CAPITOLO SESTO

La Morgol di Herun li attendeva nel cortile per dar loro il benvenuto. Era una donna alta, con capelli neri dalle sfumature azzurre che portava tirati all’indietro per lasciar scoperto il volto, sciolti sulle spalle di un largo abito verde-foglia. La sua dimora era il grande palazzo ovale di pietra nera. Canaletti alimentati dal fiume scorrevano un po’ ovunque nel cortile; l’acqua germogliava da fontane di pietra, formava sussurranti rigagnoli, scorreva in polle ombreggiate da alberi nelle quali nuotavano pesci rossi, verdi e dorati. La Morgol si accostò a Deth, che stava smontando, e gli sorrise. Morgon notò che era alta quanto l’arpista, e che aveva luminosi occhi d’oro.

— Mi spiace che Lyra abbia dato disturbo a voi — gli disse. — Spero che fermarvi qui non vi sia d’incomodo.

L’arpista la rassicurò con un sorrisetto. Quando parlò, nella sua voce c’era una nota che Morgon non gli aveva mai udito. — El, voi sapevate che avrei seguito il Principe di Hed dove lui avrebbe deciso di andare.

— E perché avrei dovuto saperlo? Voi avete sempre scelto da solo la vostra strada. Ma sono lieta che abbiate deciso di venire. Adoro la vostra musica.

I due vennero fianco a fianco verso Morgon, mentre donne silenziose ed efficienti conducevano i cavalli alle scuderie ed altre portavano i loro scarsi bagagli nel palazzo. Gli strani occhi dorati della Morgol erano fissi su di lui. Gli porse la mano. — Io sono Elrhiarhodan, Morgol di Herun. Potete chiamarmi El. Sono felice che siate qui.

Lui fece un lieve inchino, soltanto col capo, improvvisamente conscio d’essere sporco e malmesso. — Non mi avete dato molta scelta.

— No. — La voce di lei suonò gentile. — Non ve l’ho data. Avete l’aria piuttosto stanca. Per varie ragioni mi ero attesa che foste più anziano. Se avessi immaginato la vostra giovane età avrei preferito parlarvi di quell’enigma io stessa, invece di rischiare di spaventarvi a quel modo. — Si volse a salutare Lyra con un cenno. — Grazie per avermi condotto il Principe di Hed. Ma era proprio necessario tirargli un sasso?

Stupefatto Morgon vide Lyra sorridere appena. Poi la ragazza si fece seria. — Madre, è stato il Principe di Hed a colpirmi con una sassata per primo, e ho perso la calma. Inoltre gli ho detto cose… non esattamente diplomatiche. Ma non credo che sia ancora irritato con me. Non ha affatto l’aspetto di un guerriero, di nessun genere.

— No, ma è dotato di un’ottima mira, e se con te avesse usato un’arma ora non saresti qui a compiacere i miei occhi. Gli abitanti di Hed, secondo i loro costumi, non prendono mai le armi contro altri, il che è una restrizione lodevole. Forse non è stato saggio penetrare nel loro accampamento al buio; dovresti imparare a evitare gli equivoci. Ma hai saputo scortarli qui senza inconvenienti, e per questo ti ringrazio. Ora mangia qualcosa, figlia mia, e poi vai a dormire. — Lyra si allontanò, e la Morgol poggiò una mano su un braccio di Deth. — È cresciuta dall’ultima volta che l’avete vista. Ma è un po’ di tempo che non vi fermate a Herun. Venite.

Li precedette su per la breve scala d’ingresso, e attraverso le porte di legno bianco, borchiato d’argento. Nell’interno molti corridoi ad arco s’intrecciavano, apparentemente senza uno schema, collegando una quantità di locali; quelli per cui passarono, tappezzati in stoffe pregiate, ornati con strane piante, eleganti mobili e infissi di metallo lavorato, si susseguivano l’un l’altro come stanze del tesoro. La Morgol si fermò finalmente in una camera riscaldata da pannelli color arancio e oro, e li invitò a sedere su enormi cuscini morbidissimi ricoperti di lana candida. Subito dopo uscì.

Rendendosi conto che quella era una stanza da letto, Morgon si distese e rilassò muscolo dopo muscolo sul soffice giaciglio. Chiuse gli occhi e sospirò: — Non ricordo più da quanto tempo non toccavo un letto. Credi che… entrerà nella nostra mente?

— La Morgol ha il dono della vista totale. Herun è una terra piccola ma molto ricca; i morgol svilupparono questo loro potere fin dall’Anno dell’Insediamento, quando un esercito venuto dal nord di Ymris attaccò Herun per impossessarsi delle miniere. Herun è cinta da montagne, e i morgol impararono a vedere attraverso esse. Credevo che lo sapessi.

— Non m’ero reso conto che la loro vista giungesse a tanto. Mi ha lasciato di sasso. — Qualche secondo più tardi Morgon si addormentò, così profondamente che quando poco dopo entrarono delle cameriere con vassoi di cibarie e le loro borse, non si svegliò neppure.

