Barenboim sia Pleeth avevano fatto del loro meglio perché nessuno sapesse dell’esperimento con l’E.80. Si era verificata una fuga di notizie?

Quando si addormentò, pensò che gli si stendevano davanti secoli e secoli di pericolo; e, ancora una volta, in sogno il suo corpo era fatto di vetro.

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