PARTE TERZA

– Che ne è stato di quella ragazza lupo? – chiese Illyan, dopo una lunga pausa di silenzio.

– Ah, sono lieto di dire che se la sta cavando bene e che è stata da poco promossa sergente. Il medico della mia flotta dendarii le sta somministrando dei medicinali per cercare di rallentare un po' il suo metabolismo, anche se è una cosa alquanto sperimentale.

– Allora riuscirete ad allungare la durata della sua vita?

– Ci piacerebbe saperlo – replicò Miles, scrollando le spalle. – Forse. Comunque lo speriamo.

– Bene – commentò Illyan, cambiando argomento, – ora ci rimane soltanto la questione di Dagoola, riguardo alla quale ti ricordo che il solo rapporto che ho avuto da te prima che intervenissero le altre autorità è stato quello eccessivamente succinto che hai mandato da Mahata Solaris.

– Quello avrebbe dovuto essere soltanto un rapporto preliminare, perché pensavo di riuscire a tornare a fare rapporto prima di così.

– Questo non è un problema… o almeno non lo è per il Conte Vorvolk. Parlami di Dagoola, Miles: sputa fuori ogni cosa e dopo potrai dormire un poco.

– È cominciato tutto in maniera così semplice – iniziò Miles, accigliandosi, – quasi come quel lavoro sul Gruppo Jackson… poi le cose sono andate storte, molto storte…

– Allora inizia dal principio.

– Il principio. D'accordo…

I confini dell'infinito

Com'è possibile che sia morto e sia finito all'inferno senza accorgermi della transizione?

L'opalescente cupola di forza sovrastava un paesaggio surreale e alieno, immobilizzato per un momento agli occhi di Miles dal proprio senso di disorientamento e di sgomento. La cupola descriveva un cerchio perfetto di mezzo chilometro di diametro e lui si trovava appena oltre il suo limitare, là dove la lucente superficie concava penetrava nel suolo di terra battuta e scompariva; con l'immaginazione lui ne seguì l'arco sepolto sotto i suoi piedi fino al punto in cui emergeva di nuovo a completare la sfera. Era come essere intrappolato dentro un guscio d'uovo impossibile a rompersi, il cui interno sembrava una scena di un antico limbo.

Uomini e donne dall'aria avvilita sedevano, stavano in piedi o per lo più giacevano sdraiati, da soli o in gruppetti sparsi in maniera irregolare attraverso l'intera ampiezza della cupola e Miles cercò invano di notare in loro qualche residuo di ordine o di raggruppamenti militari… gli abitanti della cupola sembravano spruzzati qua e là come un liquido sparso al suo interno.

Forse era morto poco prima, al suo ingresso nel campo di prigionia, forse i suoi catturatori lo avevano ucciso con l'inganno, come quegli antichi soldati della Terra che attiravano le loro vittime sotto docce avvelenate, distraendole e blandendo i loro sospetti consegnando a ciascuna un pezzo di sapone, fino a quando la comprensione ultima esplodeva in loro insieme ad una nube soffocante. Forse l'annientamento del suo corpo era stato rapido, al punto che i neuroni non avevano avuto il tempo di trasportare l'informazione fino al cervello… altrimenti, perché mai tanti antichi miti avrebbero concordato nell'affermare che l'inferno era un luogo circolare?

Dagoola IV, Campo di Prigionia di Massima Sicurezza N°3… era dunque questo? Questo piatto spoglio? Miles aveva supposto vagamente di trovare alloggiamenti, guardie che marciavano, un conteggio quotidiano dei prigionieri, gallerie scavate in segreto e comitati di fuga.

Adesso si rese conto che era la cupola a rendere tutto tanto semplice. Infatti che bisogno c'era di alloggiamenti per riparare i prigionieri dagli elementi? Ci pensava già la cupola. E a che sarebbero servite le guardie visto che la cupola era generata dall'esterno e che nulla che si trovasse all'interno poteva aprirvi un varco? Di conseguenza non servivano le guardie e il conteggio quotidiano dei prigionieri, le gallerie erano inutili e i comitati di fuga un'assurdità. Tutto a causa della cupola.

Le uniche strutture visibili erano una specie di grossi funghi di plastica grigia disposti lungo il perimetro della cupola a intervalli di circa cento metri uno dall'altro, intorno ai quali erano focalizzate le uniche tracce di attività. Dopo un momento Miles capì che si trattava di latrine.

Lui e altri tre prigionieri erano entrati nel campo attraverso un portale temporaneo che si era richiuso alle loro spalle prima che il momentaneo rigonfiamento della cupola di forze che conteneva l'accesso si aprisse davanti a loro. Il più vicino abitante della cupola, un uomo che giaceva a qualche metro di distanza su una stuoia per dormire identica a quella che Miles stringeva adesso fra le mani, sollevò il capo per fissare il gruppetto dei nuovi venuti, esibì un acido sorriso e si girò su un fianco in modo da dare loro le spalle. Nessun altro si prese la briga anche soltanto di alzare lo sguardo.

– Dannazione – borbottò uno dei compagni di Miles, stringendosi inconsciamente agli altri due.

Stando a quanto avevano affermato, quei tre avevano fatto parte un tempo della stessa unità, e Miles li aveva conosciuti appena pochi minuti prima, durante la fase finale della procedura d'immissione nel campo, nella quale erano stati consegnati a ciascuno di loro tutti i beni terreni che gli sarebbero serviti per vivere su Dagoola IV.

Tali beni erano costituiti da un solo paio di larghi calzoni grigi, una tunica grigia a maniche corte, una stuoia rettangolare arrotolata, una tazza di plastica… e basta. Soltanto questo e i numeri stampigliati sulla loro pelle. A Miles dava immensamente fastidio il fatto che i loro catturatori avessero scelto di apporre quei numeri nel centro della loro schiena, dove non li potevano vedere, e doveva lottare di continuo contro l'impulso di torcere il collo per cercare di vederli comunque, anche se spesso infilava la mano sotto la casacca per grattare un prurito che era esclusivamente psicosomatico in quanto non era possibile neppure avvertire la presenza dei numeri stampigliati.

D'un tratto nella scena apparve una traccia di movimento, costituita da quattro o cinque uomini che si stavano avvicinando: era forse finalmente arrivato il comitato di benvenuto? Miles aveva un disperato bisogno d'informazioni. Dove poteva trovare ciò che stava cercando, in mezzo a quegli innumerevoli uomini e donne vestiti di grigio? No, non innumerevoli, si corresse con fermezza: qui tutto era numerato.

Quelli erano i resti malconci del 3° e del 4° Battaglione di Rangers Corazzati, gli ingegnosi e tenaci difensori della Stazione di Trasferimento Garson; c'erano anche gli uomini del 2° Battaglione di Winoweh, che era stato catturato quasi intatto, e i superstiti del 14° Commandos, coloro che si erano salvati dopo la caduta della fortezza tecnologica di Nucleo Fallow… per l'esattezza diecimiladuecentoquattordici in tutto, i migliori combattenti del pianeta Marilac. Diecimiladuecentoquindici, adesso, contando anche lui stesso… ma doveva contarsi?

Il comitato di ricevimento si arrestò in una linea irregolare a qualche metro di distanza: i suoi componenti apparivano tutti alti, muscolosi, duri e non particolarmente amichevoli, con occhi spenti e incupiti, pieni di una noia letale che non era attenuata neppure dal loro attuale aspetto calcolatore.

I due gruppi, quello di tre uomini e quello di cinque, si valutarono a vicenda, poi i tre si girarono e cominciarono prudentemente ad allontanarsi. In ritardo Miles si rese conto che non appartenendo a nessuno dei due schieramenti si era venuto così a trovare isolato.

Isolato e fin troppo visibile. L'imbarazzante consapevolezza di sé e del proprio corpo, solitamente tenuta a freno dal semplice fatto che non aveva tempo da sprecare con essa tornò ad assalirlo all'improvviso. Era troppo basso, con un aspetto troppo strano… dopo l'ultima operazione le sue gambe avevano adesso la stessa lunghezza, ma di certo non erano abbastanza lunghe da permettergli di distanziare quei cinque. E poi, dove sarebbe potuto fuggire, in questo posto? Di conseguenza, cancellò la fuga dalle alternative possibili.

La fuga? Era meglio che cercasse di essere serio.

Non funzionerà, comprese tristemente, nel momento stesso in cui si avviava verso i cinque, ma d'altro canto questo era pur sempre più dignitoso che essere inseguito per poi arrivare allo stesso risultato.

Cercò di rendere il proprio sorriso austero anziché stupido ma non ebbe modo di stabilire se era riuscito nell'intento.

– Salve – esordì. – Sapreste dirmi dove posso trovare la Divisione del 14° Commandos del Colonnello Guy Tremont?

Uno dei cinque sbuffò in maniera sardonica e altri due si spostarono alle spalle di Miles.

Uno sbuffo era quasi un'espressione verbale, e comunque era pur sempre un'espressione… un punto di partenza, un appiglio. Di conseguenza Miles focalizzò la propria attenzione su quell'individuo in particolare.

– Dimmi il tuo nome, grado e compagnia di appartenenza, soldato.

– Non ci sono gradi qui, mutante, e neppure compagnie o soldati. Niente.

Miles si lanciò un'occhiata intorno: naturalmente era stato circondato.

– Tu comunque hai degli amici – osservò.

– E tu no – ribatté il suo interlocutore, arrivando quasi a sorridere.

A questo punto Miles si chiese se forse non fosse stato prematuro scartare l'opzione della fuga.

– Non ci conterei se fossi in… uh!

Un calcio ai reni sferratogli alle spalle gli troncò a mezzo la frase… così bruscamente che per poco non si staccò la lingua con un morso… e lo scagliò a terra, facendogli sfuggire di mano la stuoia e la tazza.

Grazie a Dio questa volta si era trattato di un calcio assestato con un piede nudo e non con stivali da combattimento… e secondo le regole della fisica newtoniana adesso il piede del suo aggressore avrebbe dovuto dolere quanto la sua schiena. Ottimo. Splendido. Forse si sarebbero anche ammaccati le nocche nel prenderlo a pugni…

Uno dei membri del gruppo raccolse la sua tazza e la stuoia.

– Vuoi anche i suoi vestiti? – chiese ad un compagno. – Per me sono troppo piccoli.

– No.

– Sì – intervenne l'uomo che aveva parlato per primo. – Prendili lo stesso. Forse potremo usarli per adescare una delle donne.

Miles si sentì sfilare la tunica e i pantaloni, ma era troppo occupato a proteggersi la testa dai calci che piovevano di tanto in tanto… cercando di intercettarli obliquamente con il ventre o la cassa toracica e non con le braccia, le gambe o la mascella… per tentare di lottare per conservare i vestiti. Una costola incrinata era la lesione più grave che si poteva permettere in quel posto, all'inizio della missione, mentre la frattura della mascella sarebbe stata il danno peggiore.

I suoi assalitori desistettero soltanto quando erano ormai ad un passo dallo scoprire con la pratica quanto fossero fragili le sue ossa.

– È così che vanno le cose qui, mutante – dichiarò quello dei cinque che gli aveva parlato in precedenza, con il respiro un po' ansante.

– Sono nato nudo – ansimò Miles, steso nella polvere, – ma questo non mi ha fermato.

– Un dannato galletto sfrontato – commentò l'uomo.

– E lento ad imparare – aggiunse un altro dei cinque.

La seconda battuta fu peggiore della prima e gli fruttò almeno due costole incrinate… la mascella riuscì a stento a salvarsi da una frattura a prezzo di un imprecisato e doloroso danno al polso sinistro, sollevato di scatto a schermarla. Questa volta Miles soffocò l'impulso di salutare i suoi aggressori con un'ultima frecciata e rimase disteso in silenzio nella polvere, desiderando di perdere i sensi.


Restò raggomitolato in preda al dolore per un tempo molto lungo, anche se non avrebbe saputo dire per quanto. L'illuminazione della cupola di forza era uniforme, priva di ombre, immutevole e senza tempo come l'eternità… del resto l'inferno era eterno, giusto? E di certo questo posto aveva troppe dannate somiglianze con l'inferno.

Ed ecco che stava sopraggiungendo un altro demone… Miles sbatté le palpebre per mettere a fuoco la figura che si stava avvicinando, quella di un uomo nudo e ammaccato come lui, talmente emaciato che gli si potevano contare le costole, che s'inginocchiò nella polvere a qualche metro di distanza; il suo volto ossuto era invecchiato prematuramente dalla tensione e non permetteva di stabilire la sua età, che avrebbe potuto essere di quarant'anni come di venticinque.

Gli occhi erano prominenti in maniera innaturale a causa dell'eccessiva magrezza e il bianco sembrava brillare di un bagliore febbrile sullo sfondo della pelle scurita dalla sporcizia che vi si era accumulata. Sporcizia, non accenni di barba, perché ad ogni prigioniero presente nel campo, maschio o femmina che fosse, erano stati tagliati i capelli e le radici erano state trattate in modo da impedire la ricrescita, il che significava che tutti erano perpetuamente rasati e con i capelli in ordine. Anche Miles aveva subito lo stesso procedimento appena poche ore prima, ma chiunque si era occupato di quell'uomo doveva aver avuto premura perché il repressore di crescita aveva mancato un punto della guancia dove adesso una dozzina di peli crescevano come un ciuffo d'erba su un prato tagliato male, e anche se erano ricci era evidente che erano ormai lunghi parecchi centimetri, al punto che pendevano dalla mascella dello sconosciuto. Osservandoli, Miles pensò che se avesse saputo con quale velocità crescevano i peli della barba avrebbe anche potuto calcolare da quanto tempo quel tizio era stato rinchiuso lì.

Un tempo troppo lungo, quali che siano le cifre effettive, si disse con un silenzioso sospiro.

L'uomo teneva in mano la parte inferiore di una tazza di plastica rotta, che spinse con cautela verso di lui con il respiro che sibilava ansante attraverso i denti ingialliti, un affanno dovuto alla fatica fisica, all'eccitazione o forse ad una malattia… no, non ad una malattia, perché tutti qui erano stati ben immunizzati, al punto che la fuga era molto difficile anche attraverso la morte.

Miles rotolò su un fianco e si puntellò con fatica su un gomito, scrutando il suo visitatore attraverso la cortina sempre meno intensa del dolore causatogli dalle varie ammaccature.

L'uomo si ritrasse leggermente ed esibì un sorriso nervoso, accennando con la testa in direzione della tazza.

– Acqua. Farai meglio a bere, perché il fondo è crepato e se aspetti troppo l'acqua cola tutta fuori.

– Grazie – gracchiò Miles. Appena una settimana prima… o in una vita precedente, a seconda di come si contava il passare del tempo… lui aveva avuto la possibilità di scegliere fra una selezione di vini, scartando quelli che non lo soddisfacevano per le loro sfumature di sapore; quel ricordo gli strappò un sorriso che gli provocò una crepa in un labbro. Raccolta la tazza bevve quella che era comunissima acqua, tiepida e intrisa di un leggero sapore di cloro e di zolfo.

Un'ottima corposità, ma il bouquet lascia po' a desiderare…

L'uomo rimase accoccolato in un atteggiamento di studiata cortesia finché lui non ebbe finito di bere, poi si protese in avanti appoggiandosi sulle nocche delle mani con urgenza a stento trattenuta.

– Sei tu l'Uno? – chiese.

– Sono cosa? – fece Miles, sbattendo le palpebre.

– L'Uno. L'altro uno, dovrei dire, considerato che secondo le scritture ce ne dovrebbero essere due.

– Uh… – Miles esitò con cautela, poi domandò: – E cosa dicono esattamente le scritture?

L'uomo, che teneva la mano destra stretta intorno all'ossuto polso sinistro e allo straccio intrecciato in una sorta di corda che portava legato intorno ad esso, chiuse gli occhi e prese a recitare ad alta voce:

– … ma i pellegrini salirono quella collina con facilità, perché avevano questi due uomini a guidarli per la mano; si erano inoltre lasciati alle spalle i loro indumenti, perché anche se erano entrati nel fiume con essi ne uscivano poi senza di essi… – Arrivato a questo punto l'uomo riaprì gli occhi e fissò Miles con espressione speranzosa.

Comincio a capire perché questo tizio sembri essere del tutto isolato… rifletté questi, fra sé.

– Si dà il caso che tu sia l'altro Uno? – azzardò quindi. L'uomo annuì con timidezza.

– Capisco. Hmm…

Raccogliendo con la lingua le ultime gocce d'acqua che aveva sulle labbra Miles si chiese perché gli capitava sempre di attirare i casi da manicomio. Quel tizio poteva avere qualche rotella fuori posto ma costituiva comunque un miglioramento rispetto al gruppo precedente, sempre supponendo che nella sua testa non ci fossero due o tre personalità di tipo omicida nascoste da qualche parte. No, in quel caso l'uomo si sarebbe presentato come i Due Prescelti e non avrebbe cercato un aiuto esterno.

– Come ti chiami? – domandò infine.

– Suegar.

– Suegar… d'accordo. A proposito, io mi chiamo Miles.

– Uh – commentò Suegar, con una smorfia che indicava una sorta di compiaciuta ironia. – Sai che il tuo nome significa «soldato»?

– Sì, me lo hanno detto.

– Ma tu non sei un soldato…

Miles arrossì: qui non c'era nessun sottile e costoso trucco nel taglio degli abiti con cui potesse nascondere a se stesso, se non agli altri, le stranezze del suo corpo.

– Verso la fine hanno cominciato ad accettare di tutto e mi hanno preso come impiegato addetto al reclutamento… non ho avuto modo di sparare neppure un colpo. Senti, Suegar, come fai a sapere di essere l'Uno, o almeno uno dei due Uno? È una cosa che hai sempre saputo?

– Me ne sono reso conto a poco a poco – confessò Suegar, cambiando posizione e mettendosi a sedere a gambe incrociate. – Vedi, io qui sono il solo a possedere le parole – proseguì, accarezzando di nuovo lo straccio intrecciato. – Ho cercato in lungo e in largo per il campo, ma gli altri mi hanno soltanto deriso. È stato una specie di processo di eliminazione… si sono arresi tutti tranne me.

Miles si sollevò a sedere con un leggero sussulto di dolore, consapevole che quelle costole incrinate lo avrebbero fatto soffrire per alcuni giorni, e annuì in direzione del bracciale intrecciato.

– È lì che custodisci le tue scritture? Posso vederle? – domandò, chiedendosi come diavolo avesse fatto Suegar a procurarsi un modulo di plastica o una vera pagina di carta in un posto come quello.

Suegar però si strinse le braccia al petto in un gesto protettivo e scosse il capo.

– Stanno cercando di prendermele da mesi e devo stare attento finché non avrai dimostrato di essere l'Uno – replicò. – Sai, anche il diavolo può citare le scritture.

Già, ed è più o meno quello che io avevo in mente… pensò Miles. Chi poteva infatti sapere quali opportunità fossero racchiuse nelle «scritture» di Suegar? Bene, forse le avrebbe viste in seguito… per ora doveva limitarsi a continuare a stare al gioco.

– Ci sono altri segni? – domandò. – Vedi, io non so se sono l'altro Uno, ma al tempo stesso non sono neppure certo di non esserlo. Dopo tutto, sono appena arrivato.

Di nuovo Suegar scosse il capo.

– Sono soltanto cinque o sei frasi, e bisogna interpolare parecchio.

Ci scommetto, commentò fra sé Miles, astenendosi però dal dirlo ad alta voce.

– Come te le sei procurate? O le hai trovate qui?

– Le ho trovate a Porto Lisma, appena prima di essere catturato – spiegò Suegar. – Era in corso un combattimento di casa in casa e uno dei tacchi dei miei stivali si era allentato, ticchettando ad ogni passo. È strano come un rumore tanto insignificante possa dare sui nervi anche in mezzo al fragore che si stava abbattendo sui miei orecchi. In una casa c'era una libreria chiusa con ante di vetro e contenente veri libri antichi fatti di carta… ho fracassato il vetro con il calcio del mio fucile ed ho strappato una pagina da un volume, piegandola e infilandola nel tacco per bloccarlo e impedire che continuasse a ticchettare. Non ho neppure guardato il titolo del libro e ho scoperto soltanto più tardi che era un testo di scritture… o almeno credo che siano scritture. Dato che dal contenuto sembrano tali devono esserlo.

Suegar si tormentò i peli della barba con un gesto nervoso, arrotolandoli intorno ad un dito.

– Mentre stavamo aspettando di essere immessi nel campo ho sfilato quel pezzo di carta dal tacco, così, tanto per fare qualcosa, e lo avevo in mano quando mi hanno prelevato. La guardia che si è occupata di me lo ha visto ma non me lo ha preso, probabilmente perché ha pensato che fosse soltanto un innocuo pezzo di carta, quindi lo avevo ancora in mano allorché mi hanno scaricato qui. Sai che è il solo foglio scritto che ci sia in tutto il campo? – concluse, con una sfumatura di orgoglio. – Devono essere scritture.

– Ecco… allora abbine cura – consigliò gentilmente Miles. – Se le hai preservate tanto a lungo, è evidente che eri destinato a farlo.

– Già – convenne Suegar, sbattendo le palpebre… aveva forse le lacrime agli occhi? – Qui io sono il solo ad avere uno scopo, vero? Quindi devo essere l'Uno… uno dei due.

– Pare anche a me – assentì Miles, guardandosi intorno nella cupola uniforme. – Senti, come si fa ad orientarsi in questo posto? – chiese poi.

Il campo era decisamente privo di punti di riferimento e gli ricordava più di ogni altra cosa una colonia di pinguini. I pinguini erano però capaci di ritrovare la strada che portava al loro nido roccioso, il che significava che lui avrebbe dovuto cominciare a pensare come un pinguino… o trovare un pinguino che gli desse indicazioni. Questo pensiero lo indusse a studiare più attentamente il suo uccello guida, che aveva assunto un atteggiamento assente e stava disegnando qualcosa nella polvere… cerchi, naturalmente.

– Dov'è la sala mensa? – domandò, alzando il tono di voce. – E dove prendete l'acqua?

– I rubinetti dell'acqua sono sulle pareti esterne delle latrine – spiegò Suegar, – ma funzionano a intervalli, e non c'è una sala mensa… otteniamo soltanto sbarre nutritive. A volte.

– A volte? – ripeté Miles, con rabbia. Sul torace di Suegar era possibile contare il numero esatto delle costole. – Dannazione, i Cetagandani stanno proclamando in lungo e in largo che trattano i loro prigionieri di guerra secondo le regole stabilite dalla Commissione di Giustizia Interstellare… un certo numero di metri quadri per persona, 3000 calorie al giorno, almeno cinquanta grammi di proteine, due litri di acqua potabile… dovreste ricevere ogni giorno almeno due razioni standard ciascuno secondo le norme della Commissione, e invece vi stanno facendo patire la fame.

– Dopo un po' – sospirò Suegar, – ottenere o meno la tua razione smette di avere importanza.

L'animazione destata in lui dal suo interesse per Miles come per un oggetto nuovo e latore di speranza piovuto nel suo mondo stava cominciando ad abbandonarlo: il suo respiro si era fatto più lento, il suo atteggiamento più accasciato, al punto che sembrava prossimo a sdraiarsi in mezzo alla polvere. Nel guardarlo, Miles si chiese se la stuoia per dormire di Suegar avesse subito la stessa sorte della sua, e decise che questo doveva essere probabilmente accaduto molto tempo prima.

– Senti, Suegar… credo che da qualche parte in questo campo ci sia un mio parente, un cugino da parte di mia madre. Potresti aiutarmi a trovarlo?

– Avere qui un parente potrebbe essere un vantaggio per te – convenne Suegar. – Non è bene essere soli, in questo posto.

– Sì, l'ho già scoperto… ma come si fa a trovare qualcuno? Non mi sembrate molto organizzati.

– Oh… ci sono gruppi e gruppi, e dopo un po' ciascuno resta sempre nello stesso posto.

– Mio cugino era con il 14° Commandos. Dove sono?

– Non rimane granché di nessuno dei vecchi gruppi.

– Si tratta del Colonnello Tremont, Guy Tremont.

– Oh, un ufficiale – osservò Suegar, aggrottando la fronte in un'espressione preoccupata. – Questo rende le cose più difficili. Tu non eri un ufficiale, vero? Se lo eri è meglio che eviti di dirlo in giro…

– Ero un impiegato – ripeté Miles.

– … perché qui ci sono gruppi che non hanno simpatia per gli ufficiali. Un impiegato. Allora probabilmente non corri rischi.

– Tu eri un ufficiale, Suegar? – domandò Miles, incuriosito.

Suegar si accigliò e tormentò ancora i peli superstiti della sua barba.

– L'Esercito di Marilac è scomparso. Come ci possono essere ufficiali se non c'è più un esercito? – ribatté.

Per un momento Miles si chiese se non avrebbe fatto più progressi e più in fretta allontanandosi da Suegar e cercando di avviare una conversazione con il prossimo prigioniero in cui si fosse imbattuto. Gruppi e gruppi… e presumibilmente gruppi come quei cinque grossi e cupi compari… alla fine decise di restare con Suegar ancora per un po'. Se non altro, si sentiva meno nudo se non era il solo ad essere in quello stato.

– Potresti accompagnarmi da qualcuno che faceva parte del 14°? – insistette. – Chiunque che possa conoscere Tremont di vista.

– Tu non lo conosci?

– Non ci siamo mai incontrati di persona. Ho visto la sua immagine in alcuni video, ma ho paura che il suo aspetto possa essere cambiato… adesso.