Dormì a lungo, ed allorché riaprì gli occhi notò che Deth era uscito. Si lavò in un bacile, poi indossò gli abiti di stoffa arancione e dorata che la Morgol aveva fatto disporre lì per lui, leggeri e sciolti. Alla cintura era appeso un bel pugnale di metallo biancastro, con l’impugnatura in corno, che lui però lasciò in camera. Una serva gli fece da guida fino in un’immensa sala, bianca dal soffitto al pavimento, in fondo alla quale le ragazze della Guardia in uniforme rossa sedevano su cuscini intorno a un caminetto circolare, ciascuna con dinnanzi a sé un basso tavolino con vassoi di cibi fumanti. Deth, Lyra e la Morgol sedevano a un tavolo di lucida pietra bianca, su cui erano disposti calici e piatti in argento scintillante di ametiste. La Morgol, vestita in una tunica bianco-argentea e coi capelli riuniti in due trecce sulla sommità del capo, sorrise a Morgon e gli fece cenno di accomodarsi al loro tavolo. Lyra si spostò per fargli posto accanto a lei, quindi gli servì carne aromatizzata, frutti di stagione e verdure, formaggi diversi e un vino molto scuro. Deth, un po’ discosto dal tavolo, stava traendo arpeggi vellutati dal suo strumento. Concluse la lenta melodia senza parole e poi, con voce divertita, cantò una strofa della canzone che aveva composto per la Morgol.

Lei si volse come se l’arpista l’avesse chiamata per nome, e gli sorrise. — Vi ho costretto a suonare anche troppo. Sedete qui vicino a me, e mangiate un boccone.

Deth depose l’arpa e le si accostò. Indossava una tunica di stoffa argentata come i suoi capelli, e una collana di metallo lucido con incastonati alcuni fuochibianchi gli pendeva sul petto.

Morgon, che indugiava a studiare i loro volti mentre la Morgol serviva l’arpista, fu distolto dai suoi pensieri da Lyra: — Il tuo piatto sta diventando freddo. Dunque lui non te lo ha detto?

— Che cosa? No. — Assaggiò un fungo color verde oliva. — Almeno, non in parole. L’ho intuito da quella canzone. Non so perché me ne sono sorpreso. Ora capisco meglio perché ti ha permesso di condurci qui.

Lei annuì. — Voleva venire. Però la scelta doveva essere tua, naturalmente.

— E lo è stata? Come ha fatto la Morgol a sapere quale fosse l’unica cosa che mi avrebbe convinto a venire a Herun?

Lyra sorrise. — Tu sei un Maestro degli Enigmi. Disse che saresti corso dietro a un enigma come un cane da fiuto su una pista.

— Come poteva sapere questo?

— Quando Mathom di An stava cercando l’uomo che aveva conquistato la corona di Peven, i suoi messaggeri, vennero anche a Herun con quella storia. E così, essendo curiosa, lei volle incaricarsi di scoprire chi era costui.

— Ma lo sapevano in pochissimi: Deth, Rood di An, i Maestri…

— E anche i mercanti che viaggiarono con voi da Hed a Caithnard. La Morgol ha un vero talento per scoprire le cose.

— Già. — Spostò il suo boccale di un pollice sulla superficie del tavolo, fissandolo accigliato; poi si volse alla Morgol, attese che ella avesse terminato quel che stava dicendo a Deth. — El… — Gli occhi d’oro di lei si spostarono verso di lui. Morgon si schiarì la voce e chiese: — Dove avete appreso l’enigma che mi avete proposto? Non è annoverato negli elenchi dei Maestri, eppure dovrebbe esserlo.

— Dovrebbe, Morgon? Sembra che sia un enigma così pericoloso che un solo uomo potrebbe tentare di trovare la risposta. Che cosa se ne sarebbero fatti, i Maestri?

— Avrebbero cercato la risposta. Questo è il loro compito. Gli enigmi sono spesso pericolosi, ma un enigma senza risposta può essere mortale.

— Vero, come Dhairrhuwyth scoprì a sue spese… e questa sembra una ragione in più per tenerlo segreto.

— No — disse lui. — L’ignoranza è mortale. Vi prego. Dove lo avete trovato? Io ho… ho dovuto venire a Herun per trovare il mio nome. Perché?

Lei abbassò lo sguardo, come a nascondergli gli occhi per un momento. Lentamente disse: — Ho trovato l’enigma anni fa, in un vecchio libro che il Morgol Rhu lasciò come diario dei suoi viaggi. Il libro era stato chiuso a voce dal mago Iff l’Innominabile, che a quell’epoca era di servizio a Herun. Ho avuto qualche difficoltà ad aprire il libro. Iff lo aveva chiuso col suo nome.

— E voi lo avete pronunciato?

— Sì. Un vecchio studioso della mia corte suggerì che forse il nome di Iff avrebbe potuto essere suonato, invece che pronunciato, e lavorammo insieme molte ore per trovare le note musicali che suonassero come le sillabe del suo nome. Finalmente, aiutata dalla fortuna, riuscii a suonare il nome nel modo giusto, quasi come se a parlare fosse stata una voce umana, e il libro si aprì. L’ultimo appunto che il Morgol aveva scritto riguardava l’enigma, e la sua decisione di partire per cercarne la risposta: l’enigma del Portatore di Stelle. Scrisse che si sarebbe recato al Monte Erlenstar. Danan trovò il suo cadavere a Isig e lo riportò a casa. Lo studioso che mi aiutò è morto, e io… senza una vera ragione, a parte l’istinto, tenni l’enigma solo per me.

