CAPITOLO SESTO

Burton esaminò la roccia lungo la base della montagna. La pietra nero-bluastra, dalla grana sottile, era una specie di basalto. Ma c’erano dei pezzi di selce sparpagliati sulla superficie del terreno, e altri che spuntavano dalla base stessa della parete. Poteva darsi che i primi fossero caduti da qualche sporgenza soprastante, per cui era possibile che la montagna non fosse una massa compatta di basalto. Usando un pezzo di selce che aveva un bordo sottile, Burton sollevò in un punto lo strato di licheni. La roccia che stava sotto sembrava una dolomite verdastra. Evidentemente i pezzi di selce si erano prodotti dalla dolomite, benché non ci fosse traccia di trasformazioni o di fratture nella vena.

Il lichene poteva essere Parmelia saxitilis, che cresceva pure su vecchie ossa, teschi compresi, per cui, secondo la Dottrina delle Segnature, costituiva una cura contro l’epilessia e un balsamo medicamentoso per le ferite.

Sentendo un rumore di rocce che cozzavano, Burton tornò al gruppo. Si erano messi tutti in circolo intorno al subumano e all’americano, che stavano seduti schiena contro schiena intenti a lavorare la selce. Entrambi avevano ricavato dei rozzi martelli, e ne produssero altri sei sotto gli occhi degli astanti. Poi presero un grosso pezzo di selce massiccia e lo ruppero in due col martello. Operando su una metà alla volta staccarono dall’orlo esterno delle lunghe scaglie sottili. Procedettero così finché ciascuno ebbe davanti a sé una dozzina circa di pezzi taglienti.

Lavoravano insieme: l’uno, appartenente a una razza che era vissuta centomila anni o più prima di Cristo; l’altro, il raffinato culmine dell’evoluzione umana, il prodotto della più evoluta civiltà (tecnologicamente parlando) della Terra, o in effetti, se si doveva credere a quanto diceva, uno degli ultimi terrestri.

D’improvviso Frigate urlò: balzò in piedi e si mise a saltellare tutt’intorno tenendosi il pollice sinistro. Una delle sue martellate aveva mancato il bersaglio. Kazz sghignazzò, mostrando enormi denti simili a pietre tombali. Anch’egli si alzò, e si incamminò sull’erba con la sua curiosa andatura ballonzolante. Ricomparve dopo alcuni minuti portando sei canne di bambù con le estremità appuntite, e parecchie altre tagliate invece trasversalmente. Tornò a sedersi e si diede da fare su una canna finché ebbe praticato una spaccatura ad una estremità inserendovi poi una testa di scure ridotta a forma triangolare. Quindi l’assicurò con alcuni lunghi steli d’erba.

Entro mezz’ora il gruppo era armato di asce di pietra, scuri col manico di bambù, pugnali, lance di bambù e di selce.

Ormai la mano di Frigate aveva cessato di dolere, e non sanguinava più. Burton gli chiese come mai era così abile nella lavorazione della pietra.

— Ero un antropologo dilettante — rispose Frigate. — Un mucchio di persone (un mucchio relativamente parlando) aveva imparato per passatempo a fabbricarsi attrezzi e armi di pietra. Alcuni di noi divennero veramente bravi, benché io non creda che nessun moderno fosse abile e veloce come uno specialista del Neolitico. Capisce, quelli lo facevano per tutta la vita. Io poi conoscevo bene anche l’arte di lavorare il bambù, perciò posso essere di qualche utilità per voi.

Si rimisero in cammino per tornare al fiume. Fecero una breve sosta in cima a un’altra collina. Il sole era quasi esattamente allo zenith. Poterono spaziare con lo sguardo per molti chilometri lungo e oltre il fiume. Benché fossero troppo lontani per distinguere delle sagome sull’altra riva, poterono scorgere ugualmente le pietre a forma di fungo. La regione di là dal fiume era identica a quella in cui essi si trovavano. Una fascia pianeggiante larga un paio di chilometri circa, e forse quattro chilometri di colline coperte di alberi. Al di là, la parete quasi verticale di un’insormontabile montagna nera e verde-bluastra.

