Parte sesta Alpha

16. Il centro dei Mondi

1

Trevize fissò a lungo Pelorat, con un’espressione di netta contrarietà. Poi disse: — Hai visto qualcosa che io non ho visto, e non me ne hai parlato?

— No — rispose docilmente Pelorat. — L’hai vista anche tu, e come ti ripeto ho cercato di spiegarti… Ma non eri dell’umore giusto per ascoltarmi.

— Be’, riprova.

Bliss sbottò: — Non fare il prepotente con lui, Trevize.

— Non sto facendo il prepotente. Sto solo chiedendo informazioni… E tu non trattarlo da bambino.

— Per favore, smettetela di parlare tra voi e ascoltate me — intervenne Pelorat. — Ricordi, Golan, che abbiamo parlato dei primi tentativi di scoprire l’origine del genere umano? Del Progetto Yariff? Sai, quel sistema in cui si cercava di stabilire il periodo di colonizzazione di vari pianeti partendo dal presupposto che prendendo come centro il punto di origine i pianeti avrebbero dovuto essere colonizzati con un’espansione avvenuta uniformemente in tutte le direzioni… così spostandosi dai pianeti più recenti a quelli più vecchi ci si dovrebbe avvicinare appunto al mondo d’origine da qualsiasi direzione…

Trevize annuì. — E ricordo che quel sistema non funzionò perché le date di colonizzazione non erano affidabili.

— Esatto, vecchio mio. Però i mondi di cui si occupava Yariff facevano parte della seconda ondata espansionistica della razza umana. A quell’epoca il viaggio iperspaziale era già molto perfezionato, e la colonizzazione deve essersi sviluppata in modo scomposto, frammentario. Non era difficile compiere grandi balzi e coprire distanze enormi, e la colonizzazione non ha seguito necessariamente un criterio di simmetria radiale verso l’esterno. Questo fatto sicuramente ha acuito il problema della scarsa affidabilità delle date di colonizzazione.

«Ma pensa un attimo ai Mondi Spaziali, Golan. Appartenevano alla prima ondata, quelli. Allora il viaggio iperspaziale era ancora agli inizi, e probabilmente non ci si spostava per tratti smisurati. Mentre milioni di mondi sono stati colonizzati, forse in modo caotico, durante la seconda fase di espansione, durante la prima ne sono stati colonizzati appena cinquanta, probabilmente in modo ordinato. Mentre i milioni di mondi della seconda ondata sono stati colonizzati lungo un arco di tempo di ventimila anni, i cinquanta mondi della prima ondata sono stati colonizzati in un arco di pochi secoli… quasi contemporaneamente, al confronto. Quei cinquanta mondi, presi assieme, dovrebbero formare grosso modo una sfera simmetrica attorno al pianeta d’origine.

«Abbiamo le coordinate dei cinquanta mondi. Le hai fotografate dalla statua, ricordi? L’entità che sta distruggendo le informazioni riguardanti la Terra, sia essa una cosa o una persona, si è lasciata sfuggire quelle coordinate, o non ha pensato che potessero fornirci l’informazione desiderata. Adesso, Golan, basta che tu corregga le coordinate in base agli ultimi ventimila anni di spostamenti stellari, poi troverai il centro della sfera. Dovresti arrivare abbastanza vicino al sole della Terra, od almeno dove fosse ventimila anni fa.

Trevize, che aveva seguito il monologo di Pelorat a bocca aperta, impiegò alcuni attimi a scuotersi. — Ah… perché non ci ho pensato? — sbottò.

— Ho provato a dirtelo quando eravamo su Melpomenia.

— Certo. Scusa se non ti ho dato ascolto, Janov. Il fatto è che non mi è venuto in mente…

Trevize si bloccò imbarazzato e Pelorat ridacchiò. — Che potessi avere qualcosa di importante da dire… Già, in circostanze normali avresti avuto ragione, però tieni presente che quello era il mio campo. Comunque, in generale, sei pienamente giustificato se decidi di non ascoltarmi.

— Non è vero, Janov. Mi sento uno sciocco, e me lo merito: ti chiedo ancora scusa… Ed adesso corro al computer.

Trevize e Pelorat andarono nella sala comandi, e Pelorat come sempre rimase ad osservare con un misto di meraviglia e incredulità mentre l’amico posava le mani sulla scrivania e si trasformava quasi in un unico organismo uomo-macchina.

— Dovrò ipotizzare alcune cose, Janov — spiegò Trevize, lo sguardo vacuo per quella strana fusione col computer. — Che il primo numero sia una distanza in parsec, che gli altri due siano angoli in radianti… cioè in parole povere, che il primo numero indichi l’alto ed il basso, e che gli altri indichino destra e sinistra. E dovrò presupporre che l’uso del più e del meno nel caso degli angoli sia Galattico Standard, e che i tre zeri si riferiscano al sole di Melpomenia.

— Mi sembra che vada bene — annuì Pelorat.

— Davvero? Ci sono sei modi in cui disporre i numeri, quattro modi di disporre i segni, le distanze possono essere espresse in anni-luce invece che in parsec, gli angoli in gradi invece che in radianti. Ci sono novantasei variazioni, come vedi. Inoltre, se le distanze sono in anni luce, non sappiamo la lunghezza dell’anno usato. E per finire, non sappiamo come abbiano misurato gli angoli… dall’equatore di Melpomenia in un caso, immagino… ma il loro meridiano fondamentale?

Pelorat corrugò la fronte. — Da come parli, sembra un’impresa senza speranza.

— No. Aurora e Solaria sono comprese nella lista, e so la loro posizione nello spazio. Userò le coordinate e vedrò se riesco ad individuarle. Se finirò nel punto sbagliato, correggerò le coordinate finché non mi daranno quello giusto, e saprò da quali presupposti sbagliati sono partito. Una volta stabiliti i presupposti esatti, potrò cercare il centro della sfera.

— Con tutte queste combinazioni possibili, non sarà un po’ complicato decidere cosa fare?

— Cosa? — fece Trevize, sempre più assorto. Poi, quando Pelorat ripeté la domanda, rispose: — Oh, be’, è probabile che le coordinate seguano il sistema Galattico Standard, ed al fatto che il meridiano fondamentale possa essere ignoto si può rimediare. Questi sistemi per localizzare i punti nello spazio sono stati studiati molto tempo fa, e molti astronomi sono convinti che risalgano a prima del volo interstellare. Per certi versi gli esseri umani sono estremamente conservatori, e non cambiano quasi mai le convenzioni numeriche una volta abituatisi a quelle. Arrivano addirittura a scambiarle per leggi della natura, credo… Ed è un bene, perché se ogni mondo avesse unità di misura proprie e le cambiasse ogni secolo, penso proprio che il progresso scientifico si arresterebbe completamente.

Era evidente che stesse lavorando mentre parlava, perché le sue parole non erano fluide. E ad un certo punto mormorò: — Silenzio, adesso.

Corrugò la fronte concentrandosi allo spasimo, e solo parecchi minuti più tardi si rilassò e ispirò a fondo. Sottovoce, annunciò: — Le misure sono valide: ho localizzato Aurora. Vedi?

Pelorat fissò il campo stellare, e la stella luminosissima quasi al centro. — Ne sei proprio sicuro?

— La mia opinione non conta: il computer ne è sicuro. In fin dei conti, siamo stati su Aurora. Abbiamo le sue caratteristiche… diametro, massa, luminosità, temperatura, dati spettrali, per non parlare poi della disposizione delle stelle vicine… Il computer dice che è Aurora.

— Allora possiamo fidarci della sua parola, immagino.

— Dobbiamo fidarci, credimi. Adesso regolerò lo schermo, e il computer potrà mettersi al lavoro. Ha le cinquanta serie di coordinate, e le userà una alla volta.

Trevize stava già occupandosi dello schermo mentre parlava. Normalmente il computer operava nelle quattro dimensioni dello spazio-tempo, ma per l’utilizzo da parte degli esseri umani di solito lo schermo veniva usato bidimensionalmente. Ora lo schermo sembrò dilatarsi in un volume scuro dotato di profondità, oltre che di altezza e ampiezza. Trevize abbassò le luci quasi del tutto, perché le stelle risaltassero con maggior facilità all’osservatore.

— Adesso comincia — sussurrò.

Un attimo dopo, apparve una stella… poi un’altra… poi un’altra ancora. La panoramica cambiava ad ogni nuova aggiunta, era come se lo spazio stesse spostandosi all’indietro per offrire all’occhio una vista sempre più ampia. C’erano inoltre gli spostamenti verso l’alto o verso il basso, verso destra o sinistra…

Alla fine, sospesi nello spazio tridimensionale, apparvero cinquanta puntini luminosi.

Trevize commentò: — Avrei gradito una disposizione sferica perfetta. Questa sembra la struttura di una palla di neve compressa malamente, in fretta e furia.

— E questo fatto rovina tutto?

— Crea qualche difficoltà… ma era inevitabile, immagino. Le stelle stesse non sono distribuite uniformemente, quindi nemmeno i pianeti abitabili, così deve esserci per forza una certa irregolarità nella fondazione di nuovi mondi. Il computer porterà ognuno di questi puntini nella sua posizione attuale, tenendo conto dello spostamento probabile degli ultimi ventimila anni, il che non comporterà che una correzione minima, poi li disporrà in modo da formare una sfera ideale. Troverà, in altre parole, una superficie sferica da cui la distanza di tutti i punti luminosi sia minima. Poi troveremo il centro della sfera e la Terra dovrebbe essere abbastanza vicina al centro… Almeno, speriamo… Non ci vorrà molto.

2

Non ci volle molto. Trevize, abituato ai miracoli del computer, rimase comunque stupito per la sua rapidità.

Aveva istruito il computer perché emettesse una nota bassa e reverberante dopo avere calcolato le coordinate del centro ideale. Non c’era alcun motivo di farlo… solo la soddisfazione di sentire quel suono e sapere che forse la ricerca era terminata.

La nota arrivò nel giro di pochi minuti, e fu come un lieve colpo di gong. Crebbe di intensità fino a creare una vibrazione avvertibile fisicamente, e progressivamente, si spense.

Bliss apparve quasi subito sulla soglia. — Cosa succede? — chiese, spalancando gli occhi. — Un’emergenza?

Trevize rispose: — Niente affatto.

Pelorat aggiunse smanioso: — Forse abbiamo localizzato la Terra, Bliss: quel suono era il computer che ci avvertiva.

Bliss entrò. — Avreste potuto avvertire anche me.

— Mi dispiace, Bliss — si scusò Trevize. — Non pensavo che sarebbe stato così forte.

Fallom aveva seguito Bliss nella stanza, e disse: — Perché c’è stato quel suono, Bliss?

— Vedo che conosce il tuo nome — commentò Trevize, appoggiandosi allo schienale, stremato. Ora si trattava di controllare se quanto avesse scoperto esistesse anche nella Galassia reale, di vedere se alle coordinate del centro dei Mondi Spaziali corrispondesse davvero una stella di tipo G. Anche questa volta, Trevize era restio a procedere, a compiere la verifica finale.

— Sì — disse Bliss. — Conosce il mio nome. Ed anche il tuo e quello di Pel. Che c’è di strano: noi conosciamo il suo.

— Nulla in contrario — fece Trevize distrattamente. — Solo che questa bambina mi preoccupa… può solo crearci dei problemi.

— Che ha fatto di male finora? — replicò Bliss.

Trevize allargò le braccia. — È solo una sensazione, la mia.

— Bliss gli rivolse un’occhiata sprezzante, e spiegò a Fallom: — Stiamo cercando di trovare la Terra, Fallom.

— Cos’è la Terra ?

— Un altro mondo, ma un mondo speciale. È il mondo da cui provenivano i nostri antenati. Sai cosa significhi la parola “antenati” dopo le tue letture, Fallom?

— Significa…? — Ma l’ultima parola non era in galattico.

Pelorat intervenne: — È un termine arcaico per “antenati”, Bliss. La nostra parola “progenitori” ci si avvicina di più.

— Molto bene — sorrise Bliss. — La Terra è il mondo da cui provenivano i nostri progenitori, Fallom. I tuoi, i miei, quelli di Pel e di Trevize.

— I tuoi, Bliss… e anche i miei. — Fallom sembrava perplessa. — Tutti e due i tipi?

— C’è un solo tipo di antenati — disse Bliss. — Abbiamo gli stessi progenitori, noi… tutti quanti.

Trevize commentò: — Mi sembra che si renda conto perfettamente di essere diversa da noi.

Bliss fece sottovoce: — Non dirlo. Dobbiamo fare in modo che si senta uguale a noi… Nei tratti essenziali, almeno.

— L’ermafroditismo è un tratto essenziale, direi.

— Parlo della mente.

— Anche i lobi trasduttivi sono tratti essenziali.

— Via, Trevize, non essere così pignolo. Fallom è intelligente ed umana se mettiamo da parte certi dettagli.

Bliss tornò a rivolgersi a Fallom alzando la voce. — Rifletti su questo punto, Fallom… I tuoi progenitori e i miei sono gli stessi. Tutta la gente di tutti i mondi… molti, moltissimi mondi… ha gli stessi progenitori, e questi progenitori vivevano in origine sul mondo chiamato Terra. Questo significa che siamo tutti parenti, no?… Ora torna nella nostra stanza e pensaci.

Fallom, dopo un’occhiata pensosa a Trevize, si girò e corse via, incoraggiata da una pacca affettuosa di Bliss.

Bliss disse quindi a Trevize: — Per favore, promettimi che in sua presenza eviterai qualsiasi commento che possa farle credere di essere diversa da noi.

— Te lo prometto. Non intendo intralciare il processo educativo, né sovvertirlo… comunque, lei è diversa da noi.

— Sotto certi aspetti. Come io sono diversa da te, e come Pel è diverso da te.

— Non essere ingenua, Bliss: nel caso di Fallom le differenze sono molto più grandi.

— Un po’ più grandi: sono molto più importanti le somiglianze. Lei, ed il suo popolo, faranno parte di Galaxia un giorno. Ne sono certa.

— D’accordo. Non discutiamo. — Trevize si girò verso il computer senza troppo entusiasmo. — Intanto, devo controllare la posizione ipotetica della Terra nello spazio reale, ho paura.

— Paura?

— Be’ — Trevize si strinse nelle spalle ostentando un’aria di noncuranza — e se non ci sarà alcuna stella adatta vicino a quel punto?

— Non ci sarà, e basta — rispose Bliss.

— Forse è inutile controllare adesso… Tanto potremo effettuare il Balzo solo tra parecchi giorni.

— Giorni che trascorrerai tormentandoti: controlla subito, aspettando non cambierà nulla.

Trevize serrò le labbra e un attimo dopo annuì. — Hai ragione. Benissimo, allora… Facciamolo.

Appoggiò le mani entro i contorni di contatto della scrivania, e lo schermo si oscurò.

Bliss disse: — Io esco. Se resto ti innervosirò. — E con un cenno della mano se ne andò.

— Il fatto è — borbottò Trevize — che prima controlleremo la mappa galattica del computer, e anche se il sole della Terra si trovasse nella posizione calcolata la mappa non dovrebbe includerlo. E in tal caso noi…

Si interruppe sbalordito mentre sullo schermo appariva un ammasso di stelle. Erano piuttosto numerose e fioche, con qualche scintillio più vivido sparso qui e là, disseminate abbastanza uniformemente sullo schermo. Ma verso il centro spiccava una stella più brillante di tutte le altre.

— Ci siamo! esultò Pelorat. — Ci siamo, vecchio mio: guarda com’è luminosa!

— Qualsiasi stella centrata sulle sue coordinate è luminosa — disse Trevize, cercando di frenare una eccitazione iniziale che avrebbe potuto rivelarsi infondata. — In fin dei conti, l’immagine è presentata ad un parsec di distanza dal punto esatto delle coordinate. Comunque, quella stella non è certamente una nana rossa, né una rossa gigante… Aspettiamo i dati del computer.

Alcuni secondi di silenzio, dopo di che Trevize disse: — Classe spettrale G-2… Diametro 1,4 milioni di chilometri… massa 1,02 volte quella del sole di Terminus… temperatura superficiale 6.000 assoluti… rotazione lenta, poco meno di 30 giorni… nessuna attività insolita, nessuna irregolarità.

— Non sono caratteristiche tipiche del tipo di stella attorno al quale orbitino i pianeti abitabili? — fece Pelorat.

— Sì — annuì Trevize. — Quindi, sono anche le caratteristiche prevedibili del sole della Terra. Se è là che è nata la vita, è logico che il sole della Terra rappresenti il modello ideale.

— Dunque ci sono buone probabilità di trovare un pianeta abitabile in quel sistema…

— Non c’è bisogno di fare delle ipotesi — disse Trevize estremamente perplesso. — Stando alla mappa galattica c’è un pianeta abitato… ma l’informazione è seguita da un punto interrogativo.

L’entusiasmo di Pelorat crebbe. — Proprio come era logico aspettarsi, Golan. Il pianeta abitato esiste, ma il tentativo di nascondere la cosa confonde i dati riguardanti il pianeta, lasciando nell’incertezza chi ha redatto la mappa del computer!

— No, non era affatto logico aspettarselo, ed è questo che mi preoccupa. Avremmo dovuto aspettarci ben altro. Considerando l’efficienza con cui i dati sulla Terra sono stati fatti sparire, chi ha redatto la mappa non avrebbe dovuto sapere che in questo sistema c’è la vita, men che mai degli esseri umani. Anzi, non avrebbe nemmeno dovuto sapere che il sole della Terra esista. I Mondi Spaziali non figurano nella mappa… Perché il sole della Terra dovrebbe esserci?

— Be’ comunque c’è. Che senso ha discuterne? Quali altre informazioni sulla stella sono riportate?

— C’è un nome.

— Ah! Quale?

— Alpha.

Una breve pausa, poi Pelorat esclamò smanioso: — Ci siamo proprio, vecchio mio! Questo nome è la prova decisiva… Pensa al suo significato!

— Ha un significato? Per me è solo un nome, un nome strano. Non sembra galattico.

— Non è galattico, infatti! È in una lingua preistorica della Terra, la stessa lingua in cui è arrivato fino a noi il nome del pianeta di Bliss, Gaia.

— E cosa significa Alpha?

— Alpha è la prima lettera dell’alfabeto di quella lingua antica. Questo è un punto su cui esistono documentazioni valide. Nei tempi antichi, a volte “alpha” era usato come simbolo dell’inizio, per rappresentare il “primo” di ogni cosa. Se un sole viene chiamato “Alpha” è implicito che debba trattarsi del primo sole. Ed il primo sole è quello attorno al quale ruota il primo pianeta che abbia dato origine alla vita umana… la Terra, no?

— Ne sei certo?

— Certissimo — annuì Pelorat.

— Nelle antiche leggende non si parla di qualche caratteristica insolita del sole della Terra?

— No, quali caratteristiche insolite dovrebbe avere? È il sole modello per definizione, ed i dati forniti dal computer lo confermano, no?

— Il sole della Terra è una stella singola, vero?

— Be’, certo! Mi pare che tutti i pianeti abitati orbitino attorno a stelle singole.

— Lo pensavo anch’io — disse Trevize. — Il guaio è che la stella al centro dello schermo non è una stella singola, è doppia, binaria. La più luminosa delle due stelle del sistema binario è in effetti un modello perfetto, ed il computer ci ha fornito appunto i suoi dati. Attorno a quella stella, però, con un periodo di circa ottant’anni, ruota un’altra stella, che ha una massa pari ai quattro quinti della prima. Ad occhio nudo è impossibile vedere le due stelle come corpi separati, ma con un ingrandimento adeguato sono certo che la distingueremmo.

— Ne sei proprio sicuro, Golan? — fece Pelorat smarrito.

— Lo dice il computer… E se siamo di fronte ad una stella binaria, allora non può essere il sole della Terra quello.

3

Trevize interruppe il contatto col computer, e le luci riacquistarono un’intensità normale.

A quella specie di segnale, Bliss rientrò nella sala, seguita da Fallom. — Be’, che risultati ci sono?

Con voce incolore, Trevize rispose: — Un po’ deludenti. Nel punto dove mi aspettavo di trovare il sole della Terra ho trovato invece una stella binaria. Il sole della Terra è una stella singola, quindi le coordinate non corrispondono.

Pelorat chiese: — Ed adesso che si fa, Golan?

Trevize scrollò le spalle. — A dire il vero non mi aspettavo che le coordinate coincidessero con la posizione del sole della Terra. Nemmeno gli Spaziali colonizzavano i mondi secondo uno schema sferico esatto. Può darsi che Aurora, il più vecchio dei Mondi Spaziali, abbia inviato nello spazio a sua volta dei coloni, il che può aver contribuito a deformare la sfera. E può darsi poi che il sole della Terra non si sia mosso alla stessa velocità media dei Mondi Spaziali.

— Così la Terra potrebbe essere ovunque — fece Pelorat. — È questo che stai cercando di dire?

— No. Non proprio ovunque. La discrepanza non può essere tanto grande. Il sole della Terra deve trovarsi in prossimità delle coordinate. La stella che abbiamo individuato con notevole precisione nel punto indicato dalle coordinate deve essere vicina al sole della Terra. È sorprendente… una stella vicina così simile al sole della Terra, se non fosse per il suo carattere binario… eppure…

— Ma allora dovremmo vedere il sole della Terra sulla mappa, no? Vederlo vicino ad Alpha, insomma…

— No, perché secondo me il sole della Terra non è riportato sulla mappa. È stato questo particolare a lasciarmi perplesso non appena abbiamo avvistato Alpha… Per quanto potesse assomigliare al sole della Terra, vedendo che era riportato sulla mappa ho sospettato subito che non fosse quello che cercavamo.

— Be’, perché non controlli le stesse coordinate nello spazio reale, allora? — intervenne Bliss. — Se vicino al centro apparirà una stella abbastanza luminosa non riportata dalla mappa, una stella dalle caratteristiche simili ad Alpha, ma singola, potrebbe trattarsi del sole della Terra, giusto?

Trevize sospirò. — Se fosse come dici tu, attorno a quella stella troveremmo senza dubbio il pianeta Terra… sarei pronto a scommettere tutti i miei averi… Ma anche questa volta non me la sento di provare subito…

— Perché potresti fallire?

Trevize annuì. — Comunque, concedimi solo un istante per riprendere fiato… poi farò uno sforzo e controllerò.

E mentre i tre adulti si guardavano, Fallom si avvicinò alla scrivania-computer e fissò incuriosita i contorni delle mani tracciati sul ripiano. Allungò una mano esitante verso quei segni, ma Trevize la bloccò con un gesto brusco del braccio e con un altrettanto brusco: — Non devi toccare, Fallom.

Fallom ebbe un sussulto, e si strinse a Bliss.

Pelorat disse: — È una situazione che dobbiamo affrontare, Golan. E se non trovassimo nulla nello spazio reale?

— Saremo costretti a ripiegare sul piano precedente, ed a visitare gli altri quarantasette Mondi Spaziali.

— E se anche così non concluderemo nulla?

Trevize scosse il capo, seccato, quasi volesse scrollarsi di dosso quella prospettiva. Abbassando lo sguardo, disse: — Escogiterò qualcos’altro.

— Ma se non esistesse proprio un mondo di progenitori?

Trevize drizzò il capo di scatto sentendo quella voce acuta. — Chi ha parlato? — fece.

Era una domanda superflua. Superato un primo attimo di incredulità, capì subito chi gli avesse rivolto la domanda.

— Io — rispose Fallom.

Trevize la fissò, leggermente corrucciato. — Hai capito il discorso?

Fallom disse: — State cercando il mondo dei progenitori, ma non l’avete ancora trovato. Forse un mondo così non esiste alcuno.

— Non esiste alcun mondo così — la corresse Bliss.

— No, Fallom — disse serio Trevize. — C’è stato un grande sforzo per nasconderlo. E se si cerca con tanto accanimento di nascondere qualcosa, significa che ci sia qualcosa da nascondere, mi capisci?

— Sì — rispose Fallom. — Non lasci che tocchi le mani sulla scrivania. Se fai così significa che sarebbe interessante toccarle.

— Ah, ma non per te, Fallom… Bliss, stai creando un mostro che ci distruggerà. Non lasciarla più entrare qui se non sono al computer. Ed anche se ci sono, pensaci bene prima di farla entrare, d’accordo?

Quell’incidente minore ebbe un effetto salutare su Trevize, comunque, perché sembrò scuoterlo, spronandolo a vincere la propria indecisione. Disse: — Be’, è meglio che mi metta all’opera. Se rimarrò seduto qui, incerto sul da farsi, quell’essere grottesco si impossesserà della nave.

Le luci si attenuarono, e Bliss protestò: — Mi avevi fatto una promessa, Trevize. Quando è presente lei, non devi chiamarla mostroessere grottesco.

— Allora tienila d’occhio, ed insegnale un po’ d’educazione. Dille che i bambini non dovrebbero mai farsi sentire, e che dovrebbero farsi vedere il meno possibile.

Bliss corrugò la fronte. — Il tuo atteggiamento verso i bambini è semplicemente orribile.

— Può darsi, ma non è il momento di discuterne.

Poi, in un tono che esprimeva un misto di soddisfazione e di sollievo, Trevize annunciò: — Ecco… Alpha nello spazio reale… E sulla destra, leggermente in alto, c’è una stella luminosa quasi quanto Alpha che non figura nella mappa del computer. Quello è il sole della Terra. Sono pronto a scommettere qualsiasi cosa!

4

— Bene — disse Bliss — non pretenderemo nulla da te se perdi, quindi perché non sistemiamo subito la faccenda? Visitiamo la stella non appena sarà possibile effettuare il Balzo.

Trevize scosse la testa. — No. Questa volta non si tratta di indecisione né di paura. È questione di prudenza. Abbiamo visitato tre mondi sconosciuti, e per tre volte ci siamo trovati di fronte a dei pericoli inattesi, siamo stati costretti a ripartire con la massima fretta. Questa volta la posta in gioco è troppo importante, e non agirò più in modo avventato, se possibile. Finora, abbiamo solo qualche storia vaga di croste radioattive, e questo non basta. Per una circostanza assolutamente fortuita ed imprevedibile, ad un parsec dalla Terra c’è un pianeta abitato e…

— Siamo davvero sicuri che Alpha abbia un pianeta abitato? — intervenne Pelorat. — Hai detto che il computer metteva un punto interrogativo dopo questo dato.

— Be’, comunque vale la pena di provare — rispose Trevize. — Perché non dovremmo dare un’occhiata a quel pianeta? Se sarà veramente abitato da esseri umani, cerchiamo di scoprire cosa sappiano della Terra. Dopo tutto, per loro la Terra non sarà qualcosa di remoto e leggendario… È un mondo vicino, che brilla ben visibile nel loro cielo.

Bliss disse pensosa: — Non è una cattiva idea. Se Alpha è abitato e se gli abitanti non saranno i soliti, tipici Isolati, forse incontreremo della gente cordiale, e tanto per cambiare forse troveremo del cibo decente.

— Gente amica e cibo decente — annuì Trevize. — Per te va bene, Janov?

— Decidi tu, vecchio mio — rispose Pelorat. — Io ti seguirò dovunque tu vada.

Fallom chiese all’improvviso: — Troveremo Jemby?

Bliss si affrettò a rispondere, prima che potesse farlo Trevize. — Lo cercheremo, Fallom.

— Allora è deciso — concluse Trevize. — Puntiamo su Alpha.

5

— Due grandi stelle — disse Fallom indicando lo schermo.

— Esatto — disse Trevize. — Due… Bliss, per favore, sorvegliatela: non voglio che si metta a giocare con qualche strumento.

— Le strumentazioni l’affascinano — disse Bliss.

— Lo so, ma il suo fascino non mi affascina… Anche se, a dire il vero, sono affascinato quanto lei nel vedere contemporaneamente sullo schermo due stelle così luminose.

Le due stelle brillavano in modo incredibile. Lo schermo aveva aumentato automaticamente l’intensità di filtraggio per eliminare le radiazioni dannose alla retina. Di conseguenza, poche altre stelle erano visibili, e le due gemelle regnavano altezzose in un isolamento pressoché totale.

— Il fatto è che prima d’ora non ero mai stato così vicino ad un sistema binario — spiegò Trevize.

— Davvero? — fece Pelorat stupito. — Com’è possibile?

Trevize rise. — Ho viaggiato, Janov, però non sono il giraspazio che pensi.

— Io non ero mai stato nello spazio prima di incontrare te, Golan, ma ho sempre pensato che bastasse incominciare a viaggiare per…

— Per raggiungere qualsiasi posto… lo so. È naturale. La gente legata ai pianeti ha un difetto… Per quanto sforzi la propria immaginazione, non riesce a cogliere la grandezza reale della Galassia. Potremmo viaggiare tutta la vita senza sfiorare neppure buona parte della Galassia… E poi, nessuno va mai nei sistemi binari.

— Perché? — chiese Bliss. — Su Gaia non siamo esperti d’astronomia come gli Isolati che viaggiano nella Galassia, ma se non sbaglio le stelle binarie non sono poi così rare.

— Non lo sono — convenne Trevize. — Ci sono molte più binarie che stelle singole. Comunque, la formazione di due stelle vicine sconvolge i normali processi di formazione planetaria. Le binarie hanno meno materiale planetario delle singole. I pianeti che si formano attorno alle binarie spesso hanno orbite relativamente instabili, ed è raro che presentino caratteristiche di abitabilità.

«I primi esploratori, probabilmente, hanno studiato da vicino molte binarie, ma dopo un po’ di tempo si sono dedicati solo alla ricerca delle stelle singole, dato che a loro interessava scoprire mondi colonizzabili. Ed in una Galassia con un’elevata percentuale di colonizzazione è normale che praticamente tutti gli scambi commerciali, le comunicazioni, avvengano tra mondi abitati che orbitino attorno a stelle singole. Probabilmente, nei periodi di attività militare a volte si fissavano delle basi su qualche piccolo mondo disabitato dei sistemi binari che si trovava in posizione strategica, ma col perfezionamento del viaggio iperspaziale queste basi sono diventate inutili.

Pelorat disse umilmente: — Quante cose non so… Incredibile.