— Perché?

— Oh… perché è pericoloso; perché avevo sentito dire dai mercanti che a Hed era nato un bambino con tre stelle sulla fronte; e perché chiesi a un Maestro di Caithnard se sapeva qualcosa di tre stelle, ed egli disse di non averne mai sentito parlare; e perché il nome di quel Maestro era Ohm.

— Il Maestro Ohm? — si stupì lui. — È stato un mio insegnante. Perché il suo nome bastò a fermarvi?

— Una piccolezza, forse, ma scatenò nella mia mente una ridda di pensieri. Io… vidi nel suo nome una tipica abbreviazione di un nome di Herun: Ghisteslwchlohm.

Morgon la fissò a occhi sbarrati. S’era fatto pallido. — Chisteslwchlohm. Chi fu il fondatore di Lungold, e quali sono le nove interpretazioni dei suoi insegnamenti? Ma egli è morto. Settecento anni fa, allorché i maghi scomparvero da Lungold.

— Forse — disse lei. — Ma mi chiedo… — Esitò, poi si distolse da quei pensieri e gli batté una mano su un polso. — Sto disturbando il vostro pranzo con le mie sciocche congetture. Ma sapete, mi accadde una cosa strana che in seguito non mi sono mai spiegata. Io ho la vista totale; posso vedere attraverso tutto ciò che desidero, sebbene generalmente io eviti di vedere attraverso la gente con cui sto parlando: è una cosa che mi distrae troppo. Ma mentre ero col Maestro Ohm, nella Biblioteca dei Maestri, a un certo punto lui si volse a cercare un libro su uno scaffale, e quando lo prese io automaticamente guardai attraverso di lui per vedere il titolo. Però non potei vedere niente. Riuscivo a vedere attraverso i muri della Scuola, attraverso le colline e nel mare… ma la mia visione non passava attraverso il Maestro Ohm.

Morgon deglutì un groppo di saliva. — Voi volete dire… — La voce gli tremò. — Cosa state dicendo, insomma?

— Ebbene, mi occorsero mesi per mettere insieme alcuni pezzi del mosaico. Visto che, come voi, avevo assoluta fiducia nell’integrità dei Maestri di Caithnard. Ma adesso, specialmente da quando voi siete arrivato ed ho potuto unire a quell’enigma un nome e un volto, tendo a credere che forse il Maestro Ohm è Ghisteslwchlohm, il fondatore della Scuola dei Maghi a Lungold, e che fu lui a distruggere Lungold.

Morgon mandò un mormorio inarticolato. Lyra protestò stancamente: — Madre, è impossibile mangiare quando dici cose di questo genere. Perché dovrebbe aver distrutto Lungold, dopo aver affrontato tante difficoltà per fondarla?

— Perché egli fondò la Scuola dei Maghi, un migliaio d’anni fa?

Lyra scosse le spalle. — Per insegnare ai maghi. Lui era il mago più potente nell’intero reame del Supremo, e gli altri maghi erano dei mezzi selvaggi, indisciplinati; essi erano incapaci di usare i loro poteri pienamente. Così, perché Ohm avrebbe dovuto insegnar loro a divenire più potenti se in realtà desiderava solo distruggere il loro potere?

— Lui li riunì là per istruirli? — chiese la Morgol. — Oppure… per controllarli?

Morgon ritrovò la voce. Con le mani artigliate al bordo del tavolo domandò: — Su quali fatti evidenti basate le vostre conclusioni?

La Morgol emise un sospiro. Dinnanzi a tutti loro il cibo era diventato freddo. Deth si limitava ad ascoltare con calma, a capo chino; Morgon non poteva vederlo in faccia. Dai tavoli delle ragazze della Guardia giungevano mormorii di chiacchiere e qualche risatina; il fuoco nel camino circolare ogni tanto schiantava il cuore di un ceppo, estraendone sibili e scoppiettii. — L’unico fatto evidente è un’ignoranza che non mi piace — disse la donna. Strinse le palpebre. — Perché i Maestri non hanno potuto dirvi nulla sulle stelle che avete in fronte?

— Nei loro documenti non sono menzionate.

— E perché?

— Nella storia dei vari regni, nelle loro canzoni e poesie, non se ne fa cenno. I libri dei maghi, che i Maestri hanno preso da Lungold, sono altrettanto muti al riguardo.

— Perché?

Morgon tacque, chiedendosi se c’era una risposta vera e propria. Poi si accigliò. — Iff, almeno, sapeva a quale enigma Rhu stava cercando la risposta — mormorò. — Deve averlo saputo. Egli parla di Rhu e della sua ricerca, nei libri che i Maestri hanno aperto a Caithnard. Ed elencò tutti gli enigmi a cui Rhu riuscì a rispondere, salvo uno…

— Perché?

— Io non… be’, non so il perché. State dicendo che Ohm, o Ghisteslwchlohm, li riunì per controllare le loro conoscenze, per insegnare loro soltanto ciò che voleva che sapessero? Che quanto riguarda le stelle è cosa di cui voleva tenerli nell’ignoranza… o forse perfino scalzarla via dalle loro menti?

— Credo che sia possibile. Da ciò che ho saputo oggi da Deth sul vostro conto, penso che sia abbastanza probabile.

