Oltre il Weyr e la Conca,
bronzei, marroni, azzurri e verdi,
i Dragonieri di Pern si ergono:
li vedi e subito svaniscono.
Il primo ad apparire nel cielo sopra la Fortezza principale del sedicente signore delle Terre Alte fu F’lar, sul grande collo del bronzeo Mnementh. Alle sue spalle comparvero gli altri in una perfetta formazione a cuneo. F’lar verificò automaticamente la formazione: era proprio come nel momento della loro entrata in mezzo.
Mentre Mnementh si dirigeva con un arco al perimetro del forte, come richiedeva il carattere amichevole della visita, F’lar osservava con crescente ostilità la situazione critica delle difese. Le fosse delle pietre focaie erano vuote e i canali stagliati nella roccia e collegati a esse erano ricoperti da uno strato di muschio verdastro.
Su Pern c’era ancora un Signore che mantenesse la sua fortezza di pietra nel rispetto delle antiche leggi? F’lar strinse le labbra. Una volta terminata la sua Cerca e impostato lo Schema di Apprendimento era necessario tenere al Weyr un solenne Concilio punitivo. E per il guscio d’oro della regina, lui ne sarebbe stato estirpato da quell’aspetto verde e pericoloso dalle alture: l’erba sugli edifici. Nessuna fattoria sarebbe più stata circondata da una cintura verdeggiante e le decime, versate con avarizia e malanimo sotto la minaccia delle pietre focaie, sarebbero affluite con la dovuta abbondanza nel Weyr del draghi.
Con un rombo di approvazione Mnementh ripiegò le ali e atterrò delicatamente sulle pietre ricoperte dall’erba della Fortezza di Fax. Il drago di bronzo richiuse completamente le ali e F’lar sentì la sirena d’allarme della Grande Torre del forte. Fece segno a Mnementh di voler scendere e la bestia si accucciò. Il giovane restò vicino all’enorme testa aguzza del drago aspettando educatamente che il signore della fortezza arrivasse. Volse lo sguardo verso la valle avvolta dalla foschia del caldo sole primaverile, incurante dei volti furtivi che sbirciavano dalle feritoie dei parapetti e dalle finestre aperte nella roccia.
Non si volse neanche quando venne investito da un soffio d’aria che annunciava l’arrivo del resto del gruppo. Si rese comunque conto che dietro di lui il suo fratellastro F’nor, il cavaliere marrone, aveva assunto la solita posizione alla sua sinistra, a una lunghezza di drago. Lo vide con la coda dell’occhio calpestare con il tacco dello stivale l’erba che spuntava tra le pietre.
Dal grande cortile dietro le porte spalancate giunse un ordine, simile a un intenso bisbiglio. Comparvero degli uomini, guidati da un individuo robusto di media altezza.
Mnementh inarcò il collo per poter appoggiare a terra la testa. I suoi occhi sfaccettati vennero a trovarsi giusto alla pari della testa di F’lar e si fissarono con sconcertante curiosità sul drappello che si stava avvicinando. Era incomprensibile, per i draghi, il motivo dell’incontrollabile paura che nasceva nella gente alla loro vista. In una sola occasione della sua vita un drago avrebbe aggredito un essere umano, e a ragione, vista la sua ignoranza. F’lar non era in grado di spiegargli per quali motivi politici era necessario impaurire gli abitanti delle Fortezze, dal Signore agli artigiani. Sapeva solo che l’ansia e il timore che trasparivano dai volti di quegli uomini, nonostante turbassero Mnementh davano a lui uno strano senso di soddisfazione.
— Benvenuto alla fortezza del Signore delle Terre Alte, bronzeo cavaliere del drago. Fax è al tuo servizio. — L’uomo fece un rispettoso saluto.
Il fatto che avesse usato la terza persona poteva anche essere considerato un insulto, a voler essere pignoli. Ma quel particolare collimava con le informazioni che F’lar aveva avuto su Fax, perciò lasciò perdere. Anche l’avvertimento che era un individuo avido rispecchiava la realtà. Il suo sguardo notò ogni particolare dell’abbigliamento di F’lar e la fronte si corrugò leggermente alla vista della spada dall’impugnatura elegantemente intarsiata.