Trevize sorrise. — Non lasciarti impressionare da quel che dico, Janov. Sto solo ripetendoti alcune delle centinaia di cose superflue che ci insegnavano in Marina solo per inerzia… Pensa, invece… Tu conosci un’infinità di cose di mitologia, folklore, lingue arcaiche… tutte cose che io non so, che conoscete in pochi.

— Sì… comunque quelle due stelle formano un sistema binario, e una delle due ha un pianeta abitato — disse Bliss.

— Speriamo, Bliss — fece Trevize. — Le eccezioni si trovano sempre. E in questo caso c’è anche un punto interrogativo ufficiale che complica ulteriormente le cose… No, Fallom, quei pulsanti non sono giocattoli… Bliss, mettile le manette, o portala fuori.

— Non farà alcun danno — protestò Bliss. Ma attirò a sé la Solariana ugualmente. — Se ti interessa tanto quel pianeta abitabile, perché non siamo già là?

— Innanzitutto, sono curioso, e voglio osservare con comodo questo sistema binario — rispose Trevize. — E poi, voglio essere prudente. Come ho già spiegato, da quando abbiamo lasciato Gaia, ci sono capitati solo fatti spiacevoli che invitano chiaramente alla prudenza.

Pelorat chiese: — Quale delle due è Alpha, Golan?

— Non ci perderemo, Janov. Il computer sa benissimo quale delle due sia Alpha, e lo sappiamo anche noi: è la più calda e la più gialla delle due, perché è la più grande. Quella a destra ha un colore che tende all’arancione, un po’ come il sole di Aurora, se ricordi… Vedi?

— Sì, adesso che me lo dici.

— Bene. Quella è la più piccola… Qual è la seconda lettera di quell’alfabeto antico di cui parlavi?

Pelorat rifletté un istante. — Beta.

— Allora quella arancione è Beta, quella giallo chiaro è Alpha… ed è là che siamo diretti.

17. Nuova Terra

6

— Quattro pianeti — mormorò Trevize. — Tutti piccoli, più una scia di asteroidi. Nessun gigante gassoso.

— Qualcosa che non quadra? — si informò Pelorat.

— Non proprio: era prevedibile. Le binarie in orbita reciproca a breve distanza non possono avere pianeti in orbita attorno a sé. Al massimo i pianeti possono ruotare attorno al centro di gravità delle due stelle, ma non dovrebbero essere abitabili data la distanza.

«D’altro canto, se le binarie sono sufficientemente lontane, possono esserci dei pianeti in orbita attorno a ciascuna stella, sempre che i pianeti siano abbastanza vicini all’una od all’altra. Stando ai dati del computer, queste due stelle hanno una distanza media di 3,5 miliardi di chilometri, e al periastro, il punto in cui sono più vicine, hanno una distanza di 1,7 miliardi di chilometri. Un pianeta in orbita a meno di duecento milioni di chilometri da una delle due stelle si troverebbe in posizione stabile, però non può esserci nessun pianeta con un’orbita superiore… Quindi, niente giganti gassosi, dal momento che un gigante gassoso dovrebbe essere situato ad una distanza molto maggiore… Ma che importa? Tanto, i giganti gassosi non sono abitabili.

— Però può darsi che uno di quei pianeti lo sia.

— Solo il secondo. Se non altro, perché è abbastanza grande da avere un’atmosfera.

Si avvicinarono al secondo pianeta rapidamente, e lungo un arco di due giorni la sua immagine si dilatò; dapprima ingrandendosi in modo misurato e maestoso. Poi, constatato che nessuna nave veniva a intercettarli, ad una velocità sempre crescente, quasi spaventosa.

La “Far Star” seguiva un’orbita provvisoria a un migliaio di chilometri dallo strato di nubi, quando Trevize commentò arcigno: — Adesso capisco la presenza di quel punto interrogativo nella memoria del computer. Non c’è traccia di radiazioni… nessuna luce nell’emisfero notturno… niente onde radio.

— Lo strato di nubi sembra piuttosto spesso — fece notare Pelorat.

— Ma le onde radio dovrebbero attraversarlo.

Osservarono il pianeta che ruotava sotto di loro, un vortice maestoso di nuvole bianche che attraverso qualche squarcio lasciava intravedere lo sciabordio bluastro di un oceano.

Trevize disse: — La massa nuvolosa è piuttosto elevata per un mondo abitato. Dovrebbe essere un mondo abbastanza tetro… Quello che mi preoccupa maggiormente — aggiunse, mentre si tuffavano ancora una volta nell’ombra notturna — È che nessuna stazione spaziale si sia messa in contatto con noi.

— Com’è successo su Comporellen? — fece Pelorat.

— Come sarebbe successo su qualsiasi mondo abitato. Avrebbero dovuto fermarci per il solito controllo dei documenti, del carico e via dicendo.

Bliss intervenne: — Forse, per qualche motivo, non abbiamo sentito il loro messaggio.

— Il nostro computer avrebbe captato qualsiasi messaggio su qualsiasi frequenza. E poi, noi stessi abbiamo inviato dei segnali, ma non c’è stata la minima reazione. Scendere sotto lo strato di nubi senza mettersi in contatto con le autorità spaziali di un mondo non è un gesto molto cortese, ma non vedo che altro possiamo fare.

La “Far Star” rallentò e si mantenne in quota incrementando la spinta antigravitazionale. Sbucò di nuovo sul lato diurno e rallentò ulteriormente. Trevize, collegato al computer, trovò uno squarcio adeguato nello strato di nubi. La nave si abbassò, penetrandovi. Sotto di loro, mosso da una lieve brezza, si agitava l’oceano, parecchi chilometri più in basso, striato di schiuma candida.

Abbandonarono l’area illuminata dal sole, portandosi sotto una volta nuvolosa. La distesa d’acqua sottostante diventò subito grigia, e la temperatura scese sensibilmente.

Fallom, fissando lo schermo, parlò per alcuni istanti nella sua lingua ricca di consonanti, poi passò al galattico. — Cos’è quello che vediamo sotto?

— È un oceano — rispose Bliss, con voce carezzevole. — È una grande massa d’acqua.

— Perché non asciuga?

Bliss guardò Trevize, che rispose: — C’è troppa acqua perché possa asciugarsi.

Fallom gemette: — Non voglio tutta quell’acqua. Andiamo via. — E cominciò a piagnucolare, mentre la “Far Star” attraversava un ammasso di nuvole temporalesche e lo schermo diventava una macchia lattiginosa striata di gocce di pioggia.

Le luci della sala comando si abbassarono e la nave prese a sobbalzare leggermente.

Trevize alzò lo sguardo sorpreso e gridò: — Bliss, la tua cara Fallom è abbastanza adulta da saper usare la trasduzione. Sta servendosi dell’energia elettrica per cercare di manipolare i comandi. Fermala!

Bliss abbracciò Fallom e la strinse. — Va tutto bene, Fallom. Non c’e niente di cui aver paura: è solo un altro mondo, tutto qui. Ne esistono molti come questo.

Fallom si rilassò un po’ ma continuò a tremare.

Bliss si rivolse a Trevize. — Non ha mai visto un oceano, lei, e può darsi che non sappia neppure cosa siano la pioggia e la nebbia. Non puoi essere un po’ comprensivo?

— No, non se manomette la nave. È un pericolo per tutti: portala di là e calmala.

Bliss annuì.

Pelorat disse: — Vengo con te, Bliss.

— No, no, Pel. Resta qui: io calmo Fallom, e tu cerca di calmare Trevize. — Dopo di che Bliss uscì.

— Non ho bisogno che qualcuno mi calmi — sbottò Trevize. — Mi spiace di aver perso il controllo, ma non possiamo permettere che una bambina giochi coi comandi, no?

— Certo che no — convenne Pelorat. — Ma Bliss è stata colta di sorpresa. Bliss è in grado di controllare Fallom… che tra l’altro si comporta molto bene se si considera che è stata strappata al suo mondo ed al suo robot e, volente o nolente, è stata gettata in una vita che non capisce.

— Lo so. Ma non sono stato io a volerla portare con noi: l’idea è stata di Bliss.

— Già, ma Fallom sarebbe stata uccisa se non l’avessimo portata con noi.

— Be’… chiederò scusa a Bliss più tardi. Ed anche alla bambina.

Ma Trevize era ancora cupo in viso, e Pelorat gli domandò garbatamente: — Golan, vecchio mio, c’è qualcos’altro che ti preoccupa?

— L’oceano — rispose Trevize. Erano usciti ormai da un pezzo dal temporale, ma le nubi non accennavano a diminuire.

— Cos’ha che non va?

— Ce n’è troppo.

Pelorat sembrò non capire, al che Trevize disse a bruciapelo: — Niente terra. Non abbiamo visto alcuna terra emersa. L’atmosfera è perfettamente normale, ossigeno ed azoto in percentuale giusta, dunque deve trattarsi di un pianeta modificato, e devono esserci delle forme di vita vegetale per mantenere un livello adeguato di ossigeno. In natura, atmosfere del genere non esistono… tranne, si presume, sulla Terra, dove si è formata chissà come… Però sui pianeti modificati ci sono sempre quantità ragionevoli di terraferma, fino ad un terzo della superficie complessiva, e mai meno di un quinto. Allora come è possibile che questo sia un pianeta modificato e manchi la terraferma?

Pelorat disse: — Forse, dato che appartiene ad un sistema binario, è un pianeta atipico. Forse non è stato modificato, e la sua atmosfera si è formata in modo diverso da quanto avviene sui pianeti delle stelle singole. Forse qui la vita si è evoluta in maniera indipendente, come sulla Terra… ma solo forme di vita acquatica.

— Anche se fosse così, noi non ne ricaveremmo niente — disse Trevize. — Dalla vita marina non può nascere una tecnologia. La tecnologia si basa sempre sul fuoco, il che è impossibile in acqua: un pianeta vivo ma privo di tecnologia non è quello che stiamo cercando.

— Capisco, ma io stavo solo facendo delle riflessioni. Dopo tutto, per quel che ne sappiamo, la tecnologia è nata una sola volta… sulla Terra. Per il resto, i coloni l’hanno portata con sé. Non puoi dire che la tecnologia è sempre in un determinato modo, se hai un unico caso da studiare.

— Lo spostamento in acqua richiede forme aerodinamiche affusolate: non possono esserci profili irregolari, né appendici come le mani.

— I calamari hanno i tentacoli.

Trevize disse: — D’accordo, discutiamo pure… ma se stai pensando a delle specie di calamari intelligenti evolutisi indipendentemente in qualche angolo della Galassia, ed in possesso di una tecnologia non basata sul fuoco… be’, ti rispondo che a mio avviso è assai improbabile esistano.

— A tuo avviso, però.

Trevize scoppiò a ridere. — Molto bene, Janov. Vedo che stai ricorrendo alla logica ed intendi punirmi per come ho trattato Bliss prima, ed ammetto che stai facendo un buon lavoro. Te lo prometto… se non troveremo della terraferma, esploreremo il mare nel miglior modo possibile in cerca della tua civiltà di calamari.

Mentre parlava, la nave entrò di nuovo nel lato notturno, e lo schermo diventò nero.

Pelorat sussultò. — Ma… continuo a chiedermelo… È sicuro?

— Cosa, Janov?

— Viaggiare così, al buio. Potremmo perdere quota, precipitare nell’oceano e disintegrarci all’istante.

— Impossibile, Janov. Davvero! Il computer ci mantiene su una linea gravitazionale di forza. In altre parole, rimane sempre ad una intensità gravitazionale costante rispetto al pianeta, il che significa che siamo sempre a un’altezza costante, o quasi, sopra il livello del mare.

— A che altezza?

— Cinque chilometri circa.

— Questo non mi consola, Golan. E se raggiungessimo la terraferma e ci schiantassimo contro una montagna senza vederla?

— Noi non vediamo, ma il radar della nave vede tutto, ed il computer se ci fosse una montagna ci guiderebbe attorno ad essa o sopra di essa.

— E se ci fosse una distesa di terra piatta? Al buio non la individueremo.

— No, Janov, la individueremo ugualmente. Le onde radar riflesse dall’acqua sono diverse da quelle riflesse dal terreno. L’acqua è sostanzialmente uniforme. Il terreno invece è scabro. Per questo motivo, le onde riflesse dal terreno sono molto più confuse di quelle riflesse dall’acqua. Il computer noterà la differenza, e se ci sarà della terraferma in vista ce lo farà sapere.

Rimasero in silenzio e, un paio d’ore più tardi, raggiunsero di nuovo il lato diurno, mentre l’oceano scorreva monotono sotto di loro oscurato di tanto in tanto da qualche formazione temporalesca. In mezzo ad una di queste perturbazioni, il vento fece uscire di rotta la “Far Star”. Il computer lasciò fare per evitare un inutile spreco di energia e per minimizzare la possibilità di danni fisici, spiegò Trevize. Poi, superata la perturbazione, il computer riportò la nave in rotta progressivamente.

— Probabilmente era il margine di un uragano — disse Trevize.

Pelorat disse: — Ascolta, vecchio mio… ci stiamo solo spostando da ovest ad est… o da est ad ovest: in pratica stiamo esaminando soltanto l’equatore.

Trevize replicò: — Il che sarebbe stupido, vero? No, stiamo seguendo una rotta circolare nordovest-sudest. In questo modo sorvoliamo sia i tropici che le regioni temperate, e ogni volta che ripetiamo il giro la rotta si sposta verso ovest in quanto il pianeta ruota sul suo asse sotto di noi. Stiamo intersecando questo mondo in lungo e in largo, come vedi. E dato che finora non abbiamo avvistato la terraferma, le probabilità di trovare un continente di una certa estensione sono scese sotto il dieci per cento, secondo il computer, e le probabilità di avvistare un’isola di una certa estensione sono scese sotto il venticinque per cento… e diminuiscono ad ogni giro.

— Sai cosa avrei fatto — disse Pelorat lentamente, mentre l’emisfero notturno li risucchiava per l’ennesima volta. — Sarei rimasto ben lontano dal pianeta ed avrei sondato l’emisfero rivolto verso di me con il radar.

— Già. Poi saresti passato sull’emisfero opposto ed avresti fatto la stessa cosa. O avresti aspettato che ruotasse il pianeta… Questo si chiama senno di poi, Janov. Non ci aspettavamo di avvicinarci ad un pianeta abitabile senza fermarci ad una stazione d’ingresso… dove ci avrebbero assegnato una rotta o ci avrebbero rifiutato l’ingresso. Ed una volta superato lo strato di nubi ci aspettavamo di trovare quasi subito la terraferma. I pianeti abitabili sono… terraferma!

— Be’, solo in parte — replicò Pelorat.

— Non intendevo quello — disse Trevize in preda ad un’eccitazione improvvisa. — Sto dicendo che abbiamo trovato la terraferma! Zitto!

Cercando di controllarsi, Trevize appoggiò quindi le mani sulla scrivania e si fuse col computer. Un attimo dopo annunciò: — È un’isola lunga circa duecentocinquanta chilometri e larga circa sessantacinque, per un’area approssimativa di quindicimila chilometri quadrati. Non è grandissima, ma è rispettabile. Più che un semplice puntino sulla mappa… Aspetta…

Le luci della sala comandi si spensero.

— Cosa stiamo facendo? — mormorò Pelorat, come se l’oscurità fosse qualcosa di fragile che si poteva infrangere.

— Aspettiamo che i nostri occhi si abituino al buio. La nave è sull’isola. Guarda. Vedi qualcosa?

— No… Forse qualche piccola chiazza di luce… Ma non ne sono sicuro.

— Anch’io le vedo. Adesso inserisco il telescopio.

Adesso la luce era visibilissima… Chiazze irregolari.

— È abitato — disse Trevize. — Forse è l’unica parte abitata del pianeta.

— Che facciamo?

— Aspettiamo che sia giorno, così avremo alcune ore di riposo.

— Ma… se ci attaccassero?

— Con cosa? Non rilevo in pratica alcuna radiazione… a parte i raggi luminosi visibili e degli infrarossi. È un pianeta abitato e gli abitanti sono chiaramente intelligenti. Possiedono una tecnologia, ma è ovvio che si tratti di una tecnologia preelettronica, quindi non credo che ci sia nulla da temere quassù. E se dovessi sbagliarmi, il computer ci avvertirà in tempo.

— E quando sarà giorno?

— Atterreremo, naturalmente.

7

Quando scesero, i primi raggi mattutini del sole splendevano attraverso uno squarcio tra le nuvole, rivelando parte dell’isola… verdeggiante, con l’interno segnato da una catena di colline basse e ondulate che si perdeva in lontananza in un alone color porpora.

Mentre si abbassavano sempre più, videro boschetti isolati e qualche frutteto, ma per la maggior parte c’erano fattorie ben curate. Immediatamente sotto di loro, sulla costa sudorientale dell’isola c’era una spiaggia di sabbia argentea fiancheggiata sul retro da una fila irregolare di massi, oltre la quale si estendeva un prato. Di tanto in tanto si scorgeva una casa, ma le case non erano raggruppate in maniera tale da formare un centro abitato vero e proprio.

Infine, videro una rete di strade fiancheggiate da abitazioni sparse… poi, nell’aria fresca del mattino, avvistarono in lontananza un veicolo aereo. Capirono che si trattava di un veicolo aereo, e non di un uccello, solo dal modo in cui solcava l’aria. Era il primo segno indubitabile di una presenza intelligente concreta visto fino a quel momento sul pianeta.

— Potrebbe essere un veicolo automatico, sempre che siano in grado di costruirne uno senza ricorrere all’elettronica — disse Trevize.

— Ed infatti è probabile che lo sia — disse Bliss. — Se ai comandi ci fosse un essere umano, si dirigerebbe verso di noi, non credi? Immagino che siamo uno spettacolo insolito… un veicolo che si posi in superficie senza ausilio di razzi frenanti che eruttano fuoco.

— Uno spettacolo insolito su qualsiasi pianeta — annuì Trevize meditabondo. — Non possono essere molti i mondi che abbiano assistito alla discesa di un veicolo spaziale gravitazionale… La spiaggia sarebbe un posto ideale per l’atterraggio, ma non voglio che il vento faccia inondare la nave. Scenderemo su quel tratto erboso dietro i massi.

— Almeno — commentò Pelorat — una nave gravitazionale atterrando non brucia il terreno altrui.

Si posarono dolcemente sui quattro cuscinetti ammortizzatori usciti dallo scafo durante la fase finale. I cuscinetti affondarono nel terreno sotto il peso della nave.

Pelorat disse: — Ho paura che lasceremo dei segni, però.

— Per fortuna, il clima sembra ragionevole — fece Bliss un po’ circospetta. — Caldo, oserei dire.

C’era una donna sul prato, che osservava la discesa della nave senza mostrare alcun timore né sorpresa: la sua espressione era solo di estremo interesse.

Non indossava granché, il che confermava la valutazione climatica di Bliss. I suoi sandali sembravano di tela, ed avvolta attorno ai fianchi portava una gonna con un motivo floreale. Le gambe erano nude, ed non indossava indumenti sopra la cintola.

Aveva lunghi capelli di un nero lucente che le arrivavano quasi alla vita, la pelle di un colorito marrone chiaro, gli occhi stretti.

Trevize si guardò intorno e vide che non c’erano altri esseri umani nei paraggi. Stringendosi nelle spalle, disse: — Be’, è prima mattina è può darsi che gli abitanti per lo più siano in casa, o dormano ancora… Comunque, non mi pare un’area densamente popolata… Ora andrò a parlare con quella donna, sempre che si esprima in modo comprensibile. Voi altri…

— Credo che possiamo benissimo scendere anche noi — replicò decisa Bliss. — Quella donna mi sembra completamente innocua, e in ogni caso voglio sgranchirmi le gambe, respirare un po’ d’aria vera, e magari cercare un po’ di cibo locale. Voglio che Fallom si ambienti di nuovo su un mondo, e penso che a Pel piacerebbe esaminare quella donna più da vicino.

— Chi? Io? — Pelorat arrossì leggermente. — Niente affatto, Bliss… comunque sono io il linguista del nostro gruppetto.

Trevize scrollò le spalle. — D’accordo, venite tutti, allora. Però, anche se quella donna ha un’aria innocua, intendo portare con me le mie armi.

— Non credo che avrai occasione di usarle con quella giovane, né che sarai tentato di farlo — osservò Bliss.

Trevize sorrise. — È attraente, vero?

Trevize lasciò la nave per primo, poi fu la volta di Bliss e di Fallom, che scese cauta la rampa. Pelorat fu l’ultimo.

La donna continuò ad osservare interessata, senza spostarsi di un millimetro.

Trevize borbottò: — Be’, proviamo.

Staccò bene le mani dalle armi e disse: — Salute a te.

La giovane rifletté un istante quindi rispose: — Ed io saluto te e i di te compagni.

Pelorat esclamò esultante: — Meraviglioso! Parla il Galattico Classico, e con un accento corretto.

— La capisco anch’io — disse Trevize, facendo oscillare una mano per indicare che la sua comprensione non era perfetta: spero che lei mi capisca.

Sorridendo, assumendo un’espressione amichevole, continuò: — Veniamo dallo spazio, veniamo da un altro mondo.

— Questo è bene — disse la giovane, con una voce squillante da soprano. — Viene codesta nave dall’Impero?

— Viene da una stella lontana, e si chiama “Far Star”.

La giovane guardò la scritta sulla nave. — È ciò che è scritto là? Se sì, e se la prima lettera è una F, allora, vi dico, è impressa rovesciata.

Trevize stava per obiettare, ma Pelorat estasiato intervenne. — Ha ragione. La lettera F si è invertita circa duemila anni fa. Che occasione meravigliosa per studiare approfonditamente il Galattico Classico, e come lingua viva!

Trevize osservò attentamente la giovane donna. Non superava di molto il metro e mezzo di altezza, ed i suoi seni per quanto ben fatti erano piccoli. Eppure non sembrava acerba. I capezzoli erano grandi, le areole scure… anche se forse questo dipendeva dal colorito bruno della pelle.

Disse: — Mi chiamo Golan Trevize; il mio amico è Janov Pelorat; la donna è Bliss; e la bambina è Fallom.

— Dunque, sulla stella remota da cui provenite, è usanza che agli uomini due nomi tocchino? Io sono Hiroko, figlia di Hiroko.

— E tuo padre? — chiese Pelorat.

Al che Hiroko si strinse nelle spalle, indifferente. — Il nome di lui, così dice mia madre, è Smool, ma non ha importanza: non lo conosco.

— E dove sono gli altri? — domandò Trevize. — A quanto pare sei l’unica persona ad accoglierci.

Hiroko rispose: — Molti uomini sono a bordo dei pescherecci. Molte donne, nei campi. Io presi una vacanza negli ultimi due giorni, così ora ho avuto la fortuna di vedere questo grande evento. Ma la gente è curiosa, e la nave sarà stata vista scendere, pure in lontananza. Presto, altri saranno qui.

— Ci sono molte altre persone su quest’isola?

— Più di venticinque migliaia — disse Hiroko orgogliosa.

— Ci sono altre isole nell’oceano?

— Altre isole, buon signore? — fece la giovane perplessa.

Per Trevize, fu una risposta sufficiente. Quello era l’unico punto del pianeta abitato da esseri umani.

Chiese: — Qual è il nome del vostro mondo?

— È Alpha. Ci insegnano che l’intero nome è Alpha Centauri, se ciò ha significato maggiore per te, ma noi lo chiamiamo Alpha soltanto e, vedi, è un mondo dal volto ridente.

— Un mondo che? — Trevize si rivolse a Pelorat con aria interrogativa.

— Intende dire un mondo bello — spiegò Pelorat.

— Lo è — annuì Trevize. — Almeno, qui e in questo momento. — Guardò il cielo azzurro del mattino, con le sue nubi che si rincorrevano. — Una bella giornata di sole, Hiroko. Ma immagino che non ci siano molte giornate come questa su Alpha.

Hiroko si irrigidì. — Quante ne desideriamo, signore. Le nubi vengono quando ci occorra pioggia, ma in molti giorni ci sembra bello che il cielo lassù sia limpido. Invero, un cielo favorevole ed un vento calmo sono augurabili nei giorni in cui i pescherecci sono in mare.

— Dunque, la tua gente controlla il clima, Hiroko?

— Non lo facessimo, Golan Trevize, saremmo zuppi di pioggia.

— Ma come fate?

— Non essendo un ingegnere, signore, non posso dirtelo.

— E quale sarebbe il nome di quest’isola su cui vivete tu e la tua gente?

Hiroko rispose: — La nostra isola celestiale in mezzo al vasto mare d’acque è chiamato da noi Nuova Terra.

Al che Trevize e Pelorat si fissarono strabiliati.

8

Non vi fu il tempo di approfondire: stavano arrivando altre persone. Decine di persone. Probabilmente, pensò Trevize, quelle che non erano in mare o nei campi, e che non si trovavano troppo lontane. Per la maggior parte arrivarono a piedi, anche se si vedevano due veicoli da superficie… piuttosto antiquati e goffi.

Sì, quella era una società a basso livello tecnologico, eppure controllavano i fenomeni meteorologici.

Si sapeva che la tecnologia non procedesse necessariamente in modo compatto; che l’arretratezza in un settore non escludeva necessariamente un progresso considerevole in altri settori… certo però che quell’esempio di sviluppo non uniforme era insolito.

Almeno metà delle persone che stavano osservando la nave erano anziane, uomini e donne; c’erano anche tre o quattro bambini. Per il resto, le donne erano in maggioranza rispetto agli uomini. E nessuno sembrava spaventato od incerto.

Trevize mormorò a Bliss: — Li stai influenzando? Sembrano… sereni.

— Non li sto influenzando affatto — rispose Bliss. — Non tocco mai le menti se proprio non devo… È Fallom che mi preoccupa.

Per quanto i nuovi venuti fossero pochi, per chiunque si fosse imbattuto nelle normali folle di curiosi che si trovavano su qualsiasi mondo della Galassia, per Fallom rappresentavano una moltitudine, dal momento che la bambina aveva addirittura stentato ad abituarsi alla presenza dei tre adulti a bordo della “Far Star”. Fallom aveva il respiro affannoso, gli occhi socchiusi, come se fosse in stato di shock.

Bliss l’accarezzava con gesti ritmici e delicati, mormorando una specie di nenia per calmarla, e sicuramente intervenendo anche con delicatezza infinita sulle sue fibrille mentali.

Fallom d’un tratto inspirò a fondo, ebbe quasi un sussulto violento, e si scosse. Drizzò la testa, guardò i presenti con un’aria non più stranita come prima e infilò la testa sotto il braccio di Bliss.

Pelorat pareva in preda ad un timore reverenziale, ed il suo sguardo si spostava continuamente da un Alphano all’altro. Disse: — Golan, sono tutti diversi tra loro.

Anche Trevize l’aveva notato. C’era un campionario assortito di colori di carnagione e di capelli, compreso un tipo dai capelli rossi, gli occhi azzurri e le lentiggini. Alcuni adulti (almeno sembravano tali) erano bassi come Hiroko, un paio erano più alti di Trevize. Un certo numero di maschi e di femmine avevano il taglio degli occhi uguale a quello di Hiroko, e Trevize rammentò che sui popolosi pianeti commerciali del settore di Fili quegli occhi erano la caratteristica della popolazione, lui però non era mai stato in quel settore.

Tutti gli Alphani non portavano nulla al di sopra della cintola, e i seni delle donne sembravano tutti piccoli. Era la particolarità fisica più uniforme che Trevize potesse vedere.

Bliss disse all’improvviso: — Hiroko, la mia piccola non è abituata ai viaggi spaziali, e si ritrova a dover digerire troppe novità in una sola volta. Non sarebbe possibile farla sedere e magari mangiare qualcosa e bere?

Hiroko parve perplessa, e Pelorat le ripeté la richiesta di Bliss nel galattico più elaborato del periodo mediano dell’Impero.

Hiroko portò una mano alla bocca e si inginocchiò con movimenti aggraziati. — Imploro da te perdono, stimata signora — disse. — Non ho considerato i bisogni di codesta bambina, né i tuoi. La stranezza di questo evento mi ha troppo assorta. Vorresti tu… vorreste voi tutti, come visitatori ed ospiti, entrare nel refettorio per il pasto mattutino? Possiamo unirci a voi e fungere da vostri anfitrioni?

Bliss rispose lentamente, scandendo bene le parole, sperando che questo facilitasse la comprensione. — Siete davvero gentili. Però sarebbe meglio che solo tu fungessi da anfitrione, per il bene della bambina che non è abituata a stare con molte persone.

Hiroko si alzò. — Sarà fatto come da te richiesto.

Li guidò tranquilla attraverso il prato, mentre gli altri Alphani sembravano soprattutto interessarsi agli abiti degli stranieri. Trevize si tolse la giacca e la porse a un uomo che gli si era accostato e l’aveva toccata con aria interrogativa.

— Ecco — disse Trevize — guardala bene, ma restituiscila. — Poi rivolto ad Hiroko: — Fai in modo che la riabbia indietro, Hiroko.

— Oh, di certo, ti sarà ritornata, stimato signore — annuì seria la giovane.

Trevize sorrise e proseguì. Si sentiva più a proprio agio senza giacca in quella brezza carezzevole.

Non aveva visto armi addosso a chi lo attorniava, e constatò con interesse che gli Alphani non mostravano alcun timore né alcun disagio per le sue armi. Non sembravano nemmeno incuriositi. Forse non sapevano che quegli oggetti fossero armi. Da quanto aveva potuto osservare finora Trevize, Alpha aveva tutta l’aria di essere un mondo pacifico.

Una donna, portandosi di fronte a Bliss, si girò a esaminare meticolosamente la sua camicetta, quindi chiese: — Hai seni, stimata signora?

E, quasi fosse incapace di attendere una risposta, posò adagio una mano sul petto di Bliss.

Bliss sorrise. — Li ho, come hai appena scoperto. Forse non sono belli come i tuoi, ma non li nascondo per questo motivo: sul mio mondo è sconveniente ch’essi siano esibiti.

E soggiunse sottovoce rivolta a Pelorat: — Che te ne pare del mio Galattico Classico?

— Sei stata bravissima, Bliss.

La sala da pranzo era spaziosa, con lunghi tavoli ai quali su entrambi i lati erano fissate delle panche: chiaramente, gli Alphani consumavano pasti comunitari.