– Già, è probabile – assentì Suegar, toccandosi pensosamente la faccia.

Miles si issò faticosamente in piedi, notando che la temperatura della cupola era un po' troppo fresca per qualcuno privo di vestiti… una corrente d'aria appena percepibile gli faceva rizzare i peli delle braccia. Se avesse potuto riavere un solo capo di vestiario, cosa avrebbe scelto… i pantaloni per decenza oppure la camicia per coprire la schiena storta? Non c'era però tempo per indugiare in simili riflessioni, quindi le accantonò e tese una mano per aiutare Suegar ad alzarsi.

– Andiamo.

– Si riconosce sempre un nuovo venuto dal fatto che ha ancora fretta – commentò Suegar, fissandolo. – Qui si impara a rallentare, anche il cervello rallenta il suo funzionamento…

– Le tue scritture dicono qualcosa al riguardo? – ribatté Miles, con impazienza.

– … e di conseguenza essi salirono lassù con grande agilità e velocità, attraverso le fondamenta della città… – recitò Suegar, aggrottando la fronte e fissando Miles con espressione riflessiva.

Grazie tante, basta così, pensò questi, issando in piedi il suo compagno.

– Andiamo, allora – ripeté.

Non c'era né agilità né velocità, ma almeno stavano facendo qualche progresso. Con passo lento e strascicato Suegar lo guidò attraverso un quarto del campo, passando in mezzo ad alcuni gruppi e descrivendo ampi giri per evitarne altri; da lontano, Miles scorse i cupi compari che sedevano sulla loro collezione di stuoie e modificò la sua valutazione delle dimensioni della loro tribù elevandone il numero di membri da cinque a una quindicina. Dappertutto c'erano uomini che sedevano in gruppetti di due, tre o anche sei elementi, mentre altri sedevano soli e il più lontano possibile da chiunque… una distanza comunque molto ridotta.

Il gruppo più numeroso era costituito interamente da donne, e Miles lo studiò con interesse elettrizzato non appena notò le dimensioni del loro territorio, privo peraltro di qualsiasi delimitazione visibile. Le donne erano almeno qualche centinaio e nessuna di loro era priva di stuoia, anche se alcune ne usavano una in comune; il loro perimetro era pattugliato da squadre di sei elementi che lo descrivevano a passo lento e a quanto pareva il gruppo aveva requisito due latrine per il suo uso esclusivo.

– Parlami delle ragazze, Suegar – chiese al suo compagno, accennando in direzione di quel gruppo.

– Scordatele – ribatté questi, con un sorriso quasi sardonico. – Non socializzano.

– Cosa? Per nulla? Nessuna di loro? Voglio dire, siamo tutti qui, senza altro da fare che tenerci compagnia a vicenda, e ci sarebbe da pensare che almeno qualcuna di loro sia interessata a fraternizzare con l'altro sesso.

Mentre parlava, Miles arrivò però a dedurre da solo il perché di quell'isolamento autoimposto prima che Suegar gli rispondesse, e si chiese quanto le cose potessero diventare sgradevoli in quel posto.

Per tutta risposta Suegar accennò in direzione della volta della cupola.

– Sai che qui siamo tenuti tutti sotto controllo: se lo vogliono, possono vedere ogni nostro gesto, sentire ogni parola… cioè, ammesso che là fuori ci sia ancora qualcuno. Potrebbero essersene andati tutti e aver dimenticato di disattivare la cupola. A volte faccio sogni del genere, sogno di essere chiuso in questa cupola per sempre, poi mi sveglio e mi trovo qui… ci sono momenti in cui non so neppure con certezza se sono sveglio o sto dormendo. Le sole indicazioni che ci sia ancora qualcuno sono il cibo che continua ad arrivare e il fatto che di tanto in tanto… anche se ormai accade sempre più di rado… appare qualcuno nuovo, come te. Però suppongo che il cibo potrebbe essere immesso automaticamente, e che tu potresti essere un sogno…

– Sono ancora là fuori – garantì Miles, cupo.

– Sai – sospirò Suegar, – in un certo senso ne sono quasi lieto.

Tenuti sotto controllo, certo… Miles, che sapeva tutto su quel controllo mediante monitor, lottò per soffocare l'improvviso impulso di agitare una mano e di gridare «ciao, mamma!» Quello di gestire i monitor doveva essere un lavoro monotono per gli idioti addetti ad esso, e lui si augurò che finissero per morire di noia.

– Ma questo cosa c'entra con le ragazze, Suegar? – domandò.

– Ecco, all'inizio tutti erano decisamente inibiti da quello… – spiegò lui, indicando verso l'alto, – ma dopo un po' abbiamo scoperto che loro non interferivano, qualsiasi cosa facessimo. Non interferivano affatto. Ci sono stati alcuni stupri, e da allora le cose si sono… deteriorate…

– Allora devo supporre che l'idea di scatenare una rissa e di aprirsi un varco nella cupola quando i Cetagandani mandassero delle truppe a riportare l'ordine è da scartare in partenza, giusto?

– È una cosa che è stata provata una volta, molto tempo fa… non so quanto – spiegò Suegar, torcendosi ancora la barba. – I Cetagandani non sono obbligati a venire dentro per porre fine ad una rissa, si limitano a ridurre il diametro della cupola, e quella volta lo hanno ridotto a circa duecento metri. Se volessero, nulla potrebbe impedire loro di ridurlo ad un solo metro, con tutti noi ancora dentro. In ogni caso, questo ha posto fine alla rissa. Un'altra cosa che possono fare è ridurre a zero la permeabilità ai gas della cupola e lasciare che finiamo tutti in coma per mancanza di ossigeno. Questo è accaduto due volte.

– Capisco – commentò Miles, sentendo i peli che gli si rizzavano alla base del collo.

In quel momento a circa cento metri di distanza da loro la parete della cupola cominciò a gonfiarsi verso l'interno come un'aneurisma.

– Cosa sta succedendo laggiù? – s'informò Miles, battendo un colpetto sul braccio di Suegar. – Vengono introdotti altri nuovi prigionieri?

– Uh oh – borbottò Suegar, guardandosi intorno. – Qui non siamo in una buona posizione.

E per un momento restò fermo, come incerto se andare avanti o tornare indietro.

Intanto un'onda di movimento si stava diffondendo per il campo, allargandosi a partire dal rigonfiamento a mano a mano che tutti si alzavano in piedi e si giravano verso quel lato della cupola come attratti da una forza magnetica. Piccoli capannelli di uomini si raccolsero qua e là e alcuni velocisti spiccarono la corsa, mentre altri non si alzarono affatto. Lanciando un'occhiata in direzione del gruppo delle donne, Miles vide che una metà di loro stava formando in fretta una sorta di falange.

– Siamo così vicini… dannazione, forse abbiamo una possibilità – disse infine Suegar. – Vieni!

E si avviò verso il rigonfiamento della cupola al passo più rapido di cui era capace, un lento trotto, cosa che costrinse Miles a spiccare a sua volta la corsa, cercando di far sobbalzare le costole il meno possibile; ben presto cominciò però ad avere il respiro affannoso e l'accelerarsi della respirazione aggiunse un dolore intollerabile a quello che già gli attanagliava il torso.

– Cosa stiamo facendo? – cercò di dire a Suegar, ma prima che avesse finito il rigonfiamento si dissolse in un leggero tremolio e lui vide finalmente cosa stavano facendo… vide tutto.

Adesso davanti alla lucente barriera della cupola di forza c'era una pila marrone scuro alta circa un metro, profonda due e larga tre, formata senza ombra di dubbio da barre nutritive, le cosiddette barre RAT indicate convenzionalmente con le iniziali di quelli che avrebbero dovuto essere i loro principali ingredienti. Ciascuna ammontava a millecinquecento calorie e conteneva venticinque grammi di proteine e il cinquanta per cento del fabbisogno umano di vitamine A, B, C e così via… e pur avendo il sapore di un ciottolo ricoperto di zucchero poteva mantenere in vita e in salute una persona a tempo indefinito, a patto che si riuscisse a tollerare di continuare a nutrirsene.

Vogliamo fare una gara, ragazzi, per indovinare quante barre ci sono in quel mucchio? pensò. Nessuna gara, non devo neppure misurare l'altezza del mucchio e dividerla per tre centimetri: devono essere esattamente 10,215. Davvero ingegnoso.

Nel corpo degli Operatori Psicologici Cetagandani ci dovevano essere delle menti davvero notevoli, al punto che Miles si chiese cosa avrebbe dovuto fare se fossero cadute nelle sue mani… arruolarle o sterminarle? Quel breve volo di fantasia fu troncato di netto dalla necessità di restare con i piedi piantati nel mondo della realtà presente, in quanto circa 10.000 persone, tranne coloro che avevano ceduto alla disperazione o erano troppo deboli per muoversi, stavano cercando di piombare contemporaneamente su quei sei metri quadrati di campo.

I primi velocisti raggiunsero il mucchio, afferrarono una bracciata di barre e cercarono di allontanarsi altrettanto in fretta. Alcuni riuscirono ad arrivare fino alla protezione degli amici, divisero con loro il bottino e si ritrassero dal centro di quel maelstrom vivente, ma altri non fecero in tempo a schivare gruppetti di soggetti come i grossi e cupi compari e furono violentemente alleggeriti delle loro prede. La seconda ondata di velocisti, che non riuscì ad allontanarsi in tempo, si venne invece a trovare bloccata contro la parete della cupola dalla sopraggiungente marea di corpi.

Sfortunatamente, Miles e Suegar fecero parte di questa seconda categoria, e ben presto il campo visivo di Miles si ridusse ad una massa sudata, ansante, puzzolente e imprecante di gomiti, di toraci e di schiene.

– Mangia, mangia! – lo incitò Suegar, a bocca piena, mentre venivano separati dall'orda che stava sopraggiungendo.

La barra da lui afferrata fu però strappata dalle mani di Miles prima che questi si fosse raccapezzato abbastanza da seguire il consiglio del compagno, e del resto la sua fame era nulla se paragonata al terrore di restare schiacciato o… peggio ancora… di cadere e di essere calpestato. I suoi stessi piedi si mossero su qualcosa di morbido ma non gli riuscì di spingere con forza sufficiente a dare a quella persona… era un uomo oppure una donna?… la possibilità di rialzarsi.

Con il tempo la ressa si attenuò, permettendo a Miles di trovare il limitare della folla e di uscirne; barcollando si allontanò un poco e si lasciò cadere seduto nella polvere, scosso e tremante, pallido e gelato, con il respiro che gli gracchiava irregolarmente in gola.

Gli ci volle parecchio per ritrovare le forze e il controllo, perché per puro caso quell'esperienza aveva toccato il suo nervo più sensibile, evocato i suoi più cupi timori, minacciato la sua più grande debolezza.

Qui potrei morire senza aver mai visto il volto del nemico, pensò. Non sembrava però che ci fossero ossa rotte, tranne forse nel piede sinistro… non era certo delle sue condizioni, e di sicuro l'elefante che lo aveva calpestato era qualcuno che prelevava ogni volta più della sua giusta razione di barre nutrizionali.

D'accordo, decise infine, ho dedicato fin troppo tempo al riposo. In piedi, soldato. Era arrivato il momento di trovare il Colonnello Tremont.

Guy Tremont, il vero eroe dell'assedio del Nucleo Fallow, il coraggioso che aveva resistito, resistito e ancora resistito anche dopo che il Generale Xian era fuggito e che Baneri era stato ucciso.

Xian aveva giurato di tornare, ma era finito intrappolato nel massacro della Stazione Vassily; il Quartier Generale aveva promesso di mandare provviste, ma il Quartier Generale e il suo astroporto di vitale importanza erano stati presi dai Cetagandani.

Quando questo era accaduto il Colonnello Tremont e i suoi uomini erano però ormai privi del sistema di comunicazione e quindi avevano resistito, attendendo e sperando, fino a quando le loro risorse si erano ridotte a rocce e speranza… le rocce erano oggetti versatili, che potevano essere bolliti per ottenere una zuppa o scagliati contro il nemico. Alla fine, però, il Nucleo Fallow era stato conquistato. Non si era arreso, era stato preso.

Guy Tremont… Miles desiderava moltissimo incontrare Guy Tremont.

Alzatosi in piedi, si guardò intorno e scorse in lontananza una figura da spaventapasseri che camminava lentamente e che era oggetto di una pioggia di zolle di terriccio che un gruppo di persone le stava scagliando contro per indurla ad andarsene. Suegar si fermò fuori della portata di tiro di quei proiettili improvvisati e continuò a indicare lo straccio legato al polso, senza cessare di parlare, ma i tre o quattro uomini che stava arringando gli fecero capire cosa pensavano del suo messaggio girando le spalle e andandosene.

Con un sospiro, Miles si avviò per raggiungerlo.

– Ehi, Suegar! – chiamò, agitando una mano, quando fu più vicino.

– Oh, eccoti qui – rispose Suegar, rischiarandosi in volto e raggiungendolo. – Ti avevo perso. Nessuno mi vuole ascoltare, sai? – aggiunse, pulendosi la fronte dalla terra.

– Già… ecco, la maggior parte di loro ti deve ormai aver sentito parlare almeno una volta, giusto?

– Probabilmente mi avranno sentito venti volte, perché continuo a pensare che potrei aver dimenticato qualcuno, forse proprio l'Uno… l'altro Uno.

– Io sarei felice di ascoltarti, ma prima devo proprio trovare il Colonnello Tremont. Hai detto che conoscevi qualcuno…

– Oh, hai ragione. Da questa parte – assentì Suegar, incamminandosi di nuovo.

– Grazie. Dimmi, ogni chiamata per il rancio è come quella a cui ho appena assistito?

– Più o meno.

– E cosa impedisce a qualche… gruppo… di impadronirsi di quel tratto del perimetro della cupola?

– Le barre non vengono mai depositate due volte nello stesso posto. Il punto viene spostato tutt'intorno al perimetro. In passato si è discusso molto su quale fosse la strategia migliore, e cioè se fosse meglio appostarsi nel centro, in modo da non essere mai a più di mezzo diametro di distanza dalle barre, o vicino al perimetro, al fine di trovarsi in prima fila almeno alcune volte. Ci sono perfino stati alcuni che hanno effettuato un calcolo matematico delle probabilità di successo delle due tattiche.

– Tu quale preferisci?

– Oh, io non ho un punto particolare, mi sposto di qua e di là e mi affido alla sorte. Quella non è comunque la cosa più importante – proseguì, toccando lo straccio legato al polso, – ma è stato bello poter mangiare oggi, qualsiasi giorno sia.

– Oggi è il 2 novembre del '97, Era Comune della Terra.

– Oh, soltanto? – fece Suegar, tirando il ciuffo di barba e ruotando gli occhi nel tentativo di guardarlo. – Credevo di essere rimasto qui più a lungo di così… non sono passati neppure tre anni – aggiunse, in tono di scusa. – Qui dentro è sempre oggi.

– Hmm – fece Miles. – E così le barre nutrizionali sono sempre state consegnate in un solo mucchio, in quel modo.

– Già.

– Dannatamente ingegnoso.

– Già – ripeté Suegar, con un sospiro in cui era nascosta un'ira appena alitata e tradita dalla contrazione delle sue mani.

Dunque quel folle non era poi così ingenuo come voleva apparire…

– Siamo arrivati – aggiunse Suegar, arrestandosi davanti ad un gruppo il cui territorio era determinato da una mezza dozzina di stuoie disposte in un rozzo cerchio. Uno degli uomini sollevò lo sguardo e gli scoccò un'occhiata rovente.

– Vattene, Suegar, non sono dell'umore giusto per sentire un sermone.

– Quello è il colonnello? – sussurrò Miles.

– No, si chiama Oliver. Lo conoscevo… molto tempo fa. Comunque era al Nucleo Fallow e ti potrà portare da Tremont – sussurrò di rimando Suegar, poi spinse Miles avanti e aggiunse: – Questo è Miles, è nuovo e ti vuole parlare.

Detto questo indietreggiò di qualche passo e Miles si rese conto che lo aveva fatto per essergli d'aiuto: a quanto pareva, Suegar era consapevole della propria impopolarità.

Miles procedette quindi a studiare il successivo anello della catena che stava seguendo: Oliver era riuscito a non farsi sottrarre la divisa grigia e la stuoia, e la sua tazza di plastica era intatta, tutte cose che contribuirono a ricordare a Miles la propria nudità. D'altro canto, Oliver non sembrava essere in possesso di oggetti di scorta ottenuti con mezzi illeciti, e la sua somiglianza con i cupi compari si limitava al fisico massiccio, il che era un bene… anche se nelle sue attuali condizioni Miles non aveva più di che preoccuparsi di eventuali furti.

Dal canto suo, Oliver lo fissò inizialmente con freddezza, ma poi parve addolcire il proprio atteggiamento.

– Cosa vuoi? – brontolò.

– Sto cercando il Colonnello Tremont – spiegò Miles, allargando le mani.

– Qui non ci sono colonnelli, ragazzo.

– Era un cugino di mia madre. Nessuno della famiglia… nessuno del mondo esterno… ha più avuto sue notizie dirette o indirette da quando il Nucleo Fallow è caduto. Io… io non provengo da nessuna unità o frammento di unità presente là, e il Colonnello Tremont è il solo di cui sappia qualcosa.

Nel parlare Miles serrò le mani una contro l'altra e cercò di apparire fragile, mentre un dubbio effettivo cominciava a scuoterlo e lo induceva ad aggrottare la fronte.

– È ancora vivo, vero? – insistette.

– Un parente, eh? – fece Oliver, grattandosi un lato del naso con uno spesso dito. – Suppongo che tu abbia il diritto di vederlo, ragazzo, ma non credo che ti servirà a qualcosa, se è a questo che stai pensando.

– Io… a questo punto voglio soltanto sapere - replicò Miles, scuotendo il capo.

– Allora vieni – decise Oliver, alzandosi in piedi con un grugnito e incamminandosi senza neppure guardarsi alle spalle per vedere se Miles lo stava seguendo.

– Mi stai portando da lui? – domandò questi, mentre gli andava dietro zoppicando.

Oliver non rispose finché non ebbero finito il tragitto lungo appena qualche dozzina di metri che si snodava fra le stuoie per dormire; un uomo imprecò, un altro sputò, ma i più li ignorarono.

Una stuoia era posta al limitare del gruppo, quasi abbastanza lontano da apparire isolata, e su di essa una figura raggomitolata su un fianco volgeva loro le spalle. In silenzio, Oliver si arrestò a contemplarla con i grossi pugni sui fianchi.

– È quello il colonnello? – sussurrò Miles, in tono urgente.

– No, ragazzo – rispose Oliver, tormentandosi il labbro inferiore, – è soltanto ciò che resta di lui.

Allarmato, Miles s'inginocchiò, ma ben presto si rese conto che Oliver aveva inteso parlare soltanto in senso figurato e che l'uomo sulla stuoia respirava ancora.

– Colonnello Tremont? Signore? – chiamò, e sentì il cuore che gli mancava di nuovo quando si accorse che respirare era più o meno la sola cosa che Tremont facesse.

Il colonnello giaceva inerte, e sebbene fossero aperti i suoi occhi erano fissi nel vuoto, al punto che il suo sguardo non si spostò neppure in maniera infinitesimale verso Miles; il suo corpo era scarno, ancor più di quello di Suegar, e pur riconoscendo la curva della mascella e la forma dell'orecchio dai video che aveva studiato, Miles comprese di avere davanti soltanto i resti di un volto, paragonabili alle macerie del Nucleo Fallow… ci sarebbe voluta quasi la capacità di analisi di un archeologo per ricollegare le rovine attuali alla realtà passata.

Il colonnello era vestito e la sua tazza era posata accanto alla stuoia, ma la terra intorno ad essa era trasformata in un fango acre e puzzolente, che Miles comprese essere stato formato dall'urina. I gomiti di Tremont erano inoltre segnati da un principio di piaghe da decubito, mentre una macchia umida sulla stoffa grigia dei calzoni all'altezza dei fianchi ossuti indicava la presenza di altre piaghe più terribili e in stato più avanzato.

E tuttavia ci deve essere qualcuno che si sta occupando di lui, pensò Miles, altrimenti avrebbe un aspetto ancora peggiore.

Mentre formulava quel pensiero Oliver gli si inginocchiò accanto, con i piedi nudi immersi nella fanghiglia, e tirò fuori dalla cintura elastica dei propri calzoni un pezzo di barra nutritiva, sbriciolandone un frammento con le grosse dita e spingendolo fra le labbra di Tremont.

– Mangia – sussurrò.

Le labbra quasi si mossero, poi le briciole caddero sulla stuoia; Oliver tentò di nuovo, ma parve avvertire lo sguardo di Miles fisso su di sé e ripose il resto della barra nei pantaloni con un grugnito inintelligibile.

– È… è stato ferito quando il Nucleo Fallow è stato preso? – chiese Miles. – Forse una ferita alla testa?

– Il Nucleo Fallow non è stato preso con la forza, ragazzo – lo corresse Oliver, scuotendo il capo.

– Ma è stato detto che è caduto il 6 ottobre e…

– È caduto il 5 ottobre. Il Nucleo Fallow è stato tradito – dichiarò Oliver, poi gli volse le spalle e si allontanò prima che il suo volto irrigidito potesse rivelare qualsiasi emozione.

Dietro di lui Miles s'inginocchiò nel fango ed esalò un lento respiro.

Dunque era così.

Questa era allora la fine della sua impresa?


Avrebbe voluto passeggiare per riflettere meglio, ma camminare lo faceva ancora soffrire troppo quindi si limitò ad allontanarsi un poco zoppicando e cercando di non invadere accidentalmente il territorio di qualche grosso gruppo; alla fine si sedette e poi si sdraiò nella polvere, incrociando le mani dietro la testa e fissando il bagliore perlaceo della cupola che li sigillava tutti al suo interno come un coperchio. In quella posizione considerò tutte e tre le opzioni che aveva a disposizione, soppesandole con cura… una cosa che non richiese molto tempo.

Pensavo che non credessi più nella divisione fra buoni e cattivi, si rimproverò. Era venuto qui con la convinzione di aver ormai cauterizzato le proprie emozioni a titolo di autoprotezione, ma adesso cominciava a sentire l'imparzialità coltivata con tanta cura che iniziava a dissolversi, cominciava ad odiare quella cupola in maniera veramente intima e personale: esteticamente elegante, in essa la forma era unita alla funzione con la stessa perfezione ritrovabile in un guscio d'uovo… una meraviglia della fisica trasformata in uno strumento di tortura.

Una tortura sottile… Miles ripensò alle regole stabilite dalla Commissione di Giustizia Interstellare per il trattamento dei prigionieri di guerra, regole che lo stesso Cetaganda aveva firmato. Un determinato numero di metri quadrati di spazio per persona… sì, questo era stato di certo fornito nel campo; nessun prigioniero doveva restare isolato per un periodo di tempo superiore alle ventiquattr'ore… qui non si poteva trovare solitudine di sorta tranne che rifugiandosi nella follia; nessun periodo di oscurità di durata maggiore di ventiquattr'ore… regola facile da aggirare, qui i periodi di oscurità non esistevano affatto ed erano sostituiti da un perenne bagliore meridiano; niente percosse… le guardie potevano affermare in tutta sincerità di non aver mai posato una sola mano addosso ai prigionieri, perché si erano limitate a guardare mentre essi si picchiavano a vicenda. Gli stupri, strettamente vietati dalle regole, erano senza dubbio stati gestiti nello stesso modo.

Ed aveva visto cosa i Cetagandani erano capaci di fare con la distribuzione delle due barre a testa al giorno: quella lotta per accaparrarsi il cibo era un tocco particolarmente elegante, si disse, perché nessuno poteva evitare di parteciparvi… nel formulare quella riflessione si massaggiò lo stomaco vuoto e brontolante. Era possibile che il nemico avesse scatenato di proposito le prime lotte inviando un numero di barre inferiore a quello necessario, ma forse non lo aveva fatto… la prima persona che aveva afferrato due barre anziché una ne aveva lasciata un'altra senza cibo, e quella persona la volta successiva ne aveva probabilmente prese due o tre per compensare, creando una rapida reazione a catena. Quella manovra aveva infranto la speranza e l'ordine, aveva messo gruppo contro gruppo e persona contro persona in una lotta continua che si ripeteva due volte al giorno e che ricordava a tutti la loro impotenza e la loro degradazione. Nessuno poteva infatti permettersi di tenersi a lungo fuori della mischia a meno che desiderasse morire di fame.

Niente lavori forzati, continuò ad enumerare… un momento, i lavori forzati avrebbero richiesto l'imposizione dell'ordine. Libero accesso ai servizi del personale medico… i medici delle svariate unità dovevano essere qui da qualche parte; Miles ripassò mentalmente la stesura di quel particolare paragrafo del regolamento… in esso si parlava di personale… non di medicinali ma soltanto di personale medico: medici e tecnici medici a mani vuote, rifletté ritraendo le labbra in un sorriso privo di divertimento.

Un'accurata lista dei prigionieri era stata stilata e debitamente trasmessa come richiesto, ma non c'erano state altre comunicazioni…

Comunicazioni. Questa mancanza di informazioni dal mondo esterno avrebbe potuto farlo impazzire entro breve tempo… era peggio che pregare e parlare con un Dio che non rispondeva mai, e non c'era da meravigliarsi che qui tutti sembrassero toccati da una sorta di schizofrenia solipsistica. I loro dubbi cominciavano a contagiarlo: c'era ancora qualcuno là fuori? La sua voce veniva davvero sentita, le sue parole comprese?

Ci voleva la fede cieca, il balzo intuitivo della fede.