A sua volta F’lar osservò i numerosi e sfarzosi anelli che scintillavano sulla mano sinistra del Signore della Fortezza. La destra era rimasta leggermente piegata nel tipico atteggiamento del guerriero di professione. La preziosa tunica era macchiata e il peso del corpo, proteso in avanti, gravava sulle dita dei piedi calzati da pesanti stivali di pelle wher e solidamente piantati a terra. Bisognava affrontarlo con cautela, decise F’lar. Non per niente aveva conquistato cinque fortezze confinanti: già quell’audacia era di per sé indicativa. Ne aveva poi acquistata una sesta con il matrimonio e aveva ereditato la settima legalmente anche se in circostanze molto particolari. Aveva fama di libertino, oltretutto. Tra quelle sette fortezze, pensò F’lar, la sua Cerca avrebbe potuto dare buoni risultati. R’gul era libero di fare la sua Cerca nel Sud, tra quelle donne tanto belle quanto indolenti. Il Weyr adesso aveva bisogno di una donna forte. Jora era stata un disastro con Nemorth. La Dama del Weyr ideale, secondo F’lar, era quella cresciuta nell’avversità e nell’incertezza.
— Siamo occupati nella Cerca — spiegò gentilmente F’lar. — E desidereremmo la tua ospitalità, nobile Fax.
Appena venne nominata la Cerca Fax chiuse impercettibilmente gli occhi.
— Mi avevano detto che Jora è morta — rispose senza più usare la terza persona come se F’lar, facendo finta di niente, avesse superato una prova. — Così Nemorth ha deposto l’uovo dal quale nascerà la regina, eh? — continuò con lo sguardo che vagava sullo squadrone, valutando la disciplina degli uomini e il loro colorito sano dei draghi.
F’lar non rispose neanche a una domanda tanto scontata.
— E, nobile… — Fax esitò, piegando leggermente il capo verso il dragoniere, come in attesa.
Per un brevissimo istante F’lar si domandò se lo stavano provocando, con quegli insulti sottili. I nomi dei cavalieri di bronzo erano noti su tutto Pern, al pari del nome della regina dei draghi e della dama del Weyr. Cercò di mantenere un’espressione calma e tenne gli occhi fissi in quelli di Fax.
Con una ben calcolata sfumatura di arroganza F’nor si fece avanti, fermandosi giusto dietro la testa di Mnementh e sfiorando con trascuratezza la mascella dell’enorme bestia.
— Il cavaliere di bronzo di Mnementh, nobile F’lar, dovrà usufruire di un alloggio personale. Io invece, F’nor, il cavaliere marrone, preferirei restare con gli altri. Siamo dodici in tutto.
F’lar apprezzò l’elegante allusione di F’nor alla forza dello squadrone: come se Fax non sapesse contare! La frase era stata estremamente abile e il Signore delle Terre Alte non avrebbe potuto protestare per quell’insulto.
— Nobile F’lar — disse Fax con uno stretto sorriso — le Terre Alte sono onorate della tua Cerca.
— Tonerà tutto a onore vostro — rispose tranquillo F’lar — se in una di esse troveremo la dama del Weyr.
— Tornerà a nostro eterno onore — ribatté Fax con altrettanta serenità. — Nel passato molte dame del Weyr provenivano dalle mie fortezze.
— Dalle tue fortezze? — domandò F’lar educatamente ma evidenziando quel plurale. — È vero. Adesso sei il Signore di Ruatha. Molte dame del Weyr erano di quella fortezza.
Una strana espressione si dipinse sul viso di Fax, immediatamente sostituita da un ampio sorriso volutamente cordiale. Si fece da parte e invitò F’lar a entrare nella fortezza.
Il capo del drappello di Fax latrò in fretta un ordine e gli uomini si disposero in doppia fila, mentre i tacchi di metallo rinforzato degli stivali facevano scaturire scintille dalle pietre.
Spontaneamente i draghi si sollevarono creando un vortice d’aria e di polvere. F’lar si avvicinò a grandi passi agli uomini del drappello d’onore, che rotearono gli occhi, allarmati alla vista degli animali che planavano verso i cortili interni. Quando Mnementh si sistemò sulla torre alta qualcuno gridò. Mentre manovrava per atterrare su quello spazio non abbastanza grande, dalle sue ali partivano folate d’aria cariche dell’odore di fosforo.