La valle si stendeva diritta da nord a sud per una quindicina di chilometri. Poi faceva una curva, e il fiume scompariva alla vista.

— L’alba deve arrivare tardi e il tramonto presto — disse Burton. — Bene, dobbiamo sfruttare il più possibile le ore di luce.

In quell’istante tutti fecero un salto, e molti gridarono. Una fiamma azzurra proruppe dalla cima di ogni fungo di pietra, s’innalzò per non meno di sei metri, quindi svanì. Pochi secondi dopo giunse il rumore di un tuono lontano. Il rombo colpì la montagna alle loro spalle ed echeggiò.

Burton prese in braccio la bimba e scese a valle con passo veloce. Il gruppo cercò di mantenere una buona andatura, ma fu costretto a ridurla di quando in quando per riprendere fiato. Malgrado ciò Burton si sentiva magnificamente bene. Erano passati degli anni da quando non era stato più in grado di usare così intensamente i suoi muscoli; ora non avrebbe più voluto smettere di godere quella sensazione. Riusciva a malapena a credere che, solo poco tempo addietro, il suo piede destro fosse stato gonfio per la gotta, e il cuore gli si mettesse a battere selvaggiamente appena egli saliva qualche gradino.

Giunsero a valle e continuarono a camminare di buon passo, vedendo che intorno a uno dei funghi c’era un’intensa agitazione. Burton imprecò contro quelli che gli stavano davanti e si aprì un varco a spintoni. Ne ebbe di rimando delle occhiatacce, ma nessuno si scostò. Di colpo si trovò nella zona libera intorno al fungo, e vide ciò che aveva attirato quella gente. Ne sentì anche l’odore.

Frigate, dietro di lui, disse: — Oh, mio Dio! — Il suo stomaco vuoto ebbe un conato di vomito.

Burton, nella sua vita precedente, aveva visto troppe cose per rimanere facilmente impressionato da orribili spettacoli. Inoltre era in grado di staccarsi dalla realtà quando essa diveniva troppo orrenda o dolorosa. Talvolta compiva tale atto, l’allontanamento delle cose-come-sono, con uno sforzo di volontà. Di solito però ciò accadeva automaticamente. Così avvenne questa volta.

Il cadavere giaceva sul fianco, e per metà sull’orlo superiore del fungo. La pelle era completamente carbonizzata, e i muscoli, così messi allo scoperto, erano bruciacchiati. Naso, orecchie, dita delle mani e dei piedi, genitali, erano stati divorati dal fuoco, o rimanevano solo dei monconi informi.

Lì accanto, in ginocchio, c’era una donna che mormorava una preghiera in italiano. I suoi grandi occhi neri dovevano essere di certo bellissimi, benché ora fossero arrossati e gonfi di lacrime. La donna aveva anche una figura magnifica che in circostanze diverse avrebbe attirato completamente l’attenzione di Burton.

— Cos’è successo? — chiese questi.

La donna smise di pregare e lo guardò. Poi si alzò in piedi e rispose a Burton con un filo di voce. — Padre Giuseppe si era chinato su questa pietra, dicendo che aveva fame. Aggiunse che non c’era molto senso nell’essere riportati in vita solo per morire di fame. Io l’assicurai che non saremmo morti. Com’era possibile? Ci era stata ridata la vita: avremmo avuto anche il resto. Egli rispose che forse eravamo all’inferno. Avremmo dovuto rimanere affamati e nudi per sempre. Io lo supplicai di non bestemmiare, perché non doveva dare il cattivo esempio a tutti noi. Ma egli replicò che questo non era ciò che per quarant’anni aveva detto a ognuno che sarebbe accaduto, e allora… e allora…

Burton attese alcuni secondi, poi ripeté: — E allora?