Trevize si sentiva un po’ in colpa. In seguito alla richiesta di Bliss, tutto quello spazio era stato destinato adesso ad appena cinque persone, e gli altri Alphani erano stati relegati all’esterno. Alcuni, però, si erano fermati in prossimità delle finestre (che erano semplici aperture nelle pareti, prive di qualsiasi protezione) presumibilmente per osservare gli stranieri a tavola.

Involontariamente, Trevize si chiese cosa sarebbe successo in caso di pioggia. Sicuramente, la pioggia sarebbe arrivata solo in caso di necessità, e sarebbe stata una pioggia lieve, senza raffiche di vento, che sarebbe cessata non appena cessato il bisogno. Quindi non sarebbe mai arrivata all’improvviso, e gli Alphani non sarebbero stati impreparati…

La finestra di fronte a Trevize si affacciava sul mare, ed in lontananza, all’orizzonte, a Trevize sembrò di scorgere un banco di nubi simile a quelli che oscuravano quasi del tutto il cielo ovunque, fatta eccezione per quel piccolo paradiso.

Il controllo meteorologico presentava dei vantaggi.

Furono serviti da una giovane che si muoveva in punta di piedi. Nessuno chiese agli ospiti cosa desiderassero; vennero serviti e basta. C’erano tre bicchieri… uno piccolo di latte, uno medio di succo d’uva, uno grande di acqua. Ogni commensale ricevette due uova in camicia con pezzettini di formaggio, e un piatto di pesce alla griglia e di patate arrosto accompagnate da foglie di lattuga.

Bliss guardò scoraggiata la quantità di cibo che aveva di fronte, non sapendo da dove iniziare. Fallom non aveva problemi del genere. Bevve avidamente il succo d’uva, quindi si lanciò sul pesce e le patate. Stava per usare le dita, ma Bliss le porse un grosso cucchiaio con l’estremità a rebbio che fungeva anche da forchetta, e Fallom l’accettò.

Pelorat sorrise soddisfatto e si dedicò subito alle sue uova.

Trevize lo imitò, dicendo: — Tanto per ricordare che gusto abbiano le uova vere.

Hiroko, trascurando la propria colazione ed osservando deliziata con quanto appetito mangiassero gli ospiti (perché anche Bliss finalmente si era messa all’opera con lo stesso slancio dei compagni), infine chiese: — È di vostro gradimento?

— Tutto ottimo — annuì Trevize, con voce un po’ soffocata. — Su quest’isola il cibo non scarseggia… O ci offrite un pasto così abbondante per cortesia?

Hiroko ascoltò assorta ed evidentemente comprese il significato della domanda, in quanto rispose: — No, no, stimato signore. La nostra terra è generosa, il nostro mare ancor più. Le nostre anatre danno uova, le nostre capre e latte e formaggio. E abbiamo i nostri grani. Ma, soprattutto, il nostro mare è colmo di innumerevoli varietà di pesci, in copiosissima quantità. L’intero Impero potrebbe mangiare alle nostre tavole e tuttavia non esaurire il nostro mare pescoso.

Trevize sorrise tra sé. Chiaramente, la giovane Alphana non immaginava nemmeno quanto fosse grande in realtà la Galassia.

Disse: — Quest’isola è chiamata Nuova Terra, Hiroko. Dove può essere allora la Vecchia Terra ?

Lei lo fissò confusa. — Vecchia Terra, hai detto? Imploro perdono, stimato signore: non comprendo.

Trevize spiegò: — Prima che ci fosse una Nuova Terra, il tuo popolo deve aver vissuto altrove: dov’è questo posto da cui proviene il tuo popolo?

— Di questo non so nulla, stimato signore — rispose Hiroko, l’espressione solenne e turbata. — Da una vita questa è la mia terra… e di mia madre, e della di lei madre, e delle madri venute prima… Di un’altra terra, non so nulla.

— Ma — insisté Trevize con garbo — perché chiamate questo posto Nuova Terra?

— Perché, stimato signore — rispose Hiroko altrettanto garbatamente — È da tutti chiamato così, da che mente di donna abbia raziocinio.

— Ma è una Nuova Terra, quindi una Terra venuta in seguito. Deve esserci una Vecchia Terra, una Terra precedente, da cui questa ha preso il nome. Ogni mattina c’è un nuovo giorno, il che significa che prima c’è stato un vecchio giorno. Non capisci che non può essere diversamente?

— No, stimato signore. So soltanto come questa terra è chiamata. Null’altro io so, né seguo questo tuo ragionare, che noi qui chiameremmo astruso. Senza offesa.

Trevize scosse la testa, frustrato.

9

Trevize mormorò a Pelorat: — Ovunque andiamo, qualsiasi cosa facciamo, non otteniamo alcuna informazione.

— Sappiamo dove sia la Terra… quindi, che importa? — fece Pelorat muovendo appena le labbra.

— Voglio sapere qualcosa sulla Terra.

— Hiroko è giovanissima: non può essere un pozzo di informazioni.

Trevize rifletté un istante, ed annuì. — Giusto, Janov.

Rivolgendosi ad Hiroko, disse: — Hiroko, non ci hai chiesto perché siamo qui sul vostro mondo.

Hiroko abbassò gli occhi. — Sarebbe scortese chiedere prima che abbiate mangiato e riposato, stimato signore.

— Ma adesso abbiamo mangiato, o quasi, e ci siamo riposati di recente, quindi ti dirò perché siamo qui. Il mio amico, dottor Pelorat, è uno studioso sul nostro mondo, un dotto: è un mitologo. Sai cosa significhi?

— No, stimato signore.

— Il mio amico studia le vecchie storie che si raccontano su ogni mondo. Queste storie si chiamano anche miti e leggende, ed è di questo che si interessa il dottor Pelorat. Su Nuova Terra ci sono dei dotti che conoscano le vecchie storie di questo mondo?

Hiroko si concentrò corrugando leggermente la fronte. — Non è una materia di mia conoscenza. Abbiamo nei dintorni un vecchio che ama parlare dei giorni antichi. Dove possa avere appreso queste cose, non so, e ritengo possa averle inventate di sana pianta, o le abbia udite da qualcuno che a sua volta le abbia inventate così. Forse è questa la materia di cui il tuo dotto compagno gradirebbe sentire parlare, ma non intendo fuorviarvi. È mio parere — e si guardò attorno come se volesse assicurarsi che nessuno la sentisse — che il vecchio sia solo un blaterone, quantunque in molti lo ascoltino volentieri.

Trevize annuì. — A noi interessano proprio questi blateramenti. Non sarebbe possibile portare il mio amico da questo vecchio…

— Monolee è il suo nome.

— …portarlo da Monolee, allora? Pensi che Monolee sia disposto a parlare col mio amico?

— Disposto a parlare? Dovresti chiedere, se mai, se sarà disposto a cessare di parlare. È solo un uomo, e dunque potendo parlerà senza pausa per mezzo mese… Senza offesa, stimato signore.

— Assolutamente. Adesso vorresti accompagnare il mio amico da Monolee?

— È sempre possibile farlo. Il vecchio è sempre a casa, e sempre ben disposto a salutare orecchie attente.

Trevize suggerì: — E forse una donna anziana potrebbe essere disposta a venire a sedersi con Bliss… Lei deve badare alla bambina e non può muoversi troppo. Ma le farebbe piacere un po’ di compagnia, perché si sa, alle donne piace…

— Blaterare? — disse Hiroko divertita. — Così dicono gli uomini, quantunque io abbia notato che gli uomini sono sempre i più grandi chiacchieroni. Quando tornano dalla pesca, fanno gara l’un l’altro per vedere chi ingigantisce di più con la fantasia le proprie imprese e le prede. E pur se nessuno bada loro, pur se non sono creduti, non cessano. Ma, basta, io stessa sto blaterando… Chiamerò un’amica di mia madre, una donna che ora scorgo attraverso la finestra, perché resti con la signora e la bambina dopo aver guidato il tuo amico, lo stimato dottore, da Monolee. Se il tuo amico sarà avido d’ascolto come Monolee lo sarà di parola, faticherai a separarli. Vogliate perdonare la mia momentanea assenza, ora.

Quando Hiroko fu uscita, Trevize si rivolse a Pelorat. — Senti, cerca di scoprire il più possibile da quel vecchio, e Bliss anche tu cerca di sapere il più possibile dalla donna che verrà qui… Ci occorrono informazioni sulla Terra.

— E tu? Cosa farai? — domandò Bliss.

— Io rimarrò con Hiroko, e vedrò di trovare una terza fonte di informazioni.

Bliss sorrise. — Ah, certo… Pel sarà con il vecchio; io con una vecchia. Tu ti sacrificherai e rimarrai con questa giovane seducente e seminuda: mi sembra un’equa suddivisione dei compiti.

— Guarda caso, Bliss, è equa.

— Già, dal tuo punto di vista, certamente!

Hiroko rientrò e si sedette di nuovo. — È tutto approntato. Lo stimato dottor Pelorat verrà portato da Monolee, e la stimata signora Bliss, insieme alla bambina, avrà compagnia. Mi vuoi dunque concedere, stimato signor Trevize, l’onore di proseguire con te la conversazione, forse riguardo questa Vecchia Terra di cui…

— Blatero? — fece Trevize.

— No — disse Hiroko ridendo. — Ma è stato giusto burlarmi. Ho mostrato solo scortesia sino ad ora nel rispondere alla tua domanda. Mi aggraderebbe fare ammenda.

Trevize chiese a Pelorat: — Aggraderebbe?

— Le piacerebbe molto, — mormorò Pelorat.

Trevize disse: — Hiroko non c’è stata scortesia, ma se servirà a tranquilizzarti, parlerò volentieri con te.

— Ti ringrazio per la tua bontà — fece Hiroko, alzandosi.

Anche Trevize si alzò. — Bliss, controlla che Janov non si trovi in pericolo.

— Ci penso io. Tu invece hai le tue… — Bliss indicò con un cenno le fondine.

— Non credo che ne avrò bisogno — rispose Trevize impacciato.

Seguì Hiroko all’esterno. Il sole era alto nel cielo, e c’era ancor più caldo. Come sempre, nell’aria si avvertiva un profumo strano. Trevize ricordava quello debole di Comporellen, quello leggermente muschiato di Aurora, quello delizioso di Solaria. (Su Melpomenia indossavano le tute spaziali, all’interno delle quali si sentiva solo l’odore del proprio corpo.) In ogni caso, il profumo scompariva in poche ore per la saturazione dei centri olfattivi del naso.

Su Alpha si sentiva una calda fragranza di erba, e Trevize provò un certo disappunto al pensiero che sarebbe durata così poco.

Stavano avvicinandosi ad una piccola costruzione che sembrava fatta di malta rosa chiaro.

— È la mia casa — disse Hiroko. — Apparteneva un tempo alla sorella minore di mia madre.

Entrò, invitando Trevize a seguirla. La porta era aperta… o meglio, non c’era alcuna porta per la precisione, notò Trevize.

Disse: — Cosa fate quando piove?

— Siamo preparati. La pioggia dura sempre due giorni, fino a tre ore avanti l’alba, quando è maggiore il fresco, ed il terreno si bagna meglio. Quando piove, mi basta tirare attraverso la porta questa tenda robusta ed impermeabile.

Mentre parlava, Hiroko tirò la tenda: sembrava fatta di una specie di tela spessa.

— La lascerò così, adesso — proseguì Hiroko. — Tutti così sapranno che sono in casa ma non a disposizione, in quanto addormentata od impegnata in cose di importanza.

— Non sembra granché come mezzo per proteggere la propria intimità.

— È un’ottima protezione. Vedi, l’entrata è coperta.

— Ma chiunque potrebbe spingerla da parte.

— In spregio ai desideri dell’occupante? — fece Hiroko confusa. — Si fanno cose simili sul tuo mondo? Sarebbe barbaro.

Trevize sorrise. — Chiedevo soltanto.

Hiroko lo condusse nella seconda delle due stanze, e lo invitò ad accomodarsi su una sedia imbottita. Erano stanze anguste e spoglie che trasmettevano un lieve senso di claustrofobia, ma sembrava fosse destinata ad essere soltanto un luogo dove appartarsi e riposare. Le aperture delle finestre erano piccole e vicine al soffitto, ma disposte con cura lungo le pareti c’erano delle strisce di materiale speculare che diffondevano la luce. Nel pavimento c’erano delle fessure da cui si alzava una corrente lieve e fresca. Non c’era traccia di illuminazione artificiale, e Trevize si chiese se gli Alphani dovessero alzarsi all’alba ed andare a letto al tramonto.

Stava per domandarlo, quando Hiroko lo precedette dicendo: — La signora Bliss è la tua compagna?

Trevize rispose cauto: — Mi chiedi, cioè, se sia la mia compagna sessuale?

Hiroko arrossì. — Ti scongiuro, abbi riguardo per le convenienze della conversazione educata… Comunque, sì… mi riferivo alle piacevolezze private.

— No, è la compagna del mio amico studioso.

— Eppure sei tu il più giovane, ed il più piacente.

— Be’, grazie, ma Bliss è di un altro avviso: lei preferisce di gran lunga il dottor Pelorat.

— Ciò mi sorprende molto… Lui non ti rende partecipe?

— Non gli ho mai fatto una richiesta del genere, ma sono certo che risponderebbe di no. Né vorrei una risposta diversa.

Hiroko annuì. — Capisco. È il suo deretano.

— Il suo deretano?

— Sai… Questo. — Ed Hiroko si batté una mano sul grazioso posteriore.

— Ah, quello! Capisco. Sì, Bliss ha proporzioni generose nella regione pelvica. — Trevize tracciò una curva con le mani e strizzò l’occhio. (Ed Hiroko rise.)

Trevize disse: — Comunque, a molti uomini piace quel genere di abbondanza fisica.

— Stento a crederlo. È da ingordi desiderare in eccesso ciò che sia piacevole se preso con moderazione. Mi preferiresti, tu, se avessi seni grossi e penzolanti, coi capezzoli rivolti ai piedi? In verità, ho visto seni simili, ma non ho visto frotte di uomini accorrenti. Le poverette afflitte da tale sventura devono coprire le loro mostruosità… come la signora Bliss.

— Le dimensioni eccessive non attraggono nemmeno me, comunque sono sicuro che se Bliss copre i seni non lo fa per nascondere qualche imperfezione.

— Dunque, tu, non disapprovi il mio aspetto e la mia forma?

— Sarei un pazzo se lo facessi: sei molto bella.

— E sulla tua nave, andando di mondo in mondo, cosa fai per procurarti piacere… essendo a te negata la signora Bliss?

— Nulla, Hiroko. Non c’è nulla che possa fare. Di tanto in tanto penso al piacere, e questo crea dei disagi, ma chi viaggia nello spazio sa benissimo che certe volte si debbano fare delle rinunce: ci ripaghiamo dei disagi in altre occasioni.

— Se è un disagio, in che modo è possibile rimediare?

— Ora che ne parli, il disagio che avverto è aumentato. Ma non credo che sarebbe cortese suggerire quale potrebbe essere per me la cura migliore.

— Sarebbe scortese se a suggerirla fossi io?

— Dipende dal suggerimento.

— Io suggerirei di procurarci piacere a vicenda.

— Hiroko, mi hai portato qui perché arrivassimo a questo?

Hiroko sorrise. — Sì. È il mio dovere di padrona di casa, ed è anche ciò che desidero.

— In tal caso, ammetto che anch’io lo desidero. Anzi, mi… mi aggraderebbe molto procurarti piacere.

18. Lo spettacolo musicale

10

Pranzarono nella stessa sala in cui avevano fatto colazione. Era piena di Alphani, e con loro c’erano Trevize e Pelorat, graditi ospiti. Bliss e Fallom mangiavano separate, più o meno in privato, in una piccola dépendance.

C’erano parecchi tipi di pesce, ed una zuppa in cui galleggiavano pezzetti di carne, forse capretto bollito. C’erano pagnotte da affettare, burro e marmellata; un’insalata abbondante; niente dessert, ed un’infinità di brocche di succhi di frutta. Trevize e Pelorat, dopo la sostanziosa colazione, si limitarono ad un pasto frugale, a differenza di tutti gli altri.

— Come faranno a non ingrassare? — si chiese Pelorat a mezza voce.

Trevize si strinse nelle spalle. — Molti lavori pesanti, forse.

Chiaramente era un società in cui il decoro a tavola non avesse molto valore. C’era un frastuono di grida, risate, tazze battute con forza sul tavolo… tazze solide evidentemente infrangibili. E le donne erano chiassose quanto gli uomini, per quanto in modo più stridulo.

Pelorat era frastornato, ma Trevize, che almeno per ora non avvertiva la benché minima traccia del disagio di cui avesse parlato con Hiroko, si sentiva rilassato e di ottimo umore.

Disse: — Niente male, questo ambiente. Sembra che questa gente si goda la vita e non abbia eccessive preoccupazioni. Controllano il tempo, hanno cibo a volontà. Per loro questa è una specie di epoca aurea che non termina mai.

Dovette gridare per farsi sentire, e Pelorat gli urlò di rimando: — Ma tutto questo baccano!

— Ci sono abituati.

— Non vedo come facciano a capirsi in mezzo a tanto chiasso!

Sicuramente, i due ospiti non capivano nulla. A un volume così alto, la strana pronuncia, la grammatica arcaica e l’ordine delle parole della lingua alphana formavano un miscuglio incomprensibile. Per Trevize e Pelorat era come ascoltare i rumori di uno zoo spaventato.

Solo dopo il pranzo si riunirono a Bliss in una piccola costruzione che a Trevize parve quasi identica alla casa di Hiroko, e che era stata assegnata agli ospiti come alloggio provvisorio. Fallom era nella seconda stanza, finalmente sola, e stava cercando di fare un sonnellino, spiegò Bliss.

Pelorat guardò l’apertura murale che fungeva da porta e disse incerto: — Non c’è molta privacy qui. Come possiamo parlare liberamente?

Trevize disse: — Ti assicuro che una volta tirata la tenda non saremo disturbati da alcuno: la tenda è una barriera impenetrabile che ha la solidità di una consuetudine sociale.

Pelorat alzò lo sguardo verso le finestre aperte. — Possono sentirci.

— Non c’è bisogno che gridiamo. Gli Alphani non staranno ad origliare. Anche quando erano fuori dalle finestre della sala da pranzo a colazione, si mantenevano a rispettosa distanza.

Bliss sorrise. — Hai imparato moltissimo sulle usanze alphane nel tempo che hai trascorso in compagnia della piccola Hiroko, e sembri molto sicuro del loro rispetto per l’intimità altrui. Cosa è successo?

Trevize replicò: — Se hai capito che la mia situazione mentale è cambiata in meglio ed immagini il motivo, posso solo chiederti di lasciare in pace la mia mente.

— Sai benissimo che Gaia non toccherà la tua mente in alcuna circostanza, a meno che non si tratti di una emergenza vitale. Comunque, non sono mentalmente cieca. Ho percepito quel che è successo a un chilometro di distanza: è un’abitudine cui non puoi rinunciare quando viaggi nello spazio, mio caro erotomane?

— Erotomane? Via, Bliss… Due sole volte in tutto il viaggio. Due volte!

— Siamo stati solo su due mondi abitati da femmine umane funzionanti. Due su due… ed in entrambi i casi è successo quasi subito dopo il nostro arrivo.

— Sai benissimo che non avevo scelta su Comporellen.

— Hai ragione. Ricordo che tipo era quella — rise Bliss. — Eppure non credo che Hiroko ti abbia bloccato nella sua morsa d’acciaio, né abbia piegato il tuo povero corpo con la sua irresistibile forza di volontà.

— Certo che no: ero perfettamente consenziente. Comunque, la proposta è partita da lei.

Con una punta di invidia nella voce, Pelorat chiese: — Ti capita sempre così, Golan?

— Certo, Pel — fece Bliss. — Le donne sono impotenti di fronte al suo fascino.

— Magari — disse Trevize. — Ma non è così… E sono contento che non sia così… Ho altre cose che mi interessano nella vita. Comunque, in questo caso sono stato irresistibile. In fin dei conti, siamo le prime persone provenienti da un altro mondo che lei abbia mai visto… che gli Alphani delle ultime generazioni abbiano mai visto, forse. Da certe cose che Hiroko si è lasciata sfuggire, da certe sue osservazioni, ho capito che fosse abbastanza eccitata dall’idea che potessi essere diverso dagli Alphani, o anatomicamente od in quanto a tecnica… Poverina. Temo che sia rimasta delusa.

— Oh? — fece Bliss. — E tu, sei rimasto deluso?

— No — rispose Trevize. — Sono stato su parecchi mondi e l’esperienza non mi manca. Ed ho scoperto che la gente è sempre la stessa e che il sesso è sempre lo stesso. Se ci sono differenze apprezzabili, di solito si tratta di cose banali e spiacevoli. I profumi che ho incontrato in vita mia! Ricordo che una ragazza non riusciva a combinare nulla se non c’era della musica suonata a tutto volume, musica che era un’accozzaglia di suoni stridenti. Così lei suonava questa musica, ed allora ero io a non riuscire a combinare nulla. Ve lo assicuro… il vecchio sistema tradizionale mi va benissimo.

— A proposito di musica — disse Bliss. — Siamo stati invitati ad uno spettacolo musicale dopo cena. Una manifestazione molto formale, pare… in nostro onore. Mi è parso di capire che gli Alphani siano molto orgogliosi della loro musica.

Trevize fece una smorfia. — Il loro orgoglio non renderà certo la musica più piacevole alle nostre orecchie.

— Ascolta — fece Bliss. — Sono orgogliosi perché pare che suonino con maestria degli strumenti estremamente arcaici. Estremamente arcaici, capito? Attraverso di essi può darsi che riusciamo ad avere informazioni sulla Terra.

Trevize inarcò di colpo le sopracciglia. — Un’idea interessante. E a proposito… forse voi due avete già qualche informazione. Janov, hai visto quel tale Monolee?

— Certo — rispose Pelorat. — Sono rimasto con lui per tre ore, ed Hiroko non esagerava: si è trattato in pratica di un monologo continuo da parte sua e quando mi sono allontanato per venire a pranzare Monolee si è aggrappato a me e non mi ha lasciato andare finché non gli ho promesso che sarei tornato quanto prima ad ascoltarlo.

— E non ti ha raccontato nulla di interessante?

— Be’, anche lui, come chiunque altro, ha insistito sulla radioattività letale della Terra; ha detto che gli antenati degli Alphani furono gli ultimi a lasciare il pianeta e che se non fossero partiti sarebbero morti… E, Golan, la sua enfasi è stata tale che ho dovuto credergli per forza. Ne sono convinto… La Terra è morta, e la nostra ricerca a conti fatti è inutile.

11

Dalla sua sedia Trevize fissò Pelorat, seduto su una branda. Bliss, che sedeva accanto a Pelorat, si alzò e guardò i due uomini.

Infine, Trevize disse: — Lascia che sia io a giudicare l’utilità della nostra ricerca, Janov. Riferiscimi quello che ti ha raccontato quel vecchio chiacchierone… in modo conciso, naturalmente.

Pelorat disse: — Mentre Monolee parlava ho preso appunti. È servito ad aumentare la credibilità del mio ruolo di studioso, ma non c’è bisogno che li consulti. Monolee parlava a ruota libera. Ogni cosa che dicesse gli ricordava qualcos’altro, ma, naturalmente, è da una vita che cerco di sistemare in modo organico le informazioni per ricavarne i dati rilevanti e significativi, quindi per me è quasi un fatto istintivo riuscire a condensare un discorso lungo e incoerente trasformandolo…

Trevize intervenne garbato: — In qualcosa di altrettanto lungo e incoerente? Vieni al punto, Janov.

Imbarazzato, Pelorat si schiarì la voce. — Sì, certo, vecchio mio. Cercherò di presentare un resoconto organico e cronologicamente ordinato… La Terra era la patria originale dell’umanità e di milioni di specie di piante e animali. Continuò a esserlo per innumerevoli anni, fino all’invenzione del volo iperspaziale. Poi furono fondati i Mondi Spaziali, che si staccarono dalla Terra, crearono culture indipendenti e giunsero a disprezzare e ad opprimere il pianeta madre.

«Dopo un paio di secoli di questa situazione, la Terra riuscì a riguadagnare la propria libertà, anche se Monolee non mi ha spiegato di preciso come avvenne… e io non ho osato fargli delle domande, anche se mi avesse lasciato la possibilità di interromperlo, perché così lo avrei fatto divagare ulteriormente… In effetti, ha accennato ad un eroe terrestre di nome Elijah Baley, ma i riferimenti a quel personaggio erano così caratteristici dell’abitudine di attribuire a una singola figura le imprese di intere generazioni che francamente sarebbe stato inutile cercare di…

Bliss disse: — Pel, caro, ti abbiamo capito perfettamente.

Pelorat si fermò di nuovo a riflettere. — Oh, certo. Scusate… La Terra avviò una seconda ondata di colonizzazione, fondando molti nuovi mondi. Il nuovo gruppo di Coloni si dimostrò più forte degli Spaziali, li superò, li sconfisse, ed alla fine fondò l’Impero Galattico. Durante le guerre tra Coloni e Spaziali… no, non guerre, perché Monolee ha usato il termine “conflitto” e lo ha ribadito… durante il conflitto, la Terra diventò radioattiva.

Trevize osservò seccato: — Che assurdità, Janov. Come può un mondo diventare radioattivo? Tutti i mondi sono leggermente radioattivi dal momento della loro formazione, e la radioattività decade lentamente: un mondo non diventa radioattivo.

Pelorat si strinse nelle spalle. — Sto solo riferendoti le parole di Monolee. E lui mi ha solo raccontato qualcosa che qualcun altro gli aveva raccontato dopo averla sentita da un altro ancora, e via dicendo… È la storia popolare, tramandata da chissà quante generazioni, con chissà quante distorsioni ad ogni passaggio.

— Capisco, ma non esistono libri, documenti primitivi in grado di fornirci una versione più precisa del racconto di Monolee?

— In effetti, sono riuscito a chiederglielo, e la risposta è stata no. Monolee ha detto in modo vago che nell’antichità c’erano sì dei libri sull’argomento, libri andati smarriti da un pezzo, ma che lui mi stava raccontando appunto il contenuto di tali libri.

— Sì, travisato e distorto. Sempre la stessa storia… Su qualsiasi mondo andiamo, in un modo o nell’altro i documenti riguardanti la Terra sono scomparsi… Be’, secondo lui, allora, come sarebbe iniziata la radioattività sulla Terra?

— Non me ne ha parlato dettagliatamente. Ha solo accennato alla responsabilità degli Spaziali, ma ho capito che gli Spaziali erano i demoni ai quali i Terrestri attribuivano la colpa di qualsiasi sventura. La radioattività…

Una voce squillante lo interruppe. — Bliss, io sono Spaziale?

Fallom era ferma sulla soglia tra le due stanze, i capelli arruffati, la camicia da notte (destinata in origine alle dimensioni maggiori di Bliss) scivolata da una spalla a rivelare un seno non sviluppato.

Bliss disse: — Ci preoccupiamo di chi può origliare da fuori e ci siamo scordati di chi origlia dentro… Fallom, perché dici così? — Si alzò, andando dalla Solariana.

Fallom rispose: — Non ho quello che hanno loro — e indicò i due uomini — né quel che hai tu, Bliss: sono diversa. È perché sono una Spaziale?

— Lo sei, Fallom — disse Bliss in tono carezzevole. — Ma certe piccole differenze non hanno importanza. Vieni, a letto.

Fallom divenne docile, come accadeva sempre quando interveniva Bliss. Si girò e fece: — Sono un demone? Cos’è un demone?

Bliss disse girando la testa: — Aspettatemi, torno subito.

Rientrò dopo alcuni minuti, scuotendo il capo. — Dormirà finché non la sveglierò io. Avrei dovuto farlo prima, immagino… ma qualsiasi modificazione mentale deve essere giustificata da una effettiva necessità. — E aggiunse, quasi volesse difendersi: — Non posso permettere che cominci a rimuginare sulle differenze tra il suo corredo genitale e il nostro.

Pelorat osservò: — Un giorno dovrà sapere di essere un ermafrodita.

— Un giorno — annuì Bliss. — Non ora, però. Continua a raccontare, Pel.

— Be’, la Terra diventò radioattiva, od almeno la sua crosta. All’epoca, la Terra aveva una popolazione incredibilmente numerosa concentrata in enormi città situate per lo più sottoterra…

— Questo è certamente falso — intervenne Trevize. — Deve essere il patriottismo locale che glorifica l’età aurea di un pianeta ispirandosi in questo caso all’età aurea di Trantor, quando Trantor era la capitale imperiale di un sistema di mondi esteso quanto la Galassia.

Pelorat esitò un istante, quindi disse: — Golan, credimi, non devi insegnarmi il mio mestiere. Noi mitologi sappiamo benissimo che i miti e le leggende contengono elementi plagiati altrove, lezioni morali, cicli naturali, e cento altre distorsioni, e ci sforziamo di eliminarle per arrivare al fondo di verità che può esserci. La stessa tecnica va usata anche con le storie più credibili, perché nessuno scrive la verità pura e semplice… sempre ammesso che esista. Adesso, ti sto dicendo più o meno quello che mi ha detto Monolee, anche se è probabile che anch’io a mia volta aggiunga delle distorsioni nonostante cerchi di essere obiettivo.

— D’accordo. Continua, Janov — fece Trevize. — Non intendevo offenderti.

— Ed io non mi sono offeso. Le immense città, sempre che esistessero, crollarono con il progressivo aumento della radioattività, e la popolazione diminuì drammaticamente aggrappandosi a quelle regioni relativamente prive di radiazioni. Per bloccare l’aumento della popolazione si ricorse ad un severo controllo delle nascite e all’eutanasia per le persone oltre i sessant’anni.

— Orribile — fece Bliss indignata.

