10

— Buongiorno, Colleen — urlò Parma. — Non smettere di prendere il sole per me.

La ragazza scrutò l’interno della cabina del camioncino, socchiudendo gli occhi alla luce fortissima. — Smetto per me. Prima ti farai disattivare, meglio sarà per tutti, Felix.

— Ma che gentilezza — disse Parma, offeso. — E questo il modo di ringraziarmi perché mi mantengo pronto all’uso?

— Perché ti sei messo in salamoia, vuoi dire?

— Stamattina sei troppo acida per i miei gusti. — Parma saltò a terra, e Carewe lo seguì. — Conosci già Will Carewe, no?

— Sì. — La ragazza guardò Carewe. Lui si accorse che le pupille dei suoi occhi, riflettendo la luce del sole, splendevano come monete d’oro.

— Vorrei che gli dessi un passaggio fino a Kinshasa. Deve tornarsene a casa a tutta birra.

— Davvero? Si è fermato poco.

— Si è preso una pugnalata in petto da un primitivo — si affrettò a spiegare Parma. — Non dovrebbe nemmeno essere in piedi, ma, ripeto, ha buone ragioni per andarsene subito.

La ragazza osservò Carewe con maggior interesse, ma la sua voce era dubbiosa. — Se me lo chiedi tu, posso anche falsificare la bolla di consegna, però non è che io piloti un’ambulanza. Se stesse male durante il volo?

— Un tipo robusto come Willy? Adesso ti racconterò qualcosa, Colleen. Questo ragazzo…

— È capacissimo di parlare da sé — intervenne Carewe. — Vi assicuro che non starò male, non sverrò o non commetterò altre stupidaggini in volo. Mi prendete a bordo o no?

— Calma, calma. — Colleen guardò di nuovo Carewe, e a lui parve di notare nella sua espressione un’ombra di sorpresa. — Va bene. Saltate su appena siete pronto.

— Grazie. — Davanti all’espressione della ragazza, Carewe sentì il suo ego maschile gonfiarsi di speranza. Era possibile che la maschera esteriore da freddo non bastasse a nascondere la sua virilità? Andò a sedersi sul muso del camioncino; maledisse la ferita al petto mentre Parma e la ragazza scaricavano casse dalla navicella. Sperava di decollare immediatamente, invece aspettarono quasi un’ora. Altri veicoli arrivarono, ricevettero o consegnarono carichi e tornarono a sparire fra gli alberi. Quasi tutti gli autisti conoscevano la ragazza. Dalle conversazioni, Carewe dedusse che rappresentavano altrettanti gruppi legati al progetto delle Nazioniunì: controllo meteorologico, provviste, trasporti via terra, alloggiamenti, insomma tutti i servizi indispensabili per tenere in piedi una comunità tecnologica in una zona così remota. Alcuni degli autisti salirono sulla navicella a fumare e a chiacchierare con Colleen, e Carewe notò che diversi di loro lo guardavano incuriositi. Lui fremeva per il ritardo. Non era riuscito a partire subito, senza perdere tempo, come aveva previsto. Ognuno di quegli uomini che andavano e venivano dalla base poteva essere un agente del gruppo misterioso che stava tentando di ammazzarlo…

Una risata insolitamente forte che uscì dalla navicella lo fece scattare in piedi. Carewe fece l’umiliante scoperta di essere geloso. Sulla base di pochi minuti di un’intimità ambigua e di un’occhiata perplessa, trascinato dalla fantasia, si era convinto di poter nutrire diritti particolari su Colleen Bourgou. Era la logica delle fiabe: la principessa, riconosciuto inconsciamente il principe dietro la forma esteriore del brutto rospo, resta automaticamente legata a lui per la vita. Carewe sbuffò,disgustato di se stesso. “A te piace molto recitare” gli aveva detto Athene, “però non basta che tu te ne vada in giro con la tua barba e il tuo coso ben chiuso nel sospensorio.” Ma lo aveva detto prima di gettare al vento, d’un colpo, tutte le sue prediche sul matrimonio singolo. Athene si era bruciata il diritto di giudicare le debolezze del marito. Carewe si avvicinò al portello della navicella e guardò dentro. Colleen rideva sfrenatamente, senza inibizioni, di qualcosa; e i suoi occhi erano più che mai monete d’oro appena coniate. Lui le sorrise con studiata malinconia e tornò a sedersi sul camioncino.