— Ma perché? Per quale scopo avrebbe fatto questo?

— Io non lo so. Tuttavia — continuò lei sottovoce, — supponete di esser stato un mago dalle capacità ancora incolte, attirato a Lungold dai poteri di Ohm e dalla sua promessa di una grande abilità ed esperienza. Voi mettereste il vostro nome nella sua mente; confidando nelle sue capacità, fidando del tutto nei suoi insegnamenti, fareste senza troppe domande qualunque cosa vi chiedesse, ed in cambio egli incanalerebbe le vostre energie in poteri che non avete mai sognato di avere. E poi supponete di scoprire un bel giorno che questo mago, la cui mente controlla la vostra così abilmente, sia falso nei suoi insegnamenti, falso con voi, falso con tutti, studiosi, contadini e Re che aveva servito. Cosa fareste se scopriste che egli ha progetti pericolosi e terribili scopi, per voi fin’allora inimmaginabili, e che la vera base dei suoi insegnamenti è una menzogna? Cosa fareste?

In silenzio Morgon fissò le sue mani, poggiate sul tavolo e chiuse a pugno, come se appartenessero a qualcun altro. — Ohm! — sussurrò. Ebbe una smorfia. — Vorrei che fosse possibile fuggire via, in un posto dove nessuno, uomo o mago, potesse trovarmi. E allora forse potrei cominciare a pensare.

— Io vorrei ucciderlo — disse Lyra sottovoce. Morgon allargò le mani.

— Vorresti? E con cosa? Svanirebbe come una nebbia prima che la tua lancia potesse sfiorarlo. Non si possono risolvere gli enigmi ammazzando la gente.

— Allora, se il Maestro Ohm è Ghisteslwchlohm, cosa pensi di fare nei suoi confronti? Devi pur fare qualcosa.

— Perché io? Di lui può occuparsene il Supremo… e il fatto che non se ne sia occupato è una buona prova che il Maestro Ohm non è il Fondatore di Lungold.

Deth sollevò la testa. — Ricordo che hai usato la stessa argomentazione a Caerweddin.

Morgon sospirò. Riluttante ammise: — Suppongo che tu abbia ragione, ma non riesco a crederlo. Non posso credere che Ohm, o Ghisteslwchlohm, sia un demonio, sebbene questo possa spiegare la strana e improvvisa scomparsa dei maghi, e i racconti sulla violenza di quell’avvenimento. Ma Ohm… io ho vissuto con lui per tre anni. E mi ha sempre trattato con grande gentilezza. Questo non ha senso.

La Morgol lo fissò pensosamente. — Non lo ha, no. Tutto questo mi ricorda un enigma di An, credo. L’uomo chiamato Re, di Aum.

— Chi era Re di Aum? — chiese Lyra, e la Morgol, vedendo che Morgon taceva, rispose con calma: — Un tempo Re di Aum offese il Nobile di Hel, e poi s’impauri, tanto che volle costruire una grande muraglia intorno alla sua casa per timore della vendetta. Egli ne incaricò uno straniero il quale gli promise di edificare una muraglia che nessuno avrebbe potuto distruggere o scalare, se non con la forza della magia. La muraglia fu costruita, lo straniero ebbe il suo compenso, e infine Re si sentì al sicuro. Un giorno, quando si fu convinto che il Nobile di Hel aveva rinunciato ai propositi di vendetta, decise di uscire di casa per avventurarsi fuori dalle sue proprietà. Raggiunse dunque la muraglia e ne fece il giro tre volte, ma non trovò in essa una porta che gli consentisse di uscire. E solo allora cominciò a capire che era stato lo stesso Nobile di Hel a costruire la muraglia. — Fece una pausa. — Ho dimenticato l’interpretazione.

— Mai lasciare che uno straniero costruisca un muro intorno a te — disse Lyra d’intuito. — Dunque Ghisteslwchlohm ha costruito il suo muro d’ignoranza a Caithnard come fece a Lungold, ed è per questo che Morgon non ha mai saputo chi egli fosse. È troppo complicato per me. Io preferisco problemi che si possano risolvere con un colpo di lancia.

— Cosa sapete dirmi di Eriel? — cambiò discorso Morgon. — Deth vi ha parlato di lei?

— Sì — rispose la Morgol. — Ma questo, credo, è un problema del tutto diverso. Se Ohm avesse voluto uccidervi, avrebbe potuto farlo facilmente quando studiavate con lui. Egli non ha reagito alle stelle che avete in fronte nello stesso modo di… di quel popolo senza nome.

— Quella donna — disse Morgon, — ha un nome.

— Voi lo conoscete?

— No. Non ho mai sentito parlare di nessuno come lei. E il suo nome segreto mi spaventa, più di un uomo di cui io conosca il nome.

— Forse Ohm ha nascosto anche il nome di lei — disse Lyra. Si agitò, a disagio. — Morgon, dovresti lasciare che io ti insegni a difenderti. Diteglielo anche voi, Deth.

— Non tocca a me mettermi a discutere col principe di Hed — disse blandamente l’arpista.

— Questo pomeriggio avete addirittura litigato con lui.

— Non ho litigato affatto. Gli ho semplicemente fatto notare l’illogicità di un suo ragionamento.

