CAPITOLO TERZO

Riprese i sensi, gettato come uno straccio in mezzo a sparsi cumuli di alghe secche, con la faccia immersa nei detriti e la bocca piena di sabbia. Sollevò la testa: uno dei suoi occhi gli rivelò una distesa di sabbia candida, cosparsa di erbe marine e di legni sbiancati dal salmastro; l’altro occhio era cieco. Lasciò ricadere la testa, chiuse nuovamente gli occhi, e dietro di lui qualcuno gli poggiò una mano su una spalla.

Ebbe un sussulto. Due mani lo afferrarono rudemente e lo girarono sulla schiena. Aprì le palpebre e si trovò a fissare gli occhi azzurro-ghiaccio di un gatto selvatico dal pelo bianco. Gli orecchi del felino erano minacciosamente abbassati. Una voce perentoria ammonì: — Xel!

Morgon cercò di parlare ma emise soltanto rauchi e strani versi che avrebbero potuto uscire dal becco di un corvo.

La voce disse: — Chi sei? Cosa ti è successo?

Egli tentò di rispondere. La sua voce non volle saperne di articolarsi in parole. Fu consapevole con sconfortante certezza che comunque non esistevano parole adatte, né in lui né altrove, per formulare risposta a quella domanda.

— Chi sei?

Egli chiuse gli occhi. Nella sua mente nacque come un vortice un gran silenzio, che lo trascinò giù sempre più giù in un abisso di tenebra.

Si risvegliò di nuovo sentendo un sapore di acqua fresca. Ciecamente protese la bocca, bevve finché la crosta di sale che gli copriva il palato si fu sciolta, poi si abbandonò all’indietro e la tazza sfuggì dalle sue mani prive di forza. Qualche istante più tardi aprì ancora il suo unico occhio buono.

Un giovanotto dai flosci capelli nivei, con gli occhi bianchi, era inginocchiato al suo fianco sul pavimento polveroso di una casupola. La stoffa del vestito che indossava, ampio e adorno di eleganti ricami, era bucherellata e consunta; la pelle del suo strano e orgoglioso volto era molto tesa, incavata sulle ossa.

Mentre Morgon lo fissava storditamente, disse: — Chi sei? Puoi parlare, adesso?

Morgon aprì la bocca. Simile a una lieve onda di pensieri che retrocedevano e svanivano, qualcosa che un tempo egli aveva conosciuto scivolò via del tutto dalla sua mente, lasciando il silenzio dietro di sé. Il fiato gli esplose fuori dai polmoni in un improvviso e violento colpo di tosse, e disperato si coprì il volto con le mani.

— Fai attenzione. — L’uomo gli fece scostare le dita dalla faccia. — Sembra che tu abbia battuto la testa contro qualcosa; il sangue e la sabbia ti si sono impastati su un occhio. — Glielo lavò con cautela. — E così, non riesci a ricordare il tuo nome. Sei caduto in mare da una nave durante la burrasca di ieri notte? Vieni da Ymris? O da Anuin? O da Isig? Sei un mercante? Forse vieni da Hed, o da Lungold? Sei un pescatore di Loor? — Il silenzio di Morgon gli fece scuotere la testa, perplesso. — Sei muto e incomprensibile come le sfere d’oro, vuote all’interno, che scavai fuori sulla Piana del Vento. Riesci a vederci, ora?

Morgon annuì, e l’uomo sedette a gambe incrociate scrutandolo in faccia come se sperasse di trovare il nome nascosto nei suoi lineamenti. D’un tratto il suo cipiglio si schiarì. Allungò una mano e grattò via lo strato di sale che s’era seccato sulla fronte di Morgon. La sua voce divenne un sussurro. — Tre stelle.

Morgon alzò le mani a toccarsele. L’uomo lo osservò incredulo. — Tu non ricordi neppure questo. Sei uscito dal mare con tre stelle sulla faccia, senza nome e senza voce, come un prodigio venuto dal passato… — Tacque, mentre una mano di Morgon scivolava ad afferrargli un polso e dalla sua bocca usciva un grugnito interrogativo. — Oh! Io sono Astrin Ymris. — Poi aggiunse, in tono secco e formale: Sono il fratello e l’erede di Hereu, Re di Ymris. — Infilò un braccio sotto le spalle di Morgon. — Se ti metti a sedere ti darò dei vestiti puliti.

Gettò in un angolo la tunica lacera e bagnata di Morgon, gli ripulì il corpo dalla sabbia, e lo aiutò a infilarsi un lungo saio di bella stoffa scura, fornito di cappuccio. Uscì a prendere un po’ di legna, ravvivò le braci sotto un pentolone di zuppa, ma ancor prima che questa fosse calda Morgon era ripiombato nel sonno.

Si risvegliò al crepuscolo. La casupola era deserta, ed egli si tirò a sedere guardandosi attorno. C’era pochissimo mobilio: due scaffali, un largo tavolo ricoperto da oggetti disparati, un alto sgabello, e il giaciglio su cui lui aveva dormito. Alla porta di legno erano appesi alcuni utensili: un piccone, un martello, uno scalpello e una spazzola, sporchi di terriccio. Al di là della soglia una grande pianura spazzata dal vento si stendeva verso ovest a perdita d’occhio. Non lontano dalla casa, scure rovine di pietra senza forma si stagliavano nella penombra violacea. A meridione si scorgeva, simile a una linea di confine fra le terre, il nero profilo di una foresta. Il vento che spirava dal mare sembrava parlare un vuoto linguaggio senza requie. Odorava di sabbia e di notte, e per un momento, nell’ascoltarlo, alcuni ricordi affiorarono nella tenebra della sua mente: acqua, freddo, un vento selvaggio. Fu costretto ad aggrapparsi allo stipite della porta per non cadere. Ma quelle memorie svanirono senza che egli riuscisse a dar loro un senso, né a trasformarle in parole.

Si volse. Sul tavolo di Astrin giacevano molte cosette abbastanza strane. Le toccò, incuriosito. C’erano frammenti di bellissimo vetro colorato, pezzi d’oro, cocci di stoviglie dipinte con arte, alcuni anelli di una pesante catena di rame, un flauto spezzato di legno e oro. Un riflesso di colore lo indusse ad allungare una mano verso un oggetto. Era una gemma sfaccettata, grossa quanto il suo pugno, e mentre se la rigirava fra le dita attraverso di essa balenarono tutti i colori del mare.

Sentendo uno scalpiccio si volse. Era Astrin. Con Xel alle calcagna l’uomo entrò e depose una borsa pesante e malridotta presso il camino.