A dispetto di tutta la sua disinvoltura, Colleen era estremamente pignola nel controllare i carichi in arrivo e in partenza. L’attività attorno alla navicella diminuì gradatamente, finché restò solo il camioncino di Parma. Mentre Colleen si assicurava che il portello della stiva fosse ben chiuso, Carewe salutò Parma.

— Grazie di tutto — gli disse. — Appena scopro cosa diavolo mi sta succedendo, mi faccio vivo e ti spiego.

— Sarò lieto di sapere la verità, Willy. Stai attento.

Carewe gli strinse la mano, salì sulla navicella, si accomodò su uno dei primi sedili per passeggeri, appena dietro e di fianco a quello del pilota. Gli fece un piacere smisurato avere la certezza che non ci sarebbero stati altri passeggeri.

— Si parte — disse Colleen, chiudendo il portello e allacciandosi al sedile. Mise in funzione i sistemi di controllo con pratica da maestro, attivò le cartucce di avviamento della turbina, e la navicella si alzò verso l’alto. Quando furono al di sopra del livello degli alberi, inclinò leggermente il muso. Il velivolo partì in verticale. Carewe provò una strana sensazione al petto. Si passò le braccia attorno alle costole e tenne duro.

— Mi spiace — disse la ragazza, dandogli un’occhiata. — Vi ha fatto molto male?

— Non troppo. Il fatto è che ho un polmone disattivato, ed è talmente sensibile alle accelerazioni che si potrebbe usare come sistema di guida per un volo inerziale.

— Cosa vi è successo?

— Non è stato facile. — Carewe le raccontò l’episodio al villaggio senza calcare la mano sui particolari, in modo da apparire più eroico.

— Terribile — disse lei, comprensiva, — però continuo a non capire perché abbiate tanta fretta di andarvene.

Carewe esitò. — Qualcun altro ha tentato di uccidermi, alla base. — Aspettò, ma non ci fu la risata che temeva. Colleen aveva una smorfia perplessa. Lui si chiese come avesse potuto considerarla non troppo attraente.

— Avete idea di chi sia stato, o del perché?

— Ah… no. — Nella sua mente, qualcosa associava le minacce alla sua vita col fatto di aver sperimentato l’E-80; ma l’unica persona a cui potesse confidare preoccupazioni simili era Barenboim.

Lei ebbe un brivido delizioso. — È tutto molto misterioso ed eccitante.

— Misterioso lo è — disse Carewe, — però non capisco quale scafo… voglio dire quale scopo… scafo… la voce dei delfini…

— State bene? — Colleen si girò sul sedile. — La vostra saldezza è scomparsa… nel rosso.

Lui la fissò, orripilato. C’era qualcosa di terribilmente storto nelle monete d’oro che erano i suoi occhi… No, non negli occhi: nella loro distanza. Si era verificato un capovolgimento mostruoso, e ora gli occhi di Colleen erano separati tra loro dalla circonferenza dell’universo meno l’ampiezza del suo setto nasale. Erano sempre sulla sua faccia, ma separati da miliardi di anni luce…

— Non lentamente — urlò lei. — Irrespira!

— I tuoi occhi… La simultaneità non einsteiniana delle tue pupille che sbattono…

Le mani di Colleen erano uccelli stupefatti. Non ci turba un su negativo.

