Batti, tamburino; soffia pifferaio;
suona arpista; e tu, soldato, va’.
Si scateni il fuoco, brucino tutte le erbe
finché la Stella Rossa passerà.
Si svegliò, gelata. Più fredda del gelo emanato dalle mura di pietra, viscide d’umidità, dello stanzone. Si trattava della precognizione di un pericolo che si annunciava ancora più grave di quello che dieci Giri prima l’aveva spinta a nascondersi terrorizzata nel fetido covo del wher da guardia.
Irrigidita da quel pensiero, Lessa rimase distesa sul puzzolente pagliericcio del magazzino dei formaggi, dove dormiva con le altre sguattere. Quel presagio era incalzante, diverso da qualunque altro presentimento. Sfiorò il raggio d’azione del wher da guardia, che perlustrava il cortile. Era teso, ma non sembrava che avesse notato qualcosa di insolito.
Lessa si raggomitolò nel tentativo di alleviare la tensione delle spalle e contemporaneamente si costrinse a rilassare ogni muscolo per poter pensare al pericolo che l’aveva svegliata. Rimase comunque immobile per non allarmare il sensibile wher da guardia.
Il pericolo certamente non era all’interno della Fortezza di Ruatha. E non si stava avvicinando neppure al perimetro esterno della Fortezza, dove l’erba si era insinuata tra le ferite del selciato, che testimoniavano la decadenza dell’edificio. Non stava avanzando lungo il sentiero, usato pochissimo, che saliva dalla valle, e non era neanche in agguato nelle case dei popolani, situate ai piedi del precipizio. Non avvertiva il suo odore portato dal vento che soffiava dalle spiagge di Tillek. Eppure quella sensazione di pericolo faceva vibrare i suoi sensi, scuotendo ogni nervo del suo corpo, più lontano di quanto si fosse mai spinta. Qualunque fosse la minaccia, per il momento non si trovava a Ruatha. E comunque si annunciava in modo assolutamente nuovo, quindi non si trattava di Fax.
Aveva provato soddisfazione constatando che da almeno tre Giri completi Fax non si era fatto vedere a Forte Ruath. Forse era lo stato d’abbandono del luogo che lo teneva lontano. Fax si era proclamato Signore delle Terre Alte e aveva soggiogato quella fortezza, un tempo così fiera e prosperosa.
L’impulso di identificare quella minaccia opprimente costrinse Lessa ad alzarsi, scuotendo meccanicamente i capelli che si annodò sulla nuca.
Passò tra le donne della servitù che dormivano ammucchiate una vicino all’altra per riscaldarsi, e salì silenziosamente la scala che portava in cucina. Il cuoco e il suo aiutante erano distesi davanti al grande camino, volgendo le spalle al fuoco, e russavano rumorosamente. Attraversò furtiva la grande cucina e si diresse verso la porta che dava sul cortile delle stalle. Aprì l’uscio solo quanto bastava per far passare il suo corpo snello. Le pietre del cortile, attraverso le suole sottili dei sandali, le trasmisero una sensazione di freddo. Rabbrividì ancora di più quando l’aria notturna si insinuò tra i suoi indumenti sbrindellati.
Il wher attraversò il cortile per incontrarla e supplicarla, come sempre, di liberarlo. Mentre la bestia le camminava al fianco, lei accarezzò teneramente le orecchie appuntite, poi guardò con dolcezza quella tozza e spaventosa testa. L’animale si acquattò gemendo, trattenuto dalla catena, mentre lei proseguiva verso i gradini che portavano al bastione posto sopra la grande porta della Fortezza. Giunta sulla torre, guardò verso oriente, dove le cime del Passo spiccavano contro i primi bagliori del giorno.
Si voltò indecisa verso sinistra, poiché le pareva che il senso di pericolo provenisse da quella parte. Alzò gli occhi verso la Stella Rossa che da un po’ di tempo dominava il cielo mattutino e vide la sua ultima pulsazione color rubino prima che la luce sfolgorante del sole di Pern la offuscasse. Frammenti sconnessi e incoerenti di fiabe e ballate sulla comparsa mattutina della Stella Rossa le passarono rapidi nella mente, troppo rapidi per avere un significato. L’istinto le diceva che se anche da Nord-Est poteva provenire una minaccia, il pericolo maggiore si stava profilando a oriente. Aguzzò la vista, come per varcare l’abisso che la separava dal pericolo e guardò assorta verso Est. L’interrogativo flebile del wher di guardia la raggiunse proprio quando la precognizione stava scomparendo.
Lessa sospirò. Non era riuscita a trovare nessuna spiegazione in quell’alba, solo prodigi contrastanti. Doveva attendere. L’avvertimento era stato percepito e accolto. Comunque era abituata ad aspettare. E oltre a questo sapeva essere perseverante, costante e astuta e se ne serviva come di armi cariche della inesauribile pazienza propria della consacrazione alla vendetta.
La luce dell’alba rischiarò il paesaggio sconvolto e i campi abbandonati della valle sottostante e si abbassò sugli orti trascurati nei quali branchi sparsi del bestiame da latte ricercavano le erbe primaverili. Lessa pensò che a Ruatha l’erba cresceva sempre nei posti sbagliati. Faceva fatica ormai a ricordare l’aspetto che la Valle aveva un tempo, quando era dolce, felice e ricca… prima dell’arrivo di Fax. Uno strano sorriso le incurvò le labbra che non ridevano mai. Fax non poteva trarre alcun vantaggio dalla conquista di Ruatha finché lei era viva, ma non lo sapeva.
Forse però lo sospettava, pensò Lessa con la mente ancora rivolta a quella selvaggia precognizione di pericolo. A Ovest si ergeva la Fortezza avita di Fax, l’unica che gli apparteneva di diritto. A Nord-Ovest non c’era quasi nulla oltre le nude montagne rocciose e il Weyr che proteggeva Pern.
Si stiracchiò inarcando la schiena e respirando a pieni polmoni l’aria dolce e incontaminata del mattino.
Nel cortile delle stalle cantò un gallo. Lessa si voltò di scatto con il viso teso verso l’esterno della fortezza per verificare di non essere stata vista da nessuno in quell’atteggiamento così poco consueto. Slegò i capelli e lasciò che la loro massa in disordine le coprisse il volto. Atteggiò il suo corpo alla consueta positura sciatta e ricurva, quindi scese precipitosamente le scale diretta verso il wher da guardia che si lamentava pietosamente e sbatteva i grandi occhi abbagliati dalla luminosità crescente del giorno. Incurante del suo alito fetido, Lessa abbracciò la testa ricoperta di scaglie e ne grattò le orecchie. Il wher da guardia, estatico per il piacere, tremava tutto facendo frusciare le ali tarpate. Era l’unico a sapere la sua vera identità, ed era l’unico essere vivente di tutta Pern a godere della sua fiducia da quel mattino in cui, disperata, si era portata nel covile buio e fetido inseguita dalle spade assetate che avevano già bevuto tanto sangue ruathano.
Si rimise in piedi, ricordando al wher di trattarla davanti a tutti come una qualsiasi: con cattiveria. L’animale glielo promise, ondeggiando per sottolineare la propria contrarietà.
Le mura esterne della Fortezza furono raggiunte dai primi raggi del sole. Il wher da guardia si precipitò urlando nella sua tana scura. Lessa si affrettò verso la cucina, rientrò nella dispensa dei formaggi.