Dentro di sé, F’lar era divertito dalla costernazione provocata dai draghi, ma non lo diede a vedere. I signori delle fortezze dovevano avere ben chiaro in mente che avevano a che fare con i draghi, oltre che con le loro guide, che erano uomini e quindi eliminabili. Era indispensabile che i signori moderni rispettassero i dragonieri oltre che le bestie.
— Abbiamo appena finito di pranzare, nobile F’lar. Se gradisci… — propose Fax, ma la sua voce si spense subito dinnanzi al sorridente diniego di F’lar.
— Presterò i miei omaggi alla tua signora, nobile Fax — rispose, notando con silente soddisfazione che a quella risposta da protocollo la mascella dell’ospite si era irrigidita.
F’lar si stava divertendo da morire. Quando era stata effettuata l’ultima Cerca, che aveva avuto come risultato quell’incompetente di Jora, non era ancora venuto al mondo. Ma si era documentato e aveva letto le Antiche Cronache, nelle quali erano raccontati i sistemi escogitati per confondere quei nobili che rinchiudevano le loro donne all’arrivo dei dragonieri. Fax non avrebbe potuto negare a F’lar l’incontro con la dama senza insultarlo tanto gravemente da arrivare a un duello all’ultimo sangue.
— Non vorresti vedere prima il tuo alloggio? — replicò Fax.
F’lar si tolse dalla manica un invisibile granello di polvere e scosse il capo.
— Prima il dovere — rispose sollevando le spalle in un gesto di rincrescimento.
— Certo — rispose secco Fax precedendolo a passi decisi e sbattendo i tacchi per dare sfogo alla rabbia.
I due fratellastri lo seguirono più lentamente. Varcarono l’ingresso a doppi battenti fatti di pannelli metallici ed entrarono nella grande sala scavata nella roccia. I servi che stavano sparecchiando la grande tavola a forma di U, agitati per la presenza dei due dragonieri, fecero cadere delle stoviglie. Fax aveva raggiunto l’altro lato della sala e attendeva impaziente di fronte a una porta di pietra, l’unica via d’accesso alle parti interne della fortezza scavate come il resto nella roccia per una maggior sicurezza.
— Non mangiano poi tanto male — osservò distratto F’nor indicando a F’lar gli avanzi rimasti sul tavolo.
— Meglio che al Weyr, a quanto sembra — rispose asciutto F’lar, mettendosi una mano sulla bocca alla vista di due servi che barcollavano sotto il peso di una carcassa mezza divorata appoggiata su un vassoio.
— Giovane e tenera — notò amaramente F’nor a voce bassa. — Solo a noi riservano le bestie coriacee.
— È naturale.
— È una sala molto fortunata — osservò cordialmente F’lar quando raggiunse Fax. Resosi conto che il suo ospite aveva fretta si volse deliberatamente ad ammirare il locale ornato di bandiere. Mostrò a F’nor le strombature della feritoia e le pesanti imposte di bronzo che si aprivano sul luminoso cielo del meriggio.
— Aperta verso Est, come dev’essere. La nuova sala di Forte Telegar, invece, si apre a Sud, a quanto mi hanno detto. Nobile Fax, fate ancora montare la guardia all’alba secondo le tradizioni?
Fax corrugò la fronte, cercando di capire cosa l’altro volesse dire veramente.
— Abbiamo sempre una guardia sulla torre.
— Verso Est?
Fax si voltò a guardare le finestre, poi fissò F’nor, quindi F’lar, infine si rigirò verso le finestre.
— Ci sono sempre delle guardie su tutte le vie d’accesso — rispose in tono tagliente.
— Ah, solo le vie d’accesso. — F’lar si volse verso il fratellastro e fece un grave cenno d’assenso.
— E dove, altrimenti? — chiese Fax preoccupato, fissando alternativamente i due dragonieri.
— Chiedilo al tuo arpista. Avete un arpista esperto alla fortezza, vero?
— Sicuramente, anzi ce ne sono diversi — rispose raddrizzando di scatto le spalle.
F’lar fece finta di non aver capito.
— Il nobile Fax possiede altre sei fortezze — gli ricordò F’nor.
— È vero — assentì F’lar con lo stesso tono usato dal padrone di casa poco prima.
Quella presa in giro non sfuggì a Fax, che però, non potendo avanzare alcuna accusa, si avviò lungo i corridoi rischiarati seguito dai due.