Venti bianchi che ululavano, la gravità che schiacciava… Schiacciava? Carewe strizzò gli occhi, mise a fuoco gli altri sedili. Stavano cambiando posizione l’uno rispetto all’altro, però quello era un fenomeno vero. Braccia di metallo gli cingevano il corpo. Il suo unico polmone batteva forte come un cuore. Guardò in basso, verso gli alberi che danzavano, poi di nuovo in alto. La navicella, nel cui ventre era apparso un foro rettangolare, volava via da sola, sempre più lontana al di sopra di lui. Tutt’attorno, gli altri sedili salivano e scendevano a seconda delle correnti d’aria, oppure giravano lentamente su se stessi, lasciando penzolare le cinghie inutili. L’aria fredda, gelida, gli batteva sulle narici.

— Non temere — urlò Colleen, e lui vide avvicinarsi il suo sedile, più grande degli altri, circondato da manicotti, fili e pulsanti. — Il mondo è a forma di pera. La rotazione lo riporterà sotto di noi.

— Cos’è… cos’è successo? — gridò lui, aggrappandosi ai braccioli del sedile. A occidente, un fiume scorreva calmo. Gli parve di vedere una nuvola di fumo sulla riva più vicina. Le cime degli alberi erano vicinissime, crescevano sotto di lui a velocità vertiginosa. — Cosa ci ha preso?

— Calcolo uguale caos — rispose Colleen, mentre la sua voce quasi si disperdeva nel turbinio dell’aria.

— Attenta — l’avvertì lui, — stiamo atterrando. — Studiando il bracciolo del sedile, scoprì una minuscola cloche verticale in un incavo. Gli tornarono in mente le migliaia di volte in cui, con la massima attenzione, aveva letto il manuale di volo per passeggeri. Portando la cloche all’indietro, sarebbe aumentata la porosità del campo di forza invisibile che sorreggeva il sedile, e sarebbe aumentata la velocità di discesa. Spostandola in avanti, il campo si sarebbe intensificato; muovendola di lato, il campo si sarebbe distorto di continuo, e il sedile avrebbe seguito la traiettoria indicata dagli spostamenti.

Carewe si raggomitolò su se stesso: aveva oltrepassato le cime degli alberi più alti, stava piombando su una vallata dai contorni irregolari. Udì vagamente i rumori prodotti da altri sedili che si stavano fracassando tra le foglie; ma tutta la sua attenzione era concentrata sui movimenti minimi, apparentemente di nessuna importanza, del pollice sulla cloche, movimenti che avrebbero dovuto garantirgli la salvezza. Gli si parò davanti un albero basso. Spinse la cloche verso destra, in direzione di una radura, ma il sedile non rispose subito al comando. Piombò tra le fronde. Il sedile sussultò, tremò, rallentò, mentre i rami gli graffiavano la faccia; poi lui si trovò a terra, miracolosamente seduto. Il rumore degli altri sedili che precipitavano sugli alberi era forte. Carewe premette un pulsante. Le braccia metalliche del sedile rientrarono, lasciandolo libero.

— Ehi, ciao!

Alzò la testa. Il sedile di Colleen era appeso, di traverso, fra i rami più bassi di un albero enorme. La ragazza era sospesa a circa otto metri dal suolo, ma sorrideva.

— Tieni duro — le urlò. — Salgo a prenderti.

— Tutto a posto. Niente calcoli, niente caos. — Colleen si liberò dal sedile e si lanciò in aria. Scese a peso morto, i capelli scompigliati, le gambe che si agitavano, e atterrò in un cespuglio.

Carewe corse avanti sul terreno irregolare, aprì un varco nel cespuglio con mani tremanti. Colleen era svenuta. Un rivoletto di sangue, rosso e lucido come lacca, le solcava la fronte. Lui le sollevò la palpebra, le sfiorò il bulbo oculare. L’occhio non reagì. Stando alle nozioni di medicina di Carewe, molto limitate, la cosa significava che la ragazza era in stato d’incoscienza completa. Forse c’era di mezzo anche una commozione cerebrale. Esplorò il suo corpo con le mani, non scoprì ossa rotte. La tirò fuori dal cespuglio e la depositò sul terreno erboso.

