Lunedì, 9 agosto 1999
La città di New York. Carpita dagli scaltri olandesi agli indiani semplicioni. Tolta con le armi dagli inglesi agli olandesi osservanti della legge. Strappata a sua volta ai pacifici inglesi dai coloni ribelli. Da decine di anni ormai, gli alberi sono stati bruciati, le colline spianate, i freschi laghetti colmati e bonificati. Le sorgenti cristalline, ora imprigionate sottoterra, riversano direttamente nelle fogne le loro acque limpide. Dall'isola di origine, la città ha lanciato tentacoli urbani in ogni direzione, diventando una megalopoli. Dei suoi cinque “borghi”, quattro ricoprono la metà di un'isola lunga più di centocinquanta chilometri, inghiottiscono un'altra isola e risalgono l'Hudson estendendosi sulla piattaforma nordamericana. Il quinto “borgo”, quello originario, è Manhattan, una lastra di roccia granitica primordiale e metamorfica, circoscritta dall'acqua, accovacciata come un ragno di pietra e di acciaio in mezzo alla sua fitta tela di ponti, gallerie, tubazioni, cavi e traghetti. Impossibilitata ad espandersi in superficie, Manhattan si è divincolata in altezza, nutrendosi della propria carne poiché demolisce i vecchi edifici per costruire i nuovi, protesa verso l'alto, sempre più in alto, eppure mai abbastanza in alto, poiché non sembra esservi un limite allo stiparsi della gente in questa città. Gli uomini che vi penetrano dall'esterno mettono su famiglia, e i loro figli, e i figli dei loro figli mettono su famiglia anch'essi, così che ora questa città è popolosa come non lo è mai stata nessun'altra nella storia del mondo.
In questa torrida giornata d'agosto 1999, New York conta (migliaio più migliaio meno) trentacinque milioni di abitanti.
Il sole d'agosto entrava dalla finestra aperta, scottando le gambe di Andrew Rusch che finì per svegliarsi, uscendo a fatica dalle profondità di un sonno pesante. A poco a poco si rese conto che faceva caldo, che il lenzuolo sotto di lui era bagnato e spiegazzato. Si fregò gli occhi ancora chiusi e rimase lì, a contemplare le screpolature e le macchie del soffitto, sveglio solo a metà, con una sensazione di grande spaesamento. Non gli riusciva mai, nei primi momenti del risveglio, di sapere con esattezza dove si trovasse, anche se abitava in quella stessa stanza da più di sette anni. Sbadigliò, quell'impressione bizzarra sparì ed egli cercò a tentoni l'orologio che riponeva sempre su una sedia vicino al letto. Sbadigliò una seconda volta mentre si sforzava di leggere l'ora segnata nebulosamente dalle lancette sotto il vetro graffiato. Le sette… le sette del mattino e nell'apposito rettangolo si leggeva un piccolissimo numero nove. Lunedì, 9 agosto 1999, e faceva già caldo come in un forno.
L'ondata di calore che infieriva da dieci giorni continuava ad avvolgere e soffocare New York. Andy si grattò un fianco nel punto dove una goccia di sudore discendeva sulla sua pelle, poi allontanò le gambe dai raggi del sole e rassodò il guanciale sotto il capo. Dall'altra parte della parete sottile che divideva la stanza in due, gli giunse il frullio di un motore, rumore che presto si rinforzò sino a diventare un acuto ronzio.
«Buongiorno!» gridò forte Andy, ma fu subito colto da un accesso di tosse. Tossendo si alzò, attraversò la stanza per prendersi un po' d'acqua da un serbatoio appeso al muro. Ne uscì appena un filo d'acqua scura. Vuotò d'un sol tratto il bicchiere, poi picchiò con le nocche sul quadrante del misuratore di livello. L'ago oscillò avanti e indietro, ma rimase sempre vicino al segno vuoto. Occorreva riempirlo, ci avrebbe pensato lui, oggi, prima di timbrare il cartellino, alle quattro, al suo distretto. La giornata era cominciata.
Egli avvicinò il viso al lungo specchio, spaccato dall'alto in basso, dell'ingombrante armadio, fregandosi la mascella ispida di barba. Prima di andare in ufficio se la sarebbe fatta. Non ci si dovrebbe mai guardare allo specchio di buon mattino, nudi e indifesi, si disse con disgusto, osservando accigliato la pelle cerea e le gambe un po' arcuate, cosa che i calzoni usualmente nascondevano. Come faceva ad avere delle costole sporgenti come quelle di un cavallo denutrito e, al tempo stesso, la tendenza a metter su pancia? Si massaggiò l'adipe molle e si disse che il fenomeno era da attribuirsi ai troppi farinacei che mangiava, e anche al fatto di stare sempre seduto. Sul viso perlomeno segni di grasso non se ne vedevano. La sua fronte diventava purtroppo ogni anno sempre più alta, ma questo difetto era meno evidente se si tagliava i capelli a spazzola.
Hai appena raggiunto la trentina, diceva fra sé, e ti si vedono delle rughe intorno agli occhi. E il tuo naso è troppo grande. Ti ricordi dello zio Brian che diceva sempre del tuo naso che era così grande perché c'era del sangue gallese in famiglia? E quei canini sono troppo sporgenti, quando ridi somigli un po' ad una iena. Ah! Sei un bel diavolo davvero, caro il mio Andy Rusch! Lo sai da quanto tempo non sei stato con una donna? Si diede un'occhiataccia, poi andò a prendere un fazzoletto per soffiarsi il naso, il suo maestoso naso gallese.
Nel cassetto c'era solo un paio di mutande pulite e se le mise. Ecco un'altra cosa cui doveva pensare in giornata: fare un po' di bucato. L'ululato del motore continuava a farsi sentire nella stanza accanto. Andy spinse la porta di comunicazione.
«Finirai per farti venire un attacco alle coronarie, Sol,» 'disse al vecchietto dalla barba grigia, arrampicato su una bicicletta fissa, senza ruote. Pedalava con tale ardore che il sudore gli colava sul petto e inzuppava l'asciugamano legato intorno ai lombi.
«Macché!» riuscì a spiccicare Solomon Kahn, pedalando di lena. «Faccio questo esercizio ogni giorno da tanti anni che il mio cuore ne sentirebbe la mancanza se smettessi. E niente colesterolo nelle arterie, perché le risciacquo accuratamente con l'alcool. Niente cancro ai polmoni perché non posso permettermi il lusso di fumare, anche se lo volessi, e io non voglio. E all'età di settantacinque anni, niente prostata perché…»
«Sol, ti prego, risparmiami i particolari, a stomaco vuoto. Mi puoi dare un cubetto di ghiaccio?»
«Prendine due, oggi fa caldo. E non lasciare la porta aperta troppo a lungo.»
Andy apri il piccolo frigorifero appoggiato al muro, tirò fuori in fretta il contenitore in plastica della margarina, poi il cassetto del ghiaccio e fece guizzare due cubetti direttamente nel bicchiere, poi sbatté la porta. Riempì il bicchiere con l'acqua del serbatoio murale e lo mise sul tavolo accanto alla margarina. «Hai già mangiato?» chiese a Sol.
«Mangerò con te. Quell'aggeggio a quest'ora dovrebbe essere carico.»
Sol si fermò di pedalare, l'ululato diminuì, divenne un gemito, poi cessò. Tolse i contatti del generatore elettrico collegato all'asse della ruota posteriore, e con cura arrotolò il filo riponendolo sulle quattro batterie d'automobile allineate, appese al muro sopra il frigorifero. Dopo essersi asciugato le mani sulla pezzuola sporca annodata alla polinesiana, avvicinò al tavolo un sedile d'auto proveniente dalla demolizione di una vecchia Ford 1974 e si sedette di fronte ad Andy.
«Ho sentito il notiziario delle sei,» disse. «Gli Anziani stanno organizzando un'altra marcia di protesta davanti al palazzo della Previdenza. Lì sì che ne vedrai, dei begli attacchi alle coronarie!»
«No, grazie a Dio. Io sono di turno solo alle quattro e Union Square non fa parte del mio distretto.» Aprì la scatola del pane, prese una fetta biscottata rossa, larga un palmo, e spinse la scatola verso Sol. Spalmò la margarina con parsimonia e al primo morso arricciò il naso: «Credo che questa margarina sia rancida.»
«Come fai ad accorgerti?» brontolò Sol, addentando anche lui uno di quei crackers. «In primo luogo, tutto ciò che è fabbricato con olio di motori e grasso di balena sa di rancido.»
«Tu ragioni come un naturista,» disse Andy, mandando giù il suo cracker con un sorso di acqua fredda. «I grassi derivati dai petrolchimici non hanno alcun sapore e sai benissimo che di balene non ce ne sono più al mondo e quindi non c'è più olio di balena da usare. Questo non è altro che un buon olio di alga clorella.»
«Balene, plancton, olio di aringa, è tutt'uno. Sa di pesce. Io mi mangio il cracker liscio, per essere sicuro che non mi spuntino le pinne.» Udirono un rapido, improvviso bussare alla porta e Sol brontolò: «Non sono ancora le otto e ti cercano già!»
«Non è detto, potrebbe essere chiunque,» rispose Andy, dirigendosi verso la porta.
«Potrebbe, ma non lo è. Questo è il modo di bussare del fattorino. Lo sai anche tu. Scommetto quel che vuoi che è proprio lui. Hai visto?» disse con cupa soddisfazione quando Andy aprì la porta e nel corridoio buio videro la figura magra, a gambe nude, del fattorino.
«Che vuoi, Woody?» chiese Andy.
«Io non voglio nulla,» biascicò quello fra le gengive nude. Aveva poco più di vent'anni, ma non un dente in bocca. «Il tenente mi ha detto di portarvi questo, e io ve lo porto.» Allungò ad Andy la tavoletta del messaggio, con il suo nome scritto all'esterno.
Andy si volse verso la luce e l'apri, lesse lo scarabocchio del tenente sulla lavagnetta, vi appose sotto le sue iniziali con il gesso e la restituì al fattorino. Chiuse la porta e tornò a sedersi per finire di far colazione. Era accigliato e pensoso.
«Non mi guardare a quel modo,» disse Sol, «non sono stato io a mandarti quel messaggio. Mi sbaglio se dico che la notizia non è delle più allegre?»
«Si tratta degli Anziani. Hanno già intasato Union Square, e il distretto chiede rinforzi.»
«Ma perché chiamano te, questa è una corvée da sbirri?»
«Una corvée da sbirri? Ma dove vai a pescare quelle espressioni medioevali? Naturalmente occorrono poliziotti per contenere la folla, ma anche agenti investigatori per riconoscere gli agitatori più noti, i borsaioli, gli scippatori e tutto il resto. Sarà un macello, oggi, in quel parco. Devo presentarmi alle nove. Ho tempo di andare a prendere un po' d'acqua.»
Andy infilò con lentezza un paio di calzoni e una camicia a collo aperto. Poi mise una pentola d'acqua sul davanzale della finestra per riscaldarla al sole e prese i due canestri di plastica da cinque galloni. Mentre egli usciva, Sol, staccando gli occhi dalla televisione e guardando da sopra gli occhiali a stanghetta, gli disse:
«Quando torni con l'acqua ti preparo una bibita… o credi che sia ancora troppo presto?»
«Da come mi sento ora, no, non è troppo presto.»
Il corridoio, dopo che la porta si chiuse dietro di lui, era nero come l'inchiostro. Andy procedette a tastoni, seguendo la parete con la mano fino alle scale, e imprecò inciampando in un mucchio di rifiuti che qualcuno aveva gettato lì. Due piani più in basso era stata aperta una finestra nel muro e la sua luce bastava per scendere gli ultimi due piani di scale. Poi si arrivava nella strada. Dopo l'umidità del corridoio, il calore della 25a Strada lo colpì con il suo tanfo di rancido e con un puzzo soffocante fatto di marciume, di sporcizia e di umanità sudicia. Si aprì un passaggio attraverso il gruppo delle donne che già si assiepavano sui gradini del caseggiato, camminando con cura per non calpestare qualche bambino che giocava lì sotto. Il marciapiede era ancora in ombra, ma così stipato di gente che Andy scese sul selciato, quasi in mezzo alla strada, per evitare le immondizie e la carta straccia che si accumulavano in bordo al marciapiede. Il caldo dei giorni precedenti aveva reso soffice il catrame che cedeva sotto i suoi passi e si attaccava alla suola delle scarpe. Davanti alla fontanella a forma di colonna dipinta di rosso posta all'angolo della Settima Avenue, vi era la solita coda, che si sparpagliò all'improvviso nel momento stesso in cui Andy la raggiunse, con grida di rabbia e pugni alzati. Imprecando, la folla si allontanò ed egli vide il poliziotto di guardia alla fontana che chiudeva a chiave il portello di ferro.
«Che cosa succede?» gli chiese Andy. «Credevo che questa fontana fosse aperta fino a mezzogiorno.»
Il poliziotto si voltò, tenendo la mano automaticamente appoggiata alla rivoltella, finché non ebbe riconosciuto il collega. Si cacciò indietro il berretto d'ordinanza e si asciugò la fronte con il dorso della mano.
«Ho appena ricevuto l'ordine dal sergente: sospendere l'erogazione d'acqua in tutti i punti per ventiquattr'ore. Il livello si è abbassato nei serbatoi a causa della siccità. Bisogna economizzare l'acqua.»
«Accidenti, che guaio,» disse Andy guardando la chiave ancora infilata nella serratura. «Io entro in servizio a momenti e vuol dire che per un paio di giorni rimarrò senza bere.»
Dopo uno sguardo attento in giro, il poliziotto aprì il portello e prese dalle mani di Andy uno dei due canestri di plastica. «Uno solo di questi dovrebbe bastarti.» Lo tenne fermo sotto il rubinetto mentre lo riempiva, poi abbassando la voce sussurrò: «Non dirlo a nessuno, ma si mormora che c'è stato un altro attentato dinamitardo contro l'acquedotto, lassù a nord.»
«Ancora un colpo degli agricoltori?»
«Sembra di si. Io ero di stanza lassù prima di essere trasferito in questa zona, ed è brutta, ti assicuro. Farebbero saltare anche il poliziotto insieme con l'acquedotto, senza batter ciglio. Pretendono che la città gli rubi la loro acqua.»
«Ne hanno a sufficienza,» disse Andy ritirando il bidone pieno. «Più del bisogno. E qui, in città, ci sono trentacinque milioni di persone con una sete maledetta.»
«E chi dice il contrario?» fece il poliziotto sbattendo il portello e chiudendolo a chiave.
Andy rientrò, facendosi largo tra la gente che indugiava intorno ai gradini e per prima cosa raggiunse il cortile posteriore. Tutti i gabinetti erano occupati e dovette aspettare. Quando finalmente uno di essi si liberò, egli vi entrò portandosi dietro i canestri. I ragazzini che giocavano sui mucchi di immondizie glieli avrebbero certamente rubati se li avesse lasciati incustoditi.
Affrontata di nuovo l'oscurità delle scale e aperta la porta della stanza, udì il tintinnio leggero dei cubetti di ghiaccio contro il vetro del bicchiere.
«Questa musica che stai suonando, per me è la Quinta di Beethoven,» disse abbandonando i bidoni e lasciandosi cadere sulla poltrona.
«È il mio motivo preferito,» disse Sol prendendo due bicchieri appannati dal frigorifero e, con la solennità di un rito religioso, lasciando cadere in ognuno una minuscola cipollina. Porse il bicchiere a Andy che sorseggiò lentamente la bibita ghiacciata.
«Lo sai, Sol, che quando io bevo una di queste bibite mi convinco che dopo tutto non sei un matto? Perché le chiamano Gibson?»
«È un segreto perduto nella notte dei tempi. Perché chiamano Stinger lo Stinger, e Pink Lady il Pink Lady?»
«Non lo so neanch'io, ma si chiamano così. Come pure quelle bibite verdastre che ti servono nelle bettole, i Panama. Non significano nulla. È un nome, così.»
«Grazie,» disse Andy finendo il bicchiere. «Mi sento già meglio.»
Andò nella sua camera, prese dal cassetto la rivoltella e la fondina, e li agganciò all'interno della cintola dei pantaloni. Il suo distintivo di poliziotto era, come sempre, infilato al portachiavi. Prese il blocchetto degli appunti, poi esitò un secondo. La giornata sarebbe stata lunga e forse ardua. Poteva accadere qualsiasi cosa. Tirò fuori le manette da sotto le camicie, poi il tubo di plastica soffice riempito di pallini di piombo. Poteva averne bisogno, nella calca; era più sicuro di una rivoltella, con tanta gente in giro, così indisciplinata. Senza contare che, a causa delle nuove norme di austerità, occorreva una ragione più che buona per consumare munizioni. Si lavò come meglio poté con la poca acqua riscaldata al sole sul davanzale della finestra, poi si fregò il viso con il piccolo avanzo di sapone grigio e ruvido finché il pelo delle guance si rammorbidì un po'. La lama del suo rasoio aveva molte intaccature su ambo i fili, e mentre l'affilava sull'interno del bicchiere, si disse che era ora di comprarne un'altra. Forse in autunno.
Mentre Andy si avviava alla porta, Sol stava bagnando le piante sul davanzale della finestra, irrigando con parsimonia le erbe aromatiche e le cipolline.
«Non farti rifilare gettoni per soldi,» disse senza alzare lo sguardo dal suo lavoro. Sol ne aveva milioni, tutti vecchi, ma cos'era poi un gettone?
Il sole era ora più alto e il caldo opprimente in quella valle chiusa, fatta di cemento e di asfalto, che era la strada. La striscia d'ombra era più stretta e i gradini così stipati di umanità che non riusciva a superare la soglia. Spinse da una parte una bambina mocciosa, vestita di una canottiera stracciata e scese un gradino. Le donne magre sedute lì intorno si fecero da parte di malavoglia, ignorandolo; gli uomini invece lo fissarono con uno sguardo freddo, pieno di odio, che, impresso sul viso di tutti, li accomunava, li rendeva identici nell'aspetto. Andy si fece strada fra gli ultimi di questi e quando raggiunse il marciapiede dovette scavalcare la gamba distesa di un vecchio che vi si era sdraiato di traverso. Pareva morto anziché addormentato, e forse lo era, per quello che importava alla gente. Aveva uno spago legato al piede nudo e sudicio, che lo collegava a un bambino molto piccolo, nudo, seduto, indifferente, sul bordo del marciapiede, che masticava l'orlo di un piatto di plastica molto sbrecciato. Il bambino era altrettanto sporco del vecchio, e lo spago, legato al suo torace, gli passava sotto le braccine magre, perché la sua pancia era gonfia e pesante. Chissà se quell'uomo era morto? Non che importasse molto, l'unico suo compito in questo mondo era quello di servire da ancora a quel bambino, e lo poteva fare sia vivo sia morto.
Accidenti, pensò Andy, se sono di umore macabro, stamane! Dev'essere il caldo, dormo male, ho degli incubi. Tutta colpa di quest'estate senza fine e delle grane. Una tira l'altra. Prima il caldo, poi la siccità e i furti nei magazzini portuali, ora gli Anziani. Erano matti, quelli, a calare in città, col tempo che faceva. O forse era il tempo a farli ammattire. Troppo caldo per pensare. Quando Andy svoltò l'angolo, tutta la Settima Avenue gli si parò innanzi in tutta la sua lunghezza abbacinante e il sole lo investì, facendogli sentire la sua forza sulle braccia e sulle gambe. La camicia gli si incollava sulla schiena. E non erano neppure le nove meno un quarto.
Nella 23a Strada andò meglio, all'ombra lunga dell'autostrada sopraelevata transurbana che nascondeva il cielo, e Andy procedette lentamente nella semi-oscurità, senza perdere d'occhio il traffico dei rimorchi e dei taxi a pedali. Intorno ad ogni pilastro della sopraelevata era appiccicato un gruppo di persone, come muscoli su palafitte, con le gambe distese, quasi a sfiorare i veicoli. Udì sul suo capo il brontolio decrescente di un autocarro pesante che si allontanava sull'autostrada, e vide che un altro, più in là, era parcheggiato davanti al suo distretto. Una pattuglia di agenti in divisa stava salendovi dalla parte posteriore e il tenente investigatore Grassioli era in piedi vicino alla macchina, con in mano la tavoletta degli appunti e parlava al sergente. Alzò gli occhi, guardò Andy con aria torva, e un tic gli strinse l'occhio sinistro come in una smorfia di collera.
«Era ora che ti facessi vedere, Rusch,» gli disse, spuntando il suo nome sulla lavagnetta.
«Era il mio giorno di libertà, signore, sono venuto appena il fattorino mi ha avvisato.» Con Grassy uno doveva sempre stare all'erta, se non voleva farsi mettere i piedi sul collo. Il tenente aveva l'ulcera, il diabete, e il mal di fegato.
«Un poliziotto è sempre in servizio. Va' a mettere il tuo sedere sull'autocarro. Tu e Kulozik procurate di acciuffarmi un po' di borsaioli. Le lagnanze di Central Street mi rompono i timpani.»
«Sissignore,» disse Andy al tenente che aveva già voltato le spalle e tornava in ufficio. Andy salì i tre gradini del predellino e sedette sulla panca di legno accanto a Steve Kulozik che aveva chiuso gli occhi e ripreso a dormire appena il tenente se n'era andato. Era un omone robusto, la cui mole tentennava tra il muscoloso e il grasso. Indossava calzoni di cotone e una camicia a maniche corte, identica a quella di Andy, con le falde libere e svolazzanti sopra i calzoni, per nascondere la rivoltella. Aprì a metà un occhio e borbottò qualcosa quando Andy si sedette vicino a lui. Poi richiuse l'occhio.
L'accensione ululava in modo esasperante e continuo, poi alla fine il carburante di bassa qualità si accese e il motore diesel si animò lentamente, tentennò un poco, poi divenne costante, e l'autocarro si allontanò dal marciapiede dirigendosi ad ovest. Gli agenti in divisa sedevano tutti per traverso sulla panca, in modo da godere un po' dell'aria dovuta allo spostamento, e nello stesso tempo sorvegliare le strade piene di gente: i poliziotti non erano ben visti, quell'estate. Se qualcosa gli veniva lanciato, bisognava vederlo arrivare. Un'improvvisa vibrazione scosse l'autocarro. L'autista innestò una marcia inferiore e si appoggiò al clacson, aprendosi un passaggio in mezzo alla folla brulicante e alle schiere di veicoli a pedali.
Arrivati a Broadway dovettero rallentare, avanzando a passo d'uomo perché la gente straripava sulla strada nei pressi di Madison Square, dove c'erano il mercato delle pulci e la tendopoli. La situazione non migliorò verso la città bassa perché gli Anziani già affluivano in forze, diretti verso sud, e ci mettevano un tempo esasperante a scansarsi davanti all'autocarro. I poliziotti seduti li guardavano con indifferenza mentre passavano accanto a quel mare ondeggiante di teste: teste grigie, teste pelate. La maggior parte dei vecchi portava bastoni da passeggio. Uno tra la folla, con una gran barba bianca, si trascinava sulle stampelle. Si vedevano anche molte sedie a rotelle. Quando arrivarono a Union Square il sole, non più oscurato dagli edifici, divampava su di essi senza pietà.
«È pazzesco,» disse Steve Kulozik sbadigliando, mentre saltava giù. «Lasciare uscire tutti quei bisnonni con questo caldo, probabilmente ne morrà la metà. Ci sono almeno trentotto gradi al sole, ce n'erano trentacinque alle otto stamane.»
«I medici sono qui per quello,» disse Andy indicando col capo il piccolo gruppo di uomini in bianco che disponevano le barelle vicino a un rimorchio del Ministero della Sanità. Gli investigatori si diressero a piedi verso il retro della massa che aveva già invaso il parco, rivolta al podio dell'oratore posto nel centro. Si udì gracchiare l'altoparlante a pieno volume, poi venne una specie di gemito che cessò subito. Stavano provando il circuito di diffusione nel parco per il discorso.
«È proprio un'estate da record,» disse Steve frugando con lo sguardo nella folla mentre continuava a chiacchierare. «Ho sentito dire che il livello dell'acqua nei serbatoi è così basso che le bocche d'uscita sono scoperte. Con questo, e con quei zoticoni lassù nel nord dello stato, che hanno fatto saltare ancora una volta l'acquedotto…»
Il fischio stridulo dell'altoparlante fu seguito dal frastuono di una voce molto amplificata.
«… Compagni, soci e socie del Club degli Anziani d'America, attenzione, prego. Avevo ordinato delle nuvole, per questa mattina; ma probabilmente i miei ordini non sono stati recapitati…»
Un mormorio d'approvazione ondeggiò in tutto il parco. Vi furono alcuni applausi.
«Chi è l'oratore?» chiese Steve.
«Reeves, quello che chiamano Kid Reeves, o Reeves il giovane perché ha soltanto sessantacinque anni. È il direttore commerciale dell'associazione degli Anziani, ora; e l'anno prossimo, se continua così, ne sarà il presidente…» Le sue parole furono soffocate dalla voce di Reeves che riempì nuovamente l'aria infuocata.
«… Di nuvole ne abbiamo abbastanza per conto nostro, e quindi possiamo fare a meno di quelle del cielo.» Questa volta il mormorio della folla conteneva una nota di irritazione. «Il governo ha preordinato ogni cosa in modo da non lasciarci più lavorare, abili o inabili che siamo, e ci ha assegnato quel minimo, insultante, misero sussidio col quale, a quanto pare, noi dobbiamo sopravvivere; e nello stesso tempo fa in modo che quel denaro perda valore ogni anno, ogni mese, ogni giorno.»
«Ecco il primo che va,» disse Andy indicando un uomo dietro la folla caduto in ginocchio tenendosi il petto. Andy stava per lanciarsi, ma Steve lo trattenne.
«Lascia fare a loro,» disse indicando i due medici che già si muovevano. «Attacco di cuore o colpo di sole. Non sarà certo l'ultimo. Vieni, facciamo circolare la gente.»
«… una volta ancora siamo chiamati ad unirci… le forze che ci mantengono in stato di povertà, di fame, dimenticati da… i costi in ascesa che hanno spazzato via…»
Non pareva vi fosse alcun nesso tra la figura minuta in piedi laggiù sul podio, e la voce che rimbombava intorno a loro. I due investigatori si separarono e Andy si fece largo lentamente tra la folla.
«… noi non accetteremo una soluzione di ripiego, una condizione di seconda, di terza o di quarta categoria, com'è ora la nostra. E neppure ci accontenteremo di un angolino sudicio del focolare per potervi sonnecchiare e morire di fame. Il nostro gruppo è un elemento vitale, anzi, dirò di più, l'elemento vitale della popolazione, un capitale di anni d'esperienza, di scienza, di senno. Che City Hall, che Albany, che Washington facciano pure… Ma attenzione! Quando conteranno i voti si accorgeranno che…»
Ondate di parole si infrangevano sul capo di Andy, ma lui non vi badava. Si spingeva, con lo sguardo sempre vigile, fra gli anziani attenti, aprendosi un varco in quel mare di gengive sguarnite, di guance dal pelo bianco, di occhi lacrimosi. Non c'erano borsaioli in giro. Su questo punto il tenente si era sbagliato. I borsaioli sapevano che era inutile tentare di cavar qualcosa da una folla come questa. Tutti squattrinati, tutti. O se avevano un po' di soldi erano chiusi in una sacca cucita sulla canottiera, o qualcosa di simile.
Vi fu un movimento nella folla e due ragazzi attraversarono la calca ridendo fra di loro, facendosi lo sgambetto, cercando di farsi cadere a vicenda.
«Basta, ora,» disse Andy piantandosi davanti a loro. «Smettetela e uscite dal parco. Questo non è posto per voi.»
«E perché? Chi lo dice? Noi facciamo quel che ci pare.»
«Lo dice la legge,» ribatté Andy, e tirò fuori lo sfollagente con fare minaccioso. «Su, muovetevi.»
Voltarono le spalle senza una parola, facendosi strada attraverso la ressa, ed egli li seguì per pochi minuti, il tempo di assicurarsi che se n'erano andati. Ragazzi, pensò, mentre riponeva il tubo di plastica nella cintola; avranno sì e no dieci anni, ma bisogna tenerli d'occhio, stare attenti a non lasciarsi colpire perché se tu volti le spalle e quelli sono abbastanza numerosi per buttarti giù, ti tagliano a fette con schegge di vetro, come hanno fatto con quel povero Taylor.
Una specie di frenesia si era impadronita dei vecchi. Cominciavano a muoversi avanti e indietro e se l'altoparlante taceva per un attimo, si sentivano in distanza delle grida che provenivano da dietro il podio. Sembrava che ci fossero guai in vista e Andy si fece strada in quella direzione. La voce di Reeves improvvisamente cessò, le grida erano sempre più alte, e si sentiva anche il tipico rumore di vetri infranti. Un'altra voce tuonò nell'altoparlante.
«Vi parla la polizia. Chiedo a tutti di andarsene, di sgomberare l'area. Il raduno è terminato. Uscite dalla piazza, verso nord…»
Un rabbioso clamore sommerse la voce dello speaker, e gli Anziani si spinsero in avanti, come trasportati da un'onda di emozione. Gli urli morirono e le parole furono di nuovo comprensibili, era la voce di Reeves, l'oratore iniziale.
«Gente… Calma, calma… Vi chiedo di non perdere la testa. Non c'è da biasimarvi se vi siete inquietati; ma non si tratta affatto di quel che credete. Il capitano qui vicino a me, mi ha spiegato la situazione e, dal punto in cui sto, vedo che non dipende dal nostro raduno. C'è un po' di agitazione laggiù nella 14a Strada… NO! Non andate da quella parte! Rischiate di essere malmenati! C'è la polizia laggiù, e non vi lascerà passare. Vedo arrivare, dal centro, gli elicotteri, e la polizia, qui, mi dice che debbono intervenire con il filo spinato volante…»
Un gemito seguì le ultime parole dell'oratore e la folla rabbrividì. Il movimento disordinato si capovolse, e la massa cominciò a muoversi verso la città alta, uscendo da Union Square, dalla parte opposta alla 14a Strada. Quella folla di vecchi sapeva bene che cosa fosse il filo spinato volante.
Andy aveva oltrepassato il podio dell'oratore, e la folla si era diradata. Egli vedeva benissimo la turba che stipava la 14a Strada, e si mosse rapidamente in quella direzione. Sul bordo esterno del gruppo vi erano dei poliziotti che cercavano di mantenere uno spazio libero vicino al parco, e il più vicino di essi alzò il suo bastone gridandogli: «Indietro, giovanotto, o per te saranno guai.»
Assentì quando Andy gli mostrò il distintivo, poi gli volse le spalle.
«Che cosa succede?» chiese Andy.
«Sta scoppiando una vera sommossa e le cose peggioreranno ancora, prima di migliorare.» Tu! fatti indietro! «picchiò col bastone sul lato del marciapiede e un vecchio, calvo, con le grucce, si fermò, tentennò un secondo e poi tornò verso il parco.» C'è stata una vendita-lampo, da Klein. Sai com'è, improvvisamente mettono dei cartelli nelle vetrine e si liberano di merce che si vende alla svelta. L'hanno fatto altre volte senza che accadesse nulla. Ma stavolta avevano una partita di polpette di soylent (soia e lenticchie). «Alzò la voce per farsi sentire nonostante il frastuono dei due elicotteri bianchi e verdi che si avvicinavano.» Una citrulla se le è comprate, ma, appena svoltato l'angolo, si è imbattuta in un giornalista della televisione e gli ha spiattellato tutto. Ora la gente si sta riversando da tutte le parti e non credo che la polizia sia riuscita a bloccare nemmeno la metà delle strade. Ecco che vien giù il filo spinato per chiudere questo lato.
Andy appuntò il distintivo sul taschino della camicia e si unì ai poliziotti che spingevano la folla più che potevano. Nessuno protestava, tutti guardavano in su e rabbrividivano, allontanandosi dal rumore delle pale dell'elicottero e stipandosi come un gregge impaurito. Gli elicotteri scesero bassi e dal fondo dell'apparecchio caddero con un tonfo i rotoli arrugginiti di filo spinato, rimbalzando con tale forza da spaccare l'involucro che li conteneva.
Non si trattava di filo spinato ordinario. Il cavo aveva un'anima di filo d'acciaio indeformabile, un metallo speciale che si poteva attorcigliare, arrotolare o stendere, ma tornava sempre alla sua posizione iniziale, appena cessava la trazione o la spinta esercitata su di esso. Mentre il filo spinato ordinario sarebbe rimasto fermo ed ammucchiato lì dov'era caduto, quello invece cercava di riprendere la sua forma iniziale, e si muoveva ostinatamente come una belva cieca, appena lasciato libero, dipanandosi e distendendosi da solo lungo la strada. I poliziotti, con le mani coperte da spessi guantoni, afferravano le estremità del filo e lo guidavano nella direzione voluta per stendere una barriera nel mezzo della strada. Due rotoli di questo filo, nello scontrarsi, lottarono ciecamente fra di loro, avvinghiati, impennandosi e ricadendo, e ricominciando a lottare in una morsa stritolante. Quando l'ultima spira fini di graffiare con le sue staffilate il marciapiede, la strada era bloccata da un muro di filo spinato, alto un metro e largo altrettanto.
Ma non era finita. La gente continuava a irrompere dal sud, lungo le strade non ancora sbarrate. Era una situazione senza via d'uscita, una confusione fatta di urli, di lotte. Dell'altro filo spinato avrebbe senza dubbio fermato la ressa, ma occorreva dello spazio per lanciare i rotoli. La polizia era spinta avanti e indietro da quella fiumana e gli elicotteri al disopra della folla ronzavano come api impazzite.
Uno schianto fragoroso e improvviso fu seguito da strilli acuti. La pressione della calca aveva infranto una vetrina di Klein e sugli spuntoni di vetro veniva schiacciata della carne viva. Scaturirono gemiti di dolore e sangue. Andy si aprì con violenza una strada controcorrente verso la vetrina spaccata. Una donna con gli occhi sbarrati e il sangue che sgorgava da una ferita aperta sulla fronte gli cadde addosso, poi fu trascinata via. Andy era più vicino, ora, ma poteva appena muoversi. Al disopra degli urli della gente udì il fischietto acuto della polizia. C'era della gente che scavalcava la vetrina rotta, calpestava perfino i corpi sanguinanti dei feriti per afferrare le scatole che vi erano ammucchiate. Era il retro del reparto alimentari di Klein. Andy urlò mentre si avvicinava. Non udiva nemmeno la propria voce in quel frastuono. Tentò di afferrare un uomo con le braccia colme di pacchi, che si faceva strada a spintoni fuori della vetrina. Lui non riuscì a prenderlo, ma la gente si. L'uomo fu soffocato dalle mani avide, i pacchi strappati dalle sue mani.
«Fermi!» gridava Andy. «Fermi!» Ma non poteva fare niente. Si sentiva, come in certi incubi, legato, paralizzato. Un ragazzo cinese magrissimo, in pantaloni corti e camicia rattoppata, strisciò fuori della vetrina a poca distanza dalle dita di Andy. Stringeva sul petto una scatola bianca di polpette di soylent e Andy poté solo tentare di allungare il braccio e niente altro. Il ragazzo lo guardò, non vide nulla, volse lo sguardo altrove e piegandosi in due per nascondere il suo pacco, cominciò a strisciare a lato della folla, contro il muro, aprendosi una strada con il suo corpo esile. Poi furono visibili solo le gambe con i muscoli tesi come se lottasse contro una marea contraria, i piedi a metà fuori dei sandali risuolati con gomma da copertoni. Sparì e Andy lo dimenticò. Tentò di raggiungere la vetrina rotta e si affiancò al poliziotto dalla camicia a brandelli che lo aveva preceduto. Il poliziotto fece roteare il suo bastone sulle mani annaspanti e riuscì a liberare uno spazio. Andy fece altrettanto e colpì abilmente un saccheggiatore che tentava di fuggire passando fra loro due. Poi ne respinse il corpo dentro la vetrina, mentre i pacchi si sparpagliavano all'intorno. Le sirene cominciarono ad ululare e una schiuma bianca si alzò al disopra della folla mentre gli autocarri attrezzati cominciavano a farsi strada con i potenti getti dei loro idranti.
Billy Chung riuscì a far sparire il contenitore di plastica con le polpette di soylent sotto la camiciola. Bastava piegarsi in due che non lo si notava nemmeno. Poté muoversi ancora per un po'; poi la calca fu talmente densa che riparò contro il muro, respingendo la foresta di gambe che lo urtavano e che gli schiacciavano il viso contro il tiepido muro di mattoni. Non tentava neanche di muoversi. Un ginocchio lo colpì sul lato destro del capo e lo intontì quasi del tutto. La prima cosa di cui fu poi conscio fu un getto di acqua fredda sul dorso. Gli idranti per disperdere la folla erano arrivati. Una colonna d'acqua gli passò addosso inchiodandolo al muro e continuò la sua corsa. La spinta della folla era diminuita ora ed egli si rialzò, tremante, guardandosi intorno per vedere se nessuno avesse notato l'involto nascosto; no, nessuno lo aveva notato. Gli ultimi della turba, alcuni dei quali feriti e contusi, tutti ugualmente inzuppati, defluivano oltrepassando i lenti carri pompa. Billy si unì a quelli e voltò per Irving Place, dove c'era meno gente, guardando disperatamente in giro, in cerca di un luogo in cui nascondersi, di un buco dove avrebbe potuto rimanere solo qualche minuto, la cosa più difficile da trovare in quella città. La sommossa era terminata; da un momento all'altro qualcuno lo poteva notare e chiedersi che cosa avesse sotto la camicia e lui le avrebbe buscate di santa ragione. Quella non era la sua zona, non vi era neppure un cinese in quei paraggi, lo avrebbero individuato, lo avrebbero visto… Corse per un po', ma gli venne il fiato grosso e si accontentò di un passo veloce. Doveva pur esserci un posticino.
Ecco, trovato: riparazioni o qualcosa di simile, presso un caseggiato. Era un buco profondo, scavato fino alle fondamenta dell'edificio, con le tubazioni scoperte e una pozza d'acqua melmosa in fondo. Si sedette sull'orlo spaccato del marciapiede, appoggiandosi a una delle transenne che circondavano lo scavo, chinato in avanti, e si guardò rapidamente intorno. Nessuno gli badava, ma c'era un sacco di gente a poca distanza, che usciva dalle case o seduta sui gradini d'ingresso, che stava a guardare il passaggio della turba malconcia. Preceduto dal rumore dei suoi passi precipitosi un uomo arrivò di corsa lungo il centro della strada, con un grande pacco sotto il braccio, guardandosi ferocemente intorno, col pugno chiuso. Qualcuno gli fece uno sgambetto ed egli cadde urlando mentre le persone più vicine gli si gettavano addosso, afferrando i crackers sparsi in terra. Billy sorrise. Per il momento nessuno lo guardava, e scivolò oltre il bordo del marciapiede, lasciandosi cadere nel buco, con l'acqua melmosa che gli veniva alla caviglia. Era un buco scavato intorno a un grosso tubo di ghisa di trenta centimetri, tutto corroso. Formava una piccola cavità nella quale egli indietreggiò per nascondersi. Non era la perfezione ma poteva andare, anzi andava benissimo. Dall'alto si sarebbero veduti solo i piedi. Si sdraiò su un fianco, sulla terra fresca e strappò la chiusura della scatola.
Guarda un po', guarda un po', continuava a dire, e rideva perché si accorgeva di avere già l'acquolina in bocca. Dovette sputare la troppa saliva. Polpette di soia! Ve n'era una scatola piena. Belle. Grandi un palmo. Ne addentò una, si strozzò, cercò d'ingoiarla, spingendo le briciole in bocca con le dita sporche, finché la bocca fu tanto piena da non poter deglutire. Masticava con delizia quella materia soffice. Da quanto tempo non mangiava roba così buona?
