16. In famiglia

Timothy si appoggiò comodamente contro lo schienale della sedia e allungò le gambe davanti a sé.

— Alla fine, dopo, qualche mese — disse — comincio a capire come funzionano le cose quaggiù. Sto imparando a poco a poco il basico galattico. Hugo mi è stato di grandissima utilità fin dall'inizio, naturalmente. Mi ha guidato, mi ha consigliato, mi ha presentato a persone che mi sono state di enorme aiuto.

— Non prendere le sue parole come oro colato — disse Emma, rivolta a Enid. — Ha ripreso le sue vecchie abitudini. Rimane chiuso nel suo studio per giorni interi, e non scende da noi neppure per mangiare. Qualcuno del gruppo di Hugo deve salire da lui a portargli i pasti, e adesso che è arrivato con voi quello stupido robot cuciniere, è lui a portare su la roba…

— Il robot ci è stato utilissimo — disse Hugo. — I miei compagni facevano fatica a occuparsi della cucina e di tutto il resto, ma il robot si è subito messo alla direzione di tutte le attività domestiche. In cucina è un mago, ha un vero dono per fare da mangiare.

Dal fondo della stanza, Horace brontolò: — Non ha ancora imparato a fare un arrosto decente.

— Devi sempre lamentarti? — domandò Emma, irritata. — Se non è per la cucina, allora è per qualcosa d'altro. Ti ricordi, spero, quello che ti ha detto Timothy quando ci ha fatto venire qui. Ti ha detto di non dare fastidio. Non ti ha chiesto altro.

— Mi ha anche detto — disse Horace, in tono di voce troppo alto — di tenere la bocca chiusa.

— E devo dire — fece Timothy — che sotto questo aspetto non ti sei comportato molto bene.

— Male non si è comportato — disse Emma — a parte le continue lamentele. Non ha mai messo piede fuori di casa, e non ha litigato con nessuno dei tuoi assurdi vicini. Non so come faccia tu a sopportarli.

— Per quanto mi riguarda — disse Enid — non vedo alcun motivo per uscire di casa. Questo posto è perfetto. A parte le montagne è uguale a Hopkins Acre.

— Vero — disse Corcoran. — Non ho mai incontrato un posto così tranquillo. Mi ricorda effettivamente Hopkins Acre, anche se io e Boone, naturalmente, ci siamo stati solo per breve tempo.

Boone disse a Muso di Cavallo: — Come potevate sapere che la stella segnata con la X era questa?

— Ve l'ho detto — spiegò Muso di Cavallo. — La X mi ha fatto pensare che ci fosse qualcosa di speciale, per questo mi sono diretto qui.

— Ma prima avevate detto che la X poteva anche avvertire di un pericolo — disse Corcoran.

— Poteva essere pericoloso — ammise Muso di Cavallo. — Ma talvolta mi piace correre dei rischi.

— Da parte mia — disse Timothy — sono lieto che abbiate voluto correre il rischio. Qui mi sentivo un po' solo, fra tutti questi alieni, per gentili che siano. Adesso la famiglia è di nuovo riunita. Almeno, coloro che restano.

— Qualcuno sa qualcosa di Henry? — chiese Enid.

Fu Horace a rispondere: — Neppure una parola. Di Henry non si poteva mai sapere. Voialtri potete dire quello che volete, ma era un fantasma. Sempre avanti e indietro.

— Ecco di nuovo quello che parla senza pensare — disse Emma. — A te, Henry non è mai piaciuto. Hai sempre detto peste e corna di lui. Adesso, però, potresti dire qualcosa di diverso. Forse Henry è morto…

— Morto Henry! — ruggì Horace. — Non morirà mai. Non c'è niente che possa toccarlo.

— L'ultima volta che l'ho visto — disse Corcoran — mi ha detto che intendeva cercare voi tre che eravate partiti con il viaggiatore di Martin.

— Allora — fece Horace, cupo — non ci ha mai trovato. Probabilmente ha incontrato qualcosa che gli interessava di più.

Erano nel soggiorno, dopo un ottimo pasto. Dalla camera da pranzo veniva il rumore della servitù che portava via i piatti e le stoviglie.

Timothy indicò il bar. — Chi vuole bere qualcosa, si serva.