– Questo – scandì con chiarezza, serrando la mano destra come per schiacciare un guscio d'uovo, – richiede un drastico cambiamento dei piani.

E si costrinse ad alzarsi in piedi per andare a cercare Suegar.


Lo trovò non molto lontano, accoccolato nella polvere senza far nulla.

– Oliver ti ha portato da tuo… tuo cugino? – chiese Suegar, sollevando lo sguardo con un breve sorriso.

– Sì, ma sono arrivato troppo tardi: sta morendo.

– Già… temevo che potesse essere così. Mi dispiace.

– Anche a me – rispose Miles, poi si lasciò distrarre per un momento dai suoi scopi a causa di una curiosità di natura pratica. – Suegar, che ne fanno qui dei corpi dei morti?

– Laggiù lungo un fianco della cupola c'è una specie di mucchio di sassi: la cupola li emette e li risucchia di tanto in tanto proprio come fa con il cibo e i nuovi prigionieri. Di solito quando un cadavere si gonfia e comincia a puzzare qualcuno lo trascina laggiù. A volte lo faccio io stesso.

– Suppongo che non ci sia nessuna possibilità di nascondersi in mezzo al mucchio di sassi.

– Vengono inceneriti con un'emissione di microonde prima di essere espulsi.

– Ah, capisco. – Miles trasse un profondo respiro e iniziò la sua manovra: – Suegar, ho avuto l'illuminazione: io sono l'altro Uno.

– Lo avevo immaginato – annuì serenamente Suegar, senza traccia di sorpresa.

Miles si arrestò, sconcertato: possibile che la reazione fosse tutta lì? Si era aspettato qualcosa di più energico, sia che fosse un assenso o un rifiuto.

– L'illuminazione mi è giunta con una visione – riprese poi, seguendo il copione prefissato.

– Davvero? – chiese Suegar, la cui attenzione si accentuò in maniera gratificante, poi aggiunse con invidia: – Io non ho mai avuto una visione, ho dovuto dedurre ogni cosa dal contesto. Com'è? Una specie di trance?

Dannazione, ed io che pensavo che questo tipo parlasse con gli elfi e con gli angeli…

– No – rispose Miles, facendo leggermente marcia indietro, – è come un pensiero, soltanto molto più dominante: ti pervade, ti brucia come un desiderio che non si può soddisfare. Non è come una trance perché ti sospinge verso l'esterno e non dentro te stesso. – A questo punto esitò, sgomento per la consapevolezza che le sue affermazioni erano state più vere di quanto fosse stata sua intenzione.

– Oh, bene – dichiarò Suegar, che appariva ora immensamente incoraggiato. – Per un secondo ho temuto che potessi essere uno di quei tizi che si mettono a parlare con gente che nessun altro può vedere.

Miles guardò involontariamente verso l'alto, poi riportò lo sguardo sul suo interlocutore.

– Dunque – stava proseguendo questi, il cui sguardo appariva ora più a fuoco e più intenso, – le visioni sono fatte così. È una sensazione che ho avuto anch'io.

– E non l'hai riconosciuta? – domandò Miles, in tono blando.

– Non per quello che era… essere scelto in questo modo non è una cosa comoda e ho cercato di sottrarmi ad essa per molto tempo, ma Dio ha il suo modo di trattare con chi tenta di evitare il reclutamento.

– Sei troppo modesto, Suegar: hai creduto nelle scritture ma non in te stesso. Non sai che quando ci viene dato un compito ci viene dato anche il potere per portarlo a termine?

– Sapevo che era un compito per due persone, proprio come affermano le scritture – sospirò Suegar, soddisfatto.

– Giusto, e adesso siamo in due… ma dobbiamo essere di più quindi penso che faremo bene a cominciare con i tuoi amici.

– Non ci vorrà molto tempo – commentò Suegar, in tono asciutto. – Devo dedurre che hai già in mente la seconda mossa da fare?

– A quel punto cominceremo con i tuoi nemici, o con chi conosci appena, cominceremo con il primo dannato prigioniero che attraverserà il nostro cammino. Da dove partiremo non ha importanza, perché alla fine li avremo tutti… tutti, fino all'ultimo. – In quel momento gli tornò in mente una citazione particolarmente adatta alla situazione e si affrettò a declamarla con vigore: – Che coloro che hanno orecchi per sentire ascoltino… li avremo tutti.

E nel proferire quelle parole levò una sentita preghiera dal profondo del cuore.

– D'accordo – proseguì poi, issando Suegar in piedi, – andiamo a predicare ai non convertiti.

– Una volta – rise Suegar, – avevo un comandante che era solito dire «andiamo a prendere a calci qualcuno» con un tono di voce identico al tuo.

– Ci sarà da fare anche questo – convenne Miles, con una smorfia. – Devi capire che non tutti i membri di questa congregazione raggiungeranno volontariamente la fratellanza universale. Comunque lascia a me le operazioni di reclutamento, d'accordo?

– Un impiegato, eh? – fece Suegar, fissandolo da sotto le sopracciglia inarcate e accarezzandosi il ciuffo di barba superstite.

– Esatto.

– Sì, signore.


Cominciarono con Oliver.

– Posso entrare nel tuo ufficio? – chiese Miles, accennando con un gesto.

Oliver si massaggiò il naso con il dorso di una mano e sbuffò.

– Lascia che ti dia un consiglio, ragazzo: qui non riuscirai a farti una posizione come comico, perché ogni possibile battuta è già stata sfruttata fino all'osso, perfino quelle macabre.

– Molto bene – replicò Miles, sedendo a gambe incrociate accanto alla stuoia di Oliver ma non troppo vicino ad essa, mentre Suegar si teneva accoccolato alle sue spalle, pronto a scattare all'indietro se fosse risultato necessario. – Allora verrò subito al dunque. Non mi piace come vengono condotte le cose qui.

Oliver contorse la bocca in una smorfia sardonica ma non fece commenti, perché non ce n'era bisogno.

– Quindi ho intenzione di cambiarle – aggiunse Miles.

– Merda – scandì Oliver, girando il volto dall'altra parte.

– A partire da adesso e da qui.

– Vattene, se non vuoi che ti pesti – aggiunse Oliver, dopo un momento di silenzio.

Suegar accennò ad alzarsi, ma Miles gli segnalò di restare dov'era con un gesto irritato.

– Lui era nei Commandos – sussurrò Suegar, in tono preoccupato, – e ti potrebbe spezzare in due.

– I nove decimi delle persone presenti in questo campo potrebbero farlo, incluse le ragazze – replicò Miles, in tono altrettanto sommesso. – Non è una considerazione d'importanza significativa.

Si protese quindi in avanti e afferrò Oliver per il mento, costringendolo a girare la faccia verso di lui, una tattica pericolosa che indusse Suegar a trattenere il respiro con un sibilo.

– Sergente, c'è una cosa da dire in merito al cinismo, e cioè che è la posizione morale più passiva dell'universo. Estremamente comoda: se non si può fare nulla, allora non si è una sorta di verme se si resta inattivi e si può rimanere sdraiati in pace con la coscienza tranquilla.

Oliver allontanò di scatto la sua mano ma non distolse di nuovo il volto né lo sguardo in cui ora ardeva l'ira.

– È stato Suegar a dirti che ero un sergente? – sibilò.

– No, è scritto sulla tua fronte con lettere di fuoco. Ascoltami, Oliver…

Oliver si sollevò quanto gli era possibile continuando a tenere le nocche puntellate sulla stuoia e Suegar sussultò, senza però darsi alla fuga.

– Ascoltami tu, mutante – ringhiò il commando. – Abbiamo già fatto tutto. Abbiamo effettuato esercitazioni, organizzato giochi, fatto esercizi e docce fredde… tranne per il fatto che qui non ci sono docce fredde. Abbiamo cantato in gruppo e dato spettacoli, lo abbiamo fatto secondo le regole e poi con la forza, scatenando una vera guerra gli uni contro gli altri. Infine siamo passati al peccato, al sesso e al sadismo fino ad essere prossimi a vomitare. Credi davvero di essere il primo riformatore arrivato qui?

– No, Oliver – ribatté Miles, protendendosi verso di lui e incontrando il suo sguardo con il proprio senza restarne bruciato, poi abbassò la voce ad un sussurro e aggiunse: – Ma credo di essere l'ultimo.

Oliver rimase in silenzio per un momento, poi scoppiò a ridere.

– Per Dio, Suegar ha finalmente trovato la sua anima gemella. Due pazzi uniti, proprio come dicono le sue scritture.

Miles indugiò pensosamente, quindi squadrò le spalle nella misura in cui la sua schiena glielo permetteva.

– Leggimi di nuovo le scritture, Suegar – ordinò, – il testo completo.

E chiuse gli occhi, sia per concentrarsi completamente che per dissuadere Oliver da qualsiasi interruzione.

Suegar armeggiò un poco e si schiarì la voce nervosamente.

– 'Per coloro che saranno gli eredi della salvezza' – esordì. – 'E così essi si avviarono verso le porte. Dovete notare che la città si levava su una possente collina, ma i pellegrini salirono quella collina con facilità perché avevano questi due uomini a guidarli per la mano; si erano inoltre lasciati alle spalle gli abiti mortali nel fiume, perché sebbene vi fossero entrati con essi ne erano usciti senza. Pertanto salirono con molta agilità e rapidità, attraverso le fondamenta su cui la città sorgeva più alta delle nuvole. Attraversarono le regioni dell'aria…' S'interrompe qui – concluse in tono di scusa. – È a questo punto che ho strappato la pagina, e non sono certo del significato di quell'ultima frase.

– Probabilmente significa che a quel punto devi improvvisare tu stesso – suggerì Miles, riaprendo gli occhi. Dunque era quella la materia grezza su cui stava edificando… doveva ammettere che quell'ultima frase in particolare lo aveva colpito, generandogli un senso di gelo nello stomaco. Ma non importava, doveva andare avanti. – Ecco, Oliver, è questo che ti sto offrendo, la sola speranza per cui valga la pena di respirare: la salvezza stessa.

– La cosa mi solleva parecchio – sogghignò Oliver.

– «Sollevarvi» è esattamente ciò che intendo fare con tutti voi. Devi capire, Oliver, che io sono un fondamentalista e interpreto le scritture molto alla lettera.

Oliver aprì la bocca per replicare, poi la richiuse con un suono secco: adesso Miles aveva tutta la sua attenzione.

Finalmente stiamo comunicando sospirò fra sé. Abbiamo stabilito il contatto.

– Ci vorrebbe un miracolo per sollevare tutto questo posto – osservò infine Oliver.

– La mia non è la teologia degli eletti e intendo invece predicare alle masse, perfino ai peccatori – dichiarò Miles, che stava cominciando ed entrare nella parte. – Il cielo è per tutti. I miracoli, però, per loro stessa natura devono giungere dall'esterno, non li portiamo in una tasca…

– Tu di certo non lo fai – convenne Oliver, squadrando la sua nudità.

– … possiamo soltanto pregare e prepararci per un mondo migliore. I miracoli giungono però soltanto per chi è preparato ad essi. Tu sei preparato, Oliver? – concluse Miles, con voce vibrante di energia, protendendosi in avanti.

– Mer… – cominciò il commando, poi s'interruppe e, stranamente, guardò verso Suegar come per avere una conferma, chiedendo: – Questo tizio fa sul serio?

– Lui crede di fingere – dichiarò Suegar, in tono blando, – ma non è così. È l'Uno, non ci sono dubbi.

Il senso di gelo tornò ad assalire il ventre di Miles… avere a che fare con Suegar era come tirare di spada in una stanza piena di specchi: anche se reale, il tuo bersaglio non era mai esattamente dove sembrava che fosse.

Oliver trasse un profondo respiro mentre speranza e timore, convinzione e dubbio si mescolavano sul suo volto.

– Come saremo salvati, reverendo? – domandò.

– Ah… chiamami Fratello Miles, credo che sia sufficiente. Dimmi, quanti convertiti mi potresti fornire sulla base della tua sola ed esclusiva autorità?

– Lascia soltanto che vedano quella luce e la seguiranno dovunque – rispose Oliver, che ora appariva estremamente pensoso.

– Bene… bene… senza dubbio la salvezza è per tutti, ma ci potrebbero essere certi temporanei vantaggi pratici nel mantenere una casta sacerdotale. Voglio dire, siano benedetti coloro che non vedono e che tuttavia credono.

– È vero – convenne Oliver, – ma se poi la tua religione mancasse di fornire il promesso miracolo, di certo si avrebbe un sacrificio umano.

– Ah… non ne dubito – assentì Miles, deglutendo a fatica. – Sei un uomo dalla perspicacia acuta.

– Non si tratta di perspicacia ma di una personale garanzia – lo corresse Oliver.

– Sì, certo… ma ora torniamo alla mia domanda: quanti seguaci puoi raccogliere? Adesso sto parlando di corpi, non di anime.

– Forse venti – rispose Oliver, ancora cauto, accigliandosi.

– Fra loro c'è qualcuno che ne può portare degli altri? Potete diramarvi in modo da agganciarne di più?

– Forse.

– Allora nomina quegli uomini tuoi caporali. Credo che a questo punto faremo meglio ad ignorare qualsiasi grado detenuto in precedenza. Lo chiameremo… l'Esercito dei Rinati. Anzi, l'Esercito Riformatore, perché suona meglio e perché saremo tutti riformati: come il bruco nella sua crisalide, il corpo si è disintegrato in una brutta larva verde, ma noi rimodelleremo la sua forma fino ad ottenere la farfalla.

– E quale riforma hai in mente, per l'esattezza? – volle sapere Oliver, sbuffando ancora.

– Soltanto una, credo. Il cibo.

– Sei certo che tutto questo non sia soltanto un imbroglio per procurarti del cibo senza fatica? – chiese Oliver, fissandolo con incredulità.

– Comincio ad avere fame, è vero – ammise Miles, rifiutando di ricorrere a qualsiasi battuta dato che esse non avevano nessun effetto su Oliver, – ma lo stesso vale per molta altra gente, ed entro domani verranno tutti a mangiare dalla nostra mano.

– Quando vuoi che abbia pronti questi venti uomini?

– Entro la prossima distribuzione di cibo – rispose Miles. Bene, era riuscito a sorprenderlo.

– Così presto?

– Oliver, devi capire che la convinzione di avere a disposizione tutto il tempo del mondo è soltanto un'illusione generata di proposito da questo posto e a cui devi resistere.

– Tu hai di certo premura.

– E allora? Hai forse un appuntamento dal dentista? Credo di no. Inoltre io ho una massa che è soltanto la metà della tua, quindi mi devo muovere due volte più in fretta soltanto per mantenere l'accelerazione acquisita. Venti, più chiunque altro riuscirai a raccogliere, entro la prossima distribuzione di cibo.

– E cosa diavolo pensi di riuscire a fare con venti uomini?

– Prenderemo possesso del mucchio di barre.

– Non con venti uomini appena – dichiarò Oliver, contraendo le labbra in un'espressione di disgusto, – e poi è una cosa che è già stata fatta. Ti ho detto che qui dentro abbiamo avuto una vera guerra… sarebbe un massacro.

– Dopo essercene impadroniti, lo divideremo in maniera giusta e onesta, una barra a testa, tutto controllato e verificato. Entro la prossima distribuzione del cibo tutti coloro che finora si sono trovati a corto di razioni verranno a noi e allora saremo nella posizione giusta per fronteggiare i casi più duri.

– Sei pazzo: non puoi farlo, non con venti uomini.

– Ti ho forse detto che ne avremmo avuti soltanto venti? Suegar, l'ho detto?

Suegar, che stava ascoltando in atteggiamento rapito, scosse il capo.

– Bene, io comunque non esporrò il mio collo a meno che tu riesca a esibire rinforzi visibili – affermò Oliver. – Questa faccenda ci potrebbe costare la vita.

– Posso farlo – promise impulsivamente Miles… si doveva pur cominciare a salire da qualche punto, e le sue staffe immaginarie sarebbero andate benissimo. – Entro la distribuzione del cibo ti procurerò 500 effettivi votati tutti alla sacra causa.

– Fallo, ed io percorrerò tutto il perimetro del campo nudo e camminando sulle mani – ribatté Oliver.

– Potrei accettare la scommessa, sergente – sogghignò Miles, alzandosi. – Almeno venti uomini entro la distribuzione del cibo. Andiamo, Suegar.

Oliver li salutò con un cenno irritato mentre si ritiravano in buon ordine; quando si guardò indietro da sopra una spalla, però, Miles vide che il sergente si era alzato in piedi e si stava dirigendo verso un gruppo di stuoie occupate non lontano dal suo, rivolgendo al tempo stesso un gesto di saluto a qualcuno che conosceva.


– Allora, dove troviamo 500 effettivi prima della prossima distribuzione del cibo? – domandò Suegar. – Forse è meglio che ti avverta che Oliver era il soggetto migliore che avevo a disposizione. Il prossimo sarà inevitabilmente un osso più duro da rodere.

– Come? La tua fede vacilla tanto presto? – ribatté Miles.

– Io ho fede… è solo che non vedo, ma forse questa è una benedizione.

– La tua domanda mi sorprende, perché credevo che fosse una cosa ovvia. Gli effettivi li troveremo là – spiegò Miles, indicando il territorio del gruppo delle donne che si estendeva dall'altra parte del campo.

– Oh – esclamò Suegar, arrestandosi di colpo. – Oh oh… io non credo, Miles.

– Sì. Andiamo.

– Non riuscirai ad entrare là dentro a meno di sottoporti ad un'operazione per cambiare sesso.

– Non mi dire che, illuminato da Dio come sei, non hai mai tentato di predicare anche a loro le tue scritture.

– Ci ho provato e sono stato picchiato. Dopo di allora ho tentato altrove.

Miles si arrestò e indugiò a studiare il compagno con le labbra contratte in una smorfia pensosa.

– Non lo hai fatto a causa della sconfitta perché altrimenti non avresti tenuto duro tanto a lungo da incontrare me. No… è stata la vergogna a stroncare la tua abituale pertinacia? Hai qualcosa da dimenticare per quanto concerne le donne?

– Non personalmente – replicò Suegar, scuotendo il capo, – tranne forse un peccato di omissione: semplicemente non ho avuto il cuore di seccarle ulteriormente.

– Tutto questo posto soffre a causa di peccati di omissione – commentò Miles, sollevato che Suegar non fosse risultato essere un violentatore confesso, e lasciò vagare lo sguardo sulla scena circostante, cercando di dedurre il suo svolgersi abituale dagli scarsi indizi forniti dalla posizione, dai raggruppamenti e dalle attività. – Sì, la pressione dei predatori produce un comportamento da branco, e considerato il livello di frammentazione sociale a cui si è giunti qui la pressione dei predatori deve essere davvero elevata per mantenere unito un gruppo di quelle dimensioni. Da quando sono arrivato non ho però assistito a nessun incidente…

– Sono cose che vanno e vengono – spiegò Suegar, – come le fasi della luna o qualcosa del genere.

Già, certo… le fasi della luna. Miles levò in cuor suo una preghiera di ringraziamento a qualsiasi divinità lo stesse ascoltando per il fatto che i Cetagandani sembravano aver impiantato un antiovulante standard in tutte le loro prigioniere insieme alle altre immunizzazioni e benedisse l'ignoto individuo che aveva inserito quella clausola nelle regole della Commissione di Giustizia Intergalattica, costringendo i Cetagandani a ricorrere a forme più sottili di tortura. E tuttavia, il verificarsi di gravidanze e la presenza di neonati e di bambini fra i prigionieri sarebbe stato un altro fattore destabilizzante o non avrebbe invece costituito un elemento stabilizzante più forte di tutti i precedenti vincoli di lealtà che i Cetagandani sembravano aver distrutto con successo?

In ogni caso, da un punto di vista puramente logistico lui fu felice che l'interrogativo fosse soltanto teorico.

– Bene… – mormorò, traendo un profondo respiro e calcandosi sugli occhi un cappello immaginario con un'angolazione aggressiva. – Sono nuovo di qui e quindi per il momento non ho nulla di cui vergognarmi. Che sia chi è senza peccato a lanciare il primo richiamo. Inoltre, in questo genere di trattative ho a mio vantaggio il fatto che è evidente che non costituisco una minaccia.

E s'incamminò con passo deciso.

– Io ti aspetterò qui – gli gridò dietro Suegar, accoccolandosi a terra là dove si trovava.

Miles calcolò la rapidità della sua avanzata in modo tale da intercettare una pattuglia di sei donne che stava marciando lungo il perimetro del campo del gruppo, e si piazzò davanti a loro, togliendosi con un ampio gesto il suo cappello immaginario e tenendolo strategicamente davanti a sé:

– Buongiorno, signore. Permettetemi di scusarmi per il mio com…

La sua frase di esordio fu bruscamente interrotta da una manciata di terra che gli riempì la bocca quando le sue gambe vennero spinte all'indietro e le spalle in avanti dalle quattro donne che si erano disposte intorno a lui e che lo avevano gettato con precisione al suolo. Non era ancora neppure riuscito a sputare la terra di bocca che si sentì sollevare vertiginosamente da mani che gli serravano le braccia e le gambe. Delle voci contarono borbottando fino a tre e lui si trovò a descrivere un breve arco nell'aria, andando ad atterrare in un mucchio scomposto non lontano da Suegar, mentre la pattuglia riprendeva il cammino senza pronunciare una sola parola.

– Vedi cosa intendevo dire? – domandò Suegar.

– Avevi calcolato la traiettoria al centimetro, vero? – annaspò Miles, girandosi verso di lui.

– Più o meno – ammise Suegar. – Immaginavo che ti avrebbero lanciato un po' più lontano del solito a causa della tua taglia.

Lottando ancora per ritrovare il respiro, Miles si sollevò faticosamente a sedere. Dannazione a quelle costole… il dolore che gli procuravano era diventato quasi tollerabile ma adesso avevano ripreso a causargli una lancinante agonia al petto ad ogni respiro. Pochi minuti più tardi riuscì a sollevarsi in piedi e si spolverò… poi, come per un ripensamento, raccolse anche il cappello immaginario, un gesto che gli provocò un accesso di vertigini e che lo costrinse a puntellare per un momento le mani contro le ginocchia.

– D'accordo – borbottò infine, – si torna alla carica.

– Miles…

– È una cosa che deve essere fatta, Suegar, perché non c'è altra scelta. In ogni caso, ora che ho cominciato non posso più smettere, perché a quanto mi hanno detto sono patologicamente persistente: non posso arrendermi.

Suegar aprì la bocca per obiettare, poi preferì soffocare la propria protesta.

– Come vuoi – disse soltanto, risistemandosi per terra a gambe incrociate e accarezzando con un gesto inconscio il bracciale di stoffa intorno al polso sinistro. – Aspetterò che mi chiami.

E parve sprofondare nei ricordi o in una meditazione… o forse si mise semplicemente a sonnecchiare.

Il secondo tentativo di Miles si concluse esattamente come il primo, con la differenza che la traiettoria fu forse un po' più larga e un po' più alta; il terzo tentativo fu uguale ma il volo risultò molto più breve.

– Bene – borbottò fra sé, – si vede che le sto facendo stancare.

Questa volta si mise a camminare tenendosi parallelo al gruppetto ma fuori della sua portata anche se abbastanza vicino da essere sentito.

– Non è necessario che facciate questo un pezzetto per volta – ansimò. – Lasciate che vi faciliti le cose. Ho una malattia teratogena delle ossa ma non sono un mutante: i miei geni sono normali, è soltanto la loro espressione ad essere distorta perché mia madre è rimasta esposta ad un particolare veleno mentre mi aspettava. È una cosa che concerne soltanto me e che non si trasmetterà a qualsiasi figlio io possa avere… ed ho sempre verificato che mi è più facile ottenere degli appuntamenti con le ragazze dopo aver messo in chiaro le cose da questo punto di vista. Comunque, le mie ossa sono fragili, al punto che voi potreste probabilmente spezzare ogni osso presente nel mio corpo. Forse vi starete chiedendo perché vi dico tutto questo e in effetti di solito preferisco non mettere avvisi al riguardo… vi volete fermare per ascoltarmi? Io non costituisco una minaccia… ho forse l'aspetto di una minaccia?… di una sfida, forse, ma non di una minaccia… volete farmi correre intorno a tutto questo campo per venirvi dietro? Rallentate, per l'amore di Dio!…

Se continuavano con quel passo, presto si sarebbe trovato senza fiato e di conseguenza a corto di munizioni verbali, perciò si portò davanti alle sei donne e piantò i piedi per terra con le braccia sui fianchi.

– … quindi se avete intenzione di rompere ogni osso del mio corpo vi prego di provvedere adesso e di farla finita, perché continuerò a tornare qui finché non lo avrete fatto.

Ad un breve cenno di comando del suo capo la pattuglia si fermò di fronte a lui.

– Accontentiamolo – propose una ragazza alta i cui corti capelli rossi dai riflessi di rame ebbero l'effetto di affascinare Miles e di distrarlo mentre cercava di immaginare le ciocche mancanti che dovevano essere cadute al suolo sotto l'azione delle forbici degli inflessibili carcerieri cetagandani. – Io gli romperò il braccio sinistro se tu penserai al destro, Conr.

– Se è questo che ci vuole per indurvi a fermarvi ad ascoltarmi per cinque minuti, così sia – replicò Miles, senza indietreggiare quando la rossa venne avanti e gli afferrò il gomito sinistro in una morsa, cominciando ad applicare pressione.