— È un piacere constatare che il signore di una fortezza è tanto rispettoso delle tradizioni — commentò F’lar al fratellastro in modo da essere sentito da Fax. — Sono in molti ad aver preferito le costruzioni esterne alla sicurezza della roccia ed è una cosa che non posso accettare.
— Il rischio è tutto loro, nobile F’lar, e qualcuno se ne avvantaggia — sbuffò sarcasticamente Fax, rallentando l’andatura.
— In che senso se ne avvantaggia?
— Non è difficile penetrare in una fortezza esterna, cavaliere di bronzo… bastano un comandante esperto, delle forze addestrate e una strategia appropriata.
In fondo non era uno spaccone, pensò F’larn, e anche se regnava la pace manteneva le guardie sulla torre e rimaneva nella fortezza. Per prudenza, non certo per rispetto alle antiche leggi. Manteneva gli arpisti per ostentazione e non perché lo esigeva la tradizione e lasciava che crescesse l’erba nelle fosse. Trattava i cavalieri dei draghi in un modo che rasentava i limiti della civiltà e gli indirizzava insulti velati. Era senz’altro una persona da tenere sotto controllo.
Gli alloggi delle donne erano stati spostati da Fax vicino alla parete esterna del precipizio. Il sole entrava dalle finestre strombate e con duplici imposte. F’lar osservò che i cardini di bronzo erano ben oliati e che i davanzali avevano la regolamentare lunghezza di una lancia: il Signore delle Terre Alte non aveva ridotto, come molti altri, lo spessore delle pareti di protezione.
La sala era addobbata con sfarzosi arazzi raffiguranti donne intente a mansioni femminili. Sui lati si aprivano le porte che portavano nelle piccole alcove. A un cenno di Fax le donne iniziarono a venirne fuori esitando. Un gesto imperioso venne poi rivolto a una donna vestita d’azzurro, i capelli striati d’argento, il viso segnato dalle delusioni e dalle amarezze e il ventre gonfio per la maternità imminente. Si fece avanti, impacciata, e si fermò a debita distanza dal suo signore. A giudicare dal suo comportamento, F’lar pensò che si avvicinava a Fax solo lo stretto necessario.
— La dama di Crom, madre dei miei eredi — presentò Fax senza il minimo orgoglio né cordialità.
— Dama… — F’lar si fermò un istante aspettando che gli venisse detto il nome della donna, la quale gratificò il suo signore di un’occhiata fulminante.
— Gemma — disse secco Fax.
F’lar fece un profondo inchino.
— Dama Gemma, il Weyr è in Cerca e gradirebbe la vostra ospitalità.
— Nobile F’lar — rispose lei a voce bassa — sei il benvenuto.
A F’lar non sfuggirono la sua esitazione e la sua facilità nel riconoscerlo. Le rivolse un sorriso gratificante e più cordiale del necessario. Era probabile che Fax avesse parecchie piacenti concubine, a giudicare dal numero delle donne, e forse dama Gemma ne avrebbe congedate una o due senza difficoltà.
Fax andò avanti a presentare bofonchiando i nomi, ma a un certo punto si accorse dell’inutilità di quel metodo, perché F’lar glieli faceva sempre ripetere. F’nor se ne stava indolente vicino alla porta d’entrata, divertendosi a prendere nota delle dame che Fax cercava di far passare inosservate. Dopo, in privato, lui e il fratello avrebbero potuto scambiarsi le loro impressioni, anche se era già chiaro che nessuna era adatta alla Cerca. Fax amava le donne piccole e ben in carne e nessuna si distingueva per vivacità. Se anche un tempo erano state vive ed energiche, ogni entusiasmo in loro si era sopito: Fax era senz’altro uno stallone più che un amante. La maggior parte di loro non aveva visto molto l’acqua, almeno nell’inverno appena passato: lo dicevano i capelli ricoperti di olio irrancidito. L’unica dotata di una certa energia fra tutte quelle donne di Fax era dama Gemma, che però era ormai in là con gli anni.
Terminati i convenevoli gli ospiti vennero condotti all’esterno. F’nor si licenziò per raggiungere i dragonieri e F’lar venne accompagnato da un riluttante Fax nell’alloggio destinatogli.
La camera era situata a un livello inferiore rispetto alle stanze delle donne, ed era molto dignitosa. Arazzi multicolori raffiguravano cruente battaglie, duelli e draghi dai colori accesi intenti a volare, e ancora pietre focaie ardenti sulle cime dei monti e tutto quello che ricordava la sanguinosa storia di Pern.