Horace si alzò pesantemente in piedi e andò al bar per riempirsi di brandy il bicchiere. Fu il solo a farlo.

Corcoran disse a Timothy: — Qui mi sembrate soddisfatto.

— Abbastanza — disse Timothy. — La casa e la tenuta mi sono familiari. E posso riprendere a lavorare. Perché non vi fermate con noi? Sono certo che il Centro potrà trovare facilmente qualche incarico per voi.

Corcoran scosse la testa. — La mia casa è il ventesimo secolo. Laggiù ho la mia attività, e sono ansioso di riprenderla.

— Allora, hai deciso — disse Boone.

— Muso di Cavallo ha promesso di portarmi indietro. Tu non vieni?

— No, preferisco rimanere.

— E voi, Muso di Cavallo? — chiese Enid. — Ritornerete qui, dopo avere accompagnato Corcoran?

— Verrò qualche volta a trovarvi, se mi accoglierete. Ma ci sono troppe cosa da vedere, troppi anni luce da esplorare, luoghi lontani da ficcanasare…

— Prima di partire — disse Enid — spiegatemi però una cosa.

— Dite.

— Che cosa è veramente successo a Martin? Dite che è caduto dalla rete. Secondo me, gli avete dato voi uno spintone.

— Io non l'ho toccato! — protestò Muso di Cavallo. — Io ho solo detto alla rete cosa fare.

— Avete detto alla rete di sbatterlo fuori.

— Detta così, sembra una cosa così brutale…

— Be', è stata brutale, no? L'avete scaricato nello spazio.

— No, no — disse Muso di Cavallo. — Ho detto alla rete di lasciarlo in un altro luogo e in un altro tempo. Sulla Terra, nel ventitreesimo secolo.

— Perché proprio laggiù?

— Quell'uomo non mi ha fatto niente di male. Volevo soltanto liberarmi di lui, lasciandolo in un posto da dove non potesse ripartire per combinare guai. Non aveva il viaggiatore, e quindi, una volta giunto là, doveva rimanerci.

— Io, invece, non ho capito una cosa — disse Corcoran. — Chi era Martin? Ho sempre avuto l'impressione che fosse collegato a Hopkins Acre e agli altri del vostro gruppo, cioè le persone di Atene e del Pleistocene. Una sorta di sentinella avanzata. Ma quando ha saputo che qualcuno cercava Hopkins Acre, un luogo che a quell'epoca non esisteva, se l'è subito data a gambe. Quando è ricomparso, lavorava per gli Infiniti, scarrozzandoli in lungo e in largo su un viaggiatore rubato.

— Non rubato — disse Muso di Cavallo — lui affermava di averlo acquistato regolarmente.

— Lui o un altro — disse Boone — qualcuno l'aveva rubato a Enid. Quindi era un viaggiatore rubato.

— A quanto ricordo — disse Horace, con cattiveria — siete stato voi, Corcoran, a dirgli che qualcuno cercava Hopkins Acre.

— Lui mi aveva assunto — disse Corcoran. — Io facevo un lavoro per lui; nient'altro. Mi pagava bene per quello che facevo. Mi sono sempre chiesto dove trovasse il denaro. Non se lo faceva certamente dare da voi. Non mi sembra che voi disponeste di cifre così grosse.

— Siete sicuro che i soldi fossero buoni? — domandò Horace.

— Sì, probabilmente — disse Enid. — Martin aveva due viaggiatori: quello grande, e quello preso da Stella. Se siete in grado di viaggiare nel tempo, vi risulta facile trovare tesori, vincere lotterie, o usare altri mezzi per procurarvi il denaro. Anche David usava questi metodi per procurarsi le piccole somme con cui pagava la merce acquistata durante i suoi viaggi.

Timothy annuì. — Ormai non sapremo mai chi fosse Martin. Certo era un uomo imprevedibile. Comunque noi abbiamo sempre avuto piena fiducia in lui, anche se non ci era simpatico. David l'aveva incontrato a New York e non era riuscito a digerirlo. Una persona complessivamente assai sgradevole.

— Era un traditore — disse Horace. — Quando ha pensato che corressimo dei perìcoli, ci ha abbandonato a noi stessi.

— Come dicevo — commentò Timothy — probabilmente non lo sapremo mai. Siete sicuro — domandò lui, rivolto a Muso di Cavallo — di esservi sbarazzato di lui? Non ce lo troveremo qui, una volta o l'altra, a darci fastidio?