– Cinque minuti, d'accordo? – ripeté disperatamente, sentendo la pressione che aumentava e lo sguardo della donna che pareva ustionargli il profilo, poi chiuse gli occhi, si umettò le labbra e attese trattenendo il respiro. La pressione arrivò al punto critico, inducendolo a sollevarsi in punta di piedi nel tentativo di attenuarla… poi la donna lo lasciò andare così bruscamente da farlo barcollare.

– Uomini – commentò in tono disgustato. – Devono sempre trasformare tutto in una dannata gara.

– La biologia è una forma di destino – annaspò Miles, riaprendo gli occhi.

– Oppure sei una sorta di pervertito, uno a cui piace essere picchiato dalle donne?

Dio, spero di no, si disse Miles, grato che finora il suo corpo non lo avesse tradito con reazioni non autorizzate, anche se ci era mancato poco; se doveva restare nei paraggi di quella rossa per parecchio tempo era meglio che trovasse un modo per riavere i suoi pantaloni.

– Se dicessi di sì terreste a freno la vostra aggressività, giusto per punirmi? – suggerì.

– No, dannazione.

– Era soltanto un'idea.

– Lascia perdere queste idiozie, Beatrice – intervenne il capo della pattuglia, e al suo secco cenno con la testa la rossa rientrò nelle file. – D'accordo, ometto, hai i tuoi cinque minuti… forse.

– Grazie signora – disse Miles e trasse un profondo respiro, cercando di riordinarsi come meglio poteva senza un'uniforme da assestare. – Per prima cosa permettetemi di scusarmi per aver intruso nella vostra privacy in questo stato, ma praticamente le prime persone che ho incontrato al mìo arrivo nel campo erano i componenti di un gruppo che ama servirsi da solo e che si è servito anche dei miei vestiti, oltre che di altre cose…

– Ho visto la scena – confermò inaspettatamente la rossa, Beatrice. – È stato il gruppo di Pitt.

– Infatti, e grazie – mormorò Miles, togliendosi il cappello immaginario ed eseguendo con esso un profondo inchino.

– Quando fai così offri lo spettacolo del tuo posteriore a chi si trova alle tue spalle – commentò lei, in tono spassionato.

– È il loro panorama – ribatté Miles. – Per quanto mi riguarda, io voglio parlare con il vostro capo… o capi, perché ho un serio piano per migliorare il tono di questo posto e vorrei invitare il vostro gruppo a collaborare alla sua applicazione. Per essere franchi, voi siete la sola grande sacca di civiltà… per non parlare di ordine militare… che esista ancora qui, e mi piacerebbe vedervi espandere i vostri confini.

– Ci vogliono già tutte le risorse di cui disponiamo per impedire che i nostri attuali confini siano sopraffatti, ragazzo – replicò il capo pattuglia. – Niente da fare, quindi vattene.

– E porta via anche le tue eventuali aspirazioni – suggerì Beatrice, – perché qui non troverai nulla.

Sospirando, Miles rigirò fra le mani il cappello immaginario tenendolo per l'ampia tesa, poi lo fece ruotare per un momento su un dito e incontrò lo sguardo della rossa.

– Osserva il mio cappello, il solo indumento che sia riuscito a salvare dall'aggressione dei grossi e cupi compari… del gruppo di Pitt, come tu lo chiami.

– Quei bastardi… ma perché proprio un cappello? Perché non i pantaloni? O un'uniforme da parata, già che ci sei? – commentò lei, in tono sarcastico.

– Un cappello è un oggetto più utile quando si deve comunicare, perché permette di fare ampi gesti – spiegò mimando, – oppure di manifestare sincerità o di indicare imbarazzo – proseguì, portando il cappello all'altezza del cuore e abbassandolo poi sull'inguine. – Ancora, un cappello può indicare rabbia… – continuò, scagliandolo a terra come se volesse conficcarvelo per poi raccoglierlo e pulirlo con cura… – o determinazione… – e se lo piantò in testa con decisione, abbassando la tesa sugli occhi… – oppure serve per fare inchini – concluse, togliendoselo in un nuovo gesto di saluto. – Vedi il cappello?

– Sì… – rispose la rossa, che cominciava a divertirsi.

– E vedi le piume su di esso?

– Sì.

– Descrivile.

– Oh… sono morbide e leggere.

– E quante sono?

– Due, riunite.

– E vedi anche il loro colore?

Beatrice si trasse indietro con imbarazzo, d'un tratto consapevole di quello che stava facendo, e scoccò un'occhiata in tralice alle sue compagne.

– No – dichiarò.

– Quando riuscirai a vedere il colore di quelle penne – dichiaro Miles, in tono sommesso, – riuscirai anche a capire come potete estendere i vostri confini all'infinito.

Beatrice non rispose e assunse un'espressione indecifrabile.

– Forse è meglio che quest'ometto parli con Tris – borbottò però il capo della pattuglia. – Soltanto una volta.


La donna che comandava il campo era senza dubbio stata un tempo un combattente di prima linea e non un tecnico, come la maggior parte delle altre donne del campo, e di certo non si era formata i muscoli che le scorrevano sotto la pelle come cuoio intrecciato standosene seduta davanti ad uno schermo olovisore in qualche postazione sotterranea alla retroguardia… Quella donna aveva maneggiato vere armi che sputavano fuori vera morte e qualche volta aveva avuto dei cedimenti, era andata a sbattere contro i limiti di ciò che poteva essere fatto dalla carne, dalle ossa e dal metallo, ed era stata marchiata da quella pressa deformante. Le illusioni erano state bruciate via dal suo spirito come un'infezione da combattere, lasciando al loro posto una cicatrice cauterizzata, mentre la rabbia ardeva perenne nei suoi occhi come un fuoco in una vena di carbone, profondo e inestinguibile. Al massimo, poteva avere trentacinque o quarant'anni.

Dio, mi sono innamorato, pensò Miles. Il Fratello Miles vuole TE per l'Esercito Riformatore… Subito si affrettò a riportare i propri pensieri sotto controllo, perché quello era il momento determinante… per il meglio o per il peggio… di tutto il suo piano, e le distorsioni verbali, i fraintendimenti voluti, l'esibizione di fascino e le semplici menzogne che sarebbe riuscito a sfoderare non sarebbero bastati al suo scopo, neppure conditi con qualche profondo inchino.

Chi è stato ferito vuole il potere e niente altro, perché pensa che esso gli impedirà di essere ferito ancora. Questa donna non si mostrerà interessata al messaggio di Suegar… non ancora, per lo meno… rifletté, traendo un profondo respiro.

– Signora – esordì, – sono qui per offrirle il comando di questo campo.

La donna lo fissò come se fosse stato qualcosa che avesse scoperto su una parete in un angolo buio delle latrine, e il suo sguardo scrutò la sua nudità da capo a piedi in maniera così tagliente che lui ebbe l'impressione di avvertire i segni di quegli artigli invisibili.

– Che indubbiamente tieni riposto nella tua sacca da viaggio – commentò infine la donna, in un ringhio. – Il comando è una cosa che in questo campo non esiste, mutante, quindi non è tuo perché possa darlo ad altri. Riaccompagnalo un pezzo per volta fuori del nostro perimetro, Beatrice.

Miles schivò la presa della rossa, riservandosi di correggere in seguito quell'errore relativo alla sua natura.

– Il comando di questo campo è mio nel senso che posso crearlo, - asserì. – Ti prego di notare che quello che sto offrendo è potere, non vendetta, perché la vendetta è un lusso troppo costoso, che i comandanti non si possono permettere.

Tris si alzò dalla stuoia fino a raggiungere il massimo della sua altezza, e fu poi costretta a piegare le ginocchia per portare la faccia al livello di quella del suo interlocutore.

– È un vero peccato, ometto, perché eri quasi riuscito ad interessarmi. Io voglio la vendetta, contro ogni uomo di questo campo.

– Allora i Cetagandani hanno conseguito il loro scopo: avete dimenticato quale sia il vostro vero nemico.

– Diciamo piuttosto che io ho scoperto quale sia il mio vero nemico. Vuoi sapere le cose che ci hanno fatto i tuoi amici…

– I Cetagandani – ritorse Miles, abbracciando l'intero campo con un gesto del braccio, – vogliono indurvi a credere che questo è qualcosa che voi vi state facendo a vicenda, in modo che combattiate gli uni contro gli altri e diventiate così le loro marionette. E nel frattempo si divertono a guardarvi di continuo e ad assistere alla vostra umiliazione.

Lo sguardo di Tris si spostò in maniera infinitesimale verso l'alto, il che era un buon segno: il modo in cui quella gente era disposta a guardare in qualsiasi direzione piuttosto che verso l'alto della cupola aveva assunto quasi la forma di una malattia.

– Il potere è migliore della vendetta – insistette Miles, senza sussultare davanti al volto gelido e inespressivo e agli occhi roventi di rabbia della sua interlocutrice. – Il potere è una cosa viva, grazie alla quale ci si può protendere per afferrare il proprio futuro, mentre la vendetta è una cosa morta che si protende dal passato per afferrarci.

– … e tu sei un artista in menzogne che si protende ad afferrare qualsiasi cosa stia andando a fondo – lo interruppe la donna. – Adesso ti ho finalmente inquadrato. Questo è il potere – proseguì la donna, flettendo sotto il naso di Miles i muscoli del braccio robusto, – il solo potere che esista qui dentro. Tu non ce l'hai e stai cercando qualcuno che ti protegga. Però sei venuto a fare spese nel negozio sbagliato.

– No – confutò Miles, e si batté un colpetto sulla fronte, aggiungendo: – Questo è il vero potere: sono io a possedere il negozio in cui viene venduto e con esso posso controllare questi. – Nel parlare batté un colpetto sul pugno serrato della donna, poi continuò: – Gli uomini possono muovere le montagne, ma le idee controllano gli uomini e le menti possono essere raggiunte attraverso i corpi… che altro scopo avrebbe tutto questo se non quello di raggiungere la vostra mente attraverso il vostro corpo? Si tratta però di un potere che scorre nei due sensi e la marea contraria è quella più forte.

«Quando avete permesso ai Cetagandani di ridurre il vostro potere soltanto a questi - insistette, stringendo la mano intorno al bicipite di Tris… fu come stringere una roccia rivestita di velluto e la donna si tese, infuriata da quella libertà… – avete permesso loro di ridurvi alla vostra parte più debole, e adesso stanno vincendo.

– Vincono comunque loro – scattò Tris, liberandosi con una scrollata dalla sua mano, e Miles trasse un respiro di sollievo per il fatto che non avesse deciso di rompergli un braccio per buona misura. – Nulla di ciò che facciamo all'interno di questo cerchio produrrà mai nessun drastico cambiamento: qualsiasi cosa tentiamo saremo sempre prigionieri. Loro ci possono togliere il cibo, o l'aria, o serrare la cupola fino a ridurci in gelatina, e il tempo gioca a loro favore. Se ci scanneremo a vicenda per restaurare l'ordine… supponendo che sia questo ciò che hai in mente… loro dovranno soltanto aspettare che esso si dissolva di nuovo. Siamo sconfitti, siamo prigionieri, non c'è più nessuno là fuori e noi resteremo qui per sempre. È meglio che cominci ad abituarti all'idea.

– È una canzone che ho già sentito in passato – ribatté Miles. – Usa la testa: se avessero intenzione di tenervi qui per sempre, vi avrebbero inceneriti fin dall'inizio e si sarebbero risparmiati le considerevoli spese derivanti dalla gestione di questo campo. No, è la vostra mente che vogliono: siete tutti qui perché eravate i migliori di Marilac, i più duri e forti combattenti, i più pericolosi avversari, quelli a cui chiunque volesse ancora resistere all'occupazione avrebbe guardato come a potenziali capi. Il piano dei Cetagandani è quello di spezzarvi e poi di restituirvi al vostro mondo come piccoli centri d'infezione inoculati in esso, perché consigliate la resa al vostro stesso popolo.

«Quando questo verrà ucciso – proseguì, sfiorando appena la fronte della donna e poi i suoi bicipiti, – allora i Cetagandani non avranno più nulla da temere da questi e voi sarete tutti liberi, su un mondo i cui confini vi intrappoleranno proprio come questa cupola e in maniera altrettanto inesorabile. La guerra non è finita, e voi siete qui perché i Cetagandani stanno ancora aspettando la resa del Nucleo Fallow.

Per un momento pensò che la donna avrebbe potuto assassinarlo, strangolandolo là dove si trovava, perché di certo doveva preferire farlo a pezzi che lasciarsi vedere da lui mentre piangeva.

Poi Tris ritrovò il suo amaro guscio protettivo di tensione con una scrollata del capo e un profondo respiro.

– Se quanto affermi è vero, allora seguirti ci allontanerà maggiormente dalla libertà, invece di portarci più vicini ad essa.

Dannazione, quella donna aveva una mente logica al punto che non aveva bisogno di ricorrere ai suoi muscoli per ucciderlo… le sarebbe bastato applicare la sua logica letale, se lui non avesse trovato un modo per guidarla senza parere. Decise di ricorrere a questo sistema.

– Esiste una sottile differenza fra essere un prigioniero ed essere uno schiavo. Io non confondo nessuna delle due condizioni con l'essere libero e non dovreste farlo neppure voi.

Tris tacque per un lungo momento, fissandolo attraverso le palpebre socchiuse e tormentandosi inconsciamente il labbro inferiore.

– Sei un tipo strano – affermò infine. – Perché hai detto «voi» e non «noi»?

Miles scrollò le spalle con noncuranza mentre riesaminava mentalmente le proprie parole… dannazione, la donna aveva ragione… era andato un po' troppo vicino a tradirsi, ma poteva ancora trasformare un errore in un vantaggio.

– Ti sembro forse un esemplare del fiore delle truppe di Marilac? Io sono un estraneo, intrappolato in un mondo che non sono stato io a creare. Un viaggiatore… un pellegrino di passaggio per caso. Chiedilo a Suegar.

– Quel folle – sbuffò Tris.

Non aveva abboccato all'esca. Sterco di topo, come avrebbe detto Elli… sentiva la mancanza di Elli. Non importava, ci avrebbe riprovato in seguito.

– Non sottovalutare Suegar: ha un messaggio per voi che io ho trovato affascinante.

– L'ho sentito anch'io e l'ho trovato irritante… Allora, cos'è che vuoi ricavare da questo? E non mi rispondere «niente» perché non ti crederei. Francamente, la mia idea è che stia mirando tu stesso ad avere il comando del campo, ed io non sono disposta ad essere il tuo scalino in qualche piano per costruire un impero.

Adesso Tris stava pensando in fretta e in maniera costruttiva, seguendo ragionamenti diversi dalla semplice intenzione di farlo riportare in pezzi ai confini del suo campo, e Miles cominciava dal canto suo a riscaldarsi sull'argomento…

– Io desidero soltanto essere il tuo consigliere spirituale: non voglio il comando, non potrei gestirlo. Mi basta consigliarti.

Nel termine «consigliere» dovette esserci qualcosa che fece scattare antiche associazioni nella mente della donna, perché i suoi occhi si sgranarono di colpo e le sue pupille si dilatarono mentre lei si protendeva in avanti e seguiva con un dito le lievi intaccature presenti sul volto di Miles, accanto al naso… intaccature lasciate da alcuni controlli guida presenti all'interno dell'elmo dell'armatura spaziale. Dopo un momento tornò a raddrizzarsi e sfiorò con due dita quegli stessi segni permanenti che si trovavano sul suo volto.

– Che qualifica hai detto di aver avuto, prima?

– Ero un impiegato dell'ufficio di reclutamento – rispose Miles, impassibile.

– Capisco…

E se ciò che Tris capiva era l'assurdità di qualcuno che sosteneva di essere stato un impiegato delle retrovie pur avendo indossato l'armatura da combattimento abbastanza spesso da portarne le stigmate, allora era fatta. Forse.

La donna tornò a sedersi su un lato della propria stuoia e indicò a Miles di prendere posto di fronte a lei.

– Siediti, cappellano – disse, – e continua a parlare.


Suegar stava effettivamente dormendo, seduto a gambe incrociate e russando un poco, quando Miles finalmente lo raggiunse e lo svegliò con un colpetto sulla spalla.

– Svegliati, Suegar – chiamò. – Siamo a casa.

– Dio, quanto sento la mancanza del caffè – borbottò lui, aprendo gli occhi con un verso sbuffante, poi fissò Miles con incredulità. – Sei ancora tutto d'un pezzo?

– Sì, ma c'è mancato poco che facessi una triste fine. Senti, a proposito di quella faccenda dei vestiti persi nel fiume e via dicendo… adesso che ci siamo trovati dobbiamo per forza continuare a girare nudi? Non credi che la profezia sia stata sufficientemente adempiuta?

– Eh?

– Adesso ci possiamo vestire? – ripeté Miles, con pazienza.

– Ecco… non lo so. Suppongo che se fossimo destinati ad avere degli indumenti essi ci verrebbero dati…

– Là – indicò Miles. – Ce li hanno dati.

Beatrice era ferma a qualche metro di distanza con un atteggiamento che denotava annoiata esasperazione e con un fagotto di stoffa grigia sotto un braccio.

– Voi due svitati volete questa roba oppure no? Io devo tornare indietro.

– Le hai convinte a darti dei vestiti? – sussurrò Suegar, stupefatto.

– A darceli, Suegar, a darceli – lo corresse Miles, poi rivolse un cenno a Beatrice e aggiunse: – Credo che sia tutto a posto.

Lei gli gettò contro il fagotto, sbuffò e si allontanò a grandi passi.

– Grazie – le gridò dietro Miles, scrollando il mucchietto di indumenti che comprendeva due divise complete, una più grande ed una piccola abbastanza perché a Miles fosse sufficiente rimboccare un poco il fondo dei calzoni per evitare di impigliarvisi con i talloni. Gli indumenti erano macchiati, rigidi per antichi strati di sudore e di polvere e probabilmente… rifletté Miles… erano stati tolti a dei cadaveri, ma Suegar li indossò senza esitazione e indugiò a tastarne la stoffa grigia con meraviglia.

– Ci hanno dato dei vestiti, ce li hanno dati - mormorò. – Come ci sei riuscito?

– Ci hanno dato tutto, Suegar. Ora vieni con me, perché dobbiamo andare di nuovo a parlare con Oliver – replicò Miles, trascinando risolutamente con sé il compagno. – Mi chiedo quanto tempo abbiamo in effetti prima della prossima distribuzione del cibo. Di certo ce ne sono due ad ogni ciclo di ventiquattr'ore, ma non mi stupirei se i periodi fossero irregolari al fine di accrescere maggiormente il vostro disorientamento temporale… dopo tutto, i momenti della distribuzione sono il solo orologio che abbiate qui.

Mentre parlava rilevò con la coda dell'occhio una traccia di movimento che risultò essere un uomo che correva. Non si trattava però di una fuga intesa a seminare un gruppo ostile… no, quell'uomo correva da solo, a testa bassa e più in fretta che poteva, con i piedi nudi che percuotevano la terra pressata con un ritmo frenetico; in linea di massima l'uomo stava seguendo il perimetro della cupola, effettuando soltanto una deviazione all'altezza del campo delle donne, e mentre correva piangeva.

– Cosa gli succede? – domandò Miles a Suegar, indicandogli la figura che si avvicinava.

– A volte ti prende così – spiegò lui, scrollando le spalle, – quando non ti riesce più di restare seduto qui dentro. Ho visto un tizio correre in questo modo fino a morire, sempre in tondo…

– Questo – decise Miles, – sta correndo verso di noi.

– E fra un secondo starà già correndo lontano da noi…

– Allora aiutami a bloccarlo.

Miles afferrò l'uomo in basso e Suegar in alto, sedendogli sul petto mentre Miles gli si sedeva sul braccio destro, in modo da dimezzare le sue possibilità di resistenza. Quel soldato doveva essere stato molto giovane quando lo avevano catturato… forse aveva mentito a proposito dell'età al momento dell'arruolamento… perché ancora adesso aveva un volto da ragazzo, devastato dal pianto e dalla sua personale eternità vissuta in quella perla cava; per un po' inspirò con ansiti singhiozzanti ed espirò confuse imprecazioni, poi finì per calmarsi.

– Ti piacciono le feste, ragazzo? – domandò allora Miles, chinandosi verso di lui con un sorriso da lupo sulle labbra.

– Sì… – rispose il prigioniero, girando lo sguardo a destra e a sinistra senza però scorgere traccia di soccorsi.

– E cosa mi dici dei tuoi amici? Anche a loro piacciono le feste?

– Certamente – assentì il ragazzo, forse segretamente scosso dal sospetto di essere caduto nelle mani di qualcuno che era ancora più pazzo di lui. – È meglio che mi lasci libero, mutante, altrimenti ti faranno a pezzi.

– Voglio invitare te e i tuoi amici ad una grossa festa – scandì Miles. – Stanotte terremo questa festa, e sarà un evento storico. Sai dove trovare il Sergente Oliver, ex membro del 14° Commandos?

– Sì… – ammise il loro prigioniero, con una certa cautela.

– Bene. Allora raduna i tuoi amici e presentati a rapporto da lui. Se sei furbo, prenoterai adesso il tuo posto a bordo di questo veicolo, perché se non ci sarai sopra ti verrai a trovare sotto di esso. L'Esercito Riformatore sta per muoversi. Hai capito?

– Ho capito – annaspò il ragazzo, respirando a fatica a causa del pugno che Suegar gli teneva premuto contro il plesso solare per enfatizzare l'importanza del messaggio.

– Informa Oliver che è stato Fratello Miles a mandarti – aggiunse Miles, mentre il ragazzo si allontanava barcollando e guardandosi nervosamente alle spalle. – Qui non hai dove nasconderti, e se non ti farai vedere manderò i Commandos Cosmici a prenderti.

– Credi che verrà? – domandò Suegar, sciogliendosi i muscoli aggranchiti e scrollando gli abiti nuovi.

– Si tratta di combattere o di fuggire, e quello se la caverà bene – sorrise Miles, poi si stiracchiò e tornò al suo originale ordine di priorità. – Da Oliver.


Alla fine si ritrovarono non con venti uomini ma con 200. Oliver ne aveva raccolti quarantasei e il ragazzo intercettato durante la fuga ne portò altri diciotto. Al tempo stesso i segni di ordine e di attività visibili in quella zona del campo attirarono parecchi curiosi, e chi passava nelle vicinanze doveva soltanto chiedere cosa stesse accadendo per essere immediatamente reclutato e promosso caporale sul posto. Poi l'interesse degli spettatori raggiunse un apice febbrile quando il contingente di Oliver marciò fino al limitare del campo delle donne… e fu ammesso al suo interno. Un fattore che procurò loro all'istante altri settantacinque volontari.

– Sai cosa sta succedendo? – domandò Miles ad uno di questi, a mano a mano che li sottoponeva ad una rapida ispezione e li assegnava ad uno dei quattordici gruppi operativi da lui creati.

– No – ammise l'uomo, poi agitò con impazienza un braccio in direzione del centro del gruppo delle donne e aggiunse: – Ma voglio andare dove vanno loro…

Per rispetto nei confronti del crescente nervosismo di Tris per quelle infiltrazioni nei suoi confini, Miles bloccò i reclutamenti a quota duecento e immediatamente trasformò quella cortesia in una carta in sua mano nel dibattito strategico che lui e la donna stavano ancora portando avanti, in quanto Tris voleva dividere le sue forze nel modo consueto… metà per attaccare e metà a protezione del campo e dei suoi confini… mentre Miles era per uno sforzo massimo all'esterno.

– Se vinceremo non avrete più bisogno di guardie – le fece notare.

– E se dovessimo perdere?

– Non possiamo osare di perdere – replicò Miles, abbassando la voce, – perché questa sarà la sola volta in cui avremo la sorpresa dalla nostra parte. Certo, potremo sempre ritirarci, riformare lo schieramento e tentare ancora… per quanto mi riguarda mi sento pronto, anzi vincolato, a continuare a tentare fino a quando non resterò ucciso, ma dopo la prima volta ciò che stiamo cercando di fare diventerà evidente agli occhi di ogni altro gruppo e gli altri avranno il tempo di progettare piani e strategie. Ho una particolare avversione per le posizioni di stallo e preferisco vincere le guerre piuttosto che prolungarle.

Tris sospirò, e per un momento parve prosciugata, stanca, vecchia.

– Io sono stata in guerra per molto tempo, sai? Dopo qualche tempo perfino essere sconfitti può cominciare ad apparire preferibile al prolungare un conflitto.

Miles poté sentire la propria risolutezza venire meno, risucchiata in quello stesso nero vortice di dubbio, ma si riscosse e puntò verso l'alto con un dito, abbassando al tempo stesso la voce ad un sussurro.

– Ma di certo non da quei bastardi.

Tris guardò a sua volta verso l'alto e squadrò le spalle.

– No, non da loro – convenne, poi trasse un profondo respiro e aggiunse: – D'accordo, cappellano, avrai il tuo attacco in forze, ma soltanto una volta…

In quel momento Oliver tornò da un'ispezione a tutti i diversi gruppi operativi e si accoccolò accanto a loro.

– Tutti hanno i loro ordini – annunciò. – Con quanti effettivi Tris intende contribuire a ciascun gruppo?

– Il Comandante Tris – si affrettò a correggerlo Miles, mentre la donna aggrottava minacciosamente la fronte. – Dal momento che dovremo tentare il tutto per tutto avremo con noi ogni effettivo in grado di camminare presente qui.

Oliver effettuò qualche rapido conto nella polvere usando il proprio dito come stilo.