— Ah! Ebbene, perché mai il Supremo non fa qualcosa? È compito suo. Sulle coste del suo reame c’è della strana gente, che ha tentato di uccidere il Principe di Hed… potremmo combatterli. Ymris ha un esercito; gli abitanti di An sono armati; da Kraal ad Anuin il Supremo potrebbe radunare un esercito. Non capisco perché non lo faccia.

— Osterland sa difendersi — disse Morgon. — E così Ymris, Anuin, e perfino Caithnard, ma quella gente potrebbe passare su Hed come un’onda di marea, spazzandola via in un giorno. Ci dev’essere un modo migliore per affrontarli.

— Arma la tua isola!

Morgon riabbassò di scatto il boccale sul tavolo. — Hed?

— Perché no? Credo che dovresti almeno metterli in allarme.

— E come? I pescatori di Tol vanno fuori ogni giorno, e la sola cosa che abbiano mai trovato nel mare è il pesce. Non sono neanche sicuro che i contadini di Hed credano che esista qualcosa al mondo, all’infuori di Hed e del Supremo. Di tutti e sei i regni, Hed è l’unico in cui i maghi non abbiano mai prestato servizio… là non c’era niente da fare per loro. Una volta il mago Talies visitò l’isola e disse che era inabitabile: era senza una storia, senza una sua poesia, e del tutto priva d’interesse. La pace di Hed è passata, come il governo della terra, da sovrano a sovrano; è legata alla terra dell’isola, ed è compito del supremo, non mio, rompere questa situazione di pace.

— Ma… — lo interruppe testardamente Lyra.

— Se mai io tornassi armato a Hed, e dicessi alla gente di armarsi, mi seguirebbero come se io fossi uno straniero… e questo sarei: uno straniero nella mia stessa terra. Come una peste, l’arma farebbe avvizzire ogni pianta viva di Hed. E se lo facessi senza il permesso del Supremo, egli potrebbe togliermi il governo della terra.

Le sopracciglia scure di Lyra s’aggrottarono. — Io non capisco — disse ancora. — Gli abitanti di Ymris hanno sempre combattuto, anche fra di loro. An, Aum e Hel hanno avuto terribili guerre in passato. I vecchi nobili di Herun si sono battuti l’uno contro l’altro. Hed è tanto diversa? Perché al Supremo dovrebbe importare se vi armate o meno?

— L’isola si è evoluta a questo modo. Ha stabilito le proprie leggi nell’Anno dell’Insediamento, e le leggi legano anche il Principe di Hed. Là non c’è nulla per cui qualcuno dovrebbe combattere: non ci sono ricchezze, non ci sono vaste estensioni di territorio, né miniere, né luoghi di potere occulto o di mistero. Ci sono soltanto buona terra da arare e buon clima, in un’isola così piccola che neppure i Re di An, negli anni delle loro guerre di conquista, ne furono tentati. Gli uomini vollero governanti che mantenessero la pace, il cui istinto di pace fosse profondo come un seme nella terra fertile. Io ce l’ho nel sangue. Per cambiare questa parte di me, dovrei cambiare il mio nome…

Gli occhi scuri di Lyra lo studiarono in silenzio, mentre beveva. Deponendo il boccale egli sentì la mano lieve di lei toccargli una spalla. — Ebbene, dal momento che non vuoi proteggere la tua persona, verrò con te e sarò la tua guardia del corpo. — dichiarò. — Non c’è nessuna nella Guardia della Morgol che saprebbe farlo meglio di me… nessuno in tutta Herun. — Si volse a guardare El. — Ho il tuo permesso?

— No — disse Morgon.

— Dubiti delle mie capacità? — La ragazza estrasse il coltello, prese la lama fra il pollice e l’indice. — Vedi la cordicella che sorregge quella torcia, in fondo alla sala?

— Lyra, sei pregata di non incendiare il locale — mormorò la Morgol.

— Madre, voglio solo dimostrargli…

— Ti credo sulla parola — la rassicurò Morgon. Con le sue mani prese quella di lei, che stringeva il coltello. Calde e lisce le dita di Lyra ebbero un fremito, dandogli l’impressione di tenere un morbido uccellino fra le sue, e qualcosa che in quelle lunghe e dure settimane aveva quasi dimenticato lo sfiorò inaspettatamente. Mantenere un tono calmo e gentile gli costò uno sforzo. — Ti ringrazio. Ma se tu restassi ferita o uccisa nel tentativo di difendermi, non me lo perdonerei mai. Il mio solo desiderio è di viaggiare quanto più in fretta possibile, e senza attrarre l’attenzione di nessuno; soltanto a questo modo garantirò la mia sicurezza.

Lesse il dubbio negli occhi di lei, ma Lyra non volle replicare e rinfoderò il coltello. — Va bene, però ti proteggerò finché starai in questa casa. Neppure tu potrai trovar da ridire su questo, spero.

Quando ebbero terminato di cenare, Deth suonò per la Morgol: dolci e antiche canzoni senza parole di An, ballate di Ymris e di Osterland. Più tardi, allorché depose l’arpa, nella sala erano rimasti soltanto loro quattro; nei candelabri le candele s’erano ridotte al lumicino. La Morgol si alzò da tavola con riluttanza.