— Una stanza magnifica — commentò F’lar gettando con disinvoltura i guanti e la tunica sul tavolo. — Andrò a sistemare i miei uomini e i miei animali. I draghi hanno mangiato poco fa — continuò evidenziando la mancata domanda di Fax. — Ti chiedo il permesso di andare nei quartieri degli artigiani.
Fax rispose acidamente che era un privilegio dei dragonieri.
— Non voglio disturbarti oltre, nobile Fax, perché sarai senz’altro molto indaffarato con sette fortezze da guidare. — Fece un leggero inchino al padrone di casa e si voltò, come per congedarlo. Ascoltando il passo che si allontanava non faticò a immaginare la faccia infuriata di Fax. Si assicurò che l’altro fosse uscito dal corridoio e tornò nella Grande Sala.
I servi che stavano montando le tavole a cavalletto si interruppero per curiosare il dragoniere. Fece loro un gentile cenno del capo cercando di vedere se qualcuna delle donne facesse al caso suo ma così distrutte dalle fatiche e dalle malattie non erano altro che sguattere.
F’nor e gli altri erano stati alloggiati in un dormitorio allestito all’ultimo minuto, mentre i draghi se ne stavano appollaiati sui costoni rocciosi sovrastanti la fortezza, disposti in modo tale da tenere sotto osservazione tutta la valle. Si erano abbondantemente saziati prima di lasciare il Weyr ed erano tenuti dai cavalieri in uno stato di leggera tensione: non doveva esserci nessun intoppo nella Cerca.
All’arrivo di F’lar i dragonieri si alzarono in piedi.
— Non ci sono trucchi né problemi, per ora, ma state all’erta — li informò laconico. — Siate di ritorno per il tramonto con i nomi di tutte le possibili aspiranti. — Vide il sogghigno di F’nor e gli sovvenne che Fax aveva bisbigliato alcuni nomi per renderli incomprensibili. — Devono essere descritte in base all’iscrizione alle varie arti.
Gli uomini fecero un cenno d’assenso, con gli occhi scintillanti. Erano certi della buona riuscita della Cerca, al contrario di F’lar i cui dubbi stavano aumentando da quando aveva visto le donne di Fax. A rigor di logica, nella fortezza del Signore delle Terre Alte si sarebbe dovuto trovare il fior fiore dei suoi possedimenti, invece non era così. Rimanevano comunque ancora da vedere numerosi insediamenti artigianali e le altre sei fortezze. Comunque…
Con un tacito accordo i due fratelli uscirono dall’alloggio. Dietro di loro se ne sarebbero andati anche gli uomini, a coppie o da soli per non dare nell’occhio, diretti agli insediamenti degli artigiani e alle fattorie vicine. Il loro desiderio di gironzolare era evidente, al contrario di quello di F’lar. Una volta i dragonieri erano ospiti desiderati delle fortezze di Pern, da Nerat a Sud all’alta Tillek. Adesso quella consuetudine si era spenta insieme a tutte le altre, segno tangibile della scarsa considerazione in cui era tenuto il Weyr. Ma le cose sarebbero cambiate, si ripropose F’lar.
Si obbligò a rienumerare tutti quei fastidiosi mutamenti. Come dicevano le Cronache redatte dalle dame del Weyr, il declino era avvenuto gradualmente negli ultimi duecento Giri. Il fatto di saperlo, però, non rendeva certo più rosea la situazione, e in più F’lar era uno dei pochi che dava ancora importanza alle Cronache e alle ballate. A dar retta agli antichi racconti presto la situazione sarebbe cambiata radicalmente.
Secondo F’lar ogni legge del Weyr, dal Primo Schema di Apprendimento alle Pietre Focaie, dalle montagne prive di vegetazione alle acque che scorrevano sulle rocce, era giustificabile. Anche elementi secondari quali il controllo dell’appetito dei draghi o del numero degli abitanti dovevano avere una loro ragione. Eppure F’lar non sapeva spiegarsi il motivo per cui gli altri cinque Weyr fossero stati abbandonati. Si domandò se in quei luoghi deserti continuassero a vivere le Cronache polverose e sul punto di frantumarsi. Doveva andare a verificarlo di persona, la prossima volta che il suo squadrone fosse stato di pattuglia, ma era sicuro che nel Weyr di Benden non avrebbe trovato spiegazioni plausibili.