Attizzando il fuoco borbottò: — È bella, non è vero? L’ho trovata ai piedi della Torre del Vento. Nessun mercante a cui l’ho mostrata ha saputo dirmi che razza di pietra è, così l’ho portata a Isig, allo stesso Danan Isig. Mi ha detto di non aver mai visto una gemma di quel genere sulle sue montagne, e che non conosceva nessuno, a parte lui e suo figlio, che sarebbe stato capace di tagliarla con quella perfezione. È stato lui a darmi Xel, per compagnia. Io non avevo niente con cui contraccambiare, ma egli disse che gli avevo già regalato un mistero, il che talvolta può risultare prezioso. — Appese il pentolone sul fuoco, aprì la sua borsa, e prese un coltello che pendeva da un chiodo. — Xel ha ammazzato due lepri; le cucinerò per la cena… — Quando Morgon gli toccò un braccio sollevò lo sguardo. Gli lasciò prendere il coltello. — Sei capace di spellarle? — Morgon annuì. — Dunque sai come si fa. Puoi ricordare qualcos’altro di te stesso? Pensaci. Cerca di… — Vedendo l’espressione tormentata di Morgon tacque. Gli poggiò una mano su una spalla. — Non importa. Prima o poi la memoria ti tornerà.

Mangiarono lo stufato alla luce del fuoco, con la porta ben chiusa contro il vento che s’era all’improvviso rinfrescato. Astrin cenava tranquillamente, col bianco cacciatore Xel accovacciato ai piedi, e finché non ebbero terminato parve esser tornato ai suoi solitari silenzi di uomo abituato a vivere coi propri pensieri. Poi andò ad aprire la porta un istante. Fuori aveva cominciato a piovere forte. La richiuse, e il gatto sollevò la testa con un lamentoso miagolìo. Quando Astrin tornò al tavolo i suoi movimenti s’erano fatti nervosi, irrequieti: tastava libri e documenti senza aprirli, univa fra loro cocci che non si appaiavano in nessun modo e li lasciava ricadere, e il suo volto era inespressivo come se stesse ascoltando qualcosa oltre il fruscio della pioggia. Seduto accanto al caminetto Morgon aveva mal di capo e lo fissava senza pensare a nulla, tastandosi il taglio sopra l’occhio. Astrin smise di andare avanti e indietro e si fermò davanti a lui, osservandolo coi suoi strani occhi bianchi pieni di misteri finché egli distolse lo sguardo.

Con un sospiro Astrin sedette al suo fianco. Improvvisamente disse: — Sei enigmatico quanto la Torre del Vento. Io mi trovo qui da cinque anni, esiliato da Caerweddin. Parlo con Xel, con un vecchio di Loor da cui compro il pesce, con occasionali mercanti, e con Rork, Alto Nobile di Umber, che viene a farmi visita qualche volta. Di giorno, per curiosità, vado a fare scavi nell’immensa città in rovina dei Signori della Terra, sulla Piana del Vento. Di notte invece scavo in altre direzioni, talvolta nei libri di magia che ho imparato ad aprire, talvolta nelle tenebre oltre Loor, sul mare. Prendo Xel con me, e andiamo a guardare qualcosa che viene costruito sulle spiagge di Ymris nel segreto della notte, qualcosa per cui non c’è nome… Ma questa notte non posso farlo. Il mare sarà agitato con un vento come questo, e Xel odia la pioggia. — Per qualche istante tacque. — I tuoi occhi mi fissano come se tu capissi tutto ciò che dico. Vorrei sapere il tuo nome. Vorrei… — La voce gli si smorzò; i suoi occhi si fermarono, indagatori, sul volto di Morgon.

Improvvisamente come s’era seduto l’uomo si alzò, e da uno scaffale tolse un pesante tomo con un nome stampato in oro sulla copertina: Aloil. Era chiuso con due flange, di ferro in apparenza prive di ogni giuntura o fibbia. Le toccò, mormorando una parola, ed esse si aprirono. Morgon si alzò e gli andò accanto, lui alzò lo sguardo. — Sai chi era Aloil? — Morgon scosse la testa. Poi i suoi occhi si allargarono un poco, come se ricordasse, ma Astrin continuò: — Molti lo hanno dimenticato. Egli era il mago in servizio presso i Re di Ymris, e lo fu per novecento anni finché andò a Lungold; poi scomparve del tutto insieme all’intera scuola dei maghi, settecento anni fa. Io ho acquistato il libro da un mercante; mi sono occorsi due anni per scoprire la parola che lo apre. Parte delle poesie che Aloil scrisse erano dedicate alla maga Nun, in servizio a Hel. Tentai di aprire il libro usando il suo nome, ma non funzionò. Poi ricordai il nome del suo maiale favorito, un maiale davvero notevole fra tutti quelli di Hel: il maiale parlante, Hegdis-Noon… e quel nome aprì il libro. — Poggiò sul tavolo il pesante tomo, sfogliandolo con aria pensosa.

— Qui da qualche parte c’è l’incantesimo che fece parlare la pietra a Pian Bocca di Re. Tu conosci quella storia? Aloil era furibondo con Galil Ymris poiché il Re aveva rifiutato di seguire i suoi consigli durante l’assedio di Caerweddin, e come risultato di ciò la torre di Aloil era stata data alle fiamme. Così Aloil fece in modo che una pietra della pianura dietro Caerweddin parlasse per otto giorni e otto notti, con voce talmente forte che gli uomini la udirono anche nella lontana Umber e in Meremont, e la pietra recitò tutti i segreti di Galil. Fu da questo episodio che Pian Bocca di Re prese il nome. — Gettò un’occhiata da sotto in su a Morgon e lo vide sorridere. Si raddrizzò. — Non ho parlato tanto in tutto il mese. Xel non può ridere. E tu mi ricordi che sono sempre un essere umano. È una cosa che talvolta rischio di dimenticare; salvo quando Rork Umber è qui in visita perché allora son costretto a ricordare fin troppo bene chi sono. — Riabbassò gli occhi, girò una pagina. — Ecco, è qui. Adesso, se mi lasci leggere il manoscritto… — Per qualche minuto tacque, mentre Morgon si sporgeva a leggere oltre la sua spalla alla luce giallastra che la candela spandeva sulla pagina. Infine Astrin si volse a guardarlo, lo prese gentilmente per le braccia e sottovoce disse: — Se questo incantesimo è riuscito a dare voce a una pietra, penso che possa far parlare anche te. Non ho mai fatto molta penetrazione mentale; sono entrato nella mente di Xel, e una volta in quella di Rork, col suo permesso. Se hai paura preferisco non farlo. Ma forse, se andrò abbastanza in profondità, riuscirò a trovare il tuo nome. Vuoi che ci provi?

Una mano di Morgon si alzò a sfiorargli la bocca. Annuì, con gli occhi fissi in quelli di Astrin, e l’uomo fece un sospiro. — Molto bene. Siediti. Stai calmo e immobile. Il primo passo consiste appunto nel divenire come la pietra…

Morgon sedette sullo sgabello. Di fronte a lui Astrin, scuro come un’ombra nella vacillante luce della candela, si congelò nel silenzio più assoluto. D’un tratto Morgon notò uno strano tremolio nel locale, come se una seconda visione della stessa stanza si fosse sovrapposta alla sua, e rimise a fuoco gli occhi con uno sforzo. Incomprensibili frammenti di pensieri rotearono nella sua mente: la pianura che egli aveva visto all’esterno, il muso di Xel, le pelli che aveva appeso a seccare. Poi ci fu soltanto una lunga tenebra, e infine un senso di rinuncia.

