Bliss, entrando nella loro camera, disse: — Trevize ti ha avvisato che effettueremo il Balzo e passeremo nell’iperspazio da un istante all’altro?
Pelorat, chino sul visore, alzò il capo. — Be’, si è affacciato e mi ha detto: «Tra mezz’ora».
— Non mi va l’idea, Pel. Non mi è mai piaciuto il Balzo: mi provoca una strana sensazione di rivoltamento.
Pelorat parve un po’ sorpreso. — Bliss, cara, non pensavo che fossi una viaggiatrice spaziale.
— Infatti, non posso certo considerarmi tale, e non solo come componente di Gaia. Gaia stessa non ha occasione di compiere viaggi regolarmente. Per nostra natura, io/noi/Gaia non esploriamo, non commerciamo, non facciamo gite nello spazio. Eppure, c’è la necessità di avere qualcuno nelle stazioni di ingresso…
— Come quando siamo stati così fortunati da incontrarti.
— Sì, Pel — sorrise affettuosa Bliss. — E anche la necessità di visitare Sayshell o altre regioni stellari, per vari motivi… di solito clandestini. Ma, clandestino o no, questo comporta sempre e necessariamente il Balzo iperspaziale, e naturalmente quando una parte di Gaia effettua il balzo, tutta Gaia lo sente.
— Oh, peccato.
— Potrebbe andare anche peggio. La maggior parte di Gaia non viene sottoposta al balzo, così l’effetto risulta molto diluito. Comunque, pare che io sia particolarmente sensibile, più della media di Gaia. Come continuo a spiegare a Trevize, anche se tutta Gaia è Gaia, le componenti individuali non sono identiche. Abbiamo le nostre differenze, e per chissà quale motivo la mia costituzione è particolarmente sensibile al balzo.
— Aspetta! — esclamò Pelorat, ricordando d’un tratto. — Trevize me lo ha spiegato una volta… È sulle navi normali, chi viaggia lascia il campo gravitazionale galattico entrando nell’iperspazio, e vi ritorna al rientro nello spazio normale. Sono l’uscita ed il rientro a causare quegli inconvenienti. Ma la “Far Star” è una nave gravitazionale. È indipendente dal campo gravitazionale, ed in pratica non si sposta mai fuori e dentro il campo. Per questo motivo, non sentiremo nulla: te lo assicuro, cara, per esperienza personale.
— Ma è magnifico. Peccato che non abbia pensato di discuterne prima, mi sarei risparmiata tante apprensioni inutili.
— Ed i vantaggi non sono tutti qui — disse Pelorat, sentendosi col morale alle stelle in quel ruolo insolito di divulgatore di astronautica. — Una nave normale deve allontanarsi dalle grandi masse, tipo le stelle, per lunghi tratti attraverso lo spazio normale prima di effettuare il balzo. In parte questo avviene perché più si è vicini a una stella, più il campo gravitazionale è intenso, e più sono pronunciate le sensazioni collaterali del balzo. Inoltre, più il campo gravitazionale è intenso, più si complicano le equazioni da risolvere per effettuare un balzo sicuro e raggiungere il punto dello spazio normale desiderato.
«Su una nave gravitazionale, comunque, non si hanno sensazioni di balzo avvertibili. Questa nave, poi, dispone di un computer molto più perfezionato di quelli abituali, un computer capace di risolvere equazioni complesse con precisione e rapidità sorprendenti. Di conseguenza, invece di doversi allontanare da una stella per un paio di settimane prima di raggiungere una distanza di sicurezza per il balzo, alla “Far Star” bastano due o tre giorni di spostamento. Questo avviene anche perché non siamo soggetti ad un campo gravitazionale e, dunque, ad effetti inerziali… questa è la spiegazione di Trevize, cose che io ammetto di non capire… e così possiamo accelerare più velocemente di una normale nave.
— Bliss disse: — Meraviglioso, e la capacità di Trev di pilotare questa nave insolita gli fa onore.
Pelorat corrugò leggermente la fronte. — Per favore, Bliss. Di’ “Trevize”.
— Lo faccio, lo faccio. Ma quando lui è assente mi rilasso un po’.
— Non farlo. Non incoraggiare neppur minimamente questo tuo vizio: Trevize è molto suscettibile riguardo questo punto.
— Non riguardo questo punto, riguardo me: non gli sono simpatica.
— Non è vero — si affrettò a ribattere Pelorat. — Gliene ho parlato, sai?… Su, su, non imbronciarti. Ho usato molto tatto, bambina cara. Mi ha assicurato che non gli sei antipatica. Trevize diffida di Gaia, ed è infelice perché si è ritrovato a scegliere Gaia come futuro dell’umanità. Dobbiamo capirlo. Supererà questa fase, via via che comprenderà gradualmente i vantaggi di Gaia.
— Lo spero, ma non si tratta solo di Gaia. Qualunque cosa ti abbia detto, Pel… e ricorda che ti è molto affezionato e non vuole ferire i tuoi sentimenti… io proprio non gli piaccio personalmente.
— No, Bliss: impossibile.
— Non tutti sono obbligati ad amarmi solo perché tu mi ami, Pel. Lascia che ti spieghi. Vedi, Trev… d’accordo, Trevize… pensa che io sia un robot.
Un’espressione allibita increspò i lineamenti solitamente flemmatici di Pelorat. — Pensa che tu sia un essere umano artificiale? Impossibile!
— Cosa c’è di tanto sorprendente? Gaia è stata colonizzata con l’aiuto di robot. È un fatto risaputo.
— I robot avranno collaborato, come qualsiasi altra macchina, ma sono stati degli esseri umani a colonizzare Gaia; gente della Terra. È questo che pensa Trevize, lo so.
— Come ti ho detto, nella memoria di Gaia non c’è nulla riguardo la Terra. Invece, nei nostri ricordi più vecchi figurano ancora dei robot, a tremila anni di distanza, impegnati nel completamento della trasformazione di Gaia in mondo abitabile. All’epoca stavamo anche trasformando Gaia in coscienza planetaria… È occorso molto tempo, Pel, e questo è un altro motivo della nebulosità dei nostri ricordi più antichi, e forse non si è trattato di una cancellazione da parte della Terra, come crede Trevize…
— D’accordo, Bliss — fece Pelorat ansioso. — Ma… tornando ai robot?
— Be’, con la formazione di Gaia, i robot se ne andarono. Non volevamo una Gaia che comprendesse robot perché eravamo convinti, e lo siamo tuttora, che una componente robotica a lungo andare fosse dannosa per una società umana, sia Isolata che Planetaria. Non so in che modo arrivammo a questa conclusione, ma è possibile che si basasse su eventi collegati alla primissima fase della storia galattica, e pertanto esclusi dalla memoria di Gaia.
— Se i robot se ne andarono…
— Già, ma se qualche robot fosse rimasto? Se io fossi uno di loro… un robot di quindicimila anni? Trevize ha questo sospetto.
Pelorat scosse lentamente la testa. — Ma tu non sei un robot.
— Sei sicuro di crederlo davvero?
— Certo: tu non sei affatto un robot.
— Come puoi saperlo?
— Bliss, lo so! Non c’è nulla di artificiale in te. Se non lo so io, non può saperlo nessuno.
— Potrei essere un organismo artificiale perfetto fin nei minimi particolari, così perfetto da risultare indistinguibile da un essere umano. In tal caso, come faresti ad accorgerti della differenza?
— Mi pare impossibile che tu sia un organismo artificiale assolutamente perfetto — rispose Pelorat.
— Ma se fosse possibile, nonostante quello che pensi tu?
— No, semplicemente non ci credo.
— Facciamo una nuova ipotesi. Se fossi un robot indistinguibile, cosa proveresti?
— Ecco, io… io…
— Per essere più precisi, come reagiresti all’idea di fare l’amore con un robot?
Di colpo, Pelorat fece schioccare il pollice e il medio della destra. — Sai, esistono leggende di donne innamoratesi di uomini artificiali, e viceversa. Ho sempre pensato che avessero un significato allegorico, e non ho mai immaginato che potessero essere vere alla lettera[1]… Naturalmente, Golan ed io non avevamo mai sentito la parola “robot” prima di atterrare su Sayshell, ma ora che ci penso, quegli uomini e quelle donne artificiali dovevano essere proprio dei robot. Evidentemente, simili robot esistevano davvero nel remoto passato. Il che significa che le leggende andrebbero reinterpretate…
Pelorat piombò in un silenzio meditabondo, e dopo avere atteso alcuni istanti Bliss batté le mani all’improvviso, facendolo sussultare.
— Pel caro — disse Bliss — stai servendoti della tua mitografia per sottrarti alla domanda. La domanda è: come reagiresti all’idea di fare l’amore con un robot?
Lui la fissò a disagio. — Un robot veramente indistinguibile? Proprio identico ad un essere umano?
— Sì.
— In tal caso, mi pare che un robot indistinguibile da un essere umano sia un essere umano: se tu fossi un robot del genere, per me non saresti altro che un essere umano.
— È quello che volevo sentirti dire, Pel.
Pelorat attese, quindi fece: — Bene, adesso che te l’ho detto, cara, perché non mi dici che sei un essere umano naturale e che non c’è bisogno che io mi dibatta in situazioni ipotetiche?
— No, non farò nulla del genere. Hai definito un essere umano naturale come un oggetto che ha tutte le proprietà di un essere umano naturale. Se ritieni che io abbia tutte queste proprietà, allora la discussione è chiusa. Siamo giunti alla definizione operativa, e deve bastarci. Dopo tutto, chi mi dice che tu non sia un semplice robot indistinguibile da un essere umano?
— Io te lo dico: non sono un robot.
— Ah, ma se fossi un robot indistinguibile da un essere umano, potresti essere stato progettato in modo tale da affermare di essere un essere umano naturale, potresti addirittura essere stato programmato in modo tale da crederlo tu stesso. La definizione operativa è tutto quel che abbiamo, che possiamo avere.
Bliss circondò con le braccia il collo di Pelorat, e lo baciò. Il bacio diventò sempre più appassionato, e si protrasse finché Pelorat riuscì a dire con voce alquanto soffocata: — Avevamo promesso a Trevize di non creargli imbarazzo trasformando questa nave in un covo per amanti in luna di miele…
Bliss disse in tono carezzevole: — Lasciamoci andare, e dimentichiamo le promesse, non pensiamoci.
Turbato, Pelorat ribatté: — Ma non posso farlo, cara. Lo so che ti infastidirà, Bliss, ma io penso in continuazione, e sono costituzionalmente contrario a lasciarmi trasportare dai sentimenti. È un’abitudine vecchia quanto me, probabilmente molto noiosa per gli altri. Le donne con cui ho vissuto, prima o poi, si sono sempre lamentate di questo. La mia prima moglie… oh, ma immagino che sarebbe poco conveniente discutere di…
— Certo, poco conveniente, ma non del tutto sconveniente. Nemmeno tu sei il mio primo amante.
— Oh! — esclamò Pelorat, piuttosto perplesso. Poi, notando il sorrisetto di Bliss disse: — Volevo dire, certo che no. Non mi aspettavo di essere… In ogni modo, alla mia prima moglie non piaceva.
— Ma a me piace. Trovo attraente il tuo atteggiamento sempre meditabondo, pensoso.
— Non riesco a crederci, ma avrei un altro pensiero. Robot o umano, non importa. Su questo siamo d’accordo. Comunque, come sai sono un Isolato. Non faccio parte di Gaia, e quando siamo in rapporti intimi tu provi sentimenti esterni a Gaia anche quando mi lasci fondere con Gaia per un breve periodo di tempo, e può darsi non si arrivi alla stessa intensità emotiva che invece proveresti se fosse Gaia ad amare Gaia.
Bliss disse: — Pel, amare te presenta dei lati deliziosi: io non cerco altro.
— Ma non si tratta solo di amarmi. Tu non sei solamente te stessa. E se Gaia considerasse questo fatto una perversione?
— In tal caso, lo saprei, perché anch’io sono Gaia. E dal momento che con te provo piacere, pure Gaia lo prova. Quando facciamo l’amore, tutta Gaia è partecipe della sensazione a vari livelli. Quando dico che ti amo, significa che Gaia ti ama, anche se il ruolo immediato è assegnato solo alla parte rappresentata da me… Sembri confuso.
— Essendo un Isolato, Bliss, non afferro del tutto.
— Si può sempre fare un’analogia col corpo di un Isolato, Pel. Quando fischietti un motivo, il tuo intero corpo, cioè tu come organismo, vuole fischiare il motivo, ma il compito diretto spetta alle tue labbra, alla lingua ed ai polmoni: il tuo alluce destro non fa nulla.
— Potrebbe battere il tempo.
— Ma battere il tempo con l’alluce non è indispensabile all’atto del fischiare. Battere il piede non è l’azione stessa ma una reazione, e in effetti tutte le parti di Gaia potrebbero reagire in un modo o nell’altro ai miei sentimenti, come io reagisco ai loro.
Pelorat disse: — Immagino sia inutile sentirsi imbarazzati per questo.
— Sì, perfettamente inutile.
— Però provo uno strano senso di responsabilità. Quando cerco di renderti felice, in pratica è come se cercassi di rendere felice ogni organismo di Gaia.
— Fino all’ultimo atomo… Ma ci riesci. Incrementi il senso di gioia comune che io ti lascio percepire brevemente. Certo, il tuo contributo è troppo piccolo per essere facilmente misurabile, però esiste, il che dovrebbe accrescere la tua gioia.
Pelorat disse: — Peccato che non abbia la certezza che Golan sia abbastanza preso dalle manovre iperspaziali da restare in sala comandi per un po’…
— Vorresti concederti una luna di miele, vero?
— Sì.
— Allora prendi un foglio, scrivi sul foglio “Reparto Luna di Miele” ed attaccalo fuori sulla porta, così se lui vorrà entrare sarà un problema suo.
Pelorat lo fece, e fu durante le piacevoli procedure successive che la “Far Star” effettuò il balzo. Né Pelorat né Bliss se ne accorsero, del resto non se ne sarebbero accorti nemmeno se avessero prestato attenzione.
Erano trascorsi solo pochi mesi da quando Pelorat aveva conosciuto Trevize e aveva lasciato Terminus per la prima volta. Fino ad allora, per oltre mezzo secolo (tempo galattico standard) di vita, non si era mai staccato dalla superficie del pianeta.
Nel suo intimo, in quei mesi Pelorat era diventato un vecchio lupo dello spazio. Aveva visto tre pianeti dallo spazio: Terminus stesso, Sayshell e Gaia. E sullo schermo adesso ne vedeva un quarto, quantunque attraverso un congegno telescopico controllato dal computer: quel quarto pianeta era Comporellen.
E per la quarta volta Pelorat si sentì vagamente deluso. Chissà perché, continuava a credere che guardare un mondo abitabile dallo spazio significasse vedere il profilo dei suoi continenti sullo sfondo del mare circostante, o nel caso di un mondo asciutto, i contorni dei suoi laghi all’interno della massa di terra.
Non succedeva mai.
Se un mondo era abitabile, aveva un’atmosfera oltre ad una idrosfera. E se aveva sia aria che acqua, aveva ammassi di nubi; e se c’erano nubi, la vista era ostruita. Ancora una volta, Pelorat si ritrovò a guardare dei vortici bianchi che lasciavano scorgere di tanto in tanto una chiazza d’azzurro o di marrone ruggine.
Accigliato, si chiese come fosse possibile identificare un mondo osservandolo su uno schermo a 300 mila chilometri di distanza. Com’era possibile distinguere un vortice di nubi da un altro?
Bliss fissò Pelorat preoccupata. — Che c’è, Pel? Sembri infelice.
— È che tutti i pianeti sono uguali visti dallo spazio.
Trevize disse: — E allora, Janov? Anche tutte le coste di Terminus sembrano uguali all’orizzonte, a meno che non si sappia cosa cercare… un particolare picco montuoso, od un isolotto al largo dalla forma caratteristica.
— Lo so, grazie — replicò Pelorat chiaramente insoddisfatto. — Ma che riferimenti si possono cercare in una massa di nubi in movimento? Ed anche provando, prima di trovarli, ci si sposta probabilmente nel lato notturno.
— Guarda più attentamente, Janov. Se segui la disposizione delle nubi, vedi che tendono a formare una massa che gira attorno al pianeta e che ha un centro: quel centro corrisponde più o meno ad uno dei poli.
— Quale? — chiese Bliss interessata.
— Dato che, rispetto a noi, il pianeta ruota in senso orario, noi ci troviamo per definizione sul polo sud. Dato che il centro è ad una quindicina di gradi dal terminatore, la linea d’ombra del pianeta, e dato che l’asse planetario è inclinato di ventun gradi rispetto alla perpendicolare del piano di rivoluzione, siamo o a metà primavera o a metà estate, a seconda che il polo si stia allontanando dal terminatore o si stia avvicinando. Il computer può calcolare la sua orbita e comunicarmelo subito, se dovessi chiederlo. La capitale si trova a nord dell’equatore, quindi là è autunno od inverno inoltrato.
Pelorat corrugò la fronte — Sei in grado di capire tutte queste cose? — Ed osservò lo strato di nubi quasi si aspettasse che cominciasse a parlargli ed a rivelargli dati, cosa che naturalmente lo strato di nubi non fece.
— Queste e altre — disse Trevize. — Se guardi le zone polari, vedrai che non ci sono squarci nel manto di nubi, a differenza di quanto avviene nelle zone lontane dai poli. In realtà, degli squarci ci sono ma attraverso di essi si vede solo ghiaccio, bianco su bianco quindi.
— Ah — fece Pelorat — immagino sia un fatto scontato ai poli.
— Sui pianeti abitabili, certamente. I pianeti inabitabili possono essere privi d’aria o di acqua, o possono presentare certi segni che dimostrino che le nubi non siano di vapore acqueo, o che il ghiaccio non sia ghiaccio acqueo. Questo pianeta non presenta questi segni, pertanto sappiamo di trovarci di fronte a nubi e ghiaccio di origine acquea.
«La cosa che notiamo successivamente sono le dimensioni dell’area di bianco ininterrotto sul lato diurno del terminatore, che all’occhio esperto appare subito più estesa della media. Inoltre, si può notare una certa sfumatura aranciata, molto debole, nella luce riflessa, il che significa che il sole di Comporellen sia decisamente più freddo del sole di Terminus. Malgrado Comporellen sia più vicino al suo sole in confronto a Terminus, non è abbastanza vicino da compensare la temperatura inferiore della sua stella. Dunque, pur nei limiti dell’abitabilità, Comporellen è un mondo freddo.
— Leggi tutto come un videolibro, vecchio mio — commentò Pelorat ammirato.
— Non meravigliarti troppo — sorrise affettuosamente Trevize. — Il computer mi ha fornito tutti i dati statistici utili del pianeta, compresa la sua temperatura media un po’ bassa. È facile dedurre qualcosa che si sappia già. In effetti, Comporellen è prossimo ad un’era glaciale, e l’attraverserebbe se la configurazione dei suoi continenti fosse più adatta al fenomeno.
Bliss si morse il labbro inferiore. — Non mi piacciono i mondi freddi.
— Abbiamo indumenti caldi — disse Trevize.
— Non importa. Gli esseri umani non sono fatti per il freddo. Non abbiamo manti spessi di pelo o di piume, né uno strato sottocutaneo di grasso. Se un mondo ha un clima freddo significa che è abbastanza indifferente verso il benessere delle sue parti.
Trevize chiese: — Gaia è un mondo uniformemente mite?
— Per lo più, sì. Ci sono alcune zone fredde per piante e animali adatti al freddo, e alcune zone calde per piante ed animali che prediligono il caldo eccessivo, ma per lo più le parti di Gaia hanno un clima mite uniforme, mai troppo caldo mai troppo freddo, per gli esseri intermedi, compresi gli esseri umani, naturalmente.
— Gli esseri umani, naturalmente. Tutte le parti di Gaia sono vive e pertanto uguali ma alcune come gli esseri umani, sono evidentemente più uguali delle altre.
— Non fare dello sciocco sarcasmo — replicò Bliss, con una punta di stizza. — Il livello e l’intensità di coscienza e consapevolezza sono importanti. Un essere umano rappresenta una parte di Gaia più utile di una roccia dello stesso peso, e le proprietà e le funzioni di Gaia come organismo globale propendono per gli esseri umani… non come sui vostri Mondi isolati, comunque. E certe volte, quando si tratta dei bisogni globali di Gaia, gli esseri umani passano in secondo piano. Ad esempio, per lunghi periodi di tempo, potrebbe passare in primo piano l’interno roccioso. Anche quello richiede attenzione, o tutte le parti di Gaia potrebbero soffrirne. A nessuno piacerebbe un’eruzione vulcanica inutile, no?
— Già, un’eruzione inutile non piace a nessuno — disse Trevize.
— Sei ancora dello stesso parere, vero?
— Ascolta — disse Trevize. — Abbiamo mondi più freddi e più caldi della media; mondi coperti in gran parte da foreste tropicali, e mondi occupati da savane sterminate. Non esistono due soli mondi identici, e ogni mondo è una casa per quelli che si siano abituati alle sue caratteristiche. Io mi sono abituato alla relativa mitezza di Terminus (lo abbiamo trasformato in un ambiente moderato quasi quanto Gaia, in effetti) però almeno temporaneamente mi piace passare a qualcosa di diverso. A differenza di Gaia, Bliss, noi abbiamo la varietà. Se Gaia sfocerà in Galaxia, tutti i mondi della Galassia saranno costretti a diventare miti? Una simile uniformità sarebbe insopportabile.
Bliss rispose: — In tal caso, e se la varietà sarà preferibile, la varietà verrà conservata.
— Come dono del comitato centrale, per così dire? — sbottò secco Trevize. — E a piccole dosi controllate? Preferirei lasciare che fosse la natura a decidere.
— Ma non avete lasciato che fosse la natura a decidere: tutti i mondi abitabili della Galassia sono stati modificati; le condizioni naturali originarie di ogni mondo erano disagevoli per l’umanità, e i mondi sono stati modificati, resi accoglienti il più possibile. Se questo mondo è freddo, sono sicura che è così perché i suoi abitanti non erano in grado di scaldarlo ulteriormente senza affrontare costi proibitivi. Ed in ogni caso, le parti abitate sicuramente saranno riscaldate artificialmente a livelli accettabili per l’uomo. Quindi non dire con tanto moralismo e superbia che sarebbe meglio lasciare alla natura certe decisioni.
Trevize disse: — Parli per Gaia, immagino.
— Parlo sempre per Gaia: io sono Gaia.
— Ma se Gaia è così sicura della propria superiorità, perché si è resa necessaria la mia decisione? Perché non avete agito senza di me?
Un attimo di pausa, quasi volesse riordinarsi le idee, poi Bliss rispose: — Perché non è saggio fidarsi eccessivamente di sé. È più facile, e naturale, vedere le proprie virtù che i propri difetti. Noi siamo ansiosi di fare quel che è giusto; non quello che ci sembri giusto, ma quel che sia giusto, obiettivamente, ammesso che esista qualcosa di obiettivamente giusto. Tu sei la cosa più vicina all’obiettività che siamo riusciti a trovare, dunque ci lasciamo guidare da te.
— Ho talmente ragione, sono così vicino al giusto, che non capisco nemmeno il perché della mia decisione, e cerco una giustificazione di base — commentò con aria mesta Trevize.
— La troverai — disse Bliss.
— Lo spero.
— Se devo essere sincero, vecchio mio — intervenne Pelorat — mi pare che quest’ultima discussione sia stata vinta piuttosto agevolmente da Bliss. Perché non riconosci che le sue argomentazioni giustifichino la tua decisione, che Gaia rappresenti il futuro dell’umanità?
Trevize rispose brusco: — Perché quando ho preso la mia decisione non sapevo nulla di queste argomentazioni, non ero al corrente di certi particolari di Gaia. È stato qualcos’altro ad influenzarmi, almeno inconsciamente, qualcosa che non è collegato a Gaia, qualcosa che dev’essere più basilare. È questo che devo scoprire.
Pelorat alzò una mano, conciliante. — Non arrabbiarti, Golan.
— Non sono arrabbiato. Sono solo sottoposto ad una tensione quasi insostenibile: non voglio essere il punto focale della Galassia.
Bliss disse: — Ti capisco, Trevize, e mi spiace davvero che le tue capacità ti abbiano costretto ad occupare questa posizione… Quando atterreremo su Comporellen?
— Fra tre giorni, e solo dopo aver fatto sosta ad una delle stazioni d’ingresso in orbita attorno al pianeta.
Pelorat chiese: — Non dovrebbero esserci problemi alla stazione, vero?
Trevize scrollò le spalle. — Dipende dal numero di navi che convergono su Camporellen, dal numero delle stazioni di ingresso esistenti, e soprattutto dalle norme in base a cui consentire o rifiutare l’ingresso. Certe norme cambiano di tanto in tanto.
Pelorat eruppe, indignato: — Come, rifiutare l’ingresso? Come possono rifiutare l’ingresso a cittadini della Fondazione? Comporellen non fa parte dei territori della Fondazione?
— Be’, sì… e no. A questo proposito c’è una questione legalitaria piuttosto delicata, e non so di preciso in che modo la interpreti Comporellen. Può darsi che ci rifiutino il permesso d’ingresso, ma lo ritengo poco probabile.
— E se accadesse, cosa facciamo?
— Non lo so — rispose Trevize. — Aspettiamo di vedere cosa succeda prima di logorarci pensando a piani alternativi.
Erano sufficientemente vicini a Comporellen, e adesso il pianeta appariva come un globo consistente anche senza ingrandimento telescopico. Con l’ausilio del telescopio, però, era possibile vedere le stazioni d’ingresso. Erano le strutture orbitanti più esterne, ed erano ben illuminate.