— Indubbiamente — convenne Pelorat. — Ma è quel che facevano, stando a Monolee, e può darsi che sia vero trattandosi di una cosa che non fa onore ai Terrestri ed essendo poco probabile l’invenzione e l’aggiunta di particolari poco lusinghieri. I Terrestri, dopo il disprezzo e l’oppressione degli Spaziali, ora erano disprezzati ed oppressi dall’Impero… questa però potrebbe essere una esagerazione dovuta all’autocommiserazione, un sentimento molto allettante. Per esempio, c’è quel caso…

— Sì, sì, Pelorat. Un’altra volta. Continua con la Terra.

— Chiedo scusa… L’Impero, in uno slancio di generosità, accettò di portare via il terreno contaminato e di sostituirlo importando del terreno non radioattivo. Va da sé che era un’impresa colossale di cui l’Impero si stancò ben presto, soprattutto dato che quel periodo dovrebbe coincidere con la caduta di Kandar V, dopo la quale l’Impero aveva cose assai più gravi di cui preoccuparsi.

«La radioattività continuò ad aumentare, la popolazione a diminuire, ed infine l’Impero in un nuovo slancio di generosità si offrì di trasferire quel che restava della popolazione su un nuovo mondo tutto per i superstiti… su questo mondo, insomma.

«In un epoca precedente, pare, una spedizione aveva rifornito di forme di vita l’oceano, così quando si misero a punto i piani per il trasferimento dei Terrestri, su Alpha c’erano già un’atmosfera d’ossigeno ed ampie risorse alimentari. Ai mondi dell’Impero Galattico non interessava questo mondo, perché esiste una certa avversione naturale per i pianeti appartenenti ad un sistema binario di stelle. Nei sistemi binari i mondi abitabili sono rarissimi, e a mio avviso anche quelli abitabili vengono rifiutati perché si pensa che abbiano per forza qualcosa che non va. È una forma di pensiero ricorrente. Per esempio, c’è un caso notissimo…

— Il caso notissimo, dopo, Janov — disse Trevize. — Continua a parlare del trasferimento.

Pelorat ubbidì, accelerando leggermente il ritmo del discorso. — A questo punto, bisognava solo provvedere alla creazione del territorio vero e proprio. Nella parte meno profonda dell’oceano si cominciò ad accumulare del materiale scavato dagli abissi, fino a formare l’isola di Nuova Terra. Vennero poi aggiunti massi e banchi corallini, e vennero seminate piante da superficie in modo che il sistema di radici contribuisse alla stabilità del terreno. L’Impero si era di nuovo imbarcato in un’impresa colossale. Forse all’inizio i piani prevedevano la formazione di continenti, ma una volta allestita questa unica isola la fase di generosità dell’Impero era ormai terminata.

«I Terrestri superstiti furono portati qui. Le flotte imperiali trasferirono su Alpha uomini ed attrezzature, e non tornarono mai più. I Terrestri di Nuova Terra si ritrovarono in un isolamento totale.

Trevize disse: — Totale? Monolee ha detto che prima di noi non era mai venuto nessuno?

— Quasi totale. Anche accantonando la ripugnanza di carattere superstizioso verso i sistemi binari, a che scopo venire qui? Occasionalmente, rare volte, arrivava magari una nave, come la nostra, ma una volta partita, chiuso… nessun altro contatto.

Trevize disse: — Hai chiesto a Monolee la posizione della Terra?

— Certo: non la conosce.

— Ma se sa tante cose di storia terrestre, come fa a non conoscere la posizione della Terra?

— Per la precisione, Golan, gli ho chiesto se la stella ad un parsec da Alpha non potesse essere il sole attorno a cui ruoti la Terra. Monolee non sapeva cosa fosse un parsec, e io gli ho spiegato che è una breve distanza astronomica. Breve o lunga, lui non sapeva dove fosse la Terra, ha detto. E ha detto di non conoscere alcuno che lo sappia, e che secondo lui sia sbagliato cercare di trovarla, perché bisogna lasciare che continui a muoversi nello spazio in pace, per sempre.

— Sei d’accordo con lui? — fece Trevize.

Pelorat scosse la testa, mestamente. — Non proprio… Ma Monolee ha detto che dato il continuo aumento della radioattività, il pianeta deve essere diventato completamente inabitabile poco dopo il trasferimento su Alpha, quindi adesso dovrebbe essere tanto radioattivo, da essere inavvicinabile.

— Sciocchezze — sbottò deciso Trevize. — Un pianeta non può diventare radioattivo e, una volta radioattivo, continuare ad incrementare il livello di radioattività: la radioattività può solo diminuire.

— Ma Monolee è talmente sicuro… Sono tante le persone incontrate su altri mondi che concordano sulla radioattività della Terra… Mi sembra del tutto inutile proseguire.

Trevize inspirò a fondo, e controllando il proprio tono di voce disse: — Sciocchezze, Janov… Non è vero.

Pelorat replicò: — Be’, vecchio mio, non devi credere a qualcosa solo perché vuoi crederci.

— Quello che voglio non c’entra. Su tutti i mondi che visitiamo ci accorgiamo che qualsiasi documento riguardante la Terra sia sparito. Perché sarebbero spariti se non ci fosse nulla da nascondere, se la Terra fosse un pianeta radioattivo morto ed inavvicinabile?

— Non saprei, Golan.

— Lo sai, invece. Quando stavamo avvicinandoci a Melpomenia hai detto che la radioattività potrebbe essere l’altra faccia della medaglia. Distruggere i documenti per eliminare le informazioni precise; divulgare la storia della radioattività per fornire informazioni imprecise. Due sistemi per scoraggiare qualsiasi tentativo di ricerca della Terra… E noi non dobbiamo lasciarci ingannare e scoraggiarci.

Bliss disse: — Se non sbaglio, tu pensi che quella stella vicina sia il sole della Terra. Che senso ha, allora, continuare a discutere di questa ipotetica radioattività? Perché non raggiungiamo quella stella e controlliamo se ci sia davvero la Terra e come sia?

Trevize rispose: — Perché gli abitanti della Terra devono essere straordinariamente potenti, e io preferirei andare là disponendo di qualche dato sul pianeta e sui suoi abitanti. E dal momento che continuo a non sapere nulla, avvicinarsi alla Terra rappresenta un pericolo. Sto pensando di lasciarvi qui su Alpha e di proseguire da solo: mettere a repentaglio una vita è più che sufficiente.

— No, Golan — disse Pelorat infervorandosi. — Bliss e Fallom possono restare qui, io però devo venire con te. Cerco la Terra da prima che tu nascessi, e non posso fermarmi quando la meta è così vicina, quali che siano i pericoli che mi attendono.

— Bliss e Fallom non aspetteranno qui — intervenne Bliss. — Io sono Gaia, e Gaia può proteggerci persino dalla Terra.

— Lo spero — osservò cupo Trevize. — Comunque, Gaia non ha potuto impedire l’eliminazione di tutti i ricordi primitivi del ruolo avuto dalla Terra nella sua fondazione.

— È successo agli albori della storia di Gaia, quando Gaia non era ancora ben organizzata, quando non era ancora un organismo perfezionato. Adesso le cose sono diverse.

— Lo spero… Ma non è per caso che tu abbia delle informazioni sulla Terra che noi non abbiamo? Questa mattina ti ho chiesto di parlare con la vecchia che sarebbe venuta a farti compagnia…

— L’ho fatto.

— E cosa hai scoperto?

— Riguardo la Terra, nulla: vuoto assoluto.

— Ah.

— Ma gli Alphani sono biotecnologi molto progrediti.

— Oh?

— Su questa piccola isola, hanno fatto crescere e sperimentato moltissime varietà di piante e animali, e hanno creato un equilibrio ecologico ideale, stabile ed indipendente, malgrado il numero ridotto delle specie che avevano all’inizio. Hanno migliorato le forme di vita oceaniche trovate al loro arrivo alcuni millenni fa, aumentando il loro potere nutritivo e migliorando il gusto. È la loro biotecnologia che ha trasformato questo mondo in un paradiso d’abbondanza. Ed hanno anche dei progetti per se stessi.

— Cioè?

Bliss spiegò: — Sanno benissimo di non potere progredire oltre certi limiti dal momento che sono confinati sull’unico lembo di terra esistente sul loro mondo, ma sognano di diventare anfibi.

— Di diventare cosa?

— Anfibi. Intendono farsi crescere delle branchie, oltre ai polmoni. Sognano di poter passare sott’acqua lunghi periodi di tempo, di trovare zone poco profonde e di costruire delle strutture sul fondo dell’oceano. La vecchia era raggiante di gioia mentre me ne parlava; però ha ammesso che gli Alphani stanno lavorando a questo progetto da ormai parecchi secoli, e che i progressi sono stati scarsi.

Trevize disse: — Sono due campi in cui potrebbero essere più avanti di noi… il controllo meteorologico e la biotecnologia… Chissà che tecniche usano?

— Dovremmo rivolgerci ai loro specialisti — fece Bliss. — E non è detto che quelli siano disposti a discuterne.

— Il nostro interesse primario qui è un altro — disse Trevize. — Comunque non sarebbe tempo sprecato se la Fondazione cercasse di imparare qualcosa da questo mondo in miniatura.

— Ma su Terminus riusciamo a controllare le condizioni meteorologiche abbastanza bene — osservò Pelorat.

— Il controllo è discreto su molti mondi — annuì Trevize. — Però si tratta sempre di un fenomeno che interessa tutto il pianeta. Gli Alphani invece controllano le condizioni meteorologiche di una piccola parte del loro mondo, e devono adottare tecniche che a noi mancano… Nient’altro, Bliss?

— Degli inviti… A quanto pare, quando non si dedica all’agricoltura e alla pesca, questa gente ama festeggiare. Dopo cena, questa sera, ci sarà lo spettacolo musicale di cui vi ho già parlato. Domani ci sarà una festa sulla spiaggia. Lungo tutta la costa, pare, si riuniranno tutti quelli che non saranno impegnati nei campi e festeggeranno il mare e il sole, dato che nei due giorni successivi pioverà. Poi, la mattina dopo, la flotta da pesca tornerà, prima che cominci a piovere, e verso sera ci sarà una festa alimentare con assaggi del pesce pescato.

Pelorat gemette. — I pasti normalmente sono già più che abbondanti. Chissà come sarà una festa alimentare?

— Sarà imperniata sulla varietà, non sulla quantità, se ho ben capito… Comunque, noi quattro siamo invitati a partecipare ad ogni festa, soprattutto allo spettacolo musicale di questa sera.

— Lo spettacolo con gli strumenti antichi? — fece Trevize.

— Esattamente.

— Tra parentesi, antichi in che senso? Sono computer primitivi?

— No, no. È questo il punto. Non si tratta di musica elettronica, ma di musica meccanica. Mi hanno descritto com’è: sfregano delle cose, soffiano dentro certi tubi, percuotono delle superfici.

— Stai inventandoti tutto per scherzo, spero? — disse Trevize allibito.

— Niente affatto… E la tua Hiroko suonerà uno di quei tubi, di cui ora non ricordo il nome… quindi dovresti riuscire a sopportare il concerto.

— L’idea mi affascina — disse Pelorat. — Non so quasi nulla della musica primitiva, e mi piacerebbe davvero sentirla.

— Non è la “mia Hiroko” — disse gelido Trevize. — Ma secondo te useranno strumenti di origine terrestre?

— Credo proprio di sì — rispose Bliss. — Almeno, le donne alphane dicono che sono strumenti che esistessero già molto tempo prima che i loro antenati venissero qui.

— In tal caso, può darsi che valga la pena di sentire tutti quegli sfregamenti, quei soffi e quei colpi — riconobbe Trevize. — Forse ci daranno qualche indizio utile riguardo la Terra.

12

Stranamente, era Fallom la più eccitata alla prospettiva della serata musicale. Lei e Bliss si erano lavate nella latrina esterna dietro il loro alloggio, che comprendeva un bagno con acqua corrente calda e fredda (o meglio, tiepida e fresca), un lavabo ed un gabinetto a seggetta. La latrina era pulitissima e, nel sole del tardo pomeriggio, persino bene illuminata ed accogliente.

Come sempre, Fallom era affascinata dal seno di Bliss, e Bliss (ora che Fallom capiva il galattico) non poté fare a meno di spiegarle che sul suo mondo la gente era fatta così. Al che, inevitabilmente, Fallom chiese: — Perché? — e Bliss dopo avere riflettuto un po’ dovette ricorrere alla risposta universale dicendo: — Perché sì!

Terminato il bagno, Bliss aiutò Fallom ad indossare l’indumento intimo e la gonna fornite dagli Alphani. Le sembrò abbastanza ragionevole lasciare Fallom nuda dalla vita in su. Bliss invece, pur indossando gli indumenti alphani dalla vita in giù (capi un po’ stretti sui fianchi), mise la propria camicetta. Era sciocco essere troppo inibita e non voler mostrare i seni in una società dove tutte le donne lo facessero, specialmente considerando che lei non aveva seni grandi e cadenti, ma ben fatti come tutti quelli visti prevalentemente su Alpha… ma, be’, Bliss non se la sentiva proprio.

Poi toccò ai due uomini ritirarsi nella latrina. Trevize si lagnò in modo tipicamente maschile del tempo eccessivo trascorso dalle donne in bagno.

Bliss fece girare Fallom per accertarsi che la gonna stesse a posto sulla figuretta acerba di lei. Disse: — È una gonna molto graziosa, Fallom. Ti piace?

Fallom si guardò in uno specchio e rispose: — Sì, mi piace. Ma non avrò freddo con niente addosso? — E si passò le mani sul petto nudo.

— Non credo, Fallom. È un mondo abbastanza caldo, questo.

— Però tu porti qualcosa!

— Certo. Si usa così sul mio mondo… Ascolta, Fallom, durante la cena e dopo staremo con molti Alphani. Credi di riuscire a resistere?

Fallom sembrò turbata, e Bliss continuò: — Io sarò seduta alla tua destra e ti stringerò. Pel siederà a sinistra, e Trevize di fronte a te. Non permetteremo a nessuno di parlarti, e tu non dovrai parlare a nessuno.

— Proverò Bliss.

— E poi, alcuni Alphani suoneranno per noi della musica, in modo speciale. Sai cosa sia la musica? — Bliss cominciò a canticchiare imitando come meglio potesse un brano di musica elettronica.

Il viso di Fallom si illuminò. — Vuoi dire… — L’ultima parola era in solariano. Fallom iniziò a cantare.

Bliss spalancò gli occhi. Era una melodia splendida, anche se un po’ irruenta e ricca di trilli. — Esatto — annuì. — Musica.

Fallom raccontò eccitata: — Jemby suonava… musica, di continuo. Suonava musica su un… — Di nuovo una parola nella sua lingua.

Bliss ripeté la parola dubbiosa. — Su un fliute?

Fallom rise. — Non fliute… si dice…

Sentendole confrontare direttamente, Bliss capì la differenza tra le due parole, ma capì anche che non sarebbe riuscita a pronunciare la seconda. — Come è fatto? — chiese.

Il vocabolario di galattico ancora limitato di Fallom non era sufficiente per una descrizione accurata, ed i suoi gesti non evocarono alcuna forma chiara nella mente di Bliss.

— Jemby mi ha insegnato ad usarlo — disse orgogliosa Fallom. — Sai, usavo le dita come faceva Jemby, ma Jemby mi ha detto che presto l’avrei suonato senza.

— È meraviglioso, cara — disse Bliss. — Dopo cena, vedremo se gli Alphani siano bravi come lo era il tuo Jemby.

Gli occhi di Fallom luccicavano, e pregustando l’evento musicale Fallom riuscì a superare l’abbondante banchetto malgrado la folla, il baccano ed i cori di risate che echeggiavano attorno a lei. Solo una volta, quando venne rovesciato un piatto accidentalmente e si levarono grida divertite accanto a loro, Fallom parve spaventata e Bliss l’attirò subito a sé in un abbraccio protettivo.

— Forse dovremmo chiedere se sia possibile mangiare da soli d’ora in poi — mormorò Bliss a Pelorat. — Altrimenti dovremo andarcene da questo pianeta. È già abbastanza dura mangiare tutte queste proteine animali isolate… ed almeno vorrei poterlo fare in pace.

— È solo un eccesso di buon umore — disse Pelorat, che avrebbe sopportato qualunque cosa, a patto che fosse classificabile come comportamento e cultura primitiva.

Poi la cena terminò, ed annunciarono l’inizio imminente dello spettacolo musicale.

13

La sala in cui si sarebbe svolto era grande quasi quanto la sala da pranzo, e c’erano sedili pieghevoli (piuttosto scomodi, constatò Trevize) per circa centocinquanta persone. In qualità di ospiti, i visitatori vennero guidati in prima fila, e molti Alphani fecero commenti educati e lusinghieri sul loro abbigliamento.

I due uomini erano a torso nudo, e Trevize tendeva i muscoli addominali ogni volta che si ricordava di farlo, e di tanto in tanto ammirava compiaciuto il proprio torace villoso. Pelorat, intento ad osservare tutto quel che aveva attorno, se ne infischiava del proprio aspetto. La camicetta di Bliss attirò occhiate furtive di perplessità, ma non suscitò alcun commento.

Trevize notò che la sala era piena solo a metà, e che il pubblico era formato per lo più di donne, probabilmente perché gran parte degli uomini erano in mare.

Pelorat richiamò la sua attenzione con un colpetto di gomito. — Hanno l’elettricità.

Trevize guardò i tubi verticali sulle pareti, e quelli sul soffitto: erano debolmente luminosi.

— Fluorescenza — commentò. — Un sistema primitivo.

— Già, però funziona… E nelle nostre stanze e nella latrina ci sono quegli altri oggetti. Credevo che fossero solo decorativi. Se scopriremo come farli funzionare non dovremo più stare al buio.

Bliss disse seccata: — Avrebbero potuto dircelo.

Pelorat replicò: — Pensavano che sapessimo, che fosse una cosa risaputa.

Quattro donne uscirono da dietro un divisorio e si sedettero in gruppo nello spazio all’estremità della sala. Ognuna aveva uno strumento di legno lucido di forma identica, una forma piuttosto strana. Le dimensioni però cambiavano notevolmente. Uno era piccolo, due erano leggermente più grossi, il quarto molto più grande. Ogni donna inoltre reggeva nell’altra mano una lunga bacchetta.

Il pubblico fischiò sommessamente al loro ingresso, e le quattro donne si inchinarono. Ognuna aveva un nastro legato sui seni in modo abbastanza stretto, quasi ad impedire che intralciassero l’esecuzione.

Trevize interpretò i fischi come un segno di approvazione, e garbatamente aggiunse il proprio. Al che Fallom si produsse in un trillo ben più lacerante di un fischio, e Bliss dovette zittirla posandole la mano sulla spalla prima che attirasse troppo l’attenzione.

Tre donne infilarono lo strumento sotto il mento, mentre lo strumento più grande restò sul pavimento tra le gambe della quarta donna. La lunga bacchetta nella destra di ogni musicista fu fatta scorrere sulle corde tese che attraversavano ogni strumento per quasi tutta la lunghezza, mentre le dita della sinistra si muovevano rapide e schiacciavano le corde su e giù.

Quello era lo “sfregamento” che si era aspettato, rifletté Trevize, ma non produceva affatto un rumore molesto. C’era una successione di note dolce e melodiosa; ogni strumento forniva il proprio apporto, ed il tutto si fondeva in un piacevole amalgama.

Non possedeva l’infinita complessità della musica elettronica (la “vera musica” a giudizio di Trevize) ed era qualcosa di abbastanza ripetitivo. Eppure via via che l’orecchio si abituava a quello strano sistema sonoro, Trevize cominciò a cogliere anche certe sfumature. Era necessario un certo sforzo, però, e Trevize pensò con rimpianto alla precisione matematica e alla purezza timbrica della “vera musica”… comunque, riconobbe che se avesse ascoltato spesso la musica di quei semplici oggetti di legno probabilmente alla fine gli sarebbe piaciuta.

A tre quarti d’ora dall’inizio del concerto entrò in scena anche Hiroko. Notò subito Trevize in prima fila e gli sorrise. Trevize si unì di buon grado al saluto del pubblico. Hiroko era splendida; portava una lunga gonna ed un fiore tra i capelli, ed era a seno scoperto dato che evidentemente non avrebbe ostacolato l’uso del suo strumento.

Il suo strumento era un tubo di legno scuro lungo oltre mezzo metro e spesso un paio di centimetri. Hiroko accostò lo strumento alle labbra e soffiò in un’apertura vicino ad una estremità, ricavandone una nota esile, dolce che cambiò ripetutamente via via che le sue dita toccavano degli oggetti metallici posti lungo il tubo.

Alla prima nota, Fallom strinse il braccio di Bliss e disse: — Bliss, quello è un… — ed a Bliss sembrò che quella parola fosse “fliute”.

Bliss scosse la testa, e Fallom sottovoce insisté: — Ma lo è proprio!

Alcuni del pubblico si girarono. Bliss coprì la bocca di Fallom, con la mano e si chinò a mormorarle con una certa severità nell’orecchio: — Taci!

Dopo di che Fallom ascoltò Hiroko in silenzio, ma muovendo spasmodicamente le dita, come se stesse toccando lei stessa gli oggetti lungo lo strumento.

L’ultimo ad esibirsi del concerto fu un uomo anziano che aveva appeso alle spalle uno strumento scanalato ai lati. Lo spingeva e lo tirava, mentre una mano guizzava velocissima su una serie di oggetti bianchi e neri premendoli a gruppi.

Trevize trovò quel suono molto fastidioso, barbaro, spiacevolmente simile al latrato dei cani di Aurora… non che il suono fosse una specie di latrato, però le emozioni che suscitava erano le stesse. Bliss sembrava in procinto di coprirsi le orecchie, e Pelorat aveva un’espressione corrucciata. Solo Fallom sembrava divertirsi perché stava battendo piano un piede, e quando se ne accorse Trevize si rese conto stupito che quella musica aveva un ritmo in perfetto sincronismo col battere della bambina.

Finalmente il concerto terminò ed in sala scoppiò un uragano di fischi, sovrastati nettamente dai gorgheggi di Fallom.

Il pubblico si divise in tanti gruppetti, e la gente cominciò a chiacchierare, o meglio a schiamazzare come facevano sempre gli Alphani quando si riunivano pubblicamente. I concertisti erano in fondo alla sala e parlavano con le persone che si avvicinavano per congratularsi dell’esibizione.

Fallom sfuggì alla stretta di Bliss e corse da Hiroko.

— Hiroko — strillò ansante. — Lasciami vedere il…

— Il che, cara? — fece Hiroko.

— La cosa con cui hai suonato la musica.

— Ah — rise Hiroko. — Quello è un flauto, piccina.

— Posso vederlo?

Hiroko aprì un astuccio ed estrasse lo strumento. Era separato in tre parti, ma lei lo montò svelta, lo tese verso Fallom accostandole un’estremità alle labbra e le disse: — Ecco, soffia qui il tuo fiato.

— Lo so, lo so — disse Fallom, e fece per prendere il flauto.

Hiroko si ritrasse di scatto. — Soffia, bambina, ma non toccare.

Fallom sembrò delusa. — Posso guardare, almeno? Non lo toccherò.

— Certamente, cara.

Hiroko tornò a mostrare il flauto e Fallom lo fissò.

Poi, l’illuminazione fluorescente della sala si affievolì, e risuonò una nota di flauto, un po’ incerta, tremula.

Hiroko, sorpresa, per poco non lasciò cadere lo strumento, e Fallom strillò: — L’ho fatto. L’ho fatto. Jemby aveva detto che un giorno sarei riuscita a farlo.

Hiroko chiese: — Tu sei stata a suonare?

— Sì, io. Io.

— Ma in quale modo hai fatto, bambina?

Rossa per imbarazzo, Bliss disse: — Mi spiace, Hiroko. Ora la porto via.

— No. Voglio che ancora lo faccia — ribatté Hiroko.

Alcuni Alphani si erano raccolti lì attorno ad osservare. Fallom corrugò la fronte, quasi stesse compiendo uno sforzo. Le luci si affievolirono più di prima, e si udì un’altra nota di flauto, questa volta limpida e ferma. Poi i suoni si rincorsero in modo bizzarro, mentre gli oggetti metallici lungo il flauto si muovevano da soli.

— È un po’ diverso dal… — disse Fallom, ansimando, come se il fiato che aveva prodotto il suono fosse stato il suo, non un movimento guidato dell’aria.

Pelorat disse a Trevize: — Probabilmente prende l’energia dalla corrente elettrica che alimenta le luci a fluorescenza.

— Prova ancora — chiese Hiroko con voce strozzata.

Fallom chiuse gli occhi. Le note adesso erano più lievi, più sicure. Il flauto suonava da solo, senza dita che lo manovrassero, animato dall’energia trasdotta dai lobi ancora immaturi di Fallom. Le note, dopo un inizio quasi a caso, si disposero in una sequenza armoniosa. Tutti si erano raccolti attorno ad Hiroko e a Fallom… la prima reggeva delicatamente le estremità dello strumento col pollice e l’indice, mentre la bambina ad occhi chiusi dirigeva la corrente d’aria e il movimento dei tasti.

— È il brano che ho suonato! — mormorò Hiroko.

— Lo ricordo — annuì Fallom, cercando di non perdere la concentrazione.

— Non hai sbagliato una sola nota — disse Hiroko al termine del pezzo.

— Però non è giusto, Hiroko: non l’hai suonato giusto.

Bliss intervenne: — Fallom! Non è cortese! Non devi…

— Ti prego — disse Hiroko perentoria. — Non interloquire… Perché non è giusto, bambina?

— Perché io lo suonerei diversamente.

— Mostrami, dunque.

Il flauto tornò a suonare, ma in modo assai più complicato perché le forze che premevano i tasti ora agivano più rapidamente e creavano combinazioni più elaborate di prima. La musica era infinitamente più viva, coinvolgente, vibrante. Hiroko sembrava pietrificata, e nella sala regnava un silenzio assoluto.

Il silenzio continuò anche dopo che Fallom ebbe finito di suonare, finché Hiroko respirando a fondo disse: — Piccola, non avevi mai suonato questo prima?

— No — rispose Fallom. — Prima riuscivo ad usare solo le dita, e con le dita è impossibile. Nessuno può farlo — soggiunse poi senza avere l’aria di vantarsi.

— Puoi suonare qualcosa altro?

— Posso inventare qualcosa.

— Intendi dire… improvvisare?

A quella parola, Fallom corrugò la fronte e guardò Bliss. Bliss annuì, e la Solariana disse: — Sì.

— Ti prego, fallo, dunque — chiese Hiroko.

Fallom rifletté un paio di minuti, poi iniziò lentamente, con una successione di note molto semplice, sognante. Le luci fluorescenti andavano e venivano a seconda dell’energia necessaria. Ma apparentemente nessuno se ne accorse, perché sembrava che quello fosse l’effetto della musica e non viceversa, come se uno spirito elettrico stesse obbedendo ai dettami delle onde sonore.

La combinazione di note si ripeté con un lieve aumento di volume, poi un po’ più complessa, poi in variazioni che senza perdere di vista il motivo di base diventarono sempre più trascinanti, mozzafiato. Ed infine, dopo la progressiva ascesa, le note scesero vorticosamente, come in una picchiata che riportò a terra gli ascoltatori pur lasciando in loro un senso di euforia e di leggerezza.

Seguì un vero pandemonio di acclamazioni, e persino Trevize, abituato a un tipo di musica completamente diverso, pensò con rammarico: «Ecco, adesso non sentirò mai più una cosa del genere».

Quando tornò la calma, Hiroko porse il flauto a Fallom. — Prendi, Fallom, questo è tuo!

Fallom si protese in avanti smaniosa, ma Bliss la bloccò. — Non possiamo accettarlo, Hiroko: è uno strumento prezioso.

— Ne posseggo un altro, Bliss. Non altrettanto valido, ma è giusto così. Questo strumento appartiene a colui che meglio lo suona. Non ho mai sentito musica come questa, e sarebbe sbagliato che possedessi io uno strumento che non so usare come si può usare invece. Ah, se sapessi suonarlo senza toccarlo!

Fallom prese il flauto e con un’espressione di gioia intensa lo strinse al petto.

14

Le due stanze del loro alloggio erano illuminate da una luce fluorescente ciascuna. Come la latrina. Erano fioche, e volendo leggere non sarebbero state sufficienti, ma Per lo meno gli ospiti non erano al buio.

Adesso comunque indugiavano all’aperto. Il cielo era pieno di stelle, un fenomeno che era sempre affascinante per un indigeno di Terminus, dove il cielo notturno era quasi vuoto a parte lo sfocato scorcio della nube galattica.

Hiroko li aveva accompagnati, temendo che si smarrissero od inciampassero. Durante il tragitto aveva tenuto per mano Fallom, e dopo avere acceso le luci dell’alloggio rimase fuori con loro, continuando a stringere Fallom.

Bliss fece un altro tentativo, perché aveva percepito benissimo che Hiroko fosse in preda a sentimenti contrastanti. — Davvero, Hiroko… non possiamo prendere il tuo flauto…

— No, a Fallom deve rimanere. — Ma malgrado tutto Hiroko era ancora molto scossa.

Trevize stava contemplando il cielo. La notte era particolarmente buia, un’oscurità appena scalfita dalla luce che filtrava dalle loro stanze e dalle scintille quasi invisibili delle altre case in lontananza.

Disse: — Hiroko, vedi quella stella così scintillante? Come si chiama?

Hiroko alzò lo sguardo e, senza dimostrare alcun interesse, rispose: — Quella stella è il Compagno.

— Perché viene chiamata così?

— Attornia il nostro sole ogni ottanta Anni Standard. È una stella della sera in questa parte dell’anno: è visibile anche di giorno, quando è posta sopra l’orizzonte.

Bene, pensò Trevize. Non è del tutto ignorante in astronomia. Disse: — Sai che Alpha ha un altro compagno, molto più piccolo, molto più lontano di quella stella brillante? Non si può vederlo senza un telescopio… — (Nemmeno lui l’aveva visto, non si era preso la briga di cercarlo, ma il computer di bordo conteneva quell’informazione nella memoria.)

Hiroko rispose indifferente: — Ci è stato insegnato a scuola.

— E cosa mi dici di quella stella? Vedi quelle sei stelle che formano una linea a zig-zag?

— Quella è Cassiopea.

— Davvero? — sussultò Trevize. — Quale?

