Così adesso, dodici anni dopo avere scoperto che su Eritro non esistevano civiltà tecnologiche, un intervallo di tempo durante il quale nessuna Colonia terrestre era arrivata all’improvviso a rovinare il nuovo mondo in fase di costruzione, Pitt poteva apprezzare quei rari momenti di riposo. Eppure, anche in quei rari momenti, il dubbio si insinuava nella mente di Pitt. Chissà? Forse la situazione di Rotor sarebbe stata migliore se lui non avesse abbandonato la sua posizione iniziale… se non fossero rimasti in orbita attorno a Eritro, e se non avessero mai costruito la Cupola su Eritro…
Pitt stava rilassandosi sulla poltroncina morbida, piacevolmente prigioniero dell’effetto elastico dei campi di contenzione, cullato da un’aura di pace quasi soporifera, quando sentì il lieve ronzio che, purtroppo, lo riportò alla realtà.
Aprì gli occhi (non si era neppure accorto di averli chiusi), e guardò il minuscolo riquadro visivo sulla parete opposta. Toccò un contatto, ed apparve un’immagine olografica ingrandita.
Era Semyon Akorat, naturalmente.
Semyon Akorat, con la sua testa calva e oblunga. (Akorat si rasava la frangetta scura che gli rimaneva, rendendosi conto giustamente che pochi capelli radi avrebbero reso ancor più patetico il deserto al centro della sua testa, mentre un cranio ben fatto e armonioso, senza zone pilifere che ne interrompessero la continuità, avrebbe potuto avere un aspetto quasi imponente.) Semyon Akorat, con la sua testa calva, e con l’espressione preoccupata… sempre, anche quando non c’era motivo di preoccuparsi.
Pitt lo trovava sgradevole, non perché Akorat mancasse di efficienza o lealtà (in quanto a efficienza e lealtà non si poteva pretendere di più da lui, era inappuntabile), ma semplicemente per un riflesso condizionato. Akorat annunciava sempre una violazione della privacy di Pitt, un’interruzione dei suoi pensieri, la necessità di fare qualcosa che Pitt avrebbe preferito evitare. In breve, Akorat si occupava degli appuntamenti di Janus Pitt e li selezionava.
Pitt corrugò leggermente la fronte. Non ricordava di avere un appuntamento, del resto se ne dimenticava spesso, e Akorat era lì proprio per quel motivo.
«Chi è?» chiese rassegnato. «Nessuna visita importante, spero.»
«Assolutamente» confermò Akorat. «Ma forse farebbe meglio a riceverla.»
«Può sentirci?»
«Commissario» disse Akorat in tono di rimprovero, come se lo stessero accusando di negligenza. «Ovvio che non può sentirci, lei. È sull’altro lato dello schermo.» Parlava con estrema precisione, il che era confortante per Pitt. Era impossibile fraintendere le parole di Akorat.
«Lei?» fece Pitt. «Immagino si tratti della dottoressa Insigna, allora. Be’, attieniti alle mie istruzioni. Non senza appuntamento. Ne ho avuto abbastanza di lei per un po’, Akorat. Sono dodici anni che ne ho abbastanza. Inventa una scusa. Dille che sto meditando… no, non ci crederà… dille…»
«Commissario, non è la dottoressa Insigna. In tal caso non l’avrei disturbata. È… è sua figlia.»
«Sua figlia?» Pitt si concentrò un attimo per ricordare il nome. «Cioè, Marlene Fisher?»
«Sì. Naturalmente le ho spiegato che era occupato, e lei mi ha detto che dovrei vergognarmi di dire le bugie, perché, dalla mia espressione, si capiva chiaramente che era una bugia, e perché la mia voce era troppo tesa per essere sincera.» Mentre Akorat esponeva i fatti, il suo tono baritonale era colmo di indignazione. «Comunque, non vuole andarsene. Sostiene che lei la riceverà se saprà che sta aspettando. Vuole riceverla, Commissario? Francamente, i suoi occhi mi sconcertano.»
«Già, mi pare di avere sentito parlare dei suoi occhi. Be’, falla entrare, falla entrare… cercherò di resistere al suo sguardo. Ora che ci penso, deve darmi qualche spiegazione.»
Marlene entrò. (Molto sicura di sé, anche se contegnosa e senza alcuna aria di sfida, rifletté Pitt.)
Si sedette, posando le mani sulle ginocchia, aspettando che fosse Pitt a parlare per primo. Pitt la lasciò aspettare un po’, osservandola distrattamente. Di tanto in tanto l’aveva incontrata quand’era più giovane, ma ormai era da un po’ di tempo che non la vedeva. Da bambina non era graziosa, e non era graziosa nemmeno adesso. Aveva zigomi larghi, ed era piuttosto sgraziata, però aveva effettivamente degli occhi notevoli, e sopracciglia dalla linea armoniosa, e lunghe ciglia…
«Be’, Marlene Fisher» esordì Pitt. «Così, volevi vedermi. Posso sapere perché?»