— È bloccato — disse Muso di Cavallo. — Senza viaggiatore, non può andare da nessuna parte.

— Ci sentiamo meglio, adesso che ci avete detto che cosa gli è successo — disse Enid. — Grazie dell'informazione. C'è però ancora una cosa che potete fare per noi.

— Ditemi signorina Enid — la pregò Muso di Cavallo. — Non riuscirò mai a ripagare il debito che ho verso di voi.

— Potete portarci il viaggiatore che è rimasto nella Strada dell'Eternità? È comodo avere a disposizione una di quelle macchine.

— Inoltre — disse Timothy — anche il Centro voleva dar loro un'occhiata.

Lupo uscì dall'angolo dove era andato a dormire dopo essersi mangiato un buon piatto di carne di manzo. Raggiunse la sedia di Boone e si accucciò ai suoi piedi.

— Vuole uscire — disse Enid.

— Non me lo ha ancora chiesto — disse Boone. — Ci sta ancora pensando. Non ha ancora deciso. Quando avrà deciso, me lo chiederà.

Horace si alzò per andare a prendere un altro brandy.

— Dimenticavo di dirvi una cosa — riprese Timothy. — Un'informazione che ho trovato per caso fra varie registrazioni. Un documento del ventiquattresimo secolo. E il primo riferimento alla Terra da me incontrato fin dal mio arrivo. La Terra non è citata con il nome, naturalmente, ma è ben riconoscibile dal senso del discorso. Il documento parla della nascita di una nuova religione, tutta incentrata attorno a un misterioso manufatto. Dalla descrizione non si capisce bene che cosa fosse questo manufatto, ma pare sia stato utilizzato da una sorta di profeta che si opponeva alla tecnologia e predicava una sorta di ricerca interiore, all'interno del proprio cuore, per trovare la propria personalità più vera rifiutando il progresso materiale. Non vi sembra una filosofia familiare?

— Certo — disse Enid. — È la filosofia che ha indebolito la razza umana, aprendo la strada agli Infiniti.

— Ma l'intervallo di tempo è troppo grande — disse Boone. — Le idee non sopravvivono per un milione di anni. Perdono validità, diventano superate.

— Non ne sono molto sicuro — disse Timothy. — Se la religione si è largamente diffusa nel suo periodo iniziale, deve poi essere sopravvissuta a lungo, entro una cerchia di fedelissimi. Soprattutto se il misterioso manufatto è durato a lungo. E quando si sono ripresentate determinate tensioni sociali, come succede di tanto in tanto, questi fedelissimi hanno fatto nuova opera di proselitismo. Consideriamo la credenza nella magia, che ha continuato a essere sconfitta dal razionalismo, ma che è sempre ricomparsa in varie forme, fin quasi alla nostra epoca.

— Già, potrebbe essere — ammise Corcoran. — Nel mio periodo, per esempio, le sette basate sulla magia erano assai diffuse.

— Noi non abbiamo mai sentito parlare del manufatto — disse Emma. — Se fosse sopravvissuto fino a noi, ne avremmo sentito parlare.

— No — disse Timothy. — Ma la filosofia insegnata da quella religione era presente. Può darsi che col tempo il manufatto sia scomparso, ma il suo scopo l'aveva raggiunto. La gente aveva ormai accettato i suoi insegnamenti. Erano progressivamente diventati parte della coscienza del pubblico. La gente poteva essersene dimenticata l'origine, nella convinzione che quella filosofia fosse frutto della logica, della propria acuta intelligenza.

— Non ci credo — disse Emma. — È soltanto un vecchio mito.

— Può darsi — disse Timothy — Ma la cosa è molto interessante.

— A quanto pare — disse Corcoran, rivolto a Timothy — avete trovato una nicchia fatta apposta per voi.