– Significa altri cinquanta elementi circa per ciascun gruppo… dovrebbe bastare. A proposito, che ne dici di formare venti gruppi? Questo accelererà la distribuzione una volta che avremo schierato le linee e potrebbe costituire la differenza fra il successo e la sconfitta.

– No – si affrettò a obiettare Miles, vedendo che Tris stava accennando ad annuire in segno di assenso. – I gruppi dovranno essere quattordici: quattordici gruppi di battaglia per quattordici linee e quattordici pile. Il quattordici è… un numero significativo dal punto di vista teologico – concluse infine, vedendo che lo stavano ancora fissando in maniera dubbiosa.

– Perché? – volle sapere Tris.

– A causa dei quattordici apostoli – recitò Miles, congiungendo le mani in un gesto di fede.

Tris scrollò le spalle e Suegar si grattò la testa, accennando a parlare ma si trattenne quando Miles lo trafisse letteralmente con un'occhiata.

– Huh – commentò Oliver, fissandolo con occhi socchiusi, ma non insistette oltre.


Poi ebbe inizio l'attesa. Ben presto Miles accantonò il suo principale timore, e cioè che i loro catturatori introducessero il mucchio di barre troppo presto, prima che avesse avuto il tempo di approntare i suoi piani, e cominciò invece ad essere tormentato dal suo secondo principale timore… che la distribuzione del cibo avvenisse tanto tardi da fargli perdere il controllo delle sue truppe e da indurre gli uomini a disperdersi in preda alla noia e allo scoraggiamento. Riunirli la prima volta era già stato uno sforzo tale che Miles aveva avuto l'impressione di essere impegnato a trascinare una capra riottosa con una corda fatta d'acqua… mai la natura priva di sostanza di un'Idea gli era parsa così evidente.

– Ci siamo… – avvertì Oliver, battendogli un colpetto sulla spalla e indicando qualcosa con un cenno del capo.

Un punto della cupola posto a circa un terzo del perimetro complessivo rispetto alla loro posizione stava cominciando a gonfiarsi verso l'interno.

Proprio quando le sue truppe erano all'apice della forma: il tempismo era perfetto, troppo perfetto… Dal momento che avevano osservato ogni cosa, di certo i Cetagandani non avrebbero perso l'opportunità di rendere la vita ancora più difficile ai loro prigionieri, quindi dato che non avevano anticipato la distribuzione l'avrebbero senza dubbio ritardata, oppure…

– Aspettate! Aspettate! – urlò Miles, scattando in piedi. – Aspettate il mio ordine!

Il suo gruppo di velocisti esitò, attratto verso la meta tanto attesa, ma Oliver aveva scelto bene i comandanti di ciascun contingente, che non persero il controllo e tennero a freno i loro uomini, guardando verso di lui… dopo tutto, una volta erano stati soldati. Oliver dal canto suo guardò verso Tris, che era affiancata dalla sua luogotenente Beatrice, e la donna fissò Miles con rabbia.

– Che ti prende adesso? Perderemo il nostro vantaggio… – cominciò a protestare, mentre in tutto il campo iniziava la consueta corsa folle in direzione del rigonfiamento.

– Se mi sono sbagliato – gemette Miles, – dopo mi ucciderò io stesso… aspettate, dannazione! Muovetevi al mio ordine. Non riesco a vedere… Suegar, aiutami a salire…

Issatosi sulle spalle sottili del compagno, Miles fissò lo sguardo in direzione del gonfiore: il muro di forza si era dissolto soltanto per metà quando le prime lontane grida di disappunto cominciarono ad arrivare ai suoi orecchi e lui subito si guardò intorno con mosse frenetiche.

Quanti ingranaggi all'interno di altri ingranaggi ci potevano essere? Se i Cetagandani sapevano, e lui sapeva che loro sapevano, e loro sapevano che lui sapeva che loro sapevano, e… si obbligò a troncare quei farfugliamenti interiori nel momento in cui il secondo gonfiore cominciò a formarsi sul lato opposto del campo rispetto al primo.

– Là! – esclamò, sollevando un braccio di scatto con un dito proteso a indicare il punto esatto. – Là! Andate, andate!

Comprendendo finalmente cosa era successo, Tris emise un fischio sommesso e scoccò a Miles un'occhiata piena di sorpreso rispetto prima di voltarsi di scatto e di lanciarsi in corsa insieme al grosso delle loro forze che stava seguendo da presso le squadre di velocisti. Scivolato giù dalle spalle di Suegar, Miles si avviò zoppicando dietro di loro.

Lanciandosi un'occhiata alle spalle, vide la rotolante grigia massa di umanità abbattersi contro la parete opposta della cupola e invertire la propria direzione di corsa. All'improvviso si sentì come un uomo che stesse cercando di correre più in fretta di un'onda di marea e si concesse un piccolo gemito di anticipazione nell'accelerare il passo più che poteva, cercando di non pensare che quella poteva essere un'altra occasione di essere mortalmente in errore.

Ma no… le squadre di velocisti avevano raggiunto il mucchio, che era effettivamente là, e stavano già cominciando a suddividerlo mentre le truppe di sostegno le circondavano con un muro di corpi disponendosi lungo il perimetro della cupola. I Cetagandani si erano sconfitti con la loro stessa astuzia… per questa volta.

Poi l'onda di marea raggiunse Miles e invece che dalle vette proprie di un comandante lui si trovò a contemplare il mondo dalla stessa altezza da cui lo poteva vedere un verme, perché qualcuno lo spinse alle spalle e lo mandò a cadere con la faccia nella polvere. Miles ebbe l'impressione di riconoscere il cupo Pitt nell'uomo che lo stava superando con un balzo ma non ne fu certo… senza dubbio Pitt lo avrebbe calpestato invece di scavalcarlo. Un momento più tardi Suegar lo afferrò per il braccio sinistro e lo sollevò con uno strattone che lo costrinse a soffocare un urlo di dolore… intorno c'erano già fin troppe urla. Più avanti Miles riconobbe il ragazzo che aveva bloccato nella sua folle corsa e che stava adesso regolando i conti con un avversario dall'aspetto duro.

– Dovresti gridare Mettiti in fila! e non Va' all'inferno! - avvertì nell'oltrepassarlo. – I segnali finiscono sempre per essere modificati in un combattimento… sempre – borbottò poi fra sé.

Beatrice gli si materializzò accanto e Miles si aggrappò immediatamente a lei. Beatrice aveva creato intorno a sé uno spazio personale, un perimetro privato che mantenne anche in quel momento sferrando con noncuranza una gomitata alla mascella di qualcuno, gesto che provocò un nauseante rumore di ossa che si rompevano. Osservando la manovra, Miles pensò che se lui avesse provato a fare la stessa cosa avrebbe ottenuto soltanto di fratturarsi il gomito, mentre probabilmente il capezzolo del suo avversario sarebbe rimasto del tutto illeso. Parlando di capezzoli… Miles si trovò faccia a… ecco, non proprio a faccia… con la rossa e fu costretto a reprimere l'impulso di raggomitolarsi contro la stoffa grigia che copriva la casa base, in quanto era certo che una mossa del genere gli avrebbe fruttato la frattura di entrambe le braccia. Invece si limitò a sollevare lo sguardo verso il volto di lei.

– Vieni – disse Beatrice, e lo trascinò attraverso la ressa, mentre il muro umano delle loro truppe si apriva appena dello spazio necessario per lasciarli passare.

Adesso erano vicino al punto di uscita della fila di distribuzione, e il livello di rumore sembrava essere in calo. Per Dio, stava funzionando. I quattordici gruppi di distribuzione erano ancora ammassati un po' troppo vicini fra loro e a ridosso della parete della cupola, un particolare che avrebbe potuto essere perfezionato la volta successiva, e stavano lasciando passare i supplici uno per volta. I sorveglianti mantenevano la linea in rapido movimento e incanalavano quanti erano già stati forniti della loro razione lungo il perimetro della cupola e al di là del muro umano perché si disperdessero nel campo oltre il limitare della ressa. Oliver aveva incaricato i suoi uomini dall'aspetto più duro di sorvegliare a coppie il flusso in uscita e di controllare che nessuno venisse depredato con la forza della sua razione.

Era passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno aveva avuto la possibilità di fare l'eroe, e non pochi di quei poliziotti di nuova nomina stavano svolgendo il loro lavoro con notevole entusiasmo… forse perché esso permetteva loro di sfogare apertamente antichi rancori. Miles riconobbe uno dei grossi e cupi compari che giaceva prono sotto un paio di guardie e che stava apparentemente incassando una dura battuta… e nel ricordare quali fossero i suoi intenti si sforzò di non trovare gradevole la musica di quei grossi pugni che si abbattevano sulla carne.

Miles, Beatrice e Suegar attraversarono quindi la fila dei prigionieri in uscita con la loro preziosa barra nutritiva e tornarono verso i mucchi di distribuzione, poi Miles andò a cercare Oliver e con un leggero sospiro di rincrescimento lo mandò all'uscita perché riportasse l'ordine fra coloro che erano incaricati di mantenerlo.

Tris intanto sembrava avere sotto un ferreo controllo i mucchi di distribuzione e quanti di volta in volta vi accedevano; notando la cosa, Miles si congratulò con sé per aver pensato di incaricare le donne della distribuzione manuale del cibo, perché aveva toccato senza dubbio un tasto di profonda risonanza emotiva, come dimostrava il fatto che non pochi fra i prigionieri mormoravano una timida parola di ringraziamento quando la barra veniva spinta loro in mano, imitati da quanti venivano dietro di loro nella fila.

No, pensò Miles, guardando in alto verso la cupola uniforme e silenziosa, non avete più il monopolio della guerra psicologica, bastardi. Adesso rovesceremo il vostro gioco e spero che vi roderete il fegato…

Un alterco scoppiato vicino ad una delle pile di cibo interruppe le sue riflessioni e lo indusse ad arricciare un labbro in un'espressione di disgusto nel vedere Pitt al centro della lite. Zoppicando si affrettò ad andare a vedere cosa stava succedendo.

A quanto pareva, Pitt aveva ripagato la sua barra non con un ringraziamento ma con un sogghigno e un commento osceno e offensivo; almeno tre fra le donne che lo avevano sentito stavano ora cercando di farlo a pezzi, ma senza successo, perché Pitt era alto e grosso e non aveva inibizioni di sorta nel combattere, come dimostrò il fatto che una delle donne, non molto più alta di Miles, venne scagliata al suolo con violenza e non si rialzò. Nel frattempo lo scorrimento della linea si era bloccato e il flusso ordinato e civile di quanti aspiravano al loro pasto serale era piombato nel caos, cosa che strappò a Miles una sommessa imprecazione.

– Tu, tu, tu e tu – ordinò, battendo un colpetto sulla spalla degli individui in questione. – Afferrate quel tizio e trascinatelo fuori di qui… scortatelo fino al muro della cupola.

I volontari scelti da Miles non si mostrarono particolarmente entusiasti di quell'incarico, ma nel frattempo Tris e Beatrice erano accorse sulla scena e stavano ora conducendo l'attacco contro Pitt in maniera più scientifica, con il risultato che ben presto questi venne afferrato e trascinato lontano dalla fila e oltre lo schieramento che la proteggeva. Dopo essersi accertato che la distribuzione avesse ripreso a scorrere senza intoppi Miles, che era stato intanto raggiunto da Oliver e da Suegar, concentrò la propria attenzione sul violento e sboccato Pitt.

– Ho intenzione di strappare le palle a questo bastardo – stava dicendo Tris. – Io comando…

– Tu sei un comandante militare – la interruppe Miles, – e se quest'uomo è accusato di condotta insubordinata lo dovresti sottoporre a corte marziale.

– È un violentatore e un assassino – replicò la donna, in tono gelido. – La pena capitale è troppo poco per lui… dovrà morire lentamente.

– È un'idea che mi tenta – mormorò Miles a Suegar, traendolo in disparte, – ma l'idea di lasciarlo nelle mani di Tris mi mette a disagio. Secondo te, da cosa dipende?

– Credo che tu abbia ragione – replicò Suegar, fissandolo con rispetto. – Vedi, qui ci sono… ci sono troppi colpevoli.

In quel momento Pitt, che stava ormai schiumando di rabbia, individuò Miles.

– Tu! Piccolo omuncolo leccapiedi… credi che loro ti possano proteggere? – gridò, indicando Tris e Beatrice con un movimento secco del capo. – Non hanno muscoli sufficienti, le abbiamo domate una volta e lo faremo ancora. Non avremmo perso quella dannata guerra se avessimo avuto veri soldati… come i Barrayarani, che non riempiono il loro esercito di femmine e di leccapiedi. Loro hanno sbattuto i Cetagandani fuori del loro pianeta…

– Non so perché – ringhiò Miles, abboccando alla provocazione, – ma dubito che tu sia un esperto delle tecniche di difesa del loro pianeta nella Prima Guerra Cetagandana, altrimenti avresti imparato qualcosa…

– Tris ti ha nominato forse ragazza onoraria, mutante? – lo beffò Pitt. – Non ci vorrebbe molto…

Perché sto qui a scambiare insulti con questo delinquente demente? Si chiese Miles, mentre Pitt continuava a urlare insulti. Non c'è tempo per queste cose, quindi chiudiamo la faccenda.

– A nessuno di voi è ancora venuto in mente che quest'uomo deve di certo essere un agente cetagandano? – chiese, indietreggiando di un passo e incrociando le braccia sul petto.

Perfino Pitt scivolò in un silenzio sconvolto.

– Le prove sono evidenti – proseguì Miles, con decisione, sollevando la voce in modo che tutti potessero sentirlo. – Lui è risultato un elemento di rilievo nel distruggere la vostra disciplina. Per esempio, la sua astuzia ha corrotto gli onesti soldati che gli stavano intorno, li ha messi gli uni contro gli altri. Voi eravate i combattenti migliori di Marilac, e siccome non potevano essere certi del vostro crollo, i Cetagandani hanno piantato un seme malvagio in mezzo a voi, per essere sicuri di riuscire, e la cosa ha funzionato… meravigliosamente bene. Voi non avete mai sospettato…

– Fratello Miles… – mormorò affrettatamente Oliver, parlandogli in un orecchio, – conosco quel tizio e so che non è un agente cetagandano. È soltanto come un sacco di…

Taci, Oliver – sibilò Miles, a denti stretti, poi riprese la sua arringa usando il tono più forte e scandito di cui era capace. – È ovvio che si tratta di una spia cetagandana, di una talpa. E per tutto questo tempo voi avete creduto che quanto accadeva era qualcosa che vi stavate facendo da soli.

E dove il diavolo non esiste, pensò fra sé, può essere comodo inventarne uno.

Per quanto disgustato dalla propria azione, continuò a sfoggiare un'espressione di giusta indignazione, e nello scrutare i volti che lo stavano fissando notò che parecchi erano pallidi quanto doveva esserlo il suo, anche se il loro pallore aveva una causa diversa. Un sommesso borbottio, in parte sconcertato e in parte minaccioso, stava cominciando a levarsi dai presenti.

– Toglietegli la casacca – ordinò quindi Miles, – e stendetelo al suolo prono. Suegar, dammi la tua tazza.

Sedutosi a cavalcioni dello sventurato Pitt, Miles si servì quindi dello spuntone acuminato che sporgeva lungo il lato spezzato della tazza come della punta di uno stilo e incise a grandi lettere le parole SPIA DI CETA sull'ampia schiena della sua vittima, esercitando una pressione tanto forte e spietata da far uscire il sangue e ignorando il modo in cui Pitt urlava e .si dimenava. Alla fine Miles si rialzò tremante e senza fiato per qualcosa di più della semplice fatica fisica.

– Adesso – ordinò, – dategli la sua barra nutritiva e scortatelo all'uscita.

Tris aprì la bocca per protestare ma la richiuse subito di scatto, fissando con occhi roventi la schiena di Pitt che veniva scortato lontano; il suo sguardo si posò quindi con espressione pensosa sul volto di Miles mentre andava ad affiancarglisi, imitata da Oliver.

– Pensi davvero che sia un cetagandano? – gli chiese a bassa voce.

– È impossibile che lo sia – dichiarò Oliver, secco. – Cosa diavolo significa questa commedia, Fratello Miles?

– Non dubito minimamente che le accuse di Tris in merito agli altri crimini da lui commessi siano vere – spiegò Miles, con voce tesa, – e devi saperlo anche tu. Non lo si poteva però punire per essi senza provocare una divisione nel campo e minare così l'autorità di Tris. In questo modo, invece, Tris e le altre donne hanno avuto la loro vendetta senza tirarsi addosso l'ostilità di metà degli uomini. Così le mani del comandante sono pulite e tuttavia è stata fatta giustizia di un criminale, senza contare che un duro elemento che senza dubbio ci avrebbe tormentati dall'esterno è stato messo in condizione di non nuocere. Inoltre, chiunque altro avesse idee simili alle sue ha ricevuto un avvertimento che non si può permettere di ignorare. È una soluzione che funziona a tutti i livelli.

Mentre lui parlava, il volto di Oliver aveva gradualmente perso ogni espressione.

– Combatti in maniera sporca, Fratello Miles – commentò infine il sergente.

– Non posso permettermi di perdere – ritorse Miles, scoccandogli una cupa occhiata da sotto le sopracciglia aggrottate. – Tu puoi?

– No – ammise Oliver, serrando le labbra.

Tris non avanzò nessun commento.


Miles sovrintese di persona alla distribuzione delle barre nutritive a tutti quei prigionieri che erano tanto deboli, malati o avviliti che non avevano neppure tentato di procurarsene una. Il Colonnello Tremont giaceva ancora sulla sua stuoia, raggomitolato e con lo sguardo fisso nel vuoto. Inginocchiatosi, Oliver chiuse quegli occhi ormai secchi e privi di vita: il Colonnello era morto in un momento imprecisato delle ultime ore.

– Mi dispiace – disse sinceramente Miles. – Mi dispiace di essere arrivato troppo tardi.

– Va bene… – mormorò Oliver. – Va bene…

Si alzò in piedi, mordendosi il labbro inferiore, poi scosse il capo e non aggiunse altro. Miles, Suegar, Tris e Beatrice lo aiutarono a trasportare il corpo, insieme alla stuoia, ai vestiti, alla tazza e a tutto il resto, fino all'ammasso di pietre, e una volta lì Oliver infilò sotto il braccio dei morto la barra nutritiva che aveva tenuto da parte per lui. Dopo che i quattro si furono allontanati nessuno tentò di derubare il cadavere, anche se un altro già rigido che giaceva poco lontano era stato depredato di tutto e giaceva nudo e prono.

Di lì a poco i quattro s'imbatterono nel cadavere di Pitt: la causa della morte era probabilmente lo strangolamento, ma la faccia era stata percossa in maniera tale che era impossibile determinarlo con certezza.

Accoccolatasi accanto al corpo, Tris sollevò lo sguardo su Miles e parve rivalutarlo lentamente.

– Credo che tu avessi ragione in merito al potere, ometto – disse.

– E in merito alla vendetta?

– Credevo che non avrei mai potuto averne abbastanza – sospirò la donna, fissando il cadavere. – Sì… avevi ragione anche in questo.

– Grazie – replicò Miles, urtando il corpo con un piede. – Però non commettere errori… questa è una perdita per la nostra parte.

Poi tirò via Suegar, lasciando che fosse qualcun altro a trascinare il corpo fino alla massa di detriti.


Immediatamente dopo la distribuzione del cibo Miles indisse un consiglio di guerra a cui parteciparono Tris, Beatrice, Suegar e Oliver… coloro che Miles cominciava a considerare i suoi comandanti in seconda… più i capi dei quattordici gruppi in cui le loro forze erano state divise. La riunione ebbe luogo su un tratto di terreno pulito vicino ai confini del campo delle donne, e una volta che ci furono tutti Miles prese a passeggiare avanti e indietro arringandoli con gesti decisi.

– Una nota di merito ai capi dei gruppi per il lavoro eccellente che hanno svolto e al Sergente Oliver per averli scelti. Portando a termine con successo questa manovra vi siete conquistati non soltanto la fedeltà della maggior parte del campo ma anche del tempo. Da questo momento ogni nuova distribuzione del cibo dovrebbe essere più facile e più scorrevole, una esercitazione pratica per la successiva.

«Non mi fraintendete, questa è un'esercitazione militare e noi siamo di nuovo in guerra. Abbiamo già indotto i Cetagandani a infrangere la loro routine calcolata con tanta cura e a fare una contromossa: noi abbiamo agito e loro hanno reagito… per quanto vi possa sembrare strano, il vantaggio offensivo è stato dalla nostra parte.

«Adesso dobbiamo cominciare a pianificare le nostre future strategie, e voglio che voi tutti pensiate a quale sarà la prossima sfida dei Cetagandani. – In realtà voglio che pensiate, e basta. - E ora ho finito con le prediche. Comandante Tris, a te la parola.

A quel punto Miles si costrinse a rimettersi a sedere a gambe incrociate, cedendo il campo al comandante che aveva scelto, che lei lo volesse o meno: dopo tutto, Tris era stata un ufficiale sul campo e non di stato maggiore ed aveva più di lui bisogno di fare pratica.

– Naturalmente – cominciò la donna, schiarendosi la gola, – i Cetagandani potrebbero mandare dentro mucchi ridotti, come hanno già fatto in passato… c'è chi ha suggerito addirittura che sia stato questo l'inizio dell'attuale disordine. – A questo punto fece una pausa e lanciò un'occhiata a Miles, che le rivolse un cenno d'incoraggiamento. – Ciò significa che dovremo cominciare a tenere un conto di quanti vengono a prelevare le razioni e stabilire una serie di rigidi turni delle persone che di volta in volta dovranno dividere la loro razione con chi ne è rimasto privo. Ogni caposquadra dovrà scegliere un quartiermastro e due contabili che verifichino i suoi conti.

– Un altro modo eccellente in cui i Cetagandani potrebbero cercare di gettarci di nuovo nel disordine – non poté trattenersi dall'interloquire Miles, – sarebbe quello di mandarci razioni in eccedenza per vedere come ce la caviamo a suddividere gli extra. Se fossi in te – aggiunse, indirizzando a Tris un blando sorriso, – considererei anche le contromosse in un'eventualità del genere.

– Potrebbero inoltre operare la distribuzione sotto forma di mucchi sparpagliati – riprese la donna, inarcando un sopracciglio nella sua direzione, – in modo da renderci più difficile impadronircene e controllare l'assegnazione delle singole razioni. Ci sono altri sporchi trucchi che riesci a prevedere? – concluse, lanciando un'altra occhiata a Miles.

– Signora – chiamò uno dei capisquadra, sollevando con esitazione una mano, – di certo loro stanno ascoltando tutto. Non è che stiamo suggerendo loro delle idee?

Miles si alzò in piedi per rispondere a quella domanda in maniera diretta e a voce alta.

– È ovvio che stanno ascoltando, e senza dubbio in questo momento abbiamo la loro attenzione assoluta e incondizionata – replicò, accennando alla cupola con un rozzo gesto. – Che ascoltino pure. Ogni mossa che faranno sarà per noi un messaggio dall'esterno, un'ombra che definisce meglio la loro forma, un'informazione sul loro conto che noi assorbiremo.

– Supponi che ci tolgano di nuovo l'aria… in maniera permanente – intervenne un altro caposquadra, con esitazione ancora maggiore del primo.

– In quel caso – ribatté con disinvoltura Miles, – perderanno la posizione di vantaggio rispetto alla Commissione di Giustizia Interstellare che si sono guadagnati a prezzo di tanta fatica. Quella che stanno conducendo di recente è una guerra di propaganda, soprattutto da quando la tensione derivante da come stanno andando le cose in patria impedisce alla nostra parte di provvedere adeguatamente alle sue truppe… e ancor meno ai prigionieri cetagandani. Di conseguenza i Cetagandani, che sostengono pubblicamente di condividere con noi il loro governo imperiale per generosità culturale, affermano che questa è una dimostrazione della superiorità della loro civiltà e delle loro buone maniere…

Alcuni versi beffardi e parecchi fischi espressero adeguatamente l'opinione che i prigionieri avevano in merito a queste affermazioni.

– La percentuale di decessi relativa a questo campo è così elevata che ha attirato l'attenzione della Commissione – proseguì Miles, con un sorriso. – Finora i Cetagandani sono riusciti a coprirsi le spalle nel corso di tre distinte ispezioni della Commissione, ma una mortalità del 100% sarebbe un po' eccessiva per poter essere giustificata.

Un brivido di assenso e di rabbia repressa si diffuse fra i suoi rapiti ascoltatori mentre lui tornava a sedersi.

– Come diavolo ti sei procurato tutte queste informazioni? – sussurrò Oliver, protendendosi verso di lui.

– Sono risultato convincente? – sogghignò Miles. – Bene.

– Non hai inibizioni di nessun genere, vero? – commentò Oliver, traendosi indietro con espressione un po' sconvolta.

– Non in combattimento.

Tris e i capisquadra passarono le successive due ore stabilendo le diverse ipotesi secondo cui si sarebbe potuta articolare la successiva distribuzione del cibo ed elaborando la reazione tattica a ciascuna di esse, poi la riunione si sciolse per permettere ai capisquadra di andare a riferire le informazioni ai loro subordinati, e Oliver fece altrettanto con il suo gruppo di sorveglianti supplementari.

Tris si fermò invece accanto a Miles, che in un momento imprecisato delle precedenti due ore aveva infine ceduto alla pressione della gravità e giaceva adesso disteso nella polvere con lo sguardo un po' vacuo fisso sulla cupola, sbattendo le palpebre nello sforzo di continuare a tenere gli occhi aperti. Non aveva infatti dormito per tutto il giorno e mezzo precedente al momento in cui era entrato nel campo e non sapeva con esattezza quanto tempo fosse trascorso da quando vi aveva messo piede.