S’inginocchiò al suo fianco e si mise a esaminare i graffi sul proprio corpo, cercando di interpretare la realtà dei fatti. L’unica spiegazione possibile era che un allucinogeno a effetto rapido fosse stato immesso nel circuito di ventilazione della navicella da un congegno a orologeria. E non si era certo trattato dell’illusogeno, o di una delle altre droghe legali, ma di qualcosa che distruggeva il senso di orientamento nello spazio: un effetto micidiale, su una navicella in volo. La droga aveva colpito per primo Carewe, forse perché il suo unico polmone stava lavorando a ritmo frenetico, e per lo stesso motivo lui se n’era liberato per primo. Colleen aveva avuto il tempo di rendersi conto di quello che stava succedendo e di catapultare i sedili fuori dalla navicella; però era ancora sotto l’effetto della droga quando erano atterrati, per cui aveva tentato di camminare in aria.

“Tentativo d’omicidio numero quattro.” E il delinquente responsabile di tutto era talmente privo di scrupoli che aveva attentato anche alla vita di una ragazza. Fu di nuovo preda di una rabbia atroce, disperata. Era stato solo un insieme di circostanze a salvarlo per l’ennesima volta, ma la fortuna non poteva durare all’infinito…

Gli si presentò un’altra idea. Dava già per scontato che quell’ultimo tentativo di ucciderlo fosse andato a vuoto, ma era proprio così? La navicella, nella sua indifferenza meccanica, aveva proseguito verso sudovest. Forse il motore, se era in grado di risucchiare l’umidità dell’aria e di trasformarla in carburante, l’avrebbe guidata al largo sull’Atlantico. In questo caso, Carewe non aveva la più pallida idea di come richiamare una spedizione di soccorso nel punto in cui Colleen e lui erano scesi. Forse si trovavano a un centinaio di chilometri dal più vicino agglomerato umano, persi in un territorio in cui dieci chilometri al giorno a piedi erano già un record. E, con una ragazza ferita da trascinarsi dietro, forse ne avrebbe percorsi molti meno.

Il ronzio degli insetti in quell’atmosfera pesante assunse un tono beffardo, crebbe sempre di più alle orecchie di Carewe, rendendogli difficile pensare. Si portò le mani alle tempie. Il fiume che aveva intravisto mentre precipitava, probabilmente il Congo, si trovava a ovest; aveva visto anche una nube di fumo, che poteva indicare un villaggio. Posò gli occhi su Colleen, le diede qualche schiaffo leggero; ma la faccia della ragazza restò immobile, come di cera. Sembrava appartenere a una sconosciuta, adesso che la sua personalità non la illuminava più. Carewe provò di nuovo la sensazione di essere appena arrivato in Africa, di essere partito da Three Springs solo da pochi secondi. La stranezza sorprendente del continente iniziava dalle zolle sconosciute che aveva sotto le ginocchia e si irraggiava in ogni direzione per migliaia di chilometri, in un insieme di mistero e ostilità. E lui, Will Carewe, non era in grado di reagire. In Africa non possedeva nessun diritto, nemmeno quello di vivere; quindi, non aveva obblighi. Quel senso di rassegnazione durò pochi secondi; poi venne sostituito dalla rabbia totale che stava diventando un tratto caratteristico delle sue reazioni mentali.

Passò le braccia sotto il corpo di Colleen, la sollevò delicatamente, e s’incamminò verso ovest, verso il fiume.

Mancava forse un’ora al tramonto, per cui era impossibile arrivare al fiume prima di sera, ma sentiva il bisogno assoluto di muoversi. Nel giro di pochi minuti si trovò inondato di sudore, e il polmone funzionante sembrava sul punto di esplodere. Procedeva ancora più lentamente di quanto non avesse immaginato. Le variazioni in altezza nel terreno della foresta erano dell’ordine di parecchi metri; e quando non erano i rampicanti o la vegetazione del sottobosco a bloccargli il cammino, la semplice impossibilità di scalare pendii troppo ripidi lo costringeva a deviare. Continuò a procedere automaticamente. Scoprì che, durante le soste, era meglio appoggiare Colleen al tronco di un albero anziché coricarla a terra, perché almeno si risparmiava la fatica di sollevarla di peso ogni volta. Gli stridii continui, in sottofondo, di uccelli e scimmie, a volte diventavano i fantasmi delle voci di un altro universo.