Astrin si mosse, con le braci del focolare che gli creavano strani riflessi negli occhi. — Non c’era niente. È come se tu non avessi alcun nome. Non ho potuto penetrare fino allo strato in cui hai nascosto a te stesso il tuo nome e il tuo passato. È profondo, occulto… — Nel vederlo alzarsi tacque. Le mani di Morgon si chiusero intorno alle spalle di Astrin, lo strinsero, lo scossero con insistenza, e l’uomo borbottò: — Io ho tentato. Ma non ho mai trovato un altro individuo che si nasconda tanto a se stesso. Devono esserci degli altri incantesimi; li cercherò. Però non vedo perché tu debba prendertela così. Il fatto di non avere nome né memoria dovrebbe essere la quintessenza della pace… D’accordo. Ci studierò sopra. Porta pazienza.

Il giorno successivo, all’alba, Morgon lo sentì che si alzava e abbandonò anch’egli il suo giaciglio. La pioggia era cessata, sparsi cumuli di nuvole si spostavano sulla Piana del Vento. I due fecero colazione con lo stufato di lepre freddo, pane e vino, poi presero gli attrezzi di Astrin e con Xel alle calcagna s’incamminarono attraverso la piana verso le rovine dell’antica città.

La zona era un labirinto di colonne spezzate, muri crollati, stanze prive di soffitto, scale che non portavano in nessun posto, arcate abbattutesi al suolo, il tutto costruito in lisci e pesanti blocchi di pietra colorati in ogni sfumatura di rosso, verde, oro, azzurro, grigio e nero, strisciati o punteggiati di altre tinte in mescolanze policrome. Una larga strada pavimentata in pietre bianche e dorate, fitta di erbacce che crescevano negli interstizi, prendeva inizio sul lato orientale della città e la tagliava in due, terminando ai piedi dell’unico edificio rimasto apparentemente intatto: era un’altissima torre, intorno alla quale rampe di scale spiraleggiavano dal nero e irregolare basamento su fino a una piccola costruzione d’un azzurro intenso che si scorgeva sulla sommità. Svoltando sulla strada centrale fianco a fianco con Astrin, Morgon si arrestò bruscamente e alzò gli occhi a guardarla.

— La Torre del Vento — lo informò Astrin. — Sulla sua cima non è mai salito alcun essere umano… maghi compresi. Aloil ci provò; arrancò su per le scale per sette giorni e sette notti, e non riuscì mai a raggiungerne la fine. Ho tentato anch’io, molte volte. Sono convinto che sulla cima di questa torre debba esserci la risposta a domande così antiche che tutti abbiamo smesso di farcele. Chi erano i Signori della Terra? Quale fu lo spaventoso avvenimento che distrusse loro e le loro città? Io inganno il tempo come un bambino fra questi scheletri di pietra, raccogliendo qui una bella pietruzza, là un piatto rotto, sempre sperando di trovare un giorno la chiave di questo mistero, l’inizio di una risposta… ho portato un frammento di quei grossi blocchi di pietra anche a Danan Isig; mi ha detto che non è a conoscenza di nessuna cava nel reame del Supremo dove si estragga materiale di quel genere. — Toccò un braccio di Morgon per richiamare la sua attenzione. — Io vado laggiù, in quel locale privo del tetto. Mi troverai là, quando ne avrai voglia.

Lasciato a se stesso nella risonante immensità della città di macerie, Morgon si aggirò fra edifici crollati e locali aperti alla pioggia, scavalcando mucchi di pietre profondamente infossati nel terriccio e cespi di erbacce. Il vento soffiava con la forza di un cavallo selvaggio, ululando lungo la strada, torcendosi in furibonde spirali attorno alla torre e gemendo nelle sue misteriose stanze. Lasciandosi spingere da esso Morgon si accostò all’immensa e lucente struttura, poggiò una mano sulla parete azzurra e nera e salì sul primo gradino della scala. Erano gradini dorati, che salivano curvando a destra fino a sparire alla vista. Alle sue spalle il vento premeva con violente raffiche, come per incitarlo a salire. Dopo qualche istante si volse e andò a cercare Astrin.

Lavorò per tutto il giorno accanto all’uomo, scavando in una piccola stanza il cui pavimento era sepolto sotto strati di tufo, ed a mani nude spostò il terriccio in cerca di pezzi di metallo, di vetro, di stoviglie. Dopo qualche tempo, sporco di fango nerastro fino ai gomiti, s’accorse d’annusare con piacere l’odore intenso del terriccio, e in lui qualcosa reagì con un fremito di desiderio. Quando se ne accorse gli sfuggì un mugolio. Astrin si girò a guardarlo.

— Che c’è? Hai trovato qualche oggetto?

Lui abbassò gli occhi nella fossa e scosse il capo, mentre le lacrime gli offuscavano lo sguardo senza che ne capisse il motivo.

Al crepuscolo, mentre tornavano a casa coi loro reperti accuratamente avvolti in un vecchio telo, Astrin osservò: — Ti comporti con molta pazienza e calma, qui. Chissà che tu non sia nativo di queste parti, e che non abbia già lavorato in silenzio fra queste cose dimenticate. E accetti la mia strana vita senza far domande, come se tu avessi scordato com’è l’esistenza altrove, dove gli uomini vivono insieme… — Tacque un istante. Poi mormorò, come se lo ricordasse a se stesso: — Io non ho sempre vissuto da solo. Sono cresciuto a Caerweddin, con Hereu, e coi figli degli Alti Nobili di nostro padre, nella rumorosa e splendida casa che Galil Ymris fece costruire con le pietre dei Signori della Terra. A quel tempo Hereu ed io eravamo molto uniti, l’uno l’ombra dell’altro. Questo era prima che litigassimo. — Accorgendosi che Morgon lo fissava scosse le spalle, sbuffando. — Vivere qui non fa nessuna differenza per me. Non tornerò mai più a Caerweddin, e in quanto a Hereu lui non verrà mai da queste parti. Ho già dimenticato che una volta non conoscevo la solitudine. Dimenticare è facile.

Quella sera, subito dopo cena, Astrin lo lasciò solo in casa. Morgon lo attese pazientemente, ripulendo dal fango i frammenti di vasellame che avevano trovato. Qualche ora dopo il tramonto il vento cominciò di nuovo a soffiare con forza, e a disagio egli ebbe l’impressione che scuotesse la piccola costruzione come se volesse sradicarla dal suolo. Il tetto cigolava, all’esterno si sentivano rotolare oggetti pesanti. Pur sapendo che era inutile aprì la porta nella speranza di veder tornare Astrin; il vento gli strappò il battente dalle dita, lo mandò a fracassarsi quasi contro il muro, ed egli fu costretto a lottare con la violenza delle raffiche per poter richiudere.