— L’attività è tanta, ma manca l’entusiasmo. — F’nor riportò il fratello al presente.
Erano scesi dalle scale corrose che portavano alla zona degli artigiani e stavano percorrendo un’ampia strada fiancheggiata da graziose dimore, diretti ai massicci opifici di pietra. F’lar notò i canali dei tetti incrostati di muschio e i rampicanti che ricoprivano i muri, ma non disse niente. Gli costava fatica accertare quella macroscopica trascuratezza delle più elementari precauzioni: le piante non dovevano crescere dove vivevano gli uomini.
— Le notizie volano — ridacchiò F’nor indicando un frettoloso fornaio, completamente coperto dal camice, che gli aveva rivolto un frettoloso saluto. — Non si vede nemmeno una donna.
Era vero. A quell’ora ce ne sarebbero dovute essere tante in giro di donne, intente a portare le vettovaglie ai magazzini o dirette al fiume per il bucato, data la luminosità e la calura della giornata, o ancora in cammino verso le fattorie per la semina. E invece non c’era in giro neppure una gonna lunga.
— Un tempo erano loro a cercarci — commentò causticamente F’nor.
— Prima di tutto andremo all’opificio dei tessitori. Se non ricordo male…
— …siamo alle solite — concluse ironico F’nor. Non approfittava mai del legame di sangue che li univa, ma il cavaliere di bronzo era la persona che preferiva. F’lar era molto riservato per quella società così unita e basata sull’uguaglianza. Il suo squadrone era noto per la rigorosità del comandante, ma tutti facevano a gara per entrarvi, e primeggiava sempre nelle Gare. Nessuno dei suoi uomini capitava mai erroneamente nel mezzo scomparendo per sempre, e nessuno dei suoi draghi si ammalava o moriva lasciando in un eterno esilio la sua guida.
— L’tol si era sistemato da queste parti — continuò F’lar.
— L’tol?
— Sì, era uno dei cavalieri verdi di S’lel, non ricordi?
Una brusca sterzata durante le Gare di primavera aveva portato L’tol e il suo animale in un soffio fosforico di Tuenth, il drago di bronzo di S’lel. L’uomo era stato gettato lontano dal collo della sua bestia che cercava di resistere allo sbuffo. Un compagno di squadra aveva cercato di afferrarlo al volo, ma il drago verde, completamente ustionato, era morto per lo shock e per l’avvelenamento.
— L’tol può aiutarci nella Cerca — commentò F’nor mentre si dirigevano verso le porte di bronzo dell’opificio dei tessitori. Si fermarono un istante sulla porta per abituare gli occhi alla penombra. Le luci riempivano le nicchie delle pareti e pendevano dai telai con i quali gli artigiani intessevano gli arazzi più belli e i tessuti più fini. L’atmosfera era silenziosa e alacre.
Prima ancora che i loro occhi si fossero abituati all’oscurità furono raggiunti da un uomo che li invitò gentilmente a seguirlo.
Furono condotti in un piccolo ufficio, a destra della porta d’ingresso, diviso dal resto del locale da una tenda. L’uomo si girò verso di loro, mettendo il viso alla luce dei lumi appesa alle pareti. C’era in lui qualcosa di imprecisabile che lo faceva appartenere ai dragonieri, ma il suo volto era marcato da profonde rughe e una guancia mostrava delle cicatrici da ustione. Sbatteva in continuazione le palpebre.
— Il mio nome adesso è Lytol — disse rauco.
F’lar fece un cenno d’assenso.
— Immagino che tu sia F’lar. E tu F’nor. Assomigliate tutti e due a vostro padre.
F’lar annuì nuovamente.
Lytol inghiottì convulsamente la saliva. Fremeva, come se la loro presenza gli ricordasse il suo esilio. Riuscì a sorridere.
— Draghi del cielo! La notizia si è sparsa più in fretta dei Fili!
— Nemorth ha deposto un uovo di regina.
— Jora è morta? — domandò preoccupato Lytol, mentre il tremito del suo volto smetteva un istante. — Math ha seguito Nemorth nel volo di nozze?
All’assenso di F’lar fece una smorfia di amarezza.
— R’gul di nuovo, vero? — fissò un punto in lontananza, mentre la mascella riprendeva a muoversi. — Dovete fare le Terre Alte? Tutte? — domandò rivolto al dragoniere, appoggiando la parola “tutte”.