— Tutte le stelle, l’intera linea a zig-zag: è Cassiopea.

— Perché è chiamata così?

— Non so. Non so nulla di astronomia, stimato Trevize.

— Vedi la stella più bassa della linea a zig-zag, quella più brillante delle altre? Che stella è?

— Una stella. Non conosco il nome.

— Ma se si escludono le due stelle compagne, è quella la stella più vicina ad Alpha. È ad un solo parsec di distanza.

— Tu lo dici? — fece Hiroko. — Io questo non so.

— Non potrebbe essere la stella attorno a cui ruoti la Terra ?

Hiroko osservò la stella con un lieve guizzo di interesse. — Non so. Da nessuno ho mai sentito dire questo.

— Non credi che potrebbe esserla?

— Come posso rispondere? Nessuno sa dove sia la Terra. Io… io ora devo lasciarvi. Riprenderò il mio lavoro nei campi domani mattina prima della festa sulla spiaggia. Vi rivedrò là, dopo pranzo. Bene?

— Certo, Hiroko.

Hiroko si allontanò di scatto, mettendosi quasi a correre nell’oscurità. Trevize la seguì con lo sguardo, quindi raggiunse gli altri nell’alloggio.

Chiese: — Secondo te stava mentendo a proposito della Terra, Bliss?

Bliss scosse la testa. — Non credo… È in preda ad una enorme tensione, qualcosa che ho riscontrato solo dopo il concerto. C’era già prima che tu le facessi quelle domande sulle stelle.

— Allora è perché si è privata del flauto?

— Forse. Non posso dirlo di preciso. — Bliss si rivolse quindi a Fallom. — Ora, Fallom, andrai nella tua stanza. Quando sarai pronta per coricarti, andrai alla latrina, userai il vasino, poi ti laverai le mani, la faccia ed i denti.

— Vorrei suonare il flauto, Bliss.

— Solo un po’, e piano. Capito, Fallom? E quando te lo dirò, dovrai smettere.

— Sì, Bliss.

Adesso erano finalmente soli; Bliss sull’unica sedia, e gli uomini seduti sulle rispettive brande.

Bliss disse: — A questo punto, mi pare inutile fermarsi ancora su questo pianeta, no?

Trevize scrollò le spalle. — Non abbiamo ancora discusso dell’origine terrestre di quegli strumenti antichi, e potremmo scoprire qualche indizio interessante. Inoltre, forse ci conviene attendere il ritorno della flotta di pescherecci. Forse gli uomini sanno qualcosa che chi sta qui a casa non sa.

— Poco probabile, secondo me — fece Bliss. — Sicuro che non siano gli occhi scuri di Hiroko a trattenerti?

Trevize sbottò spazientito: — Non capisco, Bliss. Tu che c’entri con le mie azioni? Chi ti dà il diritto di giudicarmi dal punto di vista morale?

— La tua moralità non mi preoccupa: io penso alla nostra spedizione. Vuoi trovare la Terra per poter decidere finalmente se sia giusta la tua scelta di Galaxia a scapito dei Mondi Isolati: io voglio che tu raggiunga una conclusione. Dici di dover visitare la Terra per prendere la tua decisione, sei convinto che la Terra ruoti attorno a quella stella luminosa che si vede in cielo. Andiamo là, allora! D’accordo, sarebbe utile disporre di qualche informazione prima di andare, ma mi sembra evidente che qui non otterremo alcuna informazione… Non voglio rimanere solo perché ti piace Hiroko.

— Forse partiremo — disse Trevize. — Lasciami riflettere… e ti assicuro che Hiroko non influenzerà la mia decisione.

Pelorat intervenne: — Secondo me dovremmo dirigerci sulla Terra, se non altro per scoprire se sia radioattiva o meno: mi pare superfluo aspettare oltre.

— Sicuro che non siano gli occhi scuri di Bliss a stimolarti? — fece Trevize con una punta d’astio. Ed un istante dopo: — No, ritiro quel che ho detto, Janov. Stavo solo reagendo in modo infantile… Eppure… questo è un mondo incantevole, a parte Hiroko, ed ammetto che in altre circostanze sarei tentato di restare qui a tempo indeterminato… Bliss, non credi che Alpha demolisca la tua teoria sugli Isolati?

— In che senso? — chiese Bliss.

— Hai sostenuto che ogni mondo realmente isolato diventi pericoloso ed ostile.

— Persino Comporellen — confermò impassibile Bliss — che è abbastanza al di fuori della rete principale di attività galattica, nonostante in teoria sia una Potenza Alleata della Federazione della Fondazione.

— Ma non Gaia. Questo mondo è completamente isolato, ma non puoi certo lamentarti della loro amicizia e della loro ospitalità! Ci nutrono, ci vestono, ci danno un tetto, organizzano spettacoli in nostro onore, ci invitano a prolungare il nostro soggiorno: che difetto hanno?

— Nessuno, a quanto pare… Hiroko ti offre addirittura il suo corpo.

Trevize scattò rabbioso: — Bliss, perché questo fatto ti disturba tanto? Hiroko non mi ha offerto il suo corpo: è stato uno scambio reciproco, del tutto appagante. E mi sembra che tu stessa non esiti ad offrire il tuo corpo quando vuoi.

— Per favore, Bliss — intervenne Pelorat. — Golan ha ragione. Non c’è motivo di criticare i suoi piaceri privati.

— A patto che non abbiano ripercussioni su di noi — disse ostinata Bliss.

— Non hanno alcuna ripercussione — disse Trevize. — Partiremo, te lo assicuro. La sosta per cercare qualche informazione non sarà lunga.

— Comunque, io non mi fido degli Isolati… nemmeno quando offrono doni.

Trevize alzò le braccia al cielo. — Raggiungere una conclusione, ed alterare le prove perché si adattino a questa conclusione… Tipico di…

— Non dirlo — l’interruppe minacciosa Bliss. — Non sono una donna: sono Gaia. Non sono io ad essere inquieta… È Gaia!

— Ma è assurdo essere… — Ed in quel mentre si sentì un raspio alla porta.

Trevize raggelò. — Cos’è? — disse sottovoce.

Bliss si strinse nelle spalle. — Apri la porta e guarda: sei tu a dire che sia un mondo amico privo di pericoli, no?

Ma Trevize esitò, finché una voce sommessa all’esterno chiamò: — Per favore, sono io!

Era la voce di Hiroko. Trevize spalancò la tenda.

Hiroko si affrettò a entrare. Aveva le gote bagnate.

— Chiudi — ansimò.

— Che c’è? — domandò Bliss.

Hiroko si aggrappò a Trevize. — Non ho potuto stare lontana. Ho provato, ma era insopportabile. Andate, tutti voi. Portate la bambina con voi, presto. Allontanate la nave… lontano da Alpha… finché è ancora buio.

— Ma perché? — fece Trevize.

— Perché altrimenti morrete, tutti voi.

15

Per alcuni attimi, i tre fissarono pietrificati Hiroko, poi Trevize disse: — Vorresti dire che la tua gente ci ucciderà?

Mentre le lacrime le scorrevano lungo le guance, Hiroko rispose: — Tu già sei avviato sulla strada che conduce alla morte, stimato Trevize… E con te gli altri… Tempo addietro, i dotti crearono un virus, per noi innocuo, ma letale per gli Esterni. Noi siamo immuni. — Gli scuoté il braccio disperata. — Tu sei infetto!

— Com’è successo?

— Quando abbiamo soddisfatto il piacere… È un modo di contagio.

Trevize protestò: — Ma io sto benissimo.

— Il virus è ancora inattivo. Verrà reso attivo al ritorno della flotta da pesca. Secondo le nostre leggi, tutti devono decidere in questo… persino gli uomini. Tutti sicuramente decideranno che bisogna farlo, e vi tratterremo qui fino a quel momento, due mattine da ora. Partite senza indugio, mentre è ancora buio e nessuno sospetta!

Bliss chiese brusca: — Perché la tua gente lo fa?

— Per la nostra salvezza. Pochi siamo, ed abbiamo molto. Non vogliamo l’intrusione di Esterni. Se uno arriva e poi diffonde la notizia, altri ne verranno. Così quando di tanto in tanto una nave arriva noi dobbiamo provvedere a che non riparta.

— Ma allora come mai ci metti in guardia? — domandò Trevize.

— Non chiedere la ragione… No, la dirò, poiché lo sento ancora. Ascoltate…

Dalla stanza attigua giungevano le note sommesse e dolcissime del flauto suonato da Fallom.

Hiroko disse: — Non sopporto la distruzione di quella musica, perché anche la bambina morrebbe.

Trevize disse arcigno: — È per questo che hai dato il flauto a Fallom? Perché sapevi che lo avresti riavuto quando lei fosse morta?

Hiroko inorridì. — No, questo non avevo in mente… Partite con la bambina, e portate il flauto, e che io più non lo veda. Sarete salvi nello spazio, e lasciato inattivo il virus che adesso tu hai in corpo morirà dopo poco. In cambio, io vi chiedo di non parlare mai di questo mondo, così che nessuno mai sappia che esiste.

— Non ne parleremo — disse Trevize.

Hiroko alzò lo sguardo. Sottovoce chiese: — Posso baciarti un’ultima volta prima che tu vada?

Trevize rispose: — No. Sono già stato contagiato una volta, e mi pare più che sufficiente. — Poi, in tono meno rude, aggiunse: — Non piangere, altrimenti ti chiederanno perché piangi e tu non saprai cosa rispondere… Ti perdono, malgrado quello che mi hai fatto, per questo gesto che compi adesso per salvarci.

Hiroko si drizzò, si asciugò il viso, respirò a fondo e disse: — Ti ringrazio. — Ed uscì in fretta.

Trevize disse: — Spegneremo la luce, aspetteremo un po’, poi ce ne andremo… Bliss, di’ a Fallom di smettere di suonare. Ricordati di portare il flauto, naturalmente… Usciremo e raggiungeremo la nave sempre che riusciamo a trovarla al buio.

— La troverò — disse Bliss. — A bordo ci sono dei miei indumenti e, anche se con intensità minore, anche quelli fanno parte di Gaia. Per Gaia sarà facilissimo trovare Gaia. — Ed andò nell’altra stanza a prendere Fallom.

Pelorat chiese: — Credi che siano riusciti a danneggiare la nave per bloccarci sul pianeta?

— Non possiedono la tecnologia necessaria — fece Trevize accigliato. Quando Bliss rientrò tenendo per mano la piccola solariana, Trevize spense la luce.

Rimasero seduti in silenzio nell’oscurità per un periodo di tempo in apparenza interminabile. Poi Trevize aprì la porta lentamente. Il cielo sembrava un po’ più nuvoloso, ma c’erano ancora le stelle. Adesso Cassiopea era alta nel cielo, e all’estremità inferiore brillava la stella che avrebbe potuto essere il sole della Terra.

Trevize uscì, guardingo, facendo segno agli altri di seguirlo, abbassando automaticamente la mano sul calcio della frusta neuronica: era sicuro che non avrebbe dovuto usarla, ma…

Bliss passò alla testa del gruppo, tenendo per mano Pelorat, che a sua volta teneva per mano Trevize. L’altra mano di Bliss era intrecciata a quella di Fallom, che aveva con sé il flauto. Tastando adagio il terreno coi piedi nell’oscurità pressoché assoluta, Bliss condusse gli altri verso il punto da cui le giungevano debolissime le vibrazioni gaiane dei suoi abiti a bordo della “Far Star”.

19. Radiottiva?

16

La “Far Star” decollò silenziosa, alzandosi lentamente attraverso l’atmosfera, lasciando sotto di sé l’isola buia. I radi puntini luminosi sottostanti svanirono e, man mano che l’atmosfera diventava più rarefatta con l’aumento dell’altezza, la velocità della nave crebbe e i puntini luminosi che brillavano in cielo divennero più numerosi e vividi.

Alla fine, Alpha si ridusse ad uno spicchio illuminato ammantato in gran parte da nubi.

Pelorat disse: — Non possiedono una tecnologia spaziale attiva, immagino… Non possono inseguirci.

— Questo non mi consola poi tanto — commentò Trevize, l’espressione amara, il tono abbattuto. — Sono stato contagiato.

— Ma è un ceppo inattivo — precisò Bliss.

— Però si può attivare. Loro avevano un metodo: quale?

Bliss si strinse nelle spalle. — Hiroko ha detto che rimanendo in incubazione il virus alla fine sarebbe morto in un corpo non adatto ad ospitarlo… come il tuo.

— Sì? — fece rabbioso Trevize. — E lei come lo sapeva? E se l’affermazione di Hiroko fosse una bugia detta a se stessa per avere la coscienza tranquilla? E se il metodo di attivazione, quale che sia, fosse innescabile in modo naturale? Una sostanza chimica particolare, un tipo di radiazione, un… un… che so io? Potrei ammalarmi di colpo, ed anche voi tre morireste. O potrebbe accadere dopo che abbiamo raggiunto un mondo abitato, potrebbe scoppiare una pandemia e i superstiti fuggendo diffonderebbero il contagio su altri mondi. — Guardò Bliss. — Tu non puoi fare nulla?

Lentamente, Bliss scosse la testa. — Non è facile. Ci sono anche dei parassiti nell’organismo globale di Gaia… microrganismi, vermi. Sono una componente benigna dell’equilibrio ecologico. Vivono e danno il loro contributo alla coscienza del mondo, ma non si sviluppano mai in eccedenza. Vivono senza causare danni apprezzabili. Il guaio è che il virus che ti infetta non fa parte di Gaia, Trevize.

— Hai detto che non è facile… Date le circostanze non puoi farlo nonostante le difficoltà? Non puoi localizzare il virus e distruggerlo? O, se non ci riesci, non puoi almeno rinforzare le mie difese?

— Ti rendi conto di quel che mi stai chiedendo, Trevize? Non conosco la flora microscopica del tuo corpo. Forse stenterei a distinguere un virus dai geni che si trovino normalmente nelle tue cellule. E sarebbe ancor più complicato distinguere il virus di Hiroko da quelli contro cui il tuo corpo sia immunizzato… Ci proverò, ma ci vorrà del tempo, e non è detto che ci riesca.

— Impiega tutto il tempo necessario — disse Trevize. — Prova.

— Certo.

Pelorat disse: — Se Hiroko non ha mentito, Bliss, forse potresti cercare dei virus già indeboliti ed accelerarne la scomparsa.

— Già — convenne Bliss. — Buona idea.

— Non sarà un trauma per te? — fece Trevize. — Uccidendo quel virus distruggerai dei preziosi frammenti di vita.

— Non essere sardonico, Trevize — replicò Bliss gelida. — Quella che hai indicato è una difficoltà reale. Comunque, non posso certo anteporre il virus a te. Li ucciderò se sarà possibile, non temere. In fin dei conti, anche mettendoti in secondo piano — e le sue labbra si contrassero come se stesse reprimendo un sorriso — dovrei tener conto dell’incolumità di Pelorat e di Fallom, e dovresti avere più fiducia nei miei sentimenti per loro che nei miei sentimenti per te, no? Ti faccio notare, inoltre, che anche la mia incolumità sarebbe in pericolo.

— Non ho molta fiducia nel tuo amore per te stessa — borbottò Trevize. — Saresti prontissima a rinunciare alla vita per qualche nobile causa. Comunque, la tua preoccupazione per Pelorat è una garanzia sufficiente… Ma… non sento il flauto di Fallom: qualcosa che non va?

— No — rispose Bliss. — Sta solo dormendo. Un sonno del tutto naturale con cui io non ho niente a che fare. E quando avrai ultimato i calcoli per il Balzo di avvicinamento alla stella penso che anche noi dovremmo dormire un po’. Io ne ho molto bisogno, ed ho l’impressione che ne abbia bisogno anche tu, Trevize.

— Sì, sempre che riesca a dormire… Sai, Bliss, avevi ragione.

— Riguardo cosa?

— Gli Isolati. Nuova Terra non era un paradiso, per quanto potesse sembrarlo. La loro ospitalità, la loro amicizia immediata, servivano solo a prenderci alla sprovvista per potere contagiare facilmente uno di noi. E poi tutte quelle feste miravano a tenerci là in attesa del ritorno delle flotte di pescherecci e dell’attivazione del virus. Ed il loro piano avrebbe funzionato se non fosse stato per Fallom e la sua musica. Forse avevi ragione anche su questo.

— Riguardo Fallom?

— Sì. Io non volevo prenderla a bordo, e la sua presenza a bordo mi ha sempre innervosito. Se adesso lei è qui, Bliss, è perché tu hai voluto… ed è stata lei involontariamente a salvarci. Eppure…

— Eppure?

— Nonostante tutto, la presenza di Fallom continua a preoccuparmi. Non so perché.

— Se può consolarti, Trevize, non credo che dobbiamo attribuire tutto il merito a Fallom. Commettendo quello che gli altri Alphani considererebbero certo un atto di tradimento, Hiroko ha adottato come giustificazione la musica di Fallom. Forse ne era davvero convinta, ma c’era qualcos’altro nella sua mente, qualcosa che ho percepito in modo vago e non ho potuto identificare di preciso, qualcosa di cui forse si vergognava e che respingeva inconsciamente. Ho l’impressione che Hiroko provasse una specie di affetto per te, che non volesse vederti morto indipendentemente da Fallom e dalla sua musica.

— Lo credi davvero? — Trevize sorrise per la prima volta da quando avevano lasciato Alpha.

— Sì. Devi essere abbastanza abile con le donne. Hai convinto il Ministro Lizalor a lasciarci prendere la nave e a partire da Comporellen, ed hai contribuito alla nostra salvezza influenzando Hiroko… Onore al merito.

Il sorriso di Trevize si allargò. — Be’, se lo dici tu… Puntiamo sulla Terra, allora. — E scomparve nella sala comandi con passo quasi spavaldo.

Pelorat indugiò un attimo e si rivolse a Bliss. — Lo hai calmato, eh, Bliss?

— No, Pel, non ho mai toccato la sua mente.

— Oh, sicuramente lo hai fatto quando hai solleticato così sfacciatamente la sua vanità maschile.

— È stato un intervento del tutto indiretto — sorrise Bliss.

— Comunque, grazie, Bliss.

17

Dopo il balzo, la stella che avrebbe potuto essere il sole della Terra era ancora a un decimo di parsec. Era il corpo celeste più luminoso che ci fosse, ma continuava a essere una stella come tante.

Tenendo inseriti i filtri per facilitare l’osservazione, Trevize la studiava con espressione cupa.

Disse: — Non ci sono dubbi… sembra proprio la gemella di Alpha. Eppure, Alpha è nella mappa del computer, mentre questa stella non c’è. Non sappiamo il suo nome, non abbiamo alcun dato, nessuna informazione sul suo sistema planetario, ammesso che ne abbia uno.

Pelorat osservò: — Se la Terra ruota attorno a questo sole, mi pare logico trovarsi di fronte a questa assenza completa di informazioni, visto che le informazioni riguardanti la Terra sono state cancellate tutte, no?

— Già, ma questo fatto potrebbe anche avere un significato diverso… Potrebbe trattarsi semplicemente di un Mondo Spaziale non incluso nell’elenco sulla parete dell’edificio di Melpomenia… O forse questa stella non ha pianeti, e quindi non valeva la pena di inserirla in una mappa galattica che ha un uso prevalentemente militare e commerciale… Janov, non c’è qualche leggenda secondo cui il sole della Terra si trovi ad un solo parsec da una stella gemella?

Pelorat scosse il capo. — Spiacente, Golan… per quel che ricordi, non c’è. Comunque, potrebbe esserci. La mia memoria non è perfetta: controllerò.

— Non ha importanza. Il sole della Terra ha qualche nome particolare?

— Esistono diversi nomi: uno per ogni lingua, suppongo.

— Continuo a scordarmi che la Terra aveva molte lingue.

— Doveva averle per forza: è l’unico modo per spiegare l’esistenza di tante leggende.

— Be’, che facciamo, allora? Da questa distanza è impossibile sapere qualcosa del sistema planetario: dobbiamo avvicinarci. Mi piacerebbe essere prudente, ma a volte si può esagerare con la prudenza e non vedo alcun segno di pericolo potenziale. Un’entità tanto potente da cancellare in tutta la Galassia le informazioni riguardanti la Terra dovrebbe essere in grado di spazzarci via anche a questa distanza, se non volesse proprio essere individuata… eppure non è successo nulla. È irrazionale rimanere qui in eterno solo perché avanzando potrebbe accadere qualcosa, vero?

Bliss disse: — Dunque il computer non rileva nulla che possa essere interpretato come pericoloso, eh?

— Quando dico che non vedo alcun segno di pericolo, mi riferisco al computer: ad occhio nudo è impossibile vedere qualcosa, ovvio.

— Allora, mi sembra di capire che cerchi solo un appoggio morale prima di prendere una decisione che consideri rischiosa. D’accordo, hai il mio appoggio: non abbiamo attraversato la Galassia per fare dietro-front senza una ragione precisa, no?

— No — rispose Trevize. — Tu cosa dici, Janov?

Pelorat rispose: — Sono pronto a proseguire, se non altro per curiosità. Sarebbe insopportabile tornare indietro senza sapere se la Terra sia qui o meno.

— Bene, tutti d’accordo, dunque — fece Trevize.

— Non tutti — disse Pelorat. — C’è Fallom.

Trevize sgranò gli occhi. — Intendi dire che dovremmo consultare la bambina? E che valore avrebbe la sua opinione, sempre che ne abbia una? Al massimo, insisterebbe per tornare sul suo mondo.

— Non puoi fargliene una colpa — disse Bliss infervorandosi.

E visto che avevano tirato in ballo Fallom, Trevize si soffermò ad ascoltare il suo flauto, che stava suonando un ritmo di marcia trascinante.

— Ascoltate — disse. — Dove può aver sentito un brano e ritmo di marcia?

— Forse Jemby le suonava delle marce.

Trevize scosse il capo. — Ne dubito. Le avrà suonato ritmi di danza, se mai, ninne-nanne… Sentite, Fallom mi preoccupa… Impara troppo in fretta.

— Io l’aiuto — disse Bliss. — Tienilo presente. E poi è molto intelligente e da quando è con noi ha ricevuto tantissimi stimoli. Nuove sensazioni le hanno invaso la mente. Ha visto lo spazio, nuovi mondi, tanta gente… per la prima volta.

La marcia di Fallom diventò ancor più scatenata, irruente.

Trevize sospirò. — Be’, è qui, e sta suonando della musica che sembra esprimere ottimismo e voglia d’avventura. La considererò una specie di voto a favore… D’accordo, avanziamo, allora… e diamo un’occhiata al sistema planetario di questo sole.

— Se ci sarà — fece Bliss.

Trevize abbozzò un sorriso. — C’è un sistema planetario, sono disposto a scommettere. Scegli tu la somma.

18

Hai perso — disse Trevize assorto. — Quanto denaro avevi deciso di scommettere?

— Nemmeno un soldo: non ho mai accettato la scommessa — rispose Bliss.

— Meno male. Non lo prenderei volentieri il tuo denaro.

Erano a circa dieci miliardi di chilometri dal sole, ma la sua luminosità ormai era pari a quella di sole vero e proprio osservato da un pianeta abitabile.

— Adesso col telescopio si vedono due pianeti — annunciò Trevize. — Dal loro diametro e dallo spettro della luce riflessa, si tratta chiaramente di giganti gassosi.

La nave era al di fuori del piano planetario, e Bliss e Pelorat, fissando lo schermo da dietro le spalle di Trevize, si ritrovarono a contemplare due minuscole falci di luce verdognola. La più piccola era leggermente più spessa.

Trevize disse: — Janov! Il sole della Terra dovrebbe avere quattro giganti gassosi, giusto?

— Stando alle leggende, sì.

— Quello più vicino al sole dovrebbe essere il più grande, ed il secondo dovrebbe avere degli anelli… giusto?

— Sì, Golan, grandi anelli… Comunque, vecchio mio, dobbiamo tener conto delle distorsioni e delle esagerazioni che si sviluppino nel tramandare una leggenda. Anche se mancasse un pianeta con un sistema anulare straordinario, non dovremmo considerarla una prova sufficiente e concludere che questo non sia il sistema planetario che cerchiamo.

— Comunque, i due pianeti che vediamo forse sono i più lontani, e gli altri due si trovano forse oltre il sole, troppo lontani per essere individuati facilmente sullo sfondo del campo stellare… Dovremo avvicinarci ancora… e spingerci al di là del sole.

«È possibile, dato che siamo vicini alla massa della stella. Sì, il computer può farlo, con una certa cautela. E se a suo giudizio il rischio sarà eccessivo, il computer non effettuerà il Balzo… In tal caso minimizzeremo i rischi avanzando a piccoli Balzi.

La mente di Trevize impartì le istruzioni al computer… ed il campo stellare sullo schermo cambiò. La stella diventò ancor più luminosa, poi scomparve dallo schermo, mentre il computer seguendo le istruzioni ricevute frugava il cielo in cerca di un altro gigante gassoso. Lo individuò.

I tre si irrigidirono, rimanendo strabiliati, mentre la mente frastornata di Trevize annaspava per chiedere al computer un ingrandimento maggiore.

— Incredibile — esclamò Bliss.

19

Da quella angolazione, il gigante gassoso era in parte illuminato. Attorno ad esso, un ampio anello curvo e luccicante di materia, inclinato in maniera tale da ricevere la luce del sole sul lato osservato dalla nave… Era più luminoso del pianeta stesso, e lungo la sua superficie correva una sottile linea divisoria.

Trevize richiese il massimo ingrandimento possibile, e l’anello si trasformò in una serie di anelli più piccoli e concentrici. Adesso sullo schermo era visibile solo una parte del sistema anulare, mentre il pianeta era addirittura scomparso. Trevize impartì un’ulteriore istruzione, ed in un angolo dello schermo si formò un riquadro che conteneva una minuscola immagine panoramica del pianeta e degli anelli.

— È un fenomeno comune? — chiese Bliss, stupefatta.

— No — rispose Trevize. — Quasi tutti i giganti gassosi hanno degli anelli di detriti, però di solito sono anelli stretti e poco luminosi. Una volta ho visto un gigante gassoso che aveva degli anelli stretti ma abbastanza luminosi. Però non ho mai visto uno spettacolo del genere, e non mi è mai capitato di sentirne parlare.

Pelorat disse: — È chiaro: si tratta del gigante gassoso di cui parlano le leggende. Se è davvero unico…

— Lo è, per quel che ne sappia, e per quel che ne sappia il computer — fece Trevize.

— Allora questo deve essere il sistema planetario della Terra. Un pianeta come quello non può essere il frutto di una invenzione: per descrivere una cosa simile bisogna averla vista.

Trevize annuì. — A questo punto, sono disposto a credere a tutto quello che affermino le tue leggende, Janov. Questo è il sesto pianeta… e la Terra dovrebbe essere il terzo, giusto?

— Giusto, Golan.

— Dunque, nonostante una distanza dalla Terra inferiore ad un miliardo e mezzo di chilometri, non siamo stati fermati: Gaia ci aveva fermati durante l’avvicinamento.

Bliss intervenne: — Eravate più vicini a Gaia quando siete stati fermati.

— Ah, ma a mio avviso la Terra è più potente di Gaia — replicò Trevize — per cui questo fatto mi sembra incoraggiante. Se non ci fermano, forse significa che la Terra non abbia nulla in contrario se ci avviciniamo.

— O forse significa che la Terra non ci sia — aggiunse Bliss.

— Vuoi scommettere questa volta? — fece Trevize con aria truce.

— Secondo me — intervenne Pelorat — Bliss intende dire che forse la Terra sia radioattiva come sostengono in tanti, e che nessuno ci fermi proprio perché non ci sia vita sulla Terra.

— No — sbottò Trevize. — Sono pronto a credere a tutto quello che si dica sulla Terra, tranne che alla storia della radioattività. Avanzeremo e controlleremo di persona, ed ho la sensazione che nessuno ci ostacolerà.

20

I giganti gassosi erano ormai alle loro spalle. Appena oltre il gigante gassoso più vicino al Sole (quello più massiccio, come affermavano le leggende) c’era una fascia di asteroidi.

Oltre gli asteroidi c’erano quattro pianeti.

Trevize li studiò attentamente. — Il terzo è il più grande. Le sue dimensioni e la distanza dal Sole sono adeguate: potrebbe essere abitabile.

A Pelorat parve di cogliere una nota di incertezza nelle parole di Trevize. Chiese: — Ha un’atmosfera?

— Oh, sì. Il secondo, il terzo e il quarto pianeta hanno tutti un’atmosfera. E, come nella vecchia favola infantile, quella del secondo è troppo densa, quella del quarto non è abbastanza densa, ma quella del terzo è perfetta.

— Pensi che possa essere la Terra, allora?

— Penso? — sbottò Trevize. — Non ce n’è bisogno… Quella è proprio la Terra ! Ha il satellite gigantesco di cui mi hai parlato.

— Davvero? — E sulla faccia di Pelorat sbocciò un sorriso senza precedenti.

— Certo! Ecco, guarda… massimo ingrandimento…

Pelorat vide due falci, una nettamente più grande e luccicante dell’altra.

— Quella più piccola è il satellite? — domandò.

— Sì. È piuttosto lontano dal pianeta, però ruota indubbiamente intorno ad esso. Ha le dimensioni di un piccolo pianeta, però per essere un satellite è notevole. Ha un diametro di almeno duemila chilometri, cioè è grande quanto i maggiori satelliti dei giganti gassosi.

— Non è più grande? — Pelorat sembrava deluso. — Dunque non è un satellite gigante?

— Certo che lo è! Un conto è un satellite di duemila chilometri di diametro in orbita attorno ad un gigante gassoso. Un conto è un satellite di tali caratteristiche in orbita attorno ad un piccolo pianeta solido abitabile: quel satellite ha un diametro che è circa un quarto di quello della Terra. Trattandosi di un pianeta abitabile, una differenza così ridotta è qualcosa di eccezionale.

Pelorat sorrise timido. — In questo campo so pochissime cose.

— Allora fidati della mia parola, Janov: è qualcosa di unico. In pratica stiamo osservando una specie di pianeta doppio, mentre per lo più i pianeti abitabili hanno satelliti delle dimensioni di un sasso… Janov, se quel gigante gassoso col sistema anulare occupa il sesto posto, e questo pianeta col suo enorme satellite si trova al terzo posto… come affermavano le tue leggende… il mondo che stai osservando deve essere per forza la Terra. L ’abbiamo trovata, Janov: l’abbiamo trovata!

21

Era il secondo giorno di avvicinamento alla Terra e Bliss sbadigliò durante la cena. Disse: — Abbiamo impiegato più tempo ad avvicinarci ai pianeti e ad allontanarci che per tutto il resto: abbiamo perso settimane intere.

— In parte — disse Trevize — perché i Balzi troppo vicini ad una stella sono pericolosi. Ed in questo caso, ci stiamo muovendo molto lentamente perché non voglio andare incontro ad eventuali pericoli troppo in fretta.

— Non avevi detto che avevi la sensazione che nessuno ci avrebbe ostacolato?

— Certo, però non voglio rischiare tutto basandomi su una semplice sensazione. — Trevize guardò il contenuto del cucchiaio prima di portarlo alla bocca e disse: — Sapete, sento la mancanza del pesce che c’era su Alpha. Abbiamo mangiato tre sole volte là.

— Un vero peccato — convenne Pelorat.

— Be’ — fece Bliss — siamo stati su cinque mondi ed ogni volta abbiamo dovuto andarcene così in fretta che non abbiamo avuto il tempo di arricchire le nostre scorte alimentari e disporre di una certa varietà di piatti. Persino quando erano mondi con prodotti già pronti, come Comporellen ed Alpha, e probabilmente anche…

Non finì la frase perché Fallom alzando lo sguardo d’un tratto la terminò per lei. — Solaria? Non potevate prendere del cibo su Solaria? Là ce n’è tanto, come su Alpha. E migliore.

— Lo so, Fallom — disse Bliss. — Solo che non avevamo tempo.

Fallom la fissò seria. — Rivedrò ancora Jemby, Bliss? Dimmi la verità.

— Può darsi, se torneremo su Solaria.

— Un giorno torneremo su Solaria?

Bliss esitò. — Non sono in grado di dirlo.

— Adesso andiamo sulla Terra, giusto. Non è il pianeta su cui abbiamo avuto origine tutti?

— Su cui i nostri progenitori hanno avuto origine — disse Bliss.

— So dire “antenati” adesso — fece Fallom.

— Sì, stiamo andando sulla Terra.

— Perché?

— È normale, no, voler vedere il mondo dei propri antenati.

— Secondo me, c’è dell’altro: sembrate tutti così preoccupati…

— Non siamo mai stati là prima d’ora. Non sappiamo cosa può aspettarci.

— Secondo me c’è dell’altro.

Bliss sorrise. — Cara, adesso che hai finito di mangiare, perché non vai in camera e ci suoni una piccola serenata col tuo flauto? Lo suoni sempre più bene. Su, su… — Diede una pacca sul sedere alla piccola, e Fallom obbedì svelta, girandosi solo un attimo per rivolgere a Trevize un’occhiata pensosa.

Trevize seguì con lo sguardo, chiaramente disgustato.

— Quell’essere legge nella mente?

— Non chiamarla “quell’essere”, Trevize — scattò aggressiva Bliss.

— Legge nella mente, lei? Tu dovresti saperlo.

— No, non legge il pensiero. Nemmeno Gaia ne è capace. Nemmeno i membri della Seconda Fondazione possono farlo… non nel senso di cogliere una conversazione o di distinguere idee precise. Questo non è ancora possibile, forse non lo sarà neppure in futuro. Noi siamo in grado di percepire, interpretare e, entro certi limiti, influenzare i sentimenti, ma non è affatto la medesima cosa.

— Chi ti dice che lei non sia capace di farlo, anche se in teoria è ancora qualcosa di impossibile? Come lo sai?

— L’hai detto tu stesso… Io dovrei saperlo.

— Forse ti sta influenzando per tenerti all’oscuro di questa sua capacità.

Bliss alzò gli occhi al soffitto. — Ragiona, Trevize. Anche se possedesse delle doti insolite, non potrebbe farmi nulla, perché io non sono Bliss… sono Gaia. Continui a dimenticartene. Hai idea della forza mentale rappresentata da un intero pianeta? Credi che un Isolato, per quanto dotato, possa superarla?

— Non sei onnisciente, Bliss, quindi non essere troppo sicura di te — l’ammonì Trevize accigliato. — Quell’es… Fallom è con noi da poco. In un periodo di tempo così breve io al massimo sarei riuscito ad imparare i rudimenti di una lingua, invece lei parla già il Galattico alla perfezione, e con un vocabolario praticamente completo… Sì, lo so che l’hai aiutata tu, ma vorrei che la smettessi.

— Ti ho detto che la stavo aiutando, però ti ho anche detto che è intelligentissima, talmente intelligente che mi piacerebbe che facesse parte di Gaia. Se potessimo accoglierla tra noi mentre è ancora abbastanza giovane, forse riusciremmo a saperne abbastanza sui Solariani da assorbire infine tutto il loro mondo. Ci sarebbe senza dubbio utile.

— Non hai pensato che i Solariani siano esemplari patologici di Isolati anche dal mio punto di vista?

— Non lo sarebbero più, una volta fusi con Gaia.

— Secondo me ti sbagli, Bliss. Secondo me quella bambina solariana è pericolosa e dovremmo sbarazzarcene.

— Come? Gettandola nello spazio? Uccidendola, facendola a pezzi e aggiungendola alle nostre scorte alimentari?

Pelorat disse: — Oh, Bliss!

E Trevize: — Disgustoso, e completamente fuori luogo. — Ascoltò un attimo. Il flauto suonava impeccabilmente, e loro avevano parlato sottovoce. — Quando tutto sarà finito, dobbiamo riportarla su Solaria e assicurarci che Solaria resti tagliata fuori per sempre dal resto della Galassia. A mio avviso quel mondo dovrebbe essere distrutto. Non mi fido… Io temo…

Bliss rifletté un istante, e disse: — Trevize, lo so che hai la capacità di prendere sempre la decisione giusta, ma so anche che non hai potuto soffrire Fallom fin dall’inizio… forse perché su Solaria sei stato umiliato e di conseguenza è nato in te un odio intenso verso il pianeta ed i suoi abitanti. Dato che non posso toccare la tua mente, non sono in grado di affermarlo con certezza… E ricordati… se non avessimo portato con noi Fallom, adesso saremmo tutti su Alpha… morti e, presumo, sepolti.

— Lo so, Bliss, ma nonostante que…

— E la sua intelligenza va ammirata, non invidiata.

— Io non la invidio: io la temo.

— La sua intelligenza?

Trevize si umettò le labbra pensieroso. — No, non proprio.

— Cosa, allora?

— Non lo so, Bliss. Se sapessi cosa temo, forse non avrei questa paura. È qualcosa che non capisco. — Trevize abbassò la voce come se stesse parlando tra sé. — A quanto pare la Galassia è piena di cose che non capisco. Perché ho scelto Gaia? Perché devo trovare la Terra ? C’è una lacuna nella Psicostoria? Se c’è, qual è? E soprattutto, perché la presenza di Fallom mi rende inquieto?

Bliss disse: — Sfortunatamente, non posso rispondere a queste domande. — Si alzò e lasciò la stanza.

Pelorat la guardò, poi disse: — Be’, la situazione non mi sembra tanto brutta, Golan. Siamo sempre più vicini alla Terra, ed una volta là avremo la soluzione di tutti i misteri. E fino a questo momento pare che nulla stia cercando di impedirci di raggiungerla.

— Preferirei che fosse vero il contrario.

— Cosa? Perché?

— Francamente, accoglierei con piacere un segno di vita.

Pelorat spalancò gli occhi. — Hai scoperto che la Terra sia radioattiva, allora?

— Non proprio, ma è calda. Un po’ più calda del previsto.

— È un fattore negativo?

— Non è detto… Anche se è piuttosto calda non è detto che sia per forza inabitabile. Lo strato di nubi è spesso, e quello è certamente vapore acqueo… così quelle nuvole, ed un oceano senz’altro molto grande, potrebbero mantenere la situazione ambientale entro limiti tollerabili nonostante la temperatura che abbiamo rilevato dall’emissione di microonde. Non posso ancora dirlo con sicurezza. Solo che…

— Sì, Golan?

— Ecco, se la Terra fosse radioattiva, questo potrebbe spiegare la sua temperatura più alta del previsto.

— Ma questo discorso non vale in senso contrario, vero? Se è più calda del previsto non è detto che sia per forza radioattiva, eh?

— No, no. — Trevize abbozzò un sorriso forzato. — Ma è inutile rimuginare, Janov. Tra un paio di giorni disporremo di più dati e avremo una risposta sicura.

22

Fallom sedeva sul lettino immersa nei propri pensieri quando Bliss entrò nella stanza. Fallom alzò un istante lo sguardo, poi riabbassò la testa.

Bliss le chiese sottovoce: — Che c’è, Fallom?

— Perché Trevize mi detesta tanto, Bliss?

— Cosa ti fa pensare che ti detesti?

— Mi guarda sempre con insofferenza… È la parola giusta?

— Può darsi.

— Mi guarda sempre con insofferenza quando sono vicino a lui. La sua faccia è sempre un po’… contratta.

— Trevize sta affrontando una situazione difficile, Fallom.

— Perché sta cercando la Terra ?

— Sì.

Fallom rifletté alcuni attimi, poi disse: — È insofferente soprattutto quando muovo le cose col pensiero.

Bliss serrò le labbra. — Fallom, mi sembra di averti detto che non devi farlo, soprattutto in presenza di Trevize.

— Be’, è successo ieri, proprio in questa stanza… Lui era sulla porta e io non l’ho notato. Non sapevo che stesse guardando… Comunque, era solo uno dei videolibri di Pel, ed io stavo cercando di farlo stare dritto su una punta. Non stavo facendo nulla di male.

— Facendo così lo rendi nervoso, Fallom. Non devi farlo, nemmeno quando lui non c’è.

— Si innervosisce perché non è capace di farlo?

— Forse.

— Tu sei capace?

Bliss scosse lentamente la testa. — No.

— Tu non ti innervosisci quando lo faccio, però… E nemmeno Pel si innervosisce.

— Le persone sono diverse.

— Lo so — disse Fallom, con una veemenza che fece corrugare la fronte a Bliss.

— Cosa sai, Fallom?

— Che io sono diversa.

— Certo, l’ho appena detto. Le persone sono diverse.

— La mia forma è diversa: io posso muovere le cose.

— È vero.

Con una nota di ribellione nella voce, Fallom sbottò: — Io devo muovere le cose. Trevize non dovrebbe arrabbiarsi con me per questo, e tu non dovresti impedirmelo.

— Ma perché devi muovere le cose?

— È pratica, esercizio. Jemby diceva sempre che dovessi esercitare i… i miei…

— Lobi trasduttori?

— Sì. Dovevo esercitarli e rafforzarli. Così, una volta grande, avrei potuto alimentare tutti i robot. Persino Jemby.

— Fallom, chi alimentava tutti i robot se non eri tu a farlo?

— Bander.

— Conoscevi Bander?

— Certo. L’ho visto molte volte. Sarei dovuta diventare il prossimo capo-tenuta. La tenuta Bander sarebbe diventata la tenuta Fallom. Me l’ha detto Jemby.

— Intendi dire che Bander veniva nella tua…

La bocca di Fallom sì spalancò allibita. Con voce strozzata. Fallom disse: — Bander non sarebbe mai venuto nella… — S’interruppe un attimo, ansando, quindi continuò: — Osservavo la sua immagine.

— Come ti trattava Bander? — domandò esitante Bliss.

Fallom la fissò leggermente perplessa. — Mi chiedeva se avessi bisogno di qualcosa, se stessi bene. Ma Jemby era sempre accanto a me, così non avevo mai bisogno di nulla e stavo sempre bene.

Fallom piegò la testa verso il pavimento, poi coprendosi gli occhi con le mani gemette: — Ma Jemby si è fermato… Si è fermato perché anche Bander si è fermato… credo.

Bliss chiese: — Perché dici una cosa del genere?

— Ci ho pensato… Bander alimentava tutti i robot, e se Jemby si è fermato, se tutti gli altri robot si sono fermati, vuol dire che deve essersi fermato anche Bander. Non è vero?

Bliss rimase in silenzio.

Fallom disse: — Ma quando mi riporterete su Solaria alimenterò Jemby e tutti gli altri robot, e sarò di nuovo felice.

Stava singhiozzando.

— Non sei felice con noi, Fallom? Nemmeno un po’? Almeno qualche volta?

Fallom alzò il viso rigato di lacrime e scosse la testa rispondendo con voce tremula: — Io voglio Jemby.

Commossa, Bliss la abbracciò. — Oh, Fallom come vorrei poter riunire te e Jemby! — E si rese conto che anche lei stava piangendo.

23

Pelorat entrò e vedendole si bloccò. — Che succede?

Bliss si staccò da Fallom e cercò un fazzolettino per asciugarsi gli occhi. Scosse la testa; e Pelorat ancora più preoccupato ripeté: — Insomma, che succede?

— Fallom — disse Bliss — riposati un po’. Vedrò di pensare qualcosa per migliorare un po’ la tua situazione. Ricorda… io ti amo come ti amava il tuo Jemby.

Prese Pelorat per il braccio e lo sospinse nel saloncino, spiegando: — Non è nulla, Pel… Nulla.

— Si tratta di Fallom, però, vero? Sente ancora la mancanza di Jemby.

— Moltissimo. E noi non possiamo farci nulla. Posso dirle che le voglio bene… ed è la verità: non si può non voler bene a una creatura così dolce e intelligente… Tremendamente intelligente. Troppo, secondo Trevize… Sai, Fallom vedeva Bander un tempo… o meglio l’osservava in proiezione olografica. Comunque quel ricordo non la tocca; ne parla in modo freddo, distaccato, e la capisco benissimo. A parte il fatto che Bander fosse il proprietario della tenuta e Fallom sarebbe diventata proprietaria dopo, non c’era alcun legame tra loro: nessun rapporto.

— Fallom si rende conto che Bander fosse suo padre?

— Sua madre. Se siamo d’accordo nel considerare Fallom una femmina, la stessa regola vale anche per Bander.

— Come vuoi, Bliss… Fallom si rende conto del rapporto di parentela che ci fosse tra loro?

— No, non credo nemmeno che capirebbe… od almeno, non lo ha dato a vedere. Però, Pel, ragionando ha concluso che Bander è morto, perché si è resa conto che la disattivazione di Jemby deve essere stata causata da una mancanza di energia, e dal momento che era Bander a fornire l’energia… La cosa mi spaventa.

Pelorat disse pensoso: — Perché, Bliss? In fin dei conti, è solo una deduzione logica.

— Da quella morte si può ricavare un’altra deduzione logica. La morte deve essere un fenomeno raro ed isolato su Solaria, considerando la longevità e l’isolamento degli Spaziali. L’esperienza della morte naturale deve essere estremamente limitata per loro, e probabilmente è del tutto assente dalla vita di una bambina solariana dell’età di Fallom. Se continuerà a pensare alla morte di Bander, Fallom comincerà a chiedersi perché, e dato che quella morte è avvenuta quando noi stranieri eravamo sul pianeta, lei sicuramente arriverà a cogliere nelle due cose un rapporto di causa ed effetto.

— Cioè concluderà che noi abbiamo ucciso Bander?

— Non siamo stati noi, Pel. Sono stata io.

— Questo non potrebbe saperlo.

— Ma dovrei dirglielo. Fallom è già seccata con Trevize, e Trevize è indiscutibilmente il capo della spedizione. Fallom attribuirebbe di certo a lui la responsabilità della morte di Bander, ed io non posso permettere che Trevize venga incolpato ingiustamente.

— Ma che importanza potrebbe avere, Bliss? La bambina non prova nulla per suo pa… per sua madre: è affezionata solo al suo robot, Jemby.

— Però la morte di sua madre ha provocato la morte del suo robot. Per poco non ho confessato la mia responsabilità. La tentazione era forte.

— Perché?

— Per poterle spiegare tutto a modo mio, per poterla calmare, per impedirle di arrivare a scoprire col ragionamento questa azione in apparenza ingiustificata.

— Ma era del tutto giustificata: si è trattato di legittima difesa. Ancora un istante e saremmo morti tutti, se non avessimo agito.

— È quello che avrei voluto dirle, ma non ci sono riuscita: avevo paura che non mi credesse.

Pelorat scosse la testa e sospirò. — Pensi che avremmo fatto meglio a non portarla con noi? Questa situazione ti rende così infelice…

— No, non dire una cosa simile — scattò rabbiosa Bliss. — Sarei stata molto più infelice al ricordo di avere abbandonato una bambina innocente, che sarebbe stata trucidata per colpa nostra.

— Sono le regole del mondo di Fallom, Bliss.

— Oh, Pel, non cominciare a pensare come Trevize. Per gli Isolati è possibile accettare cose del genere e non pensarci più. Ma Gaia mira a salvare la vita, non a distruggerla o ad assistere passivamente alla sua distruzione. Sappiamo tutti che ogni forma di vita sia destinata a cessare per garantire la sopravvivenza dì nuove forme dì vita, ma questo non deve mai avvenire inutilmente, senza scopo. La morte di Bander, per quanto inevitabile, è già abbastanza dura da sopportare… La morte di Fallom sarebbe stata qualcosa di intollerabile.

— Penso che tu abbia ragione, Bliss… Comunque, non ero venuto da te per parlare di Fallom… Si tratta di Trevize.

— Cos’ha?

— Bliss, mi preoccupa. È in attesa di verificare gli ultimi dati decisivi riguardo la Terra, e non so se riuscirà a reggere alla tensione.

— Trevize non mi preoccupa: a mio avviso, ha una mente solida e stabile.

— Abbiamo tutti i nostri limiti. Senti, la Terra è più calda del previsto, me l’ha detto lui. Ho l’impressione che pensi che possa essere troppo calda per essere abitabile, anche se chiaramente sta cercando di convincersi del contrario.

— Forse ha ragione: forse non è troppo calda per essere abitabile.

— Inoltre, ammette che non sia escluso che il calore possa derivare da una crosta radioattiva, ma si rifiuta di credere anche a questa possibilità… Tra un paio di giorni saremo abbastanza vicini da conoscere la verità… E se la Terra fosse davvero radioattiva?

— Be’, dovrà accettare la realtà.

— Ma… Non so come esprimerlo in termini mentali… Ma se alla sua mente…

Bliss attese, quindi disse con un sorrisetto amaro: — Saltasse un circuito?

— Ecco, sì… Non dovresti fare qualcosa per rinforzare le sue difese? Per mantenerlo equilibrato e padrone di sé?

— No, Pel. Trevize non è così fragile, secondo me. E poi Gaia ha deciso che la sua mente non debba subire alcun intervento.

— Ma è proprio questo il punto! Trevize possiede questa dote insolita di “esattezza” decisionale ed intuitiva. Se l’intero progetto fallisse quando siamo così vicini alla meta, forse il trauma per quanto grave non distruggerebbe il suo cervello, però potrebbe distruggere questa sua capacità di “esattezza”. È una capacità estremamente insolita, no? Non potrebbe essere anche estremamente fragile?

Bliss rifletté un attimo, poi si strinse nelle spalle. — Be’, forse lo terrò d’occhio, allora.

24

Nelle trentasei ore successive, Trevize si rese conto in modo vago che Bliss e Pelorat sembrassero seguirlo in ogni suo spostamento. Comunque, non era un fatto sorprendente date le dimensioni ridotte della nave, e lui aveva altro a cui pensare.

Ora, mentre sedeva al computer, avvertì la loro presenza appena oltre la porta. Sollevò lo sguardo e li fissò, inespressivo.

— Be’? — mormorò.

Piuttosto impacciato, Pelorat disse: — Come stai, Golan?

— Chiedilo a Bliss: mi fissa in continuazione da ore. Scommetto che stia frugando nella mia mente… Vero, Bliss?

— No, non è vero — rispose Bliss tranquilla. — Ma se credi di avere bisogno del mio aiuto, posso provare… Vuoi che ti aiuti?

— No, perché mai? Lasciatemi in pace adesso.

Pelorat chiese: — Per favore, spiegaci cosa stia succedendo.

— Indovina!

— La Terra…

— Già! Quello che ci hanno ripetuto chissà quante volte è verissimo. — Trevize indicò lo schermo. La Terra presentava il suo lato notturno e stava eclissando il Sole. Era un cerchio nero sullo sfondo del cielo stellato, e la sua circonferenza era delimitata da una curva arancione spezzata.

Pelorat fece: — Quell’arancione… è la radioattività?

— No. È la luce del Sole rifratta dall’atmosfera. Sarebbe un cerchio arancione perfetto se l’atmosfera non fosse così nuvolosa. La radioattività non si vede. Le radiazioni, persino i raggi gamma, vengono assorbite dall’atmosfera. Comunque, formano delle radiazioni secondarie più deboli che il computer è in grado di rilevare. Sono sempre invisibili ad occhio nudo, ma il computer può tradurre in luce visibile qualsiasi particella od onda radioattiva che riceva, e creare un’immagine contrastata a colori della Terra. Ecco.

Il cerchio nero si accese di una debole luce azzurrognola disseminata a chiazze.

— Quanta radioattività c’è? — chiese Bliss. — Abbastanza da escludere la possibilità di sopravvivenza della vita umana?

— Di qualsiasi forma di vita — rispose Trevize. — Il pianeta è inabitabile: anche l’ultimo virus è scomparso da un pezzo.

— Possiamo esplorarlo? — chiese Pelorat. — Certo, indossando la tuta spaziale…

— Per qualche ora… Poi saremmo contagiati in modo irreversibile dalle radiazioni.

— Allora cosa facciamo, Golan?

— Cosa facciamo? — Trevize fissò Pelorat con la stessa espressione vuota. — Sai cosa avrei voglia di fare? Vorrei riportare te e Bliss e la bambina su Gaia e lasciarvi là. Poi mi piacerebbe andare su Terminus e restituire la nave, e dimettermi dal Consiglio, così farei un grande favore al Sindaco Branno. Poi mi piacerebbe andare in pensione e lasciare la Galassia al suo destino, infischiandomene del Piano Seldon, della Fondazione, della Seconda Fondazione, di Gaia… La Galassia potrebbe scegliere da sola la sua strada. Esisterà ancora quando sarò morto, quindi perché dovrei preoccuparmi di quello che succederà poi?

— Non parlerai sul serio, spero? — fece Pelorat un po’ allarmato.

Trevize sospirò. — No, no… però, come mi piacerebbe poter fare esattamente come ho appena detto!

— Comunque, cosa intendi fare, adesso?

— Mantenere la nave in orbita attorno alla Terra, riposare, superare lo shock, e pensare alla prossima mossa. Solo che…

— Sì?

— Oh, insomma… Quale può essere la prossima mossa? Che altro c’è da cercare? Che altro c’è da trovare?

20. Il mondo vicino

25

Da quattro pasti consecutivi, Pelorat e Bliss vedevano Trevize solo durante i pasti. Per il resto del tempo, o era in sala comandi o nella sua stanza. Ed a tavola era taciturno. Teneva le labbra sigillate, e mangiava poco.

Al quarto pasto, però, Pelorat ebbe l’impressione che l’atteggiamento dell’amico non fosse più cupo come prima. Pelorat si schiarì la voce un paio di volte, come se stesse per dire qualcosa e si trattenesse all’ultimo istante.

Infine, Trevize lo guardò e chiese: — Be?

— Hai escogitato qualcosa, Golan?

— Perché me lo domandi?

— Sembri meno depresso.

— Sono ancora depresso… però ho riflettuto. E molto.

— Possiamo conoscere le tue conclusioni? — fece Pelorat.

Trevize lanciò una rapida occhiata a Bliss. Lei aveva lo sguardo incollato al suo piatto, chiusa in un silenzio cauto, quasi si rendesse conto che in un momento così delicato Pelorat avrebbe ottenuto risultati migliori di lei.

— Sei curiosa anche tu, Bliss? — fece Trevize.

Bliss alzò gli occhi un attimo. — Sì, certo.

Fallom imbronciata diede un calcio a una gamba del tavolo. — Abbiamo trovato la Terra ?

Bliss le strinse una spalla. Trevize la ignorò.

Disse: — Dobbiamo partire da un fatto basilare. Su vari mondi, tutte le informazioni riguardanti la Terra sono state cancellate. Il che ci porta ad una conclusione inevitabile: sulla Terra si nasconde qualcosa. Eppure, coi rilevamenti, vediamo che la Terra ha un livello letale di radioattività, radioattività che rappresenta un nascondiglio ideale: nessuno può atterrare sul pianeta, e da questa distanza, cioè nei pressi dei limite esterno della magnetosfera, non risulta nulla.

— Ne sei certo? — chiese Bliss.

— Ho passato parecchio tempo al computer, analizzando la Terra in ogni modo immaginabile: no, non c’è nulla là. E soprattutto, io sento che non ci sia nulla. Allora, perché i dati riguardanti la Terra sono stati cancellati? È impensabile che possa esistere un nascondiglio più efficace di questo, dunque a che scopo confondere ulteriormente le acque?

— Forse — disse Pelorat — un tempo c’era davvero qualcosa nascosto sulla Terra, quando la Terra non era ancora tanto radioattiva da essere inavvicinabile. Forse i Terrestri temevano che qualcuno atterrasse e trovasse questa misteriosa cosa nascosta, ed è stato allora che hanno cercato di cancellare le informazioni. In tal caso si tratterebbe soltanto di una traccia ormai insignificante che risale ad un passato di insicurezza.

— Non credo — replicò Trevize. — Se non sbaglio, la cancellazione delle informazioni della Biblioteca Imperiale di Trantor è avvenuta di recente. — Si rivolse a Bliss. — Giusto?

Bliss rispose: — Io/noi/Gaia abbiamo tratto questa conclusione dalla mente turbata dell’Oratore Gendibal, della Seconda Fondazione, quando lui, tu ed io ci siamo riuniti col Sindaco di Terminus.

— Dunque, la cosa che è stata nascosta in quanto esisteva la possibilità di scoprirla, deve essere nascosta anche adesso, e deve esserci tuttora la possibilità di trovarla, nonostante la radioattività della Terra.

— Ma come? — fece Pelorat apprensivo.

— Riflettiamo — disse Trevize. — Forse quella cosa, che era sulla Terra, non è più sulla Terra, ma è stata trasferita altrove quando il rischio radioattivo è aumentato troppo. Ed anche se il segreto non è più sulla Terra, può darsi che trovando la Terra si riesca a dedurre quale sia il nuovo nascondiglio… Da qui, la necessità di tenere ugualmente nascosta la posizione della Terra!

La vocetta di Fallom si intromise nel discorso. — Perché se non troviamo la Terra, Bliss dice che mi riporterete da Jemby.

Trevize fulminò Fallom con un’occhiataccia, e Bliss disse sottovoce: — Ti ho detto che forse l’avremmo fatto, Fallom. Ne riparleremo dopo. Adesso vai nella tua stanza e leggi, o suona il flauto, o fai quello che preferisci… Su, vai… vai…

Fallom imbronciata si allontanò dal tavolo.

Pelorat disse: — Ma come puoi fare una simile affermazione, Golan? Siamo arrivati. Abbiamo individuato la Terra. Se quello che cerchiamo non è sulla Terra, siamo davvero in grado di dedurre dove si trovi?

— Certo! — rispose Trevize, superato l’attimo di malumore provocato da Fallom. — Riflettiamo… La radioattività della crosta terrestre è sempre più alta… La popolazione diminuisce sempre più, perché muore o perché emigra… Ed il segreto, qualunque sia, si trova in pericolo… Come fare allora per proteggerlo? Non rimane che trasferirlo su un altro mondo, altrimenti non sarebbe più di alcuna utilità per la Terra. Probabilmente c’è una certa riluttanza, ed il trasferimento avviene all’ultimo momento… Bene, Janov, ricordi il vecchio di Nuova Terra che ti ha martellato le orecchie con le sue storie?

— Monolee?

— Appunto. Riferendosi alla fondazione di Nuova Terra, non ti ha detto che i superstiti della popolazione terrestre furono portati su quel pianeta?

— Intendi dire, vecchio mio, che quello che cerchiamo è su Nuova Terra? Che è stato portato là dai Terrestri partiti per ultimi?

— Non può darsi che sia così? — fece Trevize. — Nella Galassia, Nuova Terra è un mondo praticamente sconosciuto, quasi quanto la Terra, ed i suoi abitanti sono ansiosi di tenere alla larga i ficcanaso.

— Siamo stati su quel mondo — intervenne Bliss. — Eppure non abbiamo trovato nulla.

— Non stavamo cercando nulla, se non la posizione della Terra.

Pelorat osservò perplesso: — Ma noi cerchiamo qualcosa di tecnologicamente avanzato, qualcosa in grado di cancellare delle informazioni preziose sotto il naso della Seconda Fondazione, e persino… scusa, Bliss… persino sotto il naso di Gaia. Gli abitanti di Nuova Terra sono capaci di controllare i fenomeni meteorologici sulla loro isola, d’accordo, e dispongono di certe tecniche biotecnologiche, però devi riconoscere che il loro livello tecnologico complessivo sia piuttosto basso.

Bliss annuì. — Sono d’accordo con Pel.

Trevize ribatté: — Stiamo giudicando in base a dati troppo scarsi. Non abbiamo mai visto gli uomini della flotta da pesca. A parte il punto dove siamo scesi, non abbiamo visto nessuna altra zona dell’isola. Chissà cosa avremmo potuto scoprire compiendo un’esplorazione più accurata? In fin dei conti, non avevamo riconosciuto le luci fluorescenti finché non le abbiamo viste in funzione. E se il loro livello tecnologico sembrava basso… sembrava, ho detto…

— Sì — fece scettica Bliss.

— Ecco, forse rientrava nella messinscena allestita per mascherare la verità.

— Impossibile — fece Bliss.

— Impossibile? Sei stata tu a dirmi, su Gaia, che su Trantor il livello tecnologico globale fosse mantenuto volutamente basso per nascondere la presenza del piccolo gruppo di esponenti della Seconda Fondazione. Forse su Nuova Terra sono ricorsi alla stessa strategia, no?

— Vorresti dire, allora, che dovremmo tornare su Nuova Terra a farci contagiare, questa volta in modo definitivo? Indubbiamente il rapporto sessuale è un veicolo di contagio piacevole, forse però non è l’unico.

Trevize scrollò le spalle. — Non è che smanii dalla voglia di tornare là, ma può darsi che dobbiamo farlo.

Può darsi?

— Già, può darsi! C’è un’altra possibilità, infatti!

— Cioè?

— Nuova Terra ruota attorno alla stella chiamata Alpha Centauri. Ma Alpha Centauri fa parte di un sistema binario. Se chiamiamo il sole di Nuova Terra Alpha Centauri A, ed il suo compagno meno luminoso Alpha Centauri B… non potrebbe esserci un pianeta abitabile anche attorno ad Alpha Centauri B?

— È una stella troppo poco luminosa, secondo me — scosse il capo Bliss. — La sua luminosità rispetto al Alpha A è di un quarto.

— È poco luminosa, ma non troppo debole: basta che il pianeta sia abbastanza vicino alla stella.

Pelorat chiese: — Stando al computer, ci sono dei pianeti attorno alla stella gemella?

Trevize sorrise e rispose: — Ho controllato: ci sono cinque pianeti di dimensioni medie. Nessun gigante gassoso.

— E tra i cinque, ce n’è uno abitabile?

— Il computer non dà nessuna informazione su quei pianeti… dice soltanto che sono cinque e che non sono grandi.

— Oh — fece Pelorat deluso.

— Non è il caso di perdersi d’animo — disse Trevize. — I Mondi Spaziali non figurano nemmeno nel computer. Le informazioni su Alpha Centauri A sono minime… Se non si sa quasi nulla su Alpha Centauri B, be’, potremmo interpretarlo come un segno positivo.

— Allora che intenzioni hai? — chiese Bliss sbrigativa. — Vuoi raggiungere Alpha B e, se non approderemo a nulla, tornare ancora su Alpha A, vero?

— Sì. E questa volta quando raggiungeremo l’isola di Nuova Terra sapremo cosa aspettarci. Esamineremo per bene tutta l’isola prima di scendere… e, Bliss, spero che userai i tuoi poteri mentali per ripararci…

In quel preciso istante, la “Far Star” sussultò leggermente, fu scossa da una specie di singhiozzo navigazionale, e Trevize in un misto di rabbia e di stupore urlò: — Chi c’è ai comandi?

Ma mentre parlava conosceva già la risposta.

26

Fallom sedeva al computer, completamente assorta. Le sue mani piccole dalle dita affusolate erano allargate al massimo per combaciare coi contorni leggermente luminosi delle mani tracciate sulla scrivania. Le dita di Fallom sembravano affondare nel materiale della scrivania, anche se questo era effettivamente duro e sdrucciolevole.

Spesse volte Fallom aveva visto Trevize che teneva le mani in quella posizione, ed aveva capito che in quel modo controllasse la nave anche se in apparenza non faceva nient’altro.

Di tanto in tanto, lo aveva visto chiudere gli occhi, così adesso anche lei li chiuse. Dopo un attimo, le parve quasi di sentire una vocina lontana… lontana, ma che le risuonava nella testa, attraverso i lobi trasduttori (percepiva in modo vago). I lobi erano ancor più importanti delle mani. Si sforzò di capire le parole…

«Istruzioni, — chiese la voce, in tono quasi supplichevole. — Quali sono le istruzioni?»

Fallom non disse nulla. Trevize non diceva mai nulla al computer… Ma sapeva quale fosse la cosa che desiderasse con tutta se stessa. Voleva tornare su Solaria, nella sua comoda e smisurata residenza… da Jemby… Jemby… Jemby…

Voleva tornare là e, mentre pensava al mondo che amava, lo immaginò sullo schermo, visibile come tanti altri mondi che aveva visto ma che non le interessavano. Aprì gli occhi e fissò lo schermo desiderando che apparisse un altro mondo al posto di quella odiosa Terra… immaginando poi che quello che vedesse ora fosse Solaria… odiava la Galassia vuota in cui l’avevano gettata contrariamente alla sua volontà… Le vennero le lacrime agli occhi, e la nave tremò.

Fallom avvertì il tremito, ed a sua volta oscillò un po’…

Poi sentì dei passi pesanti nel corridoio, e d’un tratto la faccia di Trevize, contratta, le ostruì la visuale, nascondendo lo schermo che racchiudeva la meta dei suoi desideri. Trevize stava gridando qualcosa, ma lei lo ignorò. Era stato lui a portarla via da Solaria uccidendo Bander, era lui che le impediva di ritornare pensando solo alla Terra… be’, lei non lo avrebbe ascoltato.

Avrebbe riportato la nave su Solaria… e la forza della sua determinazione fece tremare di nuovo la “Far Star”.

27

Bliss afferrò il braccio di Trevize. — No! No!

Si aggrappò a lui, trattenendolo, mentre Pelorat, frastornato, pietrificato, indugiava sulla soglia.

Trevize stava urlando. — Togli le mani dal computer!… Bliss, non metterti in mezzo… Non voglio farti male!

— Non toccare la bambina! — gli intimò Bliss. — O dovrei farti del male io… ignorando tutte le istruzioni.

Lo sguardo inferocito di Trevize si spostò da Fallom a Bliss. — Allora levamela di torno! Subito!

Bliss lo spinse via con forza sorprendente. (Forza trasmessale da Gaia, forse, rifletté in seguito Trevize.)

— Fallom — disse Bliss — via le mani da lì.

— No — strillò la bambina. — Voglio che la nave vada su Solaria. Voglio che vada là. Là! — E fece un cenno in direzione dello schermo, senza spostarsi di un millimetro.

Bliss posò le mani sulle spalle della bambina, e subito Fallom cominciò a tremare.

La voce di Bliss divenne un mormorio… — Su, Fallom, di’ al computer di tornare come prima, e vieni con me. Vieni con me. — Le sue mani presero ad accarezzare Fallom, che si abbandonò a un pianto a dirotto.

Fallom staccò le mani dalla scrivania e Bliss, stringendola sotto le ascelle, la drizzò in piedi, la fece girare e l’attirò a sé, lasciando che la bambina si sfogasse sul suo petto.

Bliss disse a Trevize, fermo sulla soglia: — Spostati, e non toccarci adesso.

Trevize si scansò.

Bliss si fermò un istante e gli disse sottovoce: — Sono stata costretta ad inserirmi per un attimo nella sua mente: se avrò provocato qualche danno, non potrò perdonarti tanto facilmente.

Trevize avrebbe voluto ribattere che non gli importasse un millimetro di vuoto cosmico della mente di Fallom, che lui fosse preoccupato per il computer. Ma di fronte allo sguardo ostile di Gaia (quell’espressione che faceva raggelare il sangue non poteva dipendere unicamente da Bliss) preferì tacere.

Rimase zitto ed immobile finché Bliss e Fallom non furono uscite, o meglio finché Pelorat non mormorò: — Golan, stai bene? Non ti ha fatto male, vero?

Trevize scosse la testa con veemenza, quasi intendesse scrollarsi di dosso la paralisi momentanea che lo aveva bloccato. — Tutto a posto. Il problema se mai è un altro… Chissà se è a posto il computer! — Si sedette, posando le mani dove pochi istanti prima le aveva posate Fallom.

— Be’? — chiese ansioso Pelorat.

Trevize si strinse nelle spalle. — Pare che risponda normalmente. Può darsi che trovi qualcosa che non vada in un secondo tempo, ma per il momento niente di sospetto. — Ed aggiunse rabbioso: — Il computer dovrebbe entrare in contatto solo con le mie mani… ma nel caso di questo ermafrodita non si è trattato soltanto delle mani… Sono sicuro che anche i lobi trasduttori…

— Ma cos’è che ha scosso la nave? Non dovrebbe farlo, no?

— No. È una nave gravitazionale, e non dovrebbero sentirsi questi effetti inerziali. Ma quel piccolo mostro…

— Sì?

— Secondo me, ha dato al computer due istruzioni contraddittorie, e così forti che il computer sia stato costretto a tentare di fare entrambe le cose contemporaneamente: nel tentativo di fare l’impossibile, il computer deve avere annullato momentaneamente l’effetto anti-inerziale… Almeno, credo che sia successo questo…

Poi d’un tratto l’espressione di Trevize sì rilassò leggermente. — E forse è stato un bene che sia andata così, perché ripensandoci tutte le mie chiacchiere a proposito di Alpha Centauri A ed Alpha B erano solo sciocchezze: adesso so dove deve avere trasferito il suo segreto la Terra.

28

Pelorat lo fissò, poi ignorò l’ultima affermazione e tornò ad un interrogativo precedente. — In che modo Fallom può aver chiesto due cose contraddittorie?

— Be’, ha detto che voleva far tornare la nave su Solaria.

— Sì, certo.

— Ma cosa intendeva per Solaria? Fallom non può riconoscere Solaria dallo spazio: non l’ha mai vista dallo spazio. Dormiva quando siamo fuggiti da quel mondo, e per quanto abbia letto i tuoi libri, per quanto Bliss le abbia insegnato delle cose secondo me Fallom non è in grado di afferrare realmente il concetto di una Galassia che comprenda centinaia dì miliardi di stelle e milioni di pianeti abitati. È cresciuta sottoterra, in solitudine, ed è già tanto se riesce ad afferrare a fatica il concetto dell’esistenza di mondi diversi… Ma quanti? Due? Tre? Quattro? Vedendo un mondo, è logico che a lei sembri uguale a Solaria… anzi che lei pensi che quel mondo sia Solaria, dal momento che ha un desiderio disperato di tornare là… Ecco, probabilmente Bliss ha cercato di calmarla dicendole che se non avessimo trovato la Terra l’avremmo riportata su Solaria, per cui Fallom deve essersi messa in testa che Solaria sia vicina alla Terra.

— Be’… Ma cosa te lo fa pensare, Golan?

— È come se lei stessa ce lo avesse detto, Janov, quando ci siamo precipitati qui… Ha gridato che volesse andare su Solaria ed indicando lo schermo ha aggiunto: «là, là». E cosa c’era sullo schermo? Il satellite della Terra. Non c’era, quando mi ero allontanato dal computer per venire a mangiare… C’era la Terra allora sullo schermo… Ma quando ha chiesto Solaria, Fallom dev’essersi raffigurata mentalmente il satellite, ed il computer logicamente lo ha inquadrato… Credimi, Janov, so come funzioni questo computer.

Pelorat osservò la falce di luce sullo schermo e disse meditabondo: — Si chiamava “Luna” in una lingua della Terra. Ma chissà quanti altri nomi avesse nelle altre lingue… Immagina che confusione, vecchio mio, su un mondo con numerose lingue… pensa agli equivoci, alle complicazioni…

— Luna? — fece Trevize. — Be’, come nome non è affatto complicato… Tra parentesi, ora che ci penso, forse la bambina ha cercato istintivamente di muovere la nave servendosi dei suoi lobi trasduttivi, utilizzando l’energia della nave… e può darsi sia stato questo a causare quel momentaneo sbandamento inerziale… Comunque, non ha importanza, Janov… L’importante è che, grazie a questo incidente, sullo schermo sia apparsa la Luna… sì, mi piace il nome… è apparsa ingrandita, ed è ancora lì… La sto osservando, e sto notando qualcosa di interessante…

— Cosa, Golan?

— Le sue dimensioni. Di solito si tende ad ignorare i satelliti, Janov. Di solito sono così piccoli… Questo è diverso: è un mondo. Ha un diametro di circa tremilacinquecento chilometri.

— Un mondo? Non direi… Non può essere abitabile. Anche se ha un diametro del genere, è troppo piccolo: non ha atmosfera. Basta guardare per capirlo, non ci sono dubbi. La sua curvatura è molto accentuata, come lo è la linea interna di demarcazione tra l’emisfero diurno e quello notturno.

Trevize annuì. — Stai diventando un vero lupo dello spazio, Janov. Hai ragione: non c’è aria, non c’è acqua… Ma questo significa solamente che la Luna sia inabitabile in superficie… E sotto la superficie?

— Sottoterra? — fece Pelorat dubbioso.

— Sì, perché no? Le città della Terra erano sotterranee, mi hai detto… Trantor, pure… Buona parte della capitale di Comporellen è sotterranea, come lo sono le residenze solariane: è un fatto abbastanza comune, no?

— Ma, Golan, nei casi che hai elencato, si trattava di pianeti abitabili, abitabili in superficie, con tanto di atmosfera e di oceani… È possibile vivere sottoterra quando la superficie sia inabitabile?

— Via, Janov, rifletti! Dove stiamo vivendo noi adesso? La “Far Star” è un mondo microscopico dalla superficie inabitabile. All’esterno non ci sono né aria né acqua, eppure noi viviamo all’interno senza problemi. La Galassia è piena di stazioni spaziali e di insediamenti spaziali di ogni tipo che, come le navi spaziali, sono abitabili solo all’interno: la Luna può essere vista come una specie di gigantesca astronave.

— Con un equipaggio all’interno?

— Sì. Milioni di persone, per quel che ne sappiamo… e piante ed animali… ed una tecnologia avanzata… Ascolta, Janov, e dimmi se il mio discorso non è logico… Nei suoi ultimi giorni la Terra è riuscita a mandare un gruppo di coloni su un pianeta del sistema di Alpha Centauri, e con l’aiuto dell’Impero ha cercato di terraformarlo, seminando la vita negli oceani, costruendo letteralmente la terraferma dove non esisteva… Se ha fatto questo, allo stesso modo avrebbe potuto anche inviare un gruppo di coloni sulla Luna e terraformare l’interno del satellite, giusto?

Sebbene riluttante, Pelorat annuì: — È possibile.

— Certo. Se la Terra aveva qualcosa da nascondere, perché mandarla a più di un parsec di distanza dal momento che poteva nasconderla su un mondo vicinissimo? E da un punto di vista psicologico la Luna sarebbe stata certamente un nascondiglio più efficace. Quando si pensi ad un satellite, si pensa automaticamente all’assenza di vita. L’ho fatto anch’io. Con la Luna sotto gli occhi, figurati, i miei pensieri sono corsi verso Alpha Centauri! Se non fosse stato per Fallom… — Trevize serrò le labbra, scuotendo il capo. — Credo che dovrò riconoscerle questo merito. Od in caso contrario ci penserà sicuramente Bliss.

— Ma, vecchio mio, se sotto la superficie della Luna si nasconde qualcosa, come faremo a trovarla? Saranno milioni di chilometri quadrati.

— Circa quaranta milioni.

— E dovremmo setacciarli tutti? Cercando cosa? Un’apertura? Un portello stagno?

— Presentata in questi termini, sembrerebbe un’impresa colossale… ma ricorda che non stiamo cercando solo degli oggetti: stiamo cercando la vita, forme di vita intelligenti… Ed abbiamo Bliss. Individuare l’intelligenza è la sua specialità, no?

29

Bliss squadrò Trevize con aria accusatoria. — Finalmente sono riuscita a farla dormire. È stata dura, Fallom era fuori di senno: non credo di averle causato nessun danno, per fortuna.

Trevize replicò gelido: — Potresti provare a levarle dalla testa la sua fissazione per Jemby, perché non intendo affatto tornare su Solaria.

— Levarle la fissazione… una sciocchezza, vero, Trevize? Ma che ne sai tu di certe cose? Non hai mai percepito una mente, non hai la più pallida idea della complessità di una mente, altrimenti non parleresti della rimozione di una fissazione come se si trattasse di togliere della marmellata da un vasetto.

— Be’, almeno potresti indebolirla.

— Potrei indebolirla leggermente, forse, ma dopo un mese di infralettura accurata.

— Infralettura? Che significa?

— È impossibile spiegarlo ad un non-iniziato.

— Be’, allora che intendi fare riguardo la bambina?

— Non lo so ancora… Bisognerà riflettere a fondo.

— In tal caso — disse Trevize — ti spiegherò cosa faremo noi. So già quali siano le tue intenzioni: tornare su Nuova Terra ed abbordare di nuovo la bella Hiroko, se ti prometterà di non contagiarti questa volta.

Trevize rimase impassibile. — No, ho cambiato idea: andremo sulla Luna… che è il nome del satellite, stando a Janov.

— Sul, satellite? Perché è il mondo più a portata di mano? Non ci avevo pensato.

— Neppure io. Né alcun altro… Nella Galassia non esistono satelliti degni di nota… ma questo satellite, per le sue dimensioni, è unico. E soprattutto, l’anonimato della Terra sì estende anche sul suo satellite: chi non trova la Terra non trova nemmeno la Luna.

— È abitabile?

— In superficie, no… Però non è radioattiva, quindi non è inabitabile in assoluto. Forse ospita la vita… forse brulica addirittura di vita, sotto la superficie. E, naturalmente, tu sarai in grado di dircelo quando saremo abbastanza vicini.

Bliss si strinse nelle spalle. — Proverò… Ma come mai tutt’ad un tratto hai pensato al satellite?

Trevize rispose sottovoce: — L’idea mi è venuta dopo che Fallom si è impadronita dei comandi ed ha fatto una cosa.

Bliss aspettò maggiori delucidazioni, quindi si strinse ancora nelle spalle. — Qualunque cosa abbia fatto Fallom, ho la sensazione che non avresti avuto questa ispirazione se avessi dato retta ai tuoi impulsi di ucciderla.

— Mai avuto intenzione di ucciderla, Bliss.

Bliss agitò la mano. — D’accordo… Stiamo avanzando verso questa Luna, adesso?

— Sì. Per precauzione procediamo lentamente, ma se non ci saranno intoppi entro trenta ore dovremmo essere a destinazione.

30

La Luna era una distesa desolata. Trevize osservò la parte diurna che scorreva in basso… Un panorama monotono di crateri e di aree montuose, e di ombre nere e nettissime che spiccavano nel chiarore solare. Il terreno presentava lievi cambiamenti di colore e, di tanto in tanto, ampi tratti pianeggianti butterati da piccoli crateri.

Avvicinandosi al lato notturno, le ombre si allungarono per fondersi poi con l’oscurità. Per un po’, dietro di loro, i picchi montuosi scintillarono, più luminosi delle stelle. Poi scomparvero e sotto la “Far Star” rimase solo il debole riflesso della Terra, una grande sfera bluastra illuminata per meno di tre quarti. La nave infine superò anche la Terra, che scomparve sotto l’orizzonte, ed il panorama divenne di un nero assoluto.

Poi, di fronte, apparvero nuove stelle, brillanti… dapprima un paio, poi altre, sempre più fitte, a formare quasi una massa compatta. E di colpo oltrepassarono il terminatore e furono di nuovo nel lato diurno. Il sole ardeva, era di uno splendore infernale… Lo schermo cambiò subito inquadratura, filtrando il riflesso abbagliante del terreno sottostante.

Trevize si rendeva perfettamente conto che fosse assurdo sperare di trovare una via d’accesso all’interno abitato (sempre che esistesse) affidandosi solo ad una esplorazione visiva, data l’enormità di quel mondo.

Si voltò verso Bliss, seduta accanto a lui. Bliss non osservava lo schermo: aveva gli occhi chiusi e, più che seduta, era accasciata sulla sedia.

Trevize, chiedendosi se si fosse addormentata, fece sottovoce: — Non capti altro?

Bliss scosse la testa. — No… Solo quella debole traccia. Meglio tornare là… Conosci la posizione?

— Il computer la conosce.

Era come puntare su un obiettivo, e non ci volle molto per individuarlo. La zona in questione era nel lato notturno e, a parte il lucore grigiastro e spettrale riflesso dalla Terra, non si distingueva nulla, malgrado le luci della sala comandi fossero state spente per facilitare l’osservazione.

Pelorat si era avvicinato ed indugiava apprensivo sulla soglia. — Non abbiamo trovato nulla?

Trevize lo zittì alzando una mano. Stava osservando Bliss. Sapeva che sarebbero trascorsi dei giorni prima che la luce solare tornasse ad illuminare quel punto, ma sapeva anche che per quello che Bliss stesse cercando di individuare non occorreva alcun genere di luce.

Bliss disse: — È qua.

— Sicura?

— Sì.

— Ed è l’unico punto?

— L’unico che ho individuato. Abbiamo sorvolato tutta la superficie della Luna?

— Gran parte.

— Be’, nella parte che abbiamo esaminato, non ho individuato altro. Adesso è più forte… come se ci avesse individuato, e non mi sembra nulla di pericoloso. Percepisco una sensazione di benvenuto.

— Sicura?

— È la sensazione che percepisco.

Pelorat disse: — Non potrebbe essere una finzione?

Bliss replicò con un lieve scatto di alterigia: — Se fosse un trucco me ne accorgerei, te lo assicuro.

Trevize borbottò qualcosa a proposito della sicurezza eccessiva, poi disse: — Percepisci un’intelligenza, spero…

— Un’intelligenza molto forte. Solo che… — E la voce di Bliss assunse un tono strano.

— Solo che?

— Shhh… Lasciami concentrare — sussurrò Bliss. Poi, sorpresa: — Non è umana!

— Non è umana? — disse Trevize, ben più sorpreso. — Ancora robot? Come su Solaria?

— No — sorrise Bliss. — Non è nemmeno robotica.

— O è l’una o è l’altra.

— Nessuna delle due invece. — Ora Bliss ridacchiava. — Non è umana, eppure è diversa da quella dei robot che abbia incontrato finora.

Pelorat esclamò: — Mi piacerebbe proprio vedere cosa sia! — Scuoteva forte la testa, ed aveva gli occhi spalancati tanto era entusiasta. — Sarebbe eccitante… Qualcosa di nuovo!

— Qualcosa di nuovo — annuì Trevize sentendosi d’un tratto rincuorato… ed un lampo inatteso di intuizione parve sprizzargli dagli occhi.

31

Scesero verso la superficie lunare trascinati da qualcosa che rasentava l’esultanza. Persino Fallom si era unita a loro, e con tipico abbandono infantile faceva salti di gioia come se stesse tornando davvero su Solaria.

Trevize invece avvertiva dentro di sé un barlume di equilibrio mentale che creava degli interrogativi… Era strano che la Terra… o la parte di Terra che si trovasse ora sulla Luna… dopo aver fatto il possibile per tenere alla larga gli intrusi, adesso stesse invece invitandoli ad avvicinarsi… Che lo scopo fosse sempre lo stesso? Che si trattasse di un’applicazione della tattica che diceva: «Se non puoi tenerli alla larga, attirali all’interno e distruggili».

Ma quel pensiero scomparve travolto dal vortice di gioia che si faceva sempre più intensa via via che si avvicinavano alla superficie lunare. Intensa… comunque Trevize riuscì ad aggrapparsi all’attimo di illuminazione che l’aveva colpito poco prima che iniziassero il loro tuffo verso il satellite della Terra.

Apparentemente, Trevize non aveva alcun dubbio riguardo la destinazione della nave. Adesso stavano sfiorando la sommità delle alture ondulate, e Trevize, al computer, non sentiva il bisogno di fare nulla. Era come se lui ed il computer venissero guidati, e Trevize provava un’immensa euforia rendendosi conto che il peso delle responsabilità ormai non gravasse più sulle sue spalle.

Procedevano paralleli al terreno, verso un dirupo che si ergeva minaccioso come una barriera contro di loro; una barriera che scintillava debolmente nel riflesso terrestre e nel raggio luminoso della “Far Star”. Il pericolo di una collisione imminente non suscitò alcuna reazione in Trevize, e non provò la minima sorpresa quando si accorse che il tratto di dirupo davanti a loro si fosse spostato e che si fosse aperto un corridoio illuminato artificialmente.

La nave rallentò, insinuandosi senza problemi nell’apertura, Proseguendo… L’apertura si richiuse alle loro spalle, e di fronte a loro ne apparve un’altra. La nave penetrò nel secondo passaggio, sbucando in una sala gigantesca che sembrava l’interno cavo di una montagna.

La nave si fermò, e tutti si affrettarono verso la camera stagna ed il portello. Nessuno, nemmeno Trevize, pensò di controllare se all’esterno ci fosse un’atmosfera respirabile… od anche semplicemente un’atmosfera.

L’aria c’era, comunque. Respirabilissima, piacevole. Si guardarono intorno soddisfatti, come gente che fosse tornata a casa, e solo dopo un po’ notarono la presenza di un uomo che aspettava educatamente che si avvicinassero.

Era alto, aveva un’espressione grave. I suoi capelli erano color bronzo, corti; gli zigomi ampi, gli occhi luminosi. Ed i suoi vestiti ricordavano i costumi che si vedevano nei libri di storia antica. Anche se sembrava forte e vigoroso aveva chissà come un’aria vaga, indefinibile di stanchezza.

La prima a reagire fu Fallom. Lanciando un grido, si precipitò verso l’uomo, agitando le braccia, strillando: — Jemby! Jemby!

Non rallentò la sua corsa, e quando fu abbastanza vicina l’uomo si chinò e la sollevò, e lei gli gettò le braccia al collo singhiozzando, continuando ad esclamare: — Jemby!

Gli altri avanzarono dimostrando un maggior controllo, e Trevize disse scandendo bene le parole (chissà se quell’uomo capiva il Galattico?): — Le nostre scuse, signore. Questa bambina ha perduto il suo protettore e lo cerca disperatamente. Non so perché abbia pensato a voi, dal momento che sta cercando un robot, un essere mec…

L’uomo parlò per la prima volta: la sua voce era pratica, più che melodiosa, e conteneva qualche traccia di arcaismo; l’uomo però parlava il Galattico con estrema disinvoltura.

— Vi accolgo in amicizia — disse, ed il suo era senza dubbio un atteggiamento amichevole, malgrado l’espressione di perenne solennità della faccia. — E questa bambina forse è più perspicace di quel che crediate. perché io sono un robot. Il mio nome è Daneel Olivaw[7].

21. La ricerca termina

32

Trevize si ritrovò in uno stato di incredulità assoluta. Si era riavuto dalla strana euforia provata poco prima e poco dopo l’atterraggio… un’euforia impostagli dal sedicente robot che aveva di fronte, forse, rifletté Trevize.

Era ancora a bocca aperta, perfettamente lucido, e smarrito, stupefatto. In preda allo stupore, aveva parlato, comprendendo a stento quello che dicesse e quello che sentisse, cercando di trovare in quell’uomo, nel suo aspetto, nel suo comportamento, un indizio rivelatore della sua identità robotica.

Ecco perché Bliss aveva individuato qualcosa che non era né umana né robotica, bensì, per usare l’espressione di Pelorat, “qualcosa di nuovo”. Ed era stato un bene, naturalmente, perché a quel punto i pensieri di Trevize avevano preso una rotta diversa, più chiara…

Bliss e Fallom si erano allontanate per esplorare il posto. La proposta era stata di Bliss, ma Trevize aveva avuto l’impressione che fosse nata dopo una brevissima occhiata tra Bliss e Daneel. Quando Fallom si era rifiutata di muoversi chiedendo di restare lì, accanto all’essere che si ostinava a chiamare Jemby, una parola seria di Daneel ed un gesto della mano erano bastate a vincere immediatamente la resistenza della bambina. Trevize e Pelorat erano rimasti.

— Non appartengono alla Fondazione, signori — disse il robot, come se quello spiegasse tutto. — Una è Gaia, ed una è una Spaziale.

Trevize restò in silenzio mentre venivano accompagnati verso alcune sedie di linea estremamente semplice disposte sotto un albero. Ad un cenno del robot si accomodarono, dopo di che anche il robot si sedette, con movimenti del tutto umani.

— Sei davvero un robot? — chiese allora Trevize.

— Sì, signore.

Pelorat era raggiante di gioia. — Nelle vecchie leggende ci sono dei riferimenti ad un robot chiamato Daneel: sei stato chiamato così in suo onore?

Sono quel robot — rispose Daneel. — Non è una leggenda.

— Oh, no — fece Pelorat. — Per essere quel robot, dovresti avere migliaia di anni d’età.

— Ventimila — disse Daneel senza scomporsi.

Pelorat sembrò sconcertato e si voltò verso Trevize, che con una sfumatura di rabbia disse: — Se sei un robot, ti ordino di dire la verità.

— Non è necessario che mi si ordini di dire la verità, signore, io devo dirla. Dunque, signore, siete di fronte a tre possibilità… Sono un uomo e sto mentendo; sono un robot programmato in modo tale da credere di avere ventimila anni, ma non ho quell’età; oppure, sono un robot che abbia davvero ventimila anni… A voi decidere l’alternativa da accettare.

— Forse il problema si risolverà da solo continuando a parlare — fece Trevize asciutto. — Del resto, si stenta a credere di essere all’interno della Luna. La luce… — E mentre lo diceva guardò in alto, perché la luce era identica a quella del sole, anche se non c’era alcun sole in cielo, anche se non c’era neppure un cielo ben definito… — e la gravità non sembrano credibili. Questo mondo dovrebbe avere una gravità superficiale inferiore a 0,2 g.

— Normalmente la gravità superficiale dovrebbe essere di 0,16 g, per la precisione, signore. Comunque, viene aumentata dalle stesse forze che, sulla vostra nave, vi danno la sensazione di una gravità normale, ed in caduta libera ed in fase di accelerazione. Anche altri bisogni energetici, compresa la luce, vengono fronteggiati gravitazionalmente, anche se quando è comodo usiamo l’energia solare. Ai nostri bisogni materiali provvede il terreno lunare, esclusi gli elementi leggeri… l’idrogeno, il carbonio, l’azoto… che la Luna non possiede. Per procurarceli, catturiamo ogni tanto una cometa: ne basta una al secolo per rifornirci adeguatamente.

— Dunque la Terra è inutilizzabile in questo senso.

— Purtroppo, sì, signore. I nostri cervelli positronici sono sensibili alla radioattività, come le proteine umane.

— Usi il plurale… e questa residenza che abbiamo di fronte sembra molto grande, magnifica, elaborata… almeno vista da qui. Allora ci sono altri esseri sulla Luna? Esseri umani? Robot?

— Sì, signore. Sulla Luna abbiamo un’ecologia completa e un’ampia e complessa cavità che ospita questa ecologia. Gli esseri intelligenti, comunque, sono tutti robot, più o meno come me. Ma non ne vedrete neppure uno. E questa residenza, è usata solo da me ed è identica ad una in cui vivevo ventimila anni fa.