– Mi è appena venuto in mente un altro scenario – affermò Tris. – Come ci comporteremo se loro non faranno nulla? Se non reagiranno e non apporteranno cambiamenti?

– Mi sembra la mossa più probabile – replicò Miles, annuendo. – Credo che quel tentativo di trarci in inganno durante la scorsa distribuzione sia stato un errore da parte loro.

– Ma in assenza del nemico, per quanto tempo possiamo andare avanti fingendo di avere un esercito? – insistette lei. – Hai dovuto grattare il fondo per riuscire a metterci insieme, e che accadrà quando questo ultimo impeto di energie si sarà esaurito?

Miles si raggomitolò su un fianco, sentendosi sprofondare in strani pensieri privi di forma coloriti dall'accenno di un sogno erotico riguardante quell'alta e aggressiva rossa, e sbadigliò voluttuosamente.

– Allora pregheremo per avere un miracolo. Ricordami di discutere di miracoli con te… più tardi.

Qualche tempo dopo si svegliò per un istante quando qualcuno gli infilò sotto il corpo una stuoia, e indirizzò a Beatrice un sorriso intimo e assonnato.

– Folle mutante – ringhiò la ragazza, facendolo rotolare rudemente sulla stuoia, – non pensare che sia stata una mia idea.

– Sai, Suegar – borbottò Miles, – credo di piacerle.

E tornò a raggomitolarsi serenamente nell'abbraccio della Beatrice presente nel suo sogno.


Con segreto sgomento di Miles, la sua analisi delle mosse del nemico risultò esatta. I Cetagandani tornarono infatti alla loro originale routine di distribuzione delle barre nutritive, senza reagire ai mutamenti subiti dall'ordine interno dei prigionieri, cosa che Miles non era sicuro di apprezzare. Certo, questo gli avrebbe dato il tempo di perfezionare al massimo il suo schema di distribuzione, ma qualche azione di disturbo da parte di chi controllava la cupola sarebbe servita a dirigere l'attenzione dei prigionieri verso l'esterno, dando di nuovo loro un nemico da combattere e soprattutto infrangendo la noia paralizzante che avviluppava la loro esistenza. A lungo andare, era possibile che la previsione di Tris risultasse esatta.

– Detesto un nemico che non commette errori – borbottò in tono irritato Miles, e concentrò tutti i propri sforzi sugli eventi che poteva controllare.

Trovò un flemmatico prigioniero con il battito cardiaco regolare e gli ordinò di stendersi per terra e di contare le proprie pulsazioni, usando questo metodo per calcolare i tempi di distribuzione e mettendosi poi all'opera per ridurli il più possibile.

– È un esercizio spirituale – annunciò, quando infine arrivò a far distribuire dai capisquadra le barre con un ritmo di 200 per volta, con trenta minuti di distacco fra un gruppo e l'altro, poi trasse Tris in disparte e aggiunse: – In effetti è un cambiamento di ritmo. Se non riusciamo a indurre i Cetagandani a produrre qualche diversivo, allora dobbiamo pensarci da soli.

Al tempo stesso riuscì finalmente ad ottenere un conto esatto di tutti i prigionieri superstiti… durante ogni distribuzione era sempre presente esortando, pressando, spingendo e controllando.

– Se davvero vuoi che facciamo più in fretta – protestò Oliver, – dividiamo le barre in un numero maggiore di mucchi.

– Non bestemmiare – ribatté Miles, e si rimise all'opera per indurre i suoi gruppi a trasportare le barre verso i mucchi di distribuzione disposti a intervalli regolari lungo il perimetro della cupola.

Alla fine della diciannovesima distribuzione dal momento del suo arrivo nel campo, Miles giunse a ritenere che il sistema da lui elaborato fosse finalmente completo e teologicamente perfetto: considerando che due distribuzioni indicassero un arco di ventiquattro ore, si trovava ormai nel campo da nove giorni.

– Sono sfinito – si rese conto, con un gemito, – ed è troppo presto.

– Stai piangendo perché non hai altri mondi da conquistare? – domandò Tris, con un sorriso sarcastico.

Entro la trentaduesima distribuzione il sistema funzionava ormai senza nessun intoppo, ma Miles cominciava, ad avere i nervi logorati.

– Benvenuto alla lunga marcia – commentò Beatrice, in tono secco. – È meglio che cominci ad abituarti, Fratello Miles, perché se quello che dice Tris è vero, è possibile che noi si resti qui ancora più a lungo per causa tua. Un giorno o l'altro dovrò ricordarmi di ringraziarti adeguatamente per questo.

E gli indirizzò un sorriso minaccioso che indusse Miles a ricordarsi prudentemente di un impegno da assolvere dalla parte opposta del campo.

Beatrice però aveva ragione… una consapevolezza che aveva il potere di deprimere Miles. La maggior parte delle persone rinchiuse lì dentro non calcolavano la loro reclusione in giorni e settimane ma in mesi ed anni, e lui stesso avrebbe finito per perdere la ragione in un periodo di tempo che per la maggior parte di loro sarebbe stato un semplice batter d'occhio. Sempre più cupo, si chiese quale forma la sua pazzia avrebbe assunto, se sarebbe diventato un maniaco animato da illusioni di grandezza e convinto di essere per esempio il Conquistatore di Komarr o se invece sarebbe scivolato nella depressione come Tremont, raggomitolandosi su se stesso fino a perdere la propria identità e a diventare una sorta di buco nero umano.

Miracoli. Nel corso di tutta la storia c'erano stati condottieri che si erano sbagliati nel calcolare il momento esatto dell'armageddon e che avevano condotto i loro greggi tosati in cima alla montagna ad aspettare un'apoteosi che non era mai giunta… condottieri la cui esistenza successiva era stata di solito caratterizzata dall'oblio e da problemi di alcoolismo. Lì però non c'era nulla da bere, anche se lui avrebbe voluto all'istante sei dosi doppie di liquore.

All'istante.


Miles prese l'abitudine di percorrere il perimetro della cupola dopo ogni distribuzione, in parte per effettuare… o almeno fingere di effettuare… un'ispezione e in parte per consumare un poco della fastidiosa energia nervosa che stava accumulando e che gli rendeva sempre più difficile dormire. Nel campo c'era stato un periodo di calma dopo che la distribuzione del cibo era stata regolata con successo, come se quell'ordine improvviso fosse stato un cristallo lasciato cadere in una soluzione supersatura, ma negli ultimi giorni il numero delle risse interrotte dai sorveglianti era aumentato e i sorveglianti stessi si erano mostrati più rapidi a passare alla violenza, assumendo un atteggiamento spiacevolmente minaccioso. Fasi della luna… chi poteva correre più veloce della luna?

– Rallenta, Miles – si lamentò Suegar, che gli stava camminando accanto.

– Scusami – rispose Miles, controllando l'andatura ed emergendo dalle proprie riflessioni per guardarsi intorno. La cupola luminosa si levava alla sua sinistra e dava l'impressione di vibrare di un sommesso ronzio appena al di fuori della sua soglia uditiva, mentre alla sua destra regnava la quiete, caratterizzata da gruppi di persone per lo più seduti, e non sembravano esserci grandi cambiamenti da ciò che lui aveva visto il giorno del suo arrivo lì. Forse la tensione era diminuita, forse c'era un maggiore interessamento collettivo nei confronti di chi era ferito o malato… fasi della luna. Scrollandosi di dosso il proprio senso di disagio, si costrinse a sorridere allegramente a Suegar.

– Ultimamente ottieni qualche reazione più positiva ai tuoi sermoni? – gli chiese.

– Ecco… nessuno cerca più di picchiarmi – rispose Suegar, – ma del resto non sto più predicando con molta frequenza, perché sono troppo occupato con le distribuzioni del cibo e con tutto il resto. Inoltre, adesso ci sono i sorveglianti… è difficile dare una valutazione.

– Intendi continuare a predicare?

– Oh, sì – dichiarò Suegar, poi fece una pausa e aggiunse: – Ho visto posti peggiori di questo, sai. Una volta, quando ero poco più che un ragazzo, sono stato in un campo minerario. Avevano scoperto un giacimento di gemme di fuoco, e tanto per cambiare esso non era stato assegnato ad una grossa compagnia o al governo ma era stato diviso in centinaia di piccoli lotti di circa due metri quadrati. C'era gente che scavava con le mani e con le cazzuole… le gemme di fuoco sono delicate e un colpo troppo forte le può mandare in frantumi… lavorando giorno dopo giorno sotto un sole rovente. Molti di quei tizi avevano meno indumenti di quanti ne abbiamo noi adesso, e parecchi mangiavano peggio e con minore regolarità, lavorando fino a spezzarsi la schiena. Inoltre c'erano più incidenti e più malattie che qui. E c'erano anche risse, in abbondanza.

«Quelli erano però uomini che vivevano per il futuro, che compivano incredibili atti di resistenza fisica di loro spontanea volontà, animati dalla speranza e come ossessionati. Erano… ecco, tu me li ricordi parecchio, perché quegli uomini non si sarebbero arresi per nessun motivo. In un anno hanno trasformato una montagna in una voragine, e tutto con le nude mani e con le loro cazzuole. È stata una cosa esaltante, mentre questo posto mi terrorizza – aggiunse, guardandosi intorno e accarezzando lo straccio legato al polso sinistro. – Risucchia il tuo futuro e ti inghiotte… qui è come se la morte fosse soltanto una formalità. È un posto di zombie, una città suicida. Il giorno che smetterò di tentare di predicare, questo posto mi divorerà.

Miles rispose con un distratto borbottio di assenso. Si stavano avvicinando al punto del circuito più distante dal campo delle donne, accanto ai cui confini ora permeabili lui e Suegar tenevano le loro stuoie per dormire.

Due uomini che stavano camminando lungo la cupola nella direzione opposta si unirono ad un secondo paio in tenuta grigia, e nello stesso momento altri tre si alzarono dalle loro stuoie alla destra di Miles, con mosse casuali e noncuranti. Sebbene non potesse esserne certo senza voltare la testa, Miles ebbe inoltre l'impressione di notare un movimento periferico anche alle sue spalle.

I quattro che stavano avanzando verso di loro si fermarono a qualche metro di distanza, cosa che indusse Miles e Suegar ad esitare davanti a quegli uomini vestiti di grigio di taglia svariata ma tutti più grandi di Miles… e chi non lo era? I membri del gruppetto li stavano fissando con espressione accigliata e piena di una tensione che arrivò fino a Miles e che gli fece stridere i nervi quando riconobbe fra i quattro uno dei grossi e cupi compari che aveva visto insieme a Pitt. Non si prese neppure la briga di distogliere lo sguardo da quell'uomo per guardarsi intorno alla ricerca dei sorveglianti, anche perché era certo che uno degli individui che avevano di fronte fosse un sorvegliante.

E la cosa peggiore di tutte era che era colpa sua se ora si trovavano con le spalle al muro… ammesso che si potesse usare una definizione del genere in quel luogo… perché aveva permesso che i suoi movimenti quotidiani assumessero una routine prevedibile. Uno stupido, basilare, imperdonabile errore da principiante.

Il luogotenente di Pitt venne avanti mordicchiandosi il labbro inferiore e fissando Miles con occhi infossati.

Sta cercando di darsi la carica, si rese conto questi. Se il suo unico intento fosse quello di pestarmi fino a ridurmi in poltiglia potrebbe farlo anche dormendo.

Mentre lo fissava, l'uomo giocherellava con una corda fatta di stracci intrecciati con cura, un laccio per strangolare… no, non si trattava di un'altra battuta, questa volta avevano in programma un vero e proprio omicidio premeditato.

– Tu – ringhiò con voce rauca il luogotenente di Pitt, – all'inizio non ero riuscito a inquadrarti, perché non sei uno di noi, non avresti mai potuto esserlo. Mutante… sei stato tu stesso a fornirmi l'indizio giusto: Pitt non era una spia dei Cetagandani, ma tu lo sei!

E scattò in avanti.

Miles schivò, sopraffatto dall'attacco verbale e da un'improvvisa comprensione. Dannazione, aveva saputo fin dall'inizio che ci doveva essere un valido motivo per cui marchiare Pitt in quel modo gli era parso un errore sebbene si trattasse di una soluzione tanto efficiente; il valido motivo era che quella falsa accusa costituiva un'arma a doppio taglio, pericolosa tanto per chi la brandiva quanto per chi la subiva. Era evidente che il luogotenente di Pitt era convinto che la propria accusa fosse vera, e dal momento che era stato lo stesso Miles a dare il via alla caccia alle streghe, c'era una certa giustizia poetica nel fatto che lui ne fosse la prima vittima, ma dove sarebbe finita quella storia? Non c'era da meravigliarsi che i loro catturatori non avessero interferito, ultimamente: i loro silenziosi osservatori cetagandani dovevano in quel momento essere piegati in due dal ridere… un errore accumulato sull'altro, e quella catena di errori sarebbe culminata ora con la sua morte per mano di quei vermi in quella tana di vermi…

Delle mani lo afferrarono e lui si contorse in maniera spasmodica, scalciando, ma riuscì a spezzare soltanto in parte la presa che lo tratteneva; al suo fianco, Suegar si voltò di scatto e prese a colpire con pugni e calci, urlando come un indemoniato. Suegar aveva le braccia lunghe, ma non era abbastanza massiccio, mentre Miles era carente tanto nella lunghezza di braccia quanto nel peso; nonostante il suo fisico sparuto, comunque, Suegar riuscì per un momento a infrangere la presa che l'assalitore aveva stretto intorno a Miles.

Poi il braccio sinistro di Suegar venne afferrato e bloccato mentre lui lo tirava indietro per sferrare un colpo di rovescio, e Miles sussultò in anticipazione del previsto e familiare crepitio soffocato dell'osso che si rompeva… ma l'uomo si limitò invece a strappargli dal polso il bracciale di stracci intrecciati.

– Ehi, Suegar – beffò l'assalitore, saltellando all'indietro, – guarda cos'ho preso!

Suegar girò la testa di scatto, dimenticando di colpo la determinazione con cui fino a quel momento aveva cercato di difendere Miles, e nel vedere l'uomo che tirava fuori il malconcio pezzo di carta dalla sua protezione di stoffa e lo agitava nell'aria si gettò in avanti con un urlo soffocato, venendosi però a trovare bloccato da altri due corpi. L'uomo strappò il foglio di carta in due ed esitò per un momento come se non sapesse come liberarsi dei frammenti… poi sogghignò improvvisamente e s'infilò i due pezzi in bocca, mettendosi a masticare. Suegar urlò.

– Dannazione! – gridò Miles, furioso. – Era me che volevate! Non era necessario fare questo… – E sferrò con tutte le sue forze un pugno contro la faccia sogghignante del suo più vicino assalitore, che era stato temporaneamente distratto dalla reazione di Suegar.

Immediatamente sentì le ossa che gli si rompevano fino al polso: era così dannatamente stanco di quelle ossa, stanco di soffrire ancora, e ancora…

Urlando e singhiozzando, Suegar stava cercando di arrivare all'uomo che era ancora intento a masticare il pezzo di carta, ma adesso il suo attacco aveva perso ogni scientificità e lui si agitava come un ossesso. Miles lo vide cadere al suolo, poi la sua attenzione fu interamente reclamata dalle spire della corda che gli si stava avvolgendo intorno al collo come un'anaconda. Riuscì a infilare una mano fra la corda e il proprio collo, ma si trattava di quella fratturata ed elettriche fitte di dolore gli salirono lungo il braccio e diedero l'impressione di affondargli sotto la pelle all'altezza della spalla. La pressione nella sua testa andò crescendo fino a quando gli parve che stesse per esplodere; macchie color porpora scuro punteggiate di giallo presero ad offuscargli la vista come nembi di tempesta, poi una chiazza di capelli rossi saettò davanti al suo campo visivo sempre più ristretto…

Un momento più tardi Miles si ritrovò steso al suolo, con il sangue che tornava a fluire meravigliosamente nel suo cervello affamato di ossigeno, e per un momento rimase passivo dove si trovava senza curarsi di niente altro: sarebbe stato così bello non doversi rialzare…

Quella dannata cupola, fredda, bianca e uniforme, fu la prima immagine che salutò beffarda lo schiarirsi della sua vista, e per reazione lui si sollevò di scatto in ginocchio, guardandosi intorno con espressione sconvolta: Beatrice, alcuni sorveglianti e qualche commando di Oliver stavano inseguendo gli aspiranti assassini per il campo, il che significava che lui doveva aver perso i sensi soltanto per pochi secondi. Suegar giaceva al suolo ad un paio di metri di distanza.

Miles strisciò fino a raggiungerlo e vide che era raggomitolato su se stesso con le braccia strette intorno allo stomaco: il suo volto era verdastro e madido di sudore gelido, mentre tremiti incontrollati gli correvano lungo il corpo. Era evidente che era in stato di shock, e in questi casi il paziente doveva essere tenuto al caldo e gli doveva essere somministrata della synergina… lì però non c'era synergina. Goffamente, Miles si sfilò la tunica e la stese addosso all'amico.

– Suegar? Stai bene? Beatrice ha messo in fuga quei barbari…

Suegar sollevò lo sguardo e gli rivolse un fugace sorriso che fu però quasi immediatamente riassorbito e soffocato dal dolore.

Qualche tempo dopo Beatrice tornò indietro, arruffata e con il respiro affannoso.

– Voi due svitati – commentò, squadrandoli spassionatamente, – non avete bisogno di una guardia del corpo ma di un dannato custode.

Si lasciò quindi cadere in ginocchio accanto a Miles e fissò per un momento Suegar con le labbra serrate in una sottile linea bianca; quando infine spostò lo sguardo su Miles, i suoi occhi si erano fatti cupi e aggrondati.

Ho cambiato idea, pensò Miles, non cominciare a interessarti a me, Beatrice, non interessarti a nessuno, perché otterrai soltanto di soffrire, ancora, ancora e ancora…

– È meglio che torniate al mio gruppo – suggerì infine la ragazza.

– Non credo che Suegar possa camminare.

Beatrice si procurò qualche robusto volontario e ben presto Suegar venne fatto rotolare su una stuoia e trasportato fino al luogo dove erano ormai soliti dormire in maniera che ricordava sgradevolmente quella in cui il cadavere del Colonnello Tremont era stato portato fino al cumulo di detriti.

– Trovategli un dottore – chiese Miles.

Di lì a poco Beatrice fu di ritorno trascinando per un braccio una donna furente e più anziana di lei.

– Probabilmente ha delle lesioni all'addome – ringhiò la dottoressa. – Se avessi un visore diagnostico potrei dirti con esattezza di che lesioni si tratta… ma tu hai un visore diagnostico? Ha bisogno di synergina e di plasma… tu ne hai? Se avessi una sala operatoria potrei operarlo, rimettere insieme i suoi pezzi e accelerare la sua guarigione con l'elettrostimolante… lo rimetterei in piedi in tre giorni. Tu hai una sala operatoria? Non credo.

«E smettila di guardarmi in quel modo. Credevo di essere una risanatrice e ci è voluto questo posto per farmi capire che non ero altro che un'interfaccia fra la tecnologia e il paziente. Adesso che la tecnologia mi è stata sottratta, io non sono nulla.

– Ma cosa possiamo fare? – chiese Miles.

– Copritelo e tenetelo caldo. Fra qualche giorno migliorerà o morirà, a seconda del tipo di lesioni che ha riportato. Tutto qui.

La donna fece una pausa, incrociando le braccia e contemplando Suegar con rancore, come se le lesioni da lui subite fossero un affronto fatto a lei personalmente… e così era, dal suo punto di vista: un altro carico di dolore e di fallimento che riduceva in polvere quell'orgoglio di medico che lei si era guadagnata con tanta fatica.

– Io credo che morirà – aggiunse infine.

– Lo credo anch'io – replicò Miles.

– Allora perché mi hai fatta cercare? – ritorse la donna, allontanandosi a grandi passi.

Più tardi la dottoressa tornò con un'altra stuoia e un paio di ulteriori indumenti che avvolse intorno a Suegar per isolarlo meglio prima di allontanarsi di nuovo.

Più tardi Tris venne a cercare Miles.

– Abbiamo preso quei tizi che hanno cercato di assassinarti – gli riferì. – Cosa vuoi che ne facciamo?

– Lasciateli andare – rispose stancamente Miles. – Non sono loro il nemico.

– Un accidente se non lo sono!

– Non sono i miei nemici, comunque. Si è trattato soltanto di un caso di errore d'identità: io non sono che un viandante impotente di passaggio da queste parti.

– Svegliati, ometto. Si dà il caso che io non condivida la fede di Oliver nel tuo «miracolo». Tu non sei di passaggio, qui… questa è la tua ultima fermata.

– Comincio a pensare che tu abbia ragione – sospirò Miles, lanciando un'occhiata a Suegar, il cui respiro era troppo rapido e troppo poco profondo. – Ormai è quasi certo che tu abbia ragione. Tuttavia… lasciali andare.

– Perché? – protestò Tris, indignata.

– Perché lo dico io, perché te lo chiedo. Vuoi che implori per loro?

– No! D'accordo! – sbottò la donna, e si allontanò di scatto, passandosi le mani fra i capelli corti e borbottando fra sé.


Trascorse un tempo imprecisato. Suegar giaceva su un fianco senza parlare, anche se di tanto in tanto i suoi occhi si aprivano per guardarsi intorno con sguardo opaco. Miles gli umettò le labbra a intervalli regolari e non si allontanò da lui neppure per la distribuzione del cibo, che giunse e passò senza la sua partecipazione; ad operazione ultimata Beatrice gli passò vicino e lasciò cadere accanto a loro due barre nutritive, fissandoli per un momento con uno sguardo accuratamente improntato a dura disapprovazione prima di allontanarsi di nuovo.

Sorreggendosi con cautela la mano ferita, Miles rimase seduto a gambe incrociate, impegnato a revisionare mentalmente il catalogo di errori che lo aveva portato a quella situazione, a contemplare la sua apparente genialità nel far finire uccisi i suoi amici. Aveva la premonizione che la morte di Suegar sarebbe stata quasi altrettanto sgradevole quanto quella del Sergente Bothari, sei anni prima… e lui conosceva Suegar soltanto da settimane, non da anni. Come aveva sempre saputo a livello razionale, il ripetersi della sofferenza aumentava il timore di soffrire invece di diminuirlo, lo trasformava in un devastante terrore. Non di nuovo, mai di nuovo…

Si distese sulla schiena e fissò la cupola, quel bianco occhio fisso di un dio morto. Aveva altri amici che avrebbero potuto già essere morti in questa folle e megalomaniaca impresa… sarebbe stato tipico dei Cetagandani lasciarlo rinchiuso lì dentro fino a quando il dubbio e il timore non fossero gradualmente cresciuti fino a farlo impazzire.

A farlo impazzire in fretta… l'occhio del dio aveva appena ammiccato.


Miles sbatté a sua volta le palpebre per reazione nervosa, poi sgranò gli occhi e fissò la cupola come se il suo sguardo potesse trapassarla. Aveva realmente ammiccato? Oppure quel tremolio era stato un'allucinazione? Stava davvero perdendo il senno?

La cupola tremolò ancora e Miles balzò in piedi, traendo una rapida successione di profondi respiri.

Poi la cupola scomparve. Per un breve istante la notte planetaria gli si riversò intorno, fatta di nebbia, di pioggia sottile e di un vento freddo e umido. L'aria non filtrata puzzava di uova marce e l'oscurità a cui lui non era abituato era accecante.

– DISTRIBUZIONE DEL CIBO! – urlò, con quanto fiato aveva in gola.

Un istante più tardi quel limbo fu trasformato in caos dal brillante bagliore di una bomba controllata elettronicamente che era esplosa alle spalle di un gruppo di edifici: una luce rossa risplendette lungo il lato inferiore di un'enorme nuvola di detriti che si stava sollevando rapidamente verso l'alto. Una fragorosa serie di simili esplosioni cinse il campo e respinse la notte, assordando tutti gli orecchi privi di protezione al punto che Miles, pur continuando a gridare, non riuscì più a sentire la propria voce mentre il fuoco di risposta che scaturiva dal terreno artigliava le nubi con linee di luce colorata.

Vedendo Tris che gli passava accanto di corsa, con un'espressione stordita nello sguardo, Miles l'afferrò per un braccio con la mano sana e piantò i talloni nel terreno per frenarla fino a poterle urlare le proprie parole nell'orecchio.

– Ci siamo! Organizza i quattordici capisquadra e provvedi perché mettano in fila e in attesa tutt'intorno al perimetro i primi dannati gruppi di 200 uomini, poi trova Oliver, perché dobbiamo far sì che i sorveglianti costringano tutti gli altri ad aspettare con ordine il loro turno. Se le cose si svolgeranno esattamente come nelle esercitazioni presto ce ne andremo tutti. – O almeno lo spero, pensò fra sé. – Se però i prigionieri prenderanno d'assalto le navette come erano soliti fare con il mucchio delle barre nutritive saremo tutti perduti. Hai capito?

– Non ho mai creduto… non pensavo… navette?

– Non devi pensare, è un'esercitazione che abbiamo ripetuto cinquanta volte, quindi ti basterà seguire l'esercitazione per la distribuzione del cibo. L'esercitazione!

– Piccolo subdolo figlio di buona donna! – esclamò Tris allontanandosi con un cenno di assenso che era quasi un saluto militare.