— Si è fatto tardi — disse. — Farò rifornire le vostre bisacce, così non avrete bisogno di fermarvi in Osterland, se domattina mi direte di cosa avete bisogno.

— Grazie. — Deth si mise l’arpa a tracolla. La guardò un momento in silenzio, ed ella sorrise. Poi le disse: — Voglio restare. Tornerò qui.

— Lo so.

La donna li accompagnò attraverso il sorprendente intreccio di corridoi fino alla loro camera. Caraffe d’acqua e di vino erano state preparate lì per loro, con una pila di soffici coperte; nel caminetto il fuoco scoppiettava allegramente, spandendo nell’aria un profumo indefinibile ma piacevole.

Prima che El si voltasse per uscire, Morgon disse: — Posso lasciarvi alcune lettere da consegnare ai mercanti? Mio fratello non ha idea di dove io sia.

— Naturalmente. Vi farò portare carta e inchiostro. E se me lo permettete, avrei anch’io qualcosa da chiedervi. Posso vedere la vostra arpa?

Lui la tolse dalla custodia e gliela porse. La donna se la rigirò fra le mani, toccò le stelle e passò le dita sui delicati intarsi d’oro e sulle lune bianche. — Sì — mormorò. — Quando la vidi per la prima volta, la riconobbi. In passato Deth mi aveva parlato dell’arpa di Yrth, e quando l’anno scorso un mercante giunse qui con questo strumento fui certa che Yrth ne era stato l’artefice: un’arpa chiusa da un’incantesimo, dalle corde mute. Cercai con ogni mezzo di acquistarla, ma non era in vendita. Il mercante disse che era stata già promessa a un uomo, in Caithnard.

— Quale uomo?

— Non me lo disse. Perché? Morgon, ho detto qualcosa che vi ha addolorato?

Lui trasse un respiro. — Vedete, mio padre… Io credo che mio padre l’abbia acquistata a Caithnard per me, la scorsa primavera, poco prima di morire. Così, se riusciste a ricordare l’aspetto del mercante, o scopriste il suo nome…

— Capisco. — Gli poggiò gentilmente una mano su un braccio. — Capisco. Sì, scoprirò il suo nome per voi. Buona notte.

Mentre la Morgol se ne andava Lyra comparve nel corridoio, abbigliata in una corta tunica nera e con una lancia in mano. La ragazza diede le spalle alla soglia della camera e si piazzò di guardia con aria decisa. Da lì a poco si spostò per far passare una serva, che portava carta e penna, inchiostro e ceralacca. Morgon sedette davanti al caminetto. Per alcuni lunghi minuti non fece che fissare le fiamme, mentre l’inchiostro si seccava sulla punta della penna. — Cosa mai posso scriverle? — mormorò fra sé. Poi tornò ad aprire il calamaio e stese il bel foglio di pergamena gialla sul piccolo scrittoio portatile.

Firmata e sigillata la lettera a Raederle, scrisse alcune note e raccomandazioni per Eliard, chiuse anche quella, e si distese sul giaciglio con gli occhi fissi sui familiari e sempre mutevoli giochi della fiamma fra i ceppi, conscio soltanto con una parte della mente dei gesti di Deth che preparava il loro bagaglio. Dopo un po’ risollevò il capo e si volse all’arpista.

— Deth… tu hai conosciuto Ghisteslwchlohm?

L’uomo s’irrigidì un istante, le sue mani parvero annaspare sulla cinghia che stava slacciando. Senza guardarlo rispose: — Ho parlato con lui soltanto due volte, assai brevemente. Era un personaggio altero che incuteva molto timore, nell’antica Lungold, negli anni precedenti alla scomparsa dei maghi.

— Non ti è mai capitato di pensare che il Maestro Ohm potrebbe essere il Fondatore di Lungold?

— Non avevo prove o indizi che potessero farmi venire un sospetto di questo genere.

Morgon allungò una mano a risospingere fra le braci un frammento di legno che ne era rotolato fuori; le ombre oscillavano rosate sulla tappezzeria, addensandosi più scure verso il soffitto. Mormorò: — Mi chiedo perché la Morgol non abbia potuto vedere attraverso Ohm. Non so da quale terra egli venga; forse è nato, come Rood, con una qualche stregoneria nel sangue… non ho mai pensato di domandare dove sia nato. Per noi era semplicemente il Maestro Ohm, e sembrava che fosse a Caithnard da sempre. Se El gli domandasse a bruciapelo se il suo nome è Ghisteslwchlohm, probabilmente scoppierebbe a ridere… a parte il fatto che non ricordo d’averlo mai visto ridere. È trascorso ormai tanto tempo dalla distruzione di Lungold, e non si è più sentito parlare di maghi in attività dalla loro scomparsa. È da escludere che qualcuno di loro possa essere ancora vivo. — La sua voce s’era smorzata pian piano, per la sonnolenza. Si girò su un fianco e chiuse gli occhi. Poco più tardi gli parve di udire le vellutate note dell’arpa di Deth, e con quel suono negli orecchi scivolò del tutto nel sonno.