— Che ricordi dettagliatamente, vero?

— Vero, signore. Sono stato costruito ed ho vissuto per breve tempo sul Mondo Spaziale di Aurora.

— Quello coi… — Trevize si interruppe.

— Sì, signore: quello con i cani.

— Ne sei al corrente?

— Sì, signore.

— Come mai ti trovi qui, se all’inizio vivevi su Aurora?

— Signore, sono venuto qui agli inizi della colonizzazione della Galassia per impedire la creazione di una Terra radioattiva. Con me c’era un altro robot, di nome Giskard[8], capace di percepire e modificare le mentì.

— Come Bliss?

— Sì, signore. Il nostro tentativo non ebbe pienamente successo, e Giskard cessò di funzionare. Prima di cessare, però, fece in modo che anch’io disponessi del suo talento, ed affidò a me il compito di badare alla Galassia… alla Terra, soprattutto.

— Perché soprattutto alla Terra?

— In parte per via di un uomo di nome Elijah Baley, un Terrestre.

Pelorat intervenne eccitato: — Golan, è l’eroe culturale di cui ti ho parlato qualche tempo fa!

— Un eroe culturale, signore?

— Il dottor Pelorat con questo termine intende indicare una persona alla quale erano attribuite molte cose — disse Trevize — e che forse nella storia reale era un’unione di più uomini, od un personaggio inventato.

Daniel rifletté un istante. — Non è così, signori. Elijah Baley era un uomo vero, e singolo. Non so cosa dicano le vostre leggende, ma nella storia reale, senza di lui forse la Galassia non sarebbe mai stata colonizzata. In suo onore, ho fatto del mio meglio per salvare quel che potevo della Terra, dopo l’inizio della radioattività. I miei compagni robot furono inviati in tutta la Galassia nel tentativo di influenzare una persona qui… un’altra là… Una volta riuscii a organizzare l’avvio del riciclaggio del suolo terrestre. Un’altra volta, molto tempo dopo, avviai col mio intervento la terraformazione di un mondo del sistema di Alpha Centauri. In entrambi i casi non ebbi del tutto successo. Non potevo modificare a mio piacimento le menti umane, perché esisteva sempre il rischio di danneggiare gli esseri umani da influenzare. Vedete, a vincolarmi c’erano, e ci sono tuttora, le Leggi della Robotica.

— Sì?

Non erano necessari i poteri mentali di Daneel per cogliere l’incertezza presente in quel monosillabo.

— La Prima Legge, signore, è questa: «Un robot non può danneggiare un essere umano né, attraverso l’inazione, permettere che un essere umano venga danneggiato». La Seconda Legge dice: «Un robot deve obbedire agli ordini dati dagli esseri umani, a meno che questi ordini non violino la Prima Legge ». La Terza Legge dice: «Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché tale protezione non sia in contrasto con fa Prima o la Seconda Legge »… Naturalmente, vi espongo queste leggi nell’approssimazione del linguaggio, in realtà si tratta di complicate configurazioni matematiche dei nostri schemi cerebrali positronici.

— Ti riesce difficile tener conto di queste leggi?

— Certo, signore. Dev’essere così… La Prima Legge è qualcosa di assoluto che mi impedisce quasi l’uso dei miei poteri mentali. Quando si ha a che fare con la Galassia, è improbabile che un’azione non sfoci in qualche conseguenza dannosa. Alcune persone, forse molte, finiranno sempre col soffrire, per cui un robot dovrà scegliere il danno minore possibile. Eppure, la complessità delle possibilità è tale che occorre tempo per fare quella scelta, e nemmeno allora si può essere del tutto sicuri.

— Capisco — fece Trevize.

— Attraverso tutta la storia galattica — disse Daneel — ho cercato di migliorare gli aspetti peggiori dei conflitti e dei disastri manifestatisi nella Galassia. Può darsi che ci sia riuscito, qualche volta, ed in parte… ma se conoscete la storia galattica saprete di certo che i miei successi siano stati rari e di scarsa entità.

— Lo so — disse Trevize con un sorriso amaro.

— Appena prima della sua fine, Giskard concepì una legge robotica che superava addirittura la prima. La chiamammo «Legge Zero», non trovando un altro nome adeguato. La Legge Zero afferma che: «Un robot non può danneggiare l’umanità né, attraverso l’inazione, permettere che l’umanità venga danneggiata». Il che comporta automaticamente un cambiamento della Prima Legge in: «Un robot non può danneggiare un essere umano né, attraverso l’inazione, permettere che un essere umano venga danneggiato, purché questo non sia in contrasto con la Legge Zero ». E allo stesso modo vanno modificate anche la Seconda e la Terza Legge.

Trevize corrugò la fronte. — Come si fa a decidere quel che sia dannoso, o meno, per l’umanità presa complessivamente?

— Appunto, signore… In teoria, la Legge Zero era la risposta ai nostri problemi. In pratica, era impossibile decidere. Un essere umano è un oggetto concreto, i danni ad una persona possono essere valutati, osservati. L’umanità è un’astrazione: come comportarsi di fronte ad essa?

— Non lo so — disse Trevize.

— Un momento — intervenne Pelorat. — Si potrebbe trasformare l’umanità in un organismo singolo… Gaia.

— È quel che ho cercato di fare, signore. Organizzai la fondazione di Gaia. Trasformata in un singolo organismo, l’umanità sarebbe diventata un oggetto concreto, con riscontri visibili ed immediati. Comunque, creare un superorganismo non era facile come avessi sperato. Innanzitutto, bisognava che gli esseri umani dessero più importanza al superorganismo che alla loro individualità, quindi dovevo trovare una struttura mentale adatta. Trascorse parecchio tempo prima che pensassi alle Leggi della Robotica.

— Ah, allora i gaiani sono robot: l’avevo sospettato fin dall’inizio.

— In tal caso, i vostri sospetti erano infondati, signore. Sono esseri umani, ma nei loro cervelli è stato inculcato saldamente l’equivalente delle Leggi della Robotica. I gaiani devono rispettare la vita, rispettarla davvero… Ma superato questo ostacolo, restava un altro problema serio. Un superorganismo composto unicamente di esseri umani è instabile. È necessario aggiungere altri animali… piante… la materia inorganica, poi. Il superorganismo più piccolo veramente stabile è un mondo, un mondo abbastanza grande e complesso da possedere un sistema ecologico stabile. Mi occorse molto tempo per capirlo, e solo in quest’ultimo secolo la fondazione di Gaia si è conclusa e Gaia ha potuto iniziare ad evolversi in Galaxia. E malgrado ciò, anche questa fase richiederà molto tempo… anche se forse la strada da percorrere sarà più breve di quella già percorsa, dal momento che adesso conosciamo le regole.

— Però avevi bisogno di me, perché decidessi al tuo posto. È così, Daneel?

— Sì, signore. Le Leggi della Robotica non permettevano né a me né a Gaia di prendere quella decisione rischiando di danneggiare l’umanità… E nel frattempo, cinque secoli fa, quando trovare il metodo per superare le difficoltà che ostacolavano la creazione di Gaia sembrava un’impresa irrealizzabile, ricorsi ad una soluzione di ripiego accettabile e favorii lo sviluppo della scienza della Psicostoria.

— Avrei potuto immaginarlo — mormorò Trevize. — Sai, Daneel, comincio a credere che tu abbia davvero ventimila anni.

— Grazie, signore.

Pelorat disse: — Un attimo… Anche tu fai parte di Gaia, Daneel? È così che hai saputo dei cani su Aurora? Tramite Bliss?

Daneel rispose: — In un certo senso, signore: sono alleato a Gaia, anche se non ne faccio parte.

Trevize inarcò le sopracciglia. — Come Comporellen, il mondo che abbiamo visitato subito dopo essere partiti da Gaia… Anche là sostenevano di non appartenere alla Confederazione della Fondazione, ma di essere solo alleati.

Daneel annuì lentamente. — Un’analogia pertinente, direi. In quanto collegato a Gaia, posso sapere quello che sappia Gaia… tramite la donna, Bliss, per esempio. Gaia, invece, non può essere al corrente di quel che sappia io, per cui conservo la mia libertà d’azione. Libertà d’azione necessaria, finché Galaxia non avrà raggiunto una fase avanzata di sviluppo.

Trevize fissò il robot e domandò: — E ti sei servito di Bliss come tramite per influenzare il nostro viaggio, per plasmare gli eventi nel modo che ritenevi migliore?

Daneel sospirò, concedendosi un curioso atteggiamento umano. — Non ho potuto far molto, signore: le Leggi della Robotica mi frenano sempre… Tuttavia, ho alleviato il carico mentale di Bliss, assumendo una piccola parte delle sue responsabilità, perché potesse affrontare i lupi di Aurora e lo Spaziale dì Solaria con maggior prontezza e minor rischio per se stessa. Inoltre, ho influenzato la donna di Comporellen e quella di Nuova Terra, perché fossero ben disposte nei vostri confronti e non intralciassero il vostro viaggio.

Trevize sorrise mesto. — Avrei dovuto capirlo che non era merito mio.

Daneel accettò quella dichiarazione ignorando il rimprovero che Trevize rivolgeva a se stesso. — Al contrario, signore, in gran parte è stato merito vostro. Le due donne erano ben disposte nei vostri confronti fin dall’inizio. Io mi sono limitato ad accentuare un impulso già presente… in pratica, il massimo che si possa fare considerando le restrizioni delle Leggi della Robotica. Per quelle restrizioni, e per altre ragioni, solo con grandi difficoltà vi ho portati qui, e solo indirettamente. In parecchie occasioni ho rischiato seriamente di perdervi.

— Ed adesso sono qui — disse Trevize. — Cosa vuoi da me? Che confermi la decisione favorevole a Galaxia?

Il volto di Daneel, solitamente inespressivo, riuscì chissà come ad esprimere un senso di disperazione. — No, signore. La sola decisione non è più sufficiente. Vi ho condotti qui, come meglio potevo date le mie condizioni attuali, per qualcosa di ben più serio: sto morendo.

33

Forse dipendeva dal tono pratico di Daneel; forse dal fatto che dopo ventimila anni di vita la morte non sembrasse un evento tragico, soprattutto per chi fosse destinato a vivere per meno di cent’anni… In ogni caso, Trevize non provò alcuna compassione.

— Morire? Una macchina può morire?

— Posso cessare di esistere, signore. Usate il termine che preferite… Sono vecchio. Nessun essere senziente della Galassia in vita quando cominciai ad esistere è sopravvissuto fino ad oggi: io stesso manco di continuità.

— In che senso?

— Nel mio corpo, signore, non c’è una sola parte fisica che non sia stata sostituita più volte. Persino il mio cervello positronico ha subìto cinque sostituzioni. Ogni volta, il contenuto del cervello precedente è stato impresso in quello nuovo fino all’ultimo positrone. Ogni volta, il cervello nuovo aveva una capacità ed una complessità superiori rispetto al vecchio, e c’era spazio per una quantità maggiore di ricordi, per una maggiore rapidità di decisione e d’azione. Ma…

— Ma?

— Più un cervello è complesso, più è instabile, e più rapido è il suo deterioramento. Il mio ultimo cervello è centomila volte più sensibile del primo, ma mentre il mio primo cervello è durato oltre diecimila anni quello attuale ha appena seicento anni, ed è già senescente. Ormai ha raggiunto l’apice delle sue potenzialità, ed è subentrato il declino… La capacità decisionale è in rapido decadimento; la capacità di esaminare ed influenzare le menti a distanza iperspaziale sta diminuendo ancor più in fretta. Del resto, non posso certo progettare un sesto cervello. Una ulteriore miniaturizzazione cozzerebbe contro il muro del principio di indeterminazione, ed una ulteriore complessità garantirebbe solo un decadimento quasi immediato.

Pelorat sembrava estremamente turbato. — Ma, Daneel… senza dubbio Gaia può proseguire anche senza di te. Ora che Trevize ha deciso ed ha scelto Galaxia.

— Il processo ha richiesto troppo tempo, signore — disse Daneel, non tradendo come al solito alcuna emozione. — Ho dovuto aspettare che Gaia fosse una realtà compiuta, nonostante le difficoltà impreviste. Quando è stato individuato un essere umano, cioè il signor Trevize, in grado di prendere la decisione chiave, era ormai troppo tardi. Non crediate, comunque, che non abbia adottato alcuna misura per prolungare la mia esistenza. Progressivamente, ho ridotto le mie attività, risparmiandomi per i casi di emergenza. Quando non ho più potuto contare su degli interventi attivi per proteggere l’isolamento del sistema Terra/Luna, sono ricorso a mezzi passivi. Nell’arco di molti anni, i robot umaniformi che lavoravano con me sono stati richiamati alla base, ad uno ad uno. Il loro ultimo compito è stato quello di sottrarre dagli archivi planetari qualsiasi riferimento riguardante la Terra. E senza i miei compagni robot e me stesso in piena attività, a Gaia mancheranno i mezzi essenziali per realizzare lo sviluppo di Galaxia entro un periodo di tempo che non sia eccessivo.

— E tu sapevi tutto questo quando ho preso la mia decisione? — disse Trevize.

— Molto tempo prima, signore. Gaia, naturalmente, non lo sapeva.

— Ma allora — sbottò con rabbia Trevize — a che scopo continuare con questa storia? A cosa è servito? Da quando ho preso quella decisione, ho perlustrato la Galassia in cerca della Terra e di quello che consideravo il suo “segreto”… non sapendo che il segreto fossi tu… per poter confermare la decisione. Bene, l’ho confermata. Adesso so che Galaxia sia assolutamente essenziale… e scopro che non è servito a nulla. Perché non hai lasciato la Galassia al suo destino… perché non mi hai lasciato al mio destino?

— Perché, signore, stavo cercando una via d’uscita, e ho continuato nella speranza di trovarne una. Credo di esserci riuscito. Invece di sostituire il mio cervello con un cervello positronico, potrei fonderlo con un cervello umano, un cervello non soggetto alle Tre Leggi, che aumenterebbe la capacità del mio cervello ed introdurrebbe nuovi poteri. È per questo che siete qui.

Trevize inorridì. — Vorresti fondere un cervello umano col tuo? Sopprimere l’individualità del cervello umano per poter formare una specie di Gaia su scala ridotta?

— Sì, signore. Non diventerei immortale, forse però vivrei abbastanza a lungo da realizzare Galaxia.

— E mi hai portato qui per questo? Vuoi che rinunci alla mia individualità e ti offra la mia indipendenza dalle Tre Leggi e la mia capacità di giudizio?… No!

Daneel replicò: — Eppure un attimo fa avete detto che Galaxia sia essenziale per il benessere dell’uma…

— Anche se sia essenziale, occorrerebbe parecchio tempo per realizzarla, ed io rimarrei un individuo durante la mia vita. D’altro canto, realizzandola rapidamente, ci sarebbe una perdita di individualità a livello galattico e la mia perdita sarebbe una parte infinitesimale dì un fenomeno di portata smisurata… Comunque, non accetterei mai di perdere la mia individualità se il resto della Galassia conservasse la propria…

Daneel disse: — Proprio come pensavo. Il vostro cervello non si fonderebbe bene, ed in ogni caso è meglio che conservi una capacità di giudizio indipendente.

— Quand’è che hai cambiato idea? Hai detto che sono qui per la fusione.

— Ho detto: «È per questo che siete qui», ma il “voi” era inteso in senso plurale: mi riferivo a tutti voi.

Pelorat si irrigidì sulla sedia. — Davvero? Dimmi, Daneel, un cervello umano fondendosi col tuo assorbirebbe tutti i tuoi ricordi… ventimila anni di ricordi, fino ai tempi leggendari?

— Certo, signore.

Pelorat respirò a fondo. — Realizzerei il sogno della mia vita di studioso, un premio per il quale rinuncerei volentieri alla mia individualità… Bene, concedimi allora il privilegio di fondermi col tuo cervello.

Trevize intervenne sottovoce: — E Bliss?

Pelorat esitò solo un istante. — Bliss capirà… In ogni caso, senza di me starà meglio… dopo un po’.

Daneel scosse il capo. — La vostra offerta è generosa, dottor Pelorat, ma non posso accettarla. Il vostro cervello è vecchio e nella migliore delle ipotesi sopravviverà ancora per due o tre decadi, persino fuso col mio. Mi occorre qualcos’altro… Ecco! — Indicò e disse: — L’ho richiamata.

Bliss stava tornando con passo svelto, allegra.

Pelorat scattò in piedi. — Bliss! Oh, no!

— Non allarmatevi, dottor Pelorat — fece Daneel. — Non posso usare Bliss: mi fonderei con Gaia, mentre devo rimanere indipendente da Gaia, come ho già spiegato.

— Ma… allora… chi… — mormorò Pelorat.

E Trevize guardando la figura snella che correva alle spalle di Bliss disse: — Il robot voleva Fallom fin dall’inizio, Janov.

34

Bliss tornò sorridendo, chiaramente soddisfatta. — Non abbiamo potuto spingerci oltre i confini della tenuta, comunque questo posto mi ricorda moltissimo Solaria… Naturalmente, Fallom è convinta che questa sia Solaria. Le ho chiesto se Daneel non le sembrasse un po’ diverso da Jemby… in fin dei conti, Jemby era di metallo… e Fallom ha risposto: «No, non proprio». Non so cosa intendesse dire con quel “non proprio”.

Guardò Fallom, a breve distanza da loro, intenta a suonare il flauto mentre Daneel ascoltava assorto e muoveva la testa a tempo. Il suono arrivava fino a loro, lieve, limpido, ed incantevole.

— Lo sapevate che quando siamo scesi dalla nave lei aveva con sé il flauto? — chiese Bliss. — Ho l’impressione che non riusciremo a staccarla da Daneel per un pezzo.

Il commento fu accolto da un silenzio opprimente, e Bliss fissò allarmata i due uomini. — Che succede?

Trevize rivolse un cenno in direzione di Pelorat, cedendogli la parola.

Pelorat si schiarì la voce e disse: — A dire il vero, Bliss, penso proprio che Fallom resterà con Daneel per sempre.

— Davvero? — Bliss, corrugando la fronte, accennò a incamminarsi verso Daneel, ma Pelorat la trattenne.

— Bliss, cara, non puoi… È sempre più potente di Gaia, anche adesso, e Fallom deve restare con lui se vogliamo che Galaxia si realizzi. Lascia che ti spieghi… e, Golan, per favore, correggimi se sbaglio.

Bliss ascoltò il racconto, e la sua espressione diventò quasi disperata.

In un tentativo di fredda razionalità, Trevize ribadì: — Tutto quadra, Bliss. La bambina è una Spaziale, e Daneel è stato progettato e costruito dagli Spaziali. La bambina è stata allevata da un robot, e non conosceva altro in una tenuta vasta come questo posto, vasta e deserta. La bambina ha dei poteri trasduttivi che saranno utili a Daneel, e vivrà per tre o quattro secoli, forse il periodo necessario per l’edificazione di Galaxia.

Le guance arrossate, gli occhi umidi, Bliss disse: — Quel robot deve avere pianificato il nostro viaggio verso la Terra in modo tale da farci passare su Solaria a prendere una bambina che facesse al caso suo.

Trevize si strinse nelle spalle. — Forse ha semplicemente approfittato dell’opportunità che gli si è presentata. Ora come ora, non credo che i suoi poteri siano abbastanza forti da consentirgli di manovrare le persone a distanze iperspaziali.

— No. No c’è stato nulla di casuale… Il robot ha fatto in modo che provassi un affetto molto intenso per la bambina, che la portassi via invece di abbandonarla là a morire… Ha fatto in modo che la proteggessi persino da te, dal momento che eri solo seccato e risentito per la sua presenza a bordo.

Trevize disse: — Forse Daneel si è limitato semplicemente a far leva sulla tua etica gaiana… Via, Bliss, è inutile tormentarsi… Anche se potessi ripartire con Fallom, dove potresti portarla perché fosse felice come qui? La riporteresti su Solaria, a farla uccidere crudelmente? Su qualche mondo affollato dove si ammalerebbe e morirebbe? Su Gaia, dove le si spezzerebbe il cuore continuando a pensare al suo Jemby? In un viaggio interminabile attraverso la Galassia, dove ogni pianeta visto le sembrerebbe Solaria? E con chi la sostituiresti, per permettere a Daneel di continuare a dedicarsi alla costruzione di Galaxia?

Bliss, mestamente, restò in silenzio.

Pelorat, con una certa timidezza, le tese la mano. — Bliss, mi ero offerto volontario per fondermi con Daneel. Ma lui non ha accettato il mio cervello dicendo che sono troppo vecchio: vorrei che avesse accettato, così adesso avresti ancora Fallom.

Bliss gli prese la mano e la baciò. — Grazie, Pel, ma sarebbe stato un prezzo troppo alto, anche in cambio di Fallom. — Sospirò e si sforzò di sorridere. — Forse, quando torneremo su Gaia, nell’organismo globale ci sarà posto per un bambino tutto mio… e nelle sillabe del suo nome metterò anche “Fallom”.

Daneel, quasi fosse consapevole che la questione fosse stata risolta, stava incamminandosi verso di loro, affiancato da Fallom.

La bambina si mise a correre e li raggiunse per prima. Disse a Bliss: — Grazie, Bliss, per avermi riportata a casa da Jemby, e per esserti presa cura di me sulla nave. Ti ricorderò per sempre. — Poi si lanciò tra le braccia di Bliss.

— Ti auguro di essere sempre felice — disse Bliss. — Anch’io non ti dimenticherò, cara. — E si staccò dalla bambina a malincuore.

Fallom si rivolse a Pelorat. — Grazie anche a te, Pel, per avermi lasciato leggere i tuoi videolibri. — Quindi, senza aggiungere altro, e dopo una lieve esitazione, tese la mano a Trevize.

Trevize la strinse un attimo. — Buona fortuna, Fallom — mormorò.

Daneel disse: — Grazie, signori e signora, per quello che avete fatto. Ora siete liberi di andare, perché la vostra ricerca si è conclusa. E per quanto riguarda il mio lavoro, anch’esso si concluderà, abbastanza presto, e con esiti favorevoli.

Ma Bliss replicò: — Un attimo, non abbiamo ancora finito. Non sappiamo ancora se Trevize sia ancora convinto che il miglior futuro per l’umanità sia Galaxia, e non un grande conglomerato di Isolati.

Daneel rispose: — Il signor Trevize ha già chiarito questo punto poco fa, signora: ha scelto Galaxia.

Bliss contrasse le labbra. — Preferirei sentirlo dire da lui… Allora, Trevize, qual è la tua decisione?

Calmo, Trevize disse: — Che decisione preferisci, Bliss? Bocciando Galaxia, forse riavresti Fallom…

— Sono Gaia. Devo conoscere la tua decisione, ed il motivo, per amor di verità e basta.

Daneel intervenne: — Diteglielo, signore. La vostra mente, e Gaia lo sa, è libera da qualsiasi interferenza.

E Trevize rispose: — Ho scelto Galaxia: non ho più alcun dubbio.

35

Bliss rimase immobile per parecchi secondi, quasi volesse permettere che l’informazione raggiungesse tutte le parti di Gaia. Poi chiese: — Perché?

Trevize rispose: — Ascolta… Sapevo fin dall’inizio che i futuri possibili per l’umanità fossero due… Galaxia, od il Secondo Impero del Piano Seldon. E mi sembrava che quei due futuri si escludessero a vicenda. Per qualche motivo, la realizzazione dì Galaxia doveva essere collegata ad un difetto di base del Piano Seldon.

«Sfortunatamente non sapevo nulla del Piano Seldon, a parte i due assiomi fondamentali: primo, perché l’umanità possa essere studiata statisticamente come gruppo di individui in interazione casuale, il numero di esseri umani osservati deve essere sufficientemente grande; secondo, l’umanità non deve essere al corrente dei risultati delle equazioni psicostoriche prima del conseguimento di tali risultati.

«Dato che avevo già preso una decisione favorevole a Galaxia, sentivo inconsciamente che dovessero esserci delle imperfezioni nel Piano Seldon, e che tali imperfezioni potessero essere solo negli assiomi, l’unica cosa che conoscessi del Piano. Eppure gli assiomi mi sembravano giusti. Allora sono partito alla ricerca della Terra, perché sentivo che non potesse essere tanto nascosta senza un motivo preciso: dovevo scoprire questo motivo.

«Nulla mi garantiva che avrei trovato una soluzione una volta trovata la Terra, ma ero disperato e non avevo alcuna alternativa… E forse il fatto che Daneel desiderasse un bambino solariano è stata la spinta di cui avevo bisogno per proseguire.

«In ogni caso, finalmente abbiamo raggiunto la Terra, poi la Luna, e Bliss ha captato la mente di Daneel, come voleva Daneel stesso. Bliss ha descritto quella mente dicendo che non fosse né umana né robotica. A posteriori, si è rivelata una definizione sensata, perché il cervello di Daneel è più perfezionato del cervello di qualsiasi robot mai esistito, e non poteva essere percepito come un semplice cervello robotico. Né poteva del resto essere percepito come un cervello umano. Pelorat lo ha descritto usando l’espressione “qualcosa di nuovo”, e questo ha permesso anche a me di intuire a mia volta qualcosa di nuovo.

«Tempo addietro, Daneel ed il suo collega hanno elaborato una quarta legge della robotica che si poneva alla base delle altre tre… Allo stesso modo, di colpo ho intuito un terzo assioma fondamentale della Psicostoria, più importante degli altri due, un terzo assioma talmente basilare da passare inosservato.

«Eccolo… I due assiomi noti riguardano gli esseri umani e si basano su un assioma implicito… gli esseri umani sono l’unica specie intelligente della Galassia, e pertanto i soli organismi capaci di azioni significative nello sviluppo della società e della storia. Questo è in altre parole l’assioma dato per scontato: v’è una sola specie intelligente nella Galassia, e questa specie è l’Homo sapiens… Se ci fosse “qualcosa di nuovo”, se ci fossero altre specie di intelligenza di natura completamente diversa, allora il loro comportamento non sarebbe interpretabile matematicamente per mezzo della Psicostoria, ed il Piano Seldon non significherebbe più nulla. Capite?… Capite?

Pelorat disse: — Sì, capisco… ma volendo fare l’avvocato del diavolo, vecchio mio…

— Sì? Continua.

— Ecco… Gli esseri umani sono l’unica intelligenza della Galassia.

— Ed i robot? — fece Bliss. — E Gaia?

Pelorat rìfletté un istante, poi un po’ impacciato disse: — I robot non hanno avuto alcun ruolo significativo nella storia umana dalla scomparsa degli Spaziali. Gaia non ha avuto alcun ruolo significativo se non di recente. I robot sono stati creati dagli esseri umani, e Gaia è stata creata dai robot… e sia i robot che Gaia, in quanto limitati dalle Tre Leggi, non possono far altro che piegarsi alla volontà umana. Nonostante i ventimila anni di lavoro di Daneel, e la travagliata formazione di Gaia, basterebbe una sola parola da parte dì Golan Trevize, un essere umano, per vanificare tutto quanto. Dunque, l’umanità è l’unica specie intelligente significativa della Galassia, e la Psicostoria è ancora valida.

— L’unica forma di intelligenza della Galassia — ripeté lentamente Trevize. — Sono d’accordo. Eppure parliamo tanto spesso della Galassia da non renderci conto che non sia un riferimento sufficiente. La Galassia non è l’Universo: ci sono altre galassie.

Pelorat e Bliss parvero a disagio. Daneel continuò ad ascoltare con aria solenne e benevola, accarezzando lentamente i capelli di Fallom.

Trevize riprese: — Ascoltate… Appena oltre il limite della Galassia ci sono le Nubi di Magellano, dove nessuna nave umana si è mai spinta. Più in là, ci sono altre piccole galassie; e non molto lontano c’è la gigantesca Galassia di Andromeda, ed oltre quella altri miliardi di galassie.

La nostra Galassia ha dato origine ad un’unica specie abbastanza intelligente da formare una società tecnologica, ma che ne sappiamo delle altre? La nostra potrebbe essere atipica. In alcune delle altre, forse in tutte, possono esserci molte specie intelligenti concorrenti, in lotta tra loro, intelligenze incomprensibili per noi. Forse sono assorbite dalla loro rivalità reciproca… ma se in qualche galassia una specie conquistasse il predominio sulle altre specie, ed avesse il tempo di prendere in considerazione la possibilità di penetrare in altre galassie?

«Iperspazialmente, la Galassia è un punto… come tutto l’Universo. Non abbiamo visitato nessun’altra galassia, e per quel che ne sappiamo nessuna specie intelligente di un’altra galassia ha mai visitato la nostra… però un giorno la situazione potrebbe cambiare. E se arriveranno degli invasori, troveranno senza dubbio il modo di aizzare degli esseri umani contro altri esseri umani. Lottiamo tra noi da tanto tempo che siamo abituati a certe assurde dispute micidiali. Gli invasori trovandoci internamente divisi ci sottometteranno o ci distruggeranno. L’unica vera difesa è la realizzazione di Galaxia, che non potrà essere aizzata contro se stessa, e che sarà in grado di affrontare gli invasori dispiegando tutte le sue forze.

Bliss disse: — Il quadro che presenti è spaventoso… Faremo in tempo a realizzare Galaxia?

Trevize alzò lo sguardo, come se volesse penetrare lo spesso strato di roccia lunare che li separava dalla superficie e dallo spazio, come se volesse tendere lo sguardo fino a vedere quelle galassie remote che si spostavano lentamente attraverso distese inimmaginabili.

Disse: — In tutta la storia umana, a quanto ci risulti, nessun’altra intelligenza ci ha disturbato. Basta che le cose non cambino ancora per pochi secoli, un periodo trascurabile se si considera da quanto tempo esista la civiltà… Basta che le cose non cambino ancora per poco, e saremo al sicuro. In fin dei conti — ed a questo punto Trevize fu assalito da un turbamento improvviso che si sforzò di ignorare — non è che il nemico sia già qui tra noi.

E distolse lo sguardo per non incontrare gli occhi meditabondi di Fallom… ermafrodita, creatura trasduttiva e diversa… che lo fissavano imperscrutabili.

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