Una serie di scoppi eruppe nel cielo al di sopra del campo come un succedersi ininterrotto di lampi, proiettando sulla scena sottostante un'illuminazione spettrale: adesso il campo di prigionia ribolliva come un formicaio che fosse stato preso a calci, una vera babele di uomini e di donne che correvano di qua e di là in una confusione urlante che non corrispondeva precisamente all'immagine ordinata che Miles aveva in mente… perché, per esempio, i suoi uomini avevano scelto di attaccare di notte e non di giorno? In ogni caso avrebbe interrogato a fondo i suoi ufficiali al riguardo dopo che avesse finito di baciare loro i piedi…

– Beatrice! – esclamò, agitando un braccio. – Comincia a passare parola! Stiamo eseguendo l'esercitazione per la distribuzione del cibo, solo che invece di una barra nutritiva ciascuna persona otterrà un posto su una navetta. Bada che lo capiscano bene e che nessuno si allontani nel buio, perché altrimenti perderà il passaggio, poi torna qui e resta con Suegar, perché non voglio che venga lasciato indietro o calpestato. Sorveglialo, hai capito?

– Non sono un dannato cane. Quali navette?

In quel momento il suono che gli orecchi di Miles stavano aspettando da tempo di sentire, un multiforme sibilo che si faceva sempre più intenso, trapassò il frastuono circostante, e dalle nubi rossastre e ribollenti scaturirono delle sagome incombenti simili a mostruosi scarafaggi alati e forniti di corazza, con le zampe che si protendevano verso il terreno: navette da prelevamento corazzate e attrezzate per combattere… due, tre, sei, sette, otto… le labbra di Miles si mossero silenziosamente nel contarle fino ad arrivare a quattordici. Per Dio, erano riusciti ad approntare il B-7 in tempo utile.

– Le mie navette – rispose, indicando.

Beatrice rimase ferma a guardare verso l'alto con la bocca aperta.

– Mio Dio, sono splendide – mormorò, e Miles ebbe l'impressione di vedere la sua mente che cominciava a funzionare a velocità frenetica. – Però non sono nostre e neppure cetagandane. Chi diavolo…?

– Questo è un salvataggio politico a pagamento – spiegò Miles, inchinandosi.

Mercenari?

– Non siamo una cosa strisciante e dotata di troppe zampe che tu abbia trovato nel tuo sacco a pelo. Il giusto tono di voce è un grido di gioia, così… Mercenari!

– Ma… ma… ma…

– Ora va', dannazione. Potrai discutere più tardi.

Beatrice sollevò le mani in un gesto di frustrazione e spiccò la corsa mentre Miles continuava a bloccare ogni persona che gli passava vicino, trasmettendo gli ordini del giorno. In questo modo riuscì a catturare anche uno degli alti commandos di Oliver e si fece issare sulle sue spalle: una rapida occhiata circolare gli rivelò quattordici capannelli di persone che si stavano coagulando in mezzo alla folla disordinata più o meno nelle posizioni giuste stabilite lungo il perimetro. Sopra di essi le navette si librarono nell'aria ancora per un momento prima di posarsi ad una ad una al suolo intorno al campo.

– Così dovrà bastare – borbottò Miles fra sé. – Giù – ordinò poi, battendo un colpetto sulla spalla del commando.

Si costrinse quindi a camminare con calma in direzione di una delle navette per dare il buon esempio… una folle corsa di massa verso di esse era infatti lo scenario per evitare il quale lui aveva sparso sangue, ossa e orgoglio durante le ultime… tre, quattro?… settimane.

Quattro soldati armati e in attrezzatura completa da combattimento furono i primi a scendere la rampa della navetta per assumere la posizione di guardia, e Miles notò con approvazione che gli uomini avevano le armi puntate nella direzione giusta, verso i prigionieri che stavano cercando di salvare. Un'altra pattuglia più numerosa e armata fino ai denti seguì a ruota le prime guardie e si allontanò di corsa, zigzagando per evitare il fuoco di copertura dei compagni e puntando verso le installazioni cetagandane che cingevano il cerchio della cupola. Era difficile stabilire quale fosse la direzione più pericolosa… a giudicare dal protrarsi della pioggia di colpi le navette da combattimento stavano fornendo un abbondante fuoco di copertura con cui distrarre i Cetagandani.

Finalmente dalla navetta sbucò anche l'uomo che più Miles desiderava vedere, l'ufficiale addetto alle comunicazioni.

– Tenente… – chiamò, poi riuscì a collegare il nome alla faccia e aggiunse: – Tenente Murka! Da questa parte!

Murka lo individuò subito e prese ad armeggiare con aria eccitata con il suo equipaggiamento.

– Commodoro Tung! – gridò nel proprio ricevitore. – Lui è qui! L'ho trovato!

Miles strappò spietatamente la cuffia per le comunicazioni dalla testa del tenente, che si piegò docilmente per permettere quel furto, e la piantò sulla propria con la mano sinistra, in tempo per sentire la flebile risposta di Tung.

– Bene, Murka, per l'amore di Dio non lo perda di nuovo. Si sieda su di lui, se sarà necessario.

– Voglio il mio staff – disse Miles nel ricevitore. – Ha già recuperato Elli ed Elena? Quanto tempo abbiamo per quest'operazione?

– Sì, signore, no, e circa due ore, se siamo fortunati – rispose secca la voce di Tung. – È bello riaverla a bordo, Ammiraglio Naismith.

– Mi sta dicendo… recuperi Elli ed Elena, con priorità uno!

– Ci stiamo lavorando. Chiudo.

Girandosi Miles scoprì che il caposquadra per la distribuzione delle barre nutritive addetto a quella sezione era riuscito a radunare il primo gruppo di 200 prigionieri e stava costringendo i 200 successivi a restare indietro in attesa del loro turno… eccellente. I prigionieri da imbarcare venivano incanalati uno alla volta lungo la rampa attraverso una strana strettoia: un mercenario tagliava il dietro di ciascuna tunica grigia con un rapido colpo di vibrolama, un secondo mercenario applicava alla schiena del prigioniero un paralizzatore medico ed un terzo passava su di essa un trattore medico manuale, strappando via rozzamente i numeri di serie cetagandani impressi sotto la pelle senza poi prendersi il disturbo di applicare una fasciatura.

– Andate a prua e sedetevi in fila per cinque, andate a prua e sedetevi in fila per cinque, andate a prua… – ripeteva quest'ultimo mercenario, con la voce uniforme che echeggiava a tempo con il movimento ipnotico del trattore medico.

Il Capitano Thorne, che a volte fungeva da aiutante di campo di Miles, emerse con passo affrettato dal miscuglio di bagliori e di ombre cupe, fiancheggiato da uno dei medici di bordo e… a Dio piacendo… da un soldato che portava gli abiti e gli stivali di Miles. Questi si tuffò verso gli stivali, ma fu invece catturato dal medico prima di raggiungerli.

Il dottore gli passò un paralizzatore medico fra le scapole nude e ineguali e lo fece seguire da un trattore manuale.

– Accidenti! – strillò Miles. – Non poteva aspettare un dannato secondo perché avesse inizio l'effetto del paralizzatore? E cosa significa tutto questo? – chiese, palpandosi il danno con la mano sinistra mentre il dolore cominciava già a svanire.

– Mi dispiace, signore – replicò il medico, senza eccessiva sincerità. – La smetta di toccarsi… ha le mani sporche – aggiunse, applicando una plastibenda… il rango aveva i suoi privilegi, dopo tutto. – Il Capitano Bothari-Jasek e il Comandante Quinn hanno appreso dagli altri controllori Cetagandani addetti ai monitor della prigione qualcosa che non sapevamo prima che lei entrasse nel campo, e cioè che questi numeri sono permeati da gocce di una sostanza le cui membrane lipidiche sono tenute allineate da un campo magnetico a bassa potenza che i Cetagandani generano nella cupola. Se si trascorre un'ora fuori della cupola le membrane cominciano a cedere e a liberare un veleno, e circa quattro ore più tardi il soggetto muore… in maniera molto sgradevole. Suppongo fosse una piccola garanzia ulteriore contro eventuali fughe.

– Capisco – mormorò Miles, con un brivido, poi si schiarì la gola e aggiunse, in tono più deciso: – Capitano Thorne, registri una nota di merito… con i massimi onori… per il Comandante Elli Quinn e il Capitano Elena Bothari-Jasek. Il servizio segreto del nostro… datore di lavoro ignorava questo particolare, anzi pare che i dati da esso raccolti fossero carenti sotto numerosi aspetti. Dovrò parlare con i responsabili… e in tono deciso… quando presenterò il conto spese per quest'operazione. Prima di mettere via il paralizzatore, dottore, mi anestetizzi la mano, per favore – concluse, protendendo là destra perché il medico la esaminasse.

– Lo ha fatto di nuovo, vero? – borbottò il dottore. – Quando imparerà…

Un passaggio del paralizzatore medico fu sufficiente a far scomparire la consapevolezza della mano gonfia dalla sfera percettiva di Miles: soltanto i suoi occhi, adesso, gli garantivano che essa era ancora attaccata al braccio.

– Sì, ma chi ci ha assunti sarà disposto a pagare per l'ampliamento dell'operazione? – chiese ansiosamente Thorne. – Questa storia era cominciata come una rapida azione lampo per tirare fuori un solo uomo, proprio il genere di cose in cui si specializzano organizzazioni come la nostra… mentre adesso vi è impegnata l'intera flotta dendarii. Questi dannati prigionieri sono più numerosi di noi nella misura di due a uno, il che non era previsto nel contratto originale. E se il nostro perennemente misterioso datore di lavoro decidesse di non pagarci?

– Non lo farà, hai la mia parola – replicò Miles. – Però… non ci sono dubbi sul fatto che dovrò andare a presentare il conto di persona.

– Dio li aiuti, allora – borbottò il medico, poi si allontanò per continuare a liberare dai numeri i prigionieri in attesa.

Il Commodoro Ky Tung, un tozzo Euroasiatico di mezz'età in armatura parziale e con una cuffia di comunicazione di comando, si materializzò accanto a Miles mentre le prime navette cariche di prigionieri chiudevano i portelli e salivano stridendo attraverso la nebbia scura, decollando senza una formazione precisa a mano a mano che avevano ultimato il carico. Conoscendo la predilezione di Tung per le formazioni serrate e ordinate, Miles dedusse da questo che il tempo doveva essere il fattore limitante più pericoloso.

– Su cosa stiamo caricando quella gente, lassù? – chiese a Tung.

– Abbiamo sventrato un paio di navi da carico usate e adesso possiamo ficcare circa 5000 persone nella stiva di ciascuna. Il viaggio per andare via di qui sarà rapido e sgradevole, e quella gente dovrà stare distesa e respirare il meno possibile.

– Cosa stanno mettendo insieme i Cetagandani per darci la caccia?

– Per ora poco più delle navette della polizia locale. Si dà infatti il caso che la maggior parte del loro contingente spaziale militare locale si trovi adesso dalla parte opposta del loro sole, il che spiega perché abbiamo scelto proprio questo momento per arrivare… abbiamo dovuto aspettare che riprendessero le loro manovre pratiche, nel caso cominciassi a chiederti cosa ci tratteneva. In altre parole, abbiamo mantenuto il piano originale per prelevare il Colonnello Tremont.

– Soltanto che ora è stato espanso secondo un fattore di 10.000 teste… e che dovremo effettuare almeno quattro viaggi invece di uno, giusto? – replicò Miles.

– Sì, ma senti questa – sogghignò Tung. – I Cetagandani hanno piazzato il loro campo di prigionia su questo miserabile avamposto planetario al fine di non dover impiegare troppe truppe e apparecchiature per la sorveglianza… contavano sulla distanza da Marilac e sull'andamento negativo della guerra laggiù per scoraggiare eventuali tentativi di salvataggio. Nel periodo che tu hai trascorso nel campo, però, metà del loro originale complemento di guardie è stato trasferito in altri punti caldi. La metà!

– Facevano affidamento sulla cupola – completò Miles, al suo posto, poi aggiunse, in tono più sommesso: – E quali sono le cattive notizie?

– Questa volta – replicò Tung, il cui sorriso aveva assunto una sfumatura acida, – il nostro limite massimo di tempo è di due ore.

– Dannazione. La metà della loro flotta spaziale locale costituisce comunque un nemico troppo numeroso… e sarà di ritorno fra due ore?

– Adesso fra un'ora e quaranta minuti – lo corresse Tung, lanciando un'occhiata in tralice che tradì la posizione del suo orologio operativo, proiettato olograficamente dalla cuffia di comando in un angolo del suo campo visivo.

– Ce la faremo a prelevare l'ultimo carico? – domandò Miles a bassa voce, dopo aver effettuato mentalmente qualche calcolo.

– Dipende dalla rapidità con cui preleveremo i primi tre – rispose Tung, il cui volto era ancora più impassibile del solito e non tradiva né speranza né timore.

Il che a sua volta dipende dall'efficacia con cui io sono riuscito ad addestrarli tutti… Quel che era fatto era fatto e quel che sarebbe successo non era ancora avvenuto; con uno sforzo Miles riportò la propria attenzione sulle contingenze attuali.

– Avete già trovato Elli ed Elena? – chiese.

– Ci sono tre pattuglie che le stanno cercando.

Non le avevano ancora trovate… Miles sentì lo stomaco che gli si serrava.

– Non mi sarei mai sognato di espandere quest'operazione a metà del suo svolgimento se non avessi saputo che mi stavano tenendo sotto controllo e che sarebbero riuscite a tradurre in ordini i miei vaghi accenni.

– Li hanno tradotti nel modo giusto? – domandò Tung. – Abbiamo discusso in merito alla loro interpretazione dei tuoi discorsi a doppio senso riportati dai video.

– Li hanno interpretati benissimo – convenne Miles, guardandosi intorno. – Avete registrato dei video di tutto questo? – esclamò poi, abbracciando l'intero campo con un gesto stupito della mano.

– Abbiamo registrato quello che riguardava te, prelevando le immagini dai monitor dei Cetagandani… Elli ed Elena le trasmettevano quotidianamente, in codice. Molto… divertente, signore – concluse Tung, in tono blando.

Alcune persone, rifletté Miles, erano capaci di trovare divertente vedere qualcuno costretto a inghiottire lumache.

– Una cosa molto pericolosa – osservò ad alta voce. – Quando avete ricevuto la loro ultima comunicazione?

– Ieri – rispose Tung, affrettandosi a calare una mano sul braccio di Miles per bloccare un suo istintivo balzo in avanti. – Non puoi fare niente di meglio delle mie tre pattuglie, e non ne ho altre da impiegare per cercare te.

– Già, certo. – Miles picchiò il pugno destro sul palmo della sinistra in un gesto di frustrazione prima di ricordare che non era una buona idea. I suoi due agenti, il suo legame vitale fra la cupola e i Dendarii erano dispersi… e i Cetagandani avevano l'abitudine di fucilare le spie con deprimente costanza, in genere dopo un interrogatorio tale da rendere la morte una prospettiva piacevole… Cercò di trovare rassicurazione nella logica: se le due donne fossero state scoperte come tecnici di monitoraggio fasulli e fossero state interrogate, Tung sarebbe andato incontro ad un massacro quando avesse attaccato, e dal momento che non era successo era evidente che loro non erano state prese. Questo, naturalmente, non escludeva l'eventualità che fossero state uccise poco prima dal fuoco dei loro stessi amici. Amici… lui ne aveva troppi per rimanere sano di mente in quel suo folle mestiere.

– Tu! – Miles si rivolse al soldato che stava ancora aspettando con i suoi abiti, togliendoglieli di mano. – Va' laggiù e trova una ragazza dai capelli rossi che si chiama Beatrice e un uomo ferito di nome Suegar. Portali da me e trasporta il ferito con cautela, perché ha lesioni interne.

Il soldato salutò e si affrettò ad allontanarsi. Era un vero piacere poter dare di nuovo ordini senza doverli accompagnare con una giustificazione teologica… Miles si lasciò sfuggire un sospiro, sentendo lo sfinimento che attendeva di fagocitarlo e che si annidava al limitare della sua bolla di iperconsapevolezza alimentata dall'adrenalina; tutti i fattori… i tempi delle navette, l'avvicinarsi del nemico, la distanza fino al punto di balzo che avrebbe permesso la fuga… si formavano e riformavano nella sua mente in tutte le loro possibili combinazioni e le piccole variazioni nei tempi si trasformavano di volta in volta in guai enormi, ma del resto aveva saputo che sarebbe stato così quando aveva dato inizio al tutto. Fino a questo momento avevano già avuto un miracolo… no, non un miracolo, si corresse nel lanciare un'occhiata in direzione di Tung e di Thorne, ma qualcosa dovuto alla straordinaria intuitività e devozione dei suoi uomini. Ben fatto, oh, davvero ben fatto…

Thorne gli venne in aiuto notando la sua difficoltà a vestirsi con una mano sola.

– Dove diavolo è la mia cuffia di comando? – gli domandò Miles.

– Ci era stato detto che eri ferito e in uno stato di sfinimento, quindi eri stato catalogato fra coloro da evacuare subito.

– Dannatamente presuntuoso da parte di qualcuno… – cominciò Miles, ma poi si costrinse a tenere a freno la propria ira, perché sapeva che in quel programma così serrato non c'era tempo per piccole commissioni come quella di procurargli una cuffia. Inoltre, sapeva che se ne avesse avuta una sarebbe stato tentato di impartire degli ordini mentre non era ancora abbastanza informato sulle complessità interne dell'operazione dal punto di vista della flotta dendarii per poterlo fare. Accettò quindi senza ulteriori commenti la sua condizione di osservatore anche perché lo lasciava libero di fungere da retroguardia.

Il soldato da lui mandato a cercarla tornò con Beatrice e con quattro prigionieri reclutati per trasportare Suegar, che venne adagiato insieme alla sua stuoia ai piedi di Miles.

– Chiama il mio medico – ordinò questi e il soldato si allontanò di corsa per andarlo a cercare.

Di lì a poco il dottore era inginocchiato accanto al semisvenuto Suegar e gli stava estirpando i numeri stampati sulla schiena; un momento più tardi il sibilo di un'ipospray di synergina ebbe l'effetto di allentare la tensione che attanagliava lo stomaco di Miles.

– Quanto è grave? – chiese.

– Non è in buone condizioni – ammise il dottore, controllando il visore diagnostico. – Ha il fegato leso e un accenno di emorragia nello stomaco… sarà meglio mandarlo sull'ammiraglia per essere operato. Tecnico medico…

Il dottore si girò verso un Dendarii che insieme alle guardie stava aspettando il ritorno della sua navetta e gli impartì una serie di istruzioni in seguito alle quali il tecnico si affrettò ad avvolgere Suegar in una sottile pellicola termica.

– Provvederò io perché ci arrivi – garantì Miles con un brivido, e invidiò un poco la pellicola termica nel sentire la nebbia acida che gli gocciolava fra i capelli e gli penetrava nelle ossa.

In quel momento l'attenzione di Tung fu bruscamente assorbita da un messaggio proveniente dalla cuffia di comunicazione e Miles, che aveva restituito a Murka quella che gli aveva sottratto perché lui potesse portare avanti i suoi compiti, non poté fare altro che fissarlo dondolandosi da un piede all'altro nell'agonia dell'attesa.

Elena, Elli, se ho causato la vostra morte…

– Bene – disse infine Tung, nel suo microfono. – Ben fatto. Presentatevi a rapporto nel punto di prelevamento A7. – Cambiò quindi canale con un movimento del mento e aggiunse: – Sim, Nout, tornate con le vostre pattuglie alla posizione perimetrale assegnata alle vostre navette. Le hanno trovate.

Miles si ritrovò piegato in avanti, con la mano sana puntellata contro le ginocchia gelide in attesa che la mente gli si schiarisse e che il cuore smettesse di sussultare con violenza.

– Elli ed Elena? Stanno bene?

– Non hanno chiesto un medico… sei certo di non averne bisogno tu? Sei verde.

– Sto bene – garantì Miles, raddrizzandosi ora che il cuore gli si era calmato, e incontrando così lo sguardo interrogativo di Beatrice. – Beatrice, per favore, vorresti andare a cercare Tris e Oliver per me? Ho bisogno di parlare con loro prima che la prossima navetta di prelevamento decolli.

La ragazza scosse il capo con aria impotente e si girò di scatto, senza salutare ma senza neppure discutere i suoi ordini, cosa che assurdamente rallegrò Miles.

Intanto il frastuono imperversante intorno al perimetro della cupola si era ridotto all'occasionale sibilo di qualche arma di piccolo calibro, misto ad urla umane e a comandi amplificati; in lontananza si vedevano fuochi che ardevano e tingevano di bagliori fra il rosso e l'arancione il velo di nebbia soffocante. Quella non era certo stata un'operazione di una precisione chirurgica, e i Cetagandani si sarebbero infuriati notevolmente quando avrebbero contato le perdite, quindi il momento di andarsene era arrivato da un pezzo; nel seguire quelle riflessioni, Miles cercò di tenere a mente la questione del veleno nei numeri di serie come antidoto contro l'immagine di impiegati e tecnici cetagandani schiacciati sotto le macerie degli edifici in fiamme, ma quei due incubi parvero amplificarsi a vicenda anziché annullarsi reciprocamente.

Finalmente arrivarono Tris e Oliver, che avevano entrambi un aspetto un po' sconcertato, e Beatrice si fermò insieme a loro, alla destra di Tris.

– Congratulazioni – esordì Miles, prima che uno qualsiasi dei tre avesse il tempo di aprire bocca, perché aveva molte cose da dire e pochissimo tempo per farlo. – Siete riusciti ad ottenere un esercito.

Nel parlare, abbracciò con un cenno della mano le file ordinate di prigionieri… ex-prigionieri… raccolte nei diversi gruppi d'imbarco nei punti prestabiliti: tutti aspettavano con calma, i più seduti per terra… era disciplina, oppure erano stati i Cetagandani a instillare in loro una simile pazienza? Comunque non importava.

– Temporaneamente – replicò Tris. – Credo che questo sia soltanto un momento di pausa. Se però le cose dovessero scaldarsi, se una o più navette dovessero andare perdute o se qualcuno cedesse al panico, diffondendolo…

– Puoi dire a chiunque si senta propenso a cedere al panico che potrà imbarcarsi con me, se questo lo farà sentire meglio. Ah… è però opportuno che lo avverta anche del fatto che io salirò con l'ultimo carico – puntualizzò Miles.

Tung, che stava dividendo la propria attenzione fra la sua cuffia di comando e quella conversazione, ebbe una smorfia di esasperazione nel sentire quella notizia.

– Questo li tranquillizzerà – sorrise Oliver.

– O almeno darà loro qualcosa a cui pensare – concesse Tris.

– Ora io intendo dare a voi due qualcosa a cui pensare… la nuova resistenza di Marilac, e cioè voi – dichiarò Miles. – In origine, chi mi ha assunto mi aveva dato l'incarico di liberare il Colonnello Tremont perché potesse raccogliere un esercito e portare avanti la lotta, ma quando l'ho trovato morente ho dovuto decidere se seguire alla lettera il mio contratto e prelevare un individuo catatonico o addirittura un cadavere, oppure attenermi al suo spirito e prelevare un esercito. Ho scelto la seconda alternativa ed ho selezionato voi due: voi dovrete portare avanti il lavoro del Colonnello Tremont.

– Io ero soltanto un tenente – cominciò Tris, in tono inorridito, all'unisono con Oliver. – Sono una combattente, non un ufficiale di stato maggiore. Il Colonnello Tremont era un genio.

– E adesso voi siete i suoi eredi… perché lo dico io. Guardatevi intorno: forse che io commetto errori nello scegliere i miei subordinati?

– Sembra di no – borbottò Tris, dopo un momento di silenzio.

– Costruitevi uno stato maggiore, trovate i vostri geni della tattica, i vostri maghi della tecnica e metteteli a lavorare per voi. Però la spinta, le decisioni e la direzione da seguire dovranno giungere da voi, forgiate in questa fossa, perché sarete voi due a ricordare sempre questo posto e a ricordare cosa state facendo e perché… sempre.

– E quando schiereremo in campo questo nostro esercito, Fratello Miles? – commentò Oliver, in tono sommesso. – Il mio tempo si è esaurito durante l'assedio del Nucleo Fallow. Se fossi stato da qualsiasi altra parte sarei potuto andare a casa.

– Fino a quando l'esercito di occupazione cetagandano non avesse invaso la tua città.

– In ogni caso, le probabilità non sono molto buone.

– Le probabilità erano ancora più sfavorevoli per Barrayar, ai suoi tempi, e tuttavia i Barrayarani hanno scacciato i Cetagandani: ci sono voluti vent'anni e più sangue di quanto voi due ne abbiate visto in tutta la vostra vita, ma ce l'hanno fatta – ritorse Miles.

– Barrayar aveva quei folli guerrieri Vor – commentò in tono scettico Tris, che sembrava meno colpita di Oliver da quel paragone storico. – Pazzoidi che si precipitavano in battaglia e a cui piaceva la prospettiva di morire. Marilac però non ha quel tipo di tradizione culturale: noi siamo un popolo civile… o almeno lo eravamo, un tempo…

– Lascia che ti dica qualcosa sui Vor barrayarani – la interruppe Miles. – I pazzi che cercavano una morte gloriosa in battaglia l'hanno trovata molto presto, e questo è servito a ripulire la catena di comando dagli idioti che vi si erano accumulati. I superstiti sono stati quelli che hanno imparato a combattere in maniera sporca e a sopravvivere per combattere un altro giorno e per vincere… coloro per i quali né le comodità, né la sicurezza, né la famiglia, gli amici o la loro stessa anima immortale erano più importanti della vittoria. I morti sono perdenti per definizione, e ciò a cui si deve mirare sono la sopravvivenza e la vittoria. Quei Barrayarani non erano superuomini e non erano immuni alla sofferenza: hanno sudato e faticato in preda alla confusione e nell'oscurità ed hanno vinto, senza avere neppure la metà delle risorse fisiche che Marilac possiede ancora adesso. Quando si è un Vor – concluse, in tono più calmo, – non è possibile tirarsi indietro.