Quando infine, come accadeva spesso, l’aria tornò improvvisamente immobile, un immenso silenzio scese sulla Piana del Vento nella debole luce lunare. La torre si ergeva fra i cumuli di pietre abbattute, intatto e solitario monolito che si lasciava contemplare muto dalle stelle. Morgon gettò altri ceppi sul fuoco, si fece una torcia con un ramo di quercia e uscì. Ma aveva fatto appena due passi che udì un ansito oltre l’angolo della casupola, e ci fu un lento e strascicato scalpiccio. Si volse e vide comparire Astrin, che con una mano si appoggiava al muro.

Mentre Morgon gettava al suolo la torcia e correva a sostenerlo, l’uomo ansimò: — Sto bene. — Nella luce che usciva dalla finestra la sua faccia appariva grigiastra. Poggiò un braccio sulle spalle del giovane e si lasciò condurre all’interno, poi sedette sul giaciglio. Aveva le mani ricoperte di graffi e abrasioni, ed i capelli incrostati di salsedine. Con una smorfia si poggiò la mano destra sulle costole e restò immobile, sfinito, finché Morgon s’accorse del sangue che gli scorreva fra le dita e gli si accostò con un gemito di cordoglio. Astrin si lasciò ricadere all’indietro sul pagliericcio, la mano gli scivolò via dal fianco. Non fu lieto, quando Morgon strappò la cucitura per aprirgli l’abito.

— No. Sono a corto di vestiti — sussurrò. — Lui mi ha visto per primo, ma io l’ho ucciso. Poi è rotolato in mare, e ho dovuto andare a riprenderlo fra gli scogli e le onde, altrimenti loro lo avrebbero ritrovato. L’ho seppellito nella sabbia. Loro non potranno trovarlo, adesso. Lui era fatto di… ha preso forma dalle alghe e dalla spuma e dalla madreperla bagnata, e la sua spada era fatta di tenebra e di acqua d’argento. Mi ha colpito e gettato a terra come un ranocchio, e se Xel non mi avesse avvertito a tempo ora sarei morto. Se non mi fossi girato… — Ebbe un sussulto allorché Morgon gli toccò il fianco con un panno umido. Poi tacque, ad occhi chiusi, stringendo i denti intanto che lui gli lavava la profonda ferita e strappava strisce della tunica per bendarlo. Infine chiese un po’ di vino, bevve ed i tremiti del suo corpo si placarono. Parve rilassarsi alquanto. — Grazie. Xel… grazie. Se Xel ritorna fallo entrare.

Per il resto della notte l’uomo giacque senza riaprire gli occhi, esausto. Solo verso l’alba si svegliò, sentendo Xel che grattava alla porta. E Morgon, che era rimasto sveglio a sedere davanti al caminetto, si alzò per aprire al felino, bagnato fradicio e infangato.

Il giorno successivo Astrin non disse quasi nulla dell’accaduto. Insistette per alzarsi e si mosse attorno rigidamente, con un’espressione cupa e triste che si rischiarava soltanto quando i suoi occhi incontravano quelli muti e preoccupati di Morgon. Trascorsero la giornata in casa, Astrin sui libri di magia fra le cui pagine sembrava annusare come un animale, e Morgon cercando di lavorare e rammendare i vestiti di lui, mentre tutte le domande a cui non riusciva a dar fiato gli si contorcevano in gola come uccelletti in gabbia.

Infine, verso il tramonto, Astrin emerse dalle sue fosche riflessioni. Con un sospiro chiuse un libro, la cui serratura di ferro si bloccò da sola, guardò la piana attraverso la finestra e dichiarò: — Dovresti dirlo a Hereu. — Batté le mani sul libro e le strinse a pugno, sussurrando: — No. Lasciamo che veda coi suoi occhi. Il regno è affar suo. Lasciamo che impegni il suo nome su questo. Cinque anni fa mi ha cacciato da Caerweddin per aver detto la verità; perché dovrei tornare indietro?

Seduto davanti al caminetto, con le dita che lottavano con l’ago e il filo, Morgon emise un grugnito interrogativo. Astrin si premette una mano sul fianco e aggiunse legna al fuoco per scaldare la cena. Si fermò un attimo accanto a Morgon per dargli una pacca affettuosa su una spalla. — Sono contento che tu fossi qui ieri notte. Se c’è qualcosa, qualsiasi cosa, che io possa fare per te, la farò.

Da allora, per un po’ di tempo, egli non uscì più la notte. Morgon lavorò con lui in città ogni giorno, a scavare fra le macerie, e nelle quiete lunghe serate provò a rimettere insieme frammenti di vetro e di altri materiali, mentre Astrin scartabellava fra i suoi libri. Ogni due o tre giorni andavano a caccia con Xel, nell’intricata boscaglia di querce che a meridione ricopriva la costa fin oltre i confini di Ymris.

Un giorno, mentre camminavano sul morbido tappeto di foglie morte del sottobosco, Astrin disse: — Potrei portarti a Caithnard. È ad appena un giorno di viaggio verso sud, oltre la foresta. Forse laggiù qualcuno ti conosce. — Ma Morgon si limitò a guardarlo senza espressione, come se Caithnard fosse il nome di qualche misteriosa terra al di là del mare, e Astrin non ne riparlò più.

Pochi giorni dopo Morgon rinvenne un insieme di frammente di vetro rossi e porpora, d’aspetto interessante, in un angolo del locale in cui stavano scavando. Li portò alla casupola di Astrin, li ripulì dal terriccio e li studiò incuriosito. Il mattino successivo pioveva a dirotto; non poterono tornare in città. Nella piccola casa l’aria era umida e pesante, e il fuoco emetteva molto fumo. Xel si agitava inquieto, fermandosi ogni tanto a miagolare lamentosamente in direzione di Astrin, il quale borbottava parole e frasi su un libro di incantesimi che non era ancora riuscito ad aprire. Morgon, con una dura colla che l’altro aveva miscelato in una ciotola, s’ingegnava a mettere insieme i cocci di vetro pezzo dopo pezzo.

Alzò lo sguardo nell’udire Astrin esclamare, seccato: — Xel, mettiti calmo. Sto impazzendo alla ricerca delle parole. Yrth era il più potente dei maghi, dopo il Fondatore stesso, e ha chiuso la serratura di questo libro fin troppo bene.

Morgon aprì la bocca, riuscì ad emettere un lieve suono e sul suo volto vi furono stupore ed emozione. In fretta si guardò attorno, trovò un rametto mezzo carbonizzato nel camino e lo ripulì. Con l’estremità nera scrisse sul tavolo, in lettere di cenere: «Ti occorre la sua arpa».

