CAPITOLO XVI

Teseo era andato al tempio senz’armi; aveva lasciato nel palanchino perfino la spada di bronzo dell’ammiraglio. Per un istante si pentì di aver lasciato il muro della magia, pensando che, forse, i suoi poteri avrebbero potuto essergli utili, in quella circostanza. Ma era a mani nude, e in quelle condizioni doveva affrontare il problema della fuga.

«I miei omaggi, grande ammiraglio!» gridò nell’ombra. «Ma potresti scoprire che avresti fatto molto meglio a restare nel corpo di capitan Fuoco!»

Si preparò, mentre gridava, e poi si mise a correre tra gli ulivi. La voce stridula di Phaistro gridò dei secchi ordini, alle sue spalle, e dozzine di uomini uscirono dalle ombre del bosco.

Delle reti, lanciate da mani esperte, sibilarono vicino a Teseo. Allora lui saltò, riuscì ad evitarle. Ma una, finalmente, lo prese, e lui cadde, provando un dolore lancinante. Un marinaio ansimante gli fu subito addosso. Lui riuscì ad afferrare il manico del tridente con il quale il marinaio cercava di trafiggerlo, fece forza, e fece cadere rovinosamente nelle tenebre il cretese.

Scalciando, si liberò dalla rete, e riprese a correre. Tre marinai apparvero nel buio, davanti a lui. Teseo scagliò il tridente, come una lancia. L’uomo che si trovava in mezzo cadde. Teseo corse, tra reti sibilanti, e scese verso il fiume.

I rumori dell’inseguimento si avvicinarono, alle sue spalle, e delle torce brillarono sullo sfondo del cielo, rischiarato dalle prime, pallide luci dell’alba. Davanti a lui non apparvero degli altri uomini, però, e così cominciò a sperare di essere riuscito a sfuggire alla trappola di Phaistro. Una volta passato il fiume, sarebbe senz’altro riuscito a trovare un nascondiglio provvisorio; avrebbe potuto trovare un travestimento meno precario di quelli di Snish; ci sarebbe stato tempo per pensare alle sue prossime mosse, ricordando che il possesso del muro della magia era di per sé un’arma potente e nuova da usare per raggiungere il suo scopo.

Ma, mentre correva verso il fiume, i dubbi tornarono ad assalirlo. Arianna aveva tradito suo padre… oppure lui? «No!» mormorò tra sé, ansioso. «Non può essere vero!»

Ricordò il contatto del suo corpo morbido, la calda magia dei suoi baci. Sì, aveva creduto che lei lo amasse davvero. Ma, se lui aveva uno scopo più importante dell’amore, perché la stessa cosa non avrebbe potuto essere valida anche per lui? Le aveva chiesto una prova d’amore, e per quale motivo quelle parole che lui aveva pronunciato non avrebbero potuto essere giuste e valide anche per l’orgogliosa Cibele? Non era stato lui stesso a darle un motivo, una giustificazione, quando le aveva detto quelle parole? Una dea ben difficilmente avrebbe tradito il suo olimpo. Dopotutto, era sicuramente cinquanta volte più vecchia di quanto dimostrasse… ed era anche il ricettacolo di Cibele! Un uomo non poteva significare tanto, per lei!

Fece una pausa, per riprendere fiato, in una macchia di arbusti… e bruscamente tutte le speranze di fuga furono annientate. Perché un profondo richiamo dalle vibrazioni bronzee si levò a dominare e sommergere le grida degli inseguitori. Vide una torcia che si muoveva in alto, all’altezza delle cime degli alberi. I suoi raggi traevano sinistri bagliori corruschi dal gigantesco corpo metallico di Talos.

L’uomo di bronzo scese tuonando dal pendio della collina. La fiamma gialla dei suoi occhi era luminosa quanto la luce della torcia. Teseo si nascose tra gli arbusti. Per un istante, trattenendo il respiro, coltivò la folle speranza di passare inosservato, pensò che forse Talos gli sarebbe passato accanto senza vederlo. Ma il fragore e il tremito della terra si interruppero di colpo, e il gigante torreggiò su di lui come un colosso di metallo.

«Capitan Fuoco,» ruggì quella voce poderosa, «tu sei stato catturato di nuovo per essere offerto all’Oscuro. Probabilmente credi di essere furbo. Ma non mi sfuggirai… malgrado tutti i tuoi trucchi e tutte le tue maschere. Perché Talos non è uno stupido!»

