CAPITOLO VII

Snish tremava violentemente. Il suo corpo era percorso da brividi di freddo, e gli occhi erano dilatati, smarriti.

«La mia anima!» mugolò il piccolo stregone. «La mia anima nuda e indifesa! Perché ho permesso al destino di strapparmi dalla mia pacifica Babilonia? Capitan Fuoco, siamo condannati?»

«Non buttarti in mare!» rise Teseo, un po’ nervosamente. «Quel riflesso era molto lontano. Forse si trattava soltanto del sole, che batteva su un paiolo ben lucidato di qualche donna di casa…»

Snish si afferrò alla rudimentale zattera, tremando violentemente.

«Sono abbastanza mago per riconoscere l’apparizione di Talos,» disse, ansiosamente. «L’uomo di bronzo è tanto veloce da perlustrare tutte le coste di Creta dall’alba al tramonto. E la magia guida il suo sguardo, cosicché nessun intruso può sfuggirgli.

«Oh, se fossi rimasto un semplice ciabattino, nella mia lontana Babilonia!»

I suoi occhi fissarono con apprensione la riva. Ma nulla si muoveva, laggiù.

«Ero un ciabattino, a Babilonia,» pigolò. «Ma Babilonia è una città antica. Il suo impero è crollato, e tutta la sua passata grandezza è solo un ricordo doloroso. Le carovane le passano accanto, senza fermarsi. Ed è terribile lavorare, perché gli affari sono veramente miseri.»

Emise un lungo sospiro.

«Perfino i maghi di Babilonia sono poveri, perché non possiedono i poteri degli stregoni di Creta, e perciò non guadagnano molto. C’è stato un mago, che era mio cliente, al quale ho riparato le scarpe per sette anni, e non è mai diventato tanto ricco da permettersi un altro paio di stivali.

«È stato lui a insegnarmi quella misera magia che io conosco. Un giorno, quando mi portò le sue scarpe, gli dissi che non avevo né cuoio né denaro. Si offrì di insegnarmi tutta la magia, se solo gli avessi risuolato le scarpe. E lo feci. Ma avrei fatto meglio a restare un ciabattino! Perché la magia mi ha portato all’esilio, lontano dalla mia Babilonia.» Cominciò a singhiozzare. «Sono stato maledetto da questa crudeltà degli elementi. E adesso, la magia attira su di me la collera del mostruoso Talos!»

«Ma tu sei sempre un mago!» Teseo stava osservando attentamente la linea costiera, alla ricerca di un altro riverbero di bronzo. «E adesso voglio ricorrere ai servigi della tua magia. I cretesi sono stati avvertiti che il capitano dei pirati, il famoso capitan Fuoco, è destinato alla vittoria nei giochi, e tutta la flotta gli sta dando la caccia. Ma non sanno niente di Gothung il Normanno, che è il timoniere di Volpemaestra. Tu l’hai visto… un gigante biondo ed incredibilmente possente, dalla testa quadrata e dalle spalle larghe.

«Snish, dammi le sembianze di Gothung!»

Aspettando il mutamento, Teseo fissò il piccolo stregone, che tremava nell’acqua. Il fodero delle spade cominciava a fargli male, contro il fianco, e meccanicamente lui allargò la cintura. Una lunga ciocca di capelli gli cadde sul viso. I capelli erano biondi come la paglia.

«È fatto, capitan Fuoco!» pigolò il piccolo stregone. «Ma ricorda… l’incantesimo è debole. Se qualcuno ti tocca… basta solo un bacio… tornerai a essere il pirata braccato!»

Teseo stava fissando le sue mani. Non erano quelle che conosceva, ma erano grosse come prosciutti, arrossate dal sole, coperte di una peluria biondiccia.

«Dimentica capitan Fuoco,» mormorò. «Io sono Gothung il Normanno… un semplice marinaio, naufragato sulla costa di Creta.» Guardò Snish. «Ma… e il tuo aspetto?»

Il piccolo stregone tremò violentemente.

«Non cambierò certo aspetto a Creta!» gracchiò. «Gli stregoni di Cnosso sono troppi e troppo gelosi. Il particolare benvenuto che essi riservano ai maghi stranieri è famoso, anche a Babilonia.» Cominciò a battere i denti. «Ed è una cosa tremenda! No, io sono soltanto il povero ciabattino, Snish. E non tenterò alcun sortilegio, padrone, salvo quelli che tu potrai domandarmi!»


Il vento li aveva portati verso la riva. La spiaggia era a non più di un tiro d’arco da loro, quando Snish sollevò il capo di nuovo, e il suo viso giallastro diventò verde per la paura.