Stupito Astrin si alzò subito dallo sgabello, e lesse da sopra la spalla di Morgon. — Mi occorre la sua cosa? Hai una calligrafia più incomprensibile di quella di Aloil. Oh… Arpa! — Gli afferrò le spalle con energia. — Sì. Forse hai ragione. Forse egli chiuse il libro con una serie di note dell’arpa che aveva costruito… o con quella corda in chiave di basso che, come si narra, fracassava le armi. Ma dove mai potrei trovarla? Tu lo sai dove si trova?

Morgon scosse la testa. Poi poggiò il ramoscello sul tavolo, fissandolo con meraviglia come se esso avesse scritto di sua iniziativa. Dopo un poco girandosi incontrò lo sguardo di Astrin. Bruscamente l’uomo aprì uno dei libri di magia di Aloil, e mise una penna in mano a Morgon. — Chi ha pagato per la sua forma con le cicatrici sulle sue mani, e a chi?

Morgon prese a scrivere con cura sul margine di uno dei libri d’incantesimi di Aloil. Quando ebbe terminato la risposta a quell’antico enigma di Osterland e cominciò a scrivere l’interpretazione, Astrin emise fra i denti un fischio di stupore.

— Tu hai studiato a Caithnard. Ma nessun individuo senza voce ha mai studiato in quella scuola… io lo so. Io stesso ho trascorso un anno là. Puoi ricordartela? Rammenti qualcosa della scuola?

Morgon lo fissò a occhi sbarrati. Si alzò di scatto, facendo rovesciare lo sgabello dietro di sé; Astrin lo raggiunse mentre già apriva la porta come per andarsene seduta stante.

— Aspetta! Fra poco sarà buio. Domani io verrò a Caithnard con te, se hai pazienza di aspettare un poco. Ci sono alcune domande che voglio porre di persona ai Maestri.

Il mattino dopo si alzarono all’alba, con la pioggia che ticchettava leggermente sul tetto. Il cielo si schiarì assai prima che il sole spuntasse dalle montagne. Lasciarono Xel addormentato davanti al camino e si avviarono sull’umida pianura erbosa verso il confine di Ymris. Il sole si levò fra nuvole gravide di pioggia che veleggiavano sul mare come vascelli aerei. Il vento frusciava fra gli alberi scrollando via la brina dalle foglie quando essi entrarono nel sottobosco, diretti alla grande strada dei mercanti che attraversava Ymris da un capo all’altro unendo le antiche città di Lungold e Caithnard.

— Dovremo giungere alla strada verso mezzogiorno — disse Astrin.

Morgon, con l’orlo della lunga tunica fradicio di brina, gli occhi fissi sugli alberi come se potesse vedere al di là di essi una città che non conosceva, gli rispose con un borbottio assente. Numerosi corvi neri svolazzavano fra i rami di alberi lontani; i loro versi rauchi gli suonarono derisori, offensivi. D’un tratto udì delle voci umane: due mercanti che ridacchiavano indicandosi l’un l’altro i corvi appollaiati su un albero. Viaggiavano a cavallo nell’umidità del primo mattino, e avevano grossi involti rigonfi dietro le selle. I due cavalieri raggiunsero Morgon e Astrin, e rallentarono. Uno di essi abbassò cortesemente il capo.

— Nobile Astrin. È una combinazione incontrarvi qui. — Si girò a sciogliere il laccio di una bisaccia. — Ho un messaggio di Mathom di An a Heren di Ymris. Concerne, almeno credo, l’uomo che ha conquistato la corona di Peven. Per il vero, ho messaggi per metà dei sovrani di tutto il reame. Stavo per fermarmi a casa vostra e consegnarlo a voi personalmente.

Astrin aggrottò le bianche sopracciglia. — Tu sai che non vedo Hereu da cinque anni — disse piuttosto freddamente. Il mercante, un robusto individuo rosso di capelli, con una cicatrice che gli tagliava la barba sulla mandibola, lo fissò con ironia.

— Ah, sì? Ma vedete, il problema è che devo imbarcarmi a Meremont, cosicché non avrò occasione di passare per Caerweddin. — Frugò nella bisaccia. — Dovreste essere così gentile da portargli voi questo messaggio.

L’acciaio di una lama schizzò fuori dalla bisaccia in un lampeggiante semicerchio, abbattendosi con un fruscio addosso ad Astrin. Ma il cavallo del mercante ebbe uno scarto, e l’acciaio affilato mancò di un palmo il volto di Astrin, stracciando la manica del braccio che Morgon aveva proteso per difendere l’amico. Dopo un primo istante di sbalordita incredulità il giovane balzò avanti, e afferrò il polso del mercante prima che questi potesse risollevarlo per colpire ancora. L’altro mercante gli aveva però già incitato il cavallo addosso, e costui roteò la spada in un colpo di taglio che raggiunse Morgon su un lato del torace, sotto il braccio alzato.

La lama non trovò altro ostacolo che la scura e pesante stoffa della tunica. Col fiato mozzo per la sciabolata che gli aveva tolto la luce dagli occhi Morgon vacillò, sentì Astrin ringhiare ferocemente, poi per qualche istante non vide e non sentì più niente. Nella sua mente si diffuse uno strano torpore drogato, l’impressione di qualcosa di verde e di familiare, il cui odore non era dissimile da quello delle erbacce della radura. Quell’immagine si dileguò prima che egli potesse nominarla, ma non prima che avesse capito che in essa c’era il suo nome. Poi si ritrovò in ginocchio sull’erba, ansante, con un labbro stretto fra i denti, gli occhi confusi fissi su qualcosa che per un poco credette fosse sangue, finché si rese conto che era soltanto la pioggia, fitta e improvvisa.

Un cavallo senza nessuno in sella galoppava via fra gli alberi; Astrin, con in pugno una spada lorda di sangue, stava slacciando la sella dell’altro animale. La tolse via e afferrò il cavallo per il morso conducendolo verso Morgon. Sul suo volto c’era una striscia di sangue; i due mercanti giacevano scompostamente al suolo fra le loro selle e gli involti.

L’uomo aveva il fiato mozzo. — Ce la fai ad alzarti? Dove sei stato ferito? — chiese. Vide il sangue che inzuppava la tunica di Morgon sotto l’ascella e imprecò. — Lasciami dare un’occhiata.

Morgon scosse la testa. Si strinse il braccio sulla ferita con l’altra mano e si alzò, mentre in distanza i corvi sembravano deridere anche il suo doloroso vacillare. Astrin gli passò un braccio intorno alla cintura. Il suo volto, già pallidissimo per natura, nella pioggia che lo rigava appariva cadaverico.

— Pensi di farcela a tornare a casa?

Lui annuì, si lasciò aiutare a salire sul cavallo e prese le redini. Ma sulla piana la vista gli si confuse nuovamente.