— All'inizio — disse Timothy — temevo che l'attività del Centro fosse talmente complessa da non permettermi di trovare un posto dove inserirmi. Ma anche la mia limitata conoscenza della storia terrestre sembra utile al loro studio dell'ascesa e caduta delle civiltà. Il Centro è molto interessato a scoprire che cosa ha permesso agli Infiniti di vincere la loro battaglia. Un'altra cosa che interessa al Centro è il viaggio nel tempo. C'erano voci che gli Infiniti lo possedessero, ma gli Infiniti non ne hanno mai rivelato il segreto. E adesso che il Popolo dell'Arcobaleno si occupa degli Infiniti, ogni contatto con loro è interrotto. Se però riuscissimo ad avere il viaggiatore rimasto sulla Strada dell'Eternità…

— Vi garantisco — disse Muso di Cavallo — che lo consegnerò nelle vostre mani.

— Meglio ancora — suggerì Timothy — se potessimo avere per qualche tempo la vostra rete. Solo per darle un'occhiata.

Muso di Cavallo scosse la testa.

— Mi spiace, ma non posso cederla, neppure per un istante. È un'eredità lasciatami dal mio popolo. Per aiutarmi a produrla sono sorti nella mia mente i saggi del passato, e non posso chiedere loro di dare ad altri lo stesso aiuto.

— Capisco — disse Timothy. — Al vostro posto, farei anch'io come voi.

— È stato difficile lavorare con gli alieni del Centro? — domandò Enid.

— All'inizio — disse Timothy — ma non adesso. Mi sono abituato alla loro presenza, e loro alla mia. Quando li ho incontrati per la prima volta, non mi hanno permesso di guardarli perché temevano che li considerassi dei mostri. — Alzò le spalle. — Molti di loro sono effettivamente dei mostri, ma, faccia a faccia, non mi fanno più ribrezzo. Lavoriamo in armonia.

Lupo si alzò sulle zampe, si accostò a Boone e gli posò il muso sulle gambe.

— Adesso te lo chiede — disse Enid.

— Penso di sì. Gli apro la porta.

— No — disse Enid. — Lo accompagno io. Qui dentro si soffoca. Mi occorre un po' d'aria.

Si alzò e parlò a Lupo, che la seguì scodinzolando.

— Torno subito — disse Enid. — Mi basta una boccata.

Boone si rivolse a Lupo: — Cerca di essere un bravo animale — gli disse. — Non metterti a correre dappertutto. Comportati bene. Non fare baccano.

Poi il Lupo e la donna uscirono.

Horace si alzò e si diresse verso la bottiglia di brandy.

— Non ti pare di averne bevuto abbastanza? — disse Timothy. — La giornata è ancora lunga.

Emma lo fissò con ira. — Perché devi ogni volta umiliarlo? — disse. — L'hai umiliato quando ci hai portati qui. E anche dopo hai sempre continuato a farlo. Gli parli esattamente come Boone parla al Lupo. “Comportati bene” gli dice.

— È proprio ciò che gli ho detto — ammise Timothy. — Fa parte del nostro accordo. Non potevo lasciarti là fuori in quel deserto, e tu non volevi venire senza di lui. Perciò ne ho parlato con il Consiglio al Centro.

— Horace si preoccupava di Conrad e degli altri robot — disse Emma. — Ultimamente si era molto affezionato a loro.

— Non sarei mai riuscito a convincere il Centro a far entrare quella banda di robot. E in ogni caso non erano disposti a venire. Qui vivrebbero male. Là fuori invece sono liberi di fare ciò che vogliono. Stanno dissodando un grande appezzamento su una prateria e intendono coltivare cibo per il Centro.

Horace non prestava orecchio al battibecco: badava a riempirsi il bicchiere. Emma si avvicinò a lui e lo prese per il braccio. — Vieni — gli disse. — Nessuno ci obbliga a restare qui a farci insultare. Saliamo di sopra. Potresti fare un sonnellino.

Senza protestare, Horace la seguì. Con la bottiglia.

Quando si furono allontanati, Timothy disse a disagio: — Devo scusarmi per questa antipatica discussione familiare. È una discussione che si ripete molto spesso, con poche varianti. Ma ciò che ho detto a Emma è la verità. Non potevo lasciarla là fuori. Ho dovuto fare molta fatica per convincere il Consiglio a lasciar entrare Horace. Da mesi continuava a dare fastidio.

— Non preoccupatevi di noi e dei nostri giudizi — disse Corcoran. — Io e Boone, a Hopkins Acre, abbiamo potuto apprezzare Horace nella sua forma più smagliante. Capiamo benissimo.