A strapparlo dai sogni fu la musica di tutt’altro arpista. Le vibrazioni sonore sembravano attraversargli le carni intessendosi al battito sordo e disordinato del suo cuore, pulsandogli nel sangue, schizzandogli nella mente con note alte e stridenti che gli graffiavano l’interno del cranio come artigli di uccelletti impazziti. Cercò di muoversi ma qualcosa gli schiacciava le braccia e il torace. Aprì la bocca per chiamare Deth, e il suono che gli scaturì dalla gola fu ancora il rantolo del corvo senza voce.

Aprì gli occhi e si accorse che non riusciva a svegliarsi da quel sogno. Li richiuse, li aprì ancora e ciò che vide fu soltanto la tenebra davanti a lui. Un improvviso terrore gli attanagliò la gola, trasformando i suoi pensieri in un groviglio di rovi. Immobile, annaspando all’interno di se stesso, si sforzò di raggiungere la superficie del mare di oscurità e sonnolenza che lo sommergeva, come se nuotasse disperatamente per non affogare. E infine udì la voce dell’arpista, ed attraverso le corde vibranti vide il lampo oscuro dei suoi ardenti occhi d’ambra.

La voce era secca e robusta, profonda, e le parole che cantava lo paralizzavano e lo legavano come in un incubo:

Inaridendo sta la voce tua

come seccan le piante alla tua terra.

Fermandosi va il sangue nel tuo cuore

simile all’acqua che prosciuga, stagna,

mentre ogni fiume in Hed rallenta e muore.

E disseccandosi vanno i tuoi pensieri

come gialle le vigne avvizziranno

e sabbia diverrà l’erba sotto al piede.

Ecco, ogni vita da te è risucchiata

per marcir come grano non raccolto…

Morgon spalancò gli occhi. L’oscurità e le rosse braci agonizzanti rotearono intorno a lui, finché il buio s’infranse come un’onda sul suo volto ed il focolare sembrò svanire in distanza. In quel pozzo di tenebra vide l’isola di Hed trascinata come il relitto di una nave sul mare furioso, sentì le foglie delle vigne accartocciarsi crocchiando, mentre nelle sue vene i fiumi rallentavano, si facevano esili, e i loro letti divenivano fango secco al suono orribile di quell’arpa. Emise un gemito rauco, incredulo, e finalmente oltre il caminetto vide l’arpista, il cui strumento era fatto di strane ossa e conchiglie lisce, il cui volto era una chiazza pallida nell’ombra. La misteriosa faccia parve alzarsi un poco, al grido di Morgon, ed egli scorse un lampo d’oro in quegli occhi sconosciuti.

Secca, polvere secca è la tua terra,

del deserto tu sei governatore,

Principe dei morenti. Lutto nei campi tuoi.

Appassisce il tuo corpo, e orrido geme

sul tuo mondo perduto solo il vento

che ulula su ogni landa arida e morta

nella desolazione sterile di Hed.

Un’ondata sembrò risucchiarlo via dall’oscura costa di cenere, trascinando con lui anche l’ultimo flusso d’acqua dei fiumi, strappando il liquido vitale dalla terra di Hed, lasciando le sue rive spoglie, trasformando l’isola in una desolazione di sabbia arida e sale nerastro oltre i confini del mondo. Morgon sentì la terra fredda e secca, sentì la vita stessa di Hed agonizzare in quel mare morto, agonizzare dentro di lui, e mandò un ansito. Con le ultime energie cercò di gridare una protesta, ed essa non fu una parola, ma un gracidio da uccello che stridette contro l’oscena impossibilità di quella canzone. Il grido lo riportò dentro il suo stesso corpo, quasi che le sue membra ormai sul punto di sgretolarsi nelle tenebre si fossero rimesse insieme.

Si alzò in piedi, tremando, così stordito che inciampò nell’orlo della sua lunga tunica e cadde contro il caminetto. Le sue dita sprofondarono nella cenere, e prima di rialzarsi afferrò follemente rami carbonizzati e braci roventi, scagliandoli verso il volto dell’arpista. Lui girò la testa per evitare d’esser colpito agli occhi, e si alzò di scatto. Nelle sue pupille vibravano scintille dorate. Rise, una sua mano biancheggiò nel buio e colpì Morgon alla fronte. Debole, istupidito dal pugno, Morgon restò in ginocchio ai piedi dell’arpista. Le sue dita artigliarono ciecamente le corde dell’arpa creando una cacofonia di suoni. Un attimo dopo lo strumento roteò nell’aria, sfiorò la testa di Morgon mentre lui si spostava e gli impattò sulla spalla con tale violenza da farlo piegare al suolo.

Il dolore che gli saettò dietro il collo lo fece gridare ancora. Malgrado ciò, e con la vista annebbiata dalle lacrime e dalla sofferenza, riuscì in quel momento a vedere Lyra nel corridoio: la ragazza era in piedi e gli dava le spalle, come se non udisse il più piccolo rumore e se lui stesso fosse più silenzioso di un sogno. Senza alzarsi in piedi si proiettò contro le gambe dell’arpista, riuscì a colpirlo con la spalla sana e lo sbilanciò, mandandolo a cadere su uno dei grandi cuscini. Di nuovo si trovò le dita aggrovigliate nelle corde dell’arpa, che risuonarono; sollevò lo strumento, lo fece roteare e lo scaraventò verso la testa dello sconosciuto. Ci fu un tonfo sordo, un vibrante disarmonico di note, e dal buio provenne un rantolo di rabbia e di dolore.