«Capitano Gothung!» pigolò, debolmente. «È Talos… che sta arrivando dal promontorio!»

Il piccolo stregone aveva proclamato d’essere incapace di nuotare. Ma in quel momento trattenne il fiato, lasciò l’improvvisata zattera, e si immerse con la perizia di una foca. La zattera proseguì verso la riva. Teseo guardò nella direzione indicata dal mago, e vide una macchia d’alberi. Poi, uno splendente gigante di metallo apparve, e avanzò tra i marosi.

Talos era alto il doppio di un uomo. Il metallo del suo enorme corpo pareva caldo e vivo; la pelle lucente si piegava e si increspava, quand’egli si muoveva. E le onde che colpivano le sue gambe possenti sibilavano, dando vita a masse di vapore biancastro, cosicché Teseo seppe che la corsa del mostro doveva avere surriscaldato quel metallo… Talos doveva essere giunto a una velocità incredibile davvero!

«Uomo,» una potente voce bronzea echeggiò al di sopra della risacca, «chi sei?»

Gli occhi di Talos parevano le bocche di una fornace; il loro splendore giallo era insostenibile. Il suo immenso viso splendente rifletteva una forza semplice e terribile… una forza, pensò Teseo, che riposava soprattutto nei suoi muscoli di metallo. Con l’acqua che fumava ed evaporava intorno al suo corpo nudo, il gigante aspettò una risposta.

Teseo si guardò intorno, alla ricerca di Snish, e cominciò a sospettare che il piccolo stregone si fosse trasformato in pesce. Si portò le mani alla bocca, a imbuto, e gridò per superare il suono della risacca:

«Io sono soltanto un semplice marinaio, che cerca di raggiungere la riva dopo il terribile naufragio.»

Gli occhi di fiamme guardarono lontano, oltre la zattera, verso gli scogli, e la voce possente di Talos rimbombò di nuovo:

«Di quale nave si trattava?»

«Era una nave pirata,» gli disse Teseo. «Il vento magico di Minosse l’ha gettata contro gli scogli, questa notte. Io ero prigioniero, incatenato ai remi. Ho supplicato Minosse e l’Oscuro, ed essi mi hanno risparmiato la vita.»

Gli occhi fiammeggianti di Talos tornarono a posarsi su di lui.

«Chi era il capitano dei pirati?»

«Un acheo, un uomo alto dai capelli rossi.»

«Si chiamava Fuoco?»

«I pirati,» disse Teseo, «lo chiamavano capitan Fuoco.»

«Capitan Fuoco!» la voce di Talos era più forte di un tuono. «Dove si trova, adesso?»

«Giace sul relitto,» gridò Teseo, «è rimasto ferito durante la battaglia con la flotta, e quasi tutti i pirati sono stati uccisi. Stava fuggendo incalzato dalla tempesta, per salvarsi, quando la nave ha urtato gli scogli. L’albero maestro gli è caduto sulle gambe, e lo ha inchiodato sul ponte. Mi ha maledetto, quando io l’ho lasciato, e ha insultato il nome di Minosse e dell’Oscuro.»

Talos si fece avanti, e l’acqua sibilava intorno al suo lucido corpo rovente.

«Questa è la sua ultima follia,» disse la voce bronzea, «perché Minosse sapeva che il pirata si sarebbe avvicinato a questa costa, stanotte, e mi ha mandato qui per distruggerlo.»

L’uomo di bronzo, si fermò di colpo, e i suoi occhi fiammeggianti scrutarono Teseo con aria astuta.

«Talos non è uno stupido,» ruggì. «Non sarai per caso anche tu uno dei pirati, che cerchi di fuggire prima che l’ammiraglio ti prenda per i giochi o per l’Oscuro?»

«Chiedilo a capitan Fuoco,» consigliò Teseo, «quando lo troverai.»

«Lo chiederò a capitan Fuoco,» ruggì l’uomo di bronzo. «Prima di strappargli le braccia e la testa e il resto del suo corpo. E se tu mi hai mentito, non mi sfuggirai. Perché, ricordatelo bene, Talos non è uno stupido!»

Sorpassò la zattera. Le onde sibilarono, sopra le sue spalle. Poi il vapore si alzò sulla sua testa, e l’acqua coprì il corpo di bronzo. La sua testa bronzea riapparve per un breve istante, quando egli superò uno scoglio, e poi scomparve definitivamente.

