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La tomba venne riempita e livellata, e i cinque sostarono accanto a essa, ascoltando il vento che spirava tra i rami dei meli illuminati dalla luna, mentre da lontano i caprimulgi si chiamavano l’un l’altro nell’argentea notte.

Enoch rilesse al lume della luna la scritta incisa sulla rozza pietra: la luce era insufficiente, ma lui la sapeva a memoria: "Qui giace un essere venuto da una lontana stella. Ma questa terra non gli è straniera, perché nella morte egli è partecipe dell’universo."

La sera prima, il diplomatico vegano aveva detto che in quelle parole sentiva lo spirito della sua gente. Lui non lo aveva contraddetto, ma lo splendente sbagliava; il sentimento che aveva spinto lui, Enoch, a scriverle, non era solo vegano, ma anche umano.

La pietra non era dura come il marmo o il granito di cui sono fatte solitamente le lapidi, e in pochi anni il sole, la pioggia e il gelo avrebbero fatto scomparire la scritta: sarebbero rimasti solo dei segni indistinti, dove un tempo erano le parole. Ma non importava: quelle parole non erano state scolpite soltanto sulla pietra.

Enoch guardò Lucy, che aveva riposto il Talismano nella custodia, di dove il suo bagliore giungeva attenuato. La ragazza se lo teneva sempre stretto al cuore e il suo viso aveva un’espressione esaltata e assente, come se si fosse già staccata dalla realtà, per entrare in un altro mondo, in un’altra esistenza, che lei sola aveva il diritto di vivere, dimentica del passato.

— Credi che accetterà di venire con noi? — domandò Ulisse. — Credi che la Terra le permetterà…?

— La Terra non c’entra — l’interruppe Enoch. — Noi terrestri siamo liberi, sta a lei decidere.

— Ma credi che vorrà venire?

— Credo di sì. Penso che abbia atteso per tutta la vita questo momento. Forse lo aveva presagito, anche senza il Talismano.

Lucy, infatti, era sempre stata in contatto con qualcosa che trascendeva l’umano. Aveva in sé qualcosa di sovrumano: qualcosa di indefinibile, a cui era impossibile dare un nome. E lei se n’era servita come aveva potuto, in modo inesperto, facendo scomparire le verruche e risanando le ali delle farfalle…

— E suo padre? — insisté Ulisse. — Quel tipo che scappava urlando?

— Ci penserò io — intervenne Lewis. — Gli parlerò. Lo conosco bene.

— Vuoi portarla con te? — domandò Enoch.

— Se acconsentirà — rispose Ulisse. — Ma prima di tutto, bisogna avvertire la Centrale.

— E poi Lucy visiterà tutti gli angoli della galassia?

— Sì. Abbiamo un estremo bisogno di lei.

— Non potreste prestarmela per un paio di giorni?

— Prestarla?

— Sì — confermò Enoch. — Anche noi abbiamo bisogno di lei. Assai più di voi, per dire il vero.

— Certo — acconsentì Ulisse. — Però, non…

— Lewis — chiese Enoch — crede che il nostro governo, o il Segretario di stato, permetterà a Lucy Fisher di far parte della delegazione americana alla conferenza della pace?

Lewis, sbalordito, balbettò qualche parola incomprensibile, poi riuscì a dire: — Spero di sì.

— Immagina che influenza avranno Lucy e il Talismano, sulla conferenza? — incalzò Enoch.

— Sì, certo… — rispose Lewis. — Ma il Segretario di stato vorrà parlare con lei prima di prendere una decisione.

Enoch si voltò verso Ulisse, ma non ebbe bisogno di formulare la domanda che stava per fargli.

— A proposito — disse Ulisse a Lewis. — Mi faccia sapere se posso partecipare anch’io all’incontro. E dica al vostro Segretario che non sarebbe una cattiva idea sollecitare la formazione di un comitato mondiale.

— Come?

— Per studiare il modo di far entrare la Terra nella nostra confraternita. Capirà anche lei che non possiamo accettare una custode del Talismano che appartenga a un pianeta straniero.

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