In quell’istante il suolo argilloso cedette, sotto il peso del gigante. Talos si trovò ingloriosamente seduto nella polvere. Teseo balzò in piedi, e corse verso il fiume.

Ma Talos, che si muoveva, malgrado la sua massa, a una velocità poderosa, si rimise in piedi. Con tre passi incredibili, superò Teseo, gli afferrò il braccio, con la grande mano di metallo che bruciava fino a far male, per l’attrito della corsa.

«No, capitan Fuoco,» ruggì il gigante. «Questa volta incontrerai di sicuro l’Oscuro. Talos te lo può promettere, questo. E potrai scoprire, dopotutto, che sei tu lo stupido!»

Quella mano irresistibile e ardente trattenne Teseo, finché l’ammiraglio e i suoi uomini non arrivarono, nella livida luce dell’alba. Phaistro tremò d’ira, vedendo i suoi abiti indosso a Teseo… strappati e rovinati dalla fuga nel bosco. I suoi marinai spogliarono Teseo.

«Non importa se sei nudo, cane di un pirata!» sputò l’ammiraglio. «Gli uomini non hanno bisogno di vestiti, nel Labirinto!»


Teseo fu condotto in città. Gli sterpi e i sassi aguzzi gli torturarono i piedi… perché Phaistro si era ripreso anche i sandali. Intorno a lui, formando un quadrato, marciavano i marinai, che lo pungolavano con i tridenti. Talos era alle loro spalle, e lo sorvegliava attentamente.

Con un guizzo di speranza, Teseo si domandò cosa fosse accaduto a Snish. Pareva che il piccolo mago fosse riuscito a evitare la trappola. Forse le sue arti, che Snish cercava sempre di minimizzare, l’avevano salvato ancora una volta. Ma era poco probabile, pensò Teseo, che Snish venisse deliberatamente ad aiutarlo… ed era ancor meno probabile che i suoi poteri magici potessero sconfiggere i grandi stregoni di Creta, anche se lo avesse tentato.

Il sole era già sorto, quando dopo aver attraversato boschi e vigneti giunsero in vista della possente e antica massa di Cnosso. L’ammiraglio, trasportato sul palanchino in testa alla colonna dei marinai, gridò a Teseo:

«Guarda bene il sole, pirata… perché non lo vedrai più. Gli uomini non tornano indietro, dalla giustizia dell’Oscuro.»

Passarono accanto alle solenni guardie etrusche, immobili all’ingresso, ed entrarono nell’incredibile groviglio dei corridoi del palazzo. La notte piombò di nuovo intorno a loro, perché il sole non era abbastanza alto nel cielo da penetrare, con i suoi raggi, nelle finestre del palazzo. Le lampade erano ancora accese nei corridoi tenebrosi.

Un gruppo di sacerdoti minoici, dalle vesti nere, venne loro incontro; i preti erano armati, brandivano minacciosamente delle lunghe lance dalla punta di bronzo. Il loro capo apostrofò Talos:

«Minosse è pronto a sedere in giudizio immediatamente. Il prigioniero non avrà certo un’altra possibilità di fuga. Deve essere portato immediatamente nell’antro dell’Oscuro.»

Non entrarono in nessuno dei corridoi e delle sale che Teseo aveva già visitato nelle precedenti occasioni. I sacerdoti presero delle torce, dalle nicchie che trovarono lungo la strada, e le accesero servendosi di una fiaccola che mandava cupi bagliori rossigni. I sacerdoti formavano un altro quadrato, mentre i marinai erano scomparsi, come inghiottiti dal nulla. Talos era sempre alle loro spalle. Delle svolte sconosciute li portarono in lunghi passaggi, che scendevano continuamente. Non c’erano finestre, e l’aria aveva il sapore umido e freddo dell’oscurità perpetua.

Finalmente giunsero davanti a una massiccia porta di bronzo. Era ornata di grandi teste taurine, dello stesso metallo, ed era verdastra, coperta dalla patina dei secoli. Talos superò i preti, e il suo pugno metallico rimbombò cupamente sui battenti.

Finalmente la porta si aprì silenziosamente, e le lance dei sacerdoti spinsero Teseo in un’enorme sala lunga e stretta. Le sue pareti erano massicci blocchi di basalto egizio, e l’unica luce veniva dalle fiamme fumiganti e dai colori cangianti di un braciere montato su un alto tripode.