Riprese conoscenza mentre Astrin, che smontava dietro di lui, lo tirava con cautela giù dalla groppa del cavallo per condurlo in casa. L’uomo spalancò la porta con un piede, e Xel, comparso sulla soglia ad annusarli, mandò un miagolio stridente. Morgon piombò privo di forze sul giaciglio, e Astrin prese a tagliare la sua tunica col coltello, ignorando la sua muta opposizione. Quando vide la ferita, che dalla morbida carne dell’ascella scendeva mettendo a nudo tre costole, sussurrò qualcosa in tono fra sgomento e compassionevole.

In quel momento bussarono alla porta. Astrin ruotò di scatto su se stesso, allungando la mano ad impugnare la spada, e balzò in piedi. Per alcuni secondi indugiò dietro il battente, quindi lo spalancò e con lo stesso movimento puntò la lama insanguinata sullo sterno dell’uomo che stava in piedi dinnanzi alla soglia. Si trattava di un mercante.

— Signore… — La voce del visitatore s’incrinò in un farfugliare sbigottito alla vista dell’arma.

— Cosa vuoi?

Il mercante era alto, abbigliato con le vesti larghe di Herun, barbuto e dall’aria mite. Fece un passo indietro. — Ho un messaggio da… — Ma di nuovo la voce gli morì in gola, perché Astrin aveva sollevato la spada puntandogliela dritta in faccia. In un sussurro concluse: — Da Rork Umber. Signore, voi mi conoscete…

— Ti conosco.

Morgon sollevò la testa con uno sforzo e vide il suo compagno rigido come un serpente pronto a colpire. Astrin disse gelidamente: — Ti conosco, e questo è il solo motivo per cui, se ti volti e te ne vai immediatamente, ti concederò di lasciare vivo questo luogo.

— Ma Signore… — Gli occhi dell’uomo abbandonarono quelli di Astrin e frugando nell’interno della casupola incontrarono lo sguardo di Morgon. Si lasciò sfuggire un’esclamazione. E Morgon vide lampeggiare il proprio nome sul volto stupefatto di lui. Il mercante deglutì saliva. — Che cosa gli è successo?

— Vattene! — La voce rauca di Astrin s’incrinò in una nota disperata che stupì perfino Morgon. Il mercante, benché fosse impallidito, rimase testardamente dov’era.

— Ma l’arpista del Supremo, a Caerweddin, ha scoperto…

— Ho appena ammazzato due mercanti e, nel nome del Supremo, giuro che ne spedirò all’inferno un terzo se non te ne vai da qui!

Il mercante si allontanò sul sentiero sabbioso. Astrin attese finché lo scalpiccio dei suoi passi non si udì più. Poi, con mano che tremava ancora, appese la spada dietro la porta e tornò a inginocchiarsi accanto a Morgon.

— Va tutto bene — sussurrò. — Ora riposa. Io farò quel che potrò.

Due giorni più tardi l’uomo fu però costretto a lasciar solo Morgon per cercare aiuto dalla moglie di un vecchio pescatore di Loor, che si intendeva di erbe medicinali e acconsentì di vegliare accanto al ferito mentre Astrin era fuori a caccia o dormiva. Cinque giorni dopo la donna poté tornare a casa sua, con in mano alcuni dei pezzi d’oro recuperati nella città dei Signori della Terra; e Morgon, sebbene troppo debole per camminare, riuscì a sedersi a tavola e a scaldarsi il brodo da solo.

Astrin era spossato per le notti quasi insonni e le preoccupazioni. Dopo una mezza giornata di cupo silenzio mormorò, come se fosse giunto a una travagliata decisione: — E va bene. Non puoi stare qui. Non me la sento di portarti a Caithnard o a Caerweddin. Ti condurrò a Ùmber. E là Rork potrà mandare ad avvertire Deth. Ho bisogno di aiuto.

Da quel momento non lo lasciò più solo. Mentre Morgon recuperava le forze, essi trascorsero ore ed ore ingegnandosi a rimettere insieme i frammenti di cristallo color porpora rosso che Morgon stesso aveva trovato. L’oggetto che cominciò a prender forma era una fragile coppa splendidamente incisa, e quelle che erano parse soltanto striature divennero le figure di un’istoriazione circolare che narrava di un antico avvenimento. Eccitato Morgon usò ancora la penna sul margine di un libro d’incantesimi di Aloil, per comunicare i suoi pensieri ad Astrin, e lo convinse a ricercare i frammenti che ancora mancavano. Trascorsero una giornata fra le rovine della città, rinvennero altri tre pezzi, e quando tornarono incontrarono la moglie del pescatore che li attendeva sulla soglia della casupola di Astrin. La donna aveva portato un cestello di pesce fresco; incitò Morgon a mettersi a letto, rimproverò Astrin e poi cucinò la cena per loro.

Il mattino dopo essi completarono la ricostruzione della coppa. Astrin incastrò al suo posto con cura l’ultimo frammento, con Morgon che senza quasi tirare il fiato lo osservava da sopra la spalla. Le figure rosse dell’incisione sembravano muoversi sullo sfondo di porpora, intente a una misteriosa occupazione. Astrin era così assorto nel tentativo di decifrarne il significato, senza toccare la colla ancora fresca, che quando sentì bussare alla porta emise un brontolio spazientito. Poi il suo volto s’irrigidì. Andò a prendere la spada e tenendola davanti a sé aprì lentamente la porta. Esclamò: — Rork…! — E non fu capace di dir altro.

Tre uomini oltrepassarono Astrin ed entrarono in casa. Indossavano armature argentee sotto pesanti e bellissimi mantelli ricamati, e al fianco avevano spade appese a cinturoni adorni di gemme.

Uno di essi, il mercante che Astrin aveva cacciato via giorni addietro, indicò Morgon e disse: — Eccolo. Il Principe di Hed. Guardatelo, è ferito. E non può parlare. Non mi ha neppure riconosciuto, sebbene io abbia acquistato grano e pecore da lui appena cinque settimane fa. Conoscevo bene suo padre.

Morgon si alzò lentamente. Altri individui entrarono: un uomo alto dai capelli rossi, riccamente vestito e dall’espressione altera, un soldato, un arpista dai capelli candidi. Morgon fissò il volto di Astrin in quella confusione di altri volti, e vide in lui lo stesso incredulo sgomento che c’era negli occhi dei nuovi venuti.