Morgon si lanciò a braccia protese addosso all’arpista, che si contorse e rotolò al suolo con lui, lottando e divincolandosi. Nella scarsa luce che entrava dal corridoio vide del sangue su quella faccia sconosciuta. Poi un coltello sembrò materializzarsi nell’aria e lampeggiò abbassandosi su di lui. Morgon afferrò disperatamente il polso dell’arpista; l’altra mano dell’uomo gli artigliò in una morsa la spalla ferita, causandogli una fitta di sofferenza accecante.

Gridò, scosso da tremiti convulsi, ma con una testata nel petto riuscì a schiacciare l’avversario a terra. Gli si buttò sopra con tutto il corpo per immobilizzarlo e lo sentì divincolarsi sotto il suo peso, poi gli attanagliò le mani alla gola. Strinse i denti, mentre le sue dita si sforzavano di mantenere la presa, e soltanto allora si rese conto che non lottava più con un uomo, ma contro qualcosa che per liberarsi dalla sua stretta mutava fattezze e dimensioni sotto di lui.

In seguito non seppe mai ricordare quante volte ciò che si agitava fra le sue mani cambiò forma disperatamente per sfuggirgli. Sentì l’odore selvatico e muschioso di una pelliccia d’animale; poi s’accorse che fra le sue dita c’erano penne e piume; poi qualcosa che puzzava di palude ed era viscido come fango. D’un tratto si trovò fra le gambe la groppa di un cavallo che scalpitava furiosamente, e subito dopo un enorme pesce guizzante dalle scaglie oleose che per poco non gli slittò via dalle braccia. Un gatto selvatico soffiò, col pelo ritto e gli artigli sfoderati. Si trovò a dover mantenere la presa su animali così antichi che non avevano nome, e li riconobbe soltanto per averli visti raffigurati su vecchissimi libri. Sbalordito sentì la cosa sotto di lui diventare di roccia, una grossa pietra delle città dei Signori della Terra, su cui quasi si spezzò le unghie; ebbe fra le mani una enorme farfalla, così bella che fu sul punto di lasciarla andare piuttosto che rischiare di spezzarle le ali. La farfalla divenne una rigida corda d’arpa, e da essa scaturì una vibrazione che gli penetrò negli orecchi e nel cranio così a fondo da dargli l’impressione d’essere lui stesso una creatura fatta di suono. E d’un tratto ciò che teneva in mano si mutò in una spada.

Le sue dita ne stringevano la lama, bianco-argento, lunga circa metà del suo corpo; strani intrecci di disegni la ornavano, delicatamente incisi, e in essi si rifletteva il rosso delle braci. L’impugnatura era di rame e d’oro. E sempre in oro, pulsanti di luce, sull’elsa erano intarsiate tre stelle.

La sua stretta s’indebolì. Nella sua gola secca il respiro si fermò, finché nella stanza rimase un silenzio assoluto. Poi, con un grido di rabbia, scaraventò la spada lontano da sé e fuori dalla porta. L’arma andò ad arrestarsi quasi fra i piedi di Lyra, che sobbalzò sbigottita.

La ragazza si chinò a raccoglierla e la soppesò, ma essa prese vita fra le sue mani: all’istante la lasciò ricadere, indietreggiando di corsa fino all’estremità opposta del corridoio. Mandò un grido, e da lontano le risposero alcune voci allarmate. La spada svanì in uno sbuffo di nebbia, e al suo posto comparve il maestro delle forme.

L’individuo si mosse rapidamente verso Morgon; la lancia di Lyra, scagliata una frazione di secondo troppo tardi, gli sorvolò una spalla e volò in camera da letto, piantandosi in uno dei cuscini. Morgon non ne fu colpito per miracolo; rialzò gli occhi e vide la figura dell’avversario avvicinarsi nella penombra. I suoi capelli oscillavano neri e lunghi, aveva un volto irregolare bianco come la madreperla, occhi verde-blu dalle palpebre pesanti che sembravano brillare di luce propria, ed il suo corpo era adesso stranamente fluido e mutevole, del colore della spuma e dell’acqua marina. Si muoveva in silenzio, avvolto in un indumento che sembrava fatto d’alghe, d’erbe tolte da un fondale oceanico e di conchiglie. Mentre avanzava nella camera, inesorabile come un’onda di marea, Morgon sentì la presenza di un potere enorme, indefinibile, inquieto e profondo come il mare, misteriosamente impersonale come la luce in quei due occhi fissi su di lui.

Il grido d’avvertimento di Lyra lo riscosse come da un sogno: — La lancia! Morgon, la lancia accanto a te. Colpiscilo!

Allungò una mano a impugnare l’arma.

In quegli occhi di mare e di luce ci fu un bagliore, il lontano e sardonico accenno di un sorriso. Morgon si alzò e indietreggiò lentamente con la lancia fra le mani, protendendola fra loro. Sentì il grido disperato di Lyra: — Morgon! — Un tremito violento gli indebolì le dita, la punta dell’arma si abbassò, il sorriso in quegli occhi strani assunse una luce di disprezzo. Con una delle più inconsuete imprecazioni di Ymris, che dalla sua bocca parve un gemito, Morgon sollevò il braccio all’indietro e scagliò la lancia.

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