Su di un palco, davanti al braciere, c’erano tre sedili di pietra nera. Dedalo, con la sua veste nera, la mano e la voce dell’Oscuro, sedeva al centro. Minosse, con la veste bianca e un bonario sorriso sul volto roseo, sedeva alla destra del mago. Alla sinistra di Dedalo, vestita di verde, sedeva Arianna… immobile.

Alla luce incerta del braciere, montato sul grande tripode, Teseo fissò la dea. Sedeva diritta e fiera sul suo trono di basalto. Il suo bianco volto perfetto aveva una espressione serena. Gli occhi erano freddi e smeraldini, nella luce danzante delle fiamme, e la dea parve ignorare totalmente il prigioniero.

La bianca colomba era immobile sulla sua spalla, e il suo occhio nero parevano fissarlo. La cintura serpentina splendeva, contorcendosi lentamente, e gli occhi della testa piatta d’argento erano punte cremisi, che mandavano sinistri bagliori.

Teseo rabbrividì. Cercò di abbassare lo sguardo, per non vedere l’enigmatico ricettacolo di Cibele. Era difficile credere che la stessa creatura gli avesse concesso i suoi baci, nell’antico tempio.

Mentre una parte dei sacerdoti neri restava a sorvegliarlo, con le lance puntate, gli altri si inginocchiarono, e iniziarono una lenta, solenne cantilena. Il rumore di un immenso gong di bronzo… profondo come il muggito di un enorme toro… fece tremare la cupa sala.

Teseo rimase immobile, rigido e tremante, finché, con un’ultima vibrazione, il gong tacque. Allora i tre dei si alzarono, sul loro palco. Il viso roseo di Minosse gli sorrise.

«Noi, gli dei minori, abbiamo udito le accuse contro questo noto criminale, il pirata acheo, che si fa chiamare capitan Fuoco.» La voce femminea era dolce; gli occhi azzurri scintillavano, allegramente. «Per noi è chiaro che il peso dei suoi immensi crimini richiede il pronto giudizio dell’Oscuro.»

Sorrise giovialmente, fissando l’alto corpo nudo di Teseo, e si accarezzò il mento roseo, con la mano paffuta.

«Perciò,» ridacchiò, piano, «noi ora inviamo il prigioniero nel Labirinto che è la dimora dell’Oscuro, perché là egli sia sottoposto alla sua giustizia eterna.»

Si voltò, e i suoi occhi ilari fissarono la nera figura sepolcrale di Dedalo:

«Tu, la mano e la voce dell’Oscuro, approvi la nostra decisione?»

La voce cupa del vecchio stregone gracchiò:

«Io l’approvo.»

Con il solito sorriso bonario, Minosse si rivolse ad Arianna:

«E tu, ricettacolo di Cibele che è figlia dell’Oscuro?»

Senza respirare, Teseo la guardò. Gli occhi verdi si posarono lentamente su di lui. Un invisibile tremito del suo corpo fece aprire le ali alla colomba. Ma i suoi occhi rimasero freddi e remoti, e la sua voce dorata disse, debolmente:

«Io l’approvo.»

Gli occhi scintillanti di Minosse tornarono a fissare Teseo, e il gigante Talos, che aspettava, rigido alle sue spalle.

«Gli dei approvano.» La voce gli s’incrinò, e una risata brillò nei suoi occhi e sulle sue labbra. «Che ora si apra la porta del Labirinto, affinché il prigioniero possa varcare la soglia dell’Oscuro, per affrontare il suo giudizio.»

Talos si mosse, e fu un movimento strano, parve quasi che una grande statua si fosse animata di colpo. Ma Arianna, facendo un breve gesto imperioso con la mano, lo immobilizzò di nuovo, facendolo ritornare una massa inerte di metallo.

«Aspetta,» disse, «ho un dono per il prigioniero.»

Minosse e Dedalo si voltarono di scatto a fissarla. Per una volta, il sorriso sparì dal viso roseo di Minosse, e il volto cadaverico del gran sacerdote si contorse in una smorfia di terribile sdegno. Si udirono dei sibili di protesta.

Da un punto alle sue spalle, sul trono nero, Arianna estrasse un lungo rotolo di papiro.

«Questa è una copia del ‘Libro dei Morti’,» disse la voce dorata della dea. «Che è stata portata dagli ambasciatori del faraone. È un’opera scritta per la guida dell’anima oltre le porte della morte.» La sua risata era ironica, e gli occhi verdi erano gelidi. «Io credo che capitan Fuoco la troverà molto utile.»