Billy inghiottì tre di quelle polpette facendo di tanto in tanto una pausa fra un morso e l'altro, cacciando fuori la testa con cautela, respingendo sulle tempie i capelli neri e lisci che gli coprivano gli occhi quando guardava in su. Nessuno l'aveva visto. Estrasse altre polpette dalla scatola, masticandole ora più lentamente, e si fermò soltanto quando sentì che il suo stomaco era gonfio all'inverosimile e brontolava per l'insolita condizione di sazietà. Mentre si leccava le ultime briciole di soia dalle mani, abbozzò il suo piano e già si pentiva di aver mangiato tante di quelle polpette. Erano buona merce di scambio. Erano soldi, e i soldi erano proprio ciò di cui aveva bisogno. Quelle polpette erano roba preziosa, avrebbe potuto saziarsi altrettanto con i crackers di alghe. Maledizione! La scatola di plastica bianca era troppo vistosa se la trasportava apertamente, troppo voluminosa per nasconderla sotto la camicia. Bisognava avviluppare le polpette in qualche cosa. Forse il suo fazzoletto. Lo estrasse dalla tasca, uno straccio sporco e sgualcito ritagliato in un vecchio lenzuolo, e vi impacchettò le ultime dieci polpette, annodando gli angoli affinché non cadessero. Quando se lo infilò sotto la cintura, vide che il gonfiore non si notava molto, sebbene il pacco poggiasse sgradevolmente sulla sua pancia piena. Poteva andare.
«Bimbo, che facevi in quel buco?» disse una delle donne sedute sui gradini quando Billy riemerse sul marciapiede.
«Crepa!» gridò mentre correva verso l'angolo della strada, seguito dalle urla delle arpie. Bambino! Aveva già diciott'anni. Anche se non era tanto alto, non era più un bambino. Quelle lì, credevano di essere padrone del mondo.
Fino a Park Avenue mantenne un passo svelto, non voleva farsi intercettare da nessuna delle ghenghe locali. Poi scese nella città bassa unendosi al lento procedere del traffico, finché raggiunse Madison Square e il suo mercato delle pulci.
Affollato, torrido, rombante di voci che martellavano gli orecchi e ributtante per i suoi cattivi odori di vecchio sudiciume, di polvere, di umanità stipata, era un lento, mobile maelstrom di gente in transito, che si fermava alle bancarelle per sfiorare col dito gli abiti usati, le stoviglie sbrecciate, gli ornamenti senza valore; che contrattava il prezzo di piccoli pesci tilapia già morti, dalla bocca spalancata, dagli occhi tondi e stralunati. Gli imbonitori vantavano le qualità delle loro merci scadenti e la gente passava, facendo largo a due poliziotti dallo sguardo duro che camminavano fianco a fianco, guardando, vedendo ogni cosa, ma senza mai scostarsi dal viale principale che tagliava la piazza in due parti e portava alla tendopoli eretta molti anni prima, “a titolo provvisorio”, con materiale residuato dell'esercito, mare di grigiore e di sporcizia.
La polizia evitava i sentieri che si inoltravano nella giungla dei carrettini a mano, delle bancarelle e dei tendoni che stipavano la piazza, mercato universale dove si poteva acquistare qualsiasi cosa, vendere qualsiasi cosa. Billy inciampò in un mendicante cieco che si era disteso per traverso fra una panca di cemento e l'instabile bancarella di un venditore d'alghe e si inoltrò nel mercato. Lui guardava la gente, non la roba da vendere e finalmente si fermò davanti a un carretto colmo di vecchi contenitori, brocche, piatti e ciotole di plastica, dal colore un tempo vivace ora scalfito o reso grigio dal tempo.
«Via le mani!» Il bastoncino picchiò sui bordi del carretto e Bill si tirò indietro.
«Io non tocco la vostra roba,» si lamentò.
«Fila, se non vuoi comperare,» disse l'uomo, un orientale dalle guance rugose e dai capelli bianchi e radi.
«Io non compero, vendo.» Billy si chinò vicino al vecchio in modo che soltanto lui potesse sentire e gli sussurrò:
«Volete delle polpette di soia e lenticchie?»
Il vecchio lo guardò di traverso.
«Refurtiva, scommetto,» disse senza entusiasmo.
«Andiamo! Le volete o no?»
Non ci fu ironia nel sorriso fugace di quell'uomo. «Naturalmente le voglio. Quante ne hai?»
«Dieci.»
«Un dollaro e mezzo l'una. Quindici D.»
«Un corno! Me le mangio io piuttosto. Trenta D tutto.»
«Non ti lasciare prendere dall'avidità, giovanotto, sappiamo entrambi quanto valgono. Venti dollari tutto e basta.» Tirò fuori due logori biglietti da dieci dollari e li tenne piegati fra le dita. «Fammi vedere cos'hai.»
Billy porse il fazzoletto rigonfio e l'uomo lo tenne sotto il carretto per guardarci dentro. «Va bene,» disse e, sempre sotto il carretto, le versò in un pezzo di carta tutto sgualcito e restituì a Billy il fazzoletto. «Questo non lo voglio.»
«I soldi, ora.»
L'uomo glieli consegnò lentamente, sorridendo, ora che la transazione era terminata. «Non vieni mai al Club di Mott Street?»
«Volete scherzare?» Billy afferrò il denaro e l'uomo lasciò la presa.
«Dovresti venire. Sei cinese, quelle polpette le hai portate a me perché sono cinese e perché sapevi di poterti fidare. Ciò dimostra che sai ragionare.»
«Ah! sentite! chiudete il becco, nonno.» Si batté il petto con il dito pollice. «Io sono di Formosa e mio padre era un generale. E di una cosa sono certo, di non avere nulla da spartire con voialtri cinesi comunisti della città bassa.»
«Pezzo di cretino…» Alzò il bastone, ma Bill era già scappato.
Le cose ora stavano per cambiare. Sicuro! Non faceva caso nemmeno al caldo. Mentre avanzava meccanicamente attraverso la folla in movimento, pensava al suo futuro e stringeva il denaro nella mano affondata nella tasca. Venti dollari erano più di quanto avesse mai posseduto in una sola volta da quando era al mondo. La maggior somma che fosse riuscito a racimolare, prima d'oggi, erano tre dollari e ottanta centesimi, somma che aveva pizzicato da un alloggio di fronte al suo nel corridoio, una volta che si erano dimenticati di chiudere la finestra. Era difficile mettere mano sui contanti, e i contanti erano la sola cosa che importasse. A casa sua non se ne vedevano mai. La tessera della Previdenza suppliva a tutto, a tutto ciò che permetteva di sopravvivere quel tanto che bastava a odiare la vita. Occorrevano soldi per andare avanti. E ora ne aveva. Era tanto tempo che pensava a quel momento.
Entrò in un'agenzia del telegrafo Western Union. Era l'agenzia di Chelsea, situata nella Nona Avenue. La ragazza dal viso smunto dietro il bancone alzò gli occhi e guardò oltre Billy, oltre la porta spalancata, posandosi sul traffico ondeggiante della strada illuminata dal sole. Si asciugò qualche goccia di sudore sulle labbra con un fazzoletto sgualcito che strofinò poi sotto il mento. Gli operatori del telegrafo chini sui loro tavoli non alzarono gli occhi. Il posto era tranquillo e si sentiva solo il rumore della città come un ronzio che entrava dalla porta aperta, o l'improvviso scatto delle telescriventi che si mettevano a trasmettere. Su una panca lungo la parete sedevano sei ragazzi che contemplavano Billy con uno sguardo pieno di curiosità ma pronta a tramutarsi in odio. Mentre si dirigeva verso l'addetto al recapito dei telegrammi, sentì che quei ragazzi strisciavano i piedi sul pavimento e facevano scricchiolare la panca. Si sforzò di non voltarsi a guardarli, mentre aspettava con simulata pazienza che l'impiegato lo notasse.
«Che vuoi, ragazzo?» disse infine il telegrafista, alzando lo sguardo e parlando con le labbra strette, come se gli spiacesse dar via qualcosa, perfino le parole. Era un uomo sui cinquant'anni, stanco, accaldato, che guardava con rabbia un mondo che pareva avergli promesso di più.
«Non avete bisogno di un fattorino, signore?»
«Vattene, abbiamo già troppi ragazzi.»
«Io avrei bisogno di lavorare, signore, lavorerei in qualsiasi momento vi occorresse. Ho i soldi per la cauzione.» Tirò fuori uno dei due biglietti da dieci dollari e lo spiegò sul banco. Lo sguardo dell'uomo vi si posò rapido e poi vagò lontano. «Abbiamo già troppi ragazzi.»
La panca scricchiolò e dei passi si avvicinarono dietro Billy; uno dei ragazzi parlò, con la voce piena di rabbia contenuta.
«Questo cinesino vi dà fastidio, signor Burgger?»
Billy ricacciò i soldi in tasca e li tenne stretti.
«Torna a sederti, Roles,» disse l'uomo. «Il regolamento lo conosci, riguardo alle liti.»
Guardò minaccioso i due ragazzi e Billy indovinò qual era la regola e sapeva che non gli sarebbe riuscito di lavorare se non prendeva subito una decisione.
«Grazie per avermi permesso di parlarvi, signor Burgger,» disse con aria innocente mentre cercava dietro di sé col tallone il piede del ragazzo e lo schiacciava con tutto il suo peso prima di voltarsi e uscire. «Non vi importunerò oltre.»
Il ragazzo urlò e Billy sentì in quell'istante un dolore atroce nell'orecchio. L'altro gli aveva appioppato un pugno e l'aveva preso in pieno. Vacillò, si mostrò sorpreso, ma non cercò di difendersi.
«Benissimo, Roles,» disse il signor Burgger con disgusto. «Qui hai finito di lavorare. Sparisci.»
«Ma, signor Burgger,» piagnucolò, infelice, «voi non sapete che questo cinese…»
«Fuori!» Il signor Burgger si alzò a mezzo, ansante, l'indice puntato sul ragazzo. «Fuori!»
Billy si mise da un lato, inosservato e dimenticato per il momento, furbo abbastanza per non sorridere. Il ragazzo fu finalmente convinto che non poteva fare più nulla e uscì, dopo aver gettato un'occhiata velenosa a Billy, mentre il signor Burgger scarabocchiava qualcosa su una lavagnetta.
«E va bene, ragazzo. A quanto pare hai trovato un lavoro. Come ti chiami?»
«Billy Chung.»
«Noi paghiamo cinquanta cents per ogni telegramma recapitato.» Si alzò e andò al banco, tenendo la lavagnetta in mano. «Tu esci a consegnare un telegramma e lasci dieci dollari di deposito. Quando riporti la tavoletta ti riprendi i dieci dollari più cinquanta cents. Chiaro?»
Pose la tavoletta sul bancone fra loro due continuando a guardarla. Billy vi lanciò un'occhiata e vide scritte col gesso le parole: quindici cents a me.
«Per me va bene, signor Burgger.»
«D'accordo.» Col polso cancellò la scritta. «Vai sulla panca, non far rumore, non litigare, non provocare guai, o farai la fine di Roles.»
Quando sedette, i ragazzi lo guardarono sospettosi, ma tacquero.
Dopo alcuni minuti un ragazzino molto scuro, ancora più basso di lui, si chinò e gli mormorò: «Quanto ti ha chiesto, di tangente?»
«Che vuoi dire?»
«Non fare il tonto, o glieli molli o non lavori qui.»
«Quindici.»
«L'avevo detto che ci sarebbe arrivato,» sussurrò ferocemente un altro ragazzo. «L'avevo detto che non si sarebbe accontentato di dieci cents…» Tacque improvvisamente quando l'impiegato guardò nella loro direzione.
Dopodiché la giornata si dipanò con calda regolarità e Bill fu lieto di rimanere seduto a far niente. Alcuni dei ragazzi recapitarono telegrammi, ma lui non fu mai chiamato. Le polpette di soia e lenticchie gli stavano come piombo sullo stomaco, e per due volte dovette recarsi al gabinetto scuro e puzzolente situato dietro l'edificio. Fuori, per la strada, le ombre si allungavano, ma vi era sempre nell'aria la stessa afa degli ultimi dieci giorni. Poco dopo le sei, altri tre ragazzi entrarono e si sedettero sulla panca già tutta occupata. Il signor Burgger guardò il gruppetto con l'aria ostile che non lo abbandonava mai.
«Alcuni di voi spariscano subito.»
Billy ne aveva avuto abbastanza per il primo giorno ed uscì. Le sue ginocchia si erano indurite a furia di stare seduto, e le polpette erano scese a sufficienza per permettergli di pensare alla cena. Accidenti, si disse con una smorfia, lo sapeva già cosa ci sarebbe stato a cena. La stessa cosa della sera prima, dell'anno prima. Sulla riva soffiava una leggera brezza che veniva dal fiume. Billy camminò lentamente lungo la Dodicesima Avenue, e sentì fresco sulle braccia. Dietro i capannoni, mentre non vi era nessuno in vista, sfilò uno dei fermagli di ferro che mantenevano a posto la suola dei suoi sandali e introdusse i suoi biglietti da dieci dollari nella spaccatura. Quei soldi erano suoi e soltanto suoi. Serrò il fermaglio e salì la scaletta che portava alla nave Waverly Brown, ancorata alla banchina n. 62.
Non si vedeva il fiume. Legate insieme da vecchie gomene e da catene coperte da incrostazioni marine, le lunghe file di vecchie navi Victory e Liberty componevano un paesaggio rugginoso ed ostile, fatto di superstrutture antiquate, di sartie dove era appesa la biancheria, di rinforzi, di tubi, di antenne e di fumaioli. Di là da queste navi vi era la singola banchina dell'incompiuto ponte Wagner. Billy non si sentiva spaesato, perché era nato lì dentro, dopo che la sua famiglia e gli altri profughi di Formosa si erano sistemati in questi alloggi provvisori, affrettatamente rimediati, sulle navi poste in disarmo sin dalla fine della seconda guerra mondiale, navi abbandonate alla ruggine e che nessuno reclamava, dimenticate ai loro ormeggi di Stony Point, sul fiume Hudson. Non si era trovato altro posto per accogliere il flusso dei nuovi arrivati e in quel momento era sembrato che le navi in disarmo fossero una trovata brillante, in attesa di qualcosa di meglio. Ma era stato difficile provvedere a un'altra sistemazione e man mano si erano aggiunte altre navi alle prime. La flotta rugginosa e coperta di alghe era diventata parte integrale della città, al punto che tutti credevano fosse sempre stata lì.
Ponti e passerelle collegavano le navi affiancate e di quando in quando si scorgeva anche l'acqua fra l'una e l'altra, con i suoi mucchi di immondizie galleggianti e puzzolenti. Billy proseguì fino al Columbia Victory e scese, lungo una passerella, fino all'appartamento n. 107.
«Era ora che ti facessi vedere,» disse Anna, sua sorella. «Abbiamo già finito di mangiare. Per fortuna ti ho tenuto qualcosa da parte. Prese il piatto di Billy da uno scaffale alto e lo mise sul tavolo. Aveva solamente trentasette anni, ma i capelli tutti bianchi, la schiena ormai piegata in due. Le sue speranze di lasciare un giorno la famiglia e la città galleggiante erano svanite da un pezzo. Di tutti i figli Chung, lei era la sola nata a Formosa; ma al tempo della fuga era così piccola, che i suoi ricordi dell'isola erano imprecisi e parevano piuttosto il riflesso di un piacevole sogno.»
Billy lanciò un'occhiata alle fette molli di polenta d'avena, ai crackers marrone, e si sentì chiudere lo stomaco: il ricordo delle polpette, ancora vivo, gli toglieva la voglia di questo pasto. «Non ho fame,» le disse, respingendo il piatto.
Sua madre aveva visto il gesto e distolse lo sguardo dal televisore, dandosi finalmente la pena di notarlo per la prima volta da quando era entrato.
«Che hai da dire, sul cibo? Perché non mangi? È roba buona.» La sua voce era sottile ed acuta, con una leggera raucedine resa più evidente dal parlare modulato dei cantonesi. Non aveva mai fatto la fatica di imparare più di due o tre parole d'inglese, e in famiglia quella lingua non si usava.
«Non ho fame.» Cercava una giustificazione soddisfacente. «Oggi fa troppo caldo, ecco. Mangialo tu.»
«Io non toglierò mai il cibo di bocca ai miei figli. Se non lo vuoi tu, lo vorranno i gemelli.» Parlava continuando a guardare lo schermo della TV, e il rombo delle voci amplificate dall'altoparlante quasi copriva la sua voce, rimbalzando sugli urli dei gemelli di sette anni che litigavano in un angolo per un giocattolo. «Be', da' qui, ne assaggerò un pochino. Tutto il mio cibo lo do ai ragazzi.» Si mise in bocca un cracker e cominciò a masticare con la rapidità di un roditore. Era poco probabile che i gemelli riuscissero a carpirgliene un po', perché la vecchia era una specialista nell'arraffare le briciole, i resti, gli avanzi d'ogni genere e la sua figura tutta tonda lo dimostrava abbastanza. Prese dal piatto un secondo cracker senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
Il caldo e la nausea che Billy provava ancora gli chiudevano lo stomaco. All'improvviso avvertì la mancanza di spazio della cabina dalle paratie di acciaio, le voci piagnucolose dei fratellini, il parlare rauco della TV, l'acciottolio prodotto da sua sorella sparecchiando. Andò nell'altro locale, l'unico altro locale che possedevano e chiuse dietro di sé la pesante porta metallica. Quel locale era stato un tempo una specie di ripostiglio. Era un quadrato con meno di due metri di lato e il letto, sul quale sua madre e sua sorella dormivano, lo riempiva quasi tutto. Una finestra era stata tagliata nel fasciame della nave, una semplice apertura rettangolare; i segni, vecchi di trent'anni, del taglio a fiamma erano ancora chiaramente visibili tutt'intorno. D'inverno vi si imbullonava sopra un portello per coprirla, ma per ora, Billy poteva lasciare pendere fuori le braccia e guardare laggiù, molto lontano oltre le navi affiancate, i fari della costa del New Jersey. Era quasi notte, eppure l'aria sul suo viso era più calda di quanto fosse mai stata durante il giorno.
Quando i bordi frastagliati del metallo cominciarono a penetrargli nelle braccia, rientrò e si andò a lavare nella bacinella di acqua salmastra sistemata dietro la porta. Non v'era molta acqua, ma si strofinò la faccia e la bocca, lisciò i suoi capelli all'indietro meglio che poté, mirandosi nel piccolo specchio appeso alla parete, poi si volse rapidamente tirandosi gli angoli della bocca verso il basso. Il suo viso era così tondo e giovane che, quando si distendeva, la bocca aveva sempre una leggera curva rialzata e pareva che sorridesse. Ciò non corrispondeva ai suoi sentimenti. Il viso ingannava sulla persona. Con l'ultima acqua rimasta si fregò le gambe nude e tolse, in buona parte, il fango e la sporcizia; almeno ora si sentiva più fresco. Andò a stendersi sul letto e guardò la fotografia di suo padre appesa al muro, unico ornamento di quella stanza. Capitano Chung Pei-fu, dell'Esercito del Kuomintang. Un militare di carriera che aveva dedicato la vita alla guerra e non aveva mai combattuto una battaglia. Nato nel 1940, era cresciuto a Formosa ed era stato uno dei soldati della seconda generazione di Ciang Kai Chek, esercito che era invecchiato marcando il passo. Quando il generale si era improvvisamente spento all'età di 84 anni, il capitano Chung non aveva preso parte alla congiura di palazzo che aveva finito per portare il generale Kung al potere. Quando poi vi era stata l'invasione del territorio, egli era in ospedale, colpito da malaria ed era rimasto lì durante i sette giorni cruenti. Era stato fra i primi ad essere trasferito per via aerea dopo la caduta dell'isola, prima ancora della sua stessa famiglia. In quella fotografia aveva un cipiglio fiero e militare, e non l'espressione infelice che Billy gli aveva sempre visto. Si era ucciso il giorno della nascita dei gemelli.
Come un ricordo che svanisce, la fotografia usci dalla sua vista con l'incombere dell'oscurità, poi riapparì nella debole luce di una lampadina che aveva momenti più o meno intensi di luce secondo i capricci della corrente elettrica. Billy guardava la luce che s'indeboliva sempre più, finché solo il filamento rosso fu visibile, poi si spense. Toglievano la luce più presto, quella sera, o c'era ancora un guasto. Billy era sdraiato nell'oscurità soffocante, sentiva il letto diventare caldo e fradicio sotto la schiena. Le pareti di quella scatola d'acciaio sembravano stringerlo sempre di più. Venne il momento in cui non lo poté più sopportare. Le sue dita umide cercarono a tentoni la porta, trovarono la maniglia. Ma nell'altra stanza le cose non andavano meglio, anzi, forse peggio. Lo sfarfallio verdastro della TV si rifletteva sul viso di sua madre, di sua sorella e dei suoi fratelli, trasformando i loro visi, con la bocca aperta e gli occhi spalancati, in volti di annegati. Nell'altoparlante si udì il tambureggiare ritmato di zoccoli che galoppavano e il crepitio di una sparatoria senza fine. Sua madre schiacciava ritmicamente il manico del vecchio generatore meccanico di corrente, che era stato innestato sull'apparecchio in modo da poterlo usare subito quando mancava la corrente di città. Notò suo figlio che si avvicinava e gli passò il manico del generatore, sempre contraendolo meccanicamente con la mano.
«Questo, ora, lo fai funzionare tu, io ho la mano stanca.»
«Io esco, dallo ad Anna.»
«Tu fai ciò che ti dico,» strillò. «Tu mi ubbidisci. Un ragazzo deve ubbidire a sua madre.» Era così arrabbiata che si dimenticò di premere sul generatore e lo schermo si oscurò. I gemelli si misero a gridare subito, mentre Anna li chiamava per tranquillizzarli, aumentando la confusione generale. Billy non uscì: fuggì dalla stanza, e non si fermò finché non fu in coperta, col fiato grosso, e grondando di sudore. Non c'era niente da fare, né dove andare. La città premeva intorno a lui e ogni suo metro quadrato era uguale a quello che aveva appena lasciato, pieno di gente, di bambini, di rumore, di caldo. Guardò oltre la ringhiera, nell'oscurità, ma non vide nulla.
Meccanicamente, quasi senza avvedersi di ciò che faceva, Bill attraversò il labirinto nero delle navi sino alla riva, poi si affrettò verso le luci largamente intervallate della 23a Strada: era pericoloso rimanere nell'oscurità notturna della città. Forse valeva la pena di dare un'occhiata alla Western Union, o era meglio non tornare così presto ad importunarli? Voltò per la Nona Avenue, guardò l'insegna blu e gialla del telegrafo, mordendosi il labbro, perplesso. Un ragazzo usci correndo con un messaggio sotto il braccio, lasciando quindi il posto ad un altro fattorino. Era opportuno entrare.
Quando fu sotto l'arco della porta, il suo cuore si mise a battere rapidamente: la panca dei fattorini era vuota. Il signor Burgger alzò gli occhi dalla scrivania, con lo stesso viso collerico del pomeriggio.
«Hai fatto bene a deciderti di tornare, altrimenti era inutile ti scomodassi domani. Tutto è in moto questa notte, non capisco perché. Recapitami questo.» Finì di scarabocchiare un indirizzo sul coperchio, poi infilò la linguetta gommata nell'apposito taglio delle tavolette a cerniera, la leccò, e le sigillò con quella. «Pronta cassa,» disse buttando la lavagnetta sul ripiano.
Il fermaglio metallico non si voleva sciogliere e Billy si ruppe un'unghia per tirare fuori i soldi dalla scarpa, srotolare uno dei biglietti, aprirlo e farlo scivolare sul legno scalfito del banco. Tenne stretto l'altro biglietto insieme con il telegramma e si affrettò ad uscire, fermandosi con la schiena al muro appena non fu più in vista dell'ufficio. L'insegna luminosa dava abbastanza luce per permettergli di leggere l'indirizzo.
Sapeva dove si trovava quella casa, e sebbene fosse passato un infinito numero di volte davanti a quell'edificio, non era mai entrato in quella specie di bastione pieno di appartamenti di lusso, costruito nel 1976 dopo che uno spettacoloso gioco di corruzione aveva permesso al comune di lottizzare ed appaltare Chelsea Park per costruirvi abitazioni private. Vi erano muri di cinta, terrazze, torrette in stile neo-feudale. L'aspetto corrispondeva alla funzione, che consisteva nel tenere lontana la massa il più possibile. Sulla facciata posteriore vi era l'ingresso di servizio, male illuminato da una lampadina racchiusa in una nicchia e protetta da una grata. Billy premette il bottone visibile sotto di essa.
«Questo ingresso è chiuso fino alle zero-cinque-zero-zero,» disse una voce registrata e Bill si premette la tavoletta sul petto con uno spasimo improvviso di paura. Ora gli toccava girare intorno al caseggiato, presentarsi alla porta tutta illuminata, al portiere, alla gente che vi sarebbe stata. Si guardò le gambe e cercò di strofinare alcune macchie, le più vecchie. Ora si sentiva più pulito, ma non poteva far nulla per i vestiti stracciati o rattoppati. Generalmente non badava a queste deficienze perché tutti quelli che incontrava erano vestiti alla stessa maniera. Ma qui era diverso, e lui lo sapeva. Non voleva trovarsi di fronte alla gente di questo palazzo, si pentiva di aver fatto tanto per ottenere quel posto e voltò l'angolo dirigendosi verso la porta d'entrata ben illuminata.
Un fossato, che teoricamente avrebbe dovuto contenere acqua ed era invece asciutto, era diventato un ricettacolo di immondizie. Lo varcava una passerella fissa, camuffata da ponte levatoio, con tanto di catene arrugginite, e con una saracinesca abbassata, fatta di sbarre di ferro appuntite poste su uno sfondo di vetro spesso. Camminare su quel ponticello molto illuminato era come buttarsi nelle fauci del lupo. La poderosa figura del portiere si stagliava dietro le sbarre, con le mani incrociate dietro la schiena. Costui non si mosse neanche quando Billy si fermò, a pochi centimetri, di là dalla vetrata guarnita di sbarre, continuò a fissarlo freddamente senza mutare espressione. La porta non si aprì. Billy, non azzardandosi ad aprire bocca, alzò la tavoletta in modo da far vedere il nome sul coperchio. Gli occhi del portiere vi si fissarono un secondo e con riluttanza toccò una delle spirali decorative dei fioroni. Una sezione scorrevole della vetrata guarnita di sbarre scivolò di fianco con il fruscio leggero di un sospiro.
«Ho qui un messaggio…» Billy era penosamente consapevole della incertezza, del timore che la sua voce tradiva.
«Newton, ingresso,» disse il portiere, e col pollice fece cenno a Billy di entrare.
Una porta si aprì sul lato opposto dell'atrio e si udirono per un attimo delle risate maschili, che si spensero di colpo quando l'uomo che era uscito chiuse la porta dietro di sé. Indossava una divisa simile a quella del portiere, nera con bottoni dorati, ma aveva solo una treccia di cordoncino rosso su ogni spalla, anziché gli alamari risplendenti dell'altro.
«Che cosa c'è, Charlie?» chiese.
«Un ragazzo con un telegramma. Non l'ho mai visto prima.» Charlie voltò le spalle e riprese la sua posizione di cane da guardia davanti alla porta. Il suo compito era terminato.
«Il messaggio è autentico,» disse Newton, strappando la tavoletta dalle mani di Billy prima che questi se ne rendesse conto, e passando il dito sulla scritta in rilievo della Western Union. La restituì a Billy e, quando questi l'ebbe ripresa, gli fece scorrere rapidamente le mani sulla camicia, sui calzoncini, sotto le ascelle e fra le gambe di Billy.
«È pulito!» gridò, poi scoppiò a ridere, «solo che ora mi dovrò lavare le mani.»
«Va bene, ragazzo,» disse il portiere senza muoversi, voltando sempre le spalle a Billy. «Portalo su e torna qui svelto.»
Anche il guardiano aveva voltato le spalle e se n'era andato lasciando Billy solo nel centro dell'atrio, in mezzo a un grande tappeto multicolore, senza dirgli una parola, senza indicargli da che parte dirigersi. Voleva chiedere, informarsi, ma l'istintiva superiorità di quegli uomini l'aveva disarmato e umiliato a tal punto che l'unica cosa che desiderasse ora, era un angolo per nascondersi. Una specie di sibilo sommesso, all'altra estremità del locale, attirò la sua attenzione ed egli vide aprirsi la porta di un ascensore in mezzo a qualcosa che aveva preso per un gigantesco organo di chiesa. Il lift lo guardò e Billy si fece avanti, tenendo il messaggio davanti a sé come uno scudo di protezione contro l'ostilità dell'ambiente.
«Ho qui un messaggio per O'Brien.» La sua voce tremò, quasi spezzandosi. Il lift, un ragazzo non più vecchio di lui, fece una risatina di scherno. Era giovane ma cercava di assumere l'atteggiamento e i modi richiesti dalle sue mansioni.
«O'Brien? 41-E, che significa 5° piano, nel caso che tu non sappia cosa sia una casa d'abitazione.» Rimase fermo bloccando l'entrata dell'ascensore, e Billy non sapeva che cosa fare.
«Posso… voglio dire, l'ascensore…»
«Non vorrai portare questa tua puzza nell'ascensore degli inquilini? Le scale sono là, in fondo…»
Billy senti che lo sguardo irritato del lift lo seguiva mentre attraversava l'atrio e un po' di quella rabbia contagiò anche lui. Ma perché si comportavano così? Lavorare in un posto come quello non significava abitarvi. Sarebbe stato ridicolo, figurarsi, quegli uomini abitare in un posto come quello! Anche quel sederone del portiere! Cinque piani: aveva il fiato grosso prima di arrivare al secondo e quando giunse al quinto dovette fermarsi per asciugarsi il sudore. Il corridoio si estendeva nelle due direzioni, e delle porte profonde si aprivano su di esso. Qua e là un'armatura antica pareva montasse la guardia al vuoto di quel lungo spazio. La pelle gli prudeva per il sudore, l'aria era calda, soffocante. Scelse la direzione sbagliata, e quando si accorse che i numeri decrescevano, tornò indietro. Il numero 41-E era, come tutti gli altri, senza campanello né battente, con il nome O'Brien scritto in lettere dorate. Toccò la porta e questa si aprì. Data un'occhiata all'interno per precauzione, egli entrò in una piccola camera oscura, rivestita di legno, con un'altra porta davanti a lui. Era una specie dì prigione medioevale. Fu preso dal panico quando la prima porta si chiuse dietro di lui e una voce incorporea risuonò lì dentro, come se l'aria sola l'avesse prodotta.
«Che cosa volete?»
«C'è un telegramma. Western Union,» disse, e si guardò intorno. Il locale era vuoto. Di dove veniva, la voce?
«Fammi vedere la lavagna.»
In quel momento capì che la voce usciva da una grata posta in alto, sulla porta interna, vicino alla lente di una telecamera. Alzò il messaggio all'altezza dell'obbiettivo. Lo sconosciuto, evidentemente, ne fu persuaso, poiché si udì uno scatto che interrompeva il circuito TV e subito dopo la porta si aprì davanti a lui, lasciando al tempo stesso uscire un soffio d'aria gelata.
«Dammi qua,» disse Michael O'Brien, e Billy gli porse la lavagna e attese mentre l'uomo rompeva il sigillo con il pollice e apriva le due metà pieghevoli.
Sebbene più vicino ai sessanta che ai cinquanta, con i capelli d'un grigio ferro, una pancia impressionante e una doppia fila di gioielli, O'Brien portava ancora i segni di una gioventù trascorsa sulla banchine del West Side: cicatrici sulle mani e su un lato del collo, e un naso rotto che non era mai stato aggiustato correttamente. Nel 1966, come diceva quando raccontava la sua storia, era un mascalzoncello di ventidue anni, con nient'altro in testa che donne e liquori. Passava un paio di giorni al porto, ogni settimana, facendo lo scaricatore, per potersi pagare la festa; ma un bel giorno era stato coinvolto in una rissa sanguinosa allo “Shamrock Bar and Grill”, e la sua vita era mutata. Durante la sua convalescenza al San Vincenzo (il naso era guarito presto, ma egli si era fratturato il cranio cadendo sul pavimento), aveva meditato seriamente sulla sua esistenza e deciso di farne qualcosa. Che cosa? Egli non lo diceva nel raccontare la sua vita; ma si sapeva che si era occupato di politica locale, di smaltire merce di contrabbando o rubata in banchina, e di molte altre cose alle quali era meglio non alludere in sua presenza. In ogni caso, i nuovi affari rendevano meglio del mestiere di stivatore e non si era mai pentito di aver imboccato quella strada. Alto un metro e novanta, impaludato in un'immensa vestaglia variopinta, come un elefante da circo, doveva, a rigor di logica, sembrare ridicolo. Invece, no. Aveva visto troppo, fatto troppo, era troppo sicuro del suo potere perché si potesse mai ridere di lui… anche se ora muoveva le labbra e contraeva la fronte nello sforzo di decifrare, parola per parola, il suo telegramma.
«Aspettami qui, voglio fare una copia di questo telegramma,» disse, arrivato alla fine. Billy assentì, felice di aspettare quanto più a lungo possibile nell'aria fresca di un'anticamera riccamente arredata. «Shirl! dove diavolo è il blocco?» gridò O'Brien.
Un borbottio arrivò dalla porta di sinistra. O'Brien aprì ed entrò in quella camera. Gli occhi di Billy lo seguirono istintivamente attraverso l'arco illuminato della porta sino al letto dalle bianche lenzuola dove era distesa una donna.
Voltava la schiena, era nuda, aveva i capelli rossi sparsi sul guanciale, la pelle di un rosa pallido con una manciata di efelidi sulle spalle. Billy si immobilizzò, col fiato mozzo. La ragazza era vicina, forse a tre metri da lui. La donna incrociò una gamba sull'altra accentuando la rotondità dei glutei. O'Brien le parlava; ma le parole giungevano a Billy come suoni senza significato. Poi lei si voltò sul letto verso la porta aperta, e lo vide.
Billy non poteva far nulla, non poteva muoversi, né voltare gli occhi da un'altra parte. Lei vide che lui la guardava, gli sorrise, stese il braccio verso la porta per chiuderla, i suoi seni si alzarono, pieni e tondi, con le punte rosa. E la porta si richiuse. Lei sparì dalla sua vista.
Quando O'Brien riaprì la porta e uscì, lei non era più sul letto.
«Nessuna risposta?» chiese Billy mentre riprendeva la lavagna. Chissà se la sua voce sembrava strana a quell'uomo come sembrava strana a lui.
«Nessuna risposta,» disse O'Brien, aprendo la porta dell'anticamera. Il tempo in quel momento parve rallentare la sua corsa per Billy. Vide chiaramente la porta che si apriva, la linguetta lucida del palettino della serratura, la piastra di metallo sul muro con i fili che pendevano. Perché lo colpivano questi dettagli?
«E non mi date una mancia, signore?» chiese per prolungare l'attesa un attimo di più.
«Fila, prima che ti prenda a calci.»
Billy si ritrovò nel corridoio e il caldo lo colpì con raddoppiata violenza, dopo l'aria fredda dell'appartamento; premeva sulla sua pelle, unendosi e aggiungendosi al calore che aveva invaso la parte bassa del suo corpo. Provava la stessa sensazione che aveva provato la prima volta che si era avvicinato ad una ragazza. Appoggiò la testa contro il muro. Neanche nei film aveva mai veduto una donna come quella e le ragazze che aveva avuto, le aveva appena intraviste nella penombra, e talvolta neppure tanto. Gambe e braccia magre, pelli grigie, sporche come la sua, biancheria stracciata…
Naturalmente. Una sola serratura sulla porta interna, protetta da un segnale antiscasso sopra di essa. Ma l'antiscasso era staccato, aveva visto i fili che pendevano. Egli aveva sentito parlare di queste cose quando Sam-Sam era il Capo delle Tigri. Quella banda aveva fatto un paio di rapine nei negozi, prima che Sam-Sam venisse ucciso dalla polizia. Un piè di porco ben affilato poteva aprire quella porta in un attimo. Ma che cosa c'entrava, questo, con la ragazza? Gli aveva sorriso, no? Poteva darsi che stesse lì ad aspettare, quando il vecchio furfante usciva per andare al lavoro.
Tutte idee balorde, e Billy lo sapeva. La ragazza non lo avrebbe neanche guardato. Ma non gli aveva forse sorriso? L'appartamento era una cosa diversa, un lavoretto rapido da farsi prima che i fili dell'antifurto fossero ricollegati. Il piano del palazzo lo conosceva. Se soltanto vi fosse stato un mezzo per arrivare fin oltre quei due mastini di guardia all'ingresso frontale!
Questo non c'entrava con la ragazza. Ora si trattava di soldi. Scese lentamente le scale, e arrivato al pianterreno si guardò cautamente intorno prima di voltare l'angolo e correre verso lo scantinato.
Alla fortuna bisogna andare incontro. Non vide nessuno e nella seconda stanza in cui si introdusse scoprì una finestra con il filo dell'antiscasso staccato. Forse tutto il palazzo era così, forse rifacevano tutto l'impianto, oppure si era guastato e non avevano potuto farlo riparare. Non aveva importanza. La finestra era coperta di polvere. Alzò il braccio e disegnò un cuore sullo strato sottile di sporcizia, per poterla riconoscere dall'esterno.
«Ce ne hai messo del tempo, ragazzo,» gli disse il portiere quando gli fu davanti.
«Ho dovuto aspettare mentre copiava il telegramma e scriveva la risposta, non ci posso far niente.» Aveva pronunciato quella bugia con un accento di insospettabile sincerità. Era stato facile.
Il portiere non chiese di guardare la lavagna. Con un sibilo dei congegni pneumatici, la saracinesca si aprì e Billy, attraversato il ponte levatoio vuoto, si ritrovò nella strada buia, affollata, sporca e puzzolente.
Al di là del ronzio sommesso del condizionatore d'aria, così costante che l'orecchio abituato non lo udiva più, vi era il rimbombo a singhiozzo della città che batteva come un immenso polso, più sentito che udito. Questo piaceva a Shirl. Le piaceva sentirlo in lontananza, con l'impressione di sicurezza, di protezione, che la notte e lo spessore dei muri le infondevano. Era tardi, già le 03. 24, dicevano le cifre luminose dell'orologio, che mentre le guardava divennero silenziosamente le 03. 25. Cambiò posizione e accanto a lei, nel gran letto, Mike si agitò, brontolando qualcosa nel sonno. Lei rimase totalmente immobile, sperando non si svegliasse. Un momento dopo egli si quietò, si tirò le coperte sulle spalle, il suo respiro divenne nuovamente lento e regolare, e lei poté rilassarsi. L'aria mossa dai condizionatori asciugava il sudore sulla sua pelle, era una sensazione di freschezza su tutto il corpo nudo che le dava uno strano piacere. Aveva dormito alcune ore, prima che Mike venisse a letto e la svegliasse, ed erano bastate. Con gesti lenti si alzò e rimase in piedi davanti all'erogatore dell'aria, così che il flusso le scorresse sul corpo. Si passò le mani sulla pelle e sussultò nello sfiorare i seni indolenziti. Mike era sempre troppo brutale e su una pelle come la sua lasciava i segni: domani sarebbe stata piena di lividi e avrebbe dovuto ricorrere ad un trucco pesante per nasconderli. Mike si arrabbiava se notava la minima traccia di contusioni o di lividi, ma non badava minimamente a non farle male. Sopra il condizionatore d'aria applicato alla finestra, le tende non si toccavano e dalla spaccatura l'oscurità cittadina penetrava nella stanza, con le sue luci rade come occhi di animali nell'ombra. Shirley le chiuse subito con un colpetto affinché rimanessero unite.
Mike emise un sonoro gorgoglio, rumore sconcertante per chi non vi fosse abituato; ma Shirl lo aveva sentito molto spesso. Quando russava così, voleva dire che era profondamente addormentato. Chissà se lei poteva fare una doccia senza che lui se ne accorgesse? I suoi piedi nudi non facevano alcun rumore sul tappeto, e chiuse la porta del bagno così lentamente che non si sentì neppure lo scatto della chiusura. Benissimo! Accese le lampade fluorescenti e sorrise al rivestimento di plastica marmorea, alla rubinetteria dorata, all'abbondanza di illuminazione. Le pareti erano acusticamente isolate, ma se non fosse stato profondamente addormentato, Mike avrebbe certamente udito il martellare dell'acqua nelle tubazioni. A un tratto ebbe un timore, trattenne il respiro e in punta di piedi guardò l'indicatore di livello. Per fortuna, pensò con un sospiro di sollievo, Mike aveva lasciato aperto. Con quello che costava l'acqua, Mike chiudeva sempre a chiave, durante il giorno, perché la donna a ore ne aveva rubata troppa. Così, aveva proibito anche a Shirl di fare la doccia. Ma lui ne faceva in continuazione e se Shirl gliene sottraeva una di tanto in tanto, egli non se ne accorgeva, sull'indicatore.
La doccia era fresca, deliziosa; vi rimase più a lungo di quanto avesse inteso. Guardò con un senso di colpa l'indicatore. Dopo essersi asciugata, riprese la salvietta, asciugò ogni traccia d'acqua nella vasca, sulla parete del bagno e sul pavimento, poi affondò l'asciugamano in fondo al cestino della biancheria da lavare dov'egli non l'avrebbe mai potuto trovare. La sua pelle vibrava, si sentiva meravigliosamente bene. Sorrise a se stessa mentre si passava il talco sulla pelle. Hai ventitré anni, Shirl, e sei identica e altrettanto snella di quando ne avevi diciannove. Salvo il petto, forse; ora usava un reggiseno più grande; ma quello non era un difetto, agli uomini piaceva. Prese una vestaglia pulita nell'armadio e se la infilò.
Mike russava ancora quando lei attraversò la stanza da letto; in quei giorni pareva esausto: si stancava, probabilmente, perché doveva portare in giro, con un caldo simile, quel corpo enorme. Da un anno che Shirl conviveva con lui, era aumentato di almeno otto chili, tutti, a quanto pareva, intorno alla vita. Ma lui non vi badava e lei cercava di non notarlo. Accese la TV e andò in cucina a bere qualcosa. La roba costosa, la birra e l'unica bottiglia di whisky, erano solo per Mike, ma a lei non importava bere questa o quella cosa, purché il sapore fosse gradevole. Vi era anche una bottiglia di vodka. Mike poteva procurarsi tutto ciò che voleva, e la vodka, con un succo concentrato d'arancio, era una bibita piacevole. Aggiungendo un po' di zucchero.
Un volto d'uomo riempiva tutto lo schermo da cinquanta pollici, e formava parole senza suono, guardando proprio nella sua direzione. Shirl strinse sul petto la vestaglia semiaperta e l'abbottonò. Le venne da ridere, come ogni volta, perché pur sapendo che quell'uomo non la poteva vedere, il suo sguardo la metteva sempre a disagio. I telecomandi dell'apparecchio erano sul bracciolo del divano, ella vi si rannicchiò vicino, col bicchiere in mano, e premette il bottone. Su quel canale vi era una corsa automobilistica, sull'altro un vecchio film di John Barrymore, tutto saltellante e antiquato. Non le piaceva. Saggiò tutti i canali finché si fermò, come sempre o quasi, sul diciannovesimo canale, quello della Donna, specializzato in sciropposi melodrammi a puntate, concentrati però in un solo lungometraggio che talvolta andava avanti per ventiquattr'ore senza interruzione. Quello ora in onda non l'aveva mai visto e quando mise la cuffia ne capì il perché: era una specie di romanzo sceneggiato inglese. La gente parlava con strane inflessioni di voce e usava alcune espressioni per lei incomprensibili. Però quando innestò il suono, l'intreccio le parve interessante. Una donna aveva appena partorito, era tutta sudata e senza trucco, e il marito della donna era in prigione, ma in quel momento si era saputo che era evaso. Il vero padre del neonato (fra l'altro quel neonato era afflitto dal morbo blu, lo avevano appena detto in quel momento) era il fratello stesso del marito. Shirl bevette un sorso della sua bibita e si installò comodamente.
Alle sei chiuse la televisione, lavò e asciugò il bicchiere e si vestì. Tab arrivava alle sette e Shirl voleva fare la spesa subito, con il fresco. Silenziosamente, per non svegliare Mike, portò i suoi abiti nel soggiorno: mutandine, reggiseno e il suo vecchio vestito grigio senza maniche. Era vecchio, sbiadito a sufficienza, andava bene per la spesa. Niente gioielli né trucco, per non provocare guai. Non faceva mai colazione al mattino, perché era un modo facile di tenere basse le calorie, ma bevette una tazza di kofee prima di uscire. Erano esattamente le sette quando verificò se aveva con sé la chiave e il denaro; prese la borsa della spesa e uscì.
«Buongiorno, signora,» disse il ragazzo dell'ascensore, aprendo la porta con un inchino e facendole un sorriso che scopriva una fila di denti poco in ordine. «Avremo un'altra giornata torrida, oggi.»
«Erano già ventotto gradi all'ultimo bollettino.»
«A dire molto poco!» La porta si chiuse e l'ascensore discese con un sibilo giù per il suo pozzo. «Misurano la temperatura all'ultimo piano dell'edificio, ma scommetto che per la strada fa più caldo di così.»
«Molto probabilmente.»
Nell'atrio, il portiere Charlie, che la vide nel momento stesso in cui si aprì l'ascensore, si mise a parlare nel microfono nascosto. «Ancora una giornata torrida,» le disse quando gli fu vicino.
«Buongiorno, signorina Shirl,» disse Tab che usciva dalla stanza dei guardiani.
Lei sorrise, era felice come sempre di vederlo, la migliore guardia del corpo, il migliore gorilla che avesse mai avuto, e l'unico che non avesse fatto degli approcci. Le piaceva non soltanto per questo, ma perché era un uomo che non avrebbe mai pensato di comportarsi male. Era sposato felicemente, aveva tre bambini, e aveva raccontato tutto a Shirley, di Amy sua moglie e dei ragazzi. No, non era proprio quel tipo d'uomo.
Ed era comunque un'ottima guardia del corpo. Non c'era bisogno di notare gli anelli con le punte, del pugno americano di cui era munita la sua mano sinistra, per capire che sapeva difendersi. Non era alto, ma le spalle larghe e il rigonfiamento muscolare delle sue braccia parlavano da soli. Le prese dalle mani il borsellino e lo mise nella tasca della giacca, che abbottonò; poi prese la sporta. Quando la porta si aprì passò per primo: gesto contrario alle buone usanze in società, ma ottima usanza per una guardia del corpo. Faceva caldo. Più di quanto Shirl si aspettasse.
«Nessun bollettino personale sul caldo, Tab?» chiese lei socchiudendo gli occhi per guardare, attraverso la calura, la strada già affollata.
«Credo che ne avrete uditi già abbastanza, signorina Shirl. Io so che ne ho uditi almeno una dozzina, nel venire qui, stamane.» Non la guardava, mentre parlava. I suoi occhi spazzavano automaticamente e professionalmente la strada. In generale si muoveva lentamente e parlava lentamente. Era da parte sua una scelta intenzionale, perché certuni si aspettavano sempre che un negro fosse così. Se spuntava un guaio, spariva in un secondo, perché lui credeva fermamente nella prima botta per imporsi, e se questa era data bene, la seconda o la terza non occorrevano più.
«Avete in mente qualcosa di speciale oggi?» chiese.
«La spesa per la cena soltanto, poi andiamo da Schmidt.»
«Prenderete un mezzo per andarvi, così risparmiate energia per la discussione.»
«Sì, oggi credo di sì.» I mezzi di trasporto costavano poco. In generale Shirl andava a piedi perché le piaceva camminare. Oggi però faceva troppo caldo. C'era già una fila di taxi a pedali, i peditaxi, in attesa. I conducenti, per la maggior parte, si erano accovacciati nell'ombra scarsa dei sedili posteriori. Tab la condusse al secondo della fila e tenne fermo lo schienale mentre lei saliva.
«Cosa c'è che non ti va, per me?» disse arrabbiato il primo conducente della fila.
«Hai una gomma a terra, se lo vuoi sapere,» disse tranquillamente Tab.
«Non è a terra, è soltanto un po' bassa, tu non puoi…»
«Togliti dai piedi!» sibilò Tab e alzò di pochi centimetri i suoi pugni chiusi. Le punte d'acciaio luccicarono. L'uomo del secondo peditaxi montò sul sellino e si mise a pedalare. Gli altri conducenti voltarono le spalle e tacquero. «Al mercato di Gramercy,» ordinò Tab.
Il conducente pedalava piano, in modo che Tab potesse seguirlo senza correre, eppure era tutto sudato. Le sue spalle andavano su e giù davanti a Shirl e lei vedeva i rivoli di sudore che gli scendevano sul collo e perfino la forfora sui suoi capelli sottili. Stare così vicino alle persone le dava fastidio. Si voltò a guardare la strada: gente che passava trascinando i piedi, altri peditaxi, più veloci, che sorpassavano i lenti rimorchi di camion trainati da uomini, con il loro carico ben coperto. Il bar all'angolo di Park Avenue aveva esposto un cartello: “Oggi birra, 2 p. m. “, e già c'era gente che faceva la coda. Era un lungo attendere per ottenere un bicchiere di birra, specialmente al prezzo che la mettevano quest'anno. Non ce n'era mai molta, parlavano sempre di assegnazioni di grano o altro, ma con quel caldo, appena ne arrivava un po' spariva subito e a prezzi favolosi. Voltarono per via Lexington e si fermarono all'angolo della 22a Strada. Lei scese e attese nell'ombra dell'edificio mentre Tab pagava il conducente. Un rauco vociare proveniva dalle bancarelle del mercatino alimentare che ormai aveva invaso e soffocato Gramercy Park. Shirl prese fiato, e con Tab accanto in modo da poter appoggiare la mano sul suo braccio, attraversò la strada.
All'ingresso del mercato vi erano i palchetti con le pile di multicolori crackers di alghe, pile che salivano molto in alto, rosse, marrone e di un verde azzurro.
«Tre libbre di verdi,» disse all'uomo della bancarella dove era solita fare i suoi acquisti. Guardò il cartellino del prezzo. «Ancora aumentati di dieci cents la libbra!»
«È il prezzo che li pago io, signora, non c'è più guadagno per me.» Mise un peso sulla bilancia e scosse un sacco di crackers sull'altro piatto.
«Ma perché aumentano continuamente?» Prese un pezzo di cracker dalla bilancia e si mise a masticare. Il colore del biscotto variava secondo le alghe adoperate e quelli verdi avevano miglior sapore, o perlomeno le pareva. L'odore di iodio non si sentiva tanto.
«Richiesta e offerta, richiesta e offerta.» Gettò i biscotti nella borsa che Tab manteneva aperta. «Più c'è gente al mondo e meno roba c'è in giro. Ho sentito dire che devono coltivare le alghe in mari molto lontani. Più lungo è il trasporto e più alto il prezzo.» Recitava quella litania di causa ed effetto con voce monotona, pareva un disco molto suonato.
«Non so come faccia la gente,» disse Shirl mentre si allontanava e provò un senso di colpa perché con i soldi di Mike non aveva mai da preoccuparsi. Si chiese come avrebbe fatto con la paga di Tab, perché sapeva che guadagnava poco. «Vuoi un cracker?» gli chiese.
«Forse più tardi, signorina, grazie.» Guardava la gente e con mossa molto veloce fece scansare un uomo con un gran sacco sulle spalle che a momenti investiva Shirl.
Un modesto complesso di suonatori con chitarre avanzava lentamente nel mercato affollato. Erano tre ragazzi che grattavano uno strumento fatto in casa, e una ragazza magra dalla voce così esile che si perdeva in quel frastuono. Quando le furono più vicini, Shirl riuscì ad afferrare alcune parole, erano quelle di un motivo che l'anno prima aveva avuto successo; era stato lanciato dai “El Troubadours”.
“… migliore di lei, in tutto il mondo… un puro spirito, come quello degli angeli… conoscerla ed amarla era una sola cosa… “.
Le parole non si adattavano per niente a quella ragazza dal petto cavo e dalle braccia scarne, no, assolutamente. Chissà perché, Shirl si sentì a disagio.
«Dagli dieci cents,» sussurrò a Tab, poi si diresse rapidamente al banco dei latticini. Quando Tab la raggiunse, gettò nella sporta un pacco di oleo e una bottiglia di latte di soia; a Mike piaceva nel suo kofee.
«Tab, per piacere, ricordami di portare indietro i vuoti, domani; questa è la mia quarta bottiglia, e con un deposito di due dollari per bottiglia andrò presto in rovina se non le porto indietro.»
«Ve lo ricorderò domani, se tornate a fare la spesa.»
«Probabilmente sì, Mike ha invitato gente per la cena e non so in quanti saremo e che cosa vuole che gli prepari.»
«Pesce, quello è sempre buono,» disse Tab puntando un dito in direzione della vasca di cemento. «È piena di pesce.»
Shirl si alzò in punta di piedi e vide i branchi di tilapia che si muovevano a fatica nell'acqua scura.
«Tilapia freschi delle Isole,» disse la pescivendola, «arrivati ieri dal lago Ronkonkoma.» Immerse la sua reticella e tirò su un brulicante gruppo di pesci lunghi circa venti centimetri.
«Ne avrete anche domani?» chiese Shirl. «Li vorrei freschi.»
«Tutto ciò che vuoi, cara, domani ne arrivano ancora.»
Faceva più caldo ora, e lei non aveva più bisogno di nulla dal mercato. Le rimaneva solamente un altro acquisto da fare.
«Credo sia meglio andare subito da Schmidt,» disse, e nella sua voce vi era qualcosa che fece voltare Tab per guardarla un attimo. Poi tornò a sorvegliare la gente che le passava accanto.
«Certo, signorina Shirl, e laggiù farà più fresco.»
Schmidt era un negozio situato nello scantinato di un edificio distrutto dal fuoco, sulla Seconda Avenue, solo un rudere, a livello stradale, con alcuni baraccati che avevano preso alloggio fra i legnami carbonizzati. Un vialetto gli girava intorno e portava sino alla parte posteriore. Poi si scendevano tre gradini sino ad una porta dipinta di verde, con uno spioncino nel centro. Una guardia del corpo stava rannicchiata nell'ombra contro il muro. Solo i clienti erano ammessi da Schmidt e il guardiano alzò la mano in un breve cenno di saluto verso Tab. Si udì un armeggiare di serrature e un uomo anziano con una frangia di capelli bianchi uscì dallo scantinato e salì i gradini uno per volta. Shirl lo riconobbe.
«Buongiorno, giudice,» gli disse. Il giudice Santini e Mike O'Brien si vedevano spesso e lei lo conosceva bene.
«Buongiorno a te, Shirl.» Egli consegnò un pacchettino bianco alla sua guardia del corpo, che lo fece sparire nella tasca. «Cioè vorrei che fosse un buon giorno, ma per me è già troppo caldo. Temo che siano gli anni a farsi sentire. Salutami Mike.»
«Certamente, giudice, arrivederci.»
Tab le porse il borsellino e lei scese e bussò alla porta. Vi fu un movimento dietro la piccola feritoia, poi un rumore metallico e la porta si spalancò. Dentro era fresco e scuro. Shirl entrò.
«Ma guarda chi si vede, la signorina Shirl! Ciao, tesoro,» disse l'uomo accanto alla porta mentre la chiudeva e tirava il paletto. Tornò a sedersi sul suo alto sgabello contro il muro, tenendo fra le braccia il fucile come se lo cullasse. Shirl non gli rispose. Non rispondeva mai. Schmidt la guardò dal banco, sorridendo, con il suo largo sorriso porcino.
«Ciao Shirl, siete venuta a prendere qualcosa di buono per il signor O'Brien?» Piantò le sue manacce rosse sul piano del banco e il suo corpo pesante, coperto da un grembiule bianco, sudicio di sangue, poggiava per metà sul banco stesso. Lei assentì, ma prima che potesse aprire bocca il guardiano l'interpellava:
«Fatele vedere la vostra trippa, signor Schmidt, scommetto che ne va matta.»
«Non credo, Arnie, non Shirley.» Entrambi risero forte. Lei tentò di sorridere e giocherellò con un foglio di carta posto sul banco.
«Vorrei una bistecca, o un bel pezzo di manzo se l'avete,» disse, e gli altri scoppiarono a ridere. Lo facevano sempre, sapendo fin dove potevano arrivare senza provocare guai. Sapevano del legame fra Shirl e Mike e non dicevano mai nulla che potesse irritare quest'ultimo. Una volta Shirley aveva tentato di dirglielo, ma fra quei lazzi non vi era nulla di realmente offensivo e lui aveva perfino riso delle loro battute. Le aveva risposto che scherzavano, e di non preoccuparsi. Non si potevano esigere modi raffinati da parte di contrabbandieri di carne.
«Guardate questo, Shirl!» Schmidt aprì con rumore la porta di un armadio posto nella parete dietro di lui e ne tirò fuori una piccola carcassa già spolpata. «Un bel cosciotto di cane, ben fatto, bello e perfino grasso.»
Aveva un ottimo aspetto, ma non faceva al caso suo, non era neanche il caso di pensarci. «È bellissimo; ma, lo sapete, al signor O'Brien piace solo il manzo.»
«Difficile ottenerlo di questi tempi, Shirl.» Guardò più in fondo all'armadio. «Sono guai con i fornitori. Vi sparano certi prezzi… Sapete com'è. Ma il signor O'Brien ha fatto affari qui con me per dieci anni, e finché potrò, vedrò di accontentarlo.» Brandiva intanto un piccolo pezzo di carne velato di un sottilissimo strato di grasso.
«Mi pare ottimo.»
«Mezza libbra abbondante, è abbastanza?»
«Va benissimo.»
L'uomo lo tolse dalla bilancia e cominciò ad avvilupparlo nel cellofan. «Fanno esattamente ventisette e novanta.»
«Non è più… voglio dire, più caro dell'ultima volta?» Mike le rimproverava sempre di spendere troppo per la spesa, come se fosse lei a fare alzare i prezzi; comunque, si ostinava a mangiare carne.
«È così, cara Shirl. Ma vi dirò una cosa: datemi un bacio e vi lascio quei novanta cents e vi darò forse anche un pezzettino di carne.» Lui e il guardiano risero a crepapelle dello scherzo, come diceva Mike. Lei non poteva ribellarsi. Prese i soldi nel borsellino.
«Ecco a voi, signor Schmidt, venti, venticinque, ventotto.» Prese la minuscola lavagnetta dalla sua borsa, vi scrisse sopra il prezzo e la mise sul banco accanto al denaro. Schmidt le diede uno sguardo poi scarabocchiò una S maiuscola sotto la cifra, con il gesso blu che usava sempre. Quando Mike si lamentava del prezzo della carne, lei gli mostrava questo, anche se non serviva a niente.
«Dieci di resto.» L'uomo sorrise e allungò i soldi sul banco. «Arrivederci presto, Shirl,» disse mentre lei prendeva il pacco e si avviava all'uscita.
«A presto,» disse il guardiano aprendo la porta quel tanto da permetterle di passare. Mentre lei gli passava davanti, quello allungò la mano e gliela passò sui fianchi, ove il vestito era ben teso. La loro risata morì col richiudersi della porta.
«E ora, a casa?» chiese Tab, prendendole il pacco dalle mani.
«Sì, direi. E direi di prendere anche un peditaxi.»
Egli la guardò in viso e stava per dire qualcosa, ma cambiò idea. «Va bene, taxi.» E la guidò sino alla strada.
Dopo la corsa in peditaxi si sentì meglio. Erano dei villanzoni, ma non dei peggiori, e fino alla settimana prossima non aveva bisogno di tornarvi. Dopo tutto, come diceva Mike, non puoi esigere maniere raffinate da contrabbandieri di carne. Loro e i loro scherzi luridi da ragazzini di ginnasio! Facevano quasi ridere per il modo come si comportavano. Ma la loro carne era buona, non come quella di certi altri. Avrebbe cucinato la bistecca per Mike, e poi, nel grasso, avrebbe fritto un po' di farina d'avena, per sé. Buono da mangiare. Tab l'aiutò a scendere dal taxi e prese la sporta.
«Volete che la porti su?»
«Sarà meglio, e poi mi metterai le bottiglie di latte vuote nella sporta. Non c'è un posticino nella portineria, dove le potrai lasciare per non dimenticarle domani?»
«Certo, Charlie ha un armadio chiuso a chiave, che noi usiamo. Posso lasciarle lì.»
Charlie aprì loro la porta e l'atrio sembrò quasi fresco, dopo il caldo della strada. Non parlarono mentre salivano con l'ascensore. Shirl frugò nella sua borsa per prendere la chiave, Tab andò avanti nel corridoio e aprì la porta esterna dell'appartamento, ma si fermò così improvvisamente che lei quasi gli cadde addosso.
«Volete aspettarmi qui un attimo, per piacere, signorina Shirl?» disse a voce tassa, appoggiando senza far rumore la sporta contro la parete.
«Che c'è?…» cominciò a dire lei, ma Tab si mise un dito sulle labbra e indicò la seconda porta. Era socchiusa per pochi centimetri e si vedeva un solco profondo e fresco nel legno. Lei non capì che cosa significasse, ma vi doveva essere qualcosa di minaccioso, perché Tab aveva assunto una posizione un po' curvata, con i pugni alzati davanti a sé, e così aprì l'uscio ed entrò nell'appartamento.
Non ci mise molto a tornare e non si udì alcun rumore, ma egli aveva ripreso la posizione eretta e il suo viso era vuoto d'ogni espressione. «Signorina Shirl,» disse, «non vorrei lasciarvi entrare ma è meglio che diate un'occhiata nella stanza da letto.»
Lei ora aveva paura, capiva che qualcosa di terribile era successo, ma lo segui, ubbidiente, attraverso il soggiorno, fin dentro la stanza da letto.
Era strano, pensò lei, di trovarsi lì, in piedi, e non far nulla pur udendo quell'urlo. Poi si rese conto che era la sua voce, che era lei a urlare.
Fino a quando era durata l'oscurità, Billy Chung aveva trovato l'attesa sopportabile. Si era rannicchiato in un angolo, contro il muro fresco dello scantinato, e aveva perfino dormito di tanto in tanto. Ma quando notò sulla finestra i primi grigiori dell'alba, provò un improvviso, acuto spasimo di paura, che aumentava costantemente. Non l'avrebbe trovato qualcuno, li nascosto? Gli era sembrato così facile, la sera prima; era andato tutto così liscio. Esattamente come i Tigers, quando facevano quei colpi. Aveva saputo da chi andare per comperare il cacciacopertoni, senza che gli facessero domande, e con dieci cents in più lo aveva fatto affilare ad una estremità. Entrare nel fossato che circondava l'edificio era stata l'unica mossa difficile; ma nessuno lo aveva visto mentre si calava giù dalla sponda, ed era sicuro di non essere stato notato da nessuno quando aveva forzato la finestra dello scantinato con il piè di porco ricavato dalla leva per copertoni. Se lo avessero visto, a quest'ora lo avrebbero già preso. Ma forse con la luce del giorno avrebbero potuto notare i solchi freschi lasciati dalla leva sulla finestra? Rabbrividì a quel pensiero, e fu a un tratto conscio del violento battito del suo cuore. Si dovette far forza per abbandonare il suo cantuccio in ombra e procedere lentamente lungo il muro finché fu vicino alla finestra, cercando di vedere qualcosa attraverso lo strato di polvere che ricopriva il vetro. Prima di richiudere la finestra aveva fregato con sputo, polvere e caligine del davanzale le righe lasciate dal ferro; ma chissà se era venuto bene? L'unico posto trasparente sulla finestra era il cuore che aveva tracciato sulla polvere, e seguendone il contorno con la testa guardò attraverso il vetro e vide che i solchi nel legno erano diventati scuri. Sollevato, tornò nel suo cantuccio, ma dopo pochi minuti i timori ricomparvero, sempre più forti.
La piena luce del giorno entrava ora dalle finestre. Quanto tempo sarebbe passato prima che lo scoprissero? Chiunque fosse entrato dalla porta avrebbe guardato da quella parte, e lo avrebbe visto subito. La piccola pila di assi vecchie, piene di ragnatele, non lo nascondeva del tutto. Tremante di paura si spinse con la schiena contro il muro di cemento, con tale forza che ne sentì la superficie rugosa attraverso la stoffa sottile della camicia.
Impossibile misurare un tempo di quella specie. Per Billy, ogni minuto era interminabile. Al tempo stesso, gli pareva di avere trascorso una vita intera in quella stanza. Una volta udì dei passi che si avvicinavano, poi oltrepassarono la porta, e in quel momento capì che le paure precedenti erano state ben poca cosa. Fermo in quell'angolo, tremante e coperto di sudore, odiava se stesso a causa della sua debolezza, ma non poteva farci niente. Le sue dita grattavano nervosamente una vecchia pustolina sul mento, poi questa si ruppe e cominciò a sanguinare. Premette quel suo straccio di fazzoletto sul mento e i secondi continuarono a passare con lentezza.
Convincersi a lasciare la cantina fu ancora più difficile che rimanervi. Doveva aspettare che la gente, nell'appartamento lassù, fosse uscita per la giornata. Ma era poi certo che uscissero? Altra fitta di paura. Doveva aspettare, ma poteva intuire l'ora solamente stimando l'angolo del sole attraverso la finestra annebbiata, e regolarsi sull'intensità del traffico all'esterno. Aspettò più che poté e poi rinviò l'uscita di qualche minuto ancora, pensando a quei lunghi corridoi che l'aspettavano. E arrivò al momento in cui gli parve di poter uscire senza pericolo. Infilò la leva nei calzoni sotto la cintola, dove non si poteva vedere, e si tolse di dosso quanta polvere poteva prima di girare la maniglia della porta.
Delle voci, il battere di un martello gli pervennero da una parte distante della cantina, ma avviandosi verso le scale non vide nessuno. Mentre saliva al terzo piano udì dei passi rapidi, che scendevano verso di lui. Ridiscese al secondo piano e lì si nascose nel corridoio finché i passi non si allontanarono. Fu questo l'ultimo allarme. Un minuto dopo Billy era al quinto piano e contemplava per la seconda volta le lettere dorate che formavano il nome di O'Brien.
“Chissà se lei è ancora a casa,” sussurrò a mezza voce e sorrise fra sé. “Lei significa guai, tu vuoi soldi”, aggiunse, ma la sua voce era strozzata. Billy ricordava insistentemente quei seni tondi che si erano alzati verso di lui.
Quando si apriva la porta esterna, si faceva risuonare un segnale all'interno. Così era stato la notte prima. Ed era bene fosse così, perché Billy doveva accertarsi che non vi fosse nessuno, per potersi introdurre nell'appartamento. Prima che i suoi nervi gli giocassero un brutto tiro spinse la porta ed entrò nello stanzino, richiudendola dietro di sé e appoggiandovi le spalle.
Qualcuno poteva ancora essere in casa. Sentì il suo viso coprirsi di sudore a quella idea, e guardò verso l'obiettivo del circuito interno, poi distolse lo sguardo. Se lei mi chiede che cosa voglio, le dirò qualcosa che riguarda un telegramma, per la Western Union. Le pareti vuote della piccola camera lo soffocavano. Si appoggiò un po' su una gamba, un po' sull'altra, in attesa di udire lo sfrigolio dell'altoparlante.
Ma questo rimase silenzioso. Cercò di indovinare quanto era lungo un minuto e contò fino a sessanta, poi capì di avere contato troppo svelto e ricominciò. «Hello!» disse, e, nel caso la TV interna non funzionasse, batté sulla porta, prima timidamente, poi più forte mentre la sua fiducia cresceva.
«Non c'è nessuno in casa?» chiese mentre tirava fuori il cacciacopertoni e introduceva la punta affilata nella porta chiusa, sotto la maniglia. Dopo averla inserita il più possibile, fece forza, con entrambe le mani. Vi fu uno scricchiolio leggero e la porta si aprì. Billy entrò quasi in punta di piedi, pronto a fare dietro-front e a scappare.
L'aria era fresca, l'appartamento scuro e silenzioso. Davanti a sé, all'estremità dell'anticamera, vedeva un'altra stanza e parte di un televisore spento. Alla sua sinistra, vicino a lui, c'era la porta chiusa della camera da letto e oltre quella porta c'era il letto dove aveva visto la ragazza sdraiata. Forse era lì, addormentata. Egli sarebbe entrato, e non l'avrebbe svegliata subito ma… ebbe un fremito di piacere. Passando la leva nella mano sinistra, apri la porta, lentamente.
Le lenzuola erano gualcite, attorcigliate… e vuote. Billy passò vicino al letto e non lo guardò più. Che altro si aspettava? Una ragazza come quella non avrebbe mai accettato uno come lui. Imprecò e forzò il cassetto superiore dell'ampio canterano. Era pieno di biancheria soffice, rosa e bianca. L'accarezzò. Era più soffice di qualsiasi cosa avesse mai toccato. La gettò in terra.
Allo stesso modo setacciò gli altri cassetti, uno per uno, gettando in terra il loro contenuto, ma mettendo da parte quei pezzi di vestiario che sapeva di poter vendere a buon prezzo al mercato delle pulci. Un tonfo improvviso riportò in lui la paura che per un po' era stata sostituita dalla delusione. Rimase fermo, irrigidito. Gli ci volle un po' prima di rendersi conto che era stato il rumore dell'acqua nei tubi. Si riprese un poco, ora si controllava meglio e per la prima volta notò il cofanetto dei gioielli sul tavolino da notte.
Billy l'aveva in mano, guardando le spille e i bracciali, e chiedendosi se erano veri e quanto ne avrebbe ricavato, quando la porta del bagno si aprì e Mike O'Brien entrò nella stanza.
Sulle prime non vide Billy, e rimase semplicemente imbambolato a guardare il disastro del canterano e la biancheria sparsa in terra. Aveva indosso la vestaglia e si stava asciugando i capelli. Poi vide Billy impietrito dal terrore, e scagliò lontano l'asciugamano.
«Tu! Piccola carogna!» tuonò Mike. «Che cavolo ci fai, qui?»
Si avvicinava come una montagna di morte, col faccione accaldato dalla doccia e ancor più congestionato per la collera. Era alto ben due teste più di Billy e sotto il grasso delle sue braccia carnose, vi erano dei muscoli. Desiderava solo spezzare il ragazzo in due.
Mike allungò le braccia e Billy sentì il muro dietro la schiena. Nella mano destra vi era un peso ed egli, preso dal panico, lo roteò con forza selvaggia. Non capì affatto che cosa fosse successo, vedendo Mike cadere ai suoi piedi, senza aver detto una parola; si udì solo il tonfo pesante del corpo che urtava il pavimento.
Gli occhi di Michael J. O'Brien erano aperti. Anzi, più che aperti, erano sbarrati. Guardavano dritto, senza vedere nulla. La leva lo aveva colpito alla tempia, era penetrata con la punta acuminata oltre l'osso sottile fino al cervello, uccidendolo sul colpo. Vi era poco sangue, perché il cacciacopertoni era rimasto nella ferita, come un manico nero, sporgente, saldamente conficcato nella testa.
Fu proprio per caso, per un concorso di circostanze favorevoli, che Billy non fu né preso né riconosciuto nell'uscire dall'edificio. Fuggì, preso da un panico folle, ma sbagliò una svolta e si ritrovò vicino all'entrata di servizio. Un nuovo inquilino stava traslocando e almeno venti uomini, stracciati come lui, portavano dentro i mobili. L'unico portiere di servizio sorvegliava la gente che entrava nel palazzo e non fece caso a Billy quando uscì dietro gli altri facchini.
Billy arrivò quasi sino al fronte del porto prima di rendersi conto che nella sua fuga si era lasciato dietro tutto. Appoggiò la schiena al muro, poi si lasciò scivolare lentamente sui calcagni, cercando di riprendere fiato, esausto per la corsa, asciugando il sudore che gli colava sugli occhi, per vedere se qualcuno l'avesse seguito. Nessuno gli badava minimamente, ce l'aveva fatta. Ma aveva ucciso un uomo. E tutto per nulla. Rabbrividì, a dispetto del caldo, e si sentì mancare l'aria. Per nulla. Tutto per nulla.
«Ah, così? Dovremmo mollare tutto e venire da te di corsa? Come se niente fosse?» La domanda del tenente Grassioli perdette un po' del suo impeto verso la fine a causa di un rutto profondo. Prese un flacone contenente delle pastiglie bianche, in fondo al cassetto della sua scrivania, lo scosse per farne cadere due e le guardò con disgusto prima di mettersele in bocca. «Sentiamo un po', che cos'è successo?» Le sue parole erano accompagnate dallo scricchiolio secco delle pastiglie che masticava.
«Non lo so, non me l'hanno detto.» L'uomo in divisa nera stava ostentatamente sull'attenti, però c'era appena un'ombra di impertinenza nelle sue parole. «Io sono soltanto un fattorino, signore. Mi hanno detto di andare al posto di polizia più vicino a fare quest'ambasciata: “È successo qualcosa di grave. Mandate subito un investigatore”.»
«Voialtri di Chelsea Park credete di poter dettare legge alla polizia?» Il fattorino non rispose perché entrambi sapevano che la risposta era “sì”, ed era meglio non pronunciarla. In quei palazzi abitava un gran numero di persone importanti. Il tenente sussultò per una fitta allo stomaco. Gridò: «Mandatemi qui Rusch!»
Andy arrivò quasi subito. «Sì, signore?»
«Che fai in questo momento?»
«Sto investigando su un indiziato, quell'attacchino che ha forse spacciato tutti quegli assegni falsi a Brooklyn. Sto per…»
«Mettilo in frigo. Qui c'è qualcosa che voglio tu segua.»
«Non so se posso, lui…»
«Se te lo dico io, puoi. Il commissariato lo comando io, Rusch. Va' con quest'uomo e, quando torni, vieni a riferire tutto a me personalmente.»
Il rutto questa volta fu più modesto, quasi come il punto finale della frase.
«Bel caratterino, il vostro tenente,» disse il fattorino quando furono per strada.
«Smettila,» ribatté Andy senza guardare l'uomo. Aveva passato ancora una cattiva notte ed era stanco. L'ondata di caldo continuava. Quando lasciarono l'ombra della sopraelevata per avviarsi verso la parte Nord della città, il sole era quasi insostenibile. Andy chiudeva gli occhi per il riverbero, e il mal di capo cominciava a premergli sulle tempie. Dei mucchi di immondizie bloccavano il marciapiede. Li toglieva di mezzo con calci rabbiosi. Voltarono l'angolo e furono di nuovo nell'ombra; l'edificio di Chelsea Park, con le sue torri merlate e i suoi bastioni, si ergeva davanti a loro come una scogliera. Andy si dimenticò il mal di capo mentre attraversava il ponte levatoio. Era già stato in quell'edificio, ma soltanto nell'atrio. La porta si aprì prima che arrivassero e il portiere si fece da parte per lasciarli entrare.
«Polizia,» disse Andy, mostrando il suo distintivo al portiere. «Che cosa è successo?»
L'uomo non rispose subito, voltò il capo per seguire il fattorino che si allontanava e attese che fosse fuori portata delle sue parole. Poi si leccò il labbro e sussurrò: «Una brutta cosa.» Cercò di parere rattristato ma i suoi occhi tradivano l'eccitazione. «Un delitto. È stato ucciso un uomo.»
Andy non ne fu impressionato. Nella città di New York sette delitti al giorno erano la media. Dieci, nei giorni buoni.
«Vediamo un po'» dichiarò, e seguì il portiere verso l'ascensore.
«Ecco, è questa porta,» disse il portiere aprendo la porta esterna dell'appartamento 41-E. L'aria fredda li assalì.
«Va bene,» disse al portiere deluso. «Da questo momento in poi è affar mio.» Entrò e notò subito i solchi dello scasso sul telaio della porta interna. Guardò oltre, per tutta la lunghezza dell'atrio, dove due persone sedevano su due sedie appoggiate alla parete. Una sporta di generi alimentari era appoggiata alla sedia più vicina.
I due individui avevano un'espressione analoga negli occhi, sbarrati, sconvolti dal brusco contatto con qualcosa d'inaspettato. La ragazza era carina, una rossa con dei bei capelli lunghi e una carnagione delicata e rosea. Quando l'uomo, un negro tarchiato, scattò in piedi, Andy capì che era una guardia del corpo.
«Sono l'agente investigatore Rusch, Distretto 12-A.»
«Mi chiamo Tab Fielding, e questa è la signorina Greene. Abita qui. Siamo appena tornati dalla spesa, un momento fa, e ho visto i solchi sul legno della porta. Sono entrato da solo, e sono andato di là.» Col pollice indicò la porta vicina. «E l'ho trovato. Il signor O'Brien. La signorina Greene è venuta subito dopo e l'ha visto anche lei. Ho guardato dappertutto ma non c'era nessuno. La signorina Shirl, voglio dire la signorina Greene, è rimasta qui nell'atrio mentre chiamavo la polizia. Siamo poi rimasti sempre qui, non abbiamo toccato nulla lì dentro.»
Andy guardava l'uno poi l'altra e intuiva che il racconto era vero. Lo si poteva facilmente verificare interrogando il ragazzo dell'ascensore e il portiere. Comunque, si sarebbe veduto poi.
«Volete venir tutti e due con me, per favore?»
«No, io no!» disse rapidamente la ragazza, le dita aggrappate all'orlo della sedia. «Non lo voglio vedere un'altra volta… così…»
«Mi spiace, ma non posso lasciarvi sola.»
Non discusse oltre, si alzò lentamente e cominciò a lisciarsi le grinze del vestitino grigio. Una bella ragazza, pensò Andy mentre le camminava al fianco. Il negro tenne aperta la porta e Andy seguì i due nella stanza da letto. Col viso rivolto al muro, la ragazza andò dritta al bagno e chiuse la porta dietro di sé.
«Si riprenderà,» disse Tab notando lo sguardo del poliziotto. «È una ragazza forte, ma non si può biasimare, ora, se non se la sente di guardare il signor O'Brien così, in questo stato.»
Per la prima volta Andy guardò la salma. Ne aveva viste di peggio. Michael O'Brien era ancora autorevole da morto, come da vivo, disteso sul pavimento, a braccia e gambe divaricate, aveva gli occhi e la bocca aperti. La leva gli usciva da una parte della testa e un filo di sangue, colato su un lato del collo, finiva sul pavimento. Andy si inginocchiò e gli toccò l'avambraccio nudo. Era molto freddo. Forse a causa del condizionamento d'aria nella stanza. Si rimise in piedi e guardò la porta del bagno.
«Ci può sentire, da lì dentro?» chiese.
«No, signore, c'è l'isolamento acustico. Tutto l'appartamento è così.»
«Avete detto che abita qui? Che cosa significa?»
«È, voglio dire era la ragazza del signor O'Brien. Non c'entra, con questa faccenda; non ne aveva nessun motivo. Lui era il suo cracker e margarina…» Lo colpì la realtà della situazione e le sue gambe si afflosciarono. «… E anche il mio. Ora dovremo entrambi cercarci un altro posto.» Si chiuse in se stesso pensando con grande tristezza a un futuro che di punto in bianco si era fatto incerto.
Andy guardò intorno a sé gli abiti sparsi e il canterano dai cassetti scassinati. «Possono avere litigato prima che lei uscisse, e potrebbe quindi averlo fatto fuori.»
«Non la signorina Shirl.» Tab serrò i pugni. «Non è il tipo di persona da fare una cosa come questa. Quando dico che è una ragazza “forte” intendo dire che può far fronte agli eventi, capite? Sbrigarsela, adattarsi alle circostanze. Ma non fare una cosa simile. Avrebbe dovuto farla prima che la incontrassi giù. Io l'aspettavo nell'atrio, e quando è scesa era proprio come gli altri giorni. Carina e felice. Non avrebbe potuto comportarsi cosi, se avesse appena… commesso… questo.» Indicò con rabbia il cadavere che stava tra loro come una montagna di carne.
Andy non disse nulla, ma era dello stesso parere del gorilla. Una bella ragazza come quella non aveva bisogno di uccidere nessuno; quello che faceva lo faceva per denaro, e se uno le avesse dato fastidio, se ne sarebbe andata e ne avrebbe trovato un altro con altrettanto denaro; ecco tutto. Ma ammazzare, no.
«Tab, sei stato tu a farlo fuori?»
«Io?» Era sorpreso, non sdegnato. «Non ero neppure nell'edificio fino al momento in cui sono tornato con la signorina Shirl e l'ho trovato.» Si raddrizzò con orgoglio professionale. «E poi io sono una guardia del corpo. Io ho un contratto per proteggerla. Io rispetto i contratti. E se ammazzo qualcuno non è certo così. Questo non è un modo di ammazzare la gente.»
Andy in quella stanza dall'aria condizionata si sentiva sempre meglio. Il sudore che si asciugava gli faceva fresco, e il mal di capo era quasi scomparso. Sorrise.
«Detto fra noi, la penso come te. Ma non ne parlare finché io non abbia steso il mio rapporto. Mi ha tutta l'aria di un furto con scasso. O'Brien si è trovato davanti a quello, chiunque fosse, che stava svaligiando la camera, e si è preso quell'affare nella tempia.» Diede un'occhiata alla figura immobile. «Chi era? Di che cosa viveva? O'Brien è un nome comune…»
«Era in affari,» disse Tab senza nessuna speciale inflessione di voce.
«Questo non mi dice niente, Fielding. Perché non cerchi di rispondermi più esaurientemente?»
Tab guardò verso la porta chiusa del bagno e si strinse nelle spalle. «Io non so con certezza che cosa facesse. E ho sempre avuto tanto cervello da non occuparmene. Lavorava nei rackets, e anche con la politica. So che un sacco di alti funzionari del Comune venivano qui a trovarlo.»
Andy fece schioccare le dita. «O'Brien! Non sarà mica Big Mike O'Brien?»
«Così lo chiamavano.»
«Big Mike… Allora, non è una gran perdita. Anche se se ne andassero al creatore due o tre altri come lui non ci spiacerebbe affatto.»
«Di questo non so niente.» Tab guardava fisso davanti a sé col viso privo d'ogni espressione.
«Calmati. Ora non lavori più per lui. Il tuo contratto è stato annullato.»
«Ho preso la paga per tutto il mese. Finirò il mio lavoro.»
«Il tuo lavoro è finito nel momento in cui è finito quello lì, disteso sul pavimento. Faresti meglio ad occuparti della ragazza, invece.»
«È quel che farò.» Il suo viso era più rilassato ora e guardò l'investigatore. «Non sarà facile, per lei.»
«Se la caverà,» disse Andy freddamente. Riprese l'agenda e la penna stilografica. «Adesso parlerò io con lei, devo fare un rapporto completo. Rimani nell'appartamento fintanto che non ho finito di interrogare lei e gli impiegati del caseggiato. Se le loro testimonianze concordano, non c'è motivo di trattenerti.»
Rimasto solo con il morto, Andy prese il sacchetto di plastica per le prove e lo infilò sul ferro senza toccare quest'ultimo. Poi lo estrasse dal cranio, impugnandolo attraverso il sacchetto, più in basso che poté. Venne fuori con facilità e solo poche gocce di sangue caddero dalla ferita. Sigillò il sacchetto, poi prese dal letto la federa di un guanciale e vi lasciò cadere il sacchetto col ferro. Ora poteva portarsi in giro il ferro insanguinato senza che nessuno avesse da ridire. E, se non la perdeva d'occhio, poteva riuscire a tenersi la federa. Gettò un lenzuolo sulla salma prima di bussare alla porta del bagno.
Shirl aprì uno spiraglio di pochi centimetri e lo guardò.
«Vorrei parlarvi,» le disse. Poi ricordò che c'era il cadavere sul pavimento dietro di lui. «Non c'è un'altra stanza?»
«Il soggiorno, vi faccio strada.»
Aprì interamente la porta e uscì, camminando anche questa volta lungo la parete senza guardare il pavimento. Tab seduto in anticamera li osservò in silenzio mentre passavano.
«Accomodatevi,» disse Shirl. «Vengo subito.» Ed entrò in cucina.
Andy si sedette sul divano. Era molto molleggiato e pose l'agenda su un ginocchio. Un altro condizionatore ronzava sulla finestra di quella stanza. Le tendine, lunghe fino al pavimento, erano quasi interamente chiuse, e la luce era scarsa ma intima. L'apparecchio della televisione era enorme. Vi erano quadri sulle pareti, e parevano quadri veri. Vi erano libri, un tavolo da pranzo e sedie di un legno rosso strano, molto bello secondo lui.
«Volete bere qualcosa?» gli gridò Shirl dalla cucina, brandendo un lungo bicchiere. «Questa è vodka.»
«Sono in servizio, grazie lo stesso. Un po' d'acqua fresca andrà benissimo.»
Portò i due bicchieri su un vassoio e invece dì porgere a Andy il suo bicchiere lo mise accanto alla sua mano, pressandolo sul bracciolo del divano, di fianco. Quando ritirò la mano, il bicchiere rimase lì, in barba alla legge di gravità. Andy lo tirò a sé e si staccò con un leggero rumore. Vide due cerchi di metallo fusi nel vetro del bicchiere, e pensò vi fossero calamite sotto il tessuto del divano. Molto raffinato. Chissà perché, ciò gli diede fastidio, e dopo aver bevuto un po' d'acqua fredda, molto insipida, pose il bicchiere in terra, accanto ai piedi.
«Vorrei farvi alcune domande,» disse facendo un segno sul suo blocco. «A che ora avete lasciato l'appartamento questa mattina?»
«Alle sette esatte, è l'ora in cui Tab prende servizio. Volevo fare la spesa prima che facesse troppo caldo.»
«Avete chiuso la porta a chiave dietro di voi?»
«La porta è automatica, si chiude da sé, non c'è possibilità di lasciarla aperta, tranne se la bloccate con qualcosa.»
«Era vivo, O'Brien, quando siete uscita?»
Lo guardò con indignazione. «Certo. Dormiva e russava. Cosa credete, che l'abbia ucciso io?» La collera sul suo viso si fece dolore nel ricordare chi giaceva sul pavimento nell'altra stanza. Bevette rapidamente un sorso dal suo bicchiere.
La voce di Tab si fece sentire dalla porta aperta: «Quando ho toccato il signor O'Brien il suo corpo era ancora caldo. Quello che l'ha ucciso deve averlo fatto pochi minuti prima che entrassimo.»
«Va' a sederti e non tornare più qui,» disse Andy secco, senza voltare la testa.
Bevette un po' d'acqua ghiacciata chiedendosi per quale motivo si metteva in collera. Che importanza aveva chi avesse fatto fuori Big Mike? Aveva reso comunque un servizio all'umanità. Tutte le probabilità erano contrarie all'ipotesi che l'avesse ucciso la ragazza. Per quale motivo? La guardò attentamente e lei colse il suo sguardo e voltò la testa, tirandosi la gonna sulle ginocchia, come faceva sempre.
«Ciò che penso io non ha importanza,» le disse, ma neanche lui fu soddisfatto di queste parole. «Vedete, signorina Greene, io sono soltanto un poliziotto che fa il suo lavoro. Rispondete a ciò che vi chiedo, così lo scrivo e lo do al mio tenente che farà il suo bravo rapporto. Personalmente non credo che abbiate nulla a che vedere con questo omicidio. Ma le domande ve le devo fare.»
Era la prima volta che la vedeva sorridere e gli fece piacere. Il naso della ragazza si arricciava un pochino e il suo sorriso diventava largo, cordiale. Era una graziosa bambina, doveva certamente farsela (eh! sì) con chiunque avesse denaro.
Guardò il suo blocco e sottolineò con un tratto pesante la parola Big Mike.
Tab chiuse la porta dietro Andy, quando questo usci dall'appartamento; poi attese qualche minuto, per essere sicuro che non tornasse indietro. Tornato nel soggiorno, rimase in piedi e così vedeva la porta dell'atrio, nel caso si fosse aperta.
«Signorina Shirl, c'è una cosa che vi devo dire.»
Lei stava bevendo il suo terzo grande bicchiere di liquore; ma non pareva che l'alcool facesse effetto. «Cosa c'è?» chiese con voce stanca.
«Non vorrei essere indiscreto, o altro, e non so nulla del testamento del signor O'Brien, ma…»
«Mettiti il cuore in pace, io l'ho visto, il testamento. Lascia tutto alla sorella. Io non sono nemmeno nominata, e nemmeno tu.»
«Non pensavo per me,» disse freddamente, e il suo viso s'indurì. Lei si pentì subito.
«Ti prego, scusa, non la intendevo così. È che mi sento… Come dire? puttanesca. Tutto capita in una volta. Non essere in collera con me, Tab, ti prego…»
«Credo bene, che vi siate sentita un po' cattiva.» Sorrise un attimo prima di frugarsi in tasca. «Immaginavo che sarebbe andata così: non ho da lamentarmi del signor O'Brien, come datore di lavoro, ma era uno che badava ai soldi. Non li sperperava, ecco ciò che voglio dire. Prima che entrasse l'investigatore, ho guardato nel portafoglio del signor O'Brien. Era nella sua giacca. Ho lasciato alcuni D, ma ho preso il resto: eccolo.» Tirò fuori dalla tasca la mano che stringeva un rotolo disordinato di banconote. «Sono vostri, vostri di diritto.»
«Ma io non posso…»
«Dovete. Le cose saranno difficili per voi, Shirl. Ne avrete bisogno più voi della sua famiglia. Non sono segnate da nessuna parte. Sono vostre dì diritto.»
Mise i soldi sul tavolino e lei li guardò. «Forse sì. Sua sorella ne avrà abbastanza anche senza di questi. Ma dobbiamo dividerli.»
«No,» disse brusco, proprio mentre il cicalino annunciava che qualcuno aveva aperto la porta esterna sul corridoio.
«Ministero della Sanità,» disse una voce. E Tab vide due uomini in divisa bianca sullo schermo della TV interna, vicino alla porta. Portavano una barella.
Gli andò incontro e li fece entrare.
«Quanto tempo starai fuori, Charlie?»
«Sono affari miei. Tu sta qui e tieni la fortezza fino al mio ritorno,» borbottò il portiere e si mise ad ispezionare il guardiano in uniforme con uno sguardo che si pretendeva militaresco. «Ho visto molti bottoni dorati più lucidi di così, ai miei tempi.»
«Andiamo, Charlie, sai benissimo che sono fatti di plastica. Se li strofino un po' cadono a pezzi.»
Nella scala gerarchica, poco rigorosa, degli impiegati di Chelsea Park, Charlie era il capo indiscusso. Non era una questione di stipendio, perché quello rappresentava probabilmente la parte più modesta dei suoi introiti. Era invece una questione di posizione e d'ingegno. Charlie era a contatto con gli inquilini più degli altri e questo era un vantaggio che non trascurava. Aveva ottime amicizie, fuori del caseggiato, e qualsiasi cosa gli inquilini avessero bisogno, egli riusciva a procurarla. Dietro compenso, s'intende. Nel caseggiato era simpatico a tutti, e tutti lo chiamavano Charlie. Ai suoi colleghi invece era antipatico, e non aveva mai saputo con quale nome quelli lo chiamassero.
Il godimento di un quartierino semi-interrato nell'edificio stesso, era parte del suo stipendio. Ma l'amministrazione sarebbe stata sorpresa, a dir poco, nel constatare quali e quante modifiche vi erano state apportate. C'era un vecchio condizionatore d'aria ronzante e martellante che abbassava la temperatura di almeno dieci gradi. L'arredamento era costituito da una pittoresca mescolanza di mobili di scarto, raccolti e restaurati per due decenni, e un impressionante numero di armadi chiusi a chiave si allineavano contro le pareti. Contenevano una scorta notevole di scatolame e di bottiglie di liquore, che Charlie non toccava mai personalmente, ma che rivendeva con notevole guadagno agli inquilini. Non ultimo miglioramento, era l'assenza di contatori sia della luce sia dell'acqua. Era l'amministrazione a finanziare, senza saperlo, queste due grosse spese di Charlie.
Occorrevano due chiavi per aprire la porta, ed entrambe erano legate con una catena alla sua cintura. Entrò e appese con cura la sua uniforme nell'armadio. Poi infilò una camicia sportiva, pulita ma molto rammendata. Il nuovo ragazzo dell'ascensore dormiva ancora nel grande letto a due piazze di Charlie, e questi per svegliarlo, diede un calcio ai piedi del letto con una delle sue scarpe taglia 44.
«Alzati, devi essere al lavoro fra un'ora.»
Di malavoglia, ancora assonnato, il ragazzo rotolò fra le lenzuola e uscì dal letto, rimanendo in piedi, nudo e magro, a grattarsi le costole. Charlie sorrise al piacevole ricordo della notte precedente e gli diede un leggero colpetto sul magro sedere.
«Te la passerai bene, ragazzo,» gli disse. «Abbi cura del vecchio Charlie e vedrai che Charlie avrà cura di te.»
«Certo, signor Charlie, certo,» disse il ragazzo cercando di mettere un'intonazione d'interesse nella sua voce. Tutta quella faccenda era nuova per lui e continuava a non garbargli molto, ma gli aveva procurato un lavoro. Sorrise timidamente.
«Ora basta,» disse Charlie dandogli un altro colpetto, più forte questa volta, perché gli lasciò un segno rosso sulla pelle bianca. «Assicurati che la porta sia ben chiusa quando esci, e chiudi il becco sul lavoro.» Charlie uscì di casa.
Per strada faceva molto più caldo di quanto si fosse immaginato e fischiò per fermare un peditaxi. Il lavoro di questa mattina avrebbe dovuto fruttargli di che pagare dozzine di taxi a pedale. Due conducenti si contesero il cliente, ma licenziò il primo perché era troppo mingherlino. Charlie aveva fretta e pesava centoventi chili.
«Empire State Building, all'entrata che dà sulla 34a Strada. E spicciati.»
«Con questo tempo?» mormorò il conducente in piedi sui pedali per mettere il veicolo in moto. «Mi volete vedere morto, generale?»
«Crepa, non m'interessa. Ti darò un D per la corsa.»
«Allora mi volete far crepare di fame? Con un dollaro non andrete oltre la Quinta Avenue.»
Litigarono per quasi tutto il percorso, mentre serpeggiavano nelle vie affollate, gridando per sentirsi l'un l'altro al di sopra del rumore cittadino, al quale erano talmente abituati che non lo notavano più.
A causa delle restrizioni di corrente elettrica e perché non esistevano più pezzi di ricambio, un solo ascensore faceva servizio nell'Empire State Building e saliva sino al 25° piano soltanto. Poi si andava a piedi.
Charlie salì due altri piani e fece un cenno al gorilla seduto ai piedi delle scale che portavano al piano seguente. Era già stato in quel luogo altre volte e l'uomo lo conosceva, come pure gli altri guardiani in capo alle scale. Uno di essi gli aprì la porta.
Il giudice Santini somigliava a un profeta del Vecchio Testamento, per i capelli bianchi, lunghi fino alle spalle; ma non per il linguaggio.
«Sterco, ecco cos'è. Sterco! Io pago un capitale per avere un po' di farina e farmi un piatto di pastasciutta, e tu che ne fai?» Respinse schifato il piatto di spaghetti e si asciugò il sugo dalle labbra con un grande tovagliolo che si era infilato nel collo della camicia.
«Ho fatto del mio meglio,» ribatté sua moglie gridando. Era piccola e bruna, aveva vent'anni meno di lui. «Se volevi la pasta fatta in casa, dovevi sposare una contadina dei tuoi paesi con i piedi piatti e i baffi. Io sono nata qui, come te, in città, a Mulberry Street, e so solo che gli spaghetti si comperano dal droghiere e…»
Lo squillo acuto del telefono interruppe il flusso del suo discorso e la zittì immediatamente. Guardarono entrambi l'apparecchio sullo scrittoio, poi lei voltò le spalle e uscì in fretta dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé. Non vi erano molte chiamate in quei giorni e quelle poche che arrivavano erano sempre importanti e concernevano affari che lei preferiva non sentire. Rosa Santini godeva di tutti gli agi e i piaceri della vita, e meno sapeva sugli affari del giudice Santini, meglio era per lei.
Il giudice si alzò in piedi, si asciugò la bocca di nuovo e posò il tovagliolo sulla tavola. Non si affrettò (no di certo, alla sua età!) ma neanche indugiò. Si sedette alla scrivania, prese un notes nuovo per gli appunti, la penna stilografica, e afferrò il telefono. Era un vecchio apparecchio spaccato in diversi punti e tenuto insieme da nastro adesivo. Il cavo era sfilacciato e quasi rotto.
«Pronto. Santini…» disse, e ascoltò con attenzione. I suoi occhi si dilatarono: «Mike? Big Mike? Dio mio!» Dopodiché non disse altro, solo “sì” o “no”, e quando riattaccò gli tremavano le mani.
«Big Mike» disse il tenente Grassioli, quasi sorridente. Neanche una fitta ammonitrice della sua ulcera riuscì a deprimerlo, come faceva di solito. «Bel lavoro. Qualcuno si è proprio guadagnato la giornata.» Il cacciacopertoni macchiato di sangue era posato sul suo tavolo e lo ammirò come se si trattasse di un'opera d'arte. «Chi è stato?»
«Con molta probabilità si è trattato di un furto con scasso andato male,» disse Andy in piedi davanti al tavolo. Lesse gli appunti del suo blocco, riassumendo brevemente i particolari più significativi. Quando ebbe finito, Grassioli brontolò qualcosa e indicò le tracce di polvere per le impronte sull'impugnatura del cacciacopertoni.
«E questo? Come sono le impronte?»
«Molto chiare, tenente. Pollice e tre dita della mano destra.»
«Qualche probabilità che l'abbia fatto fuori la ragazza, o il suo gorilla?»
«Una possibilità su mille, signore. Nessun motivo valido. Egli li manteneva entrambi, e parevano molto afflitti. Non per lui, penso, ma perché perdevano il posto.»
Grassioli ripose il ferro nel sacchetto e lo porse nuovamente a Andy. «Questo basta, per ora. Un nostro fattorino andrà al Comando Polizia Criminale la settimana prossima; quindi manderai le impronte e una breve relazione sui fatti. Scrivi la relazione sul dorso della cartolina delle impronte, siamo solo al dieci del mese e abbiamo quasi esaurito la nostra razione di carta. Dovremmo anche prendere le impronte della ragazza e della sua guardia del corpo, e mandarle insieme a quelle. Ma accidenti, non c'è tempo. Pazienza. Metti agli atti e dimenticatene. Torna al tuo lavoro.»
Mentre Andy prendeva un appunto sul suo blocco, il telefono squillò. Il tenente alzò il microfono. Andy non prestò attenzione alla conversazione e si era già avviato per uscire quando Grassioli coprendo il microfono con la mano lo richiamò. «Torna indietro, Ruschi» e riprese ad ascoltare attentamente il suo interlocutore.
«Sissignore, benissimo» disse. «Non vi è dubbio che sia stato un tentativo di furto con scasso, l'uccisore ha poi usato lo stesso arnese per farlo fuori. Un cacciacopertoni appositamente affilato.» Ascoltò ancora un momento poi diventò tutto rosso. «Nossignore, non possiamo. Cos'altro potevamo fare? Sì, all'ordine del giorno in permanenza. Nossignore. Benissimo, signore. Assegnerò un investigatore a quel caso.»
«Figlio d'un cane,» disse il tenente, ma solo dopo che ebbe riattaccato il ricevitore. «Hai sbagliato tutto con questo caso, Rusch. Ora torna indietro e vedi di rimettere le cose a posto. Cerca di scoprire come ha fatto l'assassino a introdursi nell'edificio, e se veramente si è trattato di effrazione. Prendi le impronte di quei due sospetti. Manda un fattorino all'archivio criminale con tutte le impronte perché siano esaminate. Voglio sapere tutto dell'assassino, se è schedato. Muoviti.»
«Non sapevo che Big Mike avesse degli amici.»
«Amici o nemici, non m'importa una cicca. Ma qualcuno ci pungola affinché si trovi il colpevole. Quindi sbrigatela il più presto che puoi.»
«Da solo, tenente?»
Grassioli mordicchiò l'estremità della sua penna stilografica.
«No, voglio un rapporto al più presto. Prendi Kulozik con te.» Ruttò dolorosamente e allungò il braccio in fondo al cassetto per prendervi le pillole.
Le dita dell'investigatore Steve Kulozik erano tozze e spesse, e parevano a prima vista prive di agilità. Al contrario erano svelte ed esperte. Egli teneva con la giusta pressione il pollice di Sbirl e lo premeva sulla lastra di ceramica bianca, lasciando un'impronta nitida e senza sbavature, nel quadrato segnato “pollice destro”. Poi, una per una, premette le altre dita sul tampone d'inchiostro poi sulla piastrella, finché ebbe riempito tutti i quadrati.
«Mi volete dire come vi chiamate, signorina?»
«Shirl Greene, con la e finale.» Si guardò le dita macchiate d'inchiostro nero. «E con queste impronte cosa sono diventata, ora, una criminale? Una persona schedata?»
«Niente affatto, signorina Greene.» Kulozik scrisse con cura il nome a stampatello nell'apposito spazio in fondo alla piastrella. «Queste impronte non sono messe in circolazione. Sono usate solamente in relazione a questo delitto. La vostra data di nascita, prego?»
«Dodici ottobre 1977.»
«Grazie, basta per ora.» Fece scivolare la piastrella in una scatola di plastica insieme al tampone, mentre Shirl andava a lavarsi le mani. La cicala della porta d'entrata risuonò.
«Hai preso le sue impronte?» chiese Andy entrando.
«Ho finito.»
«Benissimo, ora non ci rimane che prendere le impronte della guardia del corpo, che è giù nell'atrio ad aspettare. E ho trovato in cantina una finestra che ha tutta l'apparenza di essere stata forzata. Sarà meglio esaminarla e vedere se ci sono impronte digitali. Il ragazzo dell'ascensore ti farà vedere dov'è.»
«Vado,» disse Steve, mettendosi in spalla la cassetta degli attrezzi.
Shirl entrò nella stanza proprio mentre Steve stava per uscire.
«Ora abbiamo un indizio, signorina Greene,» le disse Andy. «Ho scoperto una finestra nella cantina con tracce di scasso. Se vi sono delle impronte digitali uguali a quelle del piè di porco, sarà un indizio veramente valido per affermare che chiunque l'abbia ucciso è entrato nel caseggiato in quella maniera. E confronteremo i segni del piè di porco con quelli lasciati su questa porta. Vi spiace se mi siedo?»
«No,» disse lei, «no di certo.»
La poltrona ben molleggiata e il mormorio del condizionatore facevano di quella stanza un'oasi di delizia in mezzo al bollore della città. Andy si adagiò nella poltrona, e parte della sua ansietà e della sua stanchezza svanirono. Il cicalino della porta si fece di nuovo sentire.
«Scusate,» disse Shirl, e andò a rispondere. Vi fu un mormorio di voci nell'atrio, dietro di lui, mentre faceva rapidamente scorrere i foglietti della sua agenda. La copertina di plastica si era ripiegata su uno dei fogli e parte della sua scrittura si distingueva poco. Ripassò quindi con la penna stilografica alcune lettere, premendo forte in modo che queste fossero nitide e nere.
«E adesso via di qui, brutta, sporca sgualdrina.»
Le parole erano urlate con voce rauca, con toni acuti, stridenti come unghie che graffiano sul vetro. Andy scattò in piedi e ficcò l'agenda nella tasca laterale. «Che cosa succede, laggiù?» disse.
Shirl entrò, rossa e incollerita, seguita da una donna magra dai capelli grigi. La donna si fermò vedendo Andy e gli puntò addosso un dito tremante: «Mio fratello è appena morto, non è neppure seppellito e quella lì ne ha già trovato un altro…»
«Sono un agente di polizia,» disse Andy mostrando il distintivo. «Voi chi siete?»
Lei si raddrizzò, senza però riuscire a sembrare più alta. Un portamento trascurato per anni, e, in più, una dieta indisciplinata, le avevano arrotondato le spalle, incurvato il petto. Due braccia scarne pendevano dalle maniche molto consumate del suo abito da casa colore del fango. Il suo viso, ora coperto di sudore, era più grigio che bianco, la tipica pelle dell'abitante di città che odia la luce. L'unica cosa che lo coloriva era la polvere della strada. Parlando, le sue labbra si aprivano appena, erano una stretta fessura, e sputavano parole come la macchina da stampa sputa le lettere metalliche, richiudendosi istantaneamente, per il timore di pronunziare una parola in più del necessario. Solo gli occhi azzurri come l'acqua avevano parvenza di vita, e ora lanciavano saette.
«Sono Mary Haggerty, sorella del povero Mike e unica sua parente consanguinea. Sono venuta per occuparmi delle sue cose, mi ha lasciato tutto per testamento, me l'ha detto l'avvocato, e ora me ne devo occupare io. Quella sgualdrina deve andarsene. Gli ha già arraffato abbastanza.»
«Un momento,» intervenne Andy, interrompendo quella cascata di parole. Lei chiuse la bocca come una trappola, respirando affannosamente dalle narici dilatate. «Nulla può essere toccato o portato via da questo appartamento senza l'autorizzazione della polizia; non datevi quindi pensiero per la vostra roba.»
«Non potete dire questo finché lei è qui» strillò la vecchia e si voltò verso Shirl. «Quella lì si porta via e si vende tutto quello che non è elencato. Il mio buon fratello…»
«Il vostro buon fratello!» urlò Shirl. «Lo odiavate e lui vi odiava. Non siete mai venuta nemmeno a cento metri da questa casa finché c'è stato lui, vivo.»
«Basta,» disse Andy mettendosi in mezzo alle due donne. Si volse verso Mary Haggerty. «Voi potete andare, ora. La polizia vi farà sapere quando l'appartamento sarà a vostra disposizione.»
Era esterrefatta. «Ma… voi non potete fare questo. Io ho i miei diritti, non potete lasciare qui dentro quella p…»
La pazienza di Andy stava per esaurirsi.
«Attenta a come parlate, signora Haggerty. Avete usato quel vocabolo troppo spesso. E non dimenticate in quale maniera si guadagnava da vivere vostro fratello.»
«Mio fratello faceva degli affari, era un uomo d'affari» disse debolmente.
«Vostro fratello lavorava in traffici speciali, il che, fra le altre cose, include anche le donne.»
Svuotata della collera che la teneva eretta, la donna si afflosciò, sgonfiandosi di colpo, e divenne sottile e ossuta. L'unica cosa tonda del suo corpo era la pancia, ingrossata da troppi anni dì cibo inadatto e da numerose maternità.
«Perché non ve ne andate, ora?» le disse. «Vi avviseremo appena possibile.»
La donna voltò le spalle e uscì senza aggiungere nulla. Andy era seccato di aver perso la pazienza e di aver parlato più del necessario. Ma non c'era modo di tornare indietro.
«Volevate dire che… Cos'avete detto a proposito di Mike?» chiese Shirl dopo che la porta fu richiusa. Con il suo vestitino bianco, i capelli tirati indietro, pareva molto giovane e anche molto ingenua a dispetto della qualifica che Mary Haggerty le aveva appioppato. L'ingenuità pareva più vicina al vero di quelle accuse.
«Da quanto tempo conoscevate O'Brien?» chiese Andy, eludendo la domanda per il momento.
«Da circa un anno, ma non parlava mai di lavoro. Io non facevo domande, pensavo che fosse più o meno invischiato con la politica; giudici e uomini politici lo venivano a trovare di continuo.»
Andy prese il blocco. «Vorrei i nomi dei visitatori abituali, quelli che egli ha visto durante l'ultima settimana.»
«Ora mi fate delle domande, e non avete risposto alla mia.» Shirl sorrise dicendoglielo, ma egli capiva che non scherzava. Si sedette su una sedia, le mani in grembo e pareva una scolaretta.
«Non posso darvi molti particolari,» disse lui, «perché non so gran che di preciso su Big Mike. Ciò che so per certo è che serviva in qualche modo da intermediario fra i sindacati e la politica. A livello direttoriale, immagino si dovrebbe dire. E sono già trent'anni che non era più stato in tribunale o dietro le sbarre.»
«Volete dire… è stato in prigione?»
«Sì. Ho verificato. Ha dei precedenti, anche un paio di condanne. Di recente, nulla, però. Sono solo i pollastri a farsi prendere e processare. Una volta entrati a far parte della cerchia di Mike, la polizia non vi tocca più; anzi, vi aiuta… come in questa indagine.»
«Non capisco.»
«Sentite, a New York, ogni giorno ci sono cinque o dieci omicidi, duecento aggressioni, venti o trenta casi di stupro, e almeno millecinquecento furti con scasso. I poliziotti sono scarsi di numero e sovraccarichi di lavoro. Non possiamo seguire alcun caso che non si chiuda appena aperto. Se qualcuno viene ucciso e vi sono testimoni, benissimo, si acciuffa l'assassino e il caso è chiuso. Ma in una faccenda come questa, francamente, signorina Greene, non tentiamo nemmeno di cercare l'assassino; a meno che identifichiamo le impronte e che queste appartengano ad un individuo schedato. Ma probabilmente questo non lo è. La città ha un milione di bulletti che ricevono il sussidio di disoccupazione, e vorrebbero un pasto normale, una televisione o un bicchiere di alcool. E così tentano la via del furto con scasso per farsi qualche soldo. Ne prendiamo alcuni, li mandiamo al lavoro coatto, più a nord, dove vanno a spaccare i vecchi parcheggi per farne terra coltivabile. Ma la maggior parte la fa franca. Di tanto in tanto capita una disgrazia, uno che arriva a casa mentre ci sono i ladri, li sorprende mentre stanno facendo piazza pulita. Se il ladro è armato, forse ci scappa il morto. Proprio per caso, capite, e vi sono novantanove probabilità su cento che qualcosa del genere sia capitato a Mike O'Brien. Io ho raccolto le testimonianze, ho fatto il mio rapporto, e il caso doveva normalmente finire qui… se si fosse trattato di un altro. Ma, come vi ho detto, Big Mike aveva degli amici nella politica, e uno di questi sta facendo pressione sulla polizia perché l'indagine prosegua. Per questo sono qui. Ebbene, vi ho detto più di quanto avrei dovuto, e ora mi fate il piacere di dimenticarlo.»
«Non lo dirò a nessuno. E adesso?»
«Io vi farò ancora qualche domanda, poi me ne andrò a stendere un rapporto, e basta. Tutto qui. Un sacco di lavoro arretrato mi si sta accumulando alle spalle e il mio ufficio ha speso in quest'indagine più tempo di quanto si possa permettere.»
Shirley era scandalizzata. «Non cercherete neanche di arrestare l'uomo che l'ha ucciso?»
«Se le impronte sono nello schedario, sì. Altrimenti non abbiamo neanche una probabilità di acciuffarlo. E non tenteremo neppure. A parte il fatto che non abbiamo tempo, riteniamo che chiunque abbia fatto fuori Mike abbia reso un servizio alla società.»
«Ma è terribile!»
«Davvero? Già. Può darsi.» Aprì l'agenda e riprese il tono ufficiale. Aveva terminato il suo interrogatorio quando Kulozik tornò con le impronte prese sulla finestra della cantina, e insieme lasciarono l'edificio. Dopo l'aria fresca dell'appartamento, quella della strada li colpì come una vampa uscita dal portello aperto di un altoforno.
Era passata la mezzanotte di una notte senza luna, ma il nero del cielo non poteva rivaleggiare col nero stupendo del lungo tavolo da refettorio, di mogano lucidissimo. Era appartenuto, parecchi secoli prima, a un monastero ora distrutto, e valeva molto, come del resto tutto l'arredamento di quella stanza: credenza, quadri e lampadario di cristallo appeso al centro del soffitto. Chi non valeva niente, invece erano i sei uomini seduti intorno al tavolo eccezion fatta della loro importanza finanziaria, che in verità non era poca. Due di essi fumavano dei sigari, e il sigaro meno costoso che si potesse comperare costava almeno dieci D.
«Non state a leggere tutto il rapporto parola per parola, vi prego, giudice,» disse l'uomo a capo tavola. Se qualcuno fra i presenti sapeva il suo vero nome, si guardava bene dal pronunciarlo. Egli si faceva chiamare signor Briggs, ed era lui il capo.
«Certo, signor Briggs, non sarà difficile,» disse il giudice Santini, e tossì nervosamente dietro il palmo della mano. Non gli piacevano simili riunioni all'Empire State Building. Come giudice non doveva farsi vedere troppo spesso in compagnia di quella gente. Inoltre c'era molto da salire nel palazzo e doveva stare attento al cuore, specialmente col caldo. Bevette un sorso d'acqua dal bicchiere postogli di fronte, e spostò gli occhiali in giù sul naso per poter leggere meglio.
«Ecco più o meno il riassunto della faccenda. Big Mike è stato ucciso istantaneamente da un colpo alla tempia, infertogli con una leva da copertoni affilata all'estremità, che era ugualmente servita a forzare la porta dell'appartamento. I segni rilevati su una finestra della cantina, ugualmente forzata, fanno pensare che l'uccisore si sia introdotto nel caseggiato da quella parte. Vi erano impronte chiare sulla leva e sulla finestra della cantina, le stesse impronte. Queste impronte, per ora almeno, appartengono a una persona sconosciuta, non si identificano con nessuna impronta schedata presso il casellario centrale e neanche con quelle della ragazza di O'Brien o della sua guardia del corpo, i due che hanno scoperto il cadavere.»
«E chi cavolo è stato, allora?» uno dei presenti chiese fra denti e sigaro.
«Il parere ufficiale è… insomma, morte per disgrazia, si potrebbe dire. Si ritiene che qualcuno stesse svaligiando l'appartamento e che Mike lo abbia sorpreso, e sia stato ucciso nella colluttazione.»
Due dei presenti stavano per fare domande, ma tacquero subito quando Briggs cominciò a parlare. Aveva gli occhi tristi e seri di un cane segugio, e perfino le palpebre cadenti e le guance afflosciate di quel tipo di cane. Il suo doppio mento sussultava mentre parlava.
«Che cosa manca dall'appartamento?»
Santini si scrollò nelle spalle. «Nulla, che si sappia. La stanza da letto era tutta sottosopra, ma si vede che il ladro è stato sorpreso prima di terminare il suo lavoro ed è scappato preso dal panico. Non è improbabile.»
Il signor Briggs meditò su questo punto, ma non aveva altre domande da fare. Alcuni altri invece chiesero chiarimenti e Santini disse loro ciò che si sapeva. Il signor Briggs rifletté un momento e poi chiese il silenzio alzando un dito.
«Sembra quindi che l'uccisione sia stata involontaria, nel qual caso a noi non interessa più. Abbiamo bisogno che qualcuno prenda il seguito del suo lavoro. Che cosa c'è, giudice?» chiese seccato dell'interruzione.
Santini era tutto sudato. Voleva sistemare la faccenda al più presto per poter tornare a casa. Era l'una dopo mezzanotte ed era stanco. Non era più abituato a far tardi. Ma c'era un particolare che doveva pure menzionare. Poteva essere interessante, e se più tardi veniva fuori che lui, pur sapendolo, l'aveva taciuto… Era meglio parlarne subito.
«C'è un'altra cosa che devo dire. Forse ha un significato, forse no, ma penso che si debba sapere ogni particolare prima di…»
«Avanti, giudice,» disse Briggs freddamente.
«Sì, certo. Si tratta di un segno fatto su una finestra. Dovete sapere che tutte le finestre della cantina sono coperte di polvere all'interno, e che nessuna delle altre finestre è stata toccata. Ma su quella finestra forzata col piè di porco, dalla quale si presume sia entrato l'assassino, vi è un disegno tracciato con un dito sul vetro polveroso. Un cuore.»
«E che diavolo volete che significhi?» borbottò uno dei presenti.
«Nulla per voi, Schlacht, poiché siete di origine tedesca. Ora io non garantisco che significhi qualcosa, può essere una semplice coincidenza, senza alcun significato. Ma per l'esattezza, vi dirò che in italiano Cuore è un nome… e un cognome.»
L'atmosfera nella stanza mutò istantaneamente, si elettrizzò. Alcuni dei presenti si drizzarono sulla sedia, ci fu un fruscio di corpi spostati. Il signor Briggs non si mosse, sebbene i suoi occhi si fossero fatti piccoli. «Cuore,» disse lentamente. «Non credo abbia tanta faccia tosta da voler tentare di lavorare nella nostra città.»
«Ha già abbastanza da fare a Newark. Qui si è bruciato le dita una volta, non si azzarderà una seconda.»
«Forse. Ma ha un po' perso la testa. Mi hanno detto che si droga con l'L. S. D. Potrebbe fare qualsiasi cosa.»
Il signor Briggs tossì e tutti tacquero all'istante. «Daremo un'occhiata a questa faccenda,» disse. «Vedremo se Cuore sta cercando di penetrare nella nostra area, o se qualcuno sta cercando di darci fastidio addossando la colpa a lui. In entrambi i casi, dobbiamo saperlo. Giudice, abbiate cura che l'indagine prosegua.»
Santini sorrise, ma le sue dita erano intrecciate strettamente sotto il tavolo.
«Non dico di no, badate, non dico che sia impossibile; dico solo che sarà molto difficile. La polizia ha scarsi effettivi, non possiede il personale necessario per una indagine esauriente. Se io faccio pressione, mi chiederanno perché. E dovrò dare delle spiegazioni. Posso far assegnare degli investigatori a questo caso, contattare delle persone, ma non credo che possiamo esercitare pressioni sufficienti a prolungare le indagini.»
«Voi non potete esercitare, giudice,» disse il signor Briggs con voce tranquillissima. Le mani di Santini ora tremavano. «Ma io non pretendo l'impossibile da nessuno. Mi occuperò io stesso di questa faccenda. Vi sono un paio di persone alle quali posso chiedere personalmente un aiuto. Voglio proprio sapere che cosa sta succedendo.»
Attraverso la finestra aperta entravano a ondate il caldo, il puzzo e il rumore della città, un rombo a molte voci che cresceva e decresceva con la martellante costanza delle onde che si infrangono su una spiaggia, in un boato senza fine.
A mo' di puntuazione, in contrasto col sottofondo rumoroso, si udì un tintinnio di vetri rotti e una caduta di pezzi di metallo. Delle grida si alzarono e nello stesso tempo si udì un urlo lunghissimo.
«Che c'è? Che c'è?» brontolò Solomon Khan, agitandosi nel letto e strofinandosi gli occhi. Quei vagabondi! Non quietavano mai un momento, non gli lasciavano mai fare un sonnellino in pace. Si alzò e andò alla finestra trascinando i piedi; ma non vide niente. Le grida si udivano ancora. Chissà cos'era stato, quel rumore? Un'altra scala di sicurezza caduta a pezzi? Era un incidente comune, ma se comportava qualche immagine sensazionale lo mostravano perfino in TV. Probabilmente non si trattava di questo. Erano soltanto ragazzi che spaccavano vetrine o qualcosa del genere. Il sole era scomparso dietro gli edifici ma l'aria era ancora calda e nauseabonda.
«Tempo schifoso,» mormorò mentre si dirigeva verso il lavandino. Perfino le assi del pavimento gli scottavano sotto la pianta dei piedi scalzi. Si asciugò il sudore con la spugna bagnata e accese la televisione sull'emittente di musica. Un ritmo di jazz riempì la stanza e lo schermo indicò “18,47” e sotto, in piccole cifre, “6,47 p. m. “, per gli ignoranti che non erano stati in grado, in tanti anni, di imparare la divisione del tempo in ventiquattr'ore anziché dodici. Erano quasi le sette e Andy era in servizio diurno, oggi; il che voleva dire che alle sei avrebbe dovuto smettere. Ma era difficile che li lasciassero liberi in orario. Comunque, era ora di preparare la cena.
«Per fortuna l'esercito mi ha dato una istruzione da quindicimila dollari, facendomi fare il meccanico dell'aeronautica,» disse accarezzando il fornello. «È il migliore investimento che il governo abbia mai fatto.» Quel fornello era nato sotto forma di fornello a gas di città; poi l'aveva adattato al combustibile in bombole quando la società del gas aveva cessato l'erogazione; in seguito vi aveva inserito un elemento elettrico di riscaldamento, perché anche la fornitura di bombole era venuta a mancare. Il giorno in cui l'erogazione della corrente era diventata troppo irregolare (e costosa) per essere utilizzata in cucina, egli aveva installato un serbatoio a pressione con un getto variabile, in grado di utilizzare qualsiasi liquido infiammabile. Per un certo numero di anni aveva funzionato bene, con il kerosene, il metanol, l'acetone e mezza dozzina di altri carburanti, a turno, ribellandosi solamente (e moderatamente) alla benzina avio, che aveva prodotto una fiamma lunga un metro, bruciacchiando tutta la parete prima che Sol fosse riuscito a regolarla. L'ultima modifica era stata la più semplice. E la più triste. Aveva fatto un bel buco tondo in fondo alla parete posteriore del fornello e vi aveva installato un tubo di camino facendolo uscire da un foro praticato nel muro di mattoni. Quando si era costruito poi una grata per combustibile solido dentro il forno stesso, aveva aggiunto un'altra apertura nella parte isolante superiore del fornello, per lasciare uscire il calore.
«Perfino le ceneri puzzano di pesce,» si lamentò, mentre spazzava il sottile strato di ceneri polverose del giorno prima. Le buttò dalla finestra, e divennero subito un'enorme nuvola grigia. Si sentì esilarato udendo l'urlo di protesta proveniente dalla finestra del piano di sotto. Ribatté subito: «Non vi piace, eh? Dite ai vostri ragazzi di non tenere aperta a tutto volume la TV tutta la notte, e allora io smetterò di buttare la cenere fuori della finestra.»
Questo scambio di gentilezze lo metteva sempre di buon umore, e cominciò a canticchiare i motivi dello Schiaccianoci che aveva sostituito sullo schermo l'anonimo jazz di qualche minuto prima; ma uno scoppiettio di parassiti interruppe improvvisamente la musica, sommergendola. Egli imprecò a mezza voce e corse all'apparecchio TV, gli diede un colpetto col pugno, senza alcun risultato. Lo schermo non si rianimò e dovette spegnerlo, con rammarico. Imprecava ancora quando si chinò ad accendere il fornello.
Sol mise tre mattoni oleosi dì carbone d'alghe sulla grata e prese il suo vecchio accendino. Era un buon accendino, quello. Lo aveva comperato al magazzino militare. Quando? Mah! Forse cinquant'anni prima. Logicamente ogni sua parte o quasi era stata sostituita, in tutti quegli anni; ma di accendini come quello non se ne facevano più. Peggio ancora, non se ne facevano affatto, di nessun altro tipo. Il carbone marino crepitò e si accese. Ardeva con una piccola fiamma azzurra. Puzzava di pesce, e ora anche le sue mani puzzavano: le sciacquò. Quel combustibile era teoricamente fatto con gli scarti di cellulosa residuati dalla fermentazione alcoolica, seccati e impregnati di un olio grezzo di plancton, che aiutava ad ardere. Dicevano invece che fosse fatto di interiora di pesci seccati e pressati provenienti dalla fabbrica di pesce in scatola, e lui preferiva questa versione, vera o no, alla versione ufficiale.
Il suo giardino in miniatura cresceva bene dietro la finestra. Colse l'ultimo rametto di salvia e lo sfogliò sul tavolo per farlo seccare, poi alzò il foglio di plastica per constatare il progresso delle cipolle. Venivano su bene e presto si sarebbero potute mettere sott'aceto. Mentre si lavava le mani nel lavandino osservò la sua barba nello specchio.
«Sol,» disse alla sua immagine, «la tua barba ha bisogno di essere tagliata. Ma è quasi buio e aspetteremo domattina. Però una buona pettinata, prima di cambiarmi per la cena, non farebbe male a nessuno.» Si passò diverse volte il pettine sulla barba, poi lo mise da parte e frugò nel guardaroba per estrarne un paio di calzoncini corti. Quei calzoncini avevano visto la luce molti anni prima sotto forma di pantaloni kaki dell'esercito; poi erano stati accorciati e talmente rammendati da non serbare alcuna somiglianza con l'indumento originale. Li stava infilando quando qualcuno bussò alla porta. «Sì,» gridò «chi è?»
«Alcover Electronic,» disse una voce smorzata.
«Credevo foste morti o che la ditta si fosse incendiata,» disse Sol aprendo la porta. «Sono più di due settimane che vi ho chiamato e mi avete assicurato una riparazione urgente del televisore, riparazione che ho pagato in anticipo.»
«L'elettrone va così,» disse il meccanico con calma, gettando la valigia degli attrezzi sul tavolo. «In questo vecchio televisore una valvola è guasta e diversi pezzi sono consumati. Che ci posso fare? Quelle valvole non le fabbricano più, e se anche lo facessero, io non le potrei comperare perché sarebbero assegnate in priorità.» Parlava e intanto lavorava. Portò il televisore sul tavolo, ne svitò la parte posteriore. «Perciò, sapete che cosa mi tocca fare per aggiustare un apparecchio? Vado dai rigattieri che smontano le TV usate in Greenwich Street e passo un paio d'ore a frugare. Non trovo la valvola, ma trovo un paio di transistor e monto un circuito che ne farà la veci. Non è facile, ve l'assicuro.»
«Ma guarda! Mi sanguina il cuore per te,» disse Sol, sorvegliando con diffidenza l'operaio che toglieva la parte posteriore del televisore ed estraeva la valvola.
«Guasta,» disse l'uomo, guardandola gravemente prima di gettarla nella scatola degli attrezzi. Dal cassetto superiore di questa prese un rettangolo di plastica sottile sul quale alcune parti di ricambio erano state fissate, e cominciò a inserirle nel circuito TV. «Tutto fatto in casa,» disse. «Devo saccheggiare i vecchi televisori antiquati per mantenere in efficienza dei televisori ancora più vecchi. Devo perfino fondere e trafilare io stesso il filo da saldare. Per fortuna, dovevano esserci un paio di miliardi di televisori, nel nostro paese e, tra questi, un sacco dei modelli più recenti hanno circuiti stampati.» Accese il televisore, e la musica tuonò nella stanza. «Ecco fatto. Sono quattro D per la mono d'opera.»
«Ladro!» disse Sol. «Vi ho già dato trentacinque dollari.»
«Quelli erano per le parti di ricambio. La mano d'opera è in più. Per godersi i piccoli piaceri della vita bisogna essere disposti a pagarli.»
«Mi occorre solo la riparazione,» disse Sol porgendo il denaro. «Della vostra filosofia faccio a meno. Siete un borsaiolo.»
«Io invece mi ritengo solo uno spogliatore di tombe elettroniche,» disse l'operaio, intascando le banconote. «Se volete vedere dei ladri veri venite con me dai demolitori di apparecchi radio.» Si gettò a tracolla la cassetta degli attrezzi e uscì.
Erano quasi le otto. Pochi minuti dopo una chiave girò nella serratura e Andy entrò, stanco e accaldato.
«Hai proprio il sedere pesante,» disse Sol.
«Vorrei vedere il tuo, dopo una giornata come questa. Non puoi accendere un po'? Qui dentro è buio come in un forno.» Si trascinò sino alla poltrona accanto alla finestra e vi si lasciò cadere.
Sol accese la lampada al centro della stanza e aprì il frigorifero. «Niente Gibson, stasera. Sto razionando il vermouth finché non riesco a farne dell'altro. Ho il coriandolo, la radice di iris e tutto il resto, ma prima devo fare seccare un po' di salvia, non è buono senza la salvia.» Prese una caraffa brinata e richiuse il frigorifero. «Ma ho messo un po' d'acqua a ghiacciare e l'ho tagliata con un po' di alcool che ti brucerà la lingua in modo che tu non senta il sapore dell'acqua, e inoltre ti ridarà energia.»
«Fammi assaggiare!» Andy sorseggiò la bibita e riuscì ad emettere un sorriso riluttante. «Mi spiace di averti risposto male, ma ho avuto una giornata d'inferno. E non è finita!» Annusò per l'aria. «Cosa c'è di buono in pentola?»
«Esperimento di economia domestica. E non mi è costato nulla, con le tessere della Previdenza. Forse non te ne sei accorto, ma il nostro bilancio alimentare va a rotoli, da quando c'è stato l'ultimo aumento.» Aprì un cestino e mostrò a Andy una sostanza granulare che c'era dentro. «È un nuovo miracoloso prodotto fornito dal nostro generoso governo e chiamato Ener-Gi-A. Che te ne pare, come nome? Caniccio e odioso, no? Contiene vitamine, minerali, proteine, carboidrati…»
«Tutto, tranne un sapore…»
«Più o meno. L'ho messo nei fiocchi d'avena. Dubito che li possa peggiorare, perché in questo momento comincio a odiare anche i fiocchi d'avena. Questa porcheria, l'Ener-Gi-A, è l'ultimo ritrovato della scienza. La balena del plancton…»
«La… che cosa?»
«Va bene che non apri mai un libro, ma la TV, non la guardi mai? C'è stato un programma di un'ora, sull'argomento della balena del plancton. Un sottomarino atomico trasformato in laboratorio, procede in mare come se fosse una balena, aspirando il plancton, quei microscopici organismi di cui (ti meraviglierà saperlo) la balena si nutre. Voglio dire le tre balene rimaste ancora al mondo. I più piccoli organismi esistenti, che fanno vivere i più grossi. Bel simbolo, non trovi? Comunque, il plancton viene aspirato sino a un setaccio, l'acqua è risputata fuori, e il plancton viene pressato in piccole mattonelle e stivato nel sottomarino fino a carico completo, dopodiché torna a terra, lo scaricano, poi ti manipolano quelle mattonelle di plancton e viene fuori l'Ener-Gi-A.»
«Signore Iddio! Scommetto che puzza di pesce.»
«Scommessa non raccolta.» Sol sospirò poi servì i fiocchi d'avena. Mangiarono in silenzio. L'avena con l'Ener-Gi-A non era poi così cattiva come aveva temuto, ma neanche molto buona. Appena terminata, Sol si sciacquò la bocca con la miscela di acqua e alcool.
«Cosa dicevi, che la giornata non è ancora finita?» chiese Sol. «Hai turno doppio, quest'oggi?»
Andy tornò accanto alla finestra. Un leggero alito di vento agitava l'aria umida ora che il sole era tramontato. «Più o meno. Sono stato assegnato a un servizio speciale per un po' di giorni. Ti ricordi quel delitto di cui ti avevo parlato?»
«Big Mike, la canaglia? Chiunque l'abbia ammazzato è un benemerito dell'umanità.»
«La penso anch'io così. Ma le sue amicizie politiche sono più interessate di noi nella faccenda. Hanno interpellato qualche pezzo grosso, hanno tirato alcuni fili e così il commissario ha telefonato di persona al tenente e gli ha detto di assegnare a quel delitto un agente investigatore, a tempo pieno, per scoprire il colpevole. Siccome il rapporto l'avevo firmato io, sono stato assegnato al caso in questione. E Grassy, quel porco, me l'ha detto solo al momento in cui ho timbrato il cartellino d'uscita. Mi ha affidato l'incarico e mi ha caldamente raccomandato di mettermi al lavoro subito, insomma già da questa sera. Cioè adesso…» Si alzò stiracchiandosi.
«È una bella prospettiva, no?» disse Sol strofinandosi la barba. «Lavoro indipendente, padrone di te stesso, lavori quando vuoi, e ti copri di gloria.»
«Mi coprirò di ben altro se non trovo qualcosa al più presto. Sono tutti lì, col fucile spianato, fanno pressione sulla polizia perché le ricerche proseguano. Grassy me l'ha detto chiaramente: o trovo subito il colpevole, o torno a rimettermi la divisa di agente di pattuglia e vado a perlustrare Shiptown.»
Andy si recò nella sua camera e aprì il lucchetto dell'ultimo cassetto del canterano. Vi teneva una scorta di munizioni, un certo numero di documenti personali e i ferri del mestiere, come la torcia elettrica di dotazione. Era una di quelle torce a generatore meccanico, che funzionava comprimendolo su e giù col dito, e quando Andy la provò, ebbe la conferma che emetteva un buon raggio luminoso.
«E ora dove vai?» chiese Sol quando Andy uscì di nuovo. «All'assalto della fortezza?»
«Per fortuna che tu non sei un poliziotto, Sol. Con le tue nozioni in fatto di investigazione criminale, in città si commetterebbero delitti a man salva…»
«Non se la cavano mica male anche senza il mio aiuto.»
«… e noi saremmo assassinati nel nostro letto. Niente assalto alla fortezza, io vado ad interrogare la ragazza.»
«Ah! La cosa diventa interessante! Posso chiederti quale ragazza?»
«Una tale di nome Shirl. Un pezzo di figliola. Era l'amica di Big Mike, viveva con lui, ma non era in casa quando l'hanno fatto fuori.»
«Ti occorre un assistente? Guarda che sono in gamba io, per il lavoro notturno.»
«Piantala Sol, non sapresti che farne, se l'avessi qui. Non gioca nel nostro girone. Bagnati i polsi con l'acqua fredda e vai a dormire.»
Con la torcia accesa, Andy evitò i mucchi di rifiuti e altri detriti gettati nel pozzo delle scale. Fuori, la folla e il caldo erano quelli di sempre. Riempivano la strada giorno e notte. Si augurava un bell'acquazzone, che cacciasse l'uno e l'altra, ma il bollettino meteorologico non prometteva nulla di simile. Diceva: nessun cambiamento.
Charlie gli aprì la porta di Chelsea Park con un educato: «Buonasera, signore.» Andy si diresse all'ascensore, poi cambiò idea e proseguì verso le scale. Voleva dare un'occhiata alla finestra della cantina di notte per vederla sotto la stessa luce in cui l'aveva vista il ladro quando era entrato. Sempreché fosse entrato in quella maniera. Ora che gli era stato ufficialmente assegnato il compito di scoprire l'assassino, doveva vagliare ogni particolare in modo esauriente e cercare di ricostruire tutto il delitto. Era possibile arrivare dall'esterno sino alla finestra senza essere veduto? In caso negativo il delitto era stato preordinato all'interno, e allora si dovevano interrogare gli impiegati dell'amministrazione e tutti gli inquilini.
Si fermò, silenzioso, e prese la rivoltella. Attraverso la porta socchiusa della cantina vide la luce intermittente di una torcia elettrica. Era proprio nella stanza in cui si trovava la finestra scassinata. Avanzò lentamente, posando con cura i piedi sul pavimento irregolare di cemento per non fare alcun rumore. Entrando vide qualcuno contro la parete opposta che dirigeva la luce di una torcia sulla fila delle finestre, una figura scura che si profilava contro il cerchio giallo della luce. La luce si mosse sulla finestra successiva, tentennò e si fermò sul cuore che era stato tracciato sul vetro polveroso. L'uomo si chinò ed esaminò la finestra, così assorto nella sua osservazione che non sentì i passi di Andy che attraversava il locale, fermandosi dietro di lui.
«Non vi muovete, c'è una rivoltella puntata su di voi,» disse Andy toccando l'uomo con la punta dell'arma. La torcia cadde e si ruppe. Andy imprecò e tirò fuori la sua, premendo col dito per farla funzionare. Il raggio di luce colpì il viso di un vecchio signore, che aveva la bocca spalancata dal terrore, e la pelle sbiancata, di colpo, come i suoi lunghi capelli d'argento. L'uomo si addossò al muro, ansando, e Andy ripose la rivoltella nel fodero, poi afferrò per un braccio il vecchio che scivolò lungo il muro fino a sedersi in terra.
«Lo shock… improvvisamente…» mormorò «Non dovevate fare così. Chi siete?»
«Sono un ufficiale di polizia. Come vi chiamate e che cosa fate qui?»
Andy lo tastò rapidamente. Non era armato.
«Io sono un… funzionario civile… la mia identità… eccola.»
Con fatica tirò fuori il portafoglio, Andy glielo prese e l'apri.
«Giudice Santini,» disse, riportando il raggio di luce dalla tessera d'identità al viso del vecchio. «Sì, vi ho visto in tribunale. Ma non vi sembra un luogo strano, questo, per un giudice?»
«Giovanotto, niente impertinenze.» La prima reazione era passata e Santini aveva ripreso il proprio controllo. «Credo di conoscere a sufficienza le leggi di questo stato sovrano, e non ne vedo alcuna che si possa applicare in questa situazione. Vi consiglio di non abusare della vostra autorità.»
«Si tratta di un'investigazione per omicidio. Chi mi dice che non stiate cancellando delle prove? Per me basterebbe questo a portarvi dentro.»
Santini sbatteva le palpebre nel lume della torcia, e distingueva solo le gambe dell'uomo che gli stava davanti. I calzoni erano kaki, non quelli della divisa blu. «Siete l'investigatore Rusch?»
«Sissignore,» rispose Andy, sorpreso. Abbassò la luce in modo da non accecare il giudice. «Che cosa sapete di questa faccenda?»
«Sarò felice di dirvelo, caro mio, se mi farete uscire di qui e se mi trovate un posto più comodo per la nostra chiacchierata. Perché non andiamo da Shirl? Conoscete la signorina Greene, certamente. Lassù farà molto più fresco e vi dirò con piacere tutto ciò che so.»
«È un'idea,» disse Andy aiutandolo ad alzarsi. Il giudice non aveva intenzione di scappare, e probabilmente aveva qualche incarico ufficiale nella faccenda, altrimenti come avrebbe fatto a sapere che Andy era stato incaricato dell'inchiesta? Il delitto pareva interessare la politica più della polizia, e Andy era furbo abbastanza per comportarsi con la dovuta prudenza.
Presero l'ascensore in cantina, e l'occhiata inflessibile di Andy fugò l'espressione di curiosità dipinta sul viso del lift. Il giudice pareva rimettersi, ma si dovette appoggiare sul braccio di Andy per attraversare il pianerottolo.
Shirl aprì la porta. «Giudice! Che cosa succede?» chiese, con gli occhi sbarrati.
«Nulla, mia cara, solo uno scherzo del caldo. Stanchezza. Non ringiovanisco, sai, proprio no.» Si raddrizzò, riuscendo a nascondere lo sforzo che ciò gli richiedeva e lasciò il braccio di Andy per prendere con disinvoltura quello della ragazza. «Ho incontrato qui fuori l'investigatore Rusch, ed è stato così gentile da accompagnarmi fin qui. Ora, se permetti, mi avvicino a quel condizionatore e mi riposo un momento…» Si avviarono per il corridoio e Andy li seguì.
La ragazza era proprio carina, vestita come se dovesse figurare in un programma della televisione. Il suo abitino era fatto di una stoffa scintillante, come se vi fossero intessuti fili d'argento, ma che appariva morbida nello stesso tempo. Era senza maniche, scollato davanti e ancor più scollato dietro, fin quasi alla cintola, constatò Andy. I capelli pettinati all'indietro le ricadevano sulle spalle in una sola, luminosa onda rossa. Anche il giudice la guardava con la coda dell'occhio mentre lei lo guidava verso il divano.
«Sei sicura che non ti disturbiamo, Shirl?» chiese. «Sei vestita da sera, stavi per uscire?»
«No,» disse. «Stavo a casa, da sola. Per la verità, cerco di tirarmi su il morale. Questo vestito non l'avevo mai indossato. È una novità, nylon, credo, con delle piccole scaglie di metallo.» Prese un cuscino, lo rassodò con due pugni e lo spinse dietro le spalle del giudice Santini. «Vi posso offrire qualcosa di freddo da bere? Anche a voi, signor Rusch?» Era la prima volta che mostrava di averlo notato, e lui assentì silenziosamente.
«Un'ottima idea.» Il giudice sospirò e si adagiò sui cuscini. «Se possibile qualcosa con dell'alcool.»
«Oh, sì! C'è un sacco di cose nel bar. Io non le bevo.» Quando andò in cucina, Andy si avvicinò al giudice e gli disse a bassa voce:
«Stavate per spiegarmi che cosa facevate in cantina e perché sapete il mio nome.»
«Semplicissimo.» Santini lanciò un'occhiata verso la cucina, ma Shirl era occupata e non lo poteva sentire. «La morte di O'Brien sotto certi aspetti ha, diciamo, degli addentellati politici, e certe persone mi hanno chiesto di seguire i progressi della vicenda. Naturalmente ho saputo che voi eravate incaricato dell'inchiesta.»
Si appoggiò all'indietro, quasi disteso, e incrociò le mani sulla pancia tonda.
«Questo risponde a una sola delle mie domande,» disse Andy. «Ora ditemi ciò che stavate facendo nella cantina.»
«Che fresco c'è qui dentro, fa quasi freddo, a confronto della temperatura esterna. Che sollievo! Avete notato quel cuore disegnato sulla polvere della finestra della cantina?»
«Certo, sono stato io a scoprirlo.»
«Molto interessante. Avete mai sentito parlare di un individuo… Probabilmente sì perché è un pregiudicato… Un individuo che si chiama Cuore?»
«Nick Cuore? Quello che si è fatto strada nel racket di Newark?»
«Proprio quello, sebbene “farsi strada” non è proprio la parola esatta… Il “capo” sarebbe più giusto. È proprio lui che l'ha in mano, ed è così ambizioso da volgere lo sguardo in direzione di New York.»
«E questo che c'entra?»
«Non capite? Cuore in buon italiano: come il disegno…» Shirl tornava dalla cucina con un vassoio.
Andy prese il suo bicchiere con un meccanico “grazie” senza più badare alla conversazione degli altri due. Capiva ora perché era stata esercitata tanta pressione su quel caso. Non era per simpatia verso il morto, perché nessuno pareva lamentarne la perdita. Ciò che realmente contava era perché fosse morto. Era stato un incidente mortale ma non premeditato, come pareva? O un avvertimento di Cuore, per significare che voleva estendere la sua influenza nella zona di New York? O era un gesto d'affermazione di potere da parte di un capoccione locale che addebitava poi la colpa a Cuore per coprire i suoi misfatti? Una volta entrati nel labirinto delle ipotesi, le possibilità si moltiplicavano al punto che l'unica verità si sarebbe accertata soltanto con la scoperta dell'uccisore. Le parti interessate avevano mosso le pedine adatte in alto loco con il risultato di far assegnare un investigatore, a tempo pieno, lui, Rusch, a questo caso. Probabilmente un buon numero di persone leggeva i suoi rapporti e aspettava con impazienza una risposta ai propri interrogativi.
«Scusate,» disse a un tratto accorgendosi che la ragazza gli aveva parlato. «Pensavo ad altro e non ho sentito.»
«Vi chiedevo se la vostra bibita andava bene. Se non vi piace vi posso portare qualcos'altro.»
«Va benissimo,» disse, rendendosi conto che era rimasto col bicchiere in mano, contemplandolo come incantato. Ne bevette un sorso, poi un secondo. «In effetti è buonissimo, che cos'è?»
«Whisky, whisky e soda.»
«È la prima volta che lo assaggio.» Cercò di ricordare quanto costava una bottiglia di whisky. Non ne facevano più ormai, perché il raccolto dei cereali era ogni anno più scarso e i prezzi crescevano continuamente. Valeva almeno duecento D la bottiglia, probabilmente di più.
«Molto buono, Shirl, molto dissetante,» disse Santini premendo il bicchiere vuoto sul bracciolo della poltrona dove rimase attaccato. «I miei più sentiti ringraziamenti per la tua gentile ospitalità. Mi spiace, ma devo andare, ora. Rosa mi aspetta, ma posso prima chiederti qualcosa?»
«Certamente, giudice, di che cosa si tratta?»
Santini estrasse una busta dalla tasca della giacca, e l'apri. Dispose a ventaglio le sei o sette fotografie che conteneva. Andy vide con la coda dell'occhio che erano fotografie di uomini. Il giudice ne porse una a Shirl.
«È stata una cosa tragica,» disse, «proprio tragica, quella che è capitata a Mike. Tutti noi cerchiamo di aiutare quanto possiamo la polizia. Come del resto anche tu, Shirl. Guarda un po' queste fotografie e dimmi se riconosci nessuno.»
Prese la prima fotografia che le era stata presentata, la guardò attentamente. Andy ammirava la tecnica del giudice, che parlava tanto e non diceva nulla, e tuttavia otteneva la collaborazione della ragazza.
«No, non credo di averlo mai visto,» disse Shirl.
«Non è mai stato qui, non lo hai mai incontrato, fuori, con Mike?»
«No, ne sono certissima. Non è mai stato qui. Credevo voleste sapere se lo conoscevo, se lo avevo mai visto per strada o qualcosa di simile.»
«E gli altri?»
«Non ho mai visto nessuno di loro. Mi dispiace non potervi aiutare più di così.»
«Anche un'informazione negativa ha la sua importanza, mia cara.»
Porse le fotografie a Andy, che riconobbe la prima. Era Nick Cuore. «E gli altri?» chiese.
«I suoi soci,» disse Santini alzandosi lentamente dalla poltrona troppo molleggiata.
«Li tengo io per ora, se non vi dispiace,» disse Andy.
«Certamente, vi potranno essere utili.»
«Ve ne andate già?» protestò Shirl. Santini sorrise dirigendosi verso la porta.
«Perdona a un vecchio, cara mia. Apprezzo tanto la tua compagnia, ma in questi giorni devo osservare orari ragionevoli. Buonanotte signor Rusch, e buona fortuna.»
«Ora mi verso anch'io una bibita,» disse Shirl quando ebbe riaccompagnato il giudice. «Posso rinforzare un po' il vostro whisky? Voglio dire, se non siete di servizio.»
«Sono in servizio. Da quattordici ore. E penso sia giunto il momento in cui servizio e alcool… vengano a patti. Non mi farete la spia?»
«Non sono una soffiona.» Sorrise e quando furono seduti l'una di fronte all'altro, Andy si sentì meglio di quanto fosse mai stato da varie settimane. Gli era passato il mal di capo e la sua bibita era la miglior cosa che avesse mai assaggiato sino a quel giorno.
«Pensavo che l'inchiesta fosse terminata,» disse Shirl, «così mi avevate detto…»
«Lo pensavo anch'io in quel momento; ma le cose sono mutate. Vi è un sacco di gente che s'interessa affinché il caso sia risolto. C'entrano perfino dei personaggi come il giudice Santini…»
«Per tutto il tempo in cui sono stata con Mike non mi sono mai resa conto che fosse un uomo così importante.»
«Vivo, non credo che lo fosse. È importante la sua morte: la ragione della sua morte, ammesso che ve ne sia una.»
«Parlavate sul serio, questo pomeriggio, quando mi avete detto che la polizia non vuole che si tocchi nulla nell'appartamento?»
«Sì, per il momento. Bisogna che veda un po' come stanno le cose, e specialmente i documenti. Perché me lo chiedete?»
Shirl tenne gli occhi abbassati sul suo bicchiere, stringendolo con le due mani. «L'avvocato di Mike è stato qui oggi, e tutto è come ha detto la sorella, o quasi. I miei abiti, le cose personali mi appartengono, ma nient'altro. Non che mi aspettassi molto di più, ma l'affitto è stato pagato sino alla fine di agosto.» Guardò Andy negli occhi. «Se lasciano qui i mobili io posso rimanere nell'appartamento fino a quel momento?»
«È ciò che volete?»
«Sì,» disse senza aggiungere altro.
È brava, quella ragazza, pensò Andy. Non chiede favori, non piange o roba del genere. Mette le carte in tavola e basta. Ebbene, perché no? A me non costa nulla. Perché no?
«Affare fatto, allora. Io non sono molto svelto a perquisire appartamenti e per un appartamento cosi grande mi ci vorrà… esattamente fino alla mezzanotte del 31 agosto, se voglio fare le cose metodicamente. Se ci sono lamentele, giratele all'investigatore di 3a classe Andrew Rusch, Distretto di Polizia 12-A. E io manderò gli interessati al diavolo.»
«Magnifico!» disse lei, balzando in piedi, felice. «Questo merita un altro whisky. Vi dico la verità, non mi sembrerebbe giusto vendere alcunché di questo appartamento, sarebbe come rubare. Ma non c'è niente di male a finire le bottiglie. Piuttosto che lasciarle a quella strega di sorella…»
«Sono pienamente d'accordo.»
Andy si abbandonò al dolce abbraccio dei cuscini e notò l'affascinante piroettare di Shirley quando portava i bicchieri in cucina. «Questa sì, che è vita,» pensò, e sorrise fra sé, furbamente. Al diavolo l'inchiesta, almeno per questa sera. Ora mi bevo le bottiglie di Big Mike, mi siedo sul suo divano, e dimentico ogni cosa, polizia e tutto il resto. Solo per questa sera.
«No, io provengo da Lakelend, New Jersey,» disse la ragazza. «Ci siamo trasferiti in città quando ero ancora bambina. Il Comando dell'Aeronautica Strategica costruiva quei terreni d'atterraggio lunghissimi per i suoi Mach-3. Comprò la nostra casa e quelle vicine per demolirle. Era il racconto preferito di mio padre, che diceva a tutti come quella gente avesse distrutto la sua esistenza, e perché da allora non aveva più votato per i repubblicani. “Piuttosto morire”, diceva.»
«Nemmeno io sono nato qui,» disse Andy e bevette un sorso della sua bibita. «Siamo venuti dalla California. Mio padre aveva una fattoria, un “ranch”.»
«Siete un cow-boy, allora?»
«No, non quel tipo di “ranch”. Coltivava frutta, alberi da frutta, nella Imperial Valley. Io ero un ragazzino quando partii e la ricordo appena. Le coltivazioni, in quelle valli, si facevano mediante irrigazioni: pompe e canali. Nel ranch di mio padre c'erano delle pompe e lui non badò a ciò che gli dissero un giorno dei geologi, cioè che lui adoperava acqua fossile, acqua rimasta nella terra un migliaio d'anni. Ricordo che diceva: “L'acqua vecchia serve come quella nuova a far crescere le piante”. Ma in quei terreni filtrava ben poca acqua piovana, per poter rimpinguare la falda, e un bel giorno risultò tutta consumata. Le pompe erano asciutte. Non lo dimenticherò mai: gli alberi morivano e noi non potevamo far nulla. Mio padre perdette la fattoria e venne a New York. Si trovò un lavoro a trasportare sacchi di sabbia presso il Moses Tunnel, allora in costruzione.»
«Non ho mai posseduto un album,» disse Andy.
«È una cosa che solo le ragazze fanno.» Shirl sedette vicino a lui sul divano, voltando le pagine. Vi erano fotografie di bambini, biglietti di teatro, programmi; ma lui li notava appena. Il braccio nudo di lei poggiava contro il suo e quando Shirl si chinò sull'album, lui sentì il profumo dei suoi capelli. Capiva vagamente di aver bevuto troppo, e si limitava a far cenni del capo, come se effettivamente fosse interessato all'album. Ma l'unica cosa di cui era veramente conscio era la presenza della ragazza.
«Sono le due passate, è meglio che vada.»
«Non volete un altro po' di kofee, prima?» gli chiese Shirley.
«No, grazie.» Finì la sua tazza e la ripose con cura sul piattino. «Tornerò in mattinata, se non vi disturbo.» Si avviò alla porta.
«In mattinata va bene,» gli rispose Shirl porgendogli la mano, «e grazie per essere rimasto qui questa sera.»
«Sono io che vi ringrazio dell'accoglienza, e ricordate che non avevo mai assaggiato il whisky prima d'oggi.»
L'intenzione era di stringerle la mano, dirle buonasera e basta. Ma per chissà quale ragione se la ritrovò fra le braccia, con il viso nei suoi capelli soffici e le mani sulla pelle vellutata della sua schiena. Quando lui la baciò lei gli restituì il bacio con tale ardore che Andy seppe subito che tutto andava bene.
Alcune ore dopo, disteso sul vasto letto, Andy sentiva al suo fianco il contatto di quel corpo tiepido, e sulla guancia il soffio lieve del suo respiro. Il ronzio del condizionatore conferiva serenità alla notte, perché copriva, o attutiva, ogni altro rumore. Aveva bevuto troppo, se ne rendeva conto, e sorrise fra sé nel buio. E con questo? Se fosse stato sobrio non sarebbe mai finito lì, dov'era adesso. Forse al mattino si sarebbe pentito dell'accaduto, ma per ora sentiva che quella cosa era la più bella che gli fosse mai capitata. Tentava di provare rimorso ma non vi riusciva. Appoggiò la mano con gesto possessivo sulla spalla della ragazza e lei si mosse nel sonno. Le tende non erano del tutto chiuse e nel loro spacco egli vedeva la luna, distante e amica. «Va tutto bene,» si disse, «va tutto bene,» e continuò a ripeterselo mentalmente.
Il chiarore della luna penetrava dalla finestra aperta, come un occhio indagatore, come una torcia nella notte densa, irrespirabile. Billy Chung aveva dormito qualche ora al principio della notte. Ma poi uno dei gemelli aveva avuto un incubo e lo aveva svegliato. Dopodiché era rimasto sveglio. Se quell'uomo non fosse stato nel bagno… Billy si rotolava qua e là con la testa, mordendosi il labbro, sentendo il sudore colargli per il viso. Non era venuto per ucciderlo, no; ma ora che era morto non gliene importava niente. Era per sé che tremava. Che cosa sarebbe successo se l'avessero preso? E di certo avrebbero finito per trovarlo. La polizia era fatta per quello. Avrebbero ritirato il ferro dalla tempia del morto, l'avrebbero portato in laboratorio, trovato l'uomo che glielo aveva venduto… La sua testa si agitava da una parte e dall'altra del guanciale già bagnato, e un gemito, bassissimo, fischiava fra i suoi denti stretti.
«Non si può dire che ti sia fatto bene la barba, Rusch,» disse Grassioli con il suo tono di voce abituale, cioè irritato.
«Non me la sono fatta per niente, tenente,» rispose Andy, alzando gli occhi dalla pila dei rapporti accumulati sul tavolo. Il tenente lo aveva visto mentre passava dall'ufficio indagini all'ufficio impiegati. Andy sperava di firmare il cartellino e lasciare l'ufficio senza incontrarlo. Trovò una rapida scusa. «Sto seguendo certi indizi a Shiptown, ci vado oggi pomeriggio e non vorrei dare nell'occhio. Non credo che esista neppure un rasoio in tutto quel quartiere.» La scusa era coerente. Per la verità era uscito tardi da Chelsea Park e non aveva avuto il tempo di radersi.
«Ah, sì? Che novità ci sono?»
Andy sapeva che era inutile ricordare al tenente che l'inchiesta gli era stata affidata solo nel pomeriggio di ieri.
«Ho un indizio concreto che si riferisce al caso.» Sì guardò in giro, ma non vi era nessuno che potesse sentire, e continuò a bassa voce: «So il perché delle pressioni sulla polizia.»
«Cioè?»
Il tenente guardò le fotografie di Nick Cuore e dei suoi compagni mentre Andy spiegava il significato del cuore disegnato sulla finestra e l'identità delle persone interessate all'omicidio.
«Benissimo,» disse Grassioli quand'ebbe finito. «Non parlare di queste cose nei tuoi rapporti, a meno che vi sia un indizio chiaro contro Cuore. Però riferiscimi tutto. Ora vattene, hai sprecato fin troppo tempo qui dentro.»
Il caldo batteva ogni primato precedente. I giorni passavano ma la temperatura non calava. Per strada sembrava di vivere in una vasca di aria calda, nauseabonda, immota, e così piena di lezzo dei rifiuti, del sudore umano e della putredine in generale, che non si poteva quasi respirare. Eppure per la prima volta da quando era incominciato il caldo, Andy non lo notò. La notte precedente gli era presente alla memoria in maniera prepotente, eppure così incredibile, che non riusciva a cacciarla dalla mente. Aveva tentato, aveva anche del lavoro da smaltire; ma il viso di lei e il suo corpo facevano capolino dai margini della sua memoria. Nonostante il caldo, provava di nuovo quella sensazione di calore per tutto il corpo. Non si poteva andare avanti così. Batté il pugno destro nel palmo della mano sinistra e sorrise vedendo lo sguardo meravigliato della gente vicina a lui in quella folla. Aveva del lavoro, tanto lavoro da sbrigare prima di poterla rivedere.
Voltò nel vialetto che correva fra le due file di autorimesse chiuse, dietro Chelsea Park, fra questo edificio e il bordo del fossato, e che portava all'ingresso di servizio. Udì alle sue spalle un frastuono di ruote e si fece da parte con un balzo per lasciare il posto a un enorme rimorchio di camion che pareva uno scatolone montato su ruote, guidato da due uomini che lo trainavano. Erano piegati in due e non si curavano di null'altro che di tirare. Passando a pochi passi da lui, Andy vide che le cinghie del traino tagliavano il collo e scavavano ferite inguaribili nelle loro spalle, ulcere che macchiavano di pus la loro camicia.
Andy camminò lentamente dietro il rimorchio e si fermò quando non fu più in vista dell'ingresso. Poi si chinò sul bordo del fossato. Rifiuti e sporcizia si accumulavano sul fondo di cemento, e fra i blocchi del muro si vedevano larghi anfratti nei punti dove il cemento era caduto. Non era difficile arrampicarsi su quel muro a notte fatta. Di lampioni vicini, neanche uno. Anche di giorno chi volesse introdursi nel palazzo sarebbe stato veduto solamente se qualcuno avesse guardato fuori dalle finestre più vicine.
Nessuno lo notò quando si lasciò cadere dall'orlo del fossato e si mise a camminare lentamente sul fondo. Era come entrare in un forno, con i muri alti che trattenevano e riverberavano il caldo. Cercò di non badarvi e camminò lungo il muro interno finché trovò la finestra con il cuore segnato nella polvere. Era facile da individuare e lo era probabilmente anche di notte. Vi era un cornicione proprio sotto la fila delle finestre della cantina e vide che avrebbe potuto facilmente accedervi. Era largo abbastanza per starvi in piedi. Sì, era fattibile forzare una finestra stando in quel punto, e l'omicida doveva essersi introdotto nell'edificio proprio così. Il sudore gli colava dal mento e cadeva sul cemento del cornicione, lasciandovi piccole macchie scure. Il caldo lo stava soffocando.
«Ma che cosa credete di fare, lì sopra? Vi romperete il collo!» gli gridò una voce, e lui si raddrizzò, guardò in alto verso il ponte levatoio che attraversava il fossato, e vide il portiere che alzava un pugno minaccioso. Egli riconobbe Andy e la sua voce mutò immediatamente. «Scusate, non vi avevo riconosciuto, signore. Posso fare qualcosa per aiutarvi?»
«Sì, tiratemi fuori di qui. C'è qualche finestra che si possa aprire?»
«Sì, andate avanti un pochino, ce n'è una sulla vostra destra, che dà nell'atrio.» Il portiere scomparve e poco dopo la finestra in questione si aprì e apparve il suo faccione.
«Tiratemi su,» disse Andy. «Sono mezzo cotto.» Afferrò la mano del portiere e si arrampicò. L'atrio era fresco e scuro dopo il caldo rovente del fossato. Si asciugò il viso con il fazzoletto.
«Non c'è un posticino per sedersi e chiacchierare un po'?»
«Nella stanza dei guardiani, signore. Seguitemi.»
Vi trovarono due uomini, uno dei quali indossava la divisa del palazzo, l'altro era Tab. «Va' alla porta, Newton,» ordinò il portiere. «Vuoi andare anche tu, Tab?»
Tab guardò il poliziotto. «Certo, Charlie,» disse, e seguì il guardiano.
«Abbiamo un po' d'acqua, qui, ne volete un bicchiere?» chiese il portiere.
«Magnifico,» disse Andy lasciandosi cadere sulla sedia. Prese la caraffa di plastica, ne bevve mezza d'un sol flato, poi sorseggiò il resto. Davanti a lui vi era una finestra dal vetro grigio che dava nell'atrio. Non ricordava di aver visto alcuna finestra mentre entrava. «È un vetro a specchio?» chiese.
«Esatto, è per la protezione degli inquilini. Da questa parte è trasparente, dall'altra fa funzione di specchio.»
«Avete visto in che punto ero nel fossato?»
«Sì, signore, mi sembravate proprio di fronte alla finestra che è stata scassinata.»
«Difatti. Vi sono arrivato attraversando il fossato, venendo dal vialetto posteriore. Una volta nel fossato mi sono arrampicato sulla finestra. Credete che di notte avreste potuto scorgermi?»
«Ma io…»
«Ditemi sì o no. Non vi sto tendendo un tranello.»
«L'amministrazione del caseggiato ha già un impianto di sicurezza nel palazzo, ma è il sistema di allarme che non è ancora a posto. No, io non credo che avrei potuto vedervi, signore, laggiù al buio.»
«Pare anche a me. Credete quindi che qualcuno avrebbe potuto introdursi nel palazzo, in quella maniera, inosservato?»
Charlie socchiuse gli occhi porcini, come per chiedere aiuto.
«Suppongo di sì,» ammise finalmente, «l'omicida avrebbe potuto entrare così.»
«Benone. Quella stanza della cantina è proprio quella che permette di entrare nel palazzo. È facile arrivare fino alla finestra. E poi il circuito di allarme è tagliato, insomma ogni elemento è in favore di una rapina. Chiunque sia stato, avrebbe potuto segnare la finestra con quel cuore, in modo da poterla ritrovare dall'esterno. Ciò significa che prima era stato dentro il palazzo, probabilmente per esaminarlo in vista di un colpo da fare.»
«Forse,» ammise Charlie, e sorrise timidamente. «E forse aveva fatto quel segno dall'interno dopo che era entrato, soltanto per confondervi e farvi credere che tutto era stato architettato nel palazzo stesso.»
Andy annuì. «Ragionate bene, Charlie. Ma tuttavia il segno può essere stato fatto prima dall'interno, e io devo lavorare su questa ipotesi. Voglio un elenco completo di tutte le persone attualmente impiegate presso l'amministrazione, tutte quelle nuove e anche quelle che hanno lasciato l'impiego in questi ultimi due anni. Poi un elenco degli inquilini attuali e di quelli precedenti. Chi me lo può dare?»
«Il direttore del palazzo, signore, ha un ufficio qui sopra. Volete che vi ci porti?»
«Sì, fra un minuto. Prima ho bisogno di un altro bicchiere d'acqua.»
Andy era in piedi davanti alla porta d'ingresso dell'appartamento di O'Brien, e fingeva di essere assorto nell'elenco dei nomi che gli aveva fornito il direttore del palazzo. Sapeva che Shirl lo avrebbe guardato nella TV della porta, e cercava di apparire preoccupato e indaffarato. Quando era uscito, al mattino, lei dormiva. Non avevano più parlato della notte precedente, e non si poteva dire che in quella notte avessero parlato molto. Non si sentiva imbarazzato, questo no; era soltanto il fatto che tutta quella faccenda aveva ancora in sé un sapore di irrealtà. Lei in quell'ambiente era al suo posto, lui no. E se lei si comportasse ora come se nulla fosse accaduto, o se non vi facesse neppure allusione, poteva lui prenderne l'iniziativa? No, non poteva. Aspettò un bel po' e la porta rimase chiusa. Forse Shirl non era in casa? No, perché Tab, la sua guardia del corpo era in portineria, il che voleva dire che lei era nell'appartamento. Era successo qualcosa? Era forse tornato l'assassino? Che idea assurda. Eppure Andy si mise a battere ripetutamente sulla porta.
«Non la sfondare,» disse lei aprendo. «Stavo facendo le pulizie e non ho sentito il campanello.» I suoi capelli erano annodati a turbante ed era a piedi nudi. Era nuda anche una buona parte della sua persona perché indossava solo un reggiseno d'un verde pallido e un paio di calzoncini dello stesso verde. Era meravigliosa.
«Mi spiace, non sapevo,» disse tutto serio.
«Be' non ha molta importanza,» disse lei ridendo. «Non fare quella faccia lunga.» Si sporse e gli diede sulla bocca un bacio rapido ma ardente. Prima che lui potesse reagire lei era scappata ed era già a metà corridoio. Quei calzoncini erano davvero molto corti e molto tondi. Nel momento in cui sentì lo scatto della porta che si richiudeva alle sue spalle, si accorse di essere molto felice. L'aria era deliziosamente fresca.
«Ho quasi finito,» disse Shirl, e si udì il miagolio caratteristico di un motorino. «Ne ho per un minuto appena, e poi metto a posto tutto quel disordine.» Quando entrò nel soggiorno, vide che Shirl passava l'aspiratore sul tappeto. «Perché non ti fai una doccia?» gli gridò per farsi sentire oltre il rumore dell'aspiratore. «La fattura dell'acqua la pagherà Mary O'Brien, quindi non hai da preoccuparti.»
Una doccia, pensò tutto eccitato. «Ora che conosco Mary Haggerty sarò felice di mandarle la fattura,» gridò, e tutti e due scoppiarono a ridere.
Attraversando la camera da letto, Andy ricordò che quella era la camera nella quale O'Brien era stato ucciso. La sera prima quell'idea non gli era venuta. Povero O'Brien, doveva essere stato un bel porco, da vivo, poiché nessuno deplorava la sua morte o se ne rattristava. Compresa Shirl. Come l'aveva giudicato? Ora non aveva più importanza. Lasciò cadere i suoi indumenti sul pavimento e tastò l'acqua con la mano.
Vi era un rasoio con una lama nuova nell'armadietto ed egli si mise a canticchiare allegramente mentre lo lavava sotto il rubinetto per toglierne i peli grigi, prima di insaponarsi il viso. Per chissà quale ragione, “indossare i panni del morto” non gli procurava il minimo imbarazzo. In verità era piuttosto compiaciuto. Il rasoio scivolava dolcemente sulla sua pelle.
Quando Andy, rivestito, tornò nel soggiorno, l'apparato delle pulizie era scomparso e Shirl si era sciolta i capelli e rifatta il trucco. Aveva invece conservato il due pezzi, e Andy le fu silenziosamente grato. Non aveva mai visto ragazza più carina… macché carina! più bella!… in tutta la sua esistenza. Gli sarebbe piaciuto dirglielo, ma era proprio quel tipo di cosa che gli riusciva difficile dire ad alta voce.
«E se bevessimo qualcosa di freddo?» gli chiese.
«Ufficialmente sono in servizio… o vorresti per caso corrompermi?»
«Ti posso dare una birra, ne ho messo nel frigorifero. Ci sono almeno venti bottiglie da finire e a me francamente non piace.» Si voltò nell'arco della porta e sorrise. «E poi tu stai lavorando, mi stai interrogando, non sono forse uno dei testimoni essenziali?»
Il primo sorso della birra ghiacciata giù per la gola gli procurò un intenso piacere. Shirl si sedette di fronte a lui, sorseggiando un kofee freddo. «Come va l'inchiesta… se non è un segreto professionale?»
«Non c'è nulla di segreto. Va piano, come tutte le inchieste. Non ti lasciare illudere dai gialli della TV. L'opera della polizia è una cosa ben diversa. In generale è un lavoro monotono, c'è da camminare molto, andare in un sacco di posti, prendere degli appunti, scrivere dei rapporti e poi sperare che un informatore venga a raccontarti tutto.»
«So che cosa sono gli informatori; ma non esistono nella realtà, non è vero?»
«Se non esistessero potremmo tutti chiudere bottega. La maggior parte delle nostre pizzicate le dobbiamo a indicazioni del genere. I delinquenti sono in maggioranza scemi, hanno la lingua lunga e quando cominciano a parlare c'è sempre qualcuno che ascolta. Spero che anche questa volta qualcuno chiacchieri perché questo delitto è pressoché impossibile da risolvere senza l'aiuto di un informatore.»
«Cosa intendi dire?»
Bevette un po' della sua birra, che cosa meravigliosa!
«Vi sono in questa città trentacinque milioni di abitanti. Ognuno di essi avrebbe potuto commettere questo delitto. Comincerò a interrogare tutti i dipendenti dell'amministrazione che si sono licenziati in questi ultimi anni e cercherò di sapere da dove viene il cacciacopertoni. Ma prima, molto prima che io abbia terminato queste ricerche, gli alti papaveri non si preoccuperanno più di O'Brien, io sarò dispensato dalle indagini, e tutto finirà in coda di pesce.»
«Mi sembri piuttosto pessimista.»
«Hai ragione, lo sono. Non lo saresti tu, se avessi un lavoro che ti piace, che vuoi fare, e che non ti lasciano mai svolgere? Siamo oberati di lavoro, ed è stato sempre così, sin da quando sono entrato nella polizia. Non si finisce mai nulla, nessun delitto è seguito sino in fondo, la gente la fa franca ogni giorno, con gli omicidi, e nessuno mostra di preoccuparsene. A meno che salti fuori una ragione politica, come è accaduto per Big Mike. In fondo tutti se ne infischiano. È solo della loro pelle che si preoccupano.»
«Ma non si può reclutare un maggior numero di poliziotti?»
«Con che cosa? Non ci sono fondi nel bilancio cittadino, quasi tutti i soldi sono spesi in sussidi. E così la nostra paga è bassa, i poliziotti corrotti, e… ma non vorrai mica ascoltare una conferenza sui miei guai?» Firn il suo bicchiere di birra e lei balzo in piedi.
«Lascia che te ne dia un altro.»
«No, grazie, non a stomaco vuoto.»
«Non hai mangiato nulla?»
«Ho rosicchiato un cracker di alghe, non ho avuto il tempo di mangiare altro.»
«Allora facciamo una cenetta. Che ne dici di una bistecca?»
«Shirl, basta, mi farai venire l'infarto.»
«No, dico sul serio. Ho comprato una bistecca per Mike la mattina del… quel giorno insomma. È ancora nel frigo.»
«Non riesco a ricordare quando è stata l'ultima volta in cui ho mangiato del manzo. Per la verità è passato molto tempo anche dall'ultima volta che ho visto una fetta di soylent.» Era in piedi, e prese le due mani della ragazza. «Mi stai proprio viziando, lo sai?»
«Mi piace,» gli disse dandogli un altro di quei baci veloci. Lui aveva già messo le mani sulla rotondità dei fianchi quando lei fuggì piroettando.
Che strana ragazza, pensò, e si passò la lingua sulle labbra cercando la traccia del suo rossetto.
Shirl voleva mangiare nel soggiorno, sul tavolo grande, ma vi era un tavolo fisso in cucina, sotto la finestra, e Andy non vedeva per quale motivo non mangiassero lì.
Era una vera bistecca, un pezzo mostruoso di carne grande quanto la sua mano, e quando Shirl la fece scivolare nel piatto di Andy, lui si sentì venire l'acquolina in bocca.
«Metà e metà,» disse tagliandola in due e mettendo un pezzo nell'altro piatto.
«Io in genere mi faccio friggere un po' di farina d'avena nei sughi di…»
«Quello sarà il dolce. Oggi comincia l'era nuova, diritti uguali per gli uomini e le donne.» Lei sorrise e si sedette senza aggiungere nulla. Perbacco, pensò Andy, se mi guarda ancora così le darò anche il mio pezzo.
Con la carne mangiarono crescione di mare, e presero un'altra bottiglia di birra dalla quale lei gli permise di versarle un bicchiere. Il pasto era buono al di là di ogni descrizione, e Andy si tagliò bocconi piccolissimi assaporando lentamente ognuno di essi. Quand'ebbe finito si adagiò comodamente sulla poltrona e sospirò soddisfatto. Era troppo bello, sapeva che non sarebbe durato a lungo; provò un pizzico di rabbia perché le parole “nei panni del morto” gli sfarfallavano per la mente.
«Spero non ti sarai offesa, ma io ero un po' più che brillo, la scorsa notte.» L'espressione era brutale, se ne pentì appena l'ebbe pronunciata.
«Non mi sono offesa affatto, sei stato molto carino.»
«Carino!» Si mise a ridere. «Mi hanno dato un sacco di nomi, mai nessuno mi ha detto “carino” prima d'ora. Da quando sono tornato ho avuto l'impressione che tu fossi in collera con me.»
«Avevo da fare, ecco tutto, l'appartamento era in disordine, e tu avevi fame. Credo di sapere di che cosa hai bisogno.»
Fece velocemente il giro del tavolo e gli si buttò in grembo, con tutto il suo lungo corpo femminile e le braccia intorno al collo. Fu un bacio come quello che egli si ricordava, e scoprì che il suo reggiseno si chiudeva sul davanti con due bottoni, che aprì, premendo il suo viso sulla vellutata fragranza della sua pelle.
«Andiamo di là,» gli sussurrò la ragazza.
Più tardi, lei era distesa accanto a lui, rilassata e senza imbarazzo, mentre Andy con le sue dita accarezzava il contorno del suo splendido corpo. I rari rumori che pervenivano nella stanza attraverso le vetrate chiuse e le tende abbassate, non facevano che accentuarne la solitudine crepuscolare. Quando Andy la baciò sull'angolo della bocca lei sorrise, sognante, gli occhi socchiusi.
«Shirl,» disse. Ma non poté continuare. Non era abituato ad esternare le sue sensazioni. Le parole erano lì, pronte, ma non riusciva a pronunciarle ad alta voce. Era il modo con cui le mani di Andy si muovevano sulla pelle di lei che traducevano il suo pensiero meglio delle parole. Il corpo della ragazza vi rispondeva con un fremito e alla fine si spinse contro di lui. Vi era nella sua voce una specie di tono rauco, sebbene le parole fossero sussurrate.
«Sei veramente in gamba a letto, sei un altro, sei diverso, lo sai? Mi fai provare delle cose che non ho mai provato prima.» Andy sentì i suoi muscoli irrigidirsi istantaneamente, e lei si voltò verso di lui. «Ti spiace che te l'abbia detto? Dovrei darti a intendere che sei l'unico uomo con il quale io sia andata a letto?»
«No, certamente. Non è cosa che mi riguardi, e non me ne importa.» Ma la rigidità del suo corpo smentiva le sue parole.
Shirl si voltò sul dorso e guardò i granellini di polvere risplendenti nel raggio di luce che le tende discoste lasciavano filtrare.
«Io non cerco attenuanti, Andy, tanto perché tu lo sappia. Sono cresciuta in una di quelle famiglie molto rigide, e non uscivo mai, non facevo nulla, mio padre mi sorvegliava di continuo. A me non importava molto, perché in fondo non c'era gran che da fare. Mio padre mi voleva bene e credeva di agire così per il mio bene. Quando andò in pensione, a cinquantacinque anni, aveva per vivere la sua pensione e i soldi della casa, e non faceva nulla, rimaneva seduto tutto il giorno a bere. Poi, quando ebbi vent'anni, partecipai a un concorso di bellezza e vinsi il primo premio. Ricordo di aver dato i soldi del premio a mio padre perché me li custodisse, e fu l'ultima volta che lo vidi. Uno della giuria mi aveva chiesto di uscire con lui quella sera, così uscii con lui, poi andai a vivere a casa sua.»
Proprio solo così? si disse Andy, ma non lo disse ad alta voce. Sorrise tra sé. Quale diritto aveva… ?
«Non mi starai pigliando in giro?» gli disse mettendogli un dito sulla bocca, con un tono un po' risentito.
«Sant'Iddio, no! Ridevo da solo perché, se lo vuoi sapere, mi sentivo un po' geloso, e non ne ho il diritto.»
«Hai tutti i diritti di questo mondo,» gli disse baciandolo molto lentamente. «Per me, almeno, questa volta è molto diverso. Non ho conosciuto molti uomini, ma erano tutti dello stampo di Mike. Io ero lì, per così dire a portata di mano, sentivo che…»
«Zitta,» le disse. «Non me ne importa niente.» Ed era sincero. «Io penso soltanto a te, qui e adesso, e a niente altro…»
Andy era quasi arrivato in fondo al suo elenco di gente da interrogare e gli dolevano i piedi. La Nona Avenue scottava nel sole pomeridiano e ogni macchia d'ombra era occupata dalla gente distesa per terra, da vecchi, da madri con neonati al seno, da adolescenti che si baciavano, che ridevano. Persone di ogni età, da tutte le parti. Gambe nude, polverose, che si protendevano. Corpi sparsi dappertutto. Parevano cadaveri dopo una battaglia. Solo i bambini giocavano al sole, ma si muovevano con lentezza e le loro grida erano sommesse. Si udì a un tratto un urlo, seguito da un improvviso movimento di folla, che faceva cerchio intorno a due ragazzi provenienti dalla parte del porto; le loro braccia erano coperte di morsi ancora sanguinanti. Appesa a uno spago brandivano la loro preda: un enorme topo grigio, morto. Stasera avrebbero fatto un buon pasto. Nel centro della strada affollata il traffico dei rimorchi procedeva a passo di lumaca, gli uomini usati come animali da traino andavano a testa china, legati nelle cinghie, esausti, con la bocca aperta in cerca di un soffio d'aria. Andy si spinse nella folla, cercava l'ufficio della Western Union, il telegrafo.
Era impossibile interrogare ogni persona che era entrata e uscita dall'appartamento di O'Brien la settimana prima. Chiunque fosse entrato nell'edificio avrebbe potuto notare il segnale antifurto fuori uso nella cantina, ma solo chi fosse entrato nell'appartamento avrebbe visto che il filo era staccato anche su quella porta. Vi era stato un corto circuito otto giorni prima dell'omicidio, ed erano venuti a staccare i fili in attesa della riparazione.
L'assassino, o un suo informatore, non poteva non notarlo se fosse entrato nell'appartamento. Andy aveva compilato un elenco degli eventuali visitatori e li stava verificando uno per uno. Tutti indizi negativi. Nessun impiegato era venuto a rilevare i contatori; la posta, le provviste erano state consegnate da fattorini noti da anni. Risultato negativo su tutta la linea.
La Western Union era un'altra pista improbabile. Molti telegrammi erano stati recapitati in quel caseggiato durante la settimana precedente, e il portiere era certo che alcuni fossero diretti a O'Brien. Lui e il ragazzo dell'ascensore ricordavano che un telegramma era stato consegnato di notte, la vigilia dell'omicidio, da un fattorino nuovo, un ragazzo cinese, gli dissero. Le probabilità erano scarse, una su mille, che questa indicazione risultasse utile. Ma doveva controllarla. Qualsiasi traccia, anche minima, che gli si offrisse, doveva essere vagliata. Avrebbe riferito ogni fatto al tenente e se lo sarebbe tolto di torno per un po'. Andy si fermò sotto l'insegna blu e gialla sovrastante il marciapiede, ed entrò.
Un lungo bancone divideva l'ufficio in due. A una delle estremità vi era una panca con tre ragazzi seduti. Un quarto ragazzo era in piedi e parlava con l'impiegato. Nessuno era cinese. Il ragazzo vicino al banco prese la tavoletta del telegramma dalle mani dell'impiegato e uscì. Andy si avvicinò, ma prima che aprisse bocca, l'altro, irritato, scosse il capo e sbottò: «Non qui, dall'altra parte, al banco dei telegrammi in partenza. Non vedete che qui è il recapito?»
Andy osservò il viso dell'uomo intristito da un'infinita stanchezza, le pieghe profonde causate dall'abbassarsi continuo degli angoli della bocca, poi vide il disordine delle lavagnette, dei gessi, del nastro lavabile da telescrivente, accumulati sul suo tavolo, la doratura sbucciata della targhetta col nome: signor Burgger. Si leggevano chiaramente i molti anni di difficoltà nel disordine del tavolo, nell'astio di quello sguardo. Ci sarebbe voluta molta pazienza per convincere quell'uomo a collaborare. Andy mostrò il suo distintivo.
«Polizia,» disse. «Voi siete la persona con la quale desidero parlare, signor Burgger.»
«Io non ho fatto nulla, e non abbiamo nulla da dirci.»
«Nessuno vi accusa. Io ho bisogno di informazioni utili, per un'indagine.»
«Non vi posso aiutare. Non ho informazioni di polizia.»
«Questo lo deciderò io. Ditemi se la 28a Strada fa parte della zona servita dal vostro ufficio.»
Burgger esitò, poi assentì, lentamente e di malavoglia, come se fosse costretto a rivelare un segreto di Stato.
«Avete fattorini cinesi?»
«No.»
«Ma avete avuto almeno un ragazzo cinese che ha lavorato per voi?»
«No.» Grattava una lavagnetta e faceva finta di ignorare Andy. Il sudore imperlava la sua testa mezza calva e si riuniva in goccioline fra i fili grigi dei suoi capelli. Andy non esercitava volentieri il suo potere d'ufficio, ma all'occorrenza sapeva come fare.
«Vi sono delle leggi, nel nostro Stato, lo sapete, Burgger, non è vero? Io potrei tirarvi fuori di qui, portarvi subito al Distretto, e lasciarvi lì almeno trenta giorni per avere ostacolato le indagini della polizia. È questo che volete?»
«Io non ho fatto nulla.»
«Sì, invece. Mi avete mentito. Mi avete detto di non aver mai avuto un fattorino cinese qui.»
Burgger gemette sulla sua sedia, stretto fra due fuochi: la sua paura e il suo desiderio di rimanere fuori della faccenda. Vinse la paura.
«C'è stato un ragazzo cinese, ha lavorato un giorno, poi non è più tornato.»
«Che giorno era?»
La risposta fu data controvoglia. «Lunedì di questa settimana.»
«Ha recapitato dei telegrammi?»
«E come diavolo faccio a saperlo?»
«È il vostro mestiere,» disse Andy, dando anche questa volta un tono di minaccia alla sua frase. «Che telegrammi ha consegnato?»
«È rimasto seduto tutto il giorno. Io non avevo bisogno di lui. Era il suo primo giorno. Io non mando mai in giro un ragazzo il primo giorno di servizio, prima deve abituarsi alla panca, tanto per non farsi illusioni. Ma abbiamo avuto un telegramma urgente notturno, l'ho dovuto mandare. Una volta sola.»
«Dove?»
«Sentite, io non mi posso ricordare di tutti i telegrammi che faccio recapitare. Questo ufficio è molto attivo, e inoltre non tengo registri. Un telegramma è ricevuto, consegnato, accettato e tutto finisce lì.»
«Questo lo so anch'io, ma quel telegramma è importante. Voglio che cerchiate di ricordare dov'è stato consegnato. Nella Settima Avenue, o nella 33a Strada, o a Chelsea Park?»
«Un momento, penso che fosse proprio lì. Ricordo che non volevo mandare il ragazzo a Chelsea Park. Non vedono volentieri dei fattorini nuovi in quei quartieri, solo quelli già conosciuti. Ma non avevo nessuno e l'ho dovuto mandare.»
«Ora ci arriviamo,» disse Andy, traendo dalla tasca l'agenda. «Come si chiama il ragazzo?»
«Un qualche nome cinese, ora non mi ricordo. È stato qui un giorno solo e non è più tornato.»
«Com'era press'a poco?»
«Come tutti i ragazzi cinesi. Non è affar mio ricordarmi il viso dei ragazzi.» Riprendeva il suo tono ostile.
«Dove abitava?»
«E chi lo sa? Un ragazzo viene da me, mi lascia il denaro della cauzione, e non so altro. Non è affar mio.»
«Non c'è granché che sembri affar vostro, Burgger. Tornerò a vedervi. Intanto cercate di ricordare com'era il ragazzo. Mi occorrono altre informazioni da voi.»
I ragazzi si agitarono sulla panca quando Andy uscì e Burgger gli lanciò un'occhiata di puro odio.
Era un debole indizio, ma Andy era contento. Almeno aveva qualcosa da dire a Grassioli. Steve Kulozik era anche lui nell'ufficio del tenente quando egli entrò e si salutarono con un cenno del capo.
«Come va l'inchiesta?» chiese Steve.
«Potrete chiacchierare quando sarete fuori ufficio,» intervenne Grassioli. Il tic che aveva nell'occhio andava a tutto spiano quel giorno. «Sarebbe meglio che tu trovassi qualcosa, Rusch, questa è un'inchiesta, non una vacanza, e un sacco di gente importante in ogni settore vi sta mettendo il naso.»
Andy spiegò la faccenda del filo staccato nel sistema antifurto e il piano cronologico dei movimenti di chiunque si fosse introdotto nell'appartamento. Accennò rapidamente alle interviste negative che aveva effettuato, finché arrivò al ragazzo del telegrafo e raccontò la sua visita con tutti i particolari possibili.
«E così dove siamo arrivati?» chiese il tenente, con le mani incrociate sullo stomaco, sul punto dove aveva l'ulcera.
«Il ragazzo può essere stato assoldato da qualcun altro. I fattorini del telegrafo depositano dieci dollari di cauzione all'ufficio che li impiega, e quanti ragazzi posseggono una tale somma? Quello sarà stato portato lì dal quartiere cinese, ad esempio, e pagato per spiare negli appartamenti dove portava i telegrammi. Ha fatto subito centro col primo telegramma recapitato quando ha notato che il filo dell'allarme antifurto sulla porta di O'Brien era staccato. Poi, chiunque sia il suo mandante, ha completato il lavoro, ha compiuto l'omicidio, dopo di che sono spariti entrambi.»
«Non mi sembra molto logico, ma è l'unico indizio che sei riuscito a racimolare. Come si chiama il ragazzo?»
«Nessuno lo sa.»
«Come… ? Accidenti!» urlò Grassioli. «Arrivi qui con questa maledetta teoria complicata, e che te ne fai, se non puoi trovare il ragazzo? Vi sono nove milioni di ragazzi in questa città, come facciamo a trovare quello giusto?»
Andy sapeva tacere quando era necessario. Steve Kulozik stava appoggiato contro la parete, ad ascoltare mentre Andy spiegava.
«Posso intervenire, tenente?» chiese.
«Che cosa vuoi?»
«Pensiamo a questa indagine come se fosse limitata al nostro distretto. Il ragazzo potrebbe anche essere venuto dal quartiere cinese o da qualche altro posto, ma lasciamo stare questa ipotesi. Diciamo che veniva da Shiptown, qui vicino, e voi sapete quale omertà regna tra quella gente. Quindi c'è forse un altro cinese che si serviva del ragazzo. Almeno supponiamo sia così.»
«Dove vuoi arrivare, Kulozik? Vieni al sodo.»
«Ci siamo quasi, tenente,» disse Steve imperturbabile. «Diciamo che il ragazzo o il suo mandante provengano da Shiptown, la città galleggiante. Io non ero ancora nella polizia nel 1972, ma voi eravate qui, tenente, non è vero? Quando hanno portato a New York tutti quei profughi di Formosa, dopo la batosta che Kung si era preso sull'entroterra a seguito dell'invasione?»
«Si, ero qui. Un novellino, all'epoca.»
«Non presero a quel momento le impronte digitali di tutti i profughi, bambini compresi, nel timore che qualche agente comunista si fosse nascosto fra loro al momento del ponte aereo?»
«È un filo molto sottile,» disse il tenente. «Tutti furono schedati, si rilevarono le impronte digitali di tutti e anche quelle dei bambini per alcuni anni di seguito, in caso vi fosse qualche defezione. Le schede sono giù nella nostra cantina. È a questo che pensavi, non è vero?»
«Sissignore. Vai ad esaminarle, Rusch, e vedi se le impronte sull'arma del delitto coincidono con una delle schede. È un vago indizio, ma tentare non guasta.»
«Hai sentito Rusch!» disse Grassioli, tirando a sé una pila di rapporti. «Prendi le impronte dell'arma e vai giù a vedere se trovi qualcosa.»
«Sissignore,» rispose Andy, e uscì con Steve. «Bell'amico, che sei,» disse a Steve appena chiusa la porta. «Dovrei essere già fuori a quest'ora e invece mi seppellisci in cantina, e probabilmente vi passerò la notte.»
«Non è poi così terribile,» disse Steve paternamente. «Ho usato lo schedario anch'io, una volta. Tutte le impronte sono classificate e potrai trovare quella che cerchi abbastanza in fretta. Ti aiuterei volentieri, ma stasera viene a pranzo mio cognato…»
«Quello che tu non puoi soffrire?»
«Proprio quello. Ma siccome lavora su uno di quei grossi pescherecci, ci deve portare un pesce che ha rubato. Pesce fresco, capisci? Non ti viene l'acquolina in bocca?»
«Sì, ma per dare un morso alla tua ciccia, porcaccione. Mi auguro che ti rimanga una lisca di traverso nella gola.»
Le schede delle impronte non erano proprio nelle condizioni che Steve aveva descritto. Altri le avevano adoperate nel frattempo e alcuni gruppi erano fuori posto, mentre una scatola intera era stata rovesciata, e le schede messo dentro alla rinfusa. Sebbene la cantina fosse più fresca del resto dell'ufficio, l'aria era piena di polvere e pareva così densa da non potersi respirare. Andy lavorò fino alle nove, poi si sentì martellare la testa, gli occhi cominciarono a bruciargli. Andò di sopra, si bagnò il viso, respirò un po' d'aria fresca. Per un attimo esitò fra continuare il suo lavoro o aspettare il mattino dopo, ma s'immaginava già i commenti di Grassioli in proposito, e così tornò in cantina.
Erano quasi le undici quando scoprì la scheda. L'aveva quasi scartata perché le impronte erano piccine, quelle di un bambino. Poi pensò che i bambini crescevano e guardò più accuratamente la scheda con una lente di plastica tutta scalfita dall'uso.
Non vi era alcun dubbio. Erano le stesse impronte, identiche a quelle rilevate sulla finestra e sul cacciacopertoni.
“Chung, William”, lesse Andy, “nato nel 1982, infermeria di Shiptown… ”
Si alzò così a precipizio che fece cadere la sedia. Il tenente doveva essere a casa, ora; forse era già a letto e sarebbe stato di pessimo umore se l'avesse svegliato. Ma non aveva importanza… Era proprio quello. L'aveva trovato.
Laggiù sul fiume, in lontananza, una nave fischiò due volte, poi due volte ancora, e il fischio echeggiò lungamente sul fasciame d'acciaio delle navi finché non ebbe più né fonte né direzione, ma fu un solo ululato che riempiva la notte torrida. Billy Chung si rivoltava continuamente sul suo materasso duro, ancora insonne dopo molte ore che giaceva disteso, gli occhi spalancati nel buio. Contro la parete opposta i gemelli respiravano forte nel sonno. Il fischio echeggiò nuovamente, martellando le sue orecchie. Perché non era riuscito a prendere la roba soltanto e a fuggire dall'appartamento? Avrebbe dovuto agire più in fretta. Perché quel bastardo enorme era entrato proprio in quel momento? Era giusto che fosse stato ucciso, uno stupido come quello! Si trattava, dopo tutto, di legittima difesa. Billy era stato aggredito per primo. Le stesse sequenze si ripetevano senza posa nella sua mente, come una pellicola senza fine: la sbarra di ferro brandita, lo sguardo fulmineo alla enorme faccia rossa, la vista della leva conficcata nella tempia e il sottile rivolo di sangue. Billy si contorceva, voltando la testa da una parte e dall'altra, e faceva scorrere le dita sulla pelle bagnata del torace.
Sarebbero state tutte come questa, le sue notti? Caldo, sudore e reminiscenze ripetute all'infinito? Se quello non fosse entrato nella stanza da letto proprio in quel momento… Billy gemette, ma riuscì a frenare la voce prima che gli uscisse di gola. Si sedette, si mise il palmo delle mani sugli occhi, premendo forte finché la luce rossastra indotta dalla pressione delle dita non sostituì il buio della stanza. E la droga, a proposito, l'avrebbe usata, adesso? L'aveva comperata per un'eventualità come questa, gli era costata due dollari. Era forse ora il momento giusto per usarla. Dicevano tutti che non ci si abituava, con quella; ma mentivano certamente.
Andò a tastoni nel buio, seguì con la mano il cavo schermato posto sulla parete metallica, su, su, fino alla scatola dei fusibili ora in disuso. La polverina era sempre lì, le sue dita sfioravano l'involto di politene che la racchiudeva. La doveva usare ora? Il fischio vibrò di nuovo nel caldo e Billy si accorse di essersi piantato le unghie nelle cosce. I suoi calzoni erano contro il muro dove li aveva gettati, se li infilò. Prese giù il pacchettino e aprì la porta sul passavanti, più piano che poté. I piedi nudi non facevano alcun rumore sulla tiepida lamiera del ponte.
Tutti gli oblò e tutte le finestre erano aperti, come tanti occhi oscuri e ciechi nei fianchi striati di ruggine delle navi. Dappertutto c'era gente che dormiva, in ogni cabina, in ogni scomparto. Billy salì sul ponte tenda e gli occhi tenebrosi continuavano a guardarlo. L'ultima scaletta portava al ponte di comando, luogo un tempo sprangato e inviolato, ma che due generazioni di ragazzi avevano finito per aprire, lavorando con pazienza ai suoi catenacci e alle sue difese metalliche. Ora non c'era più porta, i vetri erano da tempo spariti dalle finestre. Di giorno era il terreno di giuochi preferito dei ragazzi della Columbia Victory, ora però era deserto e silenzioso. L'unica testimonianza del loro passaggio era il forte odore di urina negli angoli. Billy vi entrò.
Erano rimasti solamente i più robusti degli arredi nautici: un tavolo da carteggiare metallico, saldato alla parete; il telegrafo di macchina; la ruota del timone dalla quale mancava la metà delle caviglie. Billy aprì con cautela il pacchetto di droga sul tavolo nautico e infilò il dito nella polvere grigia appena visibile nella luce delle stelle. Come la chiamavano? L. S. D. ? Qualunque cosa fosse era comunque venduta in polvere, per questo forse la chiamavano “sporcizia”, come la polvere comune. Anzi mescolavano la polvere comune alla droga per allungarla. Bisognava prenderla così com'era, sporcizia e droga insieme, per ingerire abbastanza L. S. D. da sentirne gli effetti. Aveva osservato Sam-Sam e altri ragazzi dei Tigers quando fiutavano la droga, ma lui non lo aveva mai fatto. Come facevano? Alzò l'involtino di plastica, se lo tenne sotto il naso, tappandosi una narice col pollice, ed aspirò con forza. L'unica sensazione che avverti fu un tremendo pizzicore, e si chiuse il naso con due dita per non starnutire e spargere tutta la polvere. Quando l'irritazione cessò aspirò il resto della polvere con l'altra narice e gettò il pezzetto di plastica in terra.
Non provava niente, assolutamente niente, il mondo era come prima e Billy capi di essere stato imbrogliato. Due dollari buttati via, gettati al vento, per niente. Si chinò fuori del finestrino senza vetri e senza riquadro, e le lacrime si mescolarono al sudore del viso. Pianse e pensò per un po' a quella truffa, e si disse che per fortuna era buio e nessuno poteva vederlo piangere, lui, un ragazzo di diciotto anni. Sotto le sue dita le irregolarità del metallo nell'apertura della finestra, parevano al tatto valli e montagne in miniatura. Ruvide, lisce, dure, morbide. Si appoggiava alla finestra, lasciava scorrere le dita e il godimento tattile gli procurava fremiti di piacere lungo la spina dorsale. Come mai non lo aveva notato prima? Si chinò e leccò con la lingua il metallo. Il sapore insieme dolce, acido, metallico e sporco era stupendo e quando con gli incisivi toccò il ferro, gli parve di aver staccato con un morso un pezzo della lamiera grande quasi come la metà del ponte di comando.
Il fischio di un piroscafo riempì il mondo col suo lamento, da qualche parte, laggiù sul fiume, o qui vicino; capì che era assai più d'un fischio, era musica, acuta, bassa, che lo circondava e spalancò la bocca per assaggiarla meglio. Chi era stato, il suo piroscafo, a fare quel fischio? Gli scuri profili delle traverse, degli alberi, dei cavi e dei fumaioli, antenne, bozze, stragli, barche si muovevano intorno a lui, creando forme oscure, danzanti contro l'altra oscurità, quella del cielo. Salpavano tutti, naturalmente, lui l'aveva sempre saputo che sarebbero salpati un giorno, e il momento era venuto. Diede ordini in macchina e prese il timone. Le caviglie di legno erano così tornite, così adatte al palmo. Parevano membri turgidi, uno per mano! Voltò, sterzò, e portò la nave nella ondeggiante foresta di scheletri neri.
Anche l'equipaggio si dava da fare. Bravo quell'equipaggio! Gli ordini, lui li sussurrava perché quella gente era così in gamba da comprendere i suoi ordini anche se li pensava, senza pronunciarli. Si asciugò il naso umido. Erano tutti sotto coperta e facevano tutte le cose ben fatte che fa un buon equipaggio mentre lui, di sopra, guidava la nave per loro. Anch'essi sussurravano mentre faticavano, e due di loro, proprio sotto il ponte di comando, si chinavano a parlare. Bill ne udì uno che diceva: “Tutti al loro posto?”, cosa piacevole da udire, e l'altro rispondeva: “Sissignore”, e anche questo era piacevole. E vedeva al buio i suoi uomini numerosi sui ponti, altri sulle passerelle, altri che scendevano. Nelle sue mani il timone era grande e solido, e lui continuava a muoverlo di qua e di là, guidando la sua nave fra le altre navi.
Luci. Voci. Di sotto. Gente. In coperta.
«Non è nell'alloggio, tenente.»
«Quel porco è scappato quando vi ha udito arrivare.»
«Forse, signore, ma avevamo disposto degli uomini ai boccaporti e sulle scale. E anche ai punti di collegamento con le altre navi. Dev'essere ancora a bordo. Sua madre dice che è andato a letto alla stessa ora degli altri.»
«Trovatelo, allora. Avete metà dell'effettivo a disposizione per prendere un solo ragazzo. E dunque prendetelo!»
«Sissignore.»
Prenderlo? Prendere chi? Ma lui, perbacco! Prendere lui. Capiva ora chi era quella gente, di sotto, polizia, e lo cercavano. Lo avevano individuato nel modo che lui aveva sempre intuito. Ma non voleva andare con loro. Non ora, che si sentiva così! Era forse la polvere che gli dava quella sensazione? Polvere meravigliosa! Si sarebbe dovuto procurare dell'altra polvere. Non sapeva molte cose, una di queste cose era che i poliziotti non avevano o non vi davano la polvere. Niente polvere?
La ringhiera scricchiolò, dei passi pesanti risuonarono sulla scaletta che portava al ponte di comando. Billy saltò sul tavolo nautico e, attraverso un finestrino, passò dall'altra parte, allungò le braccia, si appese, si arrampicò e si tirò fuori. Era facile. Ed era anche piacevole.
«Che porco!» disse una voce, molto più forte, fuori della finestra sottostante. «Non è qui, tenente.»
«Continuate a cercare. Andate dappertutto. Dev'essere da qualche parte.»
L'aria notturna era tiepida e mentre correva gli sembrava fosse abbastanza densa da reggerlo. Forse avrebbe potuto passare così, a volo, sull'altra nave? Si trovò a un tratto vicino al fumaiolo e questa gli sembrò una soluzione migliore. Delle sbarre di ferro tondo, imbullonato alla lamiera, da un lato del fumaiolo, formavano una scaletta, e lui vi si arrampicò.
«Non avete sentito nulla, lassù?»
Ancora un gradino e fu in cima. L'ampia bocca spalancata, ovale del fumaiolo era nera, contro l'oscurità più nera ancora della notte. Non poteva andare oltre, tranne dentro il fumaiolo. Avanzò una mano nel vuoto, il suo piede scivolò, per un minuto tentennò poi cadde all'interno della galleria scura e la sua mano incontrò una sbarra interna, ruvida, arrugginita, coperta di grasso e scaglie. Si arrampicò sulla sbarra e si accovacciò a mezzo, la mano aggrappata sull'orlo metallico del fumaiolo. Guardò le stelle. Le poteva notare ora, perché le voci non erano più che un mormorio distante come le onde, ed era la prima volta che vedeva delle stelle come quelle. Erano forse stelle nuove? Avevano ognuna un colore diverso, colore che non ricordava di aver visto prima. Gli vennero i crampi nelle gambe, e le mani che si aggrappavano al metallo si intorpidivano. Non poteva più resistere. Sarebbe caduto in fondo a quel tunnel senza fine sotto di lui. Quel nascondiglio non era stato la buona soluzione che gli era parsa prima. Con supremo sforzo raddrizzò le gambe e strisciò oltre l'orlo metallico del fumaiolo, e trovò la scaletta che permetteva di salire sulla superficie liscia del metallo pitturato.
Per uno che è nato su una nave, che vive su una nave, è un mondo altrettanto normale di quello fatto di strade, o qualsiasi altro. Billy sapeva che a prora, arrampicandosi oltre la ringhiera, e lasciandosi penzolare, si poteva saltare sulla poppa di un'altra nave ancorata contro di essa. E vi erano altri modi di passare da una nave all'altra evitando le passerelle e le scale, e li sapeva adoperare, anche nel buio, senza difficoltà, per raggiungere la riva. Vi era quasi arrivato, quando si rese conto che i piedi gli dolevano nel punto dove avevano strisciato su una manichetta di acciaio arrugginita e si era riempito la pianta dei piedi di schegge di metallo acuminate. Si sedette, e nel buio tentò di sfilarne alcune, al tatto. Mentre era lì seduto, appoggiato alla ringhiera, gli vennero i brividi.
La sua memoria era limpidissima. Sapeva cos'aveva udito e che cosa aveva fatto, ma solo ora l'effettiva importanza della cosa si faceva strada nella sua mente. La polizia aveva scoperto il suo misfatto e l'aveva rintracciato: era stato un puro caso che lui si fosse trovato lassù e li avesse evitati.
Lo cercavano, e sapevano chi era.
Il cielo era grigio dietro il profilo scuro della città quando egli raggiunse il fronte del porto, quasi dentro la città, all'estremità della lunga fila di navi. Pareva vi fosse gente vicino alla 23a Strada, ma era troppo buio per esserne certi.
Saltò sul pontile e fece una corsa fino ai capannoni, piccola figura sporca di fuliggine, scalza e impaurita. E le ombre lo ingoiarono.
L'ondata di caldo attanagliava la città da tanto tempo che nessuno ne parlava più. La si subiva, e basta. Quando Andy salì nell'ascensore, il lift, un ragazzo esile dall'aspetto stanco, era appoggiato contro la parete, con la bocca semiaperta, e sudava nella sua uniforme già inzuppata. Erano solo le sette e pochi minuti quando Andy aprì la porta dell'appartamento 41-E. Appena la porta esterna si chiuse alle sue spalle, egli bussò a quella interna, poi fece un inchino esagerato nella direzione della TV. La chiave girò nella serratura e Shirl apparve sulla soglia, con i capelli scompigliati dal sonno, e sulle spalle solo una trasparentissima vestaglia.
«Quanti giorni…» disse e si lasciò stringere fra le sue braccia e baciare. Lui si dimenticò il sacchetto di plastica che aveva sotto il braccio e che cadde a terra. «Che cos'è?» disse Shirl facendo entrare Andy.
«L'impermeabile. Devo portarmelo dietro quando entro in servizio, fra un'ora. Dicono che oggi pioverà.»
«Non puoi rimanere qui, ora?»
«Ah, se lo potessi!» La baciò a lungo ancora una volta e le disse senza molto entusiasmo: «Sono successe tante cose dall'ultima volta che ti ho visto.»
«Ti faccio un po' di kofee, non ci vorrà molto. Vieni in cucina e raccontami tutto.»
Andy si sedette e guardò fuori dalla finestra mentre Shirl metteva l'acqua a scaldare. Delle nubi scure riempivano il cielo da un'estremità all'altra dell'orizzonte, così dense che parevano toccare i tetti degli edifici. «Qui nell'appartamento non si sente,» le disse, «ma fuori è ancora peggio degli altri giorni. Sarà l'umidità, credo. Almeno novantanove per cento.»
«Avete trovato quel ragazzo, Chung?»
«No. Per quello che ne sappiamo potrebbe essere anche in fondo al fiume. Sono più di due settimane che ci è scappato di sotto il naso mentre perlustravamo la sua nave e da quel giorno non abbiamo trovato la minima traccia del ragazzo. Abbiamo anche avuto un'assegnazione preferenziale di carta, abbiamo pubblicato un identikit con le impronte digitali dell'individuo e la sua descrizione, e l'abbiamo fatta circolare per tutti i posti di polizia. Ne ho portato io stesso delle copie nel quartiere cinese, e in tutti i distretti adiacenti, ho parlato con gli investigatori. In principio avevamo messo una guardia fissa nell'alloggio del ragazzo, poi l'abbiamo tolta e ci siamo assicurati due informatori che abitano sulla stessa nave. Terranno gli occhi aperti e ci avvertiranno, qualora il ragazzo si facesse vedere. Li pagheremo solamente se lo vedono tornare. È tutto ciò che possiamo fare.»
«Credi che riuscirete a prenderlo?»
Andy si strinse nelle spalle e soffiò sulla tazza di kofee che la ragazza gli porgeva. «Non si può sapere. Se non combina altri guai e se rimane fuori della città non lo troveremo più. È una questione di fortuna, in un senso o nell'altro. Vorrei poter convincere il Consiglio Comunale di questa situazione.»
«Allora, sei sempre addetto all'inchiesta?»
«Solo a metà, purtroppo. Continua la pressione sulla polizia per trovare il ragazzo, ma Grassy è riuscito a convincere il Comando che potrei dedicare a questo lavoro solo la metà del mio tempo, seguendo gli indizi man mano che si presentano, e quelli hanno accettato. Così metà del mio tempo dovrei dedicarlo a questo caso e l'altra metà al solito lavoro di squadra. Il che, se tu conoscessi Grassy, significa che per tutto il giorno sono in servizio attivo, e per il resto del tempo cerco Billy Chung. Comincio a odiare quel ragazzo. Vorrei che fosse annegato e poterlo dimostrare.»
Shirl gli sedette di fronte e cominciò a sorseggiare il suo kofee.
«Ed è così che hai trascorso tutti questi giorni?»
«Proprio così. In servizio, e su, ai Serbatoi di Kensico per due giorni, senza aver tempo di fermarmi qui, né di inviarti un messaggio. Ora sono in servizio diurno e devo firmare alle otto, ma volevo vederti prima. Oggi è il trenta del mese. Cosa conti di fare, Shirl?»
Shirl scosse il capo in silenzio e guardò il tavolo, con un'espressione di tristezza che le era nata sul volto appena Andy aveva parlato. Egli allungò il braccio e le strinse una mano, ma lei non vi badò, né tentò di ritirarla.
«Neanch'io vorrei parlarne,» disse lui. «Queste ultime settimane sono state, insomma…» Cambiò argomento, non poteva esprimere ciò che pensava, perlomeno non ora, così all'improvviso. «Non ti ha più seccato la sorella di O'Brien?»
«È tornata, ma non l'hanno lasciata entrare nell'edificio. Avevo avvisato il portiere che non la volevo vedere. Ha fatto una scenata. Tab mi ha detto che ha divertito tutti gli impiegati del palazzo. Ha lasciato un appunto, dicendo che sarebbe tornata domani, perché è l'ultimo giorno del mese, per portarsi via tutto. Penso che ne abbia il diritto. Mercoledì è il 1°, e così l'affitto scade domani a mezzanotte.»
«Hai qualche progetto per dove… che cos'hai intenzione di fare?» Nel modo come lo diceva suonava freddo e poco naturale, ma non riusciva a far meglio.
Shirl esitò poi scosse la testa. «No, non ci ho pensato per niente,» disse «quando eri qui con me mi pareva sempre festa, e non ho fatto altro che rimandare da un giorno all'altro ogni preoccupazione per il futuro.»
«È stata una festa, eccome! Spero che non abbiamo lasciato neppure una bottiglia di liquore alla vecchia megera.»
«Neanche un bicchierino.»
Risero insieme. «Dobbiamo aver bevuto un capitale di liquori,» disse Andy. «Ma non provo neanche una goccia di rimorso. E da mangiare… ?»
«Sono rimasti solo crackers d'alghe, più una o due cosette per fare una bella cena. Ho un tilapia in frigorifero. Speravo mangiarlo con te stasera, fare una specie di cenetta di addio, o meglio un ricevimento d'uscita di casa, anziché d'inaugurazione di casa!»
«Io verrei, se a te non importa mangiare tardi. Potrebbero essere anche le dodici.»
«Per me va bene; anzi, sarà molto più carino.» Quando Shirley era felice lo si vedeva su ogni centimetro della sua persona, e lui non poteva fare a meno di sorridere. I suoi capelli parvero più luminosi, sembrava quasi che la felicità fosse una sostanza tangibile e che fluisse nella sua persona irradiandosi in ogni direzione. Andy lo avvertì e questo gli diede coraggio. Seppe che se non parlava ora non sarebbe più stato in grado di farlo.
«Senti Shirl,» prese le mani di lei nelle sue e il calore di quel contatto lo aiutò a superare lo scoglio. «Vorresti venire da me? Potresti stare a casa mia. Non c'è tanto spazio, ma io non sto molto a casa e quindi non ingombro la piazza. È tutta per te, per tutto il tempo che ti piacerà.» Lei stava per dire qualcosa, ma lui la zittì mettendole un dito sulla bocca. «Aspetta, prima di accettare. Non ci sono condizioni poste a questa offerta. È una sistemazione provvisoria… per tutto il tempo che vorrai. Non ha niente a che fare con Chelsea Park, è solo un locale sciatto, in un edificio senza ascensore, la metà di una stanza, e…»
«Taci, taci…» si mise a ridere, «… io sto tentando di dire di sì da un'ora e tu continui a predicare per disgustarmi!»
«Che cosa… ?»
«Io non desidero altro al mondo, Andy, tranne che essere felice, e sono stata più felice con te in queste settimane di quanto lo sia mai stata in tutta la mia vita. E non ci riuscirai a farmi paura col tuo appartamento. Dovresti vedere la casa dove abita mio padre, e vi sono vissuta sino a diciannove anni!»
Andy riuscì a fare il giro del tavolo senza farlo cadere e la strinse fra le braccia. «E pensare che devo essere in ufficio tra un quarto d'ora,» si lamentò. «Ma aspettami qui, verrò in un'ora qualsiasi dopo le sei, certamente molto tardi. Faremo la nostra cenetta e poi ci occuperemo del trasloco. Hai molta roba?»
«Sta tutta in tre valigie.»
«Perfetto. Le porteremo noi, o prenderemo un peditaxi. Ora devo andare.» La voce di Andy si mutò in un sussurro. «Dammi un bacio.» Shirley gli diede un bacio appassionato. Si sentivano ugualmente felici.
Gli ci volle uno sforzo eroico per riuscire ad andarsene, e prima di uscire ripassò mentalmente tutte le scuse che avrebbe potuto addurre per il suo ritardo, ma sapeva che neppure una avrebbe soddisfatto il tenente. Arrivando nell'atrio del palazzo avvertì per la prima volta un rumore sordo, come un rullo di tamburo, e vide il portiere, Tab e i quattro guardiani stretti davanti all'ingresso, che guardavano fuori. Gli fecero un posto fra loro.
«Guardate un po', ma guardate un po',» diceva Charlie. «Questo cambia ogni cosa.»
Il lato opposto della strada era quasi invisibile, nascosto da una spessa cortina di pioggia. Veniva giù a catinelle, sui tetti, sui marciapiedi. Le grondaie traboccavano, investite da torrenti d'acqua pieni di rifiuti. Gli adulti si buttavano nei portoni e nell'atrio degli edifici per ripararsi; ma per i bambini era una vera festa. Correvano, urlavano, sedevano sull'orlo dei marciapiedi e sguazzavano nei torrenti d'acqua sporca.
«Appena le fogne si bloccano, qui l'acqua sale a cinquanta centimetri. Alcuni di quei ragazzi annegheranno,» disse Charlie.
«È così ogni volta,» disse Newton il guardiano, con morbosa soddisfazione. «Basta uno spintone per i più piccoli, e nessuno se ne accorge finché non finisce di piovere.»
«Potrei parlarvi per un momento?» disse Tab toccando il braccio di Andy e appartandosi dal gruppo. Andy lo seguì cercando d'infilare l'impermeabile le cui pieghe erano appiccicate.
«Domani è il trentuno,» disse Tab. Con una mano tenne l'impermeabile teso mentre Andy lottava per infilare una mano nella manica chiusa che non voleva cedere.
«Penso che ti stia cercando un altro lavoro, vero?» disse Andy che pensava a Shirl e alla pioggia che cadeva a secchi, lì fuori.
«Non è quello che intendevo,» disse Tab, e mentre parlava si voltò a guardare la finestra. «È per Shirl… Deve lasciare l'appartamento domani, è obbligata. Ho sentito che quella megera della sorella di O'Brien ha noleggiato un rimorchio. Per prima cosa domattina porterà via i mobili. Vorrei proprio sapere che cosa intenda fare Shirl.» Le sue braccia erano incrociate sul petto e guardava imbronciato la pioggia che cadeva, con l'immobilità di una statua.
Non è affar suo, pensò Andy. Ma l'ha conosciuta assai prima di me.
«Siete sposato, Tab?» gli chiese.
Tab gli lanciò un'occhiata in tralice e rispose: «Sposato, felicemente sposato, con tre bambini, e non cambierei la mia sorte anche se mi offriste una di quelle regine della TV con due seni grandi come poponi.» Guardò bene Andy poi sorrise. «Nulla da temere. Il fatto è che le sono affezionato, ecco tutto, e mi preoccupo del suo domani.»
Non è un segreto, pensò Andy. «Viene ad abitare con me,» disse, «verrò qui stasera per aiutarla a trasportare le sue cose.» Guardò Tab che assentì con fare serio.
«Questa è una buona notizia, mi fa molto piacere. Spero che tutto vada bene, veramente.»
Si voltò per guardare la pioggia e Andy diede un'occhiata all'orologio. Erano quasi le otto e uscì in fretta. L'aria era fresca, più fresca che nell'atrio. La temperatura, da quando era cominciato a piovere, doveva essere scesa almeno di cinque gradi. Era probabilmente la fine dell'ondata di caldo, era durata a sufficienza. Vi erano già alcuni centimetri d'acqua nel fossato e la sua superficie era increspata dalle gocce che cadevano formando larghi cerchi. Prima ancora di avere attraversato tutto il ponte levatoio, Andy sentì che l'acqua gli era già entrata nelle scarpe. I suoi calzoni erano inzuppati, i capelli bagnati gli si erano appiccicati sul capo. Ma la sensazione di fresco era piacevole, non gliene importava niente, e non lo turbava neppure il pensiero del tenente Grassioli e del suo eterno malumore.
Piovve per il resto del giorno, che sotto ogni altro aspetto fu un giorno come gli altri. Grassioli lo rimproverò due volte personalmente, poi lo incluse in una strapazzata generale di tutta la squadra. Svolse un'indagine su due rapine semplici e su un'altra che comprendeva un'aggressione a mano armata, la quale si sarebbe presto tramutata in omicidio, perché la vittima declinava rapidamente in seguito a una coltellata ricevuta nell'addome. Si era accumulato più lavoro di quanto l'intera squadra fosse in grado di smaltire in un mese, e nuovi incidenti venivano segnalati mentre gli investigatori si occupavano ancora di sistemare quelli arretrati. Come previsto, egli non poté lasciare il Distretto alle sei. Ma, alle nove, una telefonata chiamò fuori ufficio il tenente, e tutta la squadra diurna ancora al lavoro, si dileguò dieci minuti dopo, a dispetto delle minacce lanciate da Grassioli al momento di uscire. Pioveva ancora, ma con meno impeto di prima, e l'aria era fresca dopo tanti giorni di calura ininterrotta. Mentre percorreva la Settima Avenue, Andy si rese conto che le strade erano quasi vuote ed era la prima volta in tutta l'estate che questo accadeva. Alcune persone uscivano sotto la pioggia, molte sagome oscure si stipavano in ogni portone, ma le strade e i marciapiedi erano stranamente deserti. Salire le scale di casa sua fu più difficile del solito. La gente che normalmente affollava il marciapiede si era seduta lì. Molti perfino dormivano sulle scale, distesi per traverso sui gradini. Ne spinse alcuni, inciampò sugli altri che non si volevano muovere, ignorando le loro imprecazioni. Era il preludio di ciò che sarebbe avvenuto in autunno, a meno che i proprietari dello stabile avessero assunto dei guardiani per buttar fuori tutti i senza-tetto. Ma non ne valeva la pena, perché i senza-tetto erano tanti e tornavano appena i guardiani voltavano le spalle.
«Ti rovinerai gli occhi a guardare continuamente quell'aggeggio,» disse a Sol entrando in casa. Il vecchio era disteso sul letto, con i guanciali appilati dietro le spalle e guardava un film di guerra alla TV. I colpi di cannone si susseguivano senza posa nell'altoparlante.
«I miei occhi erano già rovinati prima che nascessi, caro il mio sputasentenze, e vedo tuttora meglio di molti vecchi della mia età. Mi pare che tu faccia ancora gli straordinari…»
«Trovami un posto migliore e lascio subito quello,» rispose Andy, accendendo la lampada della sua stanza, e frugando nell'ultimo cassetto. Sol lo raggiunse e sedette sull'orlo del letto.
«Se cerchi la tua torcia, l'hai lasciata sul tavolo l'altra sera. Volevo dirtelo. L'ho messa nel cassetto di sopra, sotto le camicie.»
«Sei come una mamma per me.»
«Ah, sì? Ma non chiedermi soldi in prestito, figlio caro.»
Andy mise la torcia elettrica in tasca e sentì che era venuto il momento di parlare a Sol. Aveva rimandato la notizia finché poteva, e si chiedeva perché la cosa lo imbarazzasse tanto. Dopo tutto, quella stanza era tutta sua, dividevano le razioni alimentari e i pasti perché era più facile, e basta. Era stata una combinazione di comodo.
«C'è qualcuno che verrà a stare con me, qui, per un po' di tempo, Sol. Non so quanto tempo.»
«La stanza è tua, caro. Conosco il giovanotto?»
«Non direi. E poi non è un giovanotto.»
«Ah, ah, tutto si spiega.» Fece schioccare le dita. «Non sarà mica la puledrina di Big Mike, quella che tu vedi sempre?»
«Sì, è lei. Si chiama Shirl.»
«Un bel nome, una bella ragazza,» disse Sol alzandosi e andando verso la porta. «Sta' attento a non bruciarti le dita, ragazzo mio.»
Andy stava per dire qualcosa ma Sol era già uscito dalla stanza e aveva chiuso la porta dietro di sé. Un po' più forte del necessario. Quando Andy uscì, più tardi, egli non distolse lo sguardo dalla Tv né gli rivolse la parola.
Era stata una lunga giornata di lavoro e Andy aveva male ai piedi, al collo, agli occhi che gli bruciavano; si chiese perché Sol se la fosse presa. Non conosceva Shirl, quindi che cosa aveva da ridire? Attraversando la città sotto la pioggia che ora cadeva piano, pensò a Shirley e senza accorgersene si mise a fischiare. Aveva paura, era stanco, e desiderava tanto vederla. Le torri e le guglie di Chelsea Park si stagliarono davanti a lui attraverso la pioggia. Il portiere gli fece un saluto col capo mentre attraversava il ponte levatoio.
Shirl gli apri la porta, indossava quell'abito d'argento che aveva la prima sera che si erano incontrati, con un minuscolo grembiule annodato in vita. Un fermaglio d'argento le teneva a posto i capelli ed aveva un bracciale dello stesso stile al braccio destro e degli anelli su tutt'e due le mani.
«Non mi bagnare,» gli disse, tendendogli il viso per baciarlo. «Mi sono messa le mie cose migliori per la nostra festicciola.»
«E io sembro un salame,» disse Andy togliendosi l'impermeabile.
«Sciocchezze, sembri uno che ha lavorato tutto il giorno in ufficio o non so come chiami quel posto dove lavori. Hai bisogno di rifarti. Appendi quella roba nella doccia e asciugati i capelli prima di buscarti un raffreddore. Poi vieni nel soggiorno, c'è una sorpresa.»
«Che cos'è?» le gridò quando si fu allontanata.
«Se te lo dico non sarà più una sorpresa,» rispose con l'affascinante logica femminile.
Shirl si era tolta il grembiulino e lo aspettava nel soggiorno, in piedi, fierissima, accanto al tavolo. Due lunghe candele facevano brillare le posate, la porcellana dei piatti, il cristallo dei bicchieri. Una tovaglia bianca ricadeva con pieghe gonfie dai bordi del tavolo. «E non è tutto,» disse Shirl puntando il dito verso l'estremità del tavolo dove, da un secchiello d'argento, spuntava il collo di una bottiglia.
Andy vide che il tappo era legato da rete metallica, e che il secchio era pieno di cubetti di ghiaccio e di acqua. Alzò la bottiglia, portò l'etichetta sotto la luce, e la lesse ad alta voce:
«“Vino francese di Champagne, vino raro, selezionato effervescente, di nobile origine. Artificialmente colorato, insaporito, addolcito e carbonato”.» Lo rimise accuratamente dentro il secchio. «Avevamo anche noi del vino, in California, quand'ero bambino e mio padre me lo aveva fatto assaggiare. Ma non ne ricordo il sapore. Shirl, finirai per viziarmi con queste blandizie. E mi hai anche imbrogliato, mi hai detto che tutti i liquori erano finiti, e invece avevi nascosto questa bottiglia.»
«Io, no! L'ho comprata oggi, intenzionalmente, per la nostra cena. È venuto l'uomo che forniva i liquori a Mike, sta nel New Jersey e manco sapeva che cosa gli era accaduto.»
«Ti sarà costato un capitale.»
«Meno di quanto credi. Gli ho rivenduto tutte le bottiglie vuote e mi ha fatto un prezzo speciale. Ora aprila per l'amor di Dio, e assaggiamolo.»
Andy ebbe il suo da fare col filo metallico che tratteneva il tappo. Aveva visto alla TV gli attori che stappavano bottiglie come questa, ma sembrava molto più facile. Vi riuscì finalmente e si udì un bang” ben chiaro quando saltò il tappo che attraversò tutta la stanza mentre Shirl accostava il suo bicchiere, per raccogliere la spuma come le aveva insegnato l'uomo dei liquori.
«Alla nostra salute,» disse lei e brindarono.
«È molto buono, non avevo mai assaggiato nulla di simile finora.»
«E nemmeno avrai assaggiato un pranzo come questo prima d'oggi,» disse Shirl correndo verso la cucina. «Ora siediti, beviti il tuo vino e guarda la TV, mi occorrono ancora cinque minuti.»
Il primo piatto era una minestra di lenticchie, ma con un sapore migliorato, più ricco del solito. Era sugo di carne, spiegò Shirl, quello dell'arrosto. Col tilapia servì una salsa bianca, con foglie di crescione sparse sopra, e pallottoline di crackers d'alga, poi insalata di crescione di mare. Il vino andava bene con tutto e Andy sospirava già di soddisfazione per il piacevole senso di insolita sazietà, quando Shirley portò il kofee e il dolce, una gelatina di agar-agar profumata, ricoperta di latte di soia. Andy brontolò un po' ma non fece fatica a mangiarlo.
«Tu fumi tabacco?» disse Shirl mentre sgomberava il tavolo.
Si appoggiò sullo schienale della poltrona, gli occhi socchiusi e squisitamente disteso. «Data la paga di un poliziotto, no di certo, Shirl. Sei proprio un genio in cucina, diventerò esigente se continuo a mangiare i tuoi manicaretti.»
«Bisogna viziare gli uomini, è più facile poi vivere con loro. Peccato che tu non fumi, perché ho trovato due sigari rimasti in una scatola che Mike aveva nascosto e che avevo messo via per qualche ospite speciale.»
«Portali al mercato delle pulci, li venderai bene.»
«No, non posso, non mi sembra giusto.»
Andy si alzò. «Se vuoi fare una cosa ben fatta, io so che Sol aveva l'abitudine di fumare. È il vecchio che sta con me, nella stanza accanto, te l'ho già detto. Lo metterà di buon umore. Siamo molto amici.»
«È una meravigliosa idea,» rispose Shirl intuendo un senso di timore nelle parole di Andy. Chiunque fosse quel Sol, Shirl voleva riuscirgli simpatica, dato che viveva nella stanza accanto. «Li metto nella valigia.» Portò il vassoio in cucina.
Dopo aver pulito i piatti andò in camera da letto a finire le valigie e chiamò Andy per aiutarla a prendere l'ultima valigia sullo scaffale più alto. Si cambiò per uscire e Andy l'aiutò ad aprire la chiusura lampo, gesto che ottenne esattamente l'effetto che lei scontava.
Era mezzanotte quando finì di riempire l'ultima borsa. Si era messa un abito grigio da passeggio ed era pronta a partire.
«Non dimentichi nulla?» chiese Andy.
«Non credo, ma darò un'ultima occhiata in giro.»
«Shirl, quando sei venuta, voglio dire quando ti sei installata qui, non hai portato con te biancheria, cioè asciugamani, lenzuoli… ?» Guardava in direzione del letto e pareva turbato.
«No, niente di tutto questo, avevo solo una borsa e alcuni abiti.»
«Speravo proprio che qualche lenzuolo fosse tuo. Vedi, io ne ho uno solo ed è già vecchio; costano un patrimonio oggigiorno; anche quelli usati.»
Lei rise. «Tu parli come se avessi intenzione di passare gran parte del tuo tempo a letto. Ora che mi ricordo, sì. Due lenzuoli erano miei.» Aprì la borsa e ve li infilò. «Quello, almeno, me lo doveva.»
Andy portò le valigie sul pianerottolo e suonò per far venire l'ascensore. Shirl rimase un momento a guardare l'appartamento prima di chiudere la porta e poi si affrettò a raggiungerlo.
«Ma non dorme mai?» chiese Andy mentre attraversavano l'atrio e si dirigevano verso Charlie che stava in piedi al suo posto davanti all'ingresso.
«Non ne sono sicura,» disse Shirl. «È sempre presente quando succede qualcosa.»
«Mi spiace vedervi andar via, signorina Greene,» disse Charlie quando gli furono vicini. «Posso prendere le chiavi dell'appartamento ora, se volete.»
«Sarà meglio che le diate una ricevuta,» disse Andy mentre lei porgeva le chiavi.
«Certo,» disse Charlie, «se avessi qualcosa su cui scriverla.»
«Qui, sulla mia agenda,» disse Andy. Alzò lo sguardo oltre la spalla del portiere e vide Tab che usciva dalla stanza dei guardiani.
«Tab? Che cosa fai qui a quest'ora della notte?» chiese Shirley.
«Vi aspettavo. Ho sentito che lasciavate la casa e volevo darvi una mano con le valigie.»
«Ma è tardi…»
«Ultimo giorno di lavoro. Devo terminare il mio compito. E non vorrete farvi vedere in giro a quest'ora della notte con delle valigie? Un sacco di gente vi taglierebbe la gola per molto meno.» Prese due delle borse e Andy prese la terza.
«Mi auguro che qualcuno mi venga a molestare,» disse «con a fianco una guardia del corpo di prim'ordine e un poliziotto. Tutto ciò per accompagnarmi a un paio di isolati di distanza.»
«Ne faremmo carne da polpette,» disse Andy riprendendosi l'agenda e aprendo la marcia verso la porta che Charlie manteneva aperta.
Fuori la pioggia era cessata e fra una nube e l'altra si vedevano le stelle. La temperatura era deliziosamente fresca. Shirley prese per il braccio ognuno dei suoi compagni e s'incamminò, uscendo dallo spiazzo illuminato dell'ingresso di Chelsea Park e inoltrandosi nell'oscurità della strada.
Era stata una strana esperienza, salire le scale al buio, dirigendo la luce sulla gente addormentata sui gradini, mentre Andy portava le sue valigie. Il suo amico Sol dormiva e avevano rapidamente attraversato la stanza, entrando in quella di Andy. Il letto era appena sufficiente per loro due, e lei era stanca, si era rannicchiata tutta contro di lui, con la testa sulla sua spalla e aveva dormito così saporitamente che non si era destata quando Andy si era svegliato, si era vestito, ed era uscito. Svegliandosi vide che il sole entrava nella stanza e arrivava sino ai piedi del letto, e quando appoggiò i gomiti sul davanzale della finestra, sentì quel buon odore di aria pulita, come lavata di fresco. Solo dopo un temporale, la città era così. La polvere e la caligine erano state portate via dall'acqua e l'aria era miracolosamente chiara. Sì vedevano in lontananza i profili angolosi degli edifici di Bellevue che si stagliavano al disopra di un groviglio di tetti neri come il catrame, e di muri di mattone macchiati. Il caldo era finito, scomparso con la pioggia, e questa era la cosa più importante. Shirl sbadigliò soddisfatta e si voltò a guardare la stanza.
Era proprio una tipica camera da scapolo, abbastanza in ordine; ma aveva altrettanto fascino che una vecchia scarpa. Dappertutto c'era una sottile patina di polvere, ma questo era colpa di Shirl, perché Andy non era rimasto molto a casa, durante quel mese. Se avesse potuto procurarsi un po' di pittura, una mano di vernice su quel canterano non ci sarebbe stata male. Non sarebbe stato così scalfito e graffiato neanche se fosse stato travolto da una valanga.
Per fortuna vi era una specchiera grande, con una lunga crepa in mezzo, ma ancora valida. E un guardaroba per appendere le sue cose. Non c'era, in realtà, da lamentarsi. Bastava ripulirla un po' e la camera sarebbe stata carina. E togliere di mezzo quei milioni di ragnatele sul soffitto.
Vi era un serbatoio d'acqua con un rubinetto, sulla parete divisoria, vicino alla porta, e quando l'apri, un rivolo d'acqua scese tintinnando nel catino fissato su due mensole sotto il serbatoio. Aveva un forte odore di prodotti chimici che Shirl aveva scordato poiché tutta l'acqua di Chelsea Park passava attraverso costosi filtri. Non trovò sapone in giro, ma si buttò un po' d'acqua in faccia, si sciacquò le mani e si stava asciugando sull'asciugamano sbrindellato appeso li vicino quando un suono ululante e metallico nello stesso tempo le giunse attraverso la tramezza. Non riuscì ad immaginare che cosa fosse, eppure non poteva venire che dall'altra stanza, quella abitata da Sol. Era lui, chissà come, che produceva quel suono, ed era cominciato soltanto dopo che lui l'aveva sentita muoversi, e usare l'acqua, il che era molto gentile da parte sua. Ma voleva anche dire che la camera di Andy, in quanto a rumori, aveva la stessa appartata intimità di una gabbia di canarini. Era purtroppo inevitabile. Si spazzolò i capelli, infilò lo stesso vestito che indossava la sera prima, si truccò appena. Quando fu pronta, respirò profondo e aprì la porta.
«Buongiorno,» gli fece, non riuscendo a trovare altro da dire e rimanendo nel vano della porta, irrigidita, trattenendo un urlo. Sol era seduto sul sellino di una bicicletta senza ruote, e non andava in nessun posto ma pedalava a tutta velocità, con i capelli grigi che gli svolazzavano sul capo, la barba che gli batteva sul petto a ogni pedalata. L'unico suo indumento era un paio di vecchi shorts molto rattoppati. L'ululato proveniva da un oggetto nero dietro la bicicletta.
«Buongiorno,» disse una seconda volta, più forte però. «Sono Shirley Greene,» gli disse.
«E chi altri potrebbe essere?» disse freddamente Sol scendendo dalla bicicletta e asciugandosi il sudore dal viso con l'avambraccio.
«È la prima volta che vedo una bicicletta come questa. Serve a qualcosa?» Non voleva litigare con lui, per quanta voglia Sol, invece, ne avesse.
«Certo,» disse, «fa il ghiaccio.» Andò a mettersi la camicia.
Dapprincipio Shirl pensò che fosse uno di quegli scherzi a freddo che lei non capiva mai, ma poi vide i fili che collegavano quella specie di motorino nero dietro la bicicletta ai numerosi accumulatori sovrastanti il frigorifero.
«Ho capito,» disse, felice della sua scoperta. «Fate funzionare il frigorifero con la bicicletta. Mi sembra una cosa meravigliosa.»
La sua sola risposta, questa volta, fu un grugnito, senza alcun commento, e lei seppe così che stava facendo progressi.
«Vi piace il kofee?»
«Che ne so, è tanto tempo che non ne bevo.»
«Ne ho mezza lattina nella borsetta. Con un goccio d'acqua calda se ne potrebbe fare un po'.» Non aspettò la risposta ma andò a prendere la lattina nell'altra stanza. Egli guardò per un attimo il suo contenuto marrone, poi alzò le spalle e andò a riempire d'acqua una pentola.
«Scommetto che sa di veleno,» disse mettendo l'acqua sul fornello. Prima però accese la luce della stanza e studiò il filamento incandescente del bulbo, poi assentì con diffidenza. «Tanto per cambiare, oggi abbiamo un po' di corrente. Speriamo duri abbastanza per far bollire due dita d'acqua.» Accese il fornello elettrico. «Io ho bevuto solo kofee, da due anni,» disse Shirl seduta sulla poltrona vicino alla finestra. «Si dice che non abbia il sapore del vero caffè, ma io non lo so.»
«Ve lo dirò io, non ha il sapore del caffè.»
«Voi avete assaggiato del vero caffè? Più di una volta?» Shirl sapeva che tutti gli uomini erano felici di raccontare le proprie esperienze.
«Assaggiato? Perbacco! Io vivevo di caffè. Voi siete una bambina, non avete idea di come erano le cose, ai tempi andati. Si bevevano tre, quattro tazze, talvolta tutta una caffettiera, senza neppure pensarci. Una volta mi sono perfino intossicato, la mia pelle diventava marrone, e tutto quanto, perché ne bevevo sino a venti cartoni al giorno. Ero un campione, come bevitore di caffè; avrei potuto vincere delle medaglie.»
Shirl poté soltanto scuotere la testa in segno d'omaggio, poi si sorbì il suo kofee. Era ancora troppo caldo. «Ora che mi ricordo…» disse balzando dalla sedia e andando nell'altra stanza. Tornò subito e diede a Sol due sigari. «Andy mi ha detto di darveli, che un tempo voi fumavate.» Il suo atteggiamento di superiorità maschile svanì di colpo e rimase a bocca aperta. «Sigari?» Fu tutto quanto riuscì a dire.
«Sì, Mike ne aveva una scatola, ma rimanevano solo questi due. Non so se sono buoni o no.»
Sol cercò di ricordare il rituale che accompagnava l'esame di un sigaro. Annusò con sospetto la punta di uno di essi. «Perlomeno ha odore di vero tabacco.» Poi avvicinò il sigaro all'orecchio, diede un pizzicotto all'estremità più piccola. Lo scricchiolio si udì nettamente. «Ah! ah! Troppo secco, l'avrei giurato. I sigari devono essere trattati con cura, tenuti nel clima adatto. Questi si sono essiccati. Avrebbero dovuto stare in un umidificatore. Così non si possono fumare.»
«Volete dire che non sono buoni? Li dobbiamo buttar via?» Era una triste constatazione.
«Niente affatto, calmatevi. Prenderò una scatola, ci metterò dentro una spugna bagnata, e aspetterò quattro o cinque giorni. C'è di buono, nei sigari, che, se si seccano, si possono far risuscitare, proprio come Lazzaro e forse meglio, perché dopo quattro giorni che era stato seppellito non aveva certo un buon odore. Vi farò vedere io come si trattano questi.»
Shirl bevette il kofee e sorrise. Le cose sarebbero andate bene. A Sol aveva dato fastidio l'idea che qualcuno venisse a stare con Andy, probabilmente era sconvolto. Ma era tanto bravo, aveva, certo, le sue manie, e aveva un modo buffo di parlare, un po' antiquato, ma Shirley seppe che sarebbero andati d'accordo.
«Questa mistura non ha un cattivo sapore,» disse Sol, «se uno riesce a dimenticare com'era il vero caffè. O com'era il prosciutto della Virginia, o il roast-beef, o il tacchino. Ve ne potrei raccontare, io, a proposito di tacchini! Era durante la guerra, e io ero di stanza giù nel Texas. Il vettovagliamento proveniva tutto da Saint-Louis, ed eravamo proprio gli ultimi nella linea di distribuzione. Ciò che giungeva fino a noi era così cattivo che ricordo di aver visto i sergenti di mensa rabbrividire quando aprivano i barattoli contenenti il nostro vitto. Nel Texas la gente alleva tacchini a miliardi. Lì manda poi a Nord per le Feste, come sapete.» Shirl annuì, ma non lo sapeva. «Ebbene, siccome c'era la guerra e non c'era mezzo di esportare tutti quei tacchini, l'aeronautica li comprò per pochi soldi e ne abbiamo mangiato per un mese. Vi dico io! Tacchino arrosto, tacchino fritto, brodo di tacchino, tacchino tritato, croquettes di tacchino…»
Si udì un rumore di passi veloci nel corridoio e qualcuno cercò di girare la maniglia con tale violenza da scuotere tutta la porta. Sol aprì silenziosamente il cassetto del tavolo e prese la piccola mannaia della carne.
«Sol? Ci sei?» gridò Andy dal corridoio, scuotendo nuovamente la maniglia. «Apri subito!»
Sol gettò la mannaia sul tavolo e corse ad aprire. Andy si precipitò dentro, sudato e ansante, chiuse la porta dietro di sé e si mise a parlare a bassa voce, nonostante l'eccitazione.
«Senti, riempi il serbatoio dell'acqua e due canestri, e qualsiasi altro recipiente disponibile. Potresti anche chiudere il lavandino e riempirlo d'acqua. Riempi tutti i bidoni che puoi alla nostra fontana, ma se si accorgono che torni troppo spesso, vai alla fontana della 28a Strada. Ma spicciati, Sol; Shirl ti aiuterà.»
«Che cosa sta succedendo?»
«Cristo! Non far domande. Va' e basta. Non vi avrei dovuto dire niente di tutto ciò. Non lasciate capire che ve l'ho detto io, o saranno guai. Devo tornare in ufficio prima che si accorgano della mia assenza.» Scappò rapidamente com'era venuto, sbatté la porta e sentirono i suoi passi che si allontanavano.
«Ma cos'era tutto quel trambusto?» chiese Shirl.
«Lo sapremo poi,» fece Sol infilandosi i sandali. «Ora dobbiamo muoverci. È la prima volta che Andy si comporta così e io che sono vecchio m'impressiono facilmente. C'è un altro bidone nella vostra stanza.»
Erano i soli ad apparire preoccupati, e Shirl si chiese a che cosa volesse alludere Andy. Vi erano solo due donne ad aspettare nella fila, una di esse aveva una sola bottiglia da riempire. Sol aiutò a portare i bidoni pieni fino alla porta, ma Shirl insistette per portarli su per le scale.
«Mi farà perdere un po' di grasso sui fianchi,» disse. «Io porterò giù i vuoti e voi tornerete a far la coda mentre io svuoto i pieni in casa.»
Ora la coda era un po' più lunga, ma nulla d'insolito. Era l'ora in cui la gente cominciava ad arrivare per essere sicura di avere un po' d'acqua prima della chiusura di mezzogiorno.
«Devi avere molta sete, nonno,» disse il poliziotto di guardia quando arrivarono alla fontana. «Non sei già venuto a rifornirti?»
«E con questo?» ribatté Sol puntando la barba verso il poliziotto. «Improvvisamente vi pagano per farmi i conti in tasca? E se volessi fare un bagno, una volta tanto, per non puzzare come certa gente che potrei nominare se volessi…»
«Comodo, comodo, nonnino.»
«Non sono tuo nonno, cagnotto, visto che non mi sono ancora suicidato, cosa che farei subito se lo fossi. Questa poi! Così, a un tratto, i poliziotti si mettono a contare quant'acqua prende la gente?»
Il poliziotto fece un passo indietro e voltò le spalle. Sol riempì i contenitori, sempre brontolando, e Shirl l'aiutò a portarli da un lato per avvitare il tappo. Avevano appena finito quando un sergente in motocicletta piombò sulla fontana.
«Chiudete la fonte,» disse. «Per tutto il giorno…»
Le donne che aspettavano in fila per riempire i loro secchi urlarono e corsero verso il rubinetto, inciampando, scavalcandosi per tentare di prendere un po' d'acqua prima che la chiudessero. Il poliziotto di guardia si fece strada fra la folla urlante. Prima ancora che arrivasse al rubinetto, questo cominciò a singhiozzare, poi venne giù un filo d'acqua che sparì quasi subito. L'agente guardò il sergente con espressione interrogativa.
«Già, questo è il guaio,» disse. «C'è una condotta rotta. Hanno dovuto chiudere. Domani sarà aggiustata. Ora fai disperdere la gente.»
Sol guardò Shirl senza dir nulla, presero i loro contenitori e se ne andarono. Entrambi avevano notato quella esitazione nella voce del sergente. Ci doveva essere qualcosa di più di una tubazione rotta. Trasportarono i contenitori per le scale con grande cura, per non perderne una goccia.
Anche se la polizia sapeva chi era stato, anche se lo cercavano, la fortuna era dalla sua, si ripeteva Billy Chung. Talvolta se lo dimenticava per un po', e gli tornava la paura, e doveva ricominciare a convincersi che la fortuna era dalla sua. I poliziotti non erano forse venuti a sorprenderlo quando lui era appena uscito dalla sua camera? Non era fortuna quella? E non era riuscito a nascondersi, a non farsi trovare? Anche quella era fortuna. E se avesse dovuto abbandonare tutto dietro di sé? Invece no, si era messo i calzoncini nei quali, proprio la vigilia aveva cucito tutti i suoi averi, perché temeva di perderli lasciandoli fra due strati delle suole delle scarpe. E così ora aveva con sé il denaro, e il denaro era la sola cosa veramente necessaria. Era scappato, ma da individuo in gamba. Per prima cosa era andato al mercato delle pulci, in Madison Square, aveva svegliato uno di quei mercanti che dormono sotto la bancarella, e si era comprato dei sandali. Poi era uscito da quella zona e si era diretto nella città bassa, senza mai fermarsi. Quando avevano aperto le fontane, egli si era lavato, poi si era comprato una vecchia camicia in un altro mercato, e alcuni crackers di alghe. Se li era mangiati camminando. Era ancora presto quando arrivò a Chinatown, ma le strade già si riempivano, e l'unica cosa che aveva da fare era quella di cercarsi un posto libero contro un muro, rannicchiarsi e dormire.
Svegliandosi, capì che non poteva rimanere in quel luogo, il primo che i poliziotti avrebbero perlustrato. Si doveva muovere. Alcuni degli abitanti del luogo cominciavano a guardarlo stranamente e sapeva che se la sua descrizione fosse già stata pubblicata, nessuno di loro avrebbe esitato a denunciarlo per un paio di dollari di premio. Aveva sentito dire che vi erano dei cinesi anche in un'altra zona, nell'East Side, e si diresse da quella parte. Non poteva rimanere a lungo nello stesso posto, lo avrebbero notato. Fintanto che durava il caldo, non importava dove avesse dormito. All'inizio questo suo vagabondare non era stato premeditato, ma dopo alcuni giorni scoprì che andando in giro per strade affollate nessuno gli badava. Poteva perfino dormire di giorno, e talvolta anche di notte, se trovava un posto tranquillo. Nessuno lo notava fintanto che le sue soste avvenivano in zone dove c'erano altri cinesi. Continuò a spostarsi e ciò lo tenne impegnato, evitandogli di preoccuparsi di ciò che gli poteva accadere. Finché duravano i soldi tutto era più facile. Poi… Non voleva pensare a quello che sarebbe successo allora. E non ci pensava.
Fu il temporale a deciderlo di trovarsi un posto in cui rintanarsi. Era stato sorpreso dalla pioggia e si era bagnato tutto. In principio gli aveva fatto piacere, ma solo in principio. Insieme con migliaia di altri senza-tetto, aveva cercato riparo sotto i rombanti archi del Williamsburg Bridge, e anche li non era al sicuro, perché ogni volta che cambiava il vento, spingeva sotto la campata montagne d'acqua. Tutta la notte rimase bagnato e infreddolito, non riuscì a dormire, e al mattino si arrampicò per le scale fin sopra il ponte e si asciugò al sole. Davanti a lui il passaggio pedonale si estendeva sino all'altra sponda del fiume ed egli lo attraversò per riscaldarsi, col sole sorgente in faccia. Era un'impressione nuova, per lui, guardare in basso il fiume e una città come quella. Un mercantile nucleare risaliva lentamente la corrente, e la moltitudine delle barche a vela e a remi si faceva da parte per lasciarlo passare. Per guardare in basso, doveva aggrapparsi alla ringhiera.
A metà del ponte fece la constatazione che era uscito da Manhattan per la prima volta in vita sua, e che non aveva altro da fare che continuare a muoversi. La polizia non lo avrebbe trovato mai. Brooklyn gli stava dinnanzi, una rupe frastagliata di strane sagome che si profilavano sul cielo, luogo del tutto nuovo per lui, e pauroso. Ne ignorava tutto, ma poi avrebbe scoperto ogni cosa. La polizia non lo avrebbe mai cercato così lontano, mai, neanche in cent'anni.
Una volta fuori del ponte, la paura svanì poco a poco. Quella zona somigliava a Manhattan, ma con gente diversa, strade diverse. I suoi abiti ora erano asciutti e si sentiva meglio; era solo molto stanco e aveva molto sonno. Le strade si allungavano all'infinito, piene di gente, rumorose, ed egli le seguì a caso, finché arrivò vicino a un muro alto che si ergeva su un lato della strada e non pareva finire mai. Lo seguì, chiedendosi che cosa vi fosse dall'altra parte; infine arrivò a un cancello chiuso, con del filo spinato in alto, per impedire alla gente di arrampicarsi e passare di là. Su un cartello sbiadito si leggeva: ARSENALE MILITARE DI BROOKLYN «VIETATO INGRESSO. Attraverso le sbarre Billy vide un immenso terreno coperto di edifici chiusi, di capannoni vuoti, di montagne di residui ferrosi arrugginiti, pezzi di navi, cumuli di rottami di cemento, e altri detriti. Una guardia panciuta camminava entro il recinto con un grosso bastone in mano, simile a una clava. Guardò Billy con diffidenza e questi si allontanò dal cancello continuando a camminare.»
Accidenti, che luogo! Dovevano esserci chilometri quadrati di terreno, lì dentro, e niente gente. Chiuso e dimenticato. Se fosse potuto entrare senza che la guardia lo vedesse, si sarebbe nascosto per sempre in un posto come quello, ammesso che ci fosse la possibilità di entrarvi. Continuò a camminare lungo il muro, finché questo s'interruppe e Billy si trovò davanti una barriera di catene rugginose e cadenti. Anche qui c'era del filo spinato, ma molto arrugginito e in vari punti anche strappato. Quel tratto di strada era poco frequentato. Lo affiancavano soltanto i muri ciechi di vecchi depositi. Non doveva essere difficile superare quel cancello.
Che Billy non fosse la prima persona ad aver avuto quell'idea, gli venne dimostrato qualche minuto dopo, mentre studiava quella barriera. Qualcosa si mosse dall'altra parte e un uomo, non molto più anziano di lui, fece capolino. Si fermò un attimo, guardò in su e in giù per la strada, all'esterno, onde assicurarsi che non vi fosse nessuno nelle vicinanze, si chinò verso la parte inferiore della barriera spinata e vi spinse sotto un grosso blocco di cemento. Poi, con un movimento strisciante che doveva aver praticato più d'una volta, passò sotto la barriera, respinse il blocco che teneva alzato il filo spinato, si mise in piedi e se ne andò per la strada.
Billy lasciò che si allontanasse, poi raggiunse quel punto. Lì, un solco raschiato nel suolo non era così profondo da richiamare l'attenzione, ma sufficiente a facilitare il passaggio, alzando il filo spinato. Fece come l'altro, spinse un masso di cemento sotto il filo, si guardò intorno (nessuno, in vista, badava a lui), e strisciò sotto la barriera. Era stato facile. Diede un calcio al sasso facendo ricadere il filo, poi corse alla costruzione più vicina.
Vi era qualcosa di terribile in quei vasti spazi vuoti e silenziosi. Non era mai stato così solo, senza nessuno vicino. Si mise a camminare lentamente, addossato ai mattoni tiepidi della facciata, fermandosi e scrutando tutt'intorno con attenzione sino a quando arrivò all'angolo. Davanti a lui si estendeva un viale privo d'ogni vita ma ingombro di relitti vari. Mentre stava per attraversarlo avvertì un movimento, in lontananza, sulla strada, e si addossò nuovamente al muro mentre una guardia in divisa grigia attraversava il viale lentamente. Quando sparì, Billy corse nella direzione opposta, rifugiandosi nell'ombra delle travi di acciaio rugginoso di un bacino galleggiante.
Passò di demolizione in rovina, cercando un luogo riparato dove potersi introdurre, nascondersi e dormire. Vi erano altre guardie in giro, ma si individuavano facilmente. Rimanevano nei viali più larghi e mai si avvicinavano ai fabbricati. Se avesse trovato una maniera per entrare in uno di quegli edifici sprangati, sarebbe stato salvo, nessuno l'avrebbe mai scovato. Ce n'era uno dall'aspetto promettente: era un edificio basso e lungo, con un tetto sfondato e le finestre senza vetri. Era rivestito di quadrati di amianto, alcuni spaccati e uno interamente strappato. Si avvicinò, guardò dentro, vide solo oscurità. Il tetto era crollato, si trovava a pochi metri dal suolo, formando una caverna scura e silenziosa. Era proprio ciò che gli ci voleva. Sbadigliò, entrò strisciando attraverso l'apertura. Un enorme pezzo di ferro gli si abbatté sulle costole, ed egli lanciò un urlo di strazio.
L'oscurità si riempi di fiamme di dolore, mentre retrocedeva lungo l'apertura, poggiando sul lato colpito e dolorante. Qualcosa di pesante volò per l'aria vicino al suo capo, e andò a finire sul muro, producendovi delle screpolature. Billy si rimise faticosamente in piedi, allontanandosi dall'entrata, ma non vi era nessuno a seguirlo. Solo silenzio, dentro l'apertura buia, mentre si allontanava zoppicando, più presto che poteva, tenendosi il fianco e gettando ogni tanto un'occhiata timorosa all'edificio. Quando, voltato l'angolo, esso non fu più visibile, Billy si fermò, alzò la sua camicia, guardò l'escoriazione, proprio sotto le costole, che già cominciava a diventare nera e viola. Dall'aspetto pareva solo una brutta contusione, ma quanto male gli faceva!
Qualcosa con cui poter aggredire e difendersi, ecco ciò che gli occorreva. Non che pensasse di ritornare in quel capannone, quello mai! Ma aveva bisogno di un'arma qualsiasi in quel luogo. Vi erano alcuni rottami di cemento, sparsi in giro. Ne prese uno che si poteva agevolmente impugnare e brandire, e che anzi aveva l'anima di ferro arrugginita che spuntava a una estremità. Molta altra gente si era probabilmente già nascosta in questo luogo, avrebbe dovuto immaginarlo vedendo strisciare quel tizio sotto la cinta di filo spinato. Stavano alla larga dalle guardie, cosa che pareva abbastanza facile. Poi si trovavano un posticino dove si installavano tenendo lontano gli altri. Così dovevano svolgersi le cose. Ognuno di quei capannoni doveva avere il suo ingresso segreto e ospitare probabilmente una persona nascosta. Rabbrividì a quel pensiero, si premette la mano sul fianco dolorante e si allontanò abbandonando il riparo delle costruzioni. Era forse meglio che egli uscisse da questo luogo mentre era ancora d'un sol pezzo… No, era un posto troppo buono per rinunciarvi. Se riusciva a trovare un buco per nascondersi sarebbe stato perfetto, proprio quello che ci voleva. Doveva continuare a cercare, prima di rinunciare, e trovare qualcosa di meglio di quel pezzo di cemento per difendersi. Frugò in ogni angolo, continuando a camminare e si rese conto che, nonostante l'accumularsi dei relitti e dei detriti, non vi era in giro nulla che fosse sufficientemente piccolo per essere impugnato e usato come arma. Era come se molta gente fosse passata di là prima di lui, spinta dalla stessa idea. Stringendo più forte in pugno il suo pezzo di cemento proseguì zoppicando.
Qualche ora dopo era deciso ad abbandonare quella giungla arrugginita e crollante, ma non riusciva a trovare la via dell'uscita. Un sole torrido gli batteva sul capo e rimbalzava intorno a lui, riflesso dal selciato screpolato. Percorse l'orlo di un immenso bacino di carenaggio vuoto, asciutto e dimenticato, una specie di cañon silenzioso, colmo di rifiuti, e si sentì come un misero insetto che striscia sull'orlo del mondo. Laggiù correva l'oleoso flusso della East River, che lo isolava dalle lontane torri di Manhattan; il fianco gli doleva quando respirava, e la solitudine opprimeva la sue spalle come un peso agghiacciante.
Una nave quasi interamente demolita stava sulle taccate in bordo all'acqua da cui era stata alata in secco. Le lamiere erano state divelte dai demolitori. Le costole arrugginite sorgevano come lo scheletro di un mostro marino. Il lavoro di demolizione non era stato portato a termine. La parte poppiera della nave era quasi intatta, mentre parte del ponte di comando e la prua non erano state neanche toccate. Nella parte inferiore dello scafo non vi erano aperture. Era una vecchia petroliera, con la paratia longitudinale ancora al suo posto, ma più su, molto in alto, vi erano degli oblò e una porta. Non doveva essere difficile salire su quell'ossatura e Billy si chiese se qualcuno avesse già tentato prima di lui. Forse sì, forse no, non si poteva indovinare. Billy aveva assoluto bisogno di riposare e quella nave gli ricordava casa sua. In qualche luogo doveva pur fermarsi. Con quel pezzo di cemento in mano era difficile arrampicarsi, eppure se lo portò dietro.
Davanti alla porta, all'altezza del ponte di comando, rimaneva un avanzo molto frastagliato di coperta, larga circa mezzo metro. Billy raggiunse quella sporgenza, diede uno sguardo nell'arco vuoto della porta di ingresso alla cabina, col pezzo di cemento sempre pronto in pugno.
«C'è nessuno?» disse a mezza voce. Le aperture circolari che avevano un tempo contenuto gli oblò lasciavano passare grandi fasci di luce all'interno, producendo sulla coperta macchie luminose che rendevano più intensa l'oscurità circostante. «Hello!» disse Bill nuovamente, ma non vi fu che silenzio.
Varcò quella soglia con riluttanza, entrando nell'oscurità del locale. Nessuno questa volta lo colpì, nulla si mosse e le sue palpebre batterono scorgendo una forma scura, resa più scura dal sole esterno, ma era solamente un mucchio di rifiuti. Nell'angolo più remoto vi era un'altra analoga sagoma scura e dovette guardarla ben due volte prima di convincersi che si trattava di un uomo, rannicchiato contro la parete, con le gambe tirate a sé, e che lo guardava fisso.
«Metti giù quella roba, quella che hai in mano,» disse l'uomo sottovoce, quasi in un sussurro. Protese il suo lungo braccio e fece risuonare sulla coperta metallica un lungo spezzone di tubo tutto contorto. Billy lo guardava, con gli occhi sbarrati, e il fianco gli doleva. Lasciò cadere il pezzo di cemento.
«Molto saggio,» disse l'uomo. «Molto saggio.» Si alzò lentamente spiegandosi un pezzo per volta come un metro da carpentiere. Era alto, con lunghe braccia di ragno; magro al punto da parere emaciato. Quando arrivò in un fascio di luce, Billy vide che la sua pelle era tesa sugli zigomi e sul cranio quasi calvo, mentre le sue labbra tirate scoprivano lunghi denti gialli. I suoi occhi erano tondi come quelli di un bambino, e di un azzurro così ceruleo da sembrare quasi trasparente. Non vuoti, ma come una finestra attraverso la quale si guarda, senza che vi sia nulla da vedere dall'altra parte. Continuava a guardare Billy e faceva lentamente dondolare il pezzo di tubo, senza dir nulla, le labbra tirate, i denti scoperti, con un'espressione che poteva essere un sorriso ma anche qualcosa di ben diverso.
Quando Billy indietreggiò lentamente verso la porta, l'estremità del tubo lo toccò, fermandolo. «Cosa vuoi qui?» sussurrò quello.
«Non voglio nulla, vado a…»
«Cosa vuoi?»
«Cercavo un posto per stendermi, sono stanco, non cerco guai.»
«Come ti chiami?» sussurrò ancora, senza muovere gli occhi né battere le ciglia.
«Billy…» ma perché aveva risposto così in fretta? Si morse le labbra. Perché dargli il suo vero nome?
«Hai nulla da mangiare, Billy?»
Voleva mentire, poi ci ripensò. Si frugò nella camicia. «Ecco, ho un paio di crackers d'alghe. Li volete? Sono un po' sbriciolati.»
Il tubo cadde sulla coperta e rotolò lontano mentre l'uomo faceva un passo avanti, le mani congiunte a forma di coppa, alto come una torre a confronto di Billy.
«“Getta il tuo pane sull'acqua, poiché lo ritroverai dopo molti giorni”. Sai che cos'è» disse.
«No, non lo so,» rispose Billy a disagio, lasciando cadere i biscotti nelle mani tese.
«Lo immaginavo,» si lamentò quello, poi si sedette, con le spalle contro la paratia, nello stesso punto di prima. Cominciò a masticare in modo regolare, meccanico. «Tu sei pagano, presumo, un pagano giallo, ma questo non ha importanza. Importerà a te, come al resto delle Sue creature. Vuoi dormire, dormi. Qui c'è posto per due.»
«Posso andarmene, voi eravate qui per primo.»
«Hai paura di me, non è vero?» Billy distolse gli occhi da quello sguardo fisso e l'uomo annuì. «Non dovresti aver paura perché stiamo arrivando al termine della paura. Sai che cosa significa? Lo sai il significato di quest'anno?»
Billy si sedette in silenzio. Non sapeva che cosa rispondere. L'uomo fini di mangiare le ultime briciole, si pulì la mano sui suoi calzoni luridi e sospirò profondamente. «Non puoi sapere. Mettiti a dormire. Qui non c'è nulla di cui preoccuparsi. Nessuno ti verrà a scocciare, abbiamo regole severe di proprietà nella nostra comunità. Generalmente sono soltanto degli stranieri come te che s'introducono qui di nascosto, sebbene anche gli altri lo possano fare se credono che ne valga la pena. Ma non verranno qui, sanno che io non ho niente che gli possa far voglia. Puoi dormire tranquillo.»
Gli sembrava impossibile perfino l'idea di dormire, per stanco che fosse, con quell'uomo strano che lo guardava. Billy si distese nell'angolo opposto, contro il muro, con gli occhi aperti e vigili, chiedendosi che cosa dovesse fare. L'uomo brontolò qualcosa fra sé e si grattò le costole sotto la camicia sottile. Un acuto ronzio risuonò nell'orecchio di Billy ed egli cercò di schiacciare una zanzara sul suo viso. Un'altra lo punse sulla gamba e si grattò in quel punto. Vi era in quel locale un numero incredibile di zanzare. Che fare? Cercare di andarsene?
Con un sussulto si accorse di aver dormito e vide che il sole era basso all'ovest perché entrava quasi orizzontalmente dalla porta aperta. Si alzò a precipizio e si mise seduto, guardandosi intorno; ma la cabina era vuota. Il fianco gli doleva tremendamente.
Il tintinnio metallico si fece nuovamente sentire ed egli capì che era stato quello a svegliarlo. Proveniva dall'esterno. Andò più silenziosamente che poté sino alla soglia e guardò in basso. L'uomo si arrampicava, veniva verso di lui e lo spezzone di tubo che continuava a brandire strisciava sul metallo facendo quel rumore che lo aveva disturbato. Billy si tirò indietro mentre l'uomo lanciava il suo tubo dinnanzi a sé, arrampicandosi e scavalcando l'orlo della coperta per raggiungere quella stretta piattaforma.
«Non hanno aperto le fontane, oggi,» disse, e mostrò un vecchio recipiente tutto imbugnato che si era portato dietro. «Ma ho trovato un posto dove c'era un po' d'acqua rimasta dalla pioggia di ieri. Ne vuoi un po'?»
Billy fece segno di sì, conscio a un tratto di avere la gola secca, e prese il recipiente che quello gli porgeva. Era pieno sino a metà di acqua chiara attraverso la quale si vedevano le incrostazioni di pittura verde sul fondo del recipiente. L'acqua era molto dolce.
«Bevi ancora,» disse l'uomo. «Io ho bevuto a sazietà mentre ero lì. Come ti chiami?» disse riprendendo il recipiente.
Era un tranello? Quell'uomo ricordava certamente il suo nome ed egli non osò dargliene uno diverso. «Billy,» gli disse.
«Chiamami Peter. Puoi stare qui, se ti va.» Entrò con il suo recipiente, pareva aver dimenticato il pezzo di tubo. Billy guardò il ferro con diffidenza, non ancora sicuro della sua posizione.
«Avete lasciato qui il vostro tubo,» gli gridò.
«Portamelo, per favore. Non lo dovrei lasciare in giro. Mettilo lì,» disse quando Billy glielo ebbe portato. «Credo di averne un altro come quello da qualche parte, te lo puoi prendere quando esci di qui. Alcuni vicini possono essere pericolosi.»
«Le guardie?»
«No, quelle non hanno importanza. Il loro lavoro è una sinecura. Quelli non hanno alcuna voglia di molestarci e noi facciamo altrettanto. Fintanto che non ci vedono è come se noi non ci fossimo, per loro; quindi stai alla larga. Ti accorgerai che non hanno l'aspetto malvagio. Sono pagati senza doversi esporre a pericoli; quindi, perché dovrebbero cercare guai? Gente saggia. Qualsiasi cosa valesse la pena di essere rubata o portata via è sparita dal cantiere molti anni fa. Le guardie rimangono perché nessuno ha mai deciso di utilizzare diversamente questo luogo, e la soluzione più facile è quella di dimenticarselo. Quelli sono i simboli viventi del decadimento della nostra cultura e questo deserto ne è un simbolo ancora più importante. È per questo motivo che io sono qui.»
Incrociò le braccia sugli stinchi e si chinò in avanti, poggiando il mento ossuto sulle sue ginocchia. «Sai quanti ingressi vi sono in questo luogo?» Billy scosse il capo chiedendosi di che cosa Peter stesse parlando.
«Te lo dico io. Ce ne sono otto e uno solo non è sprangato, è quello che usano le guardie. Gli altri sono chiusi. Sigillati. Sette sigilli. Questo non ti dice niente? No, vedo proprio di no. Ma vi sono altri presagi, alcuni celati, alcuni chiarissimi per chiunque. Molti altri ancora ci verranno rivelati uno per uno. Alcuni sono scritti da secoli, come quello della grande prostituta detta Babilonia, che non è stata affatto Roma, come alcuni hanno creduto erroneamente. Sai come si chiama la città laggiù?»
«Qui? Volete dire New York?»
«Sì, quello è un nome, ma gliene hanno dato un altro e nessuno vi si è mai ribellato: Babilonia sull'Hudson. Perciò, capisci, questa è la grande prostituta, qui accadrà l'Armageddon, il parapiglia finale prima del giudizio universale, ed è per questo che io sono venuto. Un tempo ero prete, lo crederesti?»
«Sì, certo,» disse Billy e sbadigliò guardando le pareti del locale, e poi fuori, oltre la porta.
«Un sacerdote è tenuto a dire la verità. Io la dissi, la verità, e per questo mi cacciarono fuori e sono gli stessi che attirano l'Anticristo nelle loro assemblee. Il Collegio dei Cardinali ha consigliato al Santo Padre di ritirare il suo divieto sulla distruzione della vita embrionale, ed egli sta considerando di farlo, mentre la verità della legge di Dio è con noi. Egli disse: «Crescete e moltiplicate” e noi l'abbiamo fatto, ed Egli ci ha dato l'intelligenza per sanare i malati, irrobustire i deboli ed è lì che sta la verità. Il millennio si avvicina, incombe su di noi, su di un mondo sovrappopolato di anime che attendono la Sua chiamata. Questo è il vero millennio. Falsi profeti proclamarono un tempo che sarebbe stato l'anno mille, ma vi è più gente in questa sola città di quanta ve ne fosse in tutto il mondo a quella data. Questa di adesso è l'ora. La vediamo avvicinare, ne leggiamo i presagi. Il mondo non può contenere più gente di così, si spaccherà in due sotto il peso della massa degli uomini. Ma non si spaccherà finché non risuoneranno le sette trombe, a Capodanno, Primo giorno del Secolo. E allora saremo contati.»
Quando cessò di parlare, il leggero ronzio delle zanzare era diventato sonoro nell'aria quieta e Billy non finiva di picchiarsi le gambe. Riuscì ad ucciderne una che gli lasciò una larga macchia di sangue, ed egli l'asciugò col dorso della mano. Peter aveva un braccio al sole e Billy vide che era coperto di croste e di segni di punture precedenti.
«Non ho mai visto tante zanzare come qui,» disse Billy, «e di giorno, poi. Non ero mai stato punto di giorno.» Si alzò, vagando nel locale ingombro di rifiuti, muovendosi per sfuggire agli insetti ronzanti, allontanando con calci gli stracci induriti dalla sporcizia e i pezzi di legno marcio.
Nel centro della paratia poppiera, vi era una pesante porta di acciaio, con uno spiraglio aperto di pochi centimetri. «Che cosa c'è lì dentro?» chiese Billy.
Peter non udì, o fece finta di non udire e Billy spinse la porta, ma i cardini arrugginiti erano induriti in quella posizione e non cedettero. «Non sapete che cosa c'è lì dentro?» chiese ancora una volta alzando la voce. Peter si avvicinò e voltandosi disse: «Non ci ho mai guardato.»
«È stato chiuso a lungo, vi potrebbero essere cose utili per noi, non si può mai sapere. Vediamo se si riesce ad aprire.»
Spingendo insieme, e usando lo spezzone di tubo a guisa di leva, riuscirono ad aprirla di qualche centimetro, finché lo spiraglio fu abbastanza largo da permettere il passaggio. Billy entrò per primo e il suo piede urtò un ferro. Lo raccolse. «Guarda un po', lo dicevo io che si sarebbe trovato qualcosa. Lo posso vendere o anche tenermelo per un po'.» Era una sbarra di acciaio un po' ricurva, un piede di porco, lungo più di un metro, abbandonato da qualche operaio chissà quanti anni prima. Era coperto di ruggine in superficie ma era ancora sano. Introdusse la parte curva e affilata nell'apertura della porta in prossimità dei cardini e poggiò con tutto il peso del suo corpo sull'altra estremità. I cardini arrugginiti cigolarono e la porta si aprì interamente.
Di là c'era una piccola piattaforma, con dei gradini metallici che scendevano perdendosi nell'oscurità. Billy cominciò a discendere lentamente, con il piede di porco in una mano, l'altra mano sulla ringhiera, e sul quinto gradino si trovò nell'acqua sino alla caviglia.
«Non c'è solo oscurità, qui dentro, c'è anche tant'acqua,» disse.
Peter si fece avanti e guardò, poi indicò due macchie luminose sul loro capo. «Si vede che il ponte di coperta trattiene l'acqua piovana che poi cade qui, da quei due buchi. Saranno anni che continua a cadere qui dentro.»
«Ecco da dove vengono le vostre zanzare.» Lo spazio chiuso era pieno del loro ronzio. «Possiamo chiudere la porta, e chiuderle dentro.»
«Molto pratico,» disse Peter e guardò, sotto, quella superficie oscura. «Ci risparmierà anche di dover andare alla fontana, di là dalla cinta. Qui c'è quant'acqua possiamo aver bisogno, e più di quanta ne possiamo consumare.»
«Ciao, forestiero,» disse Sol.
Shirl udì chiaramente la sua voce attraverso la parete che divideva le due stanze. Era seduta accanto alla finestra e si limava le unghie. Gettò l'astuccio da manicure sul letto e corse verso la porta.
«Andy, sei tu?» gridò e quando aprì la porta lo vide in piedi, barcollante, per la stanchezza. Gli corse incontro, lo baciò e lui le restituì il bacio e la lasciò per sprofondare nel sedile d'auto accanto al tavolo.
«Sono sfinito,» disse. «Non ho dormito da… quand'è stato? Avant'ieri notte. Avete preso l'acqua?»
«Abbiamo riempito i due serbatoi,» disse Sol, «e poi siamo tornati a riempire anche i due canestri prima che chiudessero le fontane. Cosa succede, con l'acqua? Ho sentito alcune notizie strambe alla TV, ma erano tutte chiacchiere. Perché non ci dicono chiaramente come stanno le cose?»
«Sei ferito!» gridò Shirl notando per la prima volta una benda che faceva capolino dalla manica strappata.
«Non è gran che, solo un'escoriazione,» disse Andy sorridente. «Ferito in servizio… e da un forcone, per di più.»
«Corteggiavi la figlia del contadino, probabilmente, o qualcosa del genere,» ribatté Sol. «Vuoi bere?»
«Se c'è ancora un po' d'alcool me lo tagli con un po' d'acqua. Mi farebbe piacere.» Sorseggiò la bibita e si appoggiò sullo schienale della poltrona. Parte della tensione era sparita dal suo viso, ma gli occhi erano ancora rossi per la stanchezza, e rimanevano semichiusi. Si sedettero di fronte a lui. «Non lo dite a nessuno finché non è ufficiale, ma ci sono dei grossi guai per l'acqua, e si prevedono guai ancora più grossi.»
«È stato per questo che ci hai avvisati?» chiese Shirl.
«Sì, ne ho sentito parlare alla mensa. I guai sono cominciati nei pozzi artesiani e nelle pompe di Long Island, in tutte le stazioni di pompaggio di Brooklyn e Queen. Sai che c'è una falda d'acqua sotto l'isola, se si pompa troppa acqua, o troppo in fretta, l'acqua di mare penetra nella falda e viene su acqua salata anziché acqua dolce. Era salsa da molto tempo, lo si sentiva benissimo quando non era mescolata con l'acqua proveniente dal nord dello Stato; ma dovevano calcolare esattamente quant'acqua si potesse pompare dalla falda per non peggiorare la situazione. O c'è stato un errore, o le stazioni hanno pompato più della loro quota, non si sa. Il fatto è che a Brooklyn viene fuori acqua di mare pura. Tutte quelle stazioni di pompaggio hanno smesso l'erogazione e la quota fornita da Croton, a nord di New York, ha dovuto essere incrementata.»
«I contadini boicotteranno la cosa, col pretesto della siccità estiva. Scommetto che ne sono felicissimi.»
«Non c'è bisogno di scommettere perché avevano preparato da tempo il loro piano. Hanno aggredito le guardie dell'acquedotto. Avevano un monte di esplosivo e di armi, rubati l'altr'anno nell'arsenale di Albany. Almeno dieci poliziotti sono stati uccisi e non so quanti feriti. Hanno fatto saltare più di un miglio di tubazioni prima che noi riuscissimo a fermarli. Non c'è un solo cafone in tutto lo Stato che non sia sceso in campo contro di noi. Non tutti erano armati di fucili, ma con i forconi e le asce se la sbrigavano piuttosto bene. Solo i gas lacrimogeni hanno avuto ragione della loro aggressività.»
«E allora? Tutta la città è senz'acqua?» chiese Shirl.
«Porteranno dell'acqua, ma per un po' ci sarà da soffrire la sete. Andateci piano con l'acqua che avete. Fatela durare a lungo, usatela solo per bere e cucinare, nient'altro.»
«Ma ci dovremo pur lavare?» disse Shirl.
«No, non ci laveremo.» Andy si fregò gli occhi col dorso della mano. «I piatti si possono asciugare con uno straccio. In quanto a noi, lascia che puzziamo.»
«Andy!»
«Shirl, mi spiace, sono odioso. Ma devi renderti conto che la situazione è molto grave. Faremo a meno di lavarci per un po', il che non ci ucciderà, e quando tornerà l'acqua ci puliremo a fondo. Vedrai che verrà il momento.»
«Quanto credi che duri?»
«Non lo so proprio. Le riparazioni richiederanno l'impiego di cemento, e tondino di ferro, materiali che sono sempre in testa nell'elenco delle priorità, nonché impastatrici e altre cose del genere. Nel frattempo l'acqua verrà portata in città mediante autobotti, cisterne ferroviarie e chiatte. La distribuzione e il razionamento creeranno un maledetto problema, questo sì. State certi che andrà peggio prima di andar meglio.» Si alzò a fatica, sbadigliando a lungo. «Vado a dormire per almeno due ore, Shirl, mi vuoi svegliare alle quattro al più tardi? Devo radermi prima di uscire.»
«Due ore! Ma non è abbastanza!» protestò.
«Lo so anch'io, ma non posso fare di meglio. Qualcuno, nelle alte sfere, continua a punzecchiare la polizia per il caso O'Brien. Un informatore di Chinatown pare abbia un indizio e lo devo vedere oggi stesso. Invece di dormire prima di tornare a prendere il turno nella pattuglia notturna. Sta nascendo in me un odio profondo per Billy Chung, ovunque egli si nasconda, e…»
Andò di là e si lasciò cadere sul letto.
«Sol, posso star qui mentre lui dorme?» chiese Shirl. «Non lo vorrei disturbare. Ma non vorrei disturbare neanche voi.»
«Disturbare? Da quando in qua una bella ragazza è un disturbo? Lasciatemelo dire. Posso sembrarvi vecchio ma è solo a causa dell'età. Non voglio dire con questo che corriate alcun pericolo vicino a me. I miei anni attivi sono già trascorsi. L'unico mio piacere ora, consiste nel ripensarci, il che è comunque meno costoso, e non c'è bisogno di preoccuparsi per la pillola. Portatevi qui il lavoro a maglia e vi racconterò una storiella dei tempi in cui ero di stanza a Laredo e io e Luke chiedemmo un permesso per il week-end e andammo a trascorrerlo a Boystown, nel Nuovo Laredo. Però, ripensandoci, è forse meglio che non vi racconti questa storia.»
Quando Shirl andò di là, Andy dormiva già profondamente, sdraiato quasi per traverso nel letto, e tutto vestito. Non si era neanche tolto le scarpe. Lei tirò le tendine e fece oscurità nella stanza, poi prese il suo nécessaire per le unghie, che era rimasto ai piedi del letto. Vi era un buco nella suola consumata della scarpa destra di Andy, e pareva un occhio, che la guardava triste e polveroso. Se tentava di togliergli le scarpe, sapeva che lo avrebbe svegliato; uscì quindi silenziosamente e chiuse la porta.
«Gli accumulatori hanno bisogno di essere caricati,» disse Sol portando l'idrometro verso la luce e osservando il livello nel cilindro di vetro. «Andy dorme già?»
«Profondamente.»
«Ve n'accorgerete al momento di svegliarlo. Quando si addormenta così potete lasciargli cadere una bomba vicino, e se non lo uccide manco la sente. Carico le batterie, non se ne accorgerà nemmeno.»
«Non è giusto però,» Shirl scoppiò a un tratto. «Perché Andy deve fare due mestieri per volta, rimanere ferito mentre difende l'acqua dei cittadini? Cosa fa in città tutta quella gente? Perché non se ne va altrove se qui non c'è acqua?»
«La risposta è facile: non ha dove andare. Tutto questo paese è come una sola, immensa fattoria, e un solo, immenso appetito. Vi è altrettanta gente nel Nord che nel Sud e siccome non esistono trasporti pubblici e chiunque tentasse di andarsene a piedi verso il paese del sole morrebbe di fame prima di arrivarci, così la gente rimane dov'è, perché il paese è organizzato in tal modo che le autorità si occupano della gente del posto, e basta. Non mangiano a sufficienza, ma mangiano. Occorrono delle grandi catastrofi come la mancanza di acqua nelle valli della California, per spingere la gente fuori di una regione.»
«Ebbene, che vadano in altri paesi. Tutti sono venuti in America dall'Europa o da altre parti. Perché certuni non vi tornano?»
«Perché se credete di essere l'unica ad avere dei problemi dovreste vedere gli altri. L'Inghilterra è diventata una sola immensa città e ho visto alla TV il posto dove hanno ucciso l'ultimo conservatore che tentava di difendere l'ultima riserva di caccia alle anitre contro l'autorità che la voleva espropriare e bonificare. Forse preferireste andare in Russia? O in Cina? È da quindici anni che quelli si fanno la guerra di frontiera. È un modo come un altro di mantenere costante il livello numerico della popolazione. Ma voi avete l'età del servizio militare, e laggiù richiamano anche le ragazze. Non so se vi piacerebbe. La Danimarca, forse. Lì, la vita è bella. Se riuscite a entrare. Perlomeno, quelli mangiano regolarmente; ma hanno un muro divisorio che attraversa lo Jutland e delle guardie sulle spiagge che sparano a vista, perché troppa gente affamata cerca di penetrare in quella terra promessa. No, forse il nostro paese non è il paradiso, ma ci si vive. Ora devo caricare le batterie.»
«Non è giusto, io continuerò a ripeterlo.»
«Che cos'è giusto?» Sol le sorrise. «Calmatevi. Voi avete la vostra giovinezza, la vostra bellezza, bevete e mangiate regolarmente. Di che cosa vi lamentate?»
«Di nulla, effettivamente.» Gli sorrise. «Solo che… mi fa tanta rabbia che Andy lavori sempre per difendere della gente che neppure lo sa o se ne infischia.»
«Non si può pretendere la gratitudine; ma lo stipendio sì. E quello è un mestiere.»
Sol tirò fuori la bicicletta senza ruote e collegò i fili del generatore agli accumulatori posti sopra il frigorifero. Shirl spinse la sua sedia presso la finestra e aprì il suo astuccio sul davanzale. Alle sue spalle il gemito incerto del generatore salì fino a un ululato acuto. Spinse indietro le pelli delle unghie col bastoncino di legno d'arancio. Era una giornata soleggiata ma non afosa, e l'autunno si annunciava bello. C'era il problema dell'acqua, ma quello si sarebbe appianato. Aggrottò le ciglia mentre guardava davanti a sé i tetti e gli alti edifici, conscia solo in parte dell'incessante rumore lontano della città, punteggiato dagli strilli vicini dei bambini.
A parte la faccenda dell'acqua, tutto andava bene. Ma, cosa strana, anche sapendo che tutto andava bene, le rimaneva addosso quel nodo di ansietà, quell'irritante sensazione di inquietudine che non spariva.