Avvicinandosi dalla direzione del polo sud del pianeta, come stava facendo la “Far Star”, una metà del globo era costantemente illuminata dal sole. Le stazioni d’ingresso sul lato notturno naturalmente erano visibili in maniera più netta come scintille di luce. Erano distribuite a intervalli regolari formando un arco attorno al pianeta. Se ne scorgevano sei (più sei sul lato diurno, senza dubbio), e tutte ruotavano a velocità costante e identica.
Pelorat, un po’ intimorito dalla vista, disse: — Ci sono altre luci più vicine al pianeta. Cosa sono?
Trevize rispose: — Non conosco Comporellen in modo dettagliato, quindi non sono in grado di dirtelo. Alcune potrebbero essere fabbriche orbitali, o laboratori od osservatori, forse addirittura comunità popolate. Certi pianeti preferiscono far sì che gli oggetti in orbita risultino scuri esternamente, tranne le stazioni d’ingresso. Terminus, per esempio. Pare invece che Comporellen abbia un atteggiamento più liberale.
— Verso quale stazione ci dirigeremo, Golan?
— Dipende da loro. Io ho inviato la mia richiesta a terra su Comporellen, e prima o poi riceveremo istruzioni che ci indicheranno a quale stazione rivolgerci, e quando. Dipende soprattutto da quante navi in arrivo stiano cercando di passare. Se ad ogni stazione c’è una dozzina di navi in attesa, dovremo per forza pazientare.
Bliss disse: — Prima d’ora mi sono trovata a distanza iperspaziale da Gaia due sole volte, ed in entrambi i casi ero su Sayshell o vicino a Sayshell: non mi sono mai trovata ad una distanza del genere.
Trevize la squadrò arcigno. — Ha importanza? Sei ancora Gaia, no?
Per un attimo, Bliss parve irritata, poi si abbandonò ad una risatina che rivelava un leggero imbarazzo. — Devo ammettere che questa volta mi hai colta in fallo, Trevize. La parola “Gaia” ha un doppio significato. Può indicare il pianeta stesso come oggetto globulare nello spazio; può inoltre indicare l’organismo vivente che include quel globo. Parlando correttamente, dovremmo usare due parole diverse per i due concetti diversi, ma i gaiani capiscono sempre dal contesto a cosa ci si riferisca. Ammetto che un Isolato a volte possa incontrare delle difficoltà.
— Bene, allora — disse Trevize — assodato che ti trovi a molte migliaia di parsec da Gaia come globo, fai ancora parte di Gaia considerata come organismo?
— Se ci riferiamo all’organismo, sì, faccio ancora parte di Gaia.
— Senza attenuazioni?
— Essenzialmente, no. Mi pare di averti già detto che sia un po’ più complesso rimanere Gaia attraverso l’iperspazio, comunque, sono ancora Gaia.
Trevize disse: — Non ti sembra che Gaia possa essere vista come un kraken galattico, il leggendario mostro tentacolato, coi tentacoli tesi in ogni direzione? Basta mettere qualche Gaiano su ogni mondo abitato, ed in pratica avrete già realizzato Galaxia. Anzi, probabilmente è proprio quello che avete fatto. Dove sono piazzati i vostri gaiani? Immagino che un paio si trovino su Terminus, ed un altro paio su Trantor. Fino a dove vi spingete?
Bliss era visibilmente a disagio. — Ti ho detto che non ti avrei mentito, Trevize, ma questo non significa che debba per forza dirti tutta la verità. Ci sono certe cose che non sei tenuto a sapere, tra queste la posizione e l’identità di parti individuali di Gaia.
— Sono tenuto a conoscere la ragione dell’esistenza di quei tentacoli, Bliss, pur senza sapere dove siano?
— Secondo Gaia, no.
— Però, posso cercare di indovinare, vero? Voi credete di fungere da guardiani della Galassia.
— Vogliamo una Galassia stabile e sicura, pacifica e fiorente. Il Piano Seldon, almeno nelle intenzioni originali di Hari Seldon, mira allo sviluppo di un Secondo Impero Galattico, un impero più stabile e funzionale del Primo. Il Piano, che è stato continuamente modificato e migliorato dalla Seconda Fondazione, apparentemente ha funzionato bene finora.
— Ma Gaia non vuole un Secondo Impero Galattico nel senso classico del termine, vero? Voi volete Galaxia… una Galassia vivente.
— Dal momento che tu lo permetti, speriamo, col tempo, di realizzare Galaxia. Se tu non l’avessi permesso, ci saremmo impegnati per il Secondo Impero di Seldon ed avremmo cercato di renderlo il più sicuro possibile.
— Ma cosa c’è di sbagliato nel…
Trevize udì un ronzio lieve, e disse: — Il computer mi sta segnalando: immagino stia ricevendo istruzioni riguardo la stazione d’ingresso. Torno tra poco.
Andò nella sala comandi, posò le mani sui contorni tracciati sulla scrivania, e in effetti trovò le istruzioni per la stazione d’ingresso da contattare… le sue coordinate rispetto alla linea dal centro di Comporellen al polo nord, la rotta di avvicinamento stabilita.
Trevize diede il segnale di “ricevuto”, quindi restò un attimo seduto.
Il Piano Seldon! Era da parecchio tempo che non ci pensava. Il Primo Impero Galattico era crollato, e per cinquecento anni la Fondazione si era consolidata, prima rivaleggiando con l’Impero, poi sulle sue rovine… tutto secondo il Piano.
C’era stata l’interruzione del Mulo, che per un po’ aveva minacciato di sgretolare il Piano, ma la Fondazione era riuscita a spuntarla… probabilmente con l’aiuto della Seconda Fondazione, sempre misteriosa e nascosta… forse con l’aiuto di Gaia, ancor meglio nascosta.
Ora il Piano era minacciato da qualcosa di più serio del Mulo. Invece di un rinnovamento dell’Impero, si prospettava all’orizzonte qualcosa di completamente diverso e senza precedenti nella storia… Galaxia. E Trevize stesso aveva dato il suo consenso.
Ma perché? C’era un errore nel Piano? Un difetto di base?
Per una frazione di secondo, a Trevize parve davvero che quel difetto esistesse, gli parve di sapere quale fosse, di averlo saputo anche quando aveva preso la sua decisione… ma quel guizzo conoscitivo, ammesso che lo fosse, scomparve con la stessa rapidità con cui si era manifestato, e lui si ritrovò a mani vuote.
Forse si trattava solo di un’illusione; sia quando aveva deciso, sia adesso. Dopo tutto, lui non sapeva nulla del Piano a parte i postulati fondamentali su cui si reggeva la Psicostoria. A parte questo, non conosceva altri particolari, e sicuramente nulla della sua struttura matematica.
Chiuse gli occhi e pensò…
Nulla.
E se fosse stato per l’ampliamento di facoltà che riceveva dal computer? Posò le mani sulla sommità della scrivania e sentì il calore delle mani del computer che prendevano le sue. Chiuse gli occhi e pensò di nuovo…
Ancora nulla.
Il Comporelliano che salì a bordo portava una carta d’identità olografica. Il documento riproduceva con fedeltà sorprendente il suo volto paffuto incorniciato da una barba poco vistosa, e sotto l’immagine compariva il nome, A. Kendray.
Era basso, ed il suo corpo era tondeggiante come il viso. Aveva un’espressione ingenua e modi disinvolti, e si guardò attorno meravigliato.
Disse: — Come avete fatto a scendere così in fretta? Vi aspettavamo non prima di un paio d’ore.
— È un nuovo modello di nave — rispose Trevize, educatamente ma senza sbilanciarsi.
Kendray non era il giovanotto innocente che sembrava, comunque. Entrò nella sala comandi e disse subito: — Gravitazionale?
Trevize non vide l’utilità di negare l’evidenza. La voce incolore, disse: — Sì.
— Molto interessante. Si sente parlare di queste navi, ma non si riesce mai a vederle. I motori sono nella carena?
— Esatto.
Kendray guardò il computer. — I circuiti del computer, anche?
— Esatto. Almeno, così mi hanno detto: io non ho mai controllato.
— Ah, bene. Mi serve la documentazione della nave; numero del motore, luogo di costruzione, codice d’identificazione, la pappardella completa, insomma. È tutto nel computer, immagino, e scommetto che il computer può sfornare in mezzo secondo la certificazione che mi occorre.
Il computer impiegò poco più di mezzo secondo. Kendray tornò a guardarsi attorno. — Solo voi tre, a bordo?
— Esatto — rispose Trevize.
— Animali? Piante? Stato di salute?
— No, no, e buono — disse Trevize conciso.
— Hmm! — fece Kendray, scrivendo. — Potreste mettere la mano qui dentro? Semplice routine… La destra, per favore.
Trevize guardò l’apparecchio senza benevolenza. Il suo uso era sempre più comune: stava diventando sempre più elaborato. Si poteva dedurre quasi subito l’arretratezza di un mondo dall’arretratezza del suo microrivelatore. Ormai erano pochi i mondi che non ne avessero uno, per quanto arretrati. Il fenomeno era iniziato con lo sgretolamento finale dell’Impero, via via che ogni frammento dell’intero era diventato sempre più ansioso di proteggersi dalle malattie e dai microrganismi estranei degli altri.
— Cos’è? — chiese Bliss sottovoce, interessata, sporgendo la testa per osservare bene.
Pelorat rispose: — Credo che si chiami microrivelatore.
Trevize aggiunse: — Nulla di misterioso. È un congegno che controlla automaticamente una parte del corpo, dentro e fuori, in cerca di eventuali microrganismi capaci di trasmettere malattie.
— Questo li classifica anche, i microrganismi — disse Kendray, con una sfumatura piuttosto evidente di orgoglio. — È stato progettato qui su Comporellen… E se non vi dispiace, vorrei ancora la vostra destra.
Trevize inserì la mano ed osservò una serie di piccoli segni rossi che si spostavano lungo delle linee orizzontali. Kendray toccò un contatto, ed un fac-simile della diagnosi apparve immediatamente. — Se volete firmarlo, signore.
Trevize firmò. — In che condizioni sono? — chiese. — Non sono in grave pericolo, vero?
Kendray rispose: — Non sono un medico, quindi non sono in grado di dirvelo di preciso, ma qui non ci sono i segni che mi costringerebbero a respingervi od a mettervi in quarantena, ed a me non interessa altro.
— Sono proprio fortunato — commentò Trevize asciutto, scuotendo la mano per liberarsi del lieve pizzicore che provava.
— Voi, signore — disse Kendray.
Pelorat inserì la mano con una certa riluttanza, quindi firmò il certificato.
— E voi, signora?
Alcuni attimi dopo, Kendray stava fissando i risultati, dicendo: — Mai visto niente del genere prima d’ora. — Guardò Bliss con un’espressione intimorita. — Completamente negativo.
Bliss scoccò un sorriso accattivante. — Magnifico.
— Sì, signora. Vi invidio. — Kendray tornò a guardare il primo certificato. — La vostra carta d’identità, signor Trevize.
Trevize gliela mostrò. Kendray, guardandola, alzò gli occhi sorpreso. — Consigliere della Legislatura di Terminus?
— Appunto.
— Funzionario della Fondazione?
— Appunto. Quindi vediamo di sbrigarci, d’accordo?
— Siete voi il capitano della nave?
— Sì.
— Scopo della visita?
— Motivi di sicurezza della Fondazione, e non vi dirò altro. Capite?
— Sì, signore. Quanto intendete fermarvi?
— Non lo so. Forse una settimana.
— Molto bene, signore. E quest’altro signore?
— È il dottor Janov Pelorat — rispose Trevize. — Avete lì la sua firma, e per lui garantisco io. È uno studioso di Terminus, e mi assiste in questa mia visita.
— Capisco, signore, ma devo vedere il suo documento. Le regole non transigono, temo. Spero che anche voi capiate, signore.
Pelorat mostrò i suoi documenti.
Kendray annuì. — E voi, signorina?
Trevize intervenne: — Non c’è bisogno di importunare la signorina. Garantisco anche per lei.
— Certo, signore. Ma io devo vedere i documenti.
— Temo di non avere nessun documento, signore — disse Bliss.
Kendray aggrottò le sopracciglia. — Come avete detto?
Trevize disse: — La signorina non ha portato con sé i documenti. Semplice dimenticanza. È tutto a posto: mi assumo qualsiasi responsabilità.
Kendray replicò: — Vorrei potervelo permettere, ma non posso: la responsabilità è mia. Date le circostanze, non è terribilmente importante. Non dovrebbero esserci difficoltà a procurarsi dei duplicati. La signorina, immagino, è di Terminus.
— No.
— Di qualche regione della Fondazione, allora?
— A dire il vero, no.
Kendray fissò Bliss, quindi Trevize. — Le cose si complicano, Consigliere. Forse occorrerà più tempo per farsi rilasciare una copia dei documenti da un mondo che non appartenga alla Fondazione. Poiché non siete cittadina della Fondazione, signorina, dovete dirmi il nome del vostro mondo natale e quello del vostro mondo di residenza. Poi dovrete aspettare che arrivino i duplicati.
Trevize disse: — Sentite, signor Kendray, non vedo il motivo di questa perdita di tempo. Sono un funzionario della Fondazione e sono qui per una missione di notevole importanza: non devo essere intralciato da banali questioni burocratiche.
— Non dipende da me, Consigliere. Se dipendesse da me, vi lascerei scendere su Comporellen immediatamente, purtroppo i regolamenti non si discutono: devo attenermi ad essi, o peggio per me… Naturalmente, immagino che qualche rappresentante governativo di Comporellen vi stia aspettando. Se volete dirmi il suo nome, mi metterò in contatto con lui, e se lui mi ordinerà di lasciarvi passare, bene, lo farò.
Trevize esitò un attimo. — Signor Kendray, sarebbe un’azione poco opportuna. Posso parlare col vostro diretto superiore?
— Certo, però non potete vederlo così su due piedi…
— Sono sicuro che verrà subito quando capirà che si tratti di un funzionario della Fondazione…
— A dire il vero — fece Kendray — e rimanga tra noi, in questo modo peggiorereste le cose. Sapete, noi non facciamo parte del territorio metropolitano della Fondazione. Siamo una Potenza Alleata, e prendiamo seriamente questo ruolo. I nostri sono ansiosi di non sembrare burattini della Fondazione, per usare un’espressione popolare, e si fanno in quattro per dimostrare la loro indipendenza. Il mio superiore probabilmente riceverebbe dei buoni extra rifiutandosi di fare un favore ad un funzionario della Fondazione.
L’espressione di Trevize si oscurò. — Anche voi?
Kendray scosse la testa. — Io sono al di fuori della politica, signore: nessuno mi dà punti extra. Posso considerarmi fortunato se mi pagano lo stipendio. Ed anche se non ricevo premi, le note di biasimo posso riceverle, e molto facilmente, purtroppo.
— Data la mia posizione, posso occuparmi io di voi.
— No, signore. Scusate se vi sembro impertinente, ma non credo che possiate… E, signore, è imbarazzante dirlo, ma per favore non offritemi regali. Danno punizioni esemplari a chi accetti cose del genere, ed oggigiorno sono bravissimi a scoprire i colpevoli.
— Non intendevo corrompervi. Sto solo pensando a cosa potrà farvi il Sindaco di Terminus se ostacolerete la mia missione.
— Consigliere, io sono perfettamente al sicuro finché mi nascondo dietro il regolamento. Se i membri del Presidium di Comporellen verranno puniti in qualche modo dalla Fondazione, è un problema loro, non mi riguarda… Comunque, se lo ritenete utile, signore, posso lasciar passare voi ed il dottor Pelorat, e la vostra nave. La signorina Bliss rimarrà alla stazione d’ingresso; la tratterremo per un po’, e la manderemo in superficie non appena arriveranno i suoi documenti. Se per qualche motivo sarà impossibile avere quei documenti, la rimanderemo sul suo mondo con un trasporto commerciale. Temo però che in questo caso qualcuno dovrà pagare la corsa.
Trevize notò l’espressione di Pelorat e disse: — Signor Kendray, posso parlarvi in privato nella sala comandi?
— D’accordo, ma non posso restare a bordo ancora a lungo, o mi faranno delle domande.
— Ci sbrigheremo — disse Trevize.
Nella sala comandi, Trevize chiuse bene la porta con gesti un po’ teatrali, quindi disse sottovoce: — Sono stato in molti posti, signor Kendray, ma in nessun posto ho trovato una simile pignoleria riguardo i regolamenti dell’immigrazione, soprattutto se si tratta di cittadini e funzionari della Fondazione.
— Ma la ragazza non appartiene alla Fondazione.
— Non importa.
Kendray disse: — Queste cose sono fenomeni passeggeri. Ci sono stati degli scandali e ora come ora c’è molta severità. Tornando il prossimo anno, magari non avrete problemi, purtroppo adesso non posso fare nulla.
— Provate, signor Kendray — insisté Trevize, con voce più dolce. — Mi affido alla vostra clemenza, mi rivolgo a voi da uomo a uomo. Pelorat ed io siamo in missione da parecchio, lui e io. Solo lui e io. Siamo buoni amici, però anche tra amici ci si sente soli, non so se mi capite… Qualche tempo fa, Pelorat ha trovato questa ragazza. Non è necessario che vi racconti quel che è successo, comunque, abbiamo deciso di portarla con noi. Servirci di lei di tanto in tanto per noi è salutare.
«Il fatto è che Pelorat ha dei legami su Terminus. Io non ho problemi, sia chiaro, ma Pelorat è un uomo anziano, ed a quell’età si è un po’… sì, disperati. Si sente il bisogno di tornare in parte giovani, o qualcosa del genere. Pelorat non può rinunciare alla ragazza. Nel medesimo tempo, se la notizia dovesse trapelare ufficialmente, quando il vecchio Pelorat tornerà su Terminus lo attenderà un mare di guai. Non stiamo facendo nulla di male. La signorina Bliss, così si chiama, nome azzeccato considerando la sua professione, non è esattamente una ragazza acuta; non la vogliamo per questo. È proprio necessario che figuri nel vostro rapporto? Non potete riferire che sulla nave ci siamo soltanto Pelorat e io? Quando abbiamo lasciato Terminus eravamo registrati solo noi due. Non è necessaria alcuna menzione ufficiale della ragazza. Dopo tutto, è sanissima come avete potuto verificare voi stesso.
Kendray fece una smorfia. — Non intendo crearvi dei disagi. Capisco la situazione, credetemi, ed avete tutta la mia comprensione. Chi pensa che sia divertente restare di turno su questa stazione per mesi consecutivi, si sbaglia di grosso. E i turni misti non esistono, non su Comporellen. — Scosse la testa. — E poi, anch’io ho una moglie, quindi capisco. Ma, sentite, anche se vi lascio passare, non appena scopriranno che quella… signorina è senza documenti, be’, lei finirà in prigione, voi ed il signor Pelorat vi troverete in un bel pasticcio e la notizia arriverà dritta fino su Terminus. Ed io sicuramente dovrò cercarmi un altro lavoro.
— Signor Kendray, fidatevi di me — disse Trevize. — Una volta su Comporellen, sarò al sicuro. Parlerò della mia missione con le persone giuste, dopo di che non ci saranno più problemi. Mi assumerò l’intera responsabilità di quanto sia successo qui, se mai il fatto dovesse venire a galla… cosa di cui dubito. Inoltre, caldeggerò la vostra promozione, e verrete promosso, perché farò in modo che Terminus eserciti pressioni adeguate nel caso qualcuno qui sollevasse obiezioni… E Pelorat potrà starsene tranquillo.
Kendray esitò, poi annuì. — D’accordo. Vi lascerò passare… ma vi avverto… comincerò subito a pensare ad un modo per salvarmi le chiappe, se questa storia dovesse saltar fuori. E non muoverò un dito per salvare le vostre. Io so come vanno certe cose su Comporellen, mentre voi non lo sapete, e Comporellen non è un mondo facile per chi sgarra.
— Grazie, signor Kendray. Non ci saranno problemi, ve lo assicuro.
Erano passati. La stazione d’ingresso si era ridotta rapidamente ad un punto luminoso sempre più fioco dietro di loro, e entro un paio d’ore avrebbero attraversato lo strato di nubi.
Una nave gravitazionale non doveva rallentare immettendosi in una lunga rotta a spirale, ma non poteva nemmeno tuffarsi in picchiata a tutta velocità. Essere liberi dalla gravità non significava esserlo anche dalla resistenza dell’aria. La nave poteva scendere in linea retta, ma con prudenza; non era possibile esagerare con la velocità.
— Dove stiamo andando? — chiese Pelorat confuso. — Vecchio mio, con tutte quelle nubi non riesco a distinguere nulla.
— Nemmeno io — disse Trevize. — Ma abbiamo una mappa ufficiale di Comporellen, una mappa olografica che ci fornisce la forma delle masse continentali, con tanto di altezze dei rilievi e profondità oceaniche, ed anche le suddivisioni politiche. La mappa è nel computer, e sarà il computer a provvedere a tutto. Confronterà la configurazione planetaria con la mappa, orientando così la nave correttamente, e ci condurrà seguendo una rotta cicloidale.
Pelorat disse: — Andando nella capitale, ci immergeremo subito nel vortice politico. Se questo mondo è anti-Fondazione, come ha lasciato intendere quel tipo alla stazione d’ingresso, andremo in cerca di guai.
— D’altro canto, la capitale dev’essere il centro intellettuale del pianeta, e se vogliamo informazioni, è là che le troveremo, ammesso che esistano. E per quanto riguarda le loro tendenze ostili, dubito che potranno mostrarle troppo apertamente. Forse non sarò molto simpatico al Sindaco, però il Sindaco non può nemmeno permettere che un Consigliere venga maltrattato: non vorrà certo creare un precedente del genere.
Bliss era uscita dalla toilette; si era lavata le mani, che erano ancora umide. Sistemandosi la biancheria intima come se nulla fosse, disse: — A proposito, spero che gli escrementi vengano interamente riciclati.
— Per forza — rispose Trevize. — Secondo te, quanto durerebbe la nostra scorta d’acqua se non riciclassimo gli escrementi? Secondo te, come crescono quelle focacce aromatiche lievitate che mangiamo per insaporire le nostre razioni surgelate? Spero che questo non ti rovini l’appetito, mia efficiente Bliss.
— Perché dovrebbe? Da dove credi che provengano il cibo e l’acqua su Gaia, o su questo pianeta, o su Terminus?
— Su Gaia, naturalmente, gli escrementi sono vivi come te.
— Non vivi, consapevoli. È diverso. Naturalmente, il livello di consapevolezza è bassissimo.
Trevize sbuffò sprezzante, ma non cercò di ribattere. Disse: — Vado in sala comandi a tener compagnia al computer.
Pelorat disse: — Possiamo venire ad aiutarti a tenere compagnia al computer? Non riesco ad abituarmi al fatto che il computer sia in grado di portarci sul pianeta da solo, individuando altre navi, o perturbazioni… o che so io!
Trevize sorrise. — Meglio che ti ci abitui. La nave è molto più sicura affidata al controllo del computer che guidata da me… Certo, venite pure, comunque. Sarà istruttivo vedere cosa succede.
Erano sul lato illuminato del pianeta adesso e come stava spiegando Trevize la mappa del computer poteva essere confrontata più facilmente coi dati reali alla luce del sole che al buio.
— È ovvio — commentò Pelorat.
— Non è affatto ovvio. Il computer reagisce altrettanto rapidamente ai raggi infrarossi che la superficie emana anche in presenza dell’oscurità. Ma le onde infrarosse, per la loro lunghezza, non consentono al computer la definizione d’immagine consentita dalla luce visibile. In parole povere, il computer vede meno bene e meno chiaramente con l’infrarosso, e se non è proprio necessario preferisco facilitargli le cose il più possibile.
— E se la capitale si trova sul lato notturno?
— Le probabilità sono pari, ma anche se fosse sul lato notturno, una volta confrontata la mappa alla luce del giorno, possiamo abbassarci progressivamente e raggiungerla con precisione nonostante l’oscurità. E prima di avvicinarci alla capitale, incroceremo fasci di microonde e riceveremo messaggi che ci guideranno verso lo spazioporto più comodo… Non c’è motivo di preoccuparsi.
— Sicuro? chiese Bliss. — Mi stai portando sul pianeta senza documenti, e senza che abbia un mondo d’origine riconosciuto da questa gente… e io non intendo, anzi non posso, fare il nome di Gaia, in alcun caso. Cosa faremo allora se una volta sulla superficie mi chiederanno i documenti?
— Improbabile che accada — rispose Trevize. — Tutti penseranno che certe formalità siano già state sbrigate alla stazione d’ingresso.
— Ma se dovessero chiedermeli?
— Se sorgerà questo problema, lo affronteremo a tempo debito. Intanto, non creiamoceli dal nulla i problemi.
— Quando affronteremo i problemi che potranno presentarsi, forse sarà troppo tardi per risolverli.
— Conto sulla mia ingegnosità per far sì che non sia troppo tardi.
— A proposito di ingegnosità, come sei riuscito a farci superare la stazione d’ingresso?
Trevize guardò Bliss, e lasciò che le sue labbra si schiudessero lentamente in un sorriso monellesco. — Ho usato semplicemente il cervello.
— Ma cos’hai fatto, vecchio mio? — Insisté Pelorat.
Trevize rispose: — Si trattava solo di rivolgersi a lui nel modo giusto. Avevo provato con le minacce e con la corruzione velata. Avevo fatto appello alla sua logica e alla sua fedeltà alla Fondazione. Non ottenendo nulla, ho giocato la mia ultima carta: ho detto che tradivi tua moglie, Pelorat.
— Mia moglie? Ma amico mio, non ho alcuna moglie al momento.
— Lo so, ma lui non lo sapeva.
Bliss intervenne: — Con “moglie” presumo vi riferiate ad una donna che sia la compagna regolare di un uomo.