— Padre Giuseppe disse che quanto meno non c’era il fuoco infernale, ma che sarebbe stato meglio questo piuttosto che patire la fame per l’eternità. E in quell’istante uscirono le fiamme e lo avvolsero completamente, e ci fu un rumore come di una bomba che esplode, ed egli bruciò vivo e morì. È stato orribile, orribile.

Burton si spostò a nord rispetto al cadavere, per mettersi sopravvento, ma anche così il lezzo era nauseabondo. Non era tanto l’odore a sconvolgerlo, quanto il pensiero della morte. Il primo giorno della Resurrezione non era ancora terminato che era già morto un uomo. Forse ciò significava che i risorti erano vulnerabili nei confronti della morte proprio come lo erano stati sulla Terra? Se era così, che senso c’era in tutta la faccenda?

Frigate non aveva più conati di vomito. Pallido e tremante, si alzò in piedi e si avvicinò a Burton, mettendosi con la schiena rivolta al morto.

— Non sarebbe meglio sbarazzarci di quello? — chiese, facendo segno dietro di sé col pollice.

— Penso di sì — rispose Burton con voce glaciale. — Però è un vero peccato che la sua pelle sia inservibile.

Sghignazzò in faccia all’americano. Frigate sembrò ancor più sconvolto.

— Qua — disse Burton. — Lo afferri bene per i piedi. Io lo prenderò dall’altra parte. Lo getteremo nel fiume.

— Nel fiume? — ripeté Frigate.

— Sì, certo. A meno che lei non voglia portarselo sulle colline e scavargli là una fossa.

— Non posso — disse Frigate. e si allontanò. Burton lo guardò con un’espressione di disprezzo, poi fece un cenno al subumano. Kazz grugnì, e si trascinò verso il cadavere con quella sua caratteristica andatura obliqua. Gli si fermò accanto, e prima che Burton potesse afferrare i moncherini anneriti dei piedi, sollevò il corpo sopra il capo, fece qualche passo verso la riva del fiume, e lo gettò in acqua. Il cadavere affondò immediatamente, e la corrente lo trascinò lungo la riva. Kazz decise che il lavoro non era abbastanza soddisfacente: entrò nell’acqua finché questa gli giunse alla cintola, e poi si immerse rimanendo sotto per un minuto. Evidentemente stava spostando il cadavere verso un punto più profondo.

Alice Hargreaves era rimasta ad osservare inorridita. A questo punto disse: — Ma quella è l’acqua che berremo!

— Il fiume sembra abbastanza grande per purificarsi da solo — replicò Burton. — Ad ogni modo abbiamo altre cose di cui preoccuparci senza dover pensare anche alle misure igieniche.

Monat toccò la spalla di Burton e disse: — Guardi là! — Burton si voltò. Nel punto in cui presumibilmente si trovava il cadavere, l’acqua stava ribollendo. D’improvviso un dorso argenteo con una pinna bianca fendette la superficie.

— Sembra che le preoccupazioni circa l’inquinamento dell’acqua siano inutili — disse Burton ad Alice Hargreaves. — Il fiume ha degli spazzini. Chissà… se è pericoloso nuotarci dentro.

Il subumano, almeno, ne era uscito senza essere attaccato. Si era messo davanti a Burton, scrollandosi l’acqua dal corpo glabro e sogghignando con quei denti enormi. Era spaventosamente brutto. Ma possedeva le nozioni di un uomo primitivo, nozioni che si erano già dimostrate preziose in un mondo di condizioni primitive. E averlo al proprio fianco durante un combattimento sarebbe stato dannatamente utile. Benché fosse piccolo era immensamente forte. Quelle grosse ossa offrivano una larga base d’impianto a muscoli poderosi. Era evidente che Kazz, per qualche motivo, si era affezionato a Burton. Burton volle credere che quel selvaggio, con un istinto appunto da selvaggio, «sapesse» che Burton era l’uomo da seguire se voleva sopravvivere. Inoltre un subumano, o preumano che fosse, essendo più vicino agli animali, doveva anche essere un buon medium. Così Kazz aveva potuto scoprire le notevoli facoltà medianiche dello stesso Burton e aveva avvertito un’affinità con lui, benché questi fosse un Homo sapiens.

Poi Burton ricordò che la sua fama come medium era stata inventata da lui stesso, e che egli era un mezzo ciarlatano. Aveva parlato tanto delle proprie facoltà, e aveva ascoltato tanto sua moglie, che aveva finito col credervi egli stesso. Ma c’erano dei momenti in cui si ricordava che le sue «facoltà» erano mezzo inventate.

Ad ogni modo era un bravo ipnotizzatore, e aveva la convinzione che i suoi occhi, quando lo desiderava, sprigionassero una tipica vibrazione extrasensoriale. Poteva essere stato questo ad attirare il semiuomo.

— La roccia ha liberato una tremenda energia — disse Lev Ruach. — Dev’essere stata energia elettrica. Ma perché? Non posso credere che la scarica sia stata priva di scopo.

Burton ispezionò la roccia a forma di fungo. Non sembrava che il cilindro grigio alloggiato nella cavità centrale avesse subito danni dalla scarica. Burton toccò la roccia. Non era più calda di quanto ci si sarebbe aspettato, tenendo conto del fatto che era rimasta esposta al sole.

— Non la tocchi! — esclamò Lev Ruach. — Ci può essere un’altra… — Vedendo che il suo avvertimento giungeva troppo tardi, tacque.

— Un’altra scarica? — disse Burton. — Non credo. Non per un po’ di tempo, ad ogni modo. Quel cilindro è stato lasciato lì perché noi possiamo imparare qualcosa sulla sua funzione.

Appoggiò le mani all’orlo superiore della pietra e fece un salto. Si trovò in cima al fungo con un’agilità che lo lasciò assai soddisfatto. Erano ormai passati molti anni dall’ultima volta che si era sentito così giovane e vigoroso. O così affamato.

Alcuni, nella folla, gli gridarono di saltar giù dalla roccia prima che le fiamme azzurre erompessero di nuovo. Altri stavano a guardare, come se avessero sperato che si verificasse una seconda scarica. La maggioranza era lieta di lasciar correre a lui il rischio.

Nulla accadde, benché Burton non fosse stato troppo sicuro di non venir incenerito. La pietra dava solo una sensazione di piacevole tepore sui suoi piedi nudi.

Passando sopra la cavità si diresse al cilindro, e appoggiò le dita sotto il bordo del coperchio. Questo si sollevò con facilità. Burton, col cuore che batteva forte per l’emozione, guardò all’interno. Si era aspettato il miracolo, e il miracolo c’era. I supporti all’interno reggevano sei contenitori, tutti pieni.

Fece cenno a quelli del suo gruppo di salire. Kazz volteggiò con mossa disinvolta. Frigate, che si era rimesso dalla nausea, balzò in cima con la facilità di un atleta. Burton pensò che se l’individuo non avesse avuto uno stomaco così delicato sarebbe stato un aiuto prezioso. Frigate si voltò e tese le mani ad Alice, che così poté inerpicarsi.

Quando furono tutti riuniti intorno a lui, con le teste piegate sull’interno del cilindro, Burton disse: — È un vero Graal! Guardate! Una bistecca! Una bistecca alta e succulenta! Pane e burro! Marmellata! Insalata! E questo cos’è? Un pacchetto di sigarette? Sì! E un sigaro! E un bicchiere di bourbon, di ottima marca a giudicare dall’odore! Un pezzo… e cos’è questo?

— Sembra una tavoletta di gomma da masticare — disse Frigate. — Scartata. E quello dev’essere un… Cosa sarà? Un accendino per la pipa?

Un uomo gridò: — Cibo! — Era un tipo ben piantato, e non faceva parte di quello che Burton aveva definito il suo «gruppo». Questi li aveva seguiti, e altri si stavano arrampicando sulla roccia. Burton ripose di nuovo i contenitori nel cilindro, e afferrò il piccolo oggetto argenteo di forma rettangolare che stava sul fondo. Frigate aveva detto che poteva essere un accendino. Burton non sapeva cosa fosse un «accendino», ma riteneva che fornisse del fuoco per le sigarette. Tenne l’oggetto nel palmo di una mano e con l’altra chiuse il coperchio del cilindro. Gli scendeva l’acquolina dalla bocca, e il suo ventre stava borbottando. Gli altri erano bramosi al pari di lui: la loro espressione indicava che essi non riuscivano a capire perché Burton avesse riposto di nuovo il cibo.

Il tipo ben piantato, parlando in italiano-triestino con voce energica e spavalda, disse: — Ho fame, e ucciderò chiunque tenti di fermarmi! Aprite quel coso!

Gli altri non dissero nulla, ma era evidente che si aspettavano che Burton difendesse la loro comune proprietà. Invece egli disse: — Apritelo da te — e girò le spalle all’estraneo. Gli altri esitarono. Avevano visto e annusato il cibo. Kazz stava sbavando. Ma Burton esclamò: — Guardate quella marmaglia. Fra un minuto qui ci sarà una lotta. Io dico: lasciate che lottino per il loro tozzo di pane. Non che io intenda voltar le spalle a un combattimento — aggiunse, lanciando uno sguardo fiero. — Ma sono certo che per l’ora di cena tutti noi avremo i nostri cilindri pieni di cibo. Questi cilindri… chiamateli graal, se così vi piace… hanno solo bisogno di essere messi sulla roccia per riempirsi. E ovvio: questo graal è stato sistemato qui appunto per farcelo capire.

Si avvicinò al bordo della roccia, dalla parte del fiume, e saltò giù. Ormai il fungo era stipato di persone, e altre ancora cercavano di arrampicarvisi. Il tipo ben piantato aveva ghermito la bistecca e le dava dei grandi morsi, ma qualcuno cercò di strappargliela via. Quello gridò rabbiosamente, e di colpo si aprì un varco in direzione del fiume. Saltò giù dalla roccia e si tuffò in acqua, riemergendo un attimo dopo. Nel frattempo uomini e donne urlavano e si picchiavano contendendosi il resto del cibo e gli altri generi compresi nel cilindro.

L’uomo che si era buttato nel fiume stava galleggiando sulla schiena, e intanto finiva di mangiare la bistecca. Burton non lo perdeva d’occhio, quasi aspettandosi che fosse assalito dai pesci. Ma quello si lasciava trasportare dalla corrente, indisturbato.

I funghi a nord e a sud, su entrambe le sponde del fiume, brulicavano di combattenti.

Burton camminò finché si fu portato lontano dalla folla, quindi si mise a sedere. Quelli del suo gruppo gli si accucciarono accanto, o rimasero in piedi a osservare la marmaglia turbolenta che si scalmanava. La pietra sembrava un fungo divorato da pallidi vermi. Vermi assai rumorosi. Alcuni di essi, ora, erano chiazzati di rosso, perché s’era cominciato a spargere sangue.

L’aspetto più deprimente della scena era la reazione dei bambini. I più piccoli non si erano avvicinati alla roccia, ma sapevano che nel graal c’era del cibo. Stavano piangendo per la fame e per la paura causata loro dagli adulti che urlavano e combattevano sul fungo di pietra. La bambinetta del gruppo di Burton aveva gli occhi asciutti, ma tremava. Si mise accanto a Burton, gettandogli le braccia intorno al collo. Egli le diede dei colpetti sulla schiena mormorando parole d’incoraggiamento: la bimba non poteva comprenderle, ma il loro tono fece sì che si calmasse un poco.

Il sole era nella parabola discendente. Entro due ore circa sarebbe stato nascosto dalle immense montagne occidentali, ma la notte vera e propria sarebbe giunta solo dopo molte ore. Non c’era modo di stabilire quanto fosse lungo il giorno in quella valle. La temperatura era salita, ma stare seduti al sole non era affatto insopportabile, e la brezza impediva di sudare.

Kazz, per mezzo di gesti, fece capire che voleva accendere un fuoco, e indicò la punta di una lancia di bambù. Senza dubbio intendeva far indurire sulla fiamma la punta della lancia.

Burton aveva esaminato l’oggetto metallico preso dal graal. Piatto e di forma rettangolare, era fatto di un metallo duro e argenteo, e aveva le dimensioni di circa cinque centimetri per sette millimetri. C’era un piccolo foro ad un’estremità, e una piastrina scorrevole all’altra. Burton appoggiò l’unghia del pollice al dente che sporgeva dalla piastrina, e premette. La piastrina si abbassò di un paio di millimetri circa, e dal foro posto all’altra estremità dell’oggetto uscì un filo lungo un centimetro e del diametro di un paio di millimetri. Era d’un bianco così brillante che lo si poteva notare anche in pieno sole. Burton accostò il filo ad uno stelo d’erba, e questo si carbonizzò all’istante. Appoggiato alla punta della lancia di bambù, vi produsse un forellino. Burton riportò la piastrina alla posizione iniziale, e il filo, simile al capo di una tartaruga, scomparve nell’argentea custodia.

Sia Frigate che Ruach fecero congetture sull’energia contenuta nel minuscolo oggetto. Portare il filo a quella temperatura richiedeva un voltaggio elevato. Quante accensioni poteva produrre la batteria o la pila radioattiva che senz’altro si trovava all’interno? E come si faceva a cambiarla?

C’erano molte altre domande alle quali non si poteva rispondere subito, e forse mai. La prima riguardava il modo in cui essi erano stati riportati in vita con corpi ringiovaniti. Chiunque avesse fatto ciò possedeva una scienza pari a quella di Dio. Ma le ipotesi su tale problema, pur fornendo loro qualcosa di cui parlare, non avrebbero risolto nulla.

Dopo un po’ la folla si disperse. Il cilindro era rimasto al suo posto, in cima al fungo di pietra. Parecchi corpi gli giacevano accanto, e molte delle persone che si stavano allontanando erano ferite. Burton passò attraverso la folla. Una donna aveva il volto tutto graffiato, specialmente intorno all’occhio destro. Stava singhiozzando, e nessuno le prestava attenzione. Un uomo era seduto per terra e si teneva l’inguine, che portava i segni di unghie affilate.

Dei quattro che giacevano sulla sommità della roccia, tre erano privi di sensi. Furono fatti rinvenire gettando loro in faccia dell’acqua mediante i graal. Il quarto, un uomo piccolo e magro, era morto. Qualcuno gli aveva torto il collo finché si era rotto.

Burton guardò di nuovo il sole e disse: — Non so con esattezza quando sarà l’ora della cena. Direi di non tornare dopo troppo tempo da che il sole sarà sceso dietro le montagne. Metteremo in quelle cavità i nostri graal, o santi recipienti, o secchi da pasto, o come li volete chiamare. Nel frattempo…

Stava per dire di gettare anche quel cadavere nel fiume, ma gli venne in mente che ne poteva ricavare qualcosa di utile. Spiegò agli altri quello che intendeva, e quelli calarono il corpo dalla roccia e lo portarono attraverso la distesa. Frigate e Galeazzi, ex-importatore di Trieste, fecero il primo turno. Era chiaro che Frigate non gradiva molto tale lavoro, ma quando Burton gli chiese se voleva dare una mano rispose di sì. Afferrò il cadavere per i piedi e si avviò, mentre Galeazzi lo reggeva per le ascelle. Alice camminava dietro a Burton, tenendo la bimba per mano. Qualcuno della folla li guardò con curiosità o gridò commenti e domande, ma Burton li ignorò. Dopo circa un chilometro, Kazz e Monat diedero il cambio a Frigate e Galeazzi. La bimba non sembrava turbata dalla vista del morto. Il primo cadavere l’aveva incuriosita, invece di inorridirla per via della carne bruciata.

— Se è vero che viene dall’antica Gallia — disse Frigate — può essere abituata a vedere corpi carbonizzati. Se ricordo bene, durante certi riti religiosi i Galli bruciavano delle vittime, vive, in grossi cesti di vimini. Non rammento in onore di quale dio o dea fossero quei riti. Vorrei avere una biblioteca per cercarlo. Pensate che potremo avere dei libri, qui? Io credo che diventerei matto se non potessi più leggere.

— Rimane da vedere — disse Burton. — Se non ci sarà fornita una biblioteca ce la faremo da noi. Sempre che sia possibile.

Burton pensò che la domanda di Frigate era un po’ sciocca, ma poi rifletté che quel giorno nessuno aveva la mente del tutto equilibrata.

Alla base delle colline altri due uomini, Rocco e Brontich, diedero il cambio a Kazz e Monat. Burton li condusse oltre gli alberi, attraverso l’erba alta fino alla cintola. L’erba, che aveva il bordo seghettato, graffiava loro le gambe. Burton tagliò uno stelo col suo coltello e ne saggiò la resistenza e la flessibilità. Frigate gli si teneva vicino al gomito, e sembrava incapace di smettere di chiacchierare. Burton pensò che probabilmente discorreva per impedirsi di pensare ai due morti.

— Se ogni uomo vissuto sulla Terra è risorto qui, pensi quante ricerche si possono fare! Pensi quanti enigmi della storia e quanti problemi si potrebbero risolvere! Potremmo parlare a John Wilkes Booth e scoprire se dietro l’assassinio di Lincoln c’era davvero il Ministro della Guerra Stanton. E scoprire anche l’identità di Jack lo Squartatore. E appurare se Giovanna d’Arco faceva realmente parte di una setta di streghe. E parlare al Maresciallo Ney e farci dire se è vero che scampò al plotone d’esecuzione e divenne insegnante, in America. E sapere come si svolsero i fatti a Pearl Harbor. E vedere la faccia dell’Uomo dalla Maschera di Ferro, se pure è mai esistito. E intervistare Lucrezia Borgia e quelli che la conoscevano e appurare se era quella cagna avvelenatrice che la maggior parte delle persone pensa che fosse. E scoprire l’identità dell’assassino dei due principini nella Torre. Forse li uccise proprio Riccardo III.

— E anche riguardo a lei e alla sua stessa vita, Richard Francis Burton, ci sono molti interrogativi ai quali i suoi biografi vorrebbero che si fosse data risposta. È vero che amò una donna persiana, e che la voleva sposare, e che per amor suo era disposto a rinunciare al proprio nome e farsi anche lei persiano? È vero che la donna morì prima che lei potesse sposarla, e che lei fu amareggiato da questa morte e rimase innamorato di quella donna per il resto della sua vita?

Burton guardò Frigate con occhio torvo. Si erano appena conosciuti ed ecco che costui gli rivolgeva le domande più personali e intime. Nulla poteva scusare tale comportamento.

Frigate fece marcia indietro. — Capisco, capisco: ogni cosa a suo tempo. Ma lei sapeva che sua moglie le fece amministrare l’estrema unzione poco dopo che lei morì, e che fu sepolto in un cimitero cattolico? Lei, l’infedele!

Lev Ruach, i cui occhi si erano andati spalancando a mano a mano che Frigate continuava a cicalare, disse: — Lei è Burton, l’esploratore e glottologo? Lo scopritore del Lago Tanganica? Colui che fece un pellegrinaggio alla Mecca camuffato da mussulmano? Il traduttore delle Mille e una notte?

— Non ho alcun desiderio o bisogno di mentire. Lo sono.

Lev Ruach sputò in faccia a Burton, ma il vento portò via la saliva. — Figlio di una cagna! — gridò. — Pazzo bastardo nazista! Ho letto di te! Sotto molti aspetti eri un uomo ammirevole, suppongo. Ma eri un antisemita!

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