— Il Centro è lieto della presenza dei robot — disse Timothy. — Risolveranno certi noiosi problemi alimentari. I robot hanno un paio di trattori a vapore e hanno costruito aratri meccanici. Arano la prateria: qualche migliaio di ettari, se ricordo bene. Tra un anno produrranno tonnellate di vettovaglie:

Corcoran cambiò argomento. — Ci avete detto cosa vi è successo dopo la vostra partenza da Hopkins Acre: l'arrivo sul cratere, dove sorgeva il monastero. Non capisco però chi ha portato qui il monastero mentre voi lo stavate esplorando.

— Devono essere stati gli Infiniti — disse Timothy. — Devono avere messo una sorta di comando automatico, che è stato fatto scattare dai primi che vi hanno messo piede. E i primi siamo stati noi.

— Mi sembra strano, però — disse Corcoran — che l'abbiamo predisposto in modo da portarvi qui. Non avete pensato che la trappola possa essere stata messa dal Centro Galattico?

— L'ho chiesto, ma mi dicono di non sapere niente. Credo che non verremo mai a capo. — Alzò le spalle. — Quando Muso di Cavallo ci porterà il viaggiatore di Enid, potremmo andare a prendere le altre due macchine. Ma anche se Horace ha letto gli indicatori quando siamo arrivati al cratere, non si ricorda i numeri. E dov'è la macchina da voi lasciata vicino alle rovine della città?

Corcoran scosse la testa. — Non posso aiutarvi. Avevo il giornale di bordo compilato da David, ma l'ho lasciato nel viaggiatore.

— Be', continueremo a lavorare su questo problema — disse Timothy. — Forse potremmo trovare il modo di recuperarne almeno uno.

Corcoran chiese: — E il Popolo dell'Arcobaleno? Dicevate che il Centro non li conosceva e che gliene abbiamo parlato noi per primi.

— Non ne abbiamo mai sentito parlare — ammise Timothy. — Credo che adesso vogliano fare qualche tentativo di entrare in contatto con loro, ma temo che il compito risulterà assai difficile.

— Lo credo anch'io — disse Corcoran. — Il Cappello diceva che sono la più antica razza dell'universo.

Boone si alzò in piedi. — Scusatemi — disse — ma voglio andare a vedere cosa sta facendo Lupo. Occorre tenerlo d'occhio.

Attese per un attimo, ma nessuno degli altri pareva desideroso di unirsi a lui. Parevano contenti di rimanere dove erano.

Uscito all'esterno, vide che Enid era seduta su una sdraio, in mezzo al prato leggermente digradante che si stendeva davanti alla casa.

Quando arrivò da lei, si chinò per darle un bacio, ed Enid alzò le braccia per stringerlo a sua volta. Lui le diede un secondo bacio. Molto più lungo.

— Ti aspettavo — bisbigliò lei. — Perché ci hai messo tanto?

— Ci siamo messi a parlare.

— Quando siete insieme, tu e Timothy, vi mettete sempre a parlare.

— Tuo fratello mi è simpatico — disse Boone. — Si fa in fretta a fare amicizia con lui.

— Prendi una sedia e vieni qui con me — disse Enid. — Abbiamo molte cose da dirci.

In fondo al prato, a poca distanza dalla strada che circondava il parco, Lupo girava fra i cespugli annusando.

— Tom — chiese Enid — cosa ricordi di ciò che il Popolo dell'Arcobaleno ci ha infilato a forza nella mente?

— Qualcosa — disse Boone. — Sta ritornandomi in mente a pezzi e bocconi. Ce l'hanno messo in testa sotto forma di una singola massa indigeribile, ma adesso comincia a sciogliersi un po' per volta.

— Ci hanno dato delle conoscenze che richiedevano giorni per essere assorbite. Non ne abbiamo ancora parlato, ma forse è il momento di farlo.

Boone annuì. — Può darsi. Ma non riesco ancora a capire perché hanno scelto noi.

— Forse hanno saputo che continuavo da anni a chiedermi il significato dell'universo. Tu, forse, sei stato scelto nella tua veste di raccoglitore professionale di notizie. Cosa ricordi?

— Non molto, per il momento. La cosa che mi sembra di ricordare più chiaramente è che nell'universo, per produrre la vita, occorrono talune condizioni molto speciali. Molte delle informazioni sulla fisica e sulla chimica mi risultano ancora incomprensibili, ma c'era anche qualche informazione sulle stelle instabili e sulle loro condizioni di esistenza. Oltre alle stelle stabili, perché nasca la vita sono necessarie anche quelle instabili: sono esse che trasformandosi in supernove creano gli elementi più pesanti, indispensabili alla vita.

Enid aggrottò le sopracciglia. — Ricordo qualcosa. Ma se ci penso troppo mi viene il mal di testa. Ricordo che dicevano che l'universo è una sorta di fabbrica per la produzione della vita e per far nascere, almeno in una parte delle forme di vita, l'intelligenza. Consideravano l'universo come una macchina per produrre la vita e la coscienza. Senza la coscienza e senza l'intelligenza, l'universo non avrebbe scopo.

— Hanno anche parlato dell'origine dell'universo — aggiunse Boone. — Non come una loro ipotesi, ma come se lo sapessero con certezza. Sono concetti al di sopra della mia portata, anche se già nella mia epoca gli astrofisici cercavano di ricostruire gli avvenimenti del primo microsecondo di esistenza dell'universo. Alla tua epoca Enid, erano finalmente riusciti a spiegare quel primo istante?

— Non so. Ricorda, Tom, che noi eravamo ai margini della nostra cultura — disse. — Il Popolo dell'Arcobaleno parlava di un ordine superiore di intelligenza, un'intelligenza istintiva che non si basa sulla ragione. Ne parlavano come se avessero raggiunto quel livello. Forse non riusciamo a capire che cosa volevano veramente dire.

— Forse. Ma credo che con il passare del tempo ricorderemo e comprenderemo sempre di più. Dobbiamo aspettare — disse Boone.

E forse, pensò, non comprenderemo mai del tutto. Forse nemmeno il Popolo dell'Arcobaleno era in grado di raggiungere una piena comprensione della vita e dell'universo. Ma almeno la stavano cercando. Anche lì al Centro Galattico c'erano degli individui che cercavano le risposte in tanti modi diversi. La fine della ricerca non si vedeva ancora, ma il desiderio di sapere era sempre vivo. Finché esisteva questo desiderio, si poteva sperare che il mistero dello scopo dell'universo venisse risolto, prima o poi.

Sedevano tranquillamente l'uno accanto all'altra, tenendosi per mano. Sentivano sulla pelle il tepore del sole, e giungeva fino a loro il profumo dei fiori. La curva digradante del prato dava un senso di tranquillità e di soddisfazione.

— Tra poco Corcoran e Muso di Cavallo partiranno — disse Enid. — Mi spiace che se ne vadano. Timothy mi ha detto che il Centro poteva servirsi di loro, e anche a lui spiace che partano. Ho pensato che intendessi partire anche tu. Ma oggi hai promesso al Centro che rimarrai qui a studiare.

— È la mia scusa per rimanere. Dovevo dire qualcosa — spiegò Boone. — Non volevo dire loro la vera ragione: che resto perché ho incontrato nella corrente del tempo una donna che ho imparato ad amare.

— Non mi avevi mai detto queste parole — disse Enid. — Io ho capito di amarti quando mi hai consolato mentre piangevo per David. Mi occorreva della forza, e tu mi hai dato forza e comprensione.

— Non sono mai riuscito a dirtelo — spiegò Boone. — Io son abile con le parole quando si tratta di descrivere gli avvenimenti, ma le parole dei sentimenti mi riescono difficili.

Dal fondo del prato giunse una serie di rumori. Boone si alzò in piedi. — Lupo! — gridò.

— Ha trovato qualcosa — disse Enid.

Da dietro un cespuglio, spuntò Lupo. Scagliò qualcosa nell'aria e lo afferrò al volo, tra le zanne, poi si avviò verso Enid e Boone, trotterellando. Il Cappello gli pendeva dalle fauci.

Lupo lasciò cadere il Cappello davanti a loro. Pareva al settimo cielo.

— Ha di nuovo il suo vecchio giocattolo — esclamò Enid. — Ha trovato il suo pupazzo.

Il Cappello ritornò in vita e si mise a sedere.

“Voi non capite” disse il Cappello. Poi si afflosciò.

Lupo raccolse con calma la bambola e risalì saltellando allegramente lungo il prato.

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