Gli occhi ilari di Minosse e quelli fiammeggianti di Dedalo la fissarono, dubbiosi. La voce del mago gracchiò: «Il prigioniero non ne ha bisogno. È d’uso che gli uomini incontrino l’Oscuro come essi sono usciti dal grembo di sua figlia, nudi, a mani vuote. E neppure l’anima richiede una guida, nella dimora dell’Oscuro, perché essa verrà consumata.»

Ma il corpo roseo e grassoccio di Minosse fu scosso da un’improvvisa ondata di allegria.

«Mia figlia scherza,» sighiozzò, tra le risa. «Ricorda, il prigioniero è suo nemico. Lasciagli prendere il libro dei morti… e poi, che se ne vada subito a usarlo!»

Il braccio bianco di Arianna si tese, per porgere a Teseo il lungo cilindro. Teseo si fece avanti senza parlare, e lo prese, e riuscì a non tradire la sorpresa per il peso dell’oggetto, certo superiore a quello che avrebbe dovuto essere. Cercò di scrutare il viso candido della dea, alla ricerca di quale segno di comprensione e di umanità, ma vide soltanto una perfetta maschera orgogliosa e remota.

«Vai, pirata,» gli disse. «Il Labirinto è aperto.»

Rabbrividendo per il gelo improvviso che aveva invaso la cupa sala, Teseo si voltò, lentamente. Vide che Talos si era chinato, per sollevare un enorme anello di bronzo, al centro di uno dei grandi blocchi di basalto che formavano il pavimento della sala.

Il dorso e le braccia di bronzo si tesero, i muscoli di metallo guizzarono sotto la pelle risplendente del gigante, e Talos tirò, con forza sovrumana. L’immenso blocco di pietra si sollevò lentamente, davanti al palco. Un fetore acre uscì dall’abisso che si apriva sotto la pietra, e tutti, nella sala, si immobilizzarono, in preda a un timore reverenziale che non aveva confini.

Teseo vide che i sacerdoti erano pallidissimi, e tremavano. Il viso di Dedalo era una cupa maschera di pietra; il viso di Arianna era pallido, immobile, e Minosse aveva cessato di sorridere. Teseo provò un freddo brivido di terrore.

Qualcosa, in quella ventata di aria umida e greveolente, gli fece piegare le ginocchia, lo riempì di terrore soprannaturale. C’era la presenza di qualcosa di più del freddo, dell’umidità, dell’oscurità infinita e della polvere dei secoli, in quell’aria… c’era l’impalpabile presenza di una cosa… di una cosa mostruosa!

Il corpo di Talos si tese in un ultimo sforzo sovrumano, e alla fine la pietra si sollevò completamente. I sacerdoti neri sollevarono silenziosamente le loro lance, e le grandi mani di Talos si sollevarono, roventi per lo sforzo sostenuto.

Teseo guardò per l’ultima volta le tre figure degli dei, che sedevano sui loro troni, sul palco. Riuscì a sorridere con scherno, e agitò verso di loro il rotolo di papiro, con aria noncurante. Si voltò, e sputò deliberatamente nel pozzo oscuro sotto la pietra che le mani di Talos avevano sollevato, e si diresse verso di esso, con aria noncurante, in segno di aperta sfida.

Eppure, stava tremando.

Strinse forte sul fianco il rotolo di papiro, per evitare che esso rivelasse il tremito delle sue mani. Si fermò sul ciglio del pozzo. Nella debole luce del tripode, vide dei gradini di pietra, che portavano in basso.

Si chinò, si appoggiò con una mano sull’orlo, e si calò verso il primo gradino. Agitando per l’ultima volta il rotolo di papiro, in segno di saluto, sotto gli occhi fiammeggianti di Talos, scese in quell’abisso antico, umido e greveolente, dove l’aria sapeva di polvere e di morte e di secoli, e una presenza minacciosa, mostruosa, pareva aleggiare ovunque.

L’immenso gong tuonò di nuovo, e l’aria vibrò cupamente, dietro di lui; i sacerdoti neri stavano intonando un canto rituale, una cantilena bassa e monotona che dava i brividi.

La pietra calò sull’apertura.

Poi ci fu un tonfo, poderoso e terribile. E ogni luce scomparve, quando le molte tonnellate di basalto della poderosa pietra ricaddero al loro posto, sull’apertura dell’abisso.

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