Marlene alzò lo sguardo, l’espressione calma, ostentando la massima di sinvoltura. «Commissario Pitt, immagino che mia madre le abbia riferito che ho detto a un amico che la Terra sarà distrutta.»
Le ciglia di Pitt si aggrottarono sui suoi occhi piuttosto comuni. «Mi ha riferito, sì. E spero che ti abbia detto che non devi più parlare di certe cose in modo così sciocco.»
«Sì, me l’ha detto, Commissario. Ma non basta non parlare di una cosa perché questa cosa non sia vera, e non basta definirla sciocca perché sia sciocca.»
«Sono Commissario di Rotor, Marlene Fisher, ed è compito mio occuparmi di certe cose, quindi devi lasciarle a me, vere o false che siano, sciocche o non sciocche. Come ti è venuta in mente l’idea della distruzione della Terra? È qualcosa che ti ha detto tua madre?»
«Non direttamente, Commissario.»
«Indirettamente, però. È così?»
«Non ha potuto evitarlo, Commissario. Tutti parlano in cento modi. C’è la scelta delle parole. C’è il tono, l’espressione, il movimento degli occhi e delle palpebre, il modo in cui una persona si schiarisce la voce. Cento particolari. Capisce a cosa mi riferisco?»
«Perfettamente. Anch’io osservo quei particolari.»
«Ed è molto orgoglioso, Commissario. Pensa di essere molto in gamba come osservatore, e che questa sia una delle ragioni per cui è Commissario.»
Pitt parve sorpreso. «Non ho detto niente del genere, signorina.»
«Non a parole, Commissario. Non è stato necessario.» Marlene lo stava fissando negli occhi. Non c’era traccia di sorriso sul suo volto, ma gli occhi della ragazza sembravano divertiti.
«Be’, signorina, è questo che volevi dirmi?»
«No, Commissario. Sono venuta perché mia madre ultimamente ha avuto difficoltà a farsi ricevere da lei. No, non me l’ha detto. L’ho capito da sola. E ho pensato che, forse, avrebbe potuto ricevere me, invece.»
«D’accordo. Sei qui, adesso. Cosa hai da dirmi?»
«Mia madre è infelice perché ha paura che la Terra possa essere distrutta. Vede, mio padre è là.»
Pitt avvertì un lieve accesso di rabbia. Inconcepibile, permettere che una questione puramente personale interferisse con il benessere e il futuro di Rotor! Eugenia Insigna, rivelatasi utilissima all’inizio con la scoperta di Nemesis, era diventata da tempo un intralcio, un peso morto che gravava sulle spalle di Pitt. Sembrava che facesse apposta a imboccare sempre il sentiero sbagliato. E adesso che Pitt non voleva più vederla, ecco che gli mandava quella pazza di sua figlia.
«E questa distruzione di cui parli, quando dovrebbe avvenire, secondo te? Domani, o l’anno prossimo?» chiese Pitt.
«No, Commissario. Tra poco meno di cinquemila anni, lo so.»
«In tal caso, tuo padre sarà morto da un pezzo, allora… e anche tua madre, anch’io, anche tu. E quando saremo tutti morti, rimarranno ancora quasi cinquemila anni prima della distruzione della Terra e forse di altri pianeti del Sistema Solare… sempre che la catastrofe avvenga… e non avverrà.»
«È l’idea della distruzione, Commissario… in qualsiasi momento avvenga.»
«Tua madre ti avrà detto che, molto tempo prima che arrivi il momento fatidico, gli abitanti del Sistema Solare si renderanno conto di… di quello che secondo te dovrebbe accadere… e sapranno affrontare la situazione. E poi, non possiamo lamentarci della distruzione planetaria. Tutti i mondi devono scomparire, un giorno o l’altro. Anche se non ci sono collisioni cosmiche, ogni stella a un certo stadio della sua evoluzione diventa una gigante rossa e distrugge i suoi pianeti. Proprio come tutti gli esseri umani sono destinati a morire, anche i pianeti sono destinati a morire. La vita di un pianeta è un po’ più lunga, nient’altro. Capisci, signorina?»
«Sì» rispose seria Marlene. «Sono in ottimi rapporti col mio computer.»
("Non ne dubito" pensò Pitt… poi, troppo tardi, cercò di cancellare il sorrisetto sardonico che gli era comparso in faccia. Probabilmente le era servito per capire il suo atteggiamento.)
«Allora la nostra conversazione è terminata» disse Pitt, perentorio. «Questa storia della distruzione della Terra è una sciocchezza, e anche se non lo fosse, non è cosa che ti riguardi, e non devi più parlarne, altrimenti saranno guai… non solo per te, anche per tua madre.»
«La nostra conversazione non è ancora terminata, Commissario.»
Pitt era sul punto di perdere la pazienza, ma replicò cercando di mantenere la calma: «Mia cara signorina, quando il tuo Commissario dice basta, è basta… indipendentemente da quel che pensi tu».