– Anche un esercito volontario patriottico deve mangiare – osservò Tris, dopo una pausa, – e non sconfiggeremo i Cetagandani a colpi di sputi.

– Riceverete aiuti finanziari e militari attraverso canali segreti che non passeranno per mio tramite… se ci sarà un Comando della Resistenza a cui farli pervenire.

Tris fissò Oliver negli occhi come per soppesarlo: adesso il fuoco presente in lei ardeva più vicino alla superficie di quanto Miles lo avesse mai visto, scorrendo lungo i suoi muscoli tesi.

– E pensare, sergente – commentò in tono quieto, mentre il sibilo della prima navetta di ritorno trapassava la nebbia, – che ritenevo di essere io l'atea e che fossi tu il credente. Allora, verrai con me… oppure intendi tirarti indietro?

Oliver incurvò un poco le spalle… sotto il peso della storia, non della sconfitta, come indicava il bagliore che gli ardeva negli occhi.

– Vengo – rispose con un grugnito.

– Come procedono le cose? – chiese allora Miles, intercettando lo sguardo di Tung.

Questi scosse il capo e sollevò alcune dita.

– Lassù hanno accumulato un ritardo di circa sei minuti nelle operazioni di scarico – replicò.

– Dunque – proseguì Miles, tornando a girarsi verso Tris ed Oliver, – voglio che risaliate entrambi con quest'ondata e su navette separate, imbarcandovi ciascuno su uno dei due trasporti. Una volta lassù, comincerete ad accelerare le operazioni di scarico della vostra gente. Il tenente Murka vi indicherà le navette a cui siete assegnati – concluse, indicando il tenente, che venne avanti e li portò entrambi con sé.

Beatrice indugiò però accanto a Miles.

– Io sono incline al panico – gli comunicò in tono distaccato, disegnando con il piede nudo cerchi concentrici nella polvere sempre più umida.

– Non ho più bisogno di una guardia del corpo – replicò Miles, con un sorriso, – ma forse mi servirebbe un custode…

Negli occhi di lei affiorò un sorriso che però non si estese alle labbra. Più tardi, si ripromise Miles, più tardi avrebbe fatto ridere quelle labbra.

La seconda ondata di navette cominciò a decollare mentre ancora quelle della prima ondata stavano atterrando e Miles pregò fra sé che tutte avessero i sensori in stato di perfetto funzionamento nell'incrociarsi in quella nebbia, perché da quel momento in avanti i tempi avrebbero potuto soltanto diventare ancora più serrati. Intanto la nebbia si stava trasformando in una gelida pioggia che sferzava la pelle come aghi d'argento.

Adesso il punto focale dell'operazione si andava restringendo rapidamente, ridotto com'era ad una questione di macchine, di numeri e di tempi più che di fedeltà, di anime e di spaventosi obblighi; pensando che una mente patologica dal punto di vista emotivo, del tutto priva di amore e di paura, avrebbe perfino potuto definirla divertente, Miles prese a tracciare nella polvere con la mano sinistra numeri relativi alle persone trasportate, in transito e da prelevare… ma il terreno polveroso era ormai ridotto ad un nero fango appiccicaticcio che non conservava a lungo i suoi segni.

– Dannazione – sibilò improvvisamente Tung, mentre l'aria davanti alla sua faccia si faceva indistinta per il rapido susseguirsi di informazioni proiettate olograficamente che i suoi occhi seguivano con la velocità derivante dalla pratica; al tempo stesso, la mano destra del commodoro si contraeva e si serrava come se lui fosse stato tentato di strapparsi dalla testa la cuffia e di calpestarla per dare sfogo alla propria frustrazione. – Questo taglia la testa al toro: abbiamo appena perso due navette nel corso della seconda ondata.

Quali navette? urlò la mente di Miles. Oliver? Tris?

– In che modo? – si costrinse però a chiedere innanzitutto. Giuro che se sono andate a sbattere una contro l'altra andrò a cercare un muro per picchiarvi contro la testa fino a stordirmi…

– Una navetta da combattimento cetagandana ha infranto il nostro cordone. Il suo obiettivo erano le navi da trasporto, ma per fortuna l'abbiamo bloccata in tempo… o quasi.

– Hai l'identificazione delle due navette distrutte? Erano a pieno carico o stavano tornando qui?

– A-4 a pieno carico – rispose Tung, ripetendo le informazioni che gli venivano fornite, – B-7 di ritorno vuota. Perdita totale del carico, nessun superstite. La navetta da combattimento 5 della Triumph è stata danneggiata dal fuoco nemico e il recupero del pilota è ancora in corso.

Non aveva perso i suoi due comandanti: i successori del Colonnello Tremont, che lui aveva scelto e allevato con tanta cura erano al sicuro. Nel riaprire gli occhi, che aveva serrato per l'angoscia, Miles si accorse che Beatrice… per la quale i numeri di identificazione delle navette non avevano nessun significato… stava aspettando con ansia una sua decifrazione.

– Duecento morti? – sussurrò la ragazza.

– Duecentosei – la corresse Miles, mentre i volti, i nomi e le voci dei sei Dendarii in questione gli affioravano nella memoria. Anche i 200 passeggeri dovevano aver avuto un volto, ma lui si rifiutò di pensarvi per non creare nella propria mente un pericoloso sovraccarico emotivo.

– Sono cose che succedono – mormorò ancora Beatrice, in tono stordito.

– Stai bene?

– È ovvio che sto bene. Sono cose che succedono, inevitabili, e non sono una piagnucolosa mezza cartuccia che si terrorizza sotto il fuoco del nemico. – La ragazza sbatté in fretta le palpebre e sollevò il mento di scatto. – Dammi… qualcosa da fare. Qualsiasi cosa.

In fretta, aggiunse tacitamente Miles, al suo posto. D'accordo.

– Raggiungi Pel e Liant – disse, indicando la parte opposta del campo, – dividi i loro restanti gruppi in blocchi di trentatré e aggiungili ai gruppi previsti per la terza ondata, che dovrà salire in sovraccarico, poi torna da me a fare rapporto. Va', presto, perché gli altri saranno di ritorno entro pochi minuti.

– Sissignore – rispose Beatrice, eseguendo un saluto… per se stessa, non per lui: ordine, struttura, razionalità erano adesso una corda di salvataggio. Miles ricambiò il saluto con espressione grave.

– Le navette erano già sovraccariche – protestò Tung, non appena la ragazza fu fuori portata di udito. – Con duecentotrentatré persone stipate a bordo voleranno con la leggerezza di altrettanti mattoni, senza contare che ci vorrà più tempo per caricare qui e per scaricare in orbita.

– Sì. Dio… – Miles rinunciò infine a cercare di tracciare numeri nella fanghiglia: – Analizza queste cifre al computer per me, Ky, perché in questo momento non mi fido di riuscire a sommare in maniera esatta neppure due più due. Quanto saremo in ritardo quando il grosso delle truppe cetagandane arriverà a portata di tiro? Per favore, dammi la valutazione più precisa possibile, senza addolcire la pillola.

Tung borbottò qualcosa nella propria cuffia, scandendo numeri, margini, tempi mentre Miles seguiva ogni dettaglio con l'intensa attenzione di un predatore.

– Alla fine della terza ondata – annunciò infine Tung, con brusca franchezza, – cinque navette staranno ancora aspettando di scaricare quando il fuoco dei Cetagandani comincerà a friggerci.

Mille uomini e donne…

– Signore, posso rispettosamente suggerire che è arrivato il momento di ridurre il più possibile le nostre perdite? – aggiunse l'Eurasiatico.

– Puoi suggerirlo, commodoro.

– Alternativa numero uno, che è anche la più efficiente: utilizzare soltanto sette navette per l'ultima ondata e lasciare a terra i prigionieri da caricare nelle ultime cinque. Saranno ricatturati ma almeno saranno vivi.

La voce di Tung assunse una sfumatura più suadente nel pronunciare quell'ultima frase.

– C'è un solo problema, Ky, e cioè che io non voglio restare qui.

– Potresti sempre risalire con l'ultima navetta, proprio come hai detto. A proposito, signore, ho già fatto notare che a mio parere questa decisione è stata una stupida smargiassata?

– Le tue sopracciglia lo hanno detto con estrema eloquenza, poco fa, e sebbene possa sentirmi incline ad essere d'accordo con te… ti sei accorto dell'attenzione con cui i prigionieri rimasti mi stanno fissando? Hai mai visto un gatto dare la caccia ad un grillo?

Nel rilevare il fenomeno che Miles aveva appena descritto Tung si agitò, a disagio.

– Non mi va' l'idea di dover abbattere gli ultimi mille prigionieri per poter far decollare la mia navetta – aggiunse questi.

– Con lo schema di volo irregolare che stiamo tenendo potrebbero rendersi conto che non arriveranno altre navette soltanto dopo che la tua sarà già decollata.

– Quindi dovremmo semplicemente lasciarli là ad aspettarci? – Le pecore guardano verso l'alto, ma non vengono sfamate. ..

– Esatto.

– Ti piace quest'alternativa, Ky?

– Mi fa venire voglia di vomitare, ma… considera gli altri 9000, e la flotta dendarii. L'idea che tutti noi potremmo fare la fine del topo a causa del tuo sforzo condannato in partenza di prelevare tutti questi tuoi… miserabili peccatori mi dà una nausea ancora maggiore. I nove decimi di una pagnotta sono molto meglio che niente.

– Ho afferrato il punto, ma ora ti prego di passare all'alternativa numero due. Il volo di uscita dall'orbita è calcolato sulla base della velocità della nave più lenta, che è…

– Sono i trasporti.

– E la Triumph è sempre la più veloce?

– Ci puoi scommettere – confermò Tung, che un tempo era stato capitano della Triumph.

– Ed è anche la nave meglio corazzata.

– Sì, e allora? – chiese Tung. In effetti aveva capito benissimo dove Miles intendesse andare a parare e quella sua apparente ottusità era soltanto un modo per recalcitrare.

– E allora le prime sette navette dell'ultima ondata si agganceranno ai trasporti e partiranno in orario, poi richiameremo a bordo cinque piloti combattenti della Triumph e distruggeremo le loro navette… dopo tutto una è già danneggiata, giusto? Le ultime cinque navette da trasporto si agganceranno alla Triumph al posto di quelle da combattimento e gli schermi a piena potenza della nave le proteggeranno dal fuoco dei Cetagandani in arrivo. A quel punto ammucchieremo i prigionieri nei corridoi della nave, chiuderemo i portelli delle navette e taglieremo la corda alla massima velocità.

– La massa aggiuntiva di altre mille persone…

– Sarà sempre minore di quella di un paio di navette da trasporto. Se sarà necessario scaricheremo e distruggeremo anche quelle per rientrare nella finestra di massa/accelerazione.

– … manderà in sovraccarico i sistemi di supporto vitale…

– L'ossigeno di emergenza ci permetterà di arrivare al punto di balzo, e dopo aver effettuato il Balzo potremo distribuire i prigionieri sulle altre navi con tutta comodità.

– Quelle navette da trasporto sono nuove di zecca - fece notare Tung, in tono angosciato. – E le navette da combattimento… cinque navette… ti rendi conto di quanto sarà difficile raccogliere i fondi per rimpiazzarle? Si tratta di…

– Ti ho chiesto di calcolare i tempi, Ky, non di presentare un conto spese e danni – lo interruppe Miles, a denti stretti, poi aggiunse in tono più sommesso: – Aggiungerò quei costi al conto per i servigi che abbiamo reso.

– Hai mai sentito parlare di costi eccessivi, ragazzo? Così farai… – Cominciò Tung, poi s'interruppe e concentrò di nuovo la propria attenzione sulla cuffia, che costituiva una estensione della sala tattica a bordo della Triumph.

Alcuni calcoli furono effettuati, nuovi ordini vennero impartiti ed eseguiti.

– Dovrebbe funzionare – annunciò infine Tung, con un sospiro. – Ci permetterà di guadagnare quindici minuti dannatamente costosi. Se niente altro andrà storto…

L'Eurasiatico concluse la frase con un borbottio indistinto e frustrato, seccato quanto lo stesso Miles per la propria incapacità di essere contemporaneamente in tre posti distinti.

– Ecco che torna la mia navetta – commentò dopo un po', e lanciò a Miles un'occhiata da cui si capiva con chiarezza la sua riluttanza a lasciarlo abbandonato a se stesso, come anche il suo impaziente desiderio di allontanarsi dalla pioggia acida, dal fango e dal buio per avvicinarsi maggiormente al centro nevralgico di quell'operazione.

– Vattene – lo incitò Miles. – In ogni caso non potresti compiere il tragitto con me, perché è contrario alle procedure.

– Al diavolo le procedure – ribatté Tung, cupo.

Con il decollo della terza ondata a terra rimasero appena 2000 prigionieri e il frenetico vortice d'attività iniziale cominciò a scemare: adesso le pattuglie in armatura da combattimento si stavano ritirando dalla loro penetrazione nelle circostanti installazioni cetagandane per tornare ai punti previsti per l'atterraggio delle rispettive navette, e questo costituiva un pericoloso mutare della marea, nell'eventualità che qualche ufficiale cetagandano superstite fosse riuscito a mettere insieme un'organizzazione sufficiente a rendere difficile la loro ritirata.

– Ci vediamo a bordo della Triumph - dichiarò Tung, con enfasi, poi si soffermò a parlare con il Tenente Murka fuori della portata di udito di Miles, che esibì un sorriso comprensivo nei confronti del tenente già carico di responsabilità, perché non nutriva il minimo dubbio in merito agli ordini che adesso Tung gli stava impartendo. Se non fosse riuscito a portare con sé Miles sano e salvo, probabilmente Murka avrebbe fatto meglio a non provare neppure a tornare indietro.


Adesso non restava più niente altro che un'ultima, breve attesa… attendere dopo tutta quella fretta. Miles si accorse ben presto che aspettare aveva un effetto deleterio su di lui perché permetteva all'adrenalina prodotta dal suo organismo di disperdersi, dandogli modo di avvertire quanto fosse effettivamente stanco e dolorante. Intorno, i bagliori che rischiaravano il buio si stavano riducendo a vaghi chiarori rossastri.

In effetti l'intervallo di tempo che passò fra il dissolversi dell'affaticato rombo dell'ultima navetta della terza ondata che lasciava il suolo e l'echeggiare del sibilo stridente della prima navetta della quarta ondata che tornava indietro fu molto breve, anche se purtroppo questo dipese più dal fatto che erano nei guai che da una calcolata rapidità di manovra. A terra, i prigionieri aspettavano ancora suddivisi nelle squadre studiate per la distribuzione del cibo e conservavano la disciplina, ma naturalmente nessuno aveva spiegato loro il piccolo problema di tempi a cui si trovavano di fronte, anche se i nervosi soldati dendarii che li spingevano su per le rampe li obbligavano a tenere un passo adeguato alle esigenze di Miles. Del resto, quello di restare alla retroguardia non era mai un incarico popolare, neppure fra quella minoranza di lunatici che segnavano tacche sul calcio delle loro armi e ridacchiavano nel discutere fra loro di modi nuovi e più grotteschi per fare a pezzi i nemici.

Miles vide Suegar che veniva portato per primo su per la rampa in stato di semincoscienza, e calcolò che imbarcandosi con lui su questa navetta diretta Suegar sarebbe in effetti arrivato all'infermeria della Triumph prima di come vi sarebbe giunto se fosse stato inviato in precedenza su uno dei due trasporti per poi essere trasferito sull'ammiraglia in un momento meno rischioso.

L'arena che stavano per lasciare si era fatta intanto silenziosa e buia, bagnata, spettrale e triste. Infrangerò le porte dell'inferno e risusciterò i morti… c'era qualcosa di sbagliato nel modo in cui aveva ricordato quella citazione, ma non aveva importanza.

La pattuglia in tuta corazzata di questa navetta, l'ultima, emerse dal buio e dalla nebbia richiamata da un segnale elettronico di Murka come un branco di cani da pastore; il tenente era fermo ai piedi della rampa per fungere da collegamento fra la pattuglia e il pilota, che stava esprimendo la propria impazienza di decollare con piccoli sibili acuti dei motori.

Poi dall'oscurità scaturirono scariche al plasma che sfrigolarono nell'aria intrisa di pioggia. Qualche eroe cetagandano… un ufficiale, un soldato, un tecnico, chi poteva dirlo?… era strisciato fuori delle macerie ed aveva trovato un'arma… e un nemico contro cui usarla. Schegge di bagliori rossi e verdi continuarono a danzare per qualche secondo sulla retina di Miles, mentre un soldato dendarii rotolava fuori dal buio con il dorso dell'armatura segnato da una linea incandescente che continuò a sfrigolare e a fumare fino a quando non fu estinta dal contatto con il fango. Le gambe della corazza erano però state danneggiate e l'uomo rimase a contorcersi al suolo come un pesce in secca nel frenetico sforzo di liberarsene; intanto una seconda e mal diretta scarica di plasma trasformò qualche chilometro di nebbia e di pioggia in vapore surriscaldato lungo una linea retta che si perdeva in un ignoto infinito.

Proprio ciò di cui avevano bisogno… essere bloccati adesso dal fuoco di un cecchino. Un paio di Dendarii della retroguardia si avviarono per rientrare nella nebbia ed un prigioniero eccitato… oh, Dio, si trattava di nuovo del luogotenente di Pitt… afferrò l'arma del soldato bloccato dalla corazza danneggiata e accennò a seguirli.

– No, razza di idiota, tornerai un'altra volta quando verrà il tuo momento di combattere! – gridò Miles, dirigendosi verso Murka. – Indietreggiate, caricate e decollate! Non vi fermate a combattere, non ce n'è il tempo!

Alcuni fra gli ultimi prigionieri si erano gettati proni al suolo appiattendosi nel fango, una reazione logica e sensata in qualsiasi altra circostanza ma non ora, e Miles prese a correre in mezzo a loro assestando pacche sul posteriore per farli sollevare.

– Salite a bordo, su per la rampa, avanti, avanti!

Beatrice saltò fuori dal nulla e si mise ad imitarlo, sospingendo i compagni davanti a sé, mentre Miles si arrestava accanto al Dendarii caduto e gli apriva con la sinistra gli agganci dell'armatura; il soldato si liberò scalciando della protezione che quasi gli era stata fatale e si sollevò in piedi, zoppicando in direzione della sicurezza della navetta con Miles che lo seguiva da presso.

Murka e un altro soldato attendevano ai piedi della scaletta.

– Tenetevi pronti a sollevare la rampa e a decollare al mio segnale – cominciò Murka, rivolto al pilota della navetta. – Pronti…

Le sue parole furono troncate e soffocate dallo schiocco esplosivo di un raggio al plasma che gli attraversò il collo; Miles, che era fermo accanto al tenente, ne poté sentire il calore che passava a qualche centimetro dalla sua testa.

Il corpo di Murka cominciò ad accasciarsi e Miles lo schivò, indugiando il tempo necessario a sfilargli la cuffia di comunicazione… a cui però rimase attaccata anche la testa, cosa che lo costrinse a bloccarla con il braccio leso e anestetizzato per poter liberare la cuffia. Il peso, la rotondità e la densità di quella testa furono informazioni che gli martellarono i sensi e nel lasciarla cadere accanto al corpo del tenente lui seppe che le avrebbe ricordate con precisione fino al giorno della sua morte.

Barcollando risalì la rampa, aiutato da un ultimo Dendarii in armatura che lo tirò per un braccio, e nel percorrerla la sentì infossarsi in modo strano sotto i suoi piedi; questo lo indusse a lanciare un'occhiata verso l'alto e verso la striscia di metallo semifuso lasciata dall'arco al plasma che aveva ucciso Murka e poi proseguito la sua corsa fino a quel punto.

Infine si lasciò cadere oltre il portello, tenendo stretta la cuffia e urlando ordini in essa.

– Decollare! Decollare! Decollo immediato! Andiamo!

– Chi parla? – domandò di rimando la voce del pilota.

– Naismith.

– Sì, signore.

La navetta si sollevò pesantemente da terra fra il ruggire dei motori prima ancora che la rampa venisse ritirata; intanto il meccanismo che doveva richiuderla cominciò ad operare faticosamente fra uno stridere di metallo e di plastica… soltanto per bloccarsi all'altezza della contorta linea lasciata dall'arco al plasma.

– Sigillate quel portello laggiù! – ululò la voce del pilota, attraverso la cuffia di comunicazione.

– La rampa è bloccata! – gridò Miles, di rimando. – Bisogna sganciarla!

Il meccanismo lanciò acuti stridii nell'operare in senso inverso, la rampa vibrò e tornò a bloccarsi, mentre parecchie mani si protendevano a picchiare freneticamente contro di essa.

– In quel modo non ce la farete mai! – gridò Beatrice, che si trovava dalla parte opposta del portello rispetto a Miles, e si girò in modo da poter scalciare con entrambi i piedi nudi, incurante del vento di corsa che penetrava dall'apertura e che faceva vibrare e ondeggiare la navetta come una bottiglia sulla cui sommità un gigante stesse soffiando con forza.

Fra un coro di grida, di imprecazioni e di colpi la navetta s'inclinò con improvvisa violenza su un fianco, facendo scivolare sul ponte uomini, donne e tutti i pezzi d'equipaggiamento non fissati. In quel momento un ennesimo calcio assestato da Beatrice con i piedi ormai sanguinanti ebbe ragione di un ultimo bullone distorto: la rampa finalmente si staccò, ma Beatrice scivolò e cadde nel vuoto con essa.

Miles si tuffò di traverso verso di lei, ma non seppe mai se riuscì anche soltanto a sfiorarla, perché la sua mano destra era una massa priva di sensibilità: ciò che vide fu soltanto la bianca chiazza indistinta del volto di lei che svaniva nell'oscurità sottostante.

Nella sua mente parve calare un profondo silenzio: anche se il ruggito del vento e dei motori e il frastuono di urla e di imprecazioni non erano diminuiti di intensità, quel rumore si perdeva in un punto imprecisato del tragitto dagli orecchi al cervello, che non lo registrava e che riusciva a vedere soltanto una chiazza bianca fagocitata dal buio… un'immagine che continuava a ripetersi come un video entrato in loop.

Si ritrovò accoccolato sulle mani e sulle ginocchia a causa dell'accelerazione della navetta che lo stava premendo contro il ponte; qualcuno era riuscito a chiudere il portello e il semplice vociare umano sembrava flebile e insignificante adesso che gli dèi erano stati messi a tacere. Sollevando lo sguardo scorse il volto pallido del luogotenente di Pitt, che era accoccolato accanto a lui e stringeva ancora in pugno l'arma dendarii che aveva raccolto in quella che sembrava un'altra vita.

– Farai bene ad uccidere un mucchio di Cetagandani per Marilac, ragazzo – gli disse dopo un momento, con voce rauca. – E mi auguro che tu dimostri di valere qualcosa per qualcuno, perché di certo ho pagato un prezzo troppo alto per te.

L'uomo contrasse il volto in una smorfia incerta, troppo intimorito anche per apparire contrito, e Miles si chiese quale espressione dovesse avere la propria faccia… di certo era strana, molto strana, a giudicare da quella reazione.

Cominciò quindi a strisciare verso prua, alla ricerca di qualcosa, di qualcuno, ignorando le scie gialle prodotte negli angoli del suo campo visivo da lampi informi, finché una Dendarii in armatura ma priva di elmo lo tirò in piedi.

– Signore, non sarebbe meglio se venisse a prua nello scomparto di pilotaggio?

– Sì, d'accordo…

La donna gli passò un braccio sotto l'ascella per evitare che cadesse di nuovo e insieme si mossero verso prua nella navetta affollata da un misto di prigionieri di Marilac e di Dendarii… ogni volto che incrociavano si girava a guardarlo con espressione spaventata, ma nessuno osò dire nulla. Quando erano ormai quasi a prua, l'attenzione di Miles fu però attratta da una sorta di bozzolo argenteo.

– Aspetta… – disse, e si lasciò cadere in ginocchio con un barlume di speranza, chiamando: – Suegar? Ehi, Suegar!

Suegar aprì gli occhi appena di una fessura; era impossibile stabilire fino a che punto fosse consapevole di quello che stava succedendo, a causa dell'effetto combinato dei medicinali, dello shock e del dolore.

– Adesso sei in cammino. Ce l'abbiamo fatta, nei tempi previsti e con facilità. Con agilità e rapidità, su attraverso le regioni dell'aria, più in alto delle nuvole. Avevi interpretato le scritture nel modo giusto.

Le labbra di Suegar si mossero, e Miles si chinò maggiormente per sentire.

– … non erano vere scritture – sussurrò Suegar. – Io lo sapevo… tu lo sapevi… non mi prendere in giro…

Miles rimase in silenzio per un momento, colto alla sprovvista, poi tornò a chinarsi in avanti.

– No, fratello – sussurrò di rimando, – perché anche se siamo entrati nel fiume vestiti, di certo ne siamo usciti nudi.

Dalle labbra di Suegar scaturì una rauca risata. Miles si concesse di piangere soltanto dopo che ebbero effettuato il Balzo.

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