Astrin ebbe un ansito. — Rork, non è possibile! Io l’ho trovato sulla riva, sbattuto a terra dal mare in burrasca… non poteva parlare, e non è riuscito a…

Lo sguardo dell’Alto Nobile di Umber si volse a interrogare l’arpista, ebbe in risposta un cenno d’assenso e disse stancamente: — Egli è il Principe di Hed. — Si scostò i capelli dalla fronte con un sospiro e continuò: — Lo avevate voi, dunque. Deth lo ha cercato per cinque settimane, e infine ecco che questo mercante si precipita a corte, a Caerweddin, e riferisce al Re che voi avete assassinato due mercanti, che avete ferito il Principe di Hed e che lo tenete imprigionato, e che in qualche modo… con un incantesimo probabilmente, gli avete rubato la voce. Potete immaginare cos’abbia pensato Hereu? Fra i nobili della costa, a Meremont e Tor, sta prendendo forma una strana rivolta della quale neppure l’Alto Nobile riesce a comprendere le ragioni. Siamo costretti a prendere le armi per la seconda volta in un anno, e al culmine di questa tensione ecco che l’Erede di Ymris viene accusato di omicidio e di aver imprigionato un sovrano. Il Re ha mandato questi soldati nel caso che vogliate opporre resistenza; il Supremo ha inviato il suo arpista per mettervi sotto condanna se tenterete di fuggire, e io sono venuto… sono venuto per ascoltare quel che avete da dire.

Astrin si coprì gli occhi con una mano. Morgon, che stava fissando attonito quei volti, nell’udire il nome che gli apparteneva e di cui tuttavia non aveva il ricordo emise un gemito.

Il mercante trasse un gran respiro. — Ascoltatelo. Cinque settimane fa poteva parlare benissimo. Quando io venni qui e lo vidi era disteso sul giaciglio e si lamentava, con un fianco lordo di sangue. E il Nobile Astrin era sulla soglia con una spada insanguinata in mano, e minacciava di uccidermi. Ma ora tutto è finito — aggiunse rivolto a Morgon. — Ora voi siete salvo.

Morgon cercò di trasformare in voce il suo fiato. Ma il suono con cui aveva tentato di farsi udire fu solo un ansito che gli si strozzò in gola; allora afferrò la coppa che aveva ricostruito con tanta pazienza e la sbatté sul tavolo mandandola in pezzi. Questo gli ottenne l’attenzione dei presenti, ma sebbene essi lo fissassero con stupefatta sorpresa egli non riuscì ad emettere verbo. Sedette di nuovo, angosciato, portandosi le mani alla gola.

Astrin fece un passo verso di lui. Si fermò. Guardò Rork. — Egli non può cavalcare da qui a Caerweddin; la sua ferita non è ancora ben guarita. Rork, voi certo non crederete… l’ho trovato gettato sulla spiaggia, senza nome, senza voce… Non potete credere che sia stato io a ferirlo!

— Non lo credo, infatti — disse Rork. — Ma chi è stato, allora?

— Lo stavo conducendo a Caithnard, per vedere se i Maestri lo avrebbero riconosciuto. Ma abbiamo incontrato due mercanti, e costoro hanno tentato di ucciderci entrambi. Nella lotta li ho colpiti a morte. Poco più tardi è giunto costui, quando avevo appena riportato qui il Principe di Hed senza sapere se sarebbe morto o vissuto. Potete biasimarmi se non mi sono mostrato ospitale?

Il mercante scostò il mantello e si passò una mano fra i capelli. — No, non posso biasimarvi — ammise. — Ma Signore, avreste dovuto ascoltarmi. Chi erano quei mercanti? Non c’è mai stato un mercante rinnegato negli ultimi cinquant’anni. Dovremo occuparcene. È cosa dannosa per i nostri affari.

— Non ho idea di chi fossero. Ho lasciato i loro corpi nella boscaglia, non molto addentro, come potrete constatare se andate dritti a sud verso la strada dei mercanti.

Rork fece un cenno a uno dei soldati. — Trovateli. Conducete con voi anche il mercante. — Quando gli uomini furono usciti si volse. — Meglio che prendiate le vostre cose. Ho portato due cavalli da sella e uno da carico per voi, da Umber.

— Rork! — Gli occhi bianchi di Astrin erano supplichevoli. — È proprio necessario? Vi ho detto quel che è successo; il Principe di Hed non può parlare ma può scrivere, ed egli mi è testimone dinnanzi a voi e all’arpista del Supremo. Io non ho nessuna voglia di rivedere Hereu, e non ho fatto nulla di cui debba rispondere a lui.

Rork sospirò. — L’avrò fatto io, se non vi porto con me. Metà degli Alti Nobili di Ymris riuniti a Caerweddin hanno udito di questa faccenda, e vogliono delle risposte precise. Voi avete occhi bianchi e capelli bianchi, frugate nelle antiche rovine e nei libri di magia, e nessuno vi ha visto in Caerweddin negli ultimi anni. Per quel che ne sa la gente, chi può escludere che voi siate impazzito ed abbiate fatto quello che il mercante ha detto di voi?

— Ma loro vi crederanno.

— Non necessariamente.

— Allora crederanno all’arpista del Supremo.

Rork sedette sullo sgabello e si passò le dita sugli occhi. — Astrin, per favore. Venite con noi a Caerweddin.

— A quale scopo?

Le spalle di Rork s’incurvarono. L’arpista del Supremo disse allora, con voce piatta: — Non è così semplice. Voi siete sotto accusa da parte del Supremo, e se decidete di non rispondere a Hereu Ymris dovrete rispondere dinnanzi al Supremo.

Astrin appoggiò con forza le mani sul tavolo, fra i cocci di cristallo. — Rispondere di cosa? — Fissò l’arpista con durezza. — Il Supremo deve aver saputo che il Principe di Hed era qui. Di cosa potrebbe ritenermi responsabile?

— Io non posso rispondervi per il Supremo. Posso soltanto darvi questo avvertimento, come sono stato incaricato di fare. La condanna per la disubbidienza è la morte.

Lo sguardo di Astrin si abbassò sui cocci fra le sue mani. Lentamente si sedette. Toccò Morgon su una spalla. — Il tuo nome è Morgon, dunque. — Si volse stancamente a Rork. — Dovrò imballare i miei libri; volete darmi una mano?

I soldati e il mercante fecero ritorno un’ora dopo. Il mercante, col volto contratto da una cupa perplessità, rispose in modo molto vago alle domande di Rork.

— Li avete riconosciuti, almeno?

— Uno di loro, sì. O così credo. Ma…

— Conoscete il suo nome? Potreste testimoniare sulla sua onestà?

— Ebbene, sì. Suppongo. Ma… — Scosse la testa, con sguardo stranito. Non era ancora smontato da cavallo, quasi che non volesse restare più a lungo del necessario in quel desolato e selvaggio angolo di Ymris. Rork gli volse le spalle, mosso da un’identica impazienza.

— Andiamo. Dobbiamo essere a Umber prima del buio. E… — Alzò gli occhi al cielo, mentre le prime gocce di pioggia gli cadevano sul volto. — Non sarà una cavalcata riposante, da qui a Caerweddin.