F’lar annuì per l’ennesima volta.
— Avete già visto le donne. — Le parole di Lytol tradivano il suo disgusto. Non era stata una domanda, perché continuò, subito: — Qui non c’è niente di meglio. — Il suo disprezzo era al massimo. Si sedette al tavolo che riempiva un angolo del locale, Stringeva talmente forte tra le mani la cintura da piegarne la pelle robusta.
— Vi aspettavate una situazione diversa, vero? — continuò. Diceva troppe cose e troppo in fretta. Sarebbe stato considerato un insulto se non ci fosse stata l’attenuante della solitudine dell’esilio. Trattava le cose superficialmente e si rispondeva da solo, anziché affrontarle argomenti scottanti… come l’insaziabile bisogno di avere vicino quelli della sua razza. Ma con quel suo farneticare stava fornendo ai dragonieri le informazioni di cui avevano bisogno. — Fax ama le donne grasse e docili. Lo ha capito persino dama Gemma. La situazione sarebbe diversa se non gli necessitasse l’appoggio della famiglia di lei. Sì, sarebbe molto differente. Così lui continua a ingravidarla, sperando die prima o poi muoia di parto. E ce la farà. Oh, se ce la farà. Rideva in maniera stridula e sgradevole.
— Quando Fax ha preso il potere gli uomini con un po’ di buon senso hanno allontanato le figlie dalle Terre Alte… o le hanno sfregiate. — Si interruppe con il volto incupito per il ricordo e gli occhi socchiusi e minacciosi. — Io sono stato uno stupido. Ho pensato che la mia posizione mi garantisse l’immunità.
Si riprese. Raddrizzò le spalle e si volse verso di loro. Il suo atteggiamento era vendicativo e la sua voce bassa e tesa.
— Ammazzate quel tiranno, cavalieri dei draghi. Fatelo per il bene di Pern, del Weyr, della regina. Fax è solo in attesa del momento giusto. Dissemina la discordia tra gli altri signori e… — la sua risata era diventata isterica — e crede di valere quanto un dragoniere.
— Perciò non ci sono donne degne di nota qui alla fortezza? — domandò F’lar con voce tagliente, interrompendo la bizzarra spiegazione dell’altro.
Lytol lo fissò.
— Non ve l’ho già detto? Le migliori sono morte o sono lontane. Sono rimaste solo quelle che non valgono niente. Sono stupide e sciocche, ignoranti e svampite. Allora avevate già Jora… — Improvvisamente serrò le labbra e scosse la testa, accarezzandosi il volto come per allontanare l’ansia.
— E le altre fortezze?
Lytol scosse la testa, incupito.
— La stessa cosa: o morte o scappate.
— E forte Ruath?
Lytol cessò di scuotersi e fissò F’lar, atteggiando le labbra a un sorriso sapiente. Rise, senza allegria.
— Cosa credi di trovare a forte Ruath, una Torene o una Moreta? Sappi, cavaliere di bronzo, che tutti i ruathani sono morti. La spada di Fax era assetata quel giorno. Conosceva la verità delle ballate sull’ospitalità dei signori ruathani. I ruathani erano una razza particolare, diversa da tutte le altre, davvero… — la voce gli calò fino a essere quasi impercettibile. — Là c’erano molti uomini del Weyr in esilio, come me.
F’lar annuì gravemente. Non aveva il coraggio di togliere a quell’uomo il suo conforto.
— Nella valle di Ruath non è rimasto quasi niente — ridacchiò Lytol. — Da quella fortezza non vengono altro che guai per Fax. — Quel pensiero ridiede a Lytol un po’ di contegno e l’espressione del suo volto divenne meno cupa. — Qui, in questo forte, siamo diventati i migliori tessitori di tutto Pern, e i fabbri forgiano le armi più capaci. — Il suo sguardo brillava d’orgoglio per la sua nuova comunità. Quelli che arrivano da Ruatha muoiono sempre o di strane malattie o di incidenti ancora più insoliti. Le donne che Fax si prendeva… — rise malignamente. — Gira la voce che dopo restasse impotente per mesi.
F’lar arrivò a una strana conclusione.
— C’è ancora qualcuno del Sangue?
— No!
— E tra le famiglie degli artigiani e dei contadini nessuna ha il sangue del Weyr?