Trevize precisò: — Qualcosa di più, Bliss. Compagna legale, con diritti esercitabili riguardo il rapporto di compagnia.
Pelorat disse nervoso: — Bliss, non ho alcuna moglie. Ne ho avute occasionalmente in passato, ma è da parecchio tempo che non ho una moglie. Se vuoi che celebriamo il rito legale…
— Oh, Pel — rispose Bliss con un gesto secco della destra. — Che vuoi che m’interessi? Ho innumerevoli compagni che mi sono sempre vicini, come le tue braccia sono sempre vicine al tuo corpo. Solo gli Isolati si sentono così distaccati da dover ricorrere a convenzioni artificiose per consolidare un legame che è un debole surrogato della vera compagnia.
— Ma, Bliss… io sono un Isolato, cara.
— Col tempo, sarai meno Isolato, Pel. Forse non sarai mai pienamente Gaia, ma sarai meno Isolato, e avrai una miriade di compagni.
— Io voglio solo te, Bliss! — esclamò Pelorat.
— È perché non sai nulla della vera compagnia: imparerai.
Durante quella discussione Trevize si era concentrato sullo schermo, con un’espressione di tolleranza forzata in volto. Lo strato di nubi si era avvicinato, e per un attimo tutto si trasformò in una nebbia grigia.
«Visione microonde», pensò Trevize, ed il computer passò subito al rilevamento degli echi radar. Le nubi scomparvero e la superficie di Comporellen apparve; i colori erano falsati, e i confini tra i settori di diversa composizione erano un po’ sfocati e tremolanti.
— È così che ci apparirà Comporellen d’ora in poi? — chiese Bliss stupita.
— Solo finché non sbucheremo al di sotto delle nubi. Poi passeremo di nuovo alla luce solare. — Mentre Trevize rispondeva, il sole e la visibilità normale ritornarono.
— Capisco — annuì Bliss. — Ma c’è una cosa che non capisco… Non vedo perché il fatto che Pel tradisca o meno la moglie dovesse interessare al funzionario della stazione d’ingresso.
— Se quel tale, Kendray, ti avesse trattenuta, la notizia, gli ho detto, avrebbe potuto raggiungere Terminus, e quindi la moglie di Pelorat. Pelorat si sarebbe trovato nei guai. Non ho specificato che genere di guai, ma ho alluso a una situazione seria… C’è una specie di tacita solidarietà tra i maschi. — Trevize stava sorridendo adesso. — Ed un maschio non tradisce un altro uomo, anzi se gli viene chiesto lo aiuta. Dipende, presumo, dal fatto che chi aiuta potrebbe a sua volta avere bisogno di aiuto in seguito. Probabilmente — aggiunse assumendo un’espressione un po’ seria — esiste una complicità simile tra le donne, ma non essendo una donna non ho mai avuto occasione di osservarla direttamente.
La faccia di Bliss assomigliava ad una graziosa nube temporalesca. — È una battuta?
— No, parlo seriamente — rispose Trevize. — Non dico che quel Kendray ci abbia lasciati passare solo per aiutare Janov a non mettersi nei guai con la moglie. Può darsi che il senso di complicità maschile sia servito a dare un’ultima spinta decisiva alle altre mie argomentazioni.
— Ma è terribile. Sono le regole che tengono unita una società, che la fondono in un unico complesso: ti pare una cosa da nulla ignorare queste regole per motivi banali?
— Be’ — disse Trevize, di colpo sulla difensiva — certe regole sono di per se stesse futili: pochi mondi sono pignoli per quanto riguarda l’accesso ed il passaggio nel loro spazio in un periodo di pace e prosperità commerciale, come quello che stiamo attraversando adesso grazie alla Fondazione. Comporellen non è al passo coi tempi, probabilmente per qualche oscura questione di politica interna. Non vedo perché proprio noi dovremmo subirne le conseguenze.
— Questo non c’entra. Se obbediamo solo alle regole che riteniamo giuste e ragionevoli, allora qualsiasi regola cessa di avere valore, perché non esiste una regola giusta e ragionevole per tutti. E se ci interessa solo il nostro tornaconto personale, troveremo sempre una giustificazione per definire ingiusta una regola restrittiva. Si comincia con un trucco astuto e si finisce con l’anarchia e la catastrofe, così, anche per lo scaltro autore del trucco, dal momento che nemmeno lui sopravvivrà al crollo della società.
Trevize ribatté: — La società non crolla tanto facilmente. Tu parli come Gaia, e Gaia non può capire un’unione di individui liberi. Le regole, instaurate con ragionevolezza e giustizia, possono facilmente diventare superate e inutili via via che le circostanze cambiano, e restare ugualmente in vigore per inerzia. In tal caso è legittimo ed anche utile infrangere queste regole, se non altro per evidenziare che sono diventate superflue e magari anche dannose.
— Allora ogni ladro, ogni assassino, può giustificarsi dicendo che stia servendo l’umanità.
— Non arrivare agli estremi. Nel superorganismo di Gaia c’è un consenso automatico circa le regole sociali e a nessuno viene in mente di infrangerle. Si potrebbe anche dire che Gaia vegeti e si fossilizzi. Nella libera associazione di individuo c’è senza dubbio un elemento di disordine, ma è il prezzo che bisogna pagare per non perdere la capacità di introdurre novità e cambiamenti… Tutto sommato, è un prezzo ragionevole.
La voce di Bliss si fece leggermente più acuta e sonora. — Ti sbagli, se pensi che Gaia vegeti e si fossilizzi. Le nostre realizzazioni, le nostre usanze, i nostri punti di vista, tutto quanto viene sottoposto ad un esame di coscienza costante. Senza un motivo valido, non c’è nulla che persista solo per inerzia. Gaia impara tramite l’esperienza ed il pensiero, perciò cambia quando è necessario.
— Anche se quel che dici è vero, l’esame di coscienza e l’apprendimento devono essere molto lenti, perché su Gaia non esiste altro che Gaia. Qui, in regime di libertà, anche quando quasi tutti sono d’accordo, c’è sempre una minoranza che discordi, e in alcuni casi quella minoranza può darsi che abbia ragione. E se quei pochi sono abbastanza abili, abbastanza entusiasti, abbastanza giusti, alla fine vinceranno e nel futuro diventeranno eroi… come Hari Seldon, che ha perfezionato la Psicostoria, ha sfidato con le sue concezioni l’intero Impero Galattico, ed ha vinto.
— Ha vinto solo fino ad ora, Trevize. Il Secondo Impero pianificato da Seldon non si realizzerà: ci sarà Galaxia, invece.
— Ah, davvero? — disse Trevize con espressione truce.
— È stata tua la decisione, ed anche se continui a discutere con me sostenendo gli Isolati e la loro libertà di essere sciocchi e criminali, nei recessi della tua mente c’è qualcosa che ti ha costretto ad essere d’accordo con me/noi/Gaia quando hai fatto la tua scelta.
— Quello che si cela nei recessi della mia mente è proprio quel che cerco — disse Trevize ancor più arcigno. — Là, per cominciare — aggiunse, indicando lo schermo, dove una città si estendeva all’orizzonte, un agglomerato di strutture basse, salvo alcune eccezioni isolate, circondato da campi marroni coperti da uno strato di brina.
Pelorat scosse la testa. — Peccato. Volevo osservare la fase di avvicinamento, ma mi sono distratto ascoltando la discussione.
— Non importa, Janov — disse Trevize. — Guarderai quando ce ne andremo. Prometto che terrò la bocca chiusa, sempre che tu riesca a far tacere Bliss.
E la “Far Star” atterrò allo spazioporto guidata da un raggio a microonde.
Kendray aveva un’aria grave quando tornò alla stazione d’ingresso ed osservò la “Far Star” che passava. Al termine del suo turno era ancora chiaramente depresso.
Stava consumando il suo ultimo pasto della giornata quando uno dei suoi colleghi, un tipo allampanato con gli occhi ben distanziati, radi capelli chiari e sopracciglia così bionde da sembrare assenti, si sedette accanto a lui.
— Che c’è che non va, Ken?
Kendray arricciò le labbra. — Quella che è appena passata era una nave gravitazionale, Gatis.
— Quella strana con radioattività zero?
— Proprio per questo non era radioattiva. Niente combustibile: gravitazionale.
Gatis annuì. — Quella che ci avevano detto di tener d’occhio, giusto?
— Giusto.
— E l’hai beccata tu: il solito fortunato.
— Non tanto fortunato. A bordo c’era una donna senza documenti… ed io non ho denunciato la sua presenza.
— Cosa? Senti, non dirmi niente. Non voglio sapere: non una parola di più. Siamo amici, ma non ho intenzione di diventare complice del fatto.
— Non è questo che mi preoccupa. Non molto. Ho dovuto mandare giù la nave. Vogliono una nave gravitazionale… quella o una qualsiasi altra, lo sai.
— Certo, però almeno avresti potuto fare rapporto sulla donna.
— Non mi andava. Non è sposata. È stata presa a bordo solo per… per essere usata.
— Quanti uomini c’erano a bordo?
— Due.
— E l’hanno presa a bordo solo per… per quello. Devono essere di Terminus.
— Esatto.
— Se ne fregano di quel che fanno, su Terminus.
— Già.
— Disgustoso. E la fanno franca.
— Uno di loro era sposato, e non voleva che sua moglie venisse a saperlo. Se avessi denunciato la presenza della donna, la moglie l’avrebbe scoperto.
— Ma la moglie non è su Terminus?
— Certo, però l’avrebbe scoperto ugualmente.
— Gli starebbe bene a quel tipo se sua moglie lo scoprisse.
— Sono d’accordo… ma non volevo essere proprio io il responsabile.
— Se la prenderanno con te per non avere fatto rapporto. Volere risparmiare dei guai a quel tipo non è una scusa valida.
— Tu avresti fatto rapporto?
— Avrei dovuto farlo per forza, credo.
— No, non avresti dovuto. Il Governo vuole quella nave, se avessi insistito per fare rapporto sulla donna, gli uomini a bordo avrebbero cambiato idea ed invece di scendere qui sarebbero andati su qualche altro pianeta. Ed al Governo non sarebbe piaciuto.
— Ma ti crederanno?
— Penso di sì… Era molto carina, quella donna. Pensa, una donna del genere disposta ad andare con due uomini, e degli uomini sposati col coraggio di approfittarne… Sai, è allettante come idea.
— Non credo che tua moglie sarebbe contenta se sapesse che hai detto una cosa del genere, o che l’hai pensata.
Kendray replicò con aria di sfida: — Perché, chi andrà a riferirglielo? Tu?
— Dài, non dirlo nemmeno per scherzo. — L’espressione indignata di Gatis scomparve rapidamente, e Gatis disse: — Sai, mica gli hai dato una mano a quei tipi, lasciandoli passare.
— Lo so.
— Giù in superficie scopriranno subito tutto, e magari tu la passerai liscia, ma loro no.
— Lo so — annuì Kendray — e mi dispiace per loro. I guai che gli creerà la donna saranno poca cosa rispetto ai guai che gli creerà la nave. Il capitano ha fatto certi commenti…
Kendray si interruppe, e Gatis lo sollecitò smanioso: — Che commenti?
— Non importa — rispose Kendray. — Se dovesse spargersi la voce, io mi gioco le chiappe.
— Non dirò niente.
— Nemmeno io… Comunque, mi spiace per quei due uomini di Terminus.
Per chiunque fosse stato nello spazio ed avesse conosciuto la sua immutabilità, la parte veramente eccitante del volo spaziale arrivava quando si trattava di atterrare su un nuovo pianeta. Il terreno scorreva sotto la nave, lasciando intravedere scorci di terra e di acqua, aree e linee geometriche che forse corrispondevano a campi e strade. Si scorgevano il verde della natura che cresceva, il grigio del cemento, il marrone del terreno spoglio, il bianco della neve. E soprattutto, c’era l’eccitazione trasmessa dai centri urbani, città che su ogni mondo presentavano caratteristiche geometriche proprie e varianti architettoniche.
Su una normale nave, inoltre ci sarebbe stato il brivido del contatto col terreno e dello spostamento lungo una pista. Per la “Far Star” era diverso. Galleggiando nell’aria, rallentò bilanciando abilmente attrito e gravità, e infine si fermò sopra lo spazioporto. Il vento soffiava a raffiche, il che complicava le cose. Quando veniva regolata su una spinta agravitazionale particolarmente elevata, la “Far Star” oltre a presentare un peso estremamente basso diminuiva anche come massa. Se la massa si avvicinava troppo allo zero, il vento avrebbe trascinato via la nave immediatamente. Quindi, bisognava attenuare il campo agravitazionale ed usare delicatamente dei razzi direzionali per contrastare l’attrazione del pianeta e la spinta del vento, intervenendo con correzioni che combaciassero il più possibile con le variazioni di intensità delle raffiche. Senza un computer all’altezza, sarebbe stato impossibile farlo in maniera corretta.
La “Far Star” si abbassò progressivamente, con piccole e inevitabili oscillazioni in un senso o nell’altro, fino a posarsi sul settore delimitato assegnatole.
Il cielo era di un azzurro pallido chiazzato di bianco, quando la nave atterrò. Anche in superficie il vento era teso, e pur non costituendo più un pericolo per la navigazione le sue sferzate gelide fecero sussultare Trevize. Si rese subito conto che i loro indumenti non erano adatti al clima di Comporellen.
Pelorat invece si guardò attorno soddisfatto ed inspirò a fondo dal naso, apprezzando almeno momentaneamente il morso del freddo. Aprì addirittura il giaccone per sentire il contatto del vento sul petto. Entro breve tempo, lo sapeva, avrebbe richiuso l’indumento e si sarebbe sistemato bene la sciarpa, ma per ora desiderava sentire l’esistenza di un’atmosfera. A bordo di una nave era impossibile.
Bliss si strinse nel giaccone e, con mani guantate, si calò il cappello sulle orecchie. Aveva un’espressione disfatta e infelice, e sembrava prossima alle lacrime.
Borbottò: — Questo mondo è malvagio: ci odia e ci maltratta.
— Niente affatto, cara — replicò Pelorat convinto. — Sono sicuro che i suoi abitanti lo amino, e che questo mondo… li ami, se vogliamo esprimerci così. Tra poco saremo al coperto, al caldo.
Quasi dietro un ripensamento, scostò un lembo del giaccone e lo avvolse attorno a Bliss, mentre lei gli si rannicchiava contro.
Trevize si sforzò di ignorare la temperatura. Ricevette una tessera magnetizzata dalla direzione portuale, controllando col suo computer tascabile per assicurarsi che fornisse i particolari necessari: il numero di corsia e dell’area di parcheggio, il nome e il numero di matricola della nave, e via dicendo. Poi si accertò nuovamente che la “Far Star” fosse ermeticamente chiusa, e stipulò la massima assicurazione consentita contro i sinistri (inutile, in realtà, poiché la “Far Star” sarebbe dovuto essere invulnerabile considerato il probabile livello tecnologico di Comporellen, e poiché in caso contrario sarebbe stata insostituibile a qualunque prezzo).
Trevize trovò il parcheggio dei taxi dove previsto. (Negli spazioporti, parecchie attrezzature e servizi si trovavano in posizioni standard, ed erano standardizzati come aspetto esteriore e modo d’impiego. Era una scelta obbligata, considerata l’utenza interplanetaria.)
Trevize chiamò un taxi, e indicò la destinazione battendo semplicemente “Città”.
Un taxi scivolò verso di loro su pattini diamagnetici, scosso leggermente dal vento e dalle vibrazioni di un motore non proprio silenzioso. Era di colore grigio scuro, e le insegne bianche spiccavano sulle posteriori. L’autista indossava un cappotto scuro e un cappello di pelo bianco.
Pelorat, notando certi particolari, commentò sottovoce: — Pare che i colori planetari siano il nero ed il bianco.
Trevize disse: — Può darsi che in città l’ambiente si vivacizzi un po’.
L’autista parlò in un piccolo microfono, forse per evitare di aprire il finestrino. — Andate in città, gente?
Il suo dialetto galattico aveva una cadenza dolce e cantilenante piuttosto simpatica, ed era facilmente comprensibile… il che era sempre un sollievo su un mondo nuovo.
— Esatto — rispose Trevize, e la portiera posteriore si aprì scorrendo di lato.
Bliss entrò, seguita da Pelorat e Trevize. La portiera si chiuse, e l’aria calda li avvolse.
Bliss si strofinò le mani, con un lungo sospiro di sollievo.
Il taxi partì lentamente, e l’autista disse: — La nave con cui siete arrivati è gravitazionale, vero?
Trevize rispose asciutto: — Considerando il modo in cui è atterrata, avete qualche dubbio?
L’autista chiese: — È di Terminus, allora?
Trevize rispose: — Conoscete qualche altro mondo in grado di costruirne una?
Il conducente rifletté un attimo mentre il taxi acquistava velocità. Poi disse: — Quando vi fanno una domanda, rispondete sempre con un’altra domanda?
Trevize non seppe resistere. — Perché no?
— In tal caso, cosa rispondereste se vi chiedessi se vi chiamate Golan Trevize?
— Risponderei: «Perché me lo chiedete?»
Il taxi si fermò ai margini dello spazioporto e l’autista disse: — Semplice curiosità! Ve lo chiedo ancora… Siete Golan Trevize?
La voce di Trevize divenne dura ed ostile. — Sono affari vostri?
— Amico mio — fece l’autista — finché non risponderete alla mia domanda non ci muoveremo. E se non risponderete in modo chiaro con un sì od un no entro due secondi, spegnerò il riscaldamento del vano passeggeri e continueremo ad aspettare. Siete Golan Trevize, Consigliere di Terminus? In caso di risposta negativa dovrete mostrarmi i vostri documenti.
— Sì, sono Golan Trevize, e come Consigliere della Fondazione pretendo di essere trattato con tutta la cortesia dovuta alla mia carica. Se sarete irriguardoso vi metterete nei pasticci, amico. Ebbene?
— Adesso possiamo procedere un po’ più distesi. — L’autista si avviò di nuovo. — Scelgo attentamente i miei passeggeri, e mi aspettavo di dare un passaggio a due uomini e basta. La donna è stata una sorpresa per me, ed ho pensato di essermi sbagliato. Invece, ho le persone giuste, e lascerò che siate voi a spiegare la presenza della donna quando sarete a destinazione.
— Voi non sapete quale sia la nostra destinazione.
— Guarda caso, lo so: andate al Dipartimento dei Trasporti.
— Non è là che vogliamo andare.
— Questo non ha la benché minima importanza, Consigliere. Se fossi un tassista vi porterei dove volete. Dato che non lo sono, vi porterò dove voglio andare io.
— Scusate — disse Pelorat sporgendosi in avanti ma mi pare che siate sicuramente un tassista: guidate un taxi.
— Chiunque può guidare un taxi. Non tutti hanno la licenza, però. E non tutte le vetture che sembrano taxi sono taxi.
Trevize intervenne: — Smettiamola di cincischiare. Chi siete, e cosa state facendo? Ricordate che dovrete rendere conto del vostro comportamento alla Fondazione.
— Io, no — ribatté l’autista. — I miei superiori, forse. Io sono un agente della Forza di Sicurezza comporelliana. Ho l’ordine di trattarvi col dovuto rispetto in considerazione della vostra carica, però dovete seguirmi. E niente scherzi, perché questo veicolo è armato, ed ho l’ordine di difendermi in caso di aggressione.
Il veicolo, raggiunta la velocità di crociera, avanzava silenzioso e senza scossoni, e Trevize sedeva assolutamente immobile, come pietrificato. Si rendeva conto, anche senza guardare, che di tanto in tanto Pelorat lo fissava con espressione incerta e sembrava chiedergli: «Che facciamo adesso? Per favore, dimmelo».
Bliss, notò Trevize dopo una rapida occhiata, era invece calma, apparentemente imperturbabile. Certo, lei era un mondo intero di per se stessa. Tutta Gaia, nonostante la distanza galattica, era racchiusa nella sua pelle. Bliss disponeva di grandi risorse, e poteva utilizzarle in caso di emergenza.
Ma, in sostanza, cos’era successo?
Chiaramente, il funzionario della stazione d’ingresso, seguendo la prassi, aveva inoltrato il suo rapporto, omettendo Bliss, e il rapporto aveva attirato l’attenzione del corpo di sicurezza e, fatto strano, del Dipartimento dei Trasporti. Perché?
Era tempo di pace, e Trevize non era al corrente di attriti particolari tra Comporellen e la Fondazione: lui stesso era un importante funzionario della Fondazione…
Un attimo, aveva detto al funzionario della stazione di ingresso… Kendray, sì, sì chiamava così… aveva detto a Kendray di avere affari importanti con il Governo locale. Lo aveva sottolineato, nel tentativo di ottenere il permesso di ingresso. Kendray doveva avere riferito anche questo fatto, il che aveva suscitato ovviamente un interesse notevole.
Trevize non lo aveva previsto, mentre avrebbe dovuto prevederlo.
Dov’era finita la sua prodigiosa intuizione? Cominciava a credere veramente di essere la scatola nera che diceva Gaia? Stava lasciandosi attirare in un pantano per un eccesso di sicurezza basata sulla superstizione?
Come aveva potuto lasciarsi intrappolare da quell’idea folle anche per un attimo? Non aveva mai sbagliato in vita sua? Sapeva che condizioni meteorologiche ci sarebbero state il giorno dopo? Vinceva grandi somme ai giochi d’azzardo? No, e poi no…
Allora, era solo riguardo le cose in generale, i fatti vaghi, che aveva ragione? Come poteva saperlo?
Meglio lasciar perdere! Dopo tutto, dichiarando di avere importanti affari di Stato… no, aveva parlato di motivi di sicurezza della Fondazione…
Be’, dichiarando di essere lì per motivi di sicurezza della Fondazione, arrivando in gran segreto senza contatti ufficiali, era logico che avesse attirato l’attenzione. Già però finché non avessero saputo di che si trattasse, i Comporelliani avrebbero dovuto agire con la massima circospezione, avrebbero dovuto essere cerimoniosi, trattarlo come si convenisse ad un personaggio di primo piano. Non avrebbero dovuto rapirlo e ricorrere alle minacce.
Eppure, era proprio quello che avevano fatto. Perché?
Cos’era che li facesse sentire tanto forti e potenti da riservare una simile accoglienza ad un Consigliere di Terminus?
La Terra, forse? La stessa forza che nascondeva così efficacemente il mondo d’origine, persino ai grandi mentalisti della Seconda Fondazione, stava operando anche adesso per ostacolare fin dalla fase iniziale la ricerca di Trevize? La Terra era onnisciente? Onnipotente?
Trevize scosse la testa. No, quelli erano sintomi paranoici. Intendeva forse incolpare la Terra di tutto? Ogni comportamento strano, ogni circostanza avversa, ogni piccolo intralcio… doveva dipendere per forza dalle macchinazioni segrete della Terra? Cominciando a pensare in quel modo, poteva già considerarsi battuto!
Sentì che il veicolo rallentava, e fu riportato di colpo al presente.
Si rese conto di non avere osservato, neppure per un attimo, la città che avevano attraversato. Al che, si guardò attorno, con un pizzico di frenesia. Gli edifici erano bassi, ma era un pianeta freddo, e probabilmente gran parte delle strutture erano sotterranee.
Non vide traccia di colori, e questo gli sembrò contrario alla natura umana.
Di tanto in tanto, vedeva passare una persona, infagottata. Del resto la gente, come gli edifici, doveva essere per lo più sottoterra.
Il taxi si era fermato davanti ad una costruzione bassa ed ampia, situata in una depressione di cui Trevize non riusciva a scorgere il fondo. Passarono alcuni secondi, e il taxi continuava a rimanere immobile, come l’autista. Il suo cappello bianco di pelo sfiorava il tetto del veicolo.
Trevize si chiese per un attimo come facesse l’autista a salire e a scendere senza perdere il cappello, poi disse con la collera contenuta che era lecito aspettarsi da un funzionario altero e bistrattato: — Ebbene, autista, e adesso?
La versione comporelliana del campo di forza scintillante che separava il conducente dai passeggeri non era affatto rudimentale. Le onde sonore potevano attraversarlo, ma Trevize era certo che gli oggetti materiali con una certa forza d’impatto non l’avrebbero superato.
L’autista disse: — Qualcuno salirà a prendervi. Restate seduti e tranquilli.
Mentre parlava, tre teste sbucarono lentamente dall’avvallamento che ospitava l’edificio, seguite dal resto dei corpi. Chiaramente, i tre uomini stavano salendo con una specie di scala mobile, ma dalla posizione in cui si trovava Trevize non era in grado di notare i particolari.
Mentre i tre si avvicinavano, la portiera del taxi si aprì, lasciando entrare una ventata d’aria gelida.
Trevize smontò, stringendo il giaccone al collo. Gli altri due lo imitarono; Bliss con considerevole riluttanza.
I tre Comporelliani erano informi, indossavano indumenti rigonfi che probabilmente erano riscaldati elettricamente. Trevize provò un senso di disprezzo a quella vista. Certe cose erano superflue su Terminus, e l’unica volta che aveva preso in prestito un soprabito termico durante l’inverno sul pianeta vicino Anacreon, Trevize aveva scoperto che l’indumento tendeva a scaldarsi lentamente, così quando si era accorto di avere troppo caldo stava già sudando abbondantemente.
Mentre i Comporelliani avanzavano, Trevize notò indignato che erano armati, e non si curavano di nasconderlo. Anzi… Ognuno aveva un disintegratore in una fondina fissata esternamente.
Uno di loro, fermandosi di fronte a Trevize, disse con voce burbera: — Scusate, Consigliere — e gli aprì il giaccone con un movimento brusco. Allungò le mani e le spostò velocemente su e giù lungo i fianchi di Trevize, lungo la schiena, il torace e le cosce. Il giaccone venne scosso e tastato. Sopraffatto dalla confusione e dallo sbigottimento, Trevize si rese conto di essere stato perquisito con estrema efficienza solo ad operazione terminata.
Pelorat, il mento piegato e la bocca contratta in una smorfia, stava subendo un identico trattamento indegno per mano del secondo Comporelliano.
Il terzo si accostò a Bliss, che agì prima di lasciarsi toccare. Lei almeno sapeva cosa aspettarsi, perché si tolse il giaccone e per alcuni attimi rimase esposta al sibilo del vento coperta solo da indumenti leggeri.
In tono gelido quanto la temperatura, disse: — Vedete benissimo che non sono armata.
Era più che evidente. Il Comporelliano scosse il giaccone, come se dal peso fosse in grado di giudicare se contenesse un’arma (forse era in grado di stabilirlo), quindi indietreggiò.
Bliss tornò ad infilarsi il giaccone, avvolgendoselo bene addosso, e Trevize non poté fare a meno di ammirare il suo gesto. Sapeva quanto soffrisse il freddo Bliss, eppure la ragazza non si era lasciata sfuggire un solo tremito mentre era rimasta in camicetta e calzoni. (Poi Trevize si domandò se, in quella particolare emergenza, non avesse per caso assorbito calore dal resto di Gaia.)
Un Comporelliano li chiamò con un gesto, ed i tre forestieri esterni lo seguirono. Gli altri due Comporelliani si accodarono. Il paio di pedoni che erano per strada non si presero la briga di osservare cosa stava accadendo. O erano abituati a episodi del genere, o, più probabilmente, pensavano più che altro a raggiungere un ambiente chiuso quanto prima.
Trevize ebbe modo di constatare che quella lungo la quale i Comporelliani erano saliti poco prima fosse una rampa mobile. Ora stavano scendendo, tutti e sei, ed attraversarono un sistema di chiusura complicato quasi quanto quello di un’astronave… senza dubbio, per trattenere il calore all’interno, non l’aria.
E d’un tratto si trovarono dentro un edificio enorme.
Lì per lì, Trevize ebbe l’impressione di trovarsi sul set di un iperdramma… per la precisione, sul set di un romanzo storico d’ambientazione imperiale. C’era un set particolare, con poche variazioni (forse ne esisteva uno solo ed era usato da tutti i produttori ipervisivi, per quel che ne sapesse Trevize), che rappresentava la mastodontica città-pianeta di Trantor nel periodo di maggior splendore.
C’erano larghi spazi, lo scalpiccio indaffarato dei pedoni, i piccoli veicoli che sfrecciavano lungo le corsie riservate.
Trevize alzò lo sguardo, aspettandosi quasi di vedere degli aerotaxi che si spingevano in oscuri recessi a volta, ma almeno questo mancava. Infatti, superata la sorpresa iniziale, si rese conto che l’edificio era molto più piccolo di quanto ci si sarebbe aspettati su Trantor. Era solo un edificio, non una parte di un complesso che si estendesse ininterrottamente per migliaia di chilometri in ogni direzione.
Anche i colori erano diversi. Negli iperdrammi, Trantor era sempre raffigurato come un mondo dalle tinte eccessivamente sgargianti, e gli abiti se presi alla lettera apparivano privi di qualsiasi praticità reale. Comunque, tutti quei colori e quei fronzoli avevano un preciso significato simbolico, in quanto indicavano la decadenza (una prospettiva obbligatoria, in quei giorni) dell’Impero, e soprattutto di Trantor.
In tal caso, Comporellen era esattamente l’opposto della decadenza, perché il modello cromatico che Pelorat aveva fatto notare allo spazioporto trovava lì una netta conferma.
Le pareti erano di varie tonalità di grigio, i soffitti bianchi, il vestiario della popolazione nero, grigio, e bianco. Di tanto in tanto, si vedeva un abito completamente nero; ancor più raramente, un completo grigio; di completi bianchi, nessuna traccia, per quel che poteva constatare Trevize. I modelli ed i disegni però erano sempre diversi, come se la gente, pur priva dei colori, riuscisse ugualmente ad affermare in altri modi la propria individualità.
Le facce tendevano a essere inespressive, e se non erano inespressive tendevano a un’espressione arcigna. Le donne portavano i capelli corti; gli uomini li portavano più lunghi ma raccolti sulla nuca in codini. Nessuno guardava gli altri, passando. Sembrava che tutti avessero uno scopo ben preciso, e che nella loro mente non ci fosse spazio per nient’altro. Uomini e donne vestivano in maniera identica, e li si distingueva solo dalla lunghezza dei capelli, dal rigonfiamento del seno e dall’ampiezza dei fianchi.
I tre furono guidati in un ascensore che scese cinque livelli più in basso. Una volta usciti, vennero condotti davanti a una porta grigia su cui, in piccole lettere bianche, compariva la scritta: “Mitza Lizalor — MinTras”.
Il Comporelliano in testa al gruppetto toccò la scritta, che, un istante dopo, luccicò in risposta: la porta si aprì, ed entrarono.
Era una stanza ampia e piuttosto spoglia, e forse la scarsezza di arredi rappresentava uno spreco voluto di spazio destinato a ostentare il potere di chi la occupava.
Due guardie se ne stavano ritte contro la parete opposta, i volti inespressivi, gli occhi fissi sui nuovi arrivati. Un’ampia scrivania riempiva il centro della stanza, sistemata forse leggermente arretrata rispetto al centro esatto. La figura dietro la scrivania era senza dubbio Mitza Lizalor… corporatura imponente, tratti regolari, occhi scuri, mani forti e capaci con dita lunghe dalla punta tozza posate sulla scrivania.
Il MinTras (Ministro dei Trasporti, dedusse Trevize) aveva i risvolti del vestito di un bianco abbagliante che spiccavano sul grigio scuro dell’indumento. La doppia striscia bianca proseguiva in diagonale sotto i risvolti incrociandosi al centro del petto. Anche se il taglio dell’indumento minimizzava le protuberanze del seno femminile, notò Trevize, quella X candida richiamava l’attenzione proprio su quel punto.
Il Ministro era senza dubbio una donna. Anche ignorando il seno, lo si capiva dai capelli corti; e anche se sulla faccia non c’era ombra di trucco, i lineamenti erano decisamente femminili.
Pure la sua voce era indiscutibilmente femminile, una voce sonora da contralto.
Il Ministro esordì: — Buon pomeriggio. Ci capita di rado di avere l’onore di ricevere una visita da uomini di Terminus… E da una donna non meglio identificata. — I suoi occhi osservarono i tre, poi si posarono su Trevize, che se ne stava rigido ed accigliato. — E uno degli uomini è inoltre membro del Consiglio.
— Un Consigliere della Fondazione — disse Trevize, cercando di far squillare la propria voce. — Consigliere Golan Trevize, in missione per conto della Fondazione.
— In missione? — Il Ministro inarcò le sopracciglia.
— In missione — ripeté Trevize. — Perché dunque veniamo trattati come criminali? Perché siamo stati presi in custodia da guardie armate e portati qui come prigionieri? Il Consiglio della Fondazione, spero ve ne rendiate conto, non accoglierà la notizia con piacere.
— E in ogni caso — intervenne Bliss, e la sua voce sembrava leggermente stridula rispetto quella dell’altra donna, più anziana di lei — dobbiamo restare in piedi in eterno?
Il Ministro le lanciò un’occhiata fredda, poi alzò un braccio e disse: — Tre sedie! Presto!
Una porta si aprì, e tre uomini che indossavano i soliti capi spenti della moda comporelliana si affrettarono a portare tre sedie. I tre forestieri davanti alla scrivania si sedettero.
— Ecco — disse il Ministro con un sorriso privo di qualsiasi calore. — Siamo comodi?
A Trevize pareva proprio di no. Le sedie non erano imbottite, erano fredde al tatto, piatte, non venivano ad alcun compromesso con la forma del corpo. — Perché siamo qui? — chiese.
Il Ministro consultò degli incartamenti sulla scrivania. — Ve lo spiegherò non appena sarò sicura dei dati in mio possesso. La vostra nave è la “Far Star” proveniente da Terminus. È esatto Consigliere?
— Sì.
Il Ministro alzò lo sguardo. — Ho usato il vostro titolo, Consigliere. Volete essere tanto cortese da usare il mio?
— È sufficiente “Signor Ministro”? O c’è qualche titolo onorifico?
— Nessun titolo onorifico, signore, e non è necessario che usiate due parole. “Ministro” è più che sufficiente o “signora” se non vi piacciono le ripetizioni.
— In tal caso a mia risposta è: sì, Ministro.
— Il capitano della nave è Golan Trevize, cittadino della Fondazione e membro del Consiglio di Terminus… Consigliere giovane di nomina recente, per la precisione. E voi siete Trevize. È tutto esatto, Consigliere?
— Sì, Ministro. E dal momento che sono un cittadino della Fondazione…
— Non ho ancora finito, Consigliere. Risparmiate le vostre obiezioni per quando avrò concluso. Il vostro accompagnatore è Janov Pelorat, studioso, storico, e cittadino della Fondazione. E quell’uomo siete voi, vero, dottor Pelorat?
Pelorat ebbe un lieve sussulto quando il Ministro spostò il suo sguardo penetrante su di lui. — Sì, sono io, mia ca… — S’interruppe e ricominciò: — Sì, sono io, Ministro.
Il Ministro congiunse le mani. — Nel rapporto che mi è pervenuto non c’è alcun accenno ad una donna: questa donna appartiene all’effettivo della nave?
— Sì, Ministro — rispose Trevize.
— Allora mi rivolgerò a lei. Il vostro nome?
— Sono conosciuta come Bliss — rispose Bliss, sedendo eretta e parlando con calma e chiarezza — anche se il mio nome è più lungo, signora. Devo dirvelo per intero?
— Mi accontenterò di Bliss per il momento. Siete cittadina della Fondazione, Bliss?
— No, signora.
— Di quale mondo siete cittadina, Bliss?
— Non ho documenti di cittadinanza di alcun mondo, signora.
— Nessun documento, Bliss? — Il Ministro fece un segnetto sull’incartamento che aveva di fronte. — Prendiamo nota di questo fatto… Cosa fate a bordo della nave?
— Sono un passeggero, signora.
— Il Consigliere Trevize od il dottor Pelorat non hanno chiesto di vedere i vostri documenti prima che saliste a bordo, Bliss?
— No, signora.
— Li avete informati di essere priva di documenti Bliss?
— No, signora.
— Qual è la vostra mansione a bordo della nave, Bliss? Il vostro nome, Bliss, “Beatitudine”, si adatta alla vostra mansione?
Bliss rispose orgogliosa: — Sono un passeggero, e non ho altra mansione.
Trevize intervenne: — Perché state tormentando questa donna, Ministro? Che legge ha violato?
Lo sguardo del Ministro Lizalor si spostò su di lui. — Voi siete un forestiero, un Esterno, Consigliere, e non conoscete le nostre leggi. Malgrado questo, siete soggetto ad esse se decidete di visitare il nostro mondo. Non portate con voi le vostre leggi ovunque andiate: questa è una regola generale del diritto galattico, credo.
— Certamente, Ministro, ma devo ancora sapere quale delle vostre leggi abbia violato Bliss.
— Consigliere, di regola nella Galassia un visitatore proveniente da un mondo al di fuori del territorio politico del mondo che stia visitando deve avere con sé dei documenti di identità. Sotto questo aspetto, molti mondi sono poco severi, o perché interessati al turismo, o perché indifferenti verso la legge e l’ordine. Noi Comporelliani non ci comportiamo così. Siamo un mondo legato alla legge, e l’applichiamo in modo rigoroso. Questa donna è un’apolide, pertanto infrange la nostra legge.
Trevize replicò: — Non aveva scelta. Ero io che pilotavo la nave, e l’ho portata su Comporellen. Lei ha dovuto accompagnarci, Ministro… o a vostro parere avrebbe dovuto chiederci di essere gettata nello spazio?
— Questo significa soltanto che anche voi, Consigliere, avete violato le nostre leggi.
— No, non è esatto, Ministro. Io non sono un Esterno, sono un cittadino della Fondazione, e Comporellen ed i mondi compresi nella sua sfera d’influenza politica sono una Potenza Alleata della Fondazione: come cittadino della Fondazione, posso viaggiare liberamente in questo territorio.
— Certo, Consigliere, a patto che abbiate dei documenti che dimostrino che siete davvero cittadino della Fondazione.
— E li ho, Ministro.
— Eppure, anche in qualità di cittadino della Fondazione, non avete il diritto di violare le nostre leggi portando con voi una persona apolide, senza cittadinanza.
Trevize esitò. Chiaramente, la guardia di confine, Kendray, non aveva mantenuto la parola, quindi era inutile proteggerlo. — Non siamo stati fermati alla stazione di immigrazione, così ho dato per scontato che avessimo il permesso di portare con noi questa donna, Ministro.
— Non vi hanno fermati, è vero, Consigliere. Ed è vero che la donna non sia stata denunciata dall’immigrazione ed abbia potuto passare. Immagino, comunque, che i funzionari della stazione d’ingresso abbiano pensato, giustamente, che fosse più importante far scendere in superficie la vostra nave piuttosto che preoccuparsi della presenza di un’apolide. Il loro comportamento, a rigor di logica, ha infranto le regole, e bisognerà affrontare adeguatamente il problema, ma senza dubbio alla fine si deciderà che si sia trattato di un’infrazione giustificata. Siamo un mondo che osserva rigorosamente le leggi, Consigliere, ma non siamo rigidi oltre i limiti della ragionevolezza.
Trevize disse prontamente: — Allora mi appello alla ragione perché non siate troppo rigidi in questa circostanza, Ministro. Se la stazione d’ingresso non vi ha davvero informato circa la presenza a bordo di un’apolide, è evidente che non sapevate che stavamo infrangendo la legge quando siamo atterrati. Eppure è altrettanto evidente che eravate pronti a prenderci in custodia non appena fossimo atterrati, cosa che infatti è avvenuta. Perché l’avete fatto, dal momento che non avevate motivo di pensare che si stesse commettendo qualche reato?
Il Ministro sorrise. — Capisco la vostra confusione, Consigliere. Vi assicuro che il vostro fermo sarebbe avvenuto in ogni caso… indipendentemente dalla notizia della presenza a bordo di un passeggero privo di cittadinanza. Stiamo agendo per conto della Fondazione, di cui siamo una Potenza Alleata, come voi stesso ribadite.
Trevize la fissò. — Ma è impossibile, Ministro… Anzi, peggio… È addirittura ridicolo, assurdo.
Il Ministro eruppe in una risatina melliflua. — Interessante notare come pregiate il ridicolo all’impossibile, Consigliere. Sono d’accordo con voi. Sfortunatamente, non è né l’una né l’altra cosa. Perché dovrebbe esserlo?
— Perché sono un funzionario del governo della Fondazione, in missione per conto della Fondazione, ed è inconcepibile che proprio la Fondazione voglia farmi arrestare… o abbia addirittura il potere di farlo, dal momento che godo dell’immunità parlamentare.
— Ah, dimenticate il mio titolo, ma siete sconvolto, quindi la mancanza forse è perdonabile. Comunque, non mi è stato chiesto espressamente di arrestarvi: lo faccio solo per poter eseguire quello che mi è stato chiesto di fare, Consigliere.
— Sarebbe, Ministro? — disse Trevize, cercando di controllare le proprie emozioni di fronte a quella donna tremenda.
— Requisire la vostra nave, Consigliere, e restituirla alla Fondazione.
— Cosa?
— Continuate a dimenticare il mio titolo, Consigliere. Un atteggiamento molto trascurato, con cui non perorate certo la vostra causa. La nave non è vostra, suppongo. È stata progettata da voi, o costruita da voi, o pagata da voi?
— Naturalmente, no, Ministro: mi è stata assegnata dal governo della Fondazione.
— Quindi, evidentemente, il governo della Fondazione ha il diritto di annullare questa assegnazione, Consigliere. È una nave di valore, immagino.
Trevize non rispose.
Il Ministro continuò: — È una nave gravitazionale, Consigliere. È impossibile che ne esistano molte, e persino la Fondazione deve averne pochissime. Si saranno pentiti di avervi assegnato una di queste rare navi. Forse riuscirete a persuaderli perché vi assegnino un’altra nave, meno preziosa, ma comunque ampiamente sufficiente per svolgere la vostra missione… La nave su cui siete arrivato, però, deve restare in mano nostra.
— No, Ministro, non posso cedere la nave: è impossibile che la Fondazione vi abbia chiesto di requisirmela.
Il Ministro sorrise. — Non l’ha chiesto solo a me, Consigliere, né a Comporellen, specificatamente. Abbiamo motivo di credere che la richiesta sia stata inviata a tutti i mondi ed i settori sotto la giurisdizione della Fondazione o suoi alleati. Da questo deduco che la Fondazione non conosca il vostro itinerario e vi stia cercando con un certo accanimento. Dal che, deduco inoltre che non vi trovate in missione su Comporellen per conto della Fondazione, perché in tal caso la Fondazione avrebbe conosciuto la vostra posizione e si sarebbe rivolta direttamente a noi. In parole povere, Consigliere, mi avete mentito.
Con una certa difficoltà, Trevize disse: — Vorrei vedere una copia della richiesta che avete ricevuto dal governo della Fondazione: ne ho diritto, penso.
— Certamente, se arriveremo a un’azione legale. Noi prendiamo molto seriamente la nostra prassi legale, Consigliere, ed i vostri diritti saranno tutelati pienamente, ve l’assicuro. Comunque, sarebbe più conveniente e più semplice raggiungere subito un accordo, qui, senza la pubblicità e lo spreco di tempo di un procedimento giudiziario. Noi lo preferiremmo, e sono sicura che lo preferirebbe anche la Fondazione… piuttosto che in tutta la Galassia si venisse a sapere di un Legislatore fuggitivo. La Fondazione cadrebbe nel ridicolo e, secondo il vostro punto di vista ed il mio, il ridicolo è peggio dell’impossibile.
Trevize tacque ancora.
Il Ministro attese un istante, poi proseguì imperturbabile: — Via, Consigliere, in un modo o nell’altro, o per un accordo informale o per azione legale, intendiamo requisire la nave. La pena per l’introduzione di un passeggero apolide dipenderà dalla via che sceglieremo. Se volete un procedimento giudiziario, la donna rappresenterà un’aggravante a vostro carico, e dovrete scontare interamente le conseguenze penali del vostro reato, che non saranno leggere, ve l’assicuro. Giungendo ad un accordo, la passeggera potrà raggiungere qualunque destinazione desideri con un volo commerciale, e volendo, voi due sarete liberi di accompagnarla. O, se la Fondazione sarà d’accordo, potremo fornirvi una delle nostre navi, una nave perfettamente adeguata… ammesso, naturalmente, che la Fondazione la sostituisca con una sua nave equivalente. O se per qualche motivo non desideriate tornare nel territorio controllato dalla Fondazione, saremo disposti a offrirvi asilo politico qui, e forse in seguito anche la cittadinanza comporelliana. Come vedete, un accordo amichevole presenta molte possibilità vantaggiose, mentre insistendo sui vostri diritti legali potrete solo rimetterci.
Trevize disse: — Ministro, siete troppo impaziente di concludere. Fate promesse che non siete in grado di mantenere: non potete offrirmi asilo politico ignorando la richiesta di consegna della Fondazione.
— Consigliere, non faccio mai promesse a vuoto. La richiesta della Fondazione riguarda solo la nave, non parla né di voi né di qualsiasi altra persona a bordo.
Trevize lanciò un’occhiata a Bliss e disse: — Ministro, posso avere il permesso di consultare brevemente il dottor Pelorat e la signorina Bliss?
— Certo, Consigliere. Vi concedo un quarto d’ora.
— In privato, Ministro.
— Vi accompagneranno in una stanza, e tra un quarto d’ora verrete condotti di nuovo qui, Consigliere. Non sarete disturbati, e non tenteremo di spiare la vostra conversazione. Avete la mia parola, ed io mantengo la parola data. Comunque, sarete sorvegliati, quindi non siate tanto sciocchi da cercare di fuggire.
— Capiamo, Ministro.
— E quando tornerete, ci aspettiamo che abbiate optato per un accordo amichevole e consegnate la nave. Altrimenti, la legge seguirà il suo corso, e le conseguenze saranno molto spiacevoli per tutti voi, Consigliere. Capito?
— Certo, Ministro — rispose Trevize controllando la collera che aveva in corpo, dato che sarebbe stato controproducente lasciarla sfogare.
Era una stanza piccola, ma bene illuminata. Conteneva un divano e due sedie, e si sentiva il rumore lieve di una ventola d’aerazione. Complessivamente, era molto più accogliente dell’ampio ufficio asettico del Ministro.
Li aveva scortati una guardia, un tipo alto e serissimo, con la mano accostata all’impugnatura del disintegratore. Rimase all’esterno mentre loro entravano e con voce grave disse: — Avete un quarto d’ora.
Dopo di che la porta si chiuse di scatto.
— Spero solo che non ci spiino — esordì Trevize.
— Ci ha dato la sua parola, Golan — fece Pelorat.
— Giudichi gli altri in base a te stesso, Janov. La sua cosiddetta parola non basta. Se vuole romperà la promessa senza esitare.
— Non importa — intervenne Bliss. — Posso schermare la stanza.
— Hai un congegno schermante? — chiese Pelorat.
Bliss sorrise, con un balenio improvviso di denti bianchi. — La mente di Gaia è un congegno schermante, Pel: è una mente enorme.
— E noi siamo qui grazie ai limiti di quella mente enorme — osservò Trevize rabbioso.
— Cosa vorresti dire? — fece Bliss.
— Al termine del confronto a tre, mi hai cancellato dalla mente del Sindaco e di Gendibal, il membro della Seconda Fondazione. Non dovevano più pensare a me, se non in modo molto vago e con indifferenza, così da lasciarmi in pace.
— Abbiamo dovuto farlo — disse Bliss. — Tu sei la nostra risorsa più importante.
— Già. Golan Trevize, colui che non sbaglia mai. Però non hai cancellato la mia nave dalla loro mente, vero? Il Sindaco Branno non ha chiesto di catturare me… io non le interesso minimamente… però ha chiesto la consegna della nave. Non ha dimenticato la nave!
Bliss corrugò la fronte.
Trevize incalzò: — Rifletti. Gaia ha presunto distrattamente che io comprendessi la mia nave, che fossimo un unico insieme. Non pensando a me, la Branno non avrebbe pensato nemmeno alla mia nave. Il guaio è che Gaia non capisce l’individualità: ha creduto che la nave ed io formassimo un singolo organismo, ed ha sbagliato.
Bliss disse sottovoce: — È possibile.
— Be’, allora sta a te rimediare a quell’errore — disse Trevize sbrigativo. — Mi servono assolutamente la mia nave e il mio computer, non dei rimpiazzi qualsiasi. Quindi, Bliss, fai in modo che la “Far Star” resti in mano mia: tu puoi controllare le menti.
— Sì, Trevize, però non esercitiamo il controllo mentale alla leggera. Lo abbiamo fatto in occasione del vertice a tre, ma hai idea del tempo occorso per preparare quell’incontro, per calcolare tutto, soppesare? Sono occorsi anni ed anni, davvero. Non posso avvicinarmi ad una donna e, come se nulla fosse, modificare la sua mente in base alle esigenze di un altra persona.
— È una circostanza…
Bliss continuò imperterrita: — Se cominciassi ad adottare questa linea d’intervento, quale sarebbe il limite? Avrei potuto influenzare la mente dell’agente alla stazione d’ingresso e saremmo passati subito. Avrei potuto influenzare la mente dell’agente sul taxi e ci avrebbe lasciati andare…
— Già, a proposito, perché non l’hai fatto?
— Perché non sappiamo quali sarebbero le conseguenze. Non conosciamo gli effetti collaterali, ed in questo modo c’è il rischio di peggiorare la situazione. Influenzando la mente del Ministro, influenzerei i suoi rapporti con le altre persone, e dato che si tratta di un importante funzionario governativo potrebbero addirittura esserci delle ripercussioni sulle relazioni interstellari. Bisognerebbe esaminare tutto approfonditamente prima di azzardarci a toccare la sua mente.
— Allora perché sei con noi?
— Perché un giorno la tua vita potrebbe essere in pericolo. Devo proteggerti ad ogni costo, anche a costo di sacrificare il mio Pel o me stessa. Alla stazione d’ingresso la tua vita non era in pericolo, e nemmeno adesso è in pericolo. Dovrai risolvere il problema da solo, almeno finché Gaia non avrà valutato bene le conseguenze di un’eventuale azione.
Trevize meditò qualche secondo, poi disse: — In tal caso, devo fare un tentativo. E non è detto che funzioni.
La porta si aprì, scorrendo rumorosamente come quando si era chiusa.
La guardia disse: — Uscite.
Mentre uscivano, Pelorat mormorò: — Cosa intendi fare, Golan?
Trevize scosse la testa. — Non lo so, di preciso. Dovrò improvvisare.
Il Ministro Lizalor sedeva ancora alla scrivania quando tornarono nel suo ufficio. Vedendoli entrare, contrasse la faccia in un sorriso sinistro.
Disse: — Spero, Consigliere Trevize, che siate qui per dirmi che intendiate cedere la nave della Fondazione in mano vostra.
— Sono qui per discutere delle condizioni, Ministro — rispose calmo Trevize.
— Non ci sono condizioni da discutere, Consigliere. Se proprio insistete, si può istruire un processo molto rapidamente, e chiuderlo ancor più rapidamente. Vi garantisco una condanna anche in caso di un dibattimento perfettamente equo, dato che portando su Comporellen, una persona priva di cittadinanza avete commesso un reato lampante. Dopo di che, noi confischeremo la nave con un atto del tutto legittimo e voi tre dovrete scontare pene severe. Non fatevi punire a tutti i costi solo per rimandare di un giorno l’inevitabile.
— Eppure, ci sono delle condizioni da chiarire, Ministro, perché anche condannandoci con la massima rapidità non potrete impadronirvi della nave senza il mio consenso. Se tenterete di introdurvi a bordo con la forza, distruggerete la nave, lo spazioporto e tutte le persone dello spazioporto. In questo modo renderete furiosa la Fondazione, e non credo che oserete tanto. Ricorrere alle minacce o ai maltrattamenti per costringermi ad aprire la nave è sicuramente un atto contrario alle vostre leggi, e se in preda alla disperazione violerete la legge e ci torturerete o ci sottoporrete a una carcerazione dura e particolarmente lunga, la Fondazione verrà a saperlo e si infurierà ancora di più. Nonostante tengano tanto alla mia nave, non possono creare un precedente del genere che consentirebbe di maltrattare impunemente dei cittadini della Fondazione… Bene, possiamo discutere delle condizioni?
— Sono solo sciocchezze — replicò il Ministro accigliandosi. — Se necessario, chiameremo in causa la Fondazione stessa. Loro saranno in grado di aprire la loro nave, o vi costringeranno ad aprirla.
Trevize disse: — Non avete usato il mio titolo, Ministro, ma siete sconvolta, quindi forse è una mancanza perdonabile. Sapete benissimo che non vi rivolgerete mai alla Fondazione, dato che non avete alcuna intenzione di restituire la nave.
Il volto del Ministro si irrigidì. — Che assurdità sono queste, Consigliere?
— Sono assurdità che forse gli altri non dovrebbero sentire, Ministro. Lasciate che il mio amico e la ragazza si ritirino in una comoda stanza d’albergo e riposino come meritano, e fate uscire anche le vostre guardie. Rimarranno accanto alla porta, e potrete chiedere un disintegratore. Non siete una donna gracile, e con un disintegratore non avrete nulla da temere da me: io sono disarmato.
Il Ministro si sporse in avanti sulla scrivania. — Non ho nulla da temere da voi in ogni caso.
Senza voltarsi, rivolse un cenno ad una delle guardie, che si avvicinò immediatamente e si fermò di fianco alla scrivania battendo i tacchi. Il Ministro disse: — Guardia, porta quei due all’Appartamento cinque. Resteranno là, e dovranno disporre di ogni comodità ed essere ben sorvegliati. Sarai ritenuto responsabile di qualsiasi maltrattamento ai loro danni, e di qualsiasi infrazione alla sicurezza.
Si alzò, e nonostante si stesse sforzando di conservare una compostezza assoluta Trevize non riuscì ad evitare un lieve sussulto. Era alta; alta almeno quanto lui, cioè un metro e ottantacinque, forse addirittura un paio di centimetri più di lui. Aveva una vita sottile, e le due strisce bianche incrociate sul petto proseguivano girandole attorno alla vita, facendola sembrare ancor più snella. Era aggraziata ma comunque imponente, e Trevize rifletté mesto che affermando di non avere nulla da temere da lui quella donna forse non aveva parlato a vanvera. In un corpo a corpo sarebbe stata capacissima di inchiodarlo con le spalle al tappeto.
Il Ministro disse: — Venite con me, Consigliere. Se proprio volete dire delle assurdità, per il vostro bene, meno persone vi sentiranno, meglio sarà per voi.
Fece strada con passo svelto, e Trevize la seguì, sentendosi sminuito dalla sua sagoma massiccia, sensazione che non aveva mai provato in precedenza di fronte a una donna.
Salirono su un ascensore e, mentre la porta si chiudeva, lei disse: — Siamo soli, adesso, Consigliere, e se credete di poter usare la forza con me per raggiungere chissà quale fine, per favore dimenticatevene. — Poi con il tono cantilenante della voce più pronunciato, chiaramente divertita disse: — Avete l’aria di un tipo abbastanza robusto, ma vi assicuro che non avrò alcuna difficoltà a spezzarvi un braccio, o la schiena, se necessario. Sono armata, ma non avrò bisogno di usare nessuna arma.
Trevize si sfregò una guancia e i suoi occhi squadrarono dall’alto in basso, e viceversa, quel corpo femminile. — Ministro, in un incontro di lotta posso tener testa a qualsiasi uomo del mio peso, ma ho già deciso di rinunciare a misurarmi con voi. Quando sono surclassato, me ne rendo conto.
— Bene — disse lei soddisfatta.
— Dove andiamo, Ministro?
— Giù! Molto in basso. Ma non preoccupatevi. In un iperdramma, questa discesa annuncerebbe il vostro trasferimento in una prigione sotterranea, immagino… ma non abbiamo segrete su Comporellen… solo prigioni decenti. Stiamo andando nel mio appartamento privato; non sarà romantico come una segreta dell’infame epoca imperiale antica, ma è molto più comodo.
Trevize calcolò che dovevano essere ad almeno una cinquantina di metri dalla superficie del pianeta, quando la porta dell’ascensore si aprì e loro uscirono.
Trevize si guardò attorno nell’appartamento, stupito.
Il Ministro disse con espressione torva: — Non vi piace il mio alloggio, Consigliere?
— Oh, no, perché non dovrebbe piacermi, Ministro? Sono solo sorpreso. Non me l’aspettavo. Da quel poco che ho visto e sentito dal mio arrivo sul vostro mondo, mi ero fatto l’impressione che fosse un mondo sobrio, scevro di lussi inutili.
— Ed è così, Consigliere. Le nostre risorse sono limitate, e la nostra vita deve essere dura come il nostro clima.
— Ma questo, Ministro. — E Trevize allargò le mani quasi ad abbracciare la stanza dove, per la prima volta su quel mondo, vedeva dei colori, dove i divani erano bene imbottiti, dove la luce delle pareti era soffusa, e dove il pavimento era rivestito da un campo di forza che rendeva i passi elastici e silenziosi. — Questo mi pare proprio lusso.
— Come avete appena detto, Consigliere, evitiamo i lussi inutili, l’ostentazione, gli sprechi del lusso eccessivo. Questo comunque è lusso privato, e ha una sua utilità. Io lavoro duramente e ho grandi responsabilità. Ho bisogno di un posto dove poter dimenticare, per un po’, le difficoltà della mia carica.
— E tutti i Comporelliani vivono così quando gli occhi altrui sono rivolti altrove, Ministro? — chiese Trevize.
— Dipende dal genere di lavoro e responsabilità. Pochi possono permetterselo, e lo meritano o, grazie al nostro codice etico, lo desiderano.
— Ma voi, Ministro, potete permettervelo, lo meritate… e lo desiderate?
— Il rango ha i suoi privilegi, oltre che i suoi doveri. E adesso sedetevi, Consigliere, e parlatemi di questa vostra follia. — Il Ministro si sedette sul divano, che cedette lentamente sotto il suo peso, e indicò una poltrona altrettanto soffice di fronte a sé, a breve distanza.
Trevize si accomodò. — Follia, Ministro?
Il Ministro si rilassò visibilmente, appoggiando il gomito destro su un cuscino. — In privato non siamo tenuti ad osservare le regole del discorso formale con eccessivo puntiglio. Chiamatemi Lizalor. Io vi chiamerò Trevize… Ditemi cosa avete in mente, Trevize, e discutiamone.
Trevize accavallò le gambe. — Vedete, Lizalor, mi avete offerto la possibilità di scegliere tra il consegnare spontaneamente la nave e l’essere sottoposto ad un procedimento penale. In entrambi i casi, la nave finirebbe in mano vostra. Eppure avete fatto di tutto per convincermi ad accettare un accordo pacifico. Siete disposti a offrirmi un’altra nave per rimpiazzare la mia, così che i miei amici ed io possiamo andare dove desideriamo. Volendo, potremmo addirittura restare qui su Comporellen e ottenere la cittadinanza. Inoltre, mi avete concesso un quarto d’ora per consultarmi coi miei amici, e siete arrivata anche a portarmi nel vostro alloggio privato, mentre i miei amici adesso avranno trovato una comoda sistemazione, suppongo. In parole povere, Lizalor, mi stiate corrompendo con un trattamento speciale perché ceda la nave senza che si renda necessario un processo, e mi sembrate piuttosto alle strette.
— Via, Trevize, non volete proprio darmi atto di possedere impulsi umani?
— No.
— O che una resa spontanea sarebbe più rapida e conveniente di un processo?
— No! Io avrei un’altra ipotesi da suggerire.
— Cioè?
— Un processo presenta un aspetto molto negativo: è un atto pubblico. Avete sottolineato parecchie volte come su questo mondo ci sia un sistema legale rigoroso, be’, io credo che sarebbe difficile allestire un processo senza una documentazione pubblica e completa. In questo caso, la Fondazione ne avrebbe notizia e voi dovreste consegnare la nave al termine del processo.
— Certo — disse Lizalor, inespressiva. — La nave appartiene alla Fondazione.
— Ma un accordo privato con me non dovrebbe figurare su un documento ufficiale. Avreste la nave, e dato che la Fondazione sarebbe all’oscuro di tutto… non sanno nemmeno che siamo su questo mondo… Comporellen potrebbe tenerla: sono sicuro che le vostre intenzioni siano queste.
— E perché lo faremmo? — Lizalor era sempre impassibile. — Non facciamo parte della Confederazione della Fondazione?
— Non proprio: voi siete una Potenza Alleata. In ogni mappa galattica su cui i mondi membri della Fondazione compaiono in rosso, Comporellen ed i suoi mondi satelliti formano invece una chiazza rosa pallido.
— Comunque, come Potenza Alleata, collaboreremmo certamente con la Fondazione.
— Davvero? E se Comporellen sognasse l’indipendenza totale, o magari addirittura un ruolo guida? Siete un mondo vecchio. Quasi tutti i mondi sostengono di essere più vecchi di quel che siano realmente, ma Comporellen è realmente un mondo vecchio.
Un sorriso freddo apparve sul volto di Lizalor. — Il più vecchio, volendo prestar fede a quel che dicono certi nostri elementi fanatici.
— Forse un tempo Comporellen era davvero il mondo guida di un piccolo gruppo di mondi. Forse voi sognate ancora di riconquistare quella posizione preminente persa.
— Credete che sogniamo una meta così impossibile? L’ho definita follia prima di conoscere i vostri pensieri, ed adesso che li conosco è senza dubbio follia.
— Per quanto possa essere impossibile un sogno, si può sognare comunque. Terminus, situato ai bordi della Galassia e con alle spalle cinque secoli di storia, una storia più breve di quella di qualsiasi altro mondo, governa in pratica la Galassia. Perché Comporellen non dovrebbe essere al suo posto, eh? — Trevize stava sorridendo.
Lizalor rimase seria. — Terminus ha raggiunto quella posizione in seguito all’attuazione del piano di Hari Seldon, è risaputo.
— Questo è il sostegno psicologico della sua superiorità, che forse reggerà solo finché la gente ci crederà. Può darsi che il governo di Comporellen non ci creda. In ogni modo, Terminus gode anche di saldi fondamenti tecnologici. L’egemonia galattica di Terminus dipende indubbiamente dalla sua tecnologia avanzata… di cui la nave gravitazionale che siete tanto ansiosi di requisire costituisce un esempio. Nessun’altro mondo all’infuori di Terminus possiede navi gravitazionali. Se Comporellen potesse disporre di una nave gravitazionale e riuscisse a scoprirne il funzionamento, compirebbe un salto qualitativo tecnologico gigantesco. Non credo che basterebbe a sopraffare Terminus, però può darsi che il vostro governo sia di avviso contrario.
Lizalor replicò: — Non penso che parliate sul serio. Un governo che trattenesse la nave malgrado la richiesta della Fondazione attirerebbe di sicuro su di sé la collera della Fondazione, e la storia ci insegna che la Fondazione può adirarsi in modo molto pericoloso.
— La collera della Fondazione si scatenerebbe solo se esistesse un motivo per cui adirarsi.
— In tal caso, Trevize… supponendo che la vostra analisi della situazione non sia precisamente folle… non sarebbe vantaggioso per voi consegnarci la nave e concludere un ottimo affare? Vi pagheremmo bene pur di procurarci la nave senza scalpore, stando al vostro ragionamento.
— Ed avreste la certezza che io non denuncerei il fatto alla Fondazione?
— Sì, dal momento che dovreste denunciare anche il vostro ruolo nella vicenda.
— Potrei dire di essere stato costretto ad agire così con la forza.
— Già. Ma il vostro buon senso vi direbbe che il vostro Sindaco non crederebbe mai a questa versione dei fatti… Su, concludiamo l’affare.
Trevize scosse la testa. — No, Lizalor. La nave è mia e deve restare mia. Come vi ho spiegato, se tenterete di introdurvi con la forza, provocherete un’esplosione tremenda. Vi assicuro che è la verità, non si tratta di un bluff.
— Voi potreste aprirla, e riprogrammare il computer.
— Certo, però non lo farò.
Lizalor sospirò. — Sapete, potremmo farvi cambiare idea… non direttamente, ma con quello che potremmo fare al vostro amico, il dottor Pelorat, o alla ragazza.
— Tortura, Ministro? È questa la vostra legge?
— No, Consigliere. Ma non è detto che si debba ricorrere a metodi così cruenti. C’è sempre la Sonda Psichica.
Per la prima volta dal suo ingresso nell’appartamento del Ministro, Trevize avvertì un brivido interiore.
— Non potete farlo. L’uso della Sonda Psichica per scopi che non siano medici è illegale in tutta la Galassia.
Ma se fossimo spinti dalla disperazione…
— Sono pronto a correre il rischio — replicò Trevize calmo — perché non otterreste nulla. La mia determinazione nel conservare la nave è così intensa che la Sonda Psichica distruggerebbe la mia mente prima di costringerla a cedere alla vostra richiesta. — Quello era un bluff, invece, e il brivido interiore di Trevize si intensificò. — E anche se foste tanto abili da persuadermi senza distruggermi la mente, anche se dovessi aprire la nave e disattivarla e consegnarla a voi, non otterreste ugualmente nulla: il computer di bordo è ancor più perfezionato della nave e, non so come, è progettato in modo tale da sviluppare tutto il suo potenziale operativo solo con me. Credo lo si potrebbe definire un computer “su misura”.
— E se la nave restasse vostra, e continuaste a pilotarla voi? Non sareste disposto a pilotarla per noi… come stimato cittadino di Comporellen? Uno stipendio consistente, lussi considerevoli… anche per i vostri amici.
— No.
— Cosa proponete? Che vi lasciamo partire tutti quanti, liberi di girare per la Galassia ? Vi avverto che piuttosto di fare una cosa del genere, potremmo invece informare la Fondazione che siete qui con la vostra nave, e lasciare che siano loro a sbrigarsela.
— E perdereste la nave?
— Se proprio dobbiamo perderla, meglio consegnarla alla Fondazione che ad un Esterno impudente.
— Allora lasciatemi suggerire un compromesso.
— Un compromesso? D’accordo, vi ascolto, parlate pure.
Trevize disse con cautela: — Sono in missione, una missione importante. È iniziata con l’appoggio della Fondazione. A quanto pare, la Fondazione adesso ha ritirato il suo appoggio, però la missione resta sempre importante. Concedetemi allora l’appoggio di Comporellen, e se porterò a termine la missione con successo, Comporellen ne trarrà vantaggio.
Lizalor assunse un’espressione dubbiosa. — E non restituirete la nave alla Fondazione?
— Mai avuto questa intenzione. La Fondazione non cercherebbe la nave con tanto accanimento se pensasse che abbia intenzione di restituirla prima o poi.
— Questo non equivale a dire che darete la nave a noi.
— Una volta completata la missione, può darsi che la nave non mi occorra più. In tal caso non avrei nulla in contrario a consegnarla a Comporellen.
Lizalor ribatté: — Avete usato il condizionale… Può darsi che non vi occorra più. Questo vale ben poco per noi.
— Potrei promettervi chissà che, ma che valore avrebbero per voi delle promesse altisonanti? Le mie sono promesse caute e limitate, il che dovrebbe dimostrarvi che si tratti almeno di promesse sincere.
— Ben detto — annuì Lizalor. — Mi piace. Bene, qual è la vostra missione, e che vantaggi ne ricaverebbe Comporellen?
— No, no, sta a voi rispondere. Avrò il vostro appoggio se vi dimostro che la missione è importante anche per Comporellen?
Il Ministro Lizalor si alzò dal divano, ergendosi in tutta la sua figura imponente. — Ho fame, Consigliere Trevize, e non discuterò oltre a stomaco vuoto. Vi offrirò qualcosa da mangiare e da bere… con moderazione. Dopo di che, finiremo di discutere.
Ed in quel momento a Trevize sembrò che quella donna avesse un che di famelico, così serrò le labbra avvertendo un senso di lieve disagio.
Il pasto forse era nutriente, ma non era certo una delizia per il palato. Il piatto principale consisteva in manzo bollito immerso in una salsa che sapeva di senape, accompagnato da un contorno di verdura in foglie che Trevize non riconobbe… non riconobbe e non apprezzò, in quanto aveva un sapore amarognolo e salato, sgradevole. Scoprì in seguito che si trattasse di un tipo d’alga marina.
Fu quindi la volta di un frutto che sapeva di mela ed aveva un lieve retrogusto di pesca (tutt’altro che malvagio) e di una bevanda calda e scura decisamente troppo amara per Trevize, che l’avanzò e chiese invece un bicchiere d’acqua. Le porzioni erano tutte piccole, ma date le circostanze, Trevize era contento così.
Avevano mangiato in privato, senza servitori presenti. Lizalor aveva scaldato e servito di persona il pasto, e fu lei a sparecchiare.
— Spero che il pasto vi sia piaciuto — disse Lizalor mentre lasciavano la sala da pranzo.
— Certo — rispose Trevize con scarso entusiasmo.
Il Ministro tornò a sedere sul divano. — Riprendiamo la discussione di prima… Avete accennato al fatto che Comporellen potrebbe essere contrariato dal predominio tecnologico di Terminus e dal suo potere politico. In un certo senso è vero, però questo aspetto della questione interessa solo a chi si occupa di politica interstellare, e il numero di costoro è poco consistente. Se mai bisogna dire che il Comporelliano medio inorridisce di fronte all’immoralità della Fondazione. C’è immoralità su gran parte dei mondi, però su Terminus è particolarmente spiccata. Direi che qualsiasi tendenza anti-Terminus esistente sul nostro mondo è legato a questo fatto, non a motivazioni più astratte e generali.
— Immoralità? — fece Trevize perplesso. — Malgrado le pecche della Fondazione, dovete ammettere che governa la sua parte della Galassia con discreta efficienza ed onestà fiscale. I diritti civili, complessivamente, sono rispettati e…
— Consigliere Trevize, io parlo di moralità “sessuale”.
— In tal caso, proprio non capisco. La nostra è una società totalmente morale, sessualmente parlando: le donne sono rappresentate in ogni sfaccettatura della vita sociale, il nostro Sindaco è una donna e circa la metà del Consiglio è…
Lizalor assunse per un attimo un’espressione esasperata. — Consigliere, mi state prendendo in giro? Sapete senz’altro cosa significhi moralità sessuale. Su Terminus, il matrimonio è o non è un sacramento?
— In che senso, sacramento?
— C’è una cerimonia matrimoniale ufficiale che unisca due persone?
— Certo, per chi lo desidera. Questa cerimonia semplifica i problemi fiscali e di successione.
— Ma c’è la possibilità di divorziare.
— Certo. Sarebbe sessualmente immorale obbligare due persone a stare insieme quando…
— Non ci sono restrizioni religiose?
— Religiose? Be’, certe persone sono legate a culti antichi, ne fanno una filosofia di vita, ma questo che c’entra col matrimonio?
— Consigliere, qui su Comporellen ogni aspetto del sesso è controllato rigidamente. Non può avvenire al di fuori del matrimonio. La sua espressione è limitata anche nell’ambito matrimoniale. Rimaniamo esterrefatti e rattristati di fronte ai mondi, Terminus in particolare, dove pare che il sesso sia considerato solo un piacere sociale di scarsa importanza da praticare quando, come, e con chi si desideri, in spregio dei valori della religione.
Trevize scrollò le spalle. — Mi spiace, ma non posso riformare la Galassia, e nemmeno Terminus… ma questo che c’entra con la mia nave?
— Vi sto spiegando quale sia la visione dell’opinione pubblica, e in che modo questo fatto limiti la mia facoltà di giungere ad un compromesso. La gente di Comporellen inorridirebbe se scoprisse che avete preso a bordo una ragazza attraente per soddisfare le vostre esigenze libidinose e quelle del vostro compagno. È per la vostra incolumità che vi ho sollecitato ad accettare un accordo pacifico invece di un processo pubblico.
Trevize disse: — Vedo che avete approfittato del pasto per escogitare un nuovo sistema di persuasione violenta. Allora, devo temere un linciaggio da parte della folla?
— Vi sto solo indicando i pericoli. La donna che avevate a bordo non è altro che un oggetto sessuale, non potete negarlo!
— Certo che posso negarlo. Bliss è la compagna del mio amico, dottor Pelorat. Il dottor Pelorat non ha alcun rivale. Forse la loro unione non è definibile con la parola “matrimonio”, tuttavia credo che nel loro intimo Pelorat e la ragazza sentano tra loro un vincolo matrimoniale.
— Mi state dicendo che voi non avete alcun coinvolgimento?
— Certo — sbottò Trevize. — Per chi mi prendete?
— Non sono in grado di dirlo: non conosco la vostra concezione della moralità.
— Allora lasciate che vi spieghi… La mia concezione morale mi dice che non devo scherzare con quanto appartiene al mio amico… o meglio con la sua compagnia.
— Non siete nemmeno tentato?
— Le tentazioni sono inevitabili, però è impossibile che io ceda.
— Proprio impossibile? Per caso, le donne non vi interessano?
— Vi sbagliate, mi interessano.
— Da quanto tempo non avete rapporti sessuali con una donna?
— Da mesi. Da quando ho lasciato Terminus.
— Sicuramente non vi piacerà questa situazione.
— No, non mi piace, però non ho scelta.
— Ma il vostro amico Pelorat, vedendo che soffrite, non dividerebbe la sua donna con voi?
— Non esterno la mia sofferenza, ma anche se lo facessi, Pelorat non mi cederebbe Bliss. E penso che anche lei non acconsentirebbe: non è attratta da me.
— Lo dite perché avete tastato il terreno in quel senso?
— Non ho tastato il terreno. È una conclusione che traggo senza bisogno di tastare il terreno. Ed in ogni caso, Bliss non mi piace in particolar modo.
— Sorprendente! Eppure è il tipo di donna che gli uomini considerano attraente.
— Fisicamente, è attraente, sì. Però, non mi attira. Innanzitutto è troppo giovane, troppo infantile sotto certi aspetti.
— Preferite le donne mature, allora?
Trevize esitò. Trappola in vista? — Sono abbastanza vecchio da apprezzare la maturità in certe donne — rispose cauto. — Ma questo che c’entra con la mia nave?
Lizalor disse: — Dimenticate la vostra nave, per un attimo… Ho quarantasei anni, e non sono sposata: sono stata sempre troppo impegnata per sposarmi.
— In tal caso, in base alle regole della vostra società, dovete avere alle spalle una vita di continenza. È per questo che mi avete chiesto da quanto tempo non abbia rapporti sessuali? Mi state chiedendo un consiglio in materia?… Se volete un parere, ecco, posso dirvi che a differenza del cibo e dell’acqua, si può farne a meno. Non è piacevole fare a meno del sesso, però non è impossibile.
Lizalor sorrise, e nei suoi occhi apparve di nuovo un’espressione famelica. — Non fraintendetemi, Trevize. Il rango ha i suoi privilegi, ed è possibile essere discreti. Non sono rimasta in completa astinenza. Tutti gli uomini di Comporellen non sono soddisfacenti. Accetto il fatto che la moralità sia un bene assoluto, però tende a far gravare sui Comporelliani un senso di colpa, così i Comporelliani diventano poco avventurosi, poco intraprendenti, lenti a iniziare e svelti nel concludere, e in generale inesperti.
Trevize disse, con la massima cautela: — Anche in questo caso, io non posso far nulla.
— State insinuando che la colpa forse sia mia? Che sia poco invitante?
Trevize alzò una mano. — Non ho detto nulla del genere.
— In tal caso, come reagireste, voi, se aveste l’occasione giusta? Voi, un uomo di un mondo immorale, che deve avere avuto numerose esperienze sessuali di ogni genere, che da mesi è costretto all’astinenza pur trovandosi a stretto contatto con una ragazza affascinante… Come reagireste in presenza di una donna come me, una di quelle donne mature che dite di prediligere?
— Mi comporterei con il rispetto ed il decoro richiesti dalla vostra carica e dalla vostra importanza.
— Non siate sciocco! — esclamò Lizalor. La sua mano si abbassò verso il fianco destro. La striscia bianca che le cingeva la vita si allentò e si sciolse del tutto, dal collo al petto. Il corpetto del suo abito nero cessò di aderire al corpo.
Trevize rimase pietrificato. Il Ministro aveva pensato a quella cosa fin dall’inizio? O era un espediente per ottenere quello che non era riuscita ad ottenere con le minacce?
Il corsetto scivolò in basso, col rinforzo che fasciava il seno. Lizalor restò nuda dalla cintola in su, con un’espressione di sdegno e d’orgoglio in viso. I seni erano in perfetta armonia col resto della figura… imponenti, sodi, grandiosi.
— Be’? — disse Lizalor.
Trevize rispose con estrema franchezza: — Magnifico!
— E cosa farete?
— Cosa dice la morale di Comporellen, Lizalor?
— Che importanza ha per un uomo di Terminus? Cosa dice la vostra moralità?… E sbrigatevi: il mio petto è freddo ed ha bisogno di calore.
Trevize si alzò e cominciò a spogliarsi.
Trevize si sentiva quasi narcotizzato, e si chiese quanto tempo fosse trascorso.
Accanto a lui giaceva Mitza Lizalor, Ministro dei Trasporti. Era stesa sullo stomaco, la testa piegata di lato, la bocca aperta, e russava. Per Trevize era un sollievo che stesse dormendo. E sperava che una volta sveglia si rendesse conto di avere dormito.
Anche lui aveva voglia di dormire, ma sapeva che era importante restare sveglio. Al risveglio, lei non doveva trovarlo addormentato, così avrebbe capito che mentre lei aveva ceduto alla spossatezza, lui avesse resistito. Era logico che si aspettasse una tale resistenza da un elemento immorale cresciuto nella Fondazione, e a questo punto era meglio non deluderla.
In un certo senso, era stato in gamba. Aveva indovinato, quando aveva pensato che Lizalor data la sua mole e la sua forza, il suo potere politico, il suo disprezzo per gli uomini di Comporellen che aveva incontrato, il misto di orrore e di fascino che provava per le storie (chissà cosa aveva sentito dire?) delle imprese sessuali dei decadenti di Terminus, avrebbe voluto essere dominata, lo avrebbe addirittura preteso pur essendo incapace di esprimere quel desiderio.
Trevize aveva agito partendo da quel presupposto e, fortunatamente, aveva scoperto di aver ragione. (Trevize l’infallibile, derise se stesso.) Aveva accontentato la donna ed aveva potuto indirizzare le attività in maniera tale da logorare Lizalor, mentre lui era uscito relativamente indenne dal confronto.
Non era stato facile. Lizalor aveva un corpo stupendo (46 anni, gli aveva detto, ma quel corpo non avrebbe fatto sfigurare un’atleta di 25) e un’energia enorme… energia superata solo dalla foga godereccia con cui l’aveva spesa.
Già, se fosse stato possibile domarla e insegnarle la moderazione, se con la pratica (ma lui sarebbe sopravvissuto a tale pratica?) avesse imparato a valutare meglio le proprie capacità e soprattutto quelle del compagno, sarebbe stato bello…
Lizalor cessò di colpo di russare e si agitò. Trevize le posò una mano su una spalla e l’accarezzò piano… e lei aprì gli occhi. Trevize era appoggiato su un gomito, e si sforzò di apparire fresco e pieno di vita.
— Sono contento che tu abbia, dormito, cara — le disse. — Avevi bisogno di riposare un po’.
Lei gli rivolse un sorriso sonnolento, e per un attimo di panico Trevize ebbe il timore che potesse proporgli una ripresa delle ostilità, invece Lizalor si limitò a girarsi sulla schiena. Con voce bassa e appagata, gli disse: — Ti avevo giudicato correttamente fin dall’inizio: sei un campione di sessualità.
Trevize cercò di mostrarsi modesto. — Devo moderarmi un po’.
— Sciocchezze, sei stato perfetto. Temevo che quella ragazza ti avesse tenuto in allenamento, prosciugandoti, ma tu mi hai assicurato che non era successo. È proprio vero, eh?
— Ti sembravo uno quasi sazio di piacere?
— No, assolutamente — sbottò a ridere Lizalor.
— Stai ancora pensando alla Sonda Psichica?
Lei rise di nuovo. — Sei pazzo? Dovrei perderti proprio ora?
— Tuttavia, sarebbe meglio se mi perdessi temporaneamente…
— Cosa? — Lizalor s’incupì.
— Se stessi qui per sempre, mia… mia cara, quanto tempo passerebbe prima che gli occhi cominciassero ad osservare e le bocche a mormorare? Se partissi per la mia missione, comunque, tornerei periodicamente a riferire gli esiti, in tal caso sarebbe del tutto naturale per noi due appartarci un po’… E la mia è una missione importante.
Lizalor rifletté un istante, grattandosi distrattamente un fianco. Poi disse: — Immagino che tu abbia ragione. Detesto quest’idea ma… hai ragione, credo.
— E non pensare che io non tornerei: non sono così idiota da dimenticare cosa mi aspetterebbe qui.
Lei gli sorrise, gli accarezzò la guancia e guardandolo negli occhi disse: — L’hai trovato piacevole, tesoro?
— Più che piacevole, cara.
— Eppure sei un uomo della Fondazione. Un uomo nel fiore degli anni, proveniente da Terminus stesso. Sarai abituato a donne d’ogni genere con doti di ogni genere…
— Non ho mai incontrato nessuna… nessuna… che si avvicini anche vagamente a te — ribatté Trevize, ed il suo tono era molto convincente perché in pratica stava dicendo la verità, o quasi.
Lizalor annuì compiaciuta. — Be’, se lo dici tu. Eppure, le vecchie abitudini sono dure a morire, sai, e non credo di riuscire a fidarmi della parola di un uomo senza una qualche garanzia. Tu e il tuo amico Pelorat potreste anche partire in missione quando saprò di che si tratta e avrò approvato… però terrò qui la ragazza. Sarà trattata bene, non temere, ed immagino che il dottor Pelorat la desidererà, così farà in modo di tornare spesso su Comporellen, anche se il tuo entusiasmo per la missione potrebbe indurti ad assenze eccessivamente lunghe.
— Ma, Lizalor, non è possibile.
— Davvero? Perché — fece lei, l’espressione di colpo sospettosa. — A che ti serve quella ragazza?
— Non per scopi sessuali, te l’ho detto, e ti ho detto la verità. È di Pelorat, e non mi interessa. E poi, scommetto che si spezzerebbe in due se provasse a cimentarsi in quello che tu hai portato a termine in maniera trionfale.
Lizalor represse un sorriso e insisté severa: — Allora che differenza c’è per te se resta su Comporellen?
— La sua presenza è fondamentale per la nostra missione: è per questo che deve venire.
— Bene, allora qual è la tua missione? È ora che tu me lo dica.
Trevize esitò un attimo. Doveva dirle la verità. Non gli veniva in mente una bugia altrettanto efficace.
— Ascoltami — disse. — Comporellen sarà un mondo vecchio, anche uno dei più vecchi, forse, però non può essere il più vecchio. La vita umana non ha avuto origine qui. I primi esseri umani arrivati su Comporellen provenivano da un’altro mondo, e forse la vita umana non aveva avuto origine neppure là, ma su un mondo ancor più vecchio. Alla fine però questi salti a ritroso nel tempo devono pure cessare, portandoci al primo mondo, il mondo d’origine del genere umano… Sto cercando la Terra.
Il cambiamento improvviso di Lizalor lo lasciò sbalordito.
Aveva sgranato gli occhi, respirava con affanno, e ogni muscolo del suo corpo sembrava essersi irrigidito… Lizalor drizzò le braccia di scatto, ed incrociò le prime due dita di entrambe le mani.
— L’hai nominata — mormorò con voce roca.
Non disse nulla, dopo quella frase; non lo guardò. Abbassò lentamente le braccia, spostò le gambe oltre il bordo del letto e si drizzò a sedere volgendogli la schiena. Trevize restò dov’era, raggelato.
Nella mente, gli echeggiarono le parole dette da Munn Li Compor nel centro turistico vuoto di Sayshell. Gli pareva ancora di sentirlo parlare del suo pianeta ancestrale, il pianeta su cui adesso Trevize si trovava… «Sono superstiziosi. Ogni volta che pronunciano quella parola alzano le mani e incrociano le prime due dita per scacciare la sventura.»
Ma era inutile ricordarsene a fatto avvenuto.
— Cosa avrei dovuto dire, Mitza? — mormorò.
Lei scosse leggermente la testa, si alzò, andò verso una porta e la varcò. La porta si chiuse, ed un attimo dopo si sentì uno scrosciare d’acqua.
Non gli restava che aspettare, nudo, poco dignitoso, domandandosi se fosse il caso di raggiungerla nella doccia, e decidendo che sarebbe stato meglio non farlo. E proprio perché quella possibilità gli era negata, d’un tratto Trevize avvertì il bisogno impellente di una doccia.
Infine Lizalor uscì, e in silenzio cominciò a scegliere gli indumenti da mettere.
Trevize disse: — Ti spiace se io…
Lei non disse nulla, e Trevize interpretò il mutismo come una risposta affermativa. Cercò di attraversare la stanza con un atteggiamento forte e mascolino, ma provava esattamente quello che aveva provato un tempo quando sua madre, contrariata da qualche sua azione sbagliata, l’aveva punito solo col silenzio, facendolo sentire meschino e confuso.
Una volta nel cubicolo, si guardò attorno e notò che le pareti erano spoglie, completamente spoglie… Guardò meglio… No, nulla.
Aprì la porta dello stanzino e si affacciò, chiedendo: — Senti, com’è che funziona la doccia?
Lizalor depose il deodorante (almeno, Trevize immaginò che si trattasse di deodorante) raggiunse la doccia e, sempre senza guardarlo, indicò. Trevize seguì la direzione del suo dito e scorse sulla parete un punto rotondo di un rosa chiarissimo, come se il progettista avesse rovinato a malincuore il candore assoluto del muro e solo per motivi funzionali.
Stringendosi nelle spalle, Trevize si allungò verso la parete e toccò la chiazza di colore. Evidentemente, bisognava fare così, perché un attimo dopo un diluvio di schizzi finissimi d’acqua lo colpirono da ogni direzione. Soffocando un grido, Trevize toccò nuovamente la chiazza e i getti si arrestarono.
Aprì la porta, rendendosi conto di avere un’aria ancor meno dignitosa ora che tremava a tal punto da stentare ad articolare le parole. — Per avere l’acqua calda… come si fa? — domandò farfugliando.
Lizalor finalmente lo guardò e, evidentemente, lo spettacolo offerto da Trevize dissolse la sua collera (o la sua paura, o qualsiasi sentimento si fosse impossessato di lei) in quanto Lizalor represse una risatina e poi, d’un tratto, esplose in una risata fragorosa.
— Quale acqua calda? — disse. — Credi che sprechiamo energia per scaldare l’acqua che usiamo per lavarci? Quella è acqua a temperatura giusta, acqua non più gelida. Che altro vorresti, Terminiano mollaccione? Torna dentro e lavati!
Trevize esitò, ma per poco, dato che chiaramente non aveva scelta.
Con estrema riluttanza toccò ancora la chiazza rosa e si preparò a ricevere i getti gelati. Acqua a temperatura giusta? Si accorse che sul suo corpo si formava della schiuma saponata e si affrettò a strofinarsi; probabilmente quello era il ciclo di lavaggio e non sarebbe durato a lungo.
Poi venne la fase di risciacquo. Ah, calda… Be’, non esattamente calda, ma neppure fredda come prima, e decisamente piena di calore per il suo corpo ghiacciato. Poi, mentre stava pensando di toccare la chiazza e chiudere l’acqua, e si stava chiedendo come avesse fatto Lizalor a uscire asciutta dal momento che non c’erano salviette o facenti funzione di salviette lì dentro, l’acqua si arrestò. Fu seguita da una raffica d’aria che l’avrebbe di certo atterrato se non fosse provenuta da varie direzioni con pari intensità.
Era calda; quasi troppo calda. Era necessaria meno energia per riscaldare l’aria che per riscaldare l’acqua, Trevize lo sapeva. Le gocce sul suo corpo evaporarono, e in pochi minuti Trevize uscì dal cubicolo asciutto come un deserto.
Lizalor sembrava essersi riavuta completamente. — Ti senti bene?
— Abbastanza. — In effetti, Trevize si sentiva meravigliosamente. — È bastato che mi preparassi alla temperatura… Ma non mi avevi detto che…
— Mollaccione — fu il rimprovero bonario di Lizalor.
Trevize usò il suo deodorante, quindi si vestì, rimpiangendo di non avere, come lei, della biancheria intima pulita. — Come avrei dovuto chiamarlo… quel mondo?
— Noi lo chiamiamo Il Più Vecchio.
— Come potevo sapere che il nome usato da me fosse proibito? Me l’hai detto, tu?
— E tu me l’hai chiesto?
— Non sapevo di dover chiedere.
— Adesso lo sai, comunque.
— Finirò col dimenticarmene.
— Meglio che non te ne dimentichi.
— Che differenza c’è? — fece Trevize un po’ spazientito. — È solo una parola, un suono.
Lizalor rispose, rabbuiandosi: — Ci sono parole che non si dicono. Tu dici ogni parola che conosci in qualsiasi circostanza?
— Certe parole sono volgari, certe sono improprie, alcune in una data circostanza potrebbero essere crudeli. Cos’è… la parola che ho usato?
— È una parola triste, una parola solenne. Rappresenta un mondo da cui tutti discendiamo, e che ora non esiste più. È qualcosa di tragico, e noi lo sentiamo in modo particolare perché quel mondo era vicino a noi. Preferiamo non parlarne o, se dobbiamo, preferiamo non usare il suo nome.
— E le dita incrociate? In che modo quel gesto allevia il dolore e la tristezza?
Lizalor arrossì. — È stata una reazione automatica, e non ti ringrazio certo perché mi hai costretta a reagire così. Certe persone credono che quella parola, pronunciata o anche pensata, porti sfortuna… e la scacciano in questo modo.
— E anche tu credi che incrociare le dita scacci la sfortuna?
— No… Be’, sì, in un certo senso. Se non lo faccio non mi sento tranquilla. — Lizalor evitò di guardarlo. Poi, come se fosse ansiosa di cambiare argomento, disse: — E quale sarebbe il ruolo essenziale della ragazza dai capelli neri nella tua missione verso… verso il mondo di cui hai parlato?
— Di’ Il Più Vecchio. O preferisci evitare anche questo?
— Preferirei non discuterne affatto… ma ti ho rivolto una domanda.
— Credo che i concittadini di Bliss abbiano raggiunto il mondo che occupano attualmente emigrando dal Più Vecchio.
— Come noi — fece Lizalor orgogliosa.
— Ma la gente di Bliss ha particolari tradizioni che sono la chiave per comprendere Il Più Vecchio, sostiene Bliss… solo se lo raggiungeremo e studieremo i suoi documenti, però.
— La ragazza mente.
— Può darsi, ma noi dobbiamo controllare.
— Se avete questa ragazza con le sue conoscenze dubbie, e se volete raggiungere Il Più Vecchio con lei, perché siete venuti su Comporellen?
— Per scoprire la posizione del Più Vecchio. Un tempo avevo un amico, un membro della Fondazione come me, di origine comporelliana, però… bene, questo mio amico mi ha assicurato che gran parte della storia del Più Vecchio era nota su Comporellen.
— Davvero? E questo tuo amico ti ha raccontato qualcosa della storia del Più Vecchio?
— Sì — rispose Trevize, continuando ad essere sincero. — Mi ha detto che Il Più Vecchio era un mondo morto, interamente radioattivo. Non sapeva il perché, ma pensava che potesse dipendere da una serie di esplosioni nucleari… In seguito ad una guerra, forse.
— No! — esclamò Lizalor.
— No, non c’è stata nessuna guerra? O no, Il Più Vecchio non è radioattivo?
— È radioattivo, ma non c’è stata alcuna guerra.
— Allora com’è diventato radioattivo? È impossibile che lo fosse fin dall’inizio, dato che su di esso è nata l’umanità: se fosse stato radioattivo non avrebbe mai ospitato alcuna forma di vita.
Lizalor parve esitare. Era ritta in piedi, e respirava a fondo, in modo quasi affannoso. — È stata una punizione. Era un mondo che usava dei robot. Sai cosa siano i robot?
— Sì.
— Avevano i robot, e per questo sono stati puniti. Tutti i mondi che hanno avuto i robot sono stati puniti e non esistono più.
— Chi li ha puniti, Lizalor?
— Colui che Punisce… Le forze della storia… Non lo so. — Lizalor distolse lo sguardo, a disagio, quindi disse sottovoce: — Chiedilo a qualcun’altro.
— Mi piacerebbe, ma a chi posso chiederlo? Su Comporellen ci sono persone che hanno studiato la storia primitiva?
— Sì. Non sono persone popolari tra noi… tra i Comporelliani medi… ma la Fondazione, la tua Fondazione, insiste sulla libertà intellettuale, come la chiamano loro.
— Non è un’insistenza sbagliata, a mio avviso — osservò Trevize.
— Tutte le cose imposte dall’esterno lo sono — ribatté Lizalor.
Trevize scrollò le spalle. Era inutile discuterne. — Il mio amico, il dottor Pelorat, è anche lui uno studioso di storia primitiva. Sono sicuro che gli piacerebbe incontrare i suoi colleghi comporelliani. Puoi provvedere tu, Lizalor?
Lei annuì. — C’è uno storico di nome Vasil Deniador, che lavora qui in città presso l’Università. Non tiene corsi, comunque può darsi che sia in grado di dirvi quello che vogliate sapere.
— Perché non insegna?
— Non è che gli venga proibito; solo che gli studenti non scelgono il suo corso.
— Immagino che gli studenti vengano incoraggiati in questo senso — disse Trevize, cercando di evitare un tono sardonico.
— Perché dovrebbero sceglierlo? È uno Scettico. Sì, anche da noi ne abbiamo. Ci sono sempre degli individui che si oppongano alle linee di pensiero generali e che siano tanto arroganti da credere che la ragione sia tutta dalla loro parte e la maggioranza abbia torto.
— In alcuni casi potrebbe essere in effetti così, non ti pare?
— No, mai! — scattò Lizalor. Sembrava talmente convinta che era chiaro che sarebbe stato superfluo cercare di approfondire l’argomento. — E nonostante il suo Scetticismo, quell’uomo sarà costretto a dirti quello che ti direbbe qualsiasi Comporelliano.
— Cioè?
— Che se cercherai Il Più Vecchio, non lo troverai.
Nell’alloggio loro assegnato, Pelorat ascoltò Trevize pensoso, il lungo volto inespressivo, poi disse: — Vasil Deniador? Non mi pare di averlo mai sentito nominare, ma può darsi che a bordo della nave trovi delle sue opere nella mia biblioteca.
— Sei sicuro di non avere mai sentito il suo nome? Pensaci! — disse Trevize.
— No, non lo ricordo proprio — rispose cauto Pelorat — ma dopo tutto, amico mio, ci saranno centinaia di illustri studiosi di cui non sia a conoscenza, o che non riesca a ricordare.
— Eppure, non può essere uno studioso di prim’ordine, o ne avresti sentito parlare.
— Lo studio della Terra…
— Abituati a dire Il Più Vecchio, Janov, altrimenti ci saranno dei problemi.
— Lo studio del Più Vecchio — spiegò Pelorat — non occupa un posto di rilievo che frutti riconoscimenti adeguati nei corridoi del sapere, quindi gli studiosi di prim’ordine, anche se si occupano di storia primitiva, tendono a rivolgere altrove la loro attenzione. E, inversamente, gli studiosi che si occupino già del Più Vecchio non diventano abbastanza famosi da essere considerati di prim’ordine anche se lo fossero… Io, sicuramente, non sono considerato di prim’ordine da nessuno.
— Da me, Pel — disse teneramente Bliss.
— Sì, da te certo, mia cara — disse Pelorat sorridendo. — Ma tu non mi giudichi nella mia veste di studioso.
Era quasi notte ormai, stando all’ora, e Trevize si sentì un po’ spazientito, come gli capitava sempre quando Bliss e Pelorat si scambiavano affettuosità.
Disse: — Cercherò di combinare un incontro con questo Deniador domani, ma se, come dice il Ministro, Deniador ne sa quanto gli altri, non ci sarà molto utile.
— Potrebbe indicarci qualcuno più utile — fece Pelorat.
— Ne dubito. L’atteggiamento di questo mondo verso la Terra… ah, meglio che anch’io mi abitui a parlarne per ellissi… l’atteggiamento di Comporellen verso Il Più Vecchio è sciocco e fondato sulla superstizione. — Trevize si girò. — Comunque, è stata una giornata dura e dovremmo pensare a un pasto serale, sempre che riusciamo a sopportare la loro cucina così poco invitante… sì, dovremmo pensare al pasto serale e poi a dormire un po’. Avete imparato a usare la doccia, voi due?
— Mio caro amico — rispose Pelorat — siamo stati trattati con estrema gentilezza: ci hanno fornito istruzioni di ogni genere, per lo più inutili.
Bliss intervenne. — Trevize… E la nave?
— Sì?
— Il governo di Comporellen la confischerà?
— No, non credo.
— Ah, benissimo. E come mai?
— Perché ho convinto il Ministro a cambiare idea.
— Sorprendente — disse Pelorat. — Non mi è sembrata un tipo facilmente persuasibile.
Bliss disse: — Non so… dalla sua disposizione mentale, era chiaro che era attratta da Trevize…
Trevize la guardò in uno scatto improvviso di esasperazione.
— L’hai fatto, Bliss?
— Fatto cosa, Trevize?
— Hai alterato la sua…
— Non ho alterato nulla. Però, quando ho notato che era attratta da te non ho potuto fare a meno di spezzare un paio di inibizioni. È stato un intervento minimo. Quelle inibizioni probabilmente si sarebbero spezzate comunque… e mi è sembrato importante assicurarmi che lei fosse ben disposta nei tuoi confronti.
— Ben disposta? Qualcosa di più, direi! Si è ammorbidita, certo, ma… nella fase post-coitale.
Pelorat disse: — Vecchio mio, non intenderai sicuramente dire…
— E perché no? — replicò Trevize irascibile. — Non sarà più una ragazzina, però si è dimostrata un’ottima conoscitrice dell’arte. Non era affatto una principiante, posso garantirlo. Né intendo indossare i panni del gentiluomo e mentire. È stata sua l’idea… grazie all’intromissione di Bliss che le ha spezzato certe inibizioni… e data la mia posizione non potevo certo rifiutare, anche se avessi voluto… non volevo… Via, Janov, non guardarmi con quell’espressione puritana. Sono mesi che non mi si presenta un’occasione del genere. Tu invece… — E indicò in modo vago in direzione di Bliss.
— Credimi, Golan, sbagli, se interpreti la mia espressione come un’espressione puritana: non ho alcuna obiezione.
— Però lei è puritana — osservò Bliss. — Io intendevo renderla più cordiale nei tuoi confronti… non pensavo di scatenare un parossismo sessuale.
— Ma è esattamente quello che hai provocato, mia piccola impicciona — fece Trevize. — Forse Lizalor deve mostrarsi puritana in pubblico, col risultato di alimentare di continuo il fuoco che ha dentro.
— Così, basta che tu soddisfi le sue voglie, e lei tradirà la Fondazione…
— L’avrebbe fatto in ogni caso. Voleva la nave… — Trevize s’interruppe e mormorò: — Staranno ascoltando di nascosto?
— No! — rispose Bliss.
— Sicura?
— Certo: è impossibile interferire in modo non autorizzato con la mente di Gaia senza che Gaia se ne accorga.
— In tal caso… Comporellen vuole la nave per sé… un’aggiunta preziosa per la sua flotta.
— Ma la Fondazione non sarebbe certo d’accordo.
— Comporellen non intende informare la Fondazione.
Bliss sospirò. — I soliti Isolati. Il Ministro intende tradire la Fondazione per conto di Comporellen, ma in cambio di qualche prestazione sessuale è pronta a tradire anche Comporellen… E Trevize è contento di vendere le prestazioni del suo corpo pur di provocare il tradimento. Che anarchia in questa vostra Galassia. Che caos!
Trevize replicò gelido: — Ti sbagli, ragazza…
— In quello che ho appena detto, non sono una ragazza, sono Gaia. Tutta Gaia.
— Allora sbagli, Gaia. Non ho venduto le prestazioni del mio corpo: le ho fornite volentieri. Mi è piaciuto, e nessuno ne ha sofferto. E per quel che riguarda le conseguenze, si sono rivelate positive dal mio punto di vista, quindi mi sta bene. E se Comporellen vuole la nave per i propri scopi, chi può dire da che parte stia la ragione? È una nave della Fondazione, ma è stata data a me per cercare la Terra. Dunque è mia finché non porterò a termine la ricerca, e penso che la Fondazione non abbia il diritto di annullare il suo accordo. Per quel che riguarda Comporellen, non gli piace il dominio della Fondazione, così sogna l’indipendenza. Per Comporellen è giusto agire così ed ingannare la Fondazione, perché per questa gente si tratta di un atto patriottico, non di tradimento. Dunque, chi può dire da che parte stia la ragione?
— Esattamente. Chi può dirlo? In una Galassia di anarchia, com’è possibile distinguere le azioni ragionevoli da quelle irragionevoli? Com’è possibile decidere tra quello che sia giusto e sbagliato, tra il bene ed il male, la giustizia e il crimine, l’utile e l’inutile? E come spieghi il fatto che il Ministro tradisca il suo governo lasciandoti tenere la nave? Desidera una indipendenza personale da un mondo oppressivo? È una traditrice od una patriota di se stessa?
— Per essere sinceri — rispose Trevize — non credo che sia disposta a lasciarmi la nave solo per gratitudine nei miei confronti per il piacere che le ho dato. Secondo me, ha deciso così soltanto quando le ho detto di essere alla ricerca del Più Vecchio. È un mondo di malaugurio per lei, e noi e la nave che ci porta, cercandolo, siamo stati contagiati dalla sventura. Probabilmente, il Ministro pensa di avere attirato la sventura su di sé e questo mondo, tentando di impossessarsi della nave, e può darsi che adesso consideri la nave con orrore. Forse, lasciandoci partire con la nostra nave, è convinta di allontanare la sventura da Comporellen, dunque, in un certo senso, sta compiendo un gesto patriottico.
— Se fosse così, ed io ne dubito Trevize, la superstizione sarebbe la causa dell’azione. Ti sembra ammirevole?
— Io non ammiro, né condanno. La superstizione guida sempre l’azione in mancanza della conoscenza. La Fondazione crede nel Piano Seldon, anche se nessuno di noi sia in grado di capirlo, di interpretarne i dettagli, o di usarlo per predire. Lo seguiamo ciecamente, per ignoranza e per fede… e non è superstizione anche questa?
— Sì, può darsi.
— E anche Gaia… Voi credete che io abbia preso una decisione corretta stabilendo che Gaia dovrebbe assorbire la Galassia in un unico grande organismo, però non sapete perché abbia ragione, o se sia davvero sicuro per voi adeguarvi a quanto ho deciso. Siete pronti ad adeguarvi solo per ignoranza e fede, e vi secca persino che io cerchi delle prove che dissipino l’ignoranza e rendano superflua la fede. Non è superstizione, questa?
— Bliss, credo che ti abbia messo con le spalle al muro — commentò Pelorat.
— No — ribatté Bliss. — O non troverà nulla al termine della ricerca, o troverà qualcosa che confermerà la sua decisione.
Trevize disse: — E saremo al punto di partenza, quindi, all’ignoranza ed alla fede. In altre parole, alla superstizione!
Vasil Deniador era un ometto minuto, col vezzo di guardare all’insù alzando solo gli occhi e non la testa. Per questa sua caratteristica, e per i brevi sorrisi che periodicamente gli illuminavano il viso, sembrava che stesse sempre ridendo in silenzio del mondo.
Il suo ufficio era lungo e stretto, pieno di nastri che sembravano abbandonati a un estremo disordine, non perché fossero in effetti in disordine, ma perché non erano riposti con cura nei loro ricettacoli, così che gli scaffali formavano tante linee frastagliate. Le tre sedie che indicò ai visitatori erano scompagnate, e si vedeva che erano state spolverate da poco ed in maniera approssimativa.
Vasil Deniador disse: — Janov Pelorat, Golan Trevize, e Bliss… Non conosco il vostro cognome, signora.
— Di solito mi chiamano semplicemente Bliss — fece lei, e si sedette.
— È sufficiente, in fin dei conti — osservò Deniador, ammiccando. — Siete così attraente che bisognerebbe scusarvi anche se non aveste alcun nome.
I tre finirono di accomodarsi. Deniador proseguì dicendo: — Ho sentito parlare di voi, dottor Pelorat, anche se non siamo mai stati in corrispondenza. Siete della Fondazione, vero? Di Terminus?
— Sì, dottor Deniador.
— E voi, Consigliere Trevize… Mi pare di avere sentito che recentemente siate stato espulso dal Consiglio ed esiliato. Non credo di avere mai compreso il perché.
— Non sono stato espulso, signore. Sono tuttora membro del Consiglio, anche se non so quando riprenderò il mio incarico. E non sono esattamente in esilio: mi è stata affidata una missione, riguardo la quale desidereremmo consultarvi.
— Felicissimo di cercare di aiutarvi — disse Deniador. — E la dolce signora? Di Terminus anche lei?
Trevize si affrettò a intervenire. — È originaria d’altrove, dottore.
— Ah, strano mondo, questo Altrove. Da là proviene una schiera di esseri umani decisamente insolita… Ma dato che due di voi provengono da Terminus, capitale della Fondazione, ed il terzo componente è una ragazza attraente, e Mitza Lizalor, è risaputo, non nutre un affetto smisurato né per l’una né per l’altra categoria di persone, come mai proprio lei vi raccomanda così caldamente alle mie attenzioni?
— Per sbarazzarsi di noi, credo — disse Trevize. — Vedete, prima ci aiuterete, prima ce ne andremo da Comporellen.
Deniador fissò Trevize interessato (di nuovo quel sorriso ammiccante) e annuì. — Certo, un giovanotto vigoroso come voi potrebbe attrarla indipendentemente dall’origine: Mitza Lizalor recita bene il ruolo di vestale fredda, ma non alla perfezione.
— Non so nulla di questo — fece Trevize secco.
— Ed è meglio che non sappiate nulla. In pubblico, almeno. Ma io sono uno Scettico, e per professione sono abituato a non credere alle apparenze. Ebbene, Consigliere, qual è la vostra missione? Vediamo se posso aiutarvi.
Trevize rispose: — In questo campo, il dottor Pelorat è il nostro portavoce.
— Nulla in contrario — disse Deniador. — Dottor Pelorat?
Pelorat disse: — In breve, caro dottore, per tutta la mia vita matura ho tentato di penetrare fino al nocciolo basilare di conoscenza riguardo il mondo su cui la specie umana abbia avuto origine, e sono stato inviato unitamente al mio buon amico Golan Trevize… pur se, in verità, all’epoca non lo conoscevo… in missione per trovare, se possibile, hmm… Il Più Vecchio, credo che lo chiamiate così.
— Il Più Vecchio? — fece Deniador. — Cioè vi riferite alla Terra.
Pelorat restò a bocca aperta, poi con un lieve balbettio disse: — Ero convinto che… o meglio, mi è stato riferito… che non…
Guardò Trevize, smarrito.
Trevize intervenne: — Il Ministro Lizalor mi ha detto che quella parola non viene usata su Comporellen.
— Intendete dire che ha fatto così? — Deniador torse la bocca all’ingiù, arricciò il naso, e alzò le braccia di scatto, incrociando le prime due dita di ambo le mani.
— Esatto — annuì Trevize. — Proprio quello che intendevo.
Deniador si rilassò e rise. — Sciocchezze, signori. Lo facciamo per abitudine, e nelle regioni fuori mano forse la considerano una cosa seria, ma complessivamente non ha importanza. Tutti i Comporelliani dicono “Terra” quando sono irritati o si spaventano: è il volgarismo più diffuso che abbiamo.
— Volgarismo? — mormorò Pelorat.
— Imprecazione, se preferite.
— Comunque — fece Trevize — il Ministro sembrava piuttosto sconvolto quando ho usato quella parola.
— Oh, be’, è una donna di montagna.
— In che senso, signore?
— Nel senso letterale. Mitza Lizalor proviene dalla Catena Montuosa Centrale. Là i bambini vengono allevati secondo quella che è definita la buona vecchia maniera, il che significa che per quanto possono diventare istruiti non si riesce mai a far perdere loro il vizio di incrociare le dita.
— Dunque la parola Terra non vi dà alcun fastidio, vero, dottore? — chiese Bliss.
— Affatto, cara signora: sono uno Scettico.
Trevize disse: — Conosco il significato della parola “scettico” in galattico, ma voi in che accezione l’usate?
— Nella vostra stessa accezione, Consigliere. Accetto solo quello che sono costretto ad accettare in base a prove ragionevolmente attendibili, e la mia accettazione rimane sempre provvisoria in attesa di prove ulteriori. Questo non ci rende popolari.
— Perché? — chiese Trevize.
— Non lo saremmo in nessun luogo. Ovunque la gente preferisce un credo comodo, caldo e collaudato, per quanto illogico, ai venti gelidi dell’incertezza… Pensate a come voi stessi crediate nel Piano Seldon senza prove.
— Sì — disse Trevize, studiandosi la punta delle dita. — Ho detto la stessa cosa ieri per fare un esempio.
Pelorat intervenne: — Posso tornare in argomento, vecchio mio? Dei fatti noti riguardanti la Terra, cosa accetta uno Scettico?
Deniador rispose: — Pochissimo. Possiamo presumere che ci sia un singolo pianeta su cui la specie umana si sia sviluppata, perché è estremamente improbabile che la stessa specie, così identica da essere interfeconda, possa essersi sviluppata su più mondi, od anche solo su due mondi diversi. Possiamo chiamare il pianeta d’origine “Terra”, volendo. In generale, qui su Comporellen, si crede che la Terra si trovi in questo angolo della Galassia, perché qui i mondi sono insolitamente vecchi, ed è probabile che i primi mondi colonizzati fossero vicini alla Terra.
— E la Terra ha qualche caratteristica unica, a parte quella di essere il pianeta d’origine? — domandò ansioso Pelorat.
— Avete in mente qualcosa? — fece Deniador, col suo sorriso pronto.
— Sto pensando al suo satellite, che certi chiamano la Luna. Questo sarebbe insolito, vero?
— Una domanda tendenziosa, dottor Pelorat. Forse volete suggerirmi una via particolare.
— Non sto dicendo per quale motivo la Luna dovrebbe essere insolita.
— Per le sue dimensioni, naturalmente. Sbaglio?… No, vedo che ho ragione. Tutte le leggende della Terra parlano del suo grande campionario di specie e del suo grande satellite… satellite con un diametro dai tremila ai tremilacinquecento chilometri. La moltitudine di forme di vita si può accettare senza difficoltà, in quanto sarebbe ricollegabile all’evoluzione biologica, sempre che quello che sappiamo del fenomeno sia preciso. Un satellite gigante invece è più difficile da accettare. Nella Galassia, nessun altro mondo abitato ha un satellite del genere. I grandi satelliti sono sempre una peculiarità dei giganti gassosi, disabitati ed inabitabili. Come Scettico, dunque, preferisco non accettare l’esistenza della Luna.
Pelorat replicò: — Se la Terra è unica per la sua enorme moltitudine di specie, non potrebbe esserlo anche per la presenza di un satellite gigantesco? Se è unica in un senso, potrebbe esserlo anche nell’altro.
Deniador sorrise. — Non vedo come la presenza sulla Terra di milioni di specie abbia potuto creare dal nulla un satellite gigantesco.
— E se fosse il contrario… Forse un satellite gigantesco potrebbe avere contribuito allo sviluppo di milioni di specie.
— Anche questa ipotesi mi pare impossibile.
Trevize intervenne: — E la storia della radioattività della Terra?
— È universalmente nota… universalmente accettata.
— Eppure è impossibile che fosse così radioattiva se per miliardi di anni ha ospitato la vita. Come è diventata radioattiva? In seguito ad una guerra?
— Questa è l’opinione più comune, Consigliere Trevize.
— Dal vostro tono, mi sembra di capire che voi non siate d’accordo.
— Non ci sono prove che questa guerra sia avvenuta. L’opinione comune, pur se universalmente accettata, non è di per sé una prova sufficiente.
— Che altro potrebbe essere accaduto?
— Non ci sono prove che sia accaduto qualcosa. Forse la radioattività è una leggenda puramente inventata come il satellite gigantesco.
— Pelorat domandò: — Qual è la versione locale della storia della Terra? Nel corso della mia carriera professionale, ho raccolto numerose leggende riguardo l’origine, ed in molte si parlava di un mondo chiamato Terra o con un nome abbastanza simile. Ma di Comporellen non ho nulla, a parte un vago accenno ad un tale Benbally che, se dobbiamo basarci sulle leggende comporelliane, potrebbe anche essere sbucato dal nulla.
— Un fatto normale. Di solito non esportiamo le nostre leggende, e mi sorprende che abbiate trovato degli accenni a proposito di Benbally: siamo di nuovo nel campo della superstizione.
— Ma voi non siete superstizioso, quindi potete parlarne tranquillamente, vero?
— Esatto — annuì il piccolo storico, alzando lo sguardo verso Pelorat. — Parlandone, rischio di accrescere la mia impopolarità, forse addirittura in modo pericoloso, ma voi tre lascerete presto Comporellen ed immagino che non mi citerete mai come fonte.
— Vi diamo la nostra parola d’onore — si affrettò a rassicurarlo Pelorat.
— Allora, eccovi un riassunto di quello che dovrebbe essere successo, sfrondato degli aspetti soprannaturali e moralistici. La Terra da tempo immemorabile era il solo pianeta abitato dagli esseri umani, poi dai venti ai venticinquemila anni fa l’umanità mise a punto il viaggio interstellare tramite il Balzo nell’iperspazio e colonizzò un gruppo di pianeti. I Coloni di questi pianeti usavano i robot, che erano stati ideati sulla Terra prima del periodo dei viaggi iperspaziali e… a proposito, sapete cosa siano i robot?
— Sì — rispose Trevize. — Ci è stato chiesto in più di una occasione: sappiamo cosa siano.
— I Coloni, con una società interamente robotizzata, raggiunsero un livello tecnologico elevatissimo e una longevità insolita, e disprezzarono il loro mondo d’origine. Stando alle versioni più drammatiche della loro storia, arrivarono a dominarlo ed opprimerlo. La Terra infine inviò nello spazio un nuovo gruppo di Coloni, tra i quali i robot erano proibiti. Di questi nuovi mondi, Comporellen fu tra i primi. I nostri patrioti più accaniti sostengono che sia stato il primo, ma non ci sono prove accettabili per uno Scettico circa questo punto. Il primo gruppo di Coloni si estinse…
Trevize l’interruppe: — Perché il primo gruppo si estinse, dottor Deniador?
— Perché? Di solito i nostri romantici immaginano che siano stati puniti per i crimini commessi da Colui Che Punisce, anche se nessuno si scomodi a spiegare come mai questo Colui abbia atteso così a lungo. Ma non è necessario rifugiarsi nelle fiabe. Una società che dipenda totalmente dai robot, si può dedurre facilmente, diventa debole e decadente, si spegne e muore per pura noia o, volendo essere più sottili, perché le viene a mancare la voglia di vivere.
«La seconda ondata di Coloni, senza robot, continuò a vivere e assunse il controllo di tutta la Galassia, ma la Terra divenne radioattiva e lentamente passò in secondo piano, venne dimenticata. Di solito si dice che sia successo perché anche sulla Terra ci fossero dei robot, dal momento che la prima ondata aveva incoraggiato il fenomeno.
Bliss, che aveva ascoltato finora piuttosto impaziente, disse: — Bene, dottor Deniador, indipendentemente dalla radioattività o meno e del numero delle ondate di Coloni, la domanda cruciale è semplicissima. Dov’è esattamente la Terra ? Quali sono le sue coordinate?
— La risposta a questa domanda è: non lo so… Ma, venite. È ora di pranzo. Posso farne servire uno, qui, e saremo liberi di parlare della Terra a vostro piacimento.
— Non lo sapete? — sbottò Trevize con voce particolarmente stridula.
— A quanto mi risulta, nessuno lo sa.
— Ma… È impossibile.
— Consigliere — sospirò Deniador — se volete definire impossibile la verità, prego, è un vostro privilegio, ma non approderete a nulla.
Il pranzo consisteva in una grande quantità di polpette morbide e croccanti di vari colori, e contenenti ripieni diversi.
Deniador prese un piccolo oggetto che si svolse trasformandosi in un paio di sottilissimi guanti trasparenti, e li infilò, imitato dai suoi ospiti.
Bliss chiese: — Cosa c’è dentro queste cose, per favore?
Deniador rispose: — Quelle rosa contengono un trito di pesce alle spezie, una specialità comporelliana. Quelle gialle, un ripieno al formaggio molto delicato. Le verdi, un misto di verdure. Mangiatele finché sono abbastanza calde, poi mangeremo torta calda di mandorle e prenderemo le solite bibite: io consiglierei il sidro caldo. Dato il clima rigido, noi tendiamo a scaldare le nostre vivande, persino i dessert.
— Vi trattate bene — commentò Pelorat.
— Non proprio — fece Deniador. — Cortesia verso gli ospiti. Di solito io mi accontento di poco: non ho una gran massa corporea da alimentare, come avrete senza dubbio notato.
Trevize diede un morso ad una polpetta rosa e… sì, in effetti sapeva di pesce, e le spezie avevano un gusto gradevole. Solo che pesce e spezie, probabilmente, avrebbero tenuto compagnia al suo stomaco per il resto della giornata, e forse anche durante la notte.
Quando staccò quella specie di polpetta dalle labbra, scoprì che la crosta si era richiusa sul ripieno. Nemmeno uno schizzo, nemmeno una goccia… e per un attimo Trevize si domandò a cosa servissero i guanti: anche senza guanti era praticamente impossibile sporcarsi le mani, quindi doveva trattarsi di una questione di igiene. I guanti si mettevano invece di lavarsi le mani, per comodità, e probabilmente la consuetudine ne imponeva l’uso anche se si avessero le mani pulite. (Lizalor non aveva usato i guanti quando Trevize aveva mangiato con lei il giorno prima… Forse perché era una donna di montagna).
— Sarebbe poco educato parlare d’affari durante il pranzo? — chiese Trevize.
— Su Comporellen, sì, Consigliere, ma voi siete miei ospiti e ci atterremo alle vostre usanze. Se volete discutere seriamente, e pensate che questo non guasti il piacere della tavola, o se non v’importa tanto del piacere della tavola, prego, discutete pure, ed io parteciperò alla discussione.
— Grazie — disse Trevize. — Il Ministro Lizalor ha lasciato intendere… no, anzi, ha affermato senza mezzi termini… che gli Scettici non godano di molta popolarità su questo mondo. È vero?
Il buon umore di Deniador parve accentuarsi. — Certo. Ci sentiremmo offesi se fossimo popolari. Vedete, Comporellen è un mondo frustrato, senza alcuna conoscenza dei particolari, la gente è legata ad un credo mitico molto diffuso secondo il quale un tempo, parecchi millenni fa, quando la Galassia abitata era piccola, Comporellen sarebbe stato il mondo guida. Non lo dimentichiamo mai, ed il fatto che nella storia nota non siamo mai stati dei dominatori ci urta, ci riempie… o meglio, riempie la maggioranza della popolazione… di un senso di ingiustizia.
«Eppure, cosa possiamo fare? Il Governo è stato costretto ad essere un fedele vassallo dell’Imperatore un tempo, ed adesso è un fedele alleato della Fondazione. E più ci rendiamo conto della nostra posizione subordinata, più forte diventa l’attaccamento ai grandi, misteriosi giorni del passato. Cosa può fare allora Comporellen? Non ha mai potuto sfidare l’Impero in passato, e adesso non può sfidare apertamente la Fondazione. Si rifugia perciò negli attacchi contro di noi, odiandoci, dal momento che non crediamo alle leggende e ridiamo delle superstizioni.
«Malgrado questo, siamo al sicuro dagli effetti più brutali della persecuzione. Controlliamo la tecnologia, ed abbiamo cariche importanti nelle facoltà universitarie. Alcuni di noi particolarmente schietti non possono dedicarsi all’insegnamento apertamente. Io, per esempio, ho delle difficoltà, anche se ho i miei studenti ed organizzo riunioni con discrezione al di fuori del campus. Comunque, se venissimo allontanati realmente dalla vita pubblica, la tecnologia andrebbe a rotoli e le università perderebbero prestigio a livello galattico. Probabilmente, a dimostrazione della follia del genere umano, la prospettiva di un suicidio intellettuale non impedirebbe ai nostri denigratori di sfogare il loro odio, ma la Fondazione ci sostiene. Quindi, veniamo continuamente rimproverati, derisi, denunciati… ma nessuno ci tocca, mai.
Trevize disse: — È l’opposizione popolare che vi impedisce di dirci la posizione della Terra? Temete che, nonostante tutto, l’ostilità degli anti-Scettici potrebbe farsi pericolosa se vi spingeste troppo oltre?
Deniador scosse la testa. — No. La posizione della Terra è ignota: non vi sto nascondendo nulla, né per paura né per nessun’altra ragione.
— Ma, sentite — incalzò Trevize. — In questo settore della Galassia esiste un numero limitato di pianeti che possiedano le caratteristiche fisiche indispensabili per l’abitabilità, e quasi tutti saranno non solo abitabili ma anche abitati, e quindi dovreste conoscerli. Non dovrebbe essere difficile esplorare il settore in cerca di un pianeta che sarebbe abitabile, se non fosse per la presenza della radioattività, no? E poi, questo pianeta avrebbe pure un satellite gigante. Tra la radioattività ed il satellite, la Terra dovrebbe essere assolutamente inconfondibile, e non potrebbe sfuggire nemmeno ad una ricerca approssimativa. Occorrerebbe un po’ di tempo, forse, ma sarebbe l’unica difficoltà.
Deniador replicò: — Il punto di vista degli Scettici, naturalmente, è che la radioattività della Terra ed il suo grande satellite siano semplicemente due leggende: cercare cose simili equivarrebbe a cercare latte di passero e piume di coniglio.
— Forse, però Comporellen dovrebbe almeno tentare. Se Comporellen trovasse un mondo radioattivo delle dimensioni adatte all’abitabilità, e con un grande satellite, la credibilità delle sue leggende ne trarrebbe un vantaggio notevole.
Deniador rise. — Può darsi che Comporellen non cerchi la Terra proprio per questo motivo: se fallissimo, o se trovassimo una Terra diversa da quella delle leggende, avverrebbe il contrario. Le leggende comporelliane in generale perderebbero qualsiasi valore e diventerebbero oggetto di scherno: comporellen non correrebbe mai un rischio del genere.
Trevize ebbe una breve esitazione, poi insisté: — Ma anche accantonando queste due unicità… ammesso che nel galattico esista questa parola… a parte la radioattività ed il grande satellite, dicevo, c’è una terza caratteristica che, per definizione, deve esistere, senza alcun riferimento alle leggende. La Terra deve accogliere sulla sua superficie una incredibile varietà di forme di vita, od i resti di questa ampia gamma, o come minimo i fossili.
Deniador rispose: — Consigliere, anche se Comporellen non ha organizzato alcuna spedizione di ricerca avente come obiettivo la Terra anche noi abbiamo occasione di viaggiare nello spazio, e di tanto in tanto riceviamo rapporti da navi che per una ragione o per l’altra siano finite fuori rotta. I Balzi non sempre sono perfetti, come forse saprete. Ebbene, non ci è mai giunta notizia di qualche pianeta che presentasse le caratteristiche della Terra o brulicante di forme di vita. Ed è alquanto improbabile che una nave scenda su un mondo apparentemente disabitato e che l’equipaggio vada a caccia di fossili. Se allora, nel corso di migliaia di anni, non si è avuta alcuna notizia a questo riguardo, sono dispostissimo a credere che sia impossibile localizzare la Terra, in quanto la Terra non esiste e pertanto non può essere localizzata.
Trevize sbottò, frustrato: — Eppure la Terra deve essere da qualche parte, da qualche parte c’è sicuramente un pianeta su cui si siano evolute l’umanità e tutte le forme di vita che conosciamo: se la Terra non è in questo settore galattico, sarà altrove.
— Forse — disse imperturbabile Deniador. — Ma in tutto questo tempo non è saltata fuori in alcun posto.
— La gente non l’ha cercata sul serio.
— Be’, pare che voi lo stiate facendo. Vi auguro buona fortuna, però non scommetterei mai sul vostro successo.
Trevize disse: — Non si è mai tentato di determinare la posizione probabile della Terra indirettamente, tramite sistemi che non fossero una ricerca diretta?
— Sì — risposero due voci all’unisono. Deniador, il proprietario di una delle voci, disse a Pelorat: — State pensando al progetto di Yariff?
— Sì — annuì Pelorat.
— Volete spiegarlo voi al Consigliere, allora? Secondo me, crederà più volentieri a voi.
— Vedi, Golan — iniziò Pelorat — negli ultimi giorni dell’Impero, ci fu un periodo in cui la Ricerca delle Origini, come veniva chiamata, era un passatempo in voga, forse per sottrarsi alla spiacevolezza della realtà circostante. Sai, all’epoca l’Impero stava sgretolandosi.
«Uno storico liviano, Humbal Yariff, pensò che il pianeta d’origine, quale che fosse, dovesse aver colonizzato i mondi vicini a sé prima, ed in seguito quelli più lontani: vale a dire, più un mondo è lontano dal punto d’origine, più tardi deve essere stato colonizzato. Supponiamo dunque di prendere la data di colonizzazione di tutti i pianeti abitabili della Galassia e tracciare delle reti comprendenti tutti i pianeti con un dato numero di millenni… Per esempio, una rete che unisca tutti i pianeti di diecimila anni, un’altra che unisca quelli di dodicimila anni, un’altra ancora che unisca quelli di quindicimila anni… In teoria, ogni rete dovrebbe essere grosso modo sferica, e tutte dovrebbero essere grosso modo concentriche. Le reti più vecchie formeranno sfere di raggio minore rispetto a quelle più recenti, e calcolando tutti i centri, questi dovrebbero trovarsi in un volume di spazio relativamente limitato nel quale dovrebbe essere compreso il pianeta d’origine… la Terra.
Pelorat aveva un’espressione fervida, e continuava a tracciare superfici sferiche piegando le mani a coppa. — Capisci, Golan?
Trevize annuì. — Sì. Ma mi sembra di capire che questo sistema non abbia funzionato.
— In teoria avrebbe dovuto funzionare, vecchio mio. Il guaio era che le date di colonizzazione dei pianeti erano estremamente imprecise: ogni pianeta esagerava con la propria, e non era facile riuscire a determinare la data indipendentemente dai dati leggendari.
Bliss intervenne: — Il decadimento del carbonio-14 nel legno[2].
— Certo, cara — disse Pelorat. — Ma per misurarlo sarebbe stata necessaria la collaborazione dei mondi in questione, e nessuno collaborò: nessun mondo accettò che la propria anzianità fosse messa in discussione e ridimensionata, ed all’epoca l’Impero non era in una posizione tale da opporsi alle obiezioni locali per una questione di così scarsa importanza. Aveva ben altro a cui pensare.
«Yariff dovette limitarsi ad usare dei mondi con appena duemila anni di storia, la cui fondazione era stata documentata scrupolosamente in circostanze attendibili. Quei mondi erano pochi, e pur essendo distribuiti in una simmetria approssimativamente sferica, fornivano un centro abbastanza vicino a Trantor, la capitale dell’Impero, perché proprio da là erano partite le spedizioni che avevano colonizzato quel gruppo esiguo di pianeti.
«Questo, ovviamente, era un altro problema. La Terra non era l’unico punto d’origine della colonizzazione. Col passare del tempo, i mondi più vecchi avevano inviato nello spazio spedizioni di coloni proprie, e nel periodo culminante dell’Impero, Trantor rappresentava appunto uno dei mondi più intraprendenti in fatto di colonizzazione. Yariff, piuttosto ingiustamente, fu deriso e ridicolizzato e la sua reputazione professionale fu rovinata.
Trevize disse: — Capisco benissimo, Janov… Dottor Deniador, dunque non siete in grado di fornirci alcuna indicazione che lasci acceso almeno un barlume di speranza? Non c’è qualche altro mondo dove in teoria si dovrebbe trovare qualche informazione sulla Terra?
Deniador assunse un’espressione dubbiosa e meditabonda. — Be’… — disse infine, incerto — come Scettico devo dirvi che non sono certo che la Terra esista, o che sia mai esistita… Comunque… — tacque di nuovo.
Alla fine, Bliss disse: — Credo che abbiate pensato a qualcosa che potrebbe essere importante, dottore.
— Importante? Oh, ne dubito — obiettò sottovoce Deniador. — Divertente, forse… La Terra non è l’unico pianeta dalla posizione misteriosa. Ci sono anche i mondi del primo gruppo di Coloni… gli Spaziali, come vengono chiamati nelle nostre leggende. Alcuni chiamano quei pianeti i “Mondi Spaziali”, altri li chiamano “Mondi Proibiti”: la seconda definizione è quella usata attualmente.
«Stando alla leggenda, nel fior fiore del loro splendore, gli Spaziali erano estremamente longevi, vivevano secoli interi, e non permettevano ai nostri antenati dalla vita breve di atterrare sui loro mondi. Dopo la loro sconfitta, per mano nostra, la situazione si rovesciò. Ci rifiutammo di avere rapporti con loro e li abbandonammo a se stessi, proibendo alle nostre navi ed ai Mercanti di avere a che fare con gli Spaziali. Così, quei pianeti diventarono i Mondi Proibiti. Sempre secondo la leggenda, erano sicuri che Colui Che Punisce li avrebbe distrutti anche senza il nostro intervento, e a quanto pare Colui Che Punisce li distrusse davvero. Per lo meno, che ci risulti, sono millenni che nella Galassia non ci sia traccia di Spaziali.
— Pensate che gli Spaziali abbiano notizie della Terra? — domandò Trevize.
— Può darsi, dal momento che i loro mondi erano più vecchi dei nostri… Un attimo, sempre ammesso che gli Spaziali esistano, il che è alquanto improbabile.
— Anche se non esistessero più, i loro mondi potrebbero contenere ugualmente dei documenti.
— Sempre che riuscirete a trovare quei mondi.
Trevize era esasperato. — Vorreste dire che la chiave per arrivare alla Terra, la cui posizione è ignota, si trova forse sui mondi degli Spaziali, la cui posizione è anch’essa ignota?
Deniador si strinse nelle spalle. — Sono ventimila anni che non abbiamo contatti con loro, che non pensiamo a loro: anche loro, come la Terra sono scomparsi nelle nebbie del tempo.
— Su quanti mondi vivevano gli Spaziali?
— Le leggende parlano di cinquanta mondi… una cifra tonda che insospettisce. Probabilmente, erano meno.
— E non conoscete la posizione di almeno uno su cinquanta?
— Be’, forse… ora che ci penso…
— Cosa?
Deniador disse: — Dato che la storia primitiva è il mio hobby, come è l’hobby del dottor Pelorat, occasionalmente ho esaminato dei vecchi documenti in cerca di qualche riferimento al periodo primitivo, di qualche dato che vada al di là delle leggende. Lo scorso anno mi sono imbattuto nelle documentazioni di una vecchia nave, materiale pressoché indecifrabile. Risaliva addirittura all’epoca in cui il nostro mondo non era ancora noto come Comporellen. Veniva usato il nome “Baleyworld” che, forse, è una forma precedente del “Benbally World” delle nostre leggende.
Pelorat intervenne eccitato: — Avete divulgato il materiale?
— No. Non voglio tuffarmi prima di avere la certezza che ci sia dell’acqua nella piscina, come afferma il vecchio detto. Vedete, stando a quella documentazione, il capitano della nave aveva visitato un Mondo Spaziale ed era partito portando con sé una donna spaziale.
Bliss osservò: — Ma avete detto che gli Spaziali non volevano visitatori.
— Appunto, ed è per questo motivo che non pubblico il materiale: sembra incredibile. Esistono racconti piuttosto vaghi che, volendo interpretarli così, potrebbero riferirsi agli Spaziali ed al loro conflitto con i Coloni… i nostri antenati. Tali racconti esistono non solo su Comporellen ma anche su molti altri mondi, ed in svariate versioni, ma tutti concordano in maniera assoluta su un fatto: i due gruppi, Spaziali e Coloni, mantenevano accanitamente le distanze. Non c’erano contatti sociali, per non parlare poi dei contatti sessuali. Eppure pare che il capitano dei Coloni e la donna degli Spaziali fossero legati da un vincolo d’amore. È talmente incredibile che ho dovuto per forza accettare la storia come un frammento di narrativa storico-romantica.
Trevize sembrava deluso. — Non avete nient’altro da dirci?
— No, Consigliere, avrei un’altra cosa. Ho trovato delle cifre in quello che restava del giornale di bordo della nave… cifre che potrebbero, dico potrebbero, rappresentare delle coordinate spaziali. Se lo fossero… e, dato che il mio onore di Scettico mi obbliga a farlo torno a ribadire che non è detto che siano coordinate spaziali… se lo fossero, comunque, dalle prove intrinseche avrei concluso che si tratti delle coordinate spaziali di tre Mondi Spaziali: uno potrebbe essere il mondo su cui il capitano atterrò e da cui ripartì con la sua amata.
— Anche se la storia è immaginaria, può darsi che le coordinate siano vere, no? — disse Trevize.
— Può darsi — rispose Deniador. — Vi fornirò quei dati, e sarete liberi di usarli… ma non è detto che otteniate qualcosa di concreto… Comunque, ho un’idea divertente…
— Quale? — chiese Trevize.
— E se una di quelle serie di coordinate rappresentasse la Terra ?
Il sole di Comporellen, nettamente arancione, era apparentemente più grande di quello di Terminus, però era basso all’orizzonte ed emanava poco calore. Il vento, per fortuna lieve, lambiva la faccia di Trevize con dita gelide.
Trevize rabbrividì nella giacca elettrificata che Mitza Lizalor gli aveva dato. Mitza era accanto a lui, e lui le disse: — Non ci sarà sempre così freddo, Mitza.
Lei alzò un istante lo sguardo verso il sole, circondata dal vuoto dello spazioporto, senza mostrare alcun segno di disagio… alta, imponente, con addosso un indumento più leggero di quello di Trevize, sprezzante del freddo, se non insensibile.
— Abbiamo un’estate stupenda — disse. — Non è lunga, ma le nostre piante alimentari vi si adattano. Sono selezionate con cura, crescono rapidamente col sole e resistono al gelo. I nostri animali domestici hanno una consistente copertura di pelo, e la lana comporelliana è ritenuta da tutti la migliore della Galassia. Inoltre, in orbita attorno a Comporellen, abbiamo insediamenti agricoli che producono frutti tropicali. Infatti esportiamo ananas sciroppati di qualità superiore. Gran parte della gente che ci considera solo un mondo freddo non lo sa.
— Grazie per averci accompagnato allo spazioporto, Mitza — disse Trevize — e per avere collaborato con noi in questa nostra missione. Per sentirmi tranquillo, però, devo chiederti se per quanto è successo ti troverai in guai seri.
— No! — Mitza scosse la testa con fierezza. — Nessun guaio. Innanzitutto, nessuno mi farà delle domande. Sono io che dirigo i trasporti, il che significa che io sola fisso le regole per gli spazioporti, le stazioni d’ingresso, le navi in partenza ed in arrivo. Il primo Ministro si fida di me ed è ben felice di ignorare certi dettagli… Ed anche se mi facessero delle domande, basterà che dica la verità: il Governo mi darebbe il suo plauso dal momento che non ho consegnato la nave alla Fondazione. La gente farebbe altrettanto, se fosse prudente informarla. E la Fondazione stessa non saprebbe nulla.
Trevize disse: — Può darsi che il Governo non voglia consegnare la nave alla Fondazione, ma ti approverà ugualmente dal momento che ci hai permesso di riprendere la nave?
Lizalor sorrise. — Sei una brava persona, Trevize. Ti sei battuto caparbiamente per non perdere la tua nave, e adesso che l’hai ti prendi la briga di preoccuparti per me. — Allungò incerta una mano, come per esternare quello che provava con un gesto affettuoso, poi a fatica frenò l’impulso.
Con rinnovata asprezza, disse: — Anche se contesteranno la mia decisione, basterà che dica che cercavi, e stai tuttora cercando, la Terra, e confermeranno tutti che ho fatto bene a liberarmi di te il più in fretta possibile, nave compresa. E celebreranno i riti d’espiazione, poiché ti è stato consentito di atterrare su Comporellen, anche se allora non potevamo conoscere le tue intenzioni.
— Temi davvero che la mia presenza porti sfortuna a te ed alla tua gente?
— Certo — rispose Lizalor impassibile. Poi il suo tono si addolcì leggermente. — A me hai già portato sfortuna, perché adesso che ti ho conosciuto gli uomini di Comporellen mi sembreranno ancor più spenti: mi rimarrà un desiderio inappagabile. Colui Che Punisce mi ha già colpita.
Trevize disse dopo una breve esitazione: — Non voglio che tu cambi idea, però non voglio nemmeno che tu abbia dei timori ingiustificati. L’idea che io porti sfortuna, sappi, è semplice superstizione.
— È stato lo Scettico a dirtelo, immagino.
— Lo sapevo senza che lui me lo dicesse.
Lizalor si sfregò il viso, perché un velo di brina stava depositandosi sulle sue sopracciglia, e disse: — Lo so che certi la considerano superstizione. Ma Il Più Vecchio porta davvero sfortuna: è stato dimostrato molte volte, e tutte le abili argomentazioni degli Scettici non possono cancellare la realtà delle cose.
Di colpo, tese la mano. — Addio, Golan. Sali sulla nave ed unisciti ai tuoi compagni, prima che il tuo delicato corpo terminiano geli in questo nostro vento freddo ma dolce.
— Addio, Mitza, e spero di rivederti al mio ritorno.
— Sì, hai promesso di ritornare, e io ho provato a credere che tornerai. Ho pensato addirittura che sarei venuta incontro alla tua nave nello spazio, per attirare la sventura solo su di me e non sul mio mondo… ma non tornerai.
— Non è vero! Tornerò! Non credere che possa rinunciare a te tanto facilmente dopo il piacere provato insieme. — Ed in quel momento Trevize era veramente convinto di quel che diceva.
— Non dubito dei tuoi impulsi romantici, mio dolce uomo della Fondazione… ma quelli che si avventurano nello spazio alla ricerca del Più Vecchio non tornano mai più… in nessun posto. Lo so, nel mio intimo.
Trevize si sforzò di controllare il battito dei denti. Aveva solo freddo; non voleva che lei pensasse che fosse paura quella. Disse: — Anche questa è superstizione.
— Eppure, anche questa cosa è vera — fece Mitza.
Era bello essere di nuovo nella sala comandi della “Far Star”. Forse non era molto spaziosa. Forse era una cella di prigionia nello spazio infinito. Tuttavia era un ambiente familiare, accogliente, caldo.
Bliss osservò: — Mi fa piacere che tu sia salito a bordo finalmente. Mi chiedevo per quanto tempo saresti rimasto col Ministro.
— Non a lungo — disse Trevize. — C’era freddo.
— Mi è parso che stessi prendendo in considerazione l’idea di restare con lei e rimandare la ricerca della Terra. Non mi piace sondare la tua mente, nemmeno in modo leggero, però ero preoccupata per te, e la tentazione che provavi era evidentissima.
— Hai ragione — ammise Trevize. — Per un attimo ho provato la tentazione di cui parli. Il Ministro è una donna eccezionale, non ho mai conosciuto un’altra come lei… Hai rafforzato la mia resistenza, Bliss?
— Ti ho detto molte volte che non devo influenzare in alcun modo la tua mente, e non la influenzerò, Trevize. Sei stato tu a sconfiggere la tentazione, immagino… grazie al tuo forte senso del dovere.
— No, non credo — sorrise amaramente Trevize. — Non è stato nulla di tanto drammatico e nobile. La mia resistenza è stata rafforzata innanzitutto dal fatto che ci fosse in effetti molto freddo, ed in secondo luogo dalla triste constatazione che con qualche altro incontro intimo con lei sarei morto: non sarei mai stato in grado di reggere certi ritmi.
Pelorat disse: — Be’, comunque adesso sei a bordo, sano e salvo. Quale sarà la nostra prossima mossa?
— Nell’immediato futuro, ci porteremo all’esterno del sistema planetario ad andatura sostenuta, finché non saremo abbastanza lontani dal sole di Comporellen da effettuare il balzo.
— Credi che ci bloccheranno o ci inseguiranno?
— No, secondo me il Ministro vuole davvero che ce ne andiamo il più in fretta possibile e stiamo alla larga, così la vendetta di Colui Che Punisce non si abbatterà sul pianeta. Anzi…
— Sì?
— Lei è convinta che la vendetta si abbatterà certamente su di noi, che non torneremo mai più. Questa, tengo a precisare, non è una stima del mio probabile livello di infedeltà, che Lizalor non ha avuto occasione di verificare. A suo avviso, la Terra porta talmente sfortuna che chiunque la cerchi è destinato a perire nel corso della ricerca.
Bliss chiese: — Come può fare una simile affermazione? Quanti Comporelliani hanno lasciato il pianeta alla ricerca della Terra?
— Nessuno, credo. Le ho detto che i suoi timori erano frutto della superstizione.
— E ne sei davvero convinto, o le sue parole ti hanno scosso?
— So che i suoi timori sono semplice superstizione nel modo in cui lei li ha espressi, però malgrado questo un fondo di verità potrebbe esserci.
— Vale a dire, la radioattività ci ucciderà se cercheremo di atterrare sulla Terra?
— Non credo che la Terra sia radioattiva. Credo però che la Terra stia proteggendo se stessa. Teniamo presente che dalla Biblioteca di Trantor è scomparso qualsiasi riferimento riguardante la Terra… che la memoria prodigiosa di Gaia che abbraccia tutto il pianeta, fino agli strati rocciosi superficiali ed al nucleo di metallo fuso, non riesca a spingersi abbastanza indietro da fornirci qualche dato sulla Terra.
«Chiaramente, se la Terra è abbastanza potente da far questo, potrebbe anche essere capace di influenzare le menti costringendole a credere alla sua radioattività, impedendo così qualsiasi tentativo di ricerca. Forse, proprio perché Comporellen è talmente vicino da costituire un serio pericolo per la Terra, assistiamo ad un ulteriore rafforzamento di questo vuoto di memoria collettivo. Deniador, che è uno scettico ed uno scienziato, è convintissimo che sia inutile cercare la Terra. Dice che è impossibile trovarla… Ed è per questo che la superstizione del Ministro può essere motivata. Se la Terra vuole nascondersi a tutti i costi, non potrebbe ucciderci od alterare la nostra mente, piuttosto che permetterci di trovarla?
Bliss corrugò la fronte. — Gaia…
Trevize disse subito: — Non dire che Gaia ci proteggerà. Dal momento che la Terra è riuscita a cancellare i ricordi più antichi di Gaia, è evidente che in un conflitto tra la Terra e Gaia sarebbe la Terra a prevalere.
Bliss replicò: — Come fai a sapere che quei ricordi siano stati cancellati? La spiegazione potrebbe essere un’altra… È occorso del tempo perché Gaia sviluppasse una memoria planetaria, e forse noi possiamo risalire soltanto fino al periodo del completamento di quella fase di sviluppo. Ed ammettendo che i ricordi siano stati davvero cancellati, chi ti dice che sia stata proprio la Terra a farlo?
Trevize rispose: — Non lo so, mi limito a fare delle ipotesi.
Timidamente, Pelorat intervenne: — Se la Terra è tanto potente e vuole tutelare ad ogni costo la propria privacy, per così dire, a che può servire la nostra ricerca? A quanto pare, tu pensi che la Terra non ci permetterà di riuscire nell’impresa, e se necessario ci ucciderà pur di bloccarci. In tal caso, che senso ha continuare?
— Una nostra rinuncia potrebbe sembrare la soluzione più logica, lo ammetto… eppure sono assolutamente convinto che la Terra esista, che debba trovarla, e la troverò. E secondo Gaia, quando ho certi fermi convincimenti, io ho sempre ragione.
— Ma come sopravvivremo alla scoperta, vecchio mio?
Trevize rispose sforzandosi di sdrammatizzare: — Forse anche la Terra riconoscerà il valore del mio intuito straordinario e mi lascerà in pace. Però, e mi preme particolarmente sottolineare questo punto, non posso essere certo della sopravvivenza di voi due, e questo mi preoccupa. Mi è sempre stata a cuore la vostra incolumità, ma adesso la situazione mi sembra ancor più rischiosa, quindi forse dovrei riportarvi su Gaia ed arrangiarmi poi da solo. Sono stato io a decidere di cercare la Terra; sono io a ritenerla una ricerca fondamentale, a voler tentare ad ogni costo. È giusto che sia io, dunque, a rischiare. Lasciate che vada solo… Janov?
Pelorat affondò il mento nel collo, e la sua faccia sembrò ancor più lunga. — Non nego di essere un po’ nervoso, Golan, ma se ti abbandonassi mi vergognerei di me stesso: rinnegherei me stesso.
— Bliss?
— Gaia non ti abbandonerà, Trevize, qualunque cosa tu decida di fare. Se la Terra dovesse rivelarsi pericolosa, Gaia ti proteggerà il più possibile. Ed in ogni caso, nel mio ruolo personale di Bliss, non abbandonerò Pel… e se lui resta con te, io sicuramente resterò con lui.
Trevize disse con espressione torva: — Molto bene, allora. Vi ho offerto la possibilità di scegliere… Proseguiamo assieme.
— Assieme — annuì Bliss.
Pelorat abbozzò un sorriso e strinse la spalla di Trevize. — Assieme… Sempre.
Bliss disse: — Guarda, Pel.
Stava usando manualmente il telescopio della nave, senza un obiettivo preciso, come diversivo dalla biblioteca di Pelorat che trattava solo di leggende della Terra.
Pelorat si avvicinò, le cinse le spalle e osservò lo schermo. Era inquadrato uno dei giganti gassosi del sistema planetario comporelliano, sufficientemente ingrandito da dare un’idea delle dimensioni effettive.
Era di un colore arancione tenue, con striature più chiare. Visto al piano planetario, e più lontano dal sole della nave stessa, formava quasi un cerchio luminoso completo.
— Magnifico — commentò Pelorat.
— La striscia centrale si estende al di là del pianeta, Pel.
Pelorat aggrottò la fronte e disse: — Già, Bliss, credo proprio che sia così.
— Pensi che sia un’illusione ottica?
— Non ne sono certo, Bliss. In questo campo sono un principiante come te… Golan!
Trevize rispose alla chiamata con un debole: — Che c’è? — ed entrò nella sala comandi rivelando un aspetto un po’ sgualcito, come se si fosse coricato per un sonnellino senza spogliarsi… cosa che aveva puntualmente fatto.
In tono seccato, sbottò: — Per favore! Non toccate gli strumenti!
— È solo il telescopio — disse Pelorat. — Guarda.
Trevize guardò. — È un gigante gassoso, quello chiamato Gallia, stando alle informazioni che mi hanno dato.
— Come fai a dire che sia proprio quello, guardando e basta?
— Innanzitutto, a questa distanza dal sole, ed in base alle dimensioni planetarie ed alle posizioni orbitali che ho studiato calcolando la nostra rotta, il gigante gassoso è l’unico pianeta che si possa ingrandire tanto in questo periodo. In secondo luogo, c’è l’anello.
— L’anello? — ripeté Bliss confusa.
— Voi vedete solo un segno molto sottile e sbiadito, perché lo stiamo osservando quasi frontalmente. Possiamo spostarci dal piano planetario e salire, così avrete una visuale migliore. Vi piacerebbe?
Pelorat rispose: — Non voglio costringerti a calcolare di nuovo le posizioni e la rotta, Golan.
— Oh, tanto provvederà il computer, senza alcun problema. — Trevize si sedette mentre parlava, e posò le mani entro gli appositi contorni. Il computer, in perfetta sintonia con la sua mente, fece il resto.
La “Far Star”, senza problemi di carburante o di sensazioni inerziali, accelerò rapidamente, e per l’ennesima volta Trevize provò un impeto d’affetto per quell’insieme computer-nave che rispondeva con tanta perfezione ai suoi ordini… quasi fossero i pensieri di Trevize ad alimentare ed a dirigere il tutto, quasi quelle macchine fossero un’estensione potente e docile della sua volontà.
Non c’era da meravigliarsi se la Fondazione pretendesse la restituzione della “Far Star”, se anche Comporellen avesse cercato di impossessarsene. L’unico dato sorprendente era stata la forza della superstizione, così intensa da indurre Comporellen a rinunciare alla nave.
Armata in modo adeguato, avrebbe potuto battere qualsiasi nave della Galassia, o qualsiasi schieramento di navi… a patto di non incontrare una nave gemella.
Naturalmente, non era armata in modo adeguato. Il Sindaco Branno, assegnandogli la nave, aveva avuto tanta accortezza da consegnargliela priva di armamenti.
Sotto lo sguardo interessato di Pelorat e di Bliss, il pianeta Gallia s’inclinava lentissimamente verso di loro. Il polo superiore (nord o sud che fosse) divenne visibile, presentando un’ampia regione circolare di turbolenze, mentre il polo inferiore scompariva dietro la convessità della sfera.
Nella parte superiore, il lato notturno del pianeta invase il globo di luce arancione, e quello splendido cerchio diventò progressivamente sbilenco.
L’aspetto più eccitante era che la pallida striatura centrale non era più rettilinea ma si era curvata, come le altre striature a nord e sud, ma in modo più appariscente.
Ora la striatura centrale si estendeva nettamente oltre i bordi del pianeta formando su entrambi i lati un’ansa molto stretta. Non si trattava affatto di una illusione; la natura del fenomeno era evidente. Era un anello di materia che girava attorno al pianeta, nascosto in parte sull’emisfero opposto.
— Questo dovrebbe bastare a rendere l’idea, credo — disse Trevize. — Spostandoci sopra il pianeta, vedremmo l’anello nella sua forma circolare, concentrico rispetto al pianeta, e senza alcun punto di contatto con la superficie. Probabilmente avrete anche notato che in effetti non si tratti di un unico anello, ma di parecchi anelli concentrici.
— Non l’avrei creduto possibile — commentò Pelorat interdetto. — Come fa a rimanere nello spazio?
— Grazie allo stesso principio per cui un satellite rimane nello spazio — rispose Trevize. — Gli anelli sono formati da minuscole particelle, ognuna delle quali è in orbita attorno al pianeta. Gli anelli sono così vicini al pianeta che gli effetti gravitazionali impediscono la loro fusione in un unico corpo celeste.
Pelorat scosse la testa. — Se ci penso, inorridisco, vecchio mio. Pare impossibile… ho passato un’intera vita immerso negli studi eppure non so quasi nulla di astronomia.
— Ed io non so nulla dei miti dell’umanità. Nessuno può abbracciare tutto il sapere… Comunque, questi anelli planetari non sono qualcosa di insolito. Quasi tutti i giganti gassosi ne hanno, anche se magari si tratta solo di una sottile striscia di polvere. Ma il sole di Terminus non ha un gigante gassoso vero e proprio nella sua famiglia di pianeti, quindi a meno che non viaggi nello spazio o non abbia seguito un corso universitario di astronomia è difficile che un Terminiano sappia che esistano questi anelli planetari. In ogni modo è insolito trovare un anello sufficientemente ampio da risultare vivido e chiaramente visibile, come questo. È stupendo. Deve avere un’ampiezza di almeno un paio di centinaia di chilometri.
Al che Pelorat fece schioccare le dita. — Ecco qual era il significato!
— Che c’è, Pel? — chiese Bliss un po’ allarmata.
Pelorat rispose: — Una volta ho trovato un frammento poetico molto antico, scritto in una versione arcaica del Galattico di difficile decifrazione ma che costituiva un valido attestato della sua antichità… Certo che non dovrei lamentarmi delle forme arcaiche, vecchio mio… Grazie al mio lavoro sono diventato un esperto di diverse varietà di Galattico Antico, il che è senza dubbio gratificante anche se privo di qualsiasi utilità al di fuori del mio ambito lavorativo, e… Di cosa stavo parlando?
— Di un vecchio frammento poetico, caro — rispose Bliss.
— Grazie, Bliss — disse Pelorat. E rivolto a Trevize: — Segue sempre attentamente ciò che dico, per riportarmi in rotta ogni volta che divago… il che succede spessissimo.
— Fa parte del tuo fascino, Pel — sorrise Bliss.
Comunque, questo frammento poetico mirava a descrivere il sistema planetario della Terra. Lo scopo mi è ignoto, dato che l’opera completa non esiste più, o almeno, io non sono mai riuscito a rintracciarla. Solo quella parte era arrivata fino a noi, forse per il suo contenuto astronomico. In ogni caso, parlava del triplo anello brillante del sesto pianeta «et amplo et grande, sì che lo mondo dispare a paragone». Vedete, riesco ancora a citare il testo. Non capivo cosa potesse essere l’anello di un pianeta. Ricordo di aver pensato a tre cerchi su un lato del pianeta, tutti in fila. Mi sembrava un’assurdità tale che non l’ho inserita nella mia biblioteca. Mi pento di non avere indagato, adesso. — Pelorat scosse la testa. — Il lavoro del mitologo nella Galassia odierna è un lavoro così solitario… ci si dimentica dei vantaggi delle indagini esterne.
Trevize cercò di consolarlo dicendo: