CAPITOLO OTTAVO

Alle otto del mattino Freiherr Hugo Reiss, il console del Reich a San Francisco, scese dalla sua Mercedes-Benz 220-E e salì di buon passo gli scalini del consolato. Dietro di lui c’erano due giovani impiegati del Ministero degli Esteri. Il personale aveva aperto la porta, e lui entrò sollevando la mano in segno di saluto alle due centraliniste, al viceconsole Herr Frank e poi, dentro l’ufficio di Reiss, al suo segretario, Herr Pferdehuf.

«Freiherr,» disse Pferdehuf, «c’è un radiogramma in codice appena pervenuto da Berlino. Priorità Uno.»

Ciò significava che il messaggio era urgente. «Grazie,» disse Reiss, sfilandosi il soprabito e porgendolo a Pferdehuf perché lo appendesse.

«Dieci minuti fa ha telefonato Herr Kreuz vom Meere. La prega di richiamarlo.»

«Grazie,» disse Reiss. Si sedette al piccolo tavolo accanto alla finestra dell’ufficio e tolse il coperchio dal vassoio della colazione; vide sul piatto il panino, le uova strapazzate e la salsiccia, si versò del caffè nero dalla caffettiera d’argento, poi aprì il giornale del mattino.

L’uomo che aveva telefonato, Kreuz vom Meere, era il responsabile del Sicherheitsdienst nell’area degli Stati Americani del Pacifico; la sede del quartier generale, sotto un nome di copertura, era presso il terminal dell’aeroporto. I rapporti fra Reiss e Kreuz erano piuttosto tesi. La loro giurisdizione si sovrapponeva in innumerevoli casi; era certamente una politica deliberata dei pezzi grossi di Berlino. Reiss ricopriva un incarico onorario presso le SS con il grado di maggiore, il che lo rendeva tecnicamente un subordinato di Kreuz vom Meere. Quell’incarico gli era stato conferito diversi anni prima, e a quel tempo Reiss ne capiva lo scopo. Ma non poteva farci niente. Tuttavia, quel fatto lo irritava ancora.

Il giornale, inviato via Lufthansa e giunto alle sei del mattino, era la Frankfurter Zeitung. Reiss lesse attentamente la prima pagina. Von Schirach agli arresti domiciliari, forse a quest’ora già morto. Peccato. Göring insediato in una base di addestramento della Luftwaffe, circondato da esperti veterani di guerra, tutti fedelissimi al Grassone. Nessuno poteva coglierlo di sorpresa. Nessun sicario dell’SD. E per quanto riguardava il dottor Goebbels?

Probabilmente si trovava nel cuore di Berlino. Potendo contare come al solito sulla sua furbizia, sulla sua capacità di cavarsela sempre e comunque con le parole. Se Heydrich mandasse una squadra a eliminarlo, rifletté Reiss, il piccolo dottore non solo riuscirebbe a dissuaderli, ma probabilmente li convincerebbe addirittura a passare dalla sua parte. Ad assumerli come dipendenti del Ministero della Propaganda e della Cultura Pubblica.

S’immaginava il dottor Goebbels in quel momento, nell’appartamento di qualche favolosa attrice cinematografica, che non degnava nemmeno di uno sguardo le unità della Wehrmacht che marciavano nella strada sottostante. Nulla spaventava quel Kerl [Tipo]. Goebbels avrebbe sfoderato il suo sorriso irridente… continuando ad accarezzare il seno della bella donna con la mano sinistra, e scrivendo l’articolo per l’Angriff con…

I pensieri di Reiss vennero interrotti; il suo segretario aveva bussato alla porta. «Mi scusi. Kreuz vom Meere è di nuovo in linea.»

Reiss si alzò, andò alla scrivania e prese il ricevitore. «Qui Reiss.»

Udì il pesante accento bavarese del capo locale dell’SD: «Ha notizie su quel tipo dell’Abwehr?»

Perplesso, Reiss cercò di capire a chi si riferisse Kreuz vom Meere. «Ehm,» mormorò. «Per quanto ne so, in questo momento sulla Costa del Pacifico ci sono almeno tre o quattro “tipi” dell’Abwehr.»

«Quello che è arrivato la settimana scorsa con un volo della Lufthansa.»

«Oh,» disse Reiss. Tenendo il ricevitore fra l’orecchio e la spalla, prese il portasigarette. «Non è mai arrivato qui.»

«Che cosa fa?»

«Dio, non lo so. Lo chieda a Canaris.»

«Vorrei che lei chiamasse il Ministero degli Esteri e lo pregasse di mettersi in contatto con la Cancelleria, e di chiedere al primo che capita di mettere alle strette quelli dell’Ammiragliato: o l’Abwehr si riprende indietro i suoi uomini o ci informa del motivo per cui si trovano qui.»

«Non può farlo lei?»

«Qui c’è una gran confusione.»

Hanno definitivamente perso il loro uomo dell’Abwehr, decise Reiss. Qualcuno dello Stato Maggiore di Heydrich gli ha sicuramente chiesto di tenerlo d’occhio, ma hanno perso il contatto. E adesso vogliono che gli tolga le castagne dal fuoco.

«Se capita da queste parti,» disse Reiss, «gli metterò qualcuno alle calcagna. Ci può contare.» Naturalmente, c’erano pochissime probabilità, forse nessuna, che quell’uomo si facesse vivo. E lo sapevano entrambi.

«Senza dubbio si serve di un nome falso,» proseguì Kreuz vom Meere con voce affaticata. «Naturalmente non lo conosciamo. È una persona dall’aspetto aristocratico. Sui quaranta. Un capitano. Il suo vero nome è Rudolf Wegener. Discende da una di quelle antiche famiglie monarchiche della Prussia orientale. Probabilmente ha sostenuto von Papen nel Systemzeit.» Reiss si sistemò comodamente alla scrivania mentre Kreuz vom Meere continuava la sua tiritera. «Secondo me l’unica soluzione, con questi parassiti di monarchici, sarebbe quella di tagliare il bilancio della Marina in modo da non…»

Alla fine Reiss riuscì a chiudere la conversazione. Quando tornò alla sua colazione scoprì che il panino si era freddato. Comunque il caffè era ancora caldo; lo bevve e riprese a leggere il giornale.

Non c’è niente da fare, pensò. Quelli dell’SD sono di turno anche di notte. Ti chiamano alle tre del mattino.

Il suo segretario, Pferdehuf, infilò la testa nell’ufficio, vide che Reiss non era più al telefono e disse: «Ha appena chiamato Sacramento. Sono agitatissimi. Dicono che c’è un ebreo che se ne va in giro per le strade di San Francisco.» Risero tutti e due.

«Va bene,» disse Reiss. «Dica loro che si calmino e che ci facciano avere tutta la documentazione. C’è altro?»

«I messaggi di condoglianze li ha letti.»

«Ne sono arrivati altri?»

«Alcuni. Sono sulla mia scrivania, se li vuole vedere. Ho già spedito le risposte.»

«Devo parlare a quella riunione, oggi,» disse Reiss. «All’una. Con quegli uomini di affari.»

«Glielo ricorderò io,» disse Pferdehuf.

Reiss si appoggiò allo schienale. «Le andrebbe di fare una scommessa?»

«Non sulle decisioni della Partei. Se è quello che intende.»

«Sarà il Boia.»

Evasivo, Pferdehuf disse: «Heydrich è arrivato fin dove poteva. Gente come lui non può arrivare al controllo diretto della Partei, perché ne hanno tutti paura. I pezzi grossi della Partei si farebbero prendere dalle convulsioni solo all’idea. Ci sarebbe una coalizione in meno di mezz’ora, non appena la prima vettura delle SS avesse lasciato la Prinzalbrechtstrasse. Avrebbero dalla loro parte tutti i grandi nomi dell’economia, come Krupp e Thyssen…» Si interruppe. Uno dei crittografi gli si era avvicinato con una busta.

Reiss protese la mano. Il suo segretario gli porse la busta.

Era il radiogramma urgente in codice, decifrato e battuto a macchina.

Quando ebbe finito di leggere, Reiss vide che Pferdehuf era in attesa di sentire le notizie. Appallottolò il messaggio nel grosso portacenere di ceramica sopra la scrivania, e gli diede fuoco con l’accendino. «Pare ci sia un generale giapponese che è giunto qui in incognito. Tedeki. Sarà il caso che lei faccia un salto alla biblioteca pubblica e consulti una di quelle riviste militari giapponesi: dovrebbe esserci la sua fotografia. Lo faccia con discrezione, naturalmente. Non credo che qui ci sia niente su di lui.» Fece per dirigersi verso lo schedario chiuso a chiave, poi cambiò idea. «Prenda tutte le informazioni che può. Le statistiche. Dovrebbero essere disponibili, in biblioteca.» Poi aggiunse: «Questo generale Tedeki era Capo di Stato Maggiore, qualche anno fa. Ricorda niente sul suo conto?»

«Qualcosa,» disse Pferdehuf. «Un vero e proprio attaccabrighe. Ormai dovrebbe essere sull’ottantina. Mi sembra che abbia sostenuto una specie di programma a breve termine per portare il Giappone nello spazio.»

«E in questo ha fallito,» disse Reiss.

«Non mi sorprenderei se fosse venuto per farsi curare,» disse Pferdehuf. «Molti vecchi militari giapponesi hanno scelto di avvalersi dei servizi del grande ospedale dell’Università di California. Così possono utilizzare le tecniche chirurgiche tedesche di cui non dispongono in patria. Naturalmente lo fanno in segreto. Motivi patriottici, capisce. Perciò forse sarebbe il caso di mettere qualcuno di guardia all’ospedale, se Berlino vuole che sia tenuto d’occhio.»

Reiss annuì. Oppure il vecchio generale era coinvolto in qualche speculazione commerciale, buona parte delle quali avvenivano proprio a San Francisco. Le conoscenze fatte durante il servizio gli potevano tornare utili adesso che era in pensione. Ma lo era poi veramente? Il messaggio lo definiva “generale”, non “generale a riposo”.

«Appena avrà la fotografia,» disse Reiss, «ne faccia fare delle copie e le passi ai nostri uomini all’aeroporto e giù al porto. Potrebbe già essere arrivato. Lei lo sa quanto ci mettono per farci sapere queste cose.» E naturalmente, se il generale fosse già arrivato a San Francisco, Berlino se la sarebbe presa con il consolato degli Stati Americani del Pacifico. Il consolato avrebbe dovuto essere in grado di intercettarlo… prima ancora di ricevere l’ordine da Berlino.

«Timbrerò con la data il radiogramma in codice giunto da Berlino,» disse Pferdehuf, «così se in seguito sorgerà qualche problema, potremo dimostrare esattamente quando lo abbiamo ricevuto. Con l’ora esatta.»

«Grazie,» disse Reiss. Quelli di Berlino erano dei veri maestri, quando si trattava di scaricare le responsabilità, e lui era stanco di pagare di persona. Era già successo troppe volte. «Per maggiore cautela,» disse, «credo sia meglio che lei risponda al messaggio. Dica così: “Vostre istruzioni in grave ritardo. Persona già segnalata in zona. Possibilità di intercettarla con successo assai, a questo punto.” Lo sistemi lei in qualche modo e lo spedisca. Si tenga sul vago. Mi capisce.»

Pferdehuf annuì. «Lo invierò subito. E registrerò il giorno e l’ora esatta dell’invio.» Richiuse la porta alle sue spalle.

Bisogna stare attenti, rifletté Reiss, o all’improvviso ti ritrovi console di un branco di negri in un’isola al largo della costa sudafricana. Con una donna negra per amante e una decina di negretti che ti chiamano papà.

Tornò a sedersi al tavolino dove c’era la sua colazione e si accese una sigaretta egiziana Simon Arzt Numero 70, richiudendo accuratamente il portasigarette.

Probabilmente non lo avrebbero interrotto per un po’, e così estrasse dalla borsa il libro che stava leggendo, lo aprì dove c’era il segnalibro, si mise comodo e riprese a leggere da dove era stato costretto a smettere.


…aveva veramente camminato così a lungo sulle strade percorse da automobili silenziose, nella pace della domenica mattina, al Tiergarten? Un’altra vita. Gelato, un gusto che forse non era mai esìstito. Adesso lessavano le ortiche ed erano felici di averle. Dio, gridò. Non la finiranno mai? I massicci carri armati inglesi avanzavano. Un altro palazzo, poteva essere un condominio o un magazzino, una scuola o un ufficio; lui non poteva dirlo… le macerie crollavano, e si riducevano in frantumi. Sotto, in mezzo ai detriti, un altro gruppetto di sopravvissuti sepolto, senza neppure il rumore della morte. La morte si era propagata dovunque, in modo imparziale, sui vivi, sui feriti, sui cadaveri, uno strato sopra l’altro, e già si cominciava a sentirne l’odore. Il cadavere maleodorante di Berlino, scosso da sussulti, le torrette cieche ancora sollevate, che scomparivano senza protestare come quello… come quell’edificio senza nome che una volta l’uomo aveva costruito con orgoglio.

Le sue braccia, notò il ragazzo, erano ricoperte da un sottile strato grigio di cenere, in parte inorganica, in parte il prodotto finale, bruciato e setacciato, della vita. Adesso tutto mescolato — il ragazzo lo sapeva — e se la tolse di dosso. Non ci pensò più di tanto; un altro pensiero catturava la sua mente, seppure rimaneva qualcosa da pensare sopra le urla e il ritmo sordo delle detonazioni. Fame. Da sei giorni non mangiava che ortiche, e adesso non ce n’erano più. I pascoli erbosi erano scomparsi in un unico, enorme cratere di terra. Altre figure spettrali, scheletriche erano apparse sul bordo e, come il ragazzo, erano rimaste lì in silenzio per un po’ e quindi erano scivolate via. Una vecchia con la sua babushka legata attorno alla testa grigia, un cesto - vuoto — sotto il braccio. Un uomo con un braccio solo, gli occhi vuoti come il cesto. Una ragazza. Svaniti adesso nel disordine degli alberi sventrati in cui si nascondeva il ragazzo, Eric.

E ancora il serpente avanzava.

Finirà mai? si domandò il ragazzo, senza avvicinarsi a nessuno. E se finirà, dopo che cosa succederà? Si riempiranno il loro ventre, quei…


«Freiherr,» giunse la voce di Pferdehuf. «Mi dispiace interromperla. Solo una parola.»

Reiss sobbalzò e richiuse il libro di scatto. «Ma certo.»

Come sa scrivere, quell’uomo, pensò. Mi ha preso completamente. È reale. La caduta di Berlino nelle mani degli inglesi è vivida come se fosse veramente avvenuta. Brrr. Fu scosso da un brivido.

Straordinario, il potere evocativo della finzione narrativa, anche nei romanzetti popolari da quattro soldi. Non c’è da meravigliarsi che sia proibito in tutto il territorio del Reich; lo proibirei anch’io. Mi dispiace di averlo cominciato, ma ormai è troppo tardi. A questo punto devo finirlo.

Il segretario annunciò: «Ci sono dei marinai di una nave tedesca. Chiedono di presentarsi a rapporto da lei.»

«Sì,» disse Reiss. Con un balzo raggiunse la porta e uscì nell’anticamera. C’erano tre marinai che indossavano dei pesanti maglioni grigi: capelli biondi e folti, volti decisi, appena un accenno di nervosismo. Reiss sollevò la mano destra. «Heil Hitler.» Rivolse loro un fugace sorriso amichevole.

«Heil Hitler,» farfugliarono i tre, e cominciarono a mostrargli i loro documenti.

Non appena ebbe certificato la loro visita al consolato, si precipitò nel suo ufficio.

Riaprì ancora una volta La cavalletta non si alzerà più.

Gli occhi caddero su una scena che riguardava… Hitler. A questo punto non riuscì a trattenersi; cominciò a leggere quel brano fuori sequenza, con la base del collo che gli bruciava. Il processo a Hitler, si rese conto. Dopo la fine delle ostilità. Hitler nelle mani degli Alleati, buon Dio. Anche Goebbels, Göring e tutti gli altri. A Monaco. Evidentemente Hitler stava rispondendo al pubblico ministero americano.


…nero, fiammeggiante, lo spirito di un tempo sembrò riavvampare per un attimo. Il corpo malfermo e tremante si irrigidì all’improvviso, la testa si sollevò. Dalle labbra che sbavavano in continuazione uscì un gracidio, per metà un latrato, per metà un sussurro. “Deutsche, hier steh’ Ich.” [“Tedeschi, eccomi qui.”] Brividi fra coloro che osservavano e ascoltavano, le cuffie strette sul capo, i volti tesi dei russi, degli americani, degli inglesi e anche dei tedeschi. Si, pensò Karl. Eccolo che si alza di nuovo… ci hanno battuto… e hanno fatto di più. Hanno spogliato questo superuomo, lo hanno mostrato per ciò che è. Solo un…


«Freiherr.»

Reiss si rese conto che il suo segretario era di nuovo entrato in ufficio. «Ho da fare,» disse stizzito, e richiuse il libro di scatto. «Sto cercando di leggere questo libro, per l’amor del cielo!»

Era inutile. Lui lo sapeva.

«È appena arrivato un altro radiogramma in codice da Berlino,» disse Pferdehuf. «L’ho intravisto mentre iniziavano a decodificarlo. Parla della situazione politica.»

«Che dice?» mormorò Reiss, grattandosi la fronte con le dita.

«Il dottor Goebbels ha parlato alla radio, inaspettatamente. Un discorso di rilievo.» Il segretario era piuttosto eccitato. «Dobbiamo trascrivere il testo — lo stanno trasmettendo fuori codice — e accertarci che venga pubblicato dalla stampa locale.»

«Sì, sì,» disse Reiss.

Quando il segretario fu nuovamente uscito, Reiss riaprì il libro. Un’altra occhiata, malgrado la mia decisione… sfogliò il brano precedente.


…in silenzio, Karl contemplò la bara avvolta nella bandiera. Giaceva lì dentro, e adesso non c’era più, per sempre. Neppure le potenze ispirate dal demonio avrebbero potuto farlo risorgere. L’uomo - o forse era stato davvero un Übermensch [Superuomo]? — che Karl aveva seguito ciecamente, adorato… fin quasi alla tomba. Adolf Hitler era passato a miglior vita, ma Karl ci si aggrappava, alla vita. Non lo seguirò, bisbigliava la mente di Karl. Andrò avanti, vivo. E ricostruirò. Tutti ricostruiremo. Dobbiamo farlo.

Quanto lo aveva portato lontano, terribilmente lontano, la magia del Capo. E che cos’era, adesso che era stata scritta la parola fine su quella incredibile carriera, quell’itinerario dall’isolato villaggio di contadini dell’Austria, dalla desolante povertà di Vienna, dall’incubo minaccioso delle trincee, attraverso gli intrighi politici, la fondazione del Partito, fino al Cancellierato, fino a quella che per un istante era sembrata la dominazione del mondo?

Karl lo sapeva. Un bluff. Adolf Hitler aveva mentito, e li aveva guidati con parole vuote.

Non è troppo tardi. Abbiamo scoperto il tuo bluff, Adolf Hitler. E ti conosciamo per ciò che sei, finalmente. E il Partito Nazista, quell’epoca spaventosa di omicidi e di megalomani fantasie, anche quello lo vediamo per ciò che è. Per ciò che è stato.

Karl si voltò e si allontanò dal feretro silenzioso…


Reiss richiuse il libro e rimase per un po’ di tempo seduto. Suo malgrado era sconvolto. Si sarebbe dovuta fare maggior pressione sui giap, si disse, perché quel maledetto libro venisse tolto di mezzo. Anzi, ovviamente lo hanno fatto apposta. Avrebbero potuto arrestare questo… come diavolo si chiama, Abendsen. Hanno un grande potere nel Midwest.

Ciò che più lo aveva sconvolto era la morte di Adolf Hitler, la sconfitta e la distruzione di Adolf Hitler, della Partei e della Germania stessa, come venivano descritte nel libro di Abendsen… era tutto in un certo senso più grandioso, più nello spirito dei vecchi tempi che del mondo attuale. Il mondo dell’egemonia tedesca.

Come può essere? si chiese Reiss. È solo l’abilità di scrittore di quest’uomo?

Conoscono un milione di trucchi, questi romanzieri. Prendiamo il dottor Goebbels; è così che ha cominciato, scrivendo romanzi. Fanno appello ai desideri più inconfessati che si nascondono in ognuno di noi, per quanto in superficie si possa apparire rispettabili. Sì, gli scrittori conoscono gli uomini, sanno quanto siano indegni, governati dai loro testicoli, spinti dalla loro vigliaccheria, pronti a vendersi a qualsiasi causa per ingordigia… tutto quello che devono fare è battere il tamburo, e questa è la loro risposta. E naturalmente, questi romanzieri, se la ridono di nascosto, vedendo l’effetto che ottengono.

Guarda come ha lavorato sui miei sentimenti, rifletté Herr Reiss, e non sul mio intelletto; e naturalmente lo pagheranno per questo… il denaro non manca. È chiaro che qualcuno ha istigato questo Hundsfott [Figlio d’un cane], gli ha detto quello che doveva scrivere. Sono disposti a scrivere qualunque cosa, pur di essere pagati. Racconta pure un mucchio di bugie, e il pubblico prenderà sul serio quell’intruglio puzzolente quando gli verrà servito bello e pronto. Dov’è stato pubblicato? Herr Reiss esaminò la copia del libro. Omaha, Nebraska. L’ultimo avamposto della vecchia editoria plutocratica degli Stati Uniti, che una volta aveva sede a New York e si reggeva con l’appoggio del capitale ebreo e comunista…

Forse questo Abendsen è un ebreo.

Ci sono ancora, e stanno tentando di avvelenarci. Questo jüdisches Buch… [Libro ebreo] richiuse il libro con violenza. Il suo vero nome probabilmente è Abendstein. Di certo l’SD è già sulle sue tracce.

Non c’è dubbio, bisognerebbe mandare qualcuno negli Stati delle Montagne Rocciose per fare una visitina a Herr Abendsen. Chissà se Kreuz vom Meere ha ricevuto istruzioni in tal senso. Probabilmente no, con tutta la confusione che c’è a Berlino. Sono tutti troppo coinvolti dalle faccende di polìtica interna.

Ma questo libro, pensò Reiss, è pericoloso.

Se un bel mattino Abendsen venisse ritrovato appeso al soffitto, sarebbe una notizia confortante per chiunque si fosse fatto influenzare dal suo libro. Saremmo noi ad avere l’ultima parola. A redigere il poscritto.

Naturalmente ci vorrebbe un bianco. Chissà che fa Skorzeny, in questi giorni.

Reiss rifletté, tornando a rileggere la sovraccoperta del libro. Quell’ebreo vive barricato. Lassù nel suo Castello. Non è uno sciocco. Chiunque riuscisse a entrarci per catturarlo non ne uscirebbe vivo.

Forse è una stupidaggine. In fondo il libro è già stato pubblicato. Ormai è troppo tardi. E quello è un territorio controllato dai giapponesi… quei nanerottoli gialli solleverebbero un pandemonio.

Però, se la cosa fosse fatta come si deve… se si riuscisse a gestirla nel modo giusto…

Freiherr Hugo Reiss prese un appunto sul taccuino. Affrontare l’argomento con il generale delle SS Otto Skorzeny, o meglio ancora con Otto Ohlendorf dell’Amt III del Reichssicherheitshauptamt [L’Ufficio della Sicurezza del Reich]. Ohlendorf non era forse al comando dell’Einsatzgruppe D?

E allora, tutt’a un tratto, senza preavviso di alcun tipo, si sentì travolgere dalla rabbia. Pensavo che questa guerra fosse finita, disse fra sé. Deve durare in eterno? La guerra è terminata anni fa. E allora noi ci abbiamo creduto. Ma quel fiasco in Africa, con quel folle di Seyss-Inquart che ha portato avanti i progetti di Rosenberg…

Herr Hope ha ragione, pensò. Con quella sua battuta sul nostro viaggio su Marte. Marte popolato da ebrei. Li vedremmo anche là. Anche se avessero due teste e fossero alti trenta centimetri.

Ho il mio normale lavoro da sbrigare, decise. Non ho tempo per queste avventure stravaganti, per mandare gli Einsatzkommando a caccia di Abendsen. Sono molto occupato a ricevere i marinai tedeschi e a rispondere ai radiogrammi in codice; che ci pensi qualcuno più in alto di me, a un progetto del genere… è compito suo.

Comunque, decise, se fossi io a suggerirlo e poi il progetto fallisse, è facile immaginare dove andrei a finire: in Custodia Protettiva presso il Governo Generale Orientale, se non in una camera a farmi innaffiare da acido cianidrico Zyklon B.

Allungò la mano e cancellò accuratamente l’annotazione sul taccuino, poi bruciò il foglietto di carta nel portacenere di ceramica.

Qualcuno bussò e la porta dell’ufficio si aprì. Entrò il suo segretario con un grosso fascio di carte. «Il discorso del dottor Goebbels. Integrale.» Pferdehuf depose i fogli sul tavolo. «Deve leggerlo. È un ottimo discorso, uno dei suoi migliori.»

Reiss si accese un’altra sigaretta Simon Arzt Numero 70 e cominciò a leggere il discorso del dottor Goebbels.

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