Xel, troppo selvatico per poter vivere a Caerweddin, restò accovacciato sulla soglia mentre essi si allontanavano, fissandoli curiosamente. Il gruppo cavalcò in direzione est attraverso la piana, mentre le nuvole si scurivano sulle macerie dell’antica città ed il vento, come un invisibile esercito che passasse sulla terra, schiacciava le erbe al suolo. Miracolosamente il cielo trattenne la pioggia fino al pomeriggio, quando essi attraversarono il fiume che chiudeva a settentrione la Piana del Vento. Da lì presero la strada che tagliava le aspre colline ed i boschi di sempreverdi fino alla dimora di Rork, in Umber.

Trascorsero la notte lì, nella grande magione costruita con le pietre rosse e marroni delle colline, nel cui vasto salone sembravano essersi riuniti improvvisamente tutti i nobili minori di Umber. Morgon, che conosceva soltanto il silenzio della casupola di Astrin, si sentiva a disagio fra uomini le cui voci risuonavano come le onde del mare parlando della guerra, e fra donne che lo trattavano con sorprendente e sofisticata cortesia, parlandogli di terre che egli non conosceva affatto. Solo il volto un po’ fosco di Astrin, l’unico che gli era familiare fra quella strana gente, servì a rassicurarlo; e l’arpista del Supremo, suonando al termine della cena, fece echeggiare fra le pareti di pietra rossa una scala di note che gli ricordò la quieta voce della brezza marina. Quella notte, da solo in una camera più larga dell’intera casupola di Astrin, giacque a lungo incapace di addormentarsi, ascoltando il vento che soffiava monotono, brancolando ciecamente intorno al suo nome.

Lasciarono Umber all’alba, addentrandosi a cavallo in una nebbia mattutina che avvolgeva di umide spire i rami neri e spogli dei frutteti. La nebbia lasciò il posto a una fredda pioggia che ticchettò sui loro cappucci per tutta la lunga strada da Umber a Caerweddin. Morgon, che stava aggobbito sulla sella, sentì l’umidità addensarglisi sulle ossa come una muffa. La sopportò seccato, vagamente conscio del turbamento di Astrin, mentre qualcosa sembrava volergli trascinare fra i pensieri frammenti incomprensibili di ricordi, lottando con la tenebra della sua ignoranza. Ad un tratto, scosso da un violento colpo di tosse, sentì la ferita ancora semiaperta dilaniargli il fianco come un ferro rovente, e con uno strattone alle redini rallentò l’animale. L’arpista del Supremo allungò una mano a stringergli una spalla. Fissando il suo volto austero e calmo Morgon trattenne bruscamente il respiro, ma quel momentaneo e strano ritorno di memoria si estinse e svanì. Astrin, che cavalcava dietro di loro con faccia rigida e scostante, disse: — Siamo quasi arrivati.

L’antica dimora dei Re di Ymris sorgeva sul mare, alla foce del fiume Thul, che da uno dei sette laghi di Lungold scorreva a oriente attraverso Ymris. Le navi dei mercanti erano ancorate a decine nelle acque profonde del bacino; una flotta di vascelli dalle vele dorate e scarlatte di Ymris sostava alla foce del fiume, come uno stormo di uccelli multicolori. Mentre cavalcavano sul ponte, un messaggero che stava uscendo nel vederli fece dietro front, e rientrò in gran fretta nel portone di una cerchia di mura massicce e irregolari. Al di là di essa, sopra un’altura, c’era il palazzo che Galil Ymris aveva edificato, la cui orgogliosa facciata e le ali e le torri si ornavano di bellissimi mosaici policromi, fatti con le brillanti pietre dei Signori della Terra.

I cavalieri oltrepassarono i cancelli, avviandosi su per la lieve salita pavimentata in ciottoli. Gli spessi battenti di quercia sotto un’arcata di una seconda cinta di mura vennero aperti per dar loro il passo; entrarono in un cortile dove gli stallieri presero le redini dei cavalli, mentre essi smontavano, affrettandosi a gettare spesse coperte pelose sulla groppa sudata degli animali. In silenzio attraversarono il vasto cortile, con la pioggia che rigava i loro volti.

La sala del trono, costruita in levigate e scintillanti pietre scure, conteneva un ampio camino che campeggiava al centro della parete più interna. Rabbrividendo, gocciolando acqua, essi furono attratti come falene dalle fiamme del camino, quasi inconsci dei cortigiani silenziosi che sostavano intorno a loro. Un vivace echeggiare di passi nel corridoio li indusse a voltarsi.

Hereu Ymris, un uomo pesante e dall’ossatura massiccia i cui capelli scuri apparivano lucidi di pioggia, accennò un cortese inchino della testa in direzione di Morgon e disse: — Siate il benvenuto nella mia casa. Io ebbi il piacere d’incontrare vostro padre non troppo tempo fa. Rork, Deth, vi sono debitore. Astrin… — Subito tacque, quasi che il nome appena pronunciato gli avesse riempito la bocca di un sapore amaro.

Il volto di Astrin era chiuso e impenetrabile come uno dei libri di Yrth; nei suoi occhi bianchi non c’era alcuna espressione. Pallido e teso nelle sue vesti malconce, girò uno sguardo estraneo sulla lussuosa sala. Morgon, sentendosi attribuire un padre che egli non conosceva, desiderò futilmente e disperatamente che lui ed Astrin fossero ancora nell’unico luogo a cui sentiva di appartenere, nella piccola casa sul mare, a rimettere insieme pezzi di vetro e cocci. Volse gli occhi attorno, sui silenziosi estranei che lo fissavano. Poi il suo sguardo fu attratto da qualcosa in fondo alla sala, qualcosa che scintillava fino a lui da quella distanza e che lo costrinse a girarsi da quella parte come in risposta a un cenno.

Un lieve ansito gli uscì di bocca. Nella mutevole luce delle torce, una grande arpa troneggiava su un tavolo. Era di fattura antica e stupenda, con intrecci d’oro ribattuti nel levigatissimo legno chiaro intarsiato con lune e mezze lune, d’avorio e d’osso. Sulla faccia anteriore del montante, in basso, fra un serto di lune piene in oro, c’erano tre perfette stelle rosso-sangue.

Morgon si avvicinò ad esse, sentendosi come se la sua voce e la sua identità e i suoi ricordi fossero stati strappati via da lui una seconda volta. Nulla esisteva più nella sala, se non quelle lampeggianti stelle ed il suo accostarsi ad esse. Le raggiunse, le toccò. Le sue dita scivolarono via da loro seguendo la traccia del bel disegno d’oro profondamente sepolto nel legno. La sua mano si mosse lungo le corde, e alla ricca, dolce cascata di note che si sparse nell’aria, in lui nacque per quell’arpa un amore che soverchiò tutte le sue traversie, tutti i ricordi delle ultime oscure settimane. Si volse, tornò a fissare il gruppo silenzioso dietro di lui. Il volto sereno dell’arpista ebbe una lieve contrazione nella luce del fuoco. Morgon fece un passo verso di lui.

— Deth!

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