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Non gli danno nessuna risposta soddisfacente. Risprofondano nel loro stato stuporoso. Si sente abbandonato, tradito. L’hanno fatto partecipare agli altri quattro riti: perché non a questo? Hanno privato la sua vita di un’esperienza. E si sono stancati di lui. Fa un passo indietro, rabbioso e vergognoso. Ha perso qualcosa di importanza fondamentale, o così crede. Forse ha perso addirittura la possibilità di afferrare la chiave che apre lo scrigno con la risposta ai suoi enigmi. E loro non se ne preoccupano. Loro non se ne preoccupano.

Irritato, risale la duna e comincia a camminare velocemente verso l’interno.

La sabbia affonda sotto i suoi piedi, rallentandogli la marcia. Nota, inoltre, piccoli sentieri sul terreno, le tracce di creature piatte e grigie arrancanti che assomigliano un po’ a scorpioni. Non gli prestano la minima attenzione, e diverse volte, attraversando il sentiero di uno di essi, corre il rischio di schiacciarlo. È preoccupato: non gli piacerebbe calpestare una di quelle creature, inferocita. Ma ben presto la sabbia lascia il posto a un arido terriccio rossastro, costellato da piante bluastre dall’aspetto carnoso, e le creature arrancanti scompaiono alla vista.

Si chiede dove può andare.

Non sa ancora decidere se ha abbandonato gli Sfioratori per una ripicca passeggera, o se non si tratti di un addio definitivo. Il suo risentimento verso di loro può anche diminuire; dopo tutto, gli hanno offerto momenti straordinari, e forse, prima di quanto creda, vorrà tornare da loro. D’altra parte non vuole costringere persone che lo trovano noioso ad accettarlo per forza. Può benissimo cercare di riaffermare la sua indipendenza. Non sembra che ci sia bisogno di cibo o di riparo, in quel mondo, e a Clay resta sempre la speranza di trovare altri compagni d’avventura, quando i vagabondaggi solitali avranno perso il loro fascino. È convinto di non avere la minima speranza di poter fare ritorno alla sua epoca.

Per la maggior parte della mattina, cammina e attraversa una regione calda e arida di vaste pianure e curiosi altipiani purpurei, e nel frattempo si trastulla con l’idea che se la caverà da solo. Più ci pensa, più attraente gli sembra. Sì, esplorerà ogni continente, cercherà città sotterranee risalenti a epoche non lontane dalla sua; cercherà manufatti e altre curiosità prodotte dai figli dell’uomo, e metterà alla prova i poteri che forse ha acquisito sotto quel sole magico. E, magari, fabbricherà una specie di carta, e scriverà un diario delle sue avventure, sia per propria illuminazione sia per informare altri della sua specie che il tempo abbia rapito al suo stesso modo. Converserà coi Respiratori, Mangiatori, Distruttori, Aspettatoli e Sfioratori, ogni volta che li incontrerà, e con gli Intercessori se gli capiterà di incontrarli, e con qualsiasi altro essere di epoche precedenti scaraventato quaggiù dai risucchi del flusso temporale: uomini-capra, sferoidi, abitatori delle gallerie, e altri ancora. Si sente in preda a qualcosa di simile all’estasi, e assapora la libertà di questa progettata nuova vita. Sì! Sì! Perché no? La gioia di una tale idea si agita come un pallone nella sua anima e, come un pallone, esplode bruscamente, mandandolo ruzzoloni sul terreno, scosso e solitario.

Si pente di aver abbandonato gli Sfioratori.

Deve tornare da loro e chiedere se lo accetteranno ancora.

Stranamente confuso, rimane dov’è, accucciato, ginocchia e gomiti nella polvere, stravolto, gli occhi che seguono un grande serpente globulare che si svolge davanti a lui. L’inerzia lo colpisce ancora: su, guardati intorno, trova i tuoi amici. Si alza lentamente. La dolce brezza tiepida spira con una certa intensità, accarezzandogli la pelle sudata. Corre, del tutto indifferente ai serpenti presenti un po’ ovunque. Dov’è il mare? Dove sono gli Sfioratori? Segue il sole. Il terreno lascia il posto alla sabbia, i serpenti agli scorpioni. Sente le onde. Sale sulla duna. Ecco il posto: vede le sue tracce, ricorda l’amichevole gaiezza di Ninameen, la cordiale bonarietà di Hanmer, le profondità mistiche di Serifice, la bellezza di Ti, l’attenzione di Angelon, la tenerezza di Bril. Come ha potuto lasciarli? Sono i suoi amici. E più importante ancora: sono parte di lui, e lui, spera, è parte di loro. Ben avviati sulla strada del settenario… Abbiamo condiviso tante esperienze. La mia rabbia momentanea, infantile! Fratelli miei, sorelle mie: un po’ superficiali, a volte, ma del resto era prevedibile; c’è un tale abisso di tempo che ci separa. Riuscirei a comprendere, io, i sentimenti di un Cro-Magnon? Riuscirei a capire un decimo delle cose che dice? Ma non c’è motivo di separarci solo per questo. Dobbiamo amarci. Dobbiamo stare vicini.

Arriva all’ultima duna e vede la spiaggia, e trova i segni dove gli Sfioratori si sono sdraiati, ma loro non ci sono più.

— Hanmer? Serifice? Ti?

Non sono neppure nei dintorni.

Urla, agita le braccia, cerca qualche impronta. Inutile, inutile, inutile. Non hanno lasciato la minima traccia. Sono spariti, balenando attraverso la stratosfera, magari diretti su Saturno, in un balzo solo. L’hanno dimenticato. Gli sta bene. Chiama i loro nomi senza speranza. Rotola disperato nella sabbia. Si tuffa nell’acqua, sperando di trovare per lo meno la sua sirena. Nessuno. Nulla. Abbandonato. Solo.

Tutta colpa tua. Ma adesso?

Aspetterà. Gli Sfioratori l’hanno già salvato altre volte dalla solitudine; magari lo faranno ancora. Nel frattempo andrà per la sua strada, e si pentirà del suo gesto impulsivo, e spererà. E spererà. Ancora una volta si dirige verso l’entroterra, questa volta in direzione diversa rispetto al suo sentiero precedente, perché quella distesa di serpenti non gli piaceva affatto. Se mai ritroverà ancora gli Sfioratori, decide, non li lascerà mai più, non volontariamente, almeno. La terra qui è molto simile all’altro posto, anche se non è così calda; una fila di basse colline fa da scudo al vento secco e torrido. Ci sono serpenti anche qui, ma di tipo diverso, verdi e con scaglie cremisi. Lasciano tracce luccicanti e nette sul terreno spoglio. Più di una volta, incidentalmente, Clay ne calpesta qualcuno, i serpenti scricchiolano ed emettono un sibilo, sinistro, che lo lascia desolato e pieno di vergogna. Studia i suoi passi, posando ogni volta i piedi con la massima attenzione, e il pensiero di evitare i serpenti lo ossessiona a tal punto che non nota nemmeno le alterazioni nell’aspetto dell’ambiente circostante. Sono comparsi alcuni alberi: conici dalla punta aguzza, corti, tali da sembrare incroci tra palme da dattero e funghi velenosi. Ci sono alcuni piccoli ruscelli, e, come presto scopre, si sta avvicinando alla casa di qualcuno.

Casa?

Fin dal suo risveglio non ha visto nulla che ricordasse una casa. Ma chiaramente si tratta di un inganno o di un’illusione, perché quello che ha davanti è un edificio a due piani stile 1940, con un tetto di ardesia grigia e una verde ghirlanda festiva appesa al pomo della porta principale. Il sentiero che porta alla soglia è perfettamente pavimentato, e c’è una scura strada asfaltata sulla sinistra della casa, anche se Clay non vede né garage né automobili. Le finestre sono schermate da tende bianche e frivole. Alla finestra, un vaso in cui crescono gerani vigorosi e coloriti.

Ride. Nutre seri dubbi sul fatto che, di tutte le costruzioni di un’era così lontana dell’umanità, solo questa casa sia rimasta intatta attraverso miriadi di millenni. È un inganno, allora. Ma di chi? — Ninameen? — chiama, speranzoso. — Ti?

La porta si apre e ne esce una donna.

Della sua specie. Giovane, ma non giovanissima. È nuda. Corti capelli scuri, seni proporzionati, un po’ larga ai fianchi, gambe bellissime. Un dolce sorriso, denti regolari, occhi vivaci e aperti. Qualche piccola macchia sulla pelle, qua e là. Non una creatura della fantasia, ma una donna vera, imperfetta, attraente, che promette ragionevoli delizie. Sembra leggermente a disagio e imbarazzata nella sua nudità, ma dà l’impressione che non le importerà più molto, quando si saranno conosciuti meglio. Clay si ferma a una dozzina di metri dalla porta.

— Salve — dice lei. — Felice di conoscerla.

Clay si inumidisce le labbra. Anche lui si sente a disagio, per il fatto di essere nudo. — Non mi aspettavo di trovare una casa, da queste parti.

— Ci avrei scommesso.

— Da dove viene?

Lei si stringe nelle spalle. — Era qui — dice. — Sono arrivata camminando, esattamente come lei, e l’ho trovata. Carina e accogliente. Penso che l’abbiano fatta per me, e così mi ci sono sentita a mio agio. Voglio dire, non penso che si tratti veramente di una casa sopravvissuta al nostro tempo, che sia semplicemente rimasta qui ad aspettare per milioni di anni. Non le pare?

Lui sorride. Gli piacciono i modi aperti di lei. Adesso si è appoggiata contro l’intelaiatura della porta, e non sembra più turbata dalla propria nudità; tiene una mano graziosamente appoggiata su un fianco. Clay si sente percorso dagli occhi di lei, con approvazione. — No, non ho pensato nemmeno per un momento che la casa fosse originale. Adesso il problema è se lei è originale.

— Non sembro vera?

— Se è per questo, lo sembra anche la casa — osserva Clay. — Da dove viene?

— Il flusso del tempo mi ha presa e mi ha portata qui — lei gli risponde. — E a lei è successa la stessa cosa, giusto?

Le sue parole lo hanno fatto rabbrividire, come se avesse inghiottito fiamma pura. Una donna della sua epoca! Possibile? Prova contemporaneamente felicità per aver trovato una vera compagna, e un curioso senso di malinconia al pensiero di non essere più unico in quel mondo, di dover condividere il suo ruolo con lei.

— Da quanto tempo si trova qui? — le chiede.

— Non ne ho idea.

Accetta la risposta. Anche lui non avrebbe potuto rispondere diversamente.

— Che cos’ha fatto, dopo il suo risveglio?

— Ho vagabondato — dice lei. — Parlato con la gente. Nuotato. Mi sono posta delle domande.

— Che anno era quando ha lasciato il nostro mondo?

— Lei fa troppe domande. — Gli sorride, senza tono di rimprovero. — E non quelle giuste. Per esempio, qual è il mio nome. Come mi sento per quello che mi è successo. Non le interessa sapere che tipo di persona sono?

— Mi spiace.

— Non vuole entrare? — Una traccia di malizia nell’invito, una traccia di vanità, Clay si chiede quanti milioni di anni sono passati dall’ultima volta che è andato a letto con una donna umana, una donna vera. Si ritrova a pensare all’odore della sua pelle e al sapore delle sue labbra e ai suoni che emetterà quanto lui entrerà in lei. — Naturalmente — risponde. — Non è bello conoscersi restando fuori dalla porta.

Lei lo introduce nella casa. Entrando Clay sente un breve suono, un inconfondibile singhiozzo. La casa è una conchiglia, una facciata a tre lati; all’interno non c’è assolutamente nulla. La donna è in piedi, a circa quattro metri di distanza da lui, gli volta la schiena, e tiene le mani sui fianchi; il suo sedere è pieno, con un gròsso neo su ogni natica. — Come ti sembra? — chiede all’improvviso. — Dopo tutto… — C’è un tono assente, meccanico nella sua voce. Ride. — Come ti sembra? Dopo tutto… Come ti sembra? Dopo tutto… Come ti sembra? Dopo tutto… — Lui si precipita in avanti, sconvolto. — Avevi detto che eri reale! — urla. — Avevi detto che la casa non lo era, ma tu… — È stato ingannato. Con il palmo aperto della mano colpisce furiosamente la sua piccola schiena, mandandola a finire distesa per terra. Lei giace immobile, singhiozzante. E Clay ha una vigorosa erezione. Si infilerà in lei e la monterà come se fosse un cane. Le salta addosso; le sue natiche sono un cuscino sodo per le cosce di lui. Lei ansima, flette leggermente la schiena, e mentre Clay comincia a infilare nel nido il suo organo teso scompare, singhiozzando, e l’uomo affonda con uno spruzzo sconvolgente in una polla nera. Nelle sue profondità c’è un Respiratore, enorme, tranquillo, paziente. Sono Quoi gli trasmette.

Cosa… come?

Il suo corpo sta cambiando. Sprofonda verso il fondo, sviluppando pinne e branchie, liberandosi del suo bisogno d’aria. È un’illusione convincente, ma Qay non crede che sia qualcosa più di un’illusione.

Così, dice: Sei la stessa entità che prima era la donna?

Sono Quoi insiste il Respiratore. Vieni a riposare accanto a me. Parliamo della natura dell’amore. Ricordi? Il fluire, l’accoppiarsi, lo scambio…

…e il riaffiorare dice Clay. Hai imparato bene il gergo.

Perché sei così ostile?

Perché sono stato ingannato risponde Clay.

Il Respiratore sembra offeso. Segue un lungo silenzio; Clay si chiede se è il caso di scusarsi. Comincia a pensare di essere stato ingiusto nei confronti del Respiratore. In quel momento la polla scompare e Clay si ritrova sulla terraferma, di fronte a un mostruoso e colossale Mangiatore. Le zanne brillano, gli occhi lampeggiano.

— No — dice Clay. — Per favore, non mostrarmi tutto il repertorio. La prossima volta sarai un Distruttore? Un Aspettatore? Questi giochi non mi interessano.

Il Mangiatore scompare. Clay rimane solo, e scava nervosamente nel terriccio con la punta di un piede. Un cespuglio di fronte a lui prende fuoco, bruciando con un’intensa fiamma verde, ma senza consumarsi. E Clay sente un sommesso singhiozzo uscire dal cespuglio in fiamme. Uno scherzo cretino, pensa, veramente banale. Si rende conto di trovarsi finalmente di fronte all’essere chiamato Errore.

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