Accennò ad alzarsi, ma Marlene rimase seduta. «Perché voglio offrirle qualcosa che lei accoglierebbe con enorme piacere.»
«Cosa?»
«La possibilità di liberarsi di mia madre.»
Pitt si abbassò di nuovo sulla poltroncina, estremamente perplesso. «Cosa vorresti dire?»
«Se mi ascolta, Commissario, glielo spiegherò. Mia madre non può vivere così. È preoccupata per la Terra e il Sistema Solare e… e pensa a mio padre, a volte. Pensa che Nemesis possa essere la nemesis del Sistema Solare, e dato che è stata lei a scegliere il nome, si sente responsabile. È una persona emotiva, Commissario.»
«Sì? L’hai notato, vero?»
«E mia madre la disturba, Commissario. Ogni tanto le parla delle cose che le stanno a cuore, e che a lei invece non interessano. Così si rifiuta di vederla, e vorrebbe che mia madre se ne andasse. Ebbene, può mandarla via, Commissario.»
«Davvero? Abbiamo un’altra Colonia. Devo mandarla su Nuova Rotor?»
«No, Commissario. Su Eritro.»
«Eritro? Per quale motivo dovrei mandarla là? Solo perché voglio sbarazzarmi di lei?»
«Il suo motivo sarebbe questo, Commissario. Non il mio, però. Io voglio che mia madre vada su Eritro perché all’Osservatorio non riesce a lavorare bene. Pare che gli strumenti non siano mai disponibili, e ha la sensazione di essere osservata continuamente… si rende conto che lei è seccato, Commissario. E poi, Rotor non è un posto adatto per compiere dei rilevamenti astronomici precisi. Gira troppo in fretta, e in modo troppo irregolare.»
«Sai proprio tutto. Te lo ha spiegato tua madre? No, non rispondere, vediamo se indovino. Non te l’ha detto direttamente, vero? Solo indirettamente.»
«Sì, Commissario. E c’è il mio computer…»
«Quello con cui sei in ottimi rapporti?»
«Sì, Commissario.»
«Quindi, tu pensi che tua madre potrà lavorare meglio su Eritro.»
«Sì, Commissario. Eritro sarà una base più stabile, e mia madre forse riuscirà a stabilire che il Sistema Solare sopravviverà. E anche se dai suoi calcoli dovesse risultare il contrario, un’analisi accurata richiederà parecchio tempo e, almeno per un po’, lei si sbarazzerà di mia madre.»
«Vedo che anche tu vuoi sbarazzarti di lei, eh?»
«Niente affatto, Commissario» rispose Marlene, senza scomporsi. «Io la seguirei. E lei, Commissario, si sbarazzerebbe anche di me, e sarebbe ancor più contento.»
«Cosa ti fa pensare che io voglia sbarazzarmi anche di te?»
Marlene lo fissò, cupa, impassibile. «A questo punto vuole sbarazzarsi di me, Commissario, perché adesso sa che sono in grado di capire quel che pensa e quel che prova senza alcuna difficoltà.»
D’un tratto, Pitt si accorse che, in effetti, desiderava allontanare da sé quel mostro, moltissimo. «Lasciami riflettere un attimo» disse, e girò la testa. Era un gesto puerile, distogliere lo sguardo, se ne rendeva conto, però non voleva che quella orribile ragazzina gli leggesse in faccia quasi avesse di fronte un libro aperto.
Dopo tutto, era vero. Adesso lui voleva sbarazzarsi sia della madre che della figlia. Per quanto riguardava la madre, Pitt aveva pensato più volte di esiliarla su Eritro. Ma, dato che lei sicuramente si sarebbe opposta, sarebbero sorti battibecchi e discussioni oltremodo sgradevoli, che Pitt preferiva evitare. Ora, però, aveva saputo dalla figlia che forse Eugenia Insigna sarebbe andata su Eritro volentieri, e il discorso cambiava, naturalmente.
«Se tua madre vuole davvero…» iniziò circospetto.
«Certo che vuole, Commissario. Non me ne ha parlato, e può darsi addirittura che non ci abbia ancora pensato, ma lo farà e vorrà andare su Eritro. Lo so. Si fidi di me.»
«Ho qualche alternativa? E tu vuoi andare?»
«Lo desidero moltissimo, Commissario.»
«Allora darò subito le disposizioni necessarie. Sei soddisfatta?»
«Sì, Commissario.»
«Adesso possiamo considerare concluso il colloquio?»
Marlene sì alzò e piegò la testa in un inchino sgraziato, che in teoria avrebbe dovuto rappresentare un gesto rispettoso. «Grazie, Commissario.»
Si voltò e uscì, e solo dopo parecchi minuti Pitt osò rilassare i muscoli della faccia che aveva tenuto bloccati in modo doloroso perché il suo viso fosse una maschera impassibile.
Aveva tremato al pensiero che Marlene Fisher potesse dedurre dalle sue parole, da qualche suo gesto o dalla sua espressione, il particolare importantissimo che solo lui e un’altra persona conoscevano riguardo Eritro.