Quando le tenebre cominciarono ad addensarsi tra gli alberi, le sue gambe non erano quasi più in grado di sopportare il minimo peso. Respirava a brevi sbuffi rauchi. Si guardò attorno, in cerca di un rifugio. Colleen si mosse fra le sue braccia, mugolò. Carewe la mise a terra, e per poco non crollò, poi restò a guardarla mentre tornava in sé. La ragazza emise un altro gemito, rabbrividì, agitò le braccia. I suoi occhi, parzialmente aperti, erano falci bianche. I brividi si fecero più violenti.

— Colleen — disse lui, preoccupato, — mi senti?

— Ho… Ho freddo. — Sembrava la voce di una bambina.

— Non preoccuparti. Adesso ti… — Carewe si tolse la tunica e la usò per coprirla; poi si guardò intorno: era sempre più buio nella foresta. L’aria si stava raffreddando in fretta. I soli materiali disponibili erano erba e foglie. Raccolse bracciate d’erba, le mischiò alle foglie più grosse e le sistemò sulle gambe della ragazza, sopra la tunica. Quando ebbe finito, l’oscurità era completa. Adesso era lui a rabbrividire. S’infilò sotto la tunica, cercando di non buttare all’aria il manto vegetale, e prese Colleen tra le braccia. Lei gli si avvinghiò con un movimento dolce, naturale; distese una gamba sopra quella di Carewe. Lui sentì che il suo corpo riacquistava calore. Restò perfettamente immobile. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. Trascorsero minuti, forse ore, mentre Carewe solcava gli oceani del sonno. Negli intervalli di veglia, le stelle non erano più sopra di lui, erano davanti a lui; immobile all’estremità di un pianeta in movimento, correva fra mille pericoli in una galassia sovraffollata. Alla fine, si accorse che Colleen era sveglia.

— Will Carewe? — disse lei.

— Sì. — Lui si costrinse ad assumere un tono calmo. — Andrà tutto bene.

— Cos’è successo? Ho solo ricordi folli.

— Temo di averti coinvolta in faccende esclusivamente mie. — Le raccontò come erano andate, secondo lui, le cose, dal principio alla fine.

— E adesso stai cercando di portarmi fino al fiume Congo?

— Be’, non sei tanto pesante. Direi che abbiamo fatto un paio di chilometri. — Improvvisamente, si accorse che Colleen non aveva spostato la gamba, e che il seno di lei premeva senza esitazione contro il suo petto.

— Lei rise dolcemente fra le tenebre. — Sei un caso disperato, Will Carewe. Non ti sei…

— Non mi sono cosa?

— Oh, niente. Credi che abbiamo molte speranze di raggiungere la civiltà a piedi?

— Non so. Speravo che me lo potessi dire tu.

Colleen lasciò trascorrere un minuto intero, prima di rispondere. — Una cosa posso dirtela di sicuro.

— Cioè?

— Tu non sei freddo.

— Ah! — Per un attimo pensò di ribattere, ma il suo corpo stava offrendo alla ragazza la prova più esplicita. — Sei arrabbiata?

— Dovrei arrabbiarmi?

— Be’, quando sono arrivato qui ti ho vista prendere il sole.

— Secondo me, tu pensavi ad altro. In ogni modo, mi hai insospettita anche ieri. Hai ingannato molte donne?

— Un sacco — l’assicurò lui.