Lytol aggrottò la fronte, sorpreso, quindi si accarezzò la cicatrice sulla guancia.
— Alcune l’avevano — confessò lentamente. — Alcune. Ma credo che siano tutte estinte. — Pensò ancora un momento, quindi scosse il capo con decisione. — Al momento dell’invasione la resistenza fu accanita. Fax decapitò le donne e i bambini e mise in prigione chiunque si fosse battuto per Ruatha.
F’lar scrollò le spalle. Era stata solo un’idea. Certamente Fax con la sua violenza aveva eliminato non solo la resistenza, ma anche i migliori artigiani. In questo modo si sarebbe spiegata la pessima qualità dei manufatti ruathani e l’affermarsi dei tessitori delle Terre Alte in tutte le specializzazioni.
— Mi piacerebbe tanto poterti dare delle notizie più piacevoli, dragoniere — si scusò Lytol.
— Non ha importanza — garantì F’lar sollevando la tenda che chiudeva l’ufficio.
Lytol gli si fece vicino, agitato.
— Tieni bene a mente quello che ti ho detto sulle mire di Fax. Obbliga R’gul o il nuovo comandante del Weyr, chiunque egli sia, a tenere d’occhio le Terre Alte.
— Fax sa che sei al corrente di tutto questo?
Sul viso di Lytol si dipinse un’espressione spiritata. La sua voce era completamente incolore.
— La corporazione mi protegge dalle persecuzioni. Sono relativamente al sicuro. Fax ha troppo bisogno dei nostri lavori. — Sbuffò. — Io sono il migliore a tessere immagini di battaglie. Anche se — aggiunse inarcando un sopracciglio — i draghi non vengono rappresentati quasi più vicino agli eroi. Come avrai notato prevalgono le piante.
F’lar ebbe un’espressione disgustata.
— Non è la sola cosa che abbiamo avuto modo di vedere. Fax, però, mantiene le tradizioni…
Lytol lo fermò con un cenno della mano.
— Solo perché gli conviene dal punto di vista militare. I suoi vicini lo avversarono quando prese Ruatha a tradimento, sappilo. E lascia che ti dica anche un’altra cosa… — Lytol indicò la fortezza. — Fax se ne ride bellamente delle leggende dei Fili e si prende gioco degli arpisti sostenendo che le vecchie ballate contengono soltanto stupidaggini. Ha persino bandito dal loro repertorio tutto quello che faceva riferimento ai draghi. Le nuove generazioni non sapranno niente del dovere e della tradizione.
F’lar non rimase meravigliato nell’udire quelle notizie. Tutto ciò che Lytol gli aveva detto fino a quel momento glielo aveva fatto supporre. Tuttavia ne rimase turbato. Fax non era l’unico a negare la tradizione degli arpisti. Ma la Stella Rossa palpitava nel cielo e il momento in cui avrebbero dovuto appellarsi alle tradizioni per salvarsi la vita si avvicinava a grandi passi.
— Sei mai stato all’aperto la mattina presto ultimamente? — domandò F’nor malizioso.
— Sì — ammise Lytol adagio. — Sì… — gli sfuggì un gemito. Si voltò di scatto, allontanandosi dai dragonieri e incassando la testa tra le spalle. — Andate via — disse digrignando i denti. — Andate! — li implorò di fronte alla loro esitazione.
F’lar uscì in fretta dal locale, seguito dal fratello. Attraversarono a lunghi passi il grande opificio immerso nel silenzio e scarsamente illuminato, finché arrivarono all’aperto, nella luce abbagliante del sole. F’lar si diresse di slancio fino al centro della piazza, quindi si fermò tanto improvvisamente che F’nor, che gli stava dietro, quasi gli andò addosso.
— Ci fermeremo negli altri opifici esattamente lo stesso tempo — disse con voce tesa sottraendosi allo sguardo dell’altro. Faceva fatica a parlare. Deglutì diverse volte.
— Restare senza drago — si impietosì F’nor. Lytol lo aveva sconvolto e aveva risvegliato in lui sentimenti insoliti. Il vedere F’lar altrettanto turbato lo rassicurò sulla sua umanità.
— Non ci sono soluzioni alternative, una volta che il Primo Schema di Apprendimento è terminato, lo sai bene — rispose a fatica F’lar. Si diresse verso l’opificio con l’insegna dei pellai.