La zattera toccò terra. Teseo scese, e corse verso la spiaggia. Si voltò, chiedendosi cosa fosse accaduto a Snish. Il piccolo stregone uscì dall’acqua, come d’incanto, e salì sulla spiaggia, barcollando. Aveva il viso bluastro, e respirava affannosamente.

«Splendido, Gothung!» ansimò. «Tu menti come un cretese. Ma pensavo di annegare, prima che l’uomo di bronzo se ne andasse. Sparire è la cosa migliore, per noi, prima che lui ritorni.»

Attraversarono un ampio sentiero polveroso, dove delle enormi impronte di piedi metallici apparivano, a una distanza di tre metri una dall’altra, e cominciarono a salire lungo i fianchi boscosi della collina. Teseo apriva la strada e il piccolo stregone lo seguiva, squittendo e annaspando.

Dopo qualche tempo, uno schianto lontano raggiunse Teseo, come se gli alberi fossero stati abbattuti, vicino alla riva, da qualche essere colossale.

Con uno scatto prodigioso, Snish superò Teseo.

«Il nostro amico di bronzo,» gracchiò, sorridendo, «che non è uno stupido!»

Ma Talos non li raggiunse, e dopo qualche tempo Teseo e il suo compagno superarono la cima boscosa della collina, e videro la valle che si stendeva più oltre. Dei fiori brillavano nei prati erbosi. Le basse colline erano coperte di olivi e di vigneti, e un fiume, in basso, attraversava dei campi bellissimi e fecondi. Le case multicolori di un lontano villaggio facevano capolino tra gli arbusti.

«Un magnifico paese!» sospirò Snish. «È bello come le pianure che circondano la mia perduta Babilonia!»

«È un magnifico paese.» La voce di Teseo era cupa. «La sua bellezza è niente, se è stretta nella morsa della più malvagia stregoneria. Ma noi siamo venuti per liberare questa terra!»

Scesero nella valle. Snish supplicò Teseo di nascondere la Stella Cadente, lungo la strada. La spada era troppo bella, disse, per appartenere a un semplice marinaio scampato a un naufragio; li avrebbe senza dubbio traditi, prima o poi.

Teseo non voleva abbandonare l’arma. Ma avvolse l’elsa con degli sterpi, e macchiò di sporco e di fuliggine la magnifica lama. Così nessuno l’avrebbe riconosciuta.

Un pastore offrì loro la colazione, e mangiarono formaggio, vino e frutta. Quando raggiunsero il villaggio, Snish trovò il mastro mercante del luogo, e vendette uno dei suoi verdi braccialetti di giada, per una manciata di sicli d’argento.

Dal villaggio, presero la strada che portava a occidente, dirigendosi verso Cnosso. Era una strada lastricata, e in perfette condizioni. Vi incontrarono delle carovane di mercanti, e alcuni nobili, in carrozza o in palanchino.

Nelle sembianze del viaggiatore normanno, Teseo parlò ai viandanti che incontrarono, e ai contadini che lavoravano nei campi e nelle vigne, lungo la strada. Trovò la gente del luogo laboriosa e simpatica; gli parve, però, che tutti fossero ossessionati dall’incessante terrore delle forze oscure che governavano Creta.

Il terrore appariva negli occhi dei cretesi, quando passava un prete minoico, portato da schiavi silenziosi, a bordo di una portantina dalle tende nere. L’ombra livida della fame appariva su molti visi, e alcuni parlarono, oscuramente, di tasse e balzelli incessanti. Tutti i giovani si nascondevano, quando passava una fila di lancieri neri, per non venire catturati e mandati a morire nei giochi di Cnosso.

Quella notte, Teseo e il mago raggiunsero la strada che andava verso sud, da Ekoros a Bandos, la seconda città di Creta, i cui appannaggi venivano goduti dal nobile Phaistro. Dormirono in una locanda, lungo la strada.

Quando uscirono dalla taverna, il mattino dopo, Snish deglutì, e guardò un avviso che uno scriba stava dipingendo sulla parete. Lo scriba lo firmò con la doppia ascia di Minosse, e Teseo lesse:


Una ricompensa di venti talenti d’argento sarà pagata dal Tesoro Imperiale per la testa di un certo pirata acheo, chiamato Fuoco, che è stato di recente gettato sulle coste di Creta. La corporazione dei maghi, inoltre, offre mezzo talento d’argento per la testa di un mago minore di Babilonia, che si crede si trovi in compagnia del pirata.


Snish era diventato verdastro. Teseo gli prese il braccio tremante, e lo fece allontanare dal piccolo circolo di stallieri e di viandanti e di contadini, per riprendere la strada che portava a Cnosso.

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