— Non dovevano essere vere donne, Will. — Quelle parole furono accompagnate da una spinta dolce, persuasiva, del suo ventre, e niente al mondo avrebbe potuto impedirgli di rispondere. Le loro bocche s’incontrarono. Carewe bevve dalle labbra di Colleen un miele dolce, rassicurante. “La tua sicurezza” chiese la mente al corpo, “è mai stata un motivo sufficiente?” Cercò di respingere per un attimo le ondate di desiderio, di darsi il tempo di riflettere. Athene? Sua moglie aveva sconvolto tutte le regole del gioco. Colleen? Toccò il sangue che le si era raggrumato sulla fronte.

— Sei ferita — sussurrò.

— Io sono immortale, e gli immortali guariscono in fretta. — Il respiro caldo di lei gli inondava la bocca. — E poi, potremmo non uscire vivi da qui.

— D’accordo — disse lui. Poi le scivolò sopra, la coprì totalmente. — Ci guadagniamo tutt’e due.

All’alba, dopo che si furono aiutati a vicenda a rivestirsi, Carewe prese Colleen per il braccio e s’incamminò verso ovest, ma lei oppose resistenza.

— Non dobbiamo andare da quella parte — disse. — Bisogna tornare al punto in cui siamo atterrati.

— E perché?

— I sedili della navicella sono costruiti secondo gli standard delle Nazioniunì. Ognuno contiene un’emittente radio che comincia a trasmettere subito dopo l’espulsione.

Carewe l’afferrò alla spalla.

— Vuoi dire che non ci siamo persi?

— Ho mai detto qualcosa del genere?

— Ieri sera dicevi che forse non saremmo usciti vivi di qui.

Colleen scrollò le spalle. — Poteva morderci un serpente velenoso.

— Razza di una… — Carewe scosse la ragazza, cercando di non ridere. — Perché non me l’hai detto ieri sera?

— Be’…

— Ti sono sembrato un po’ troppo duro, superiore a tutto?

Lei rise, lo abbracciò alla vita. — Non vergognarti, Will. Reciti la parte troppo bene. A tua moglie puoi raccontare che ti ha sedotto un pilota di pochi scrupoli.

— Cosa ti fa pensare che io abbia una moglie?

— Sei sposato, no?

— Già. Un matrimonio singolo. Ha importanza?

Colleen esitò. Prima che potesse rispondere, da est giunse il suono d’un velivolo. — Sarà meglio spicciarci. Ci staranno cercando, e ci faranno domande.

— È probabile. — Carewe fece una smorfia. La prospettiva di essere salvato significava tornare a problemi che diventavano sempre più complessi. Ormai gli era impossibile immaginare di rientrare a Three Springs di soppiatto, senza attirare l’attenzione di nessuno. Era scomparsa una navicella. Carewe si sarebbe trovato al centro di un cancan enorme. I suoi nemici si sarebbero messi in allarme. Forse era in pericolo il segreto dell’E-80.

— Cosa c’è, Will? — Gli occhi di Colleen frugarono i suoi. — È stato tanto orribile, per te?

— È stato meraviglioso — rispose lui, senza mentire, — però questa mia vita così eccitante e misteriosa diventa più complicata di minuto in minuto. Sai, il motivo che mi ha spinto a salire sulla tua navicella è che volevo tornare a casa in fretta.

— Vuoi dire che se dovessi fermarti a Kinshasa potrebbero ucciderti?

— Ancora peggio, ma non posso spiegarti.

— Allora mettiamoci in marcia. — Colleen agitò le braccia, incamminandosi. — Ho amici, a Kinshasa. Sbrigheranno in un attimo le formalità. Potrai partire subito.

— Formalità! — Carewe s’avviò dietro la ragazza. — Ti capita spesso di perdere una navicella?

— La navicella non è andata persa — rispose lei, secca. — Secondo te, a cosa servono i sistemi automatici di atterraggio? La navicella dev’essere atterrata a Kinshasa ieri. Magari non con la grazia che avrei usato io, ma comunque sarà ancora intera.

— E piena di gas allucinogeno?

— Ne dubito. Il sistema di controllo ambientale rinnova completamente l’aria della cabina ogni cinque minuti.

— Sì? — Carewe aiutò Colleen a superare una sporgenza del terreno. — Sino a ora, quelli che stanno cercando di farmi fuori non hanno lasciato molte prove. Se il contenitore del gas era di plastica autosolubile, non sarà rimasto niente… Ma perché ci siamo lanciati dalla navicella?

— Dirò che si è trattato di un guasto. Dovrebbero impiegare almeno un paio di giorni per poter scoprire che è una bugia.

— Vorrei tanto che fosse stato solo un guasto — disse lui, abbandonandosi ai suoi pensieri.

— Ti saresti perso un bel divertimento — ribatté Colleen, maliziosa. Poi lo precedette senza difficoltà, muovendo agilmente le gambe muscolose e snelle. Si orientarono al rumore dell’elicottero, e nel giro di un quarto d’ora raggiunsero il punto in cui erano atterrati il giorno prima. Quando trovarono il primo sedile, la tunica di Carewe era inzuppata di rugiada caduta dalle foglie. Il sedile era piegato di fianco sotto un albero. L’elicottero stazionava pazientemente al di sopra delle fronde umide, agitate dallo spostamento d’aria.

— Dov’è il mio sedile? — chiese Colleen.

Carewe si guardò attorno un attimo, poi puntò l’indice. Il sedile della ragazza era ancora sospeso tra i rami. — Eccolo lì. Tu stavi là sopra.

Colleen fischiò.

— Non vorrai dire che mi sono buttata giù da un’altezza simile?

— Già. Quasi me la facevo addosso.

— Be’, ammetterai che è una trovata originale. Racconterò a tutte le ragazze cosa devono fare, la prima volta che volano su questa rotta.

Carewe trovò difficile sorridere. Colleen cominciava a parlare come tutte le ragazze frustrate che aveva conosciuto, quelle che spesso finivano con l’iscriversi a un club priapico; eppure gli era parsa tanto diversa. Di colpo, capì che la metamorfosi era iniziata quando lei gli aveva chiesto se fosse sposato. Restò a guardarla, preoccupato, mentre si arrampicava sull’albero e raggiungeva senza difficoltà il sedile. Poi la ragazza prese qualcosa dal sedile, se lo portò alla bocca, e lui udì vagamente la sua voce mischiarsi al rumore dell’elicottero. Un minuto dopo, Colleen era di nuovo a terra, e si infilava la camicetta azzurra nella sottana.

— Ci mandano giù due gabbie. — Il suo tono di voce era indifferente.

— Colleen — disse lui, in fretta, — forse questa è l’ultima possibilità che abbiamo di parlarci da soli.

— Può darsi.

Carewe le prese le mani. — Sono sposato da dieci anni, e stanotte ho tradito mia moglie per la prima volta. L’unica volta. — Lei cercò di allontanare le mani, ma lui le tenne strette. — Però non sono sicuro di avere ancora una moglie. E successo qualcosa. Non posso dirti di cosa si tratta. Comunque il fatto che io sia in Africa, che finga di essere freddo e che cerchi di non farmi ammazzare rientra in questo qualcosa.

— Perché me lo dici?

— Perché non voglio che tu pensi che me ne torno al tepore del focolare, tra le braccia di mia moglie, dopo essermi divertito. Non sono uno che fa le cose per caso…

— Ma perché mi stai dicendo questo?

— Perché per me tu sei importante. Potrei amarti, Colleen.

Negli occhi della ragazza si accese una luce di sfida. — Credi?

— Ne sono sicuro. — Quelle parole rattristarono Carewe perché erano quasi, ma non completamente, vere. Era grato a Colleen, e una gratitudine che non riesce a esprimersi perfettamente si trasforma in senso di colpa. — Senti, se dovessi scoprire di non avere più moglie…

— Non dirlo, Will. — Si sforzò di sorridere. — Non diventare troppo nobile.

Carewe le lasciò andare le mani. Istintivamente, si separarono, mentre le due gabbie scendevano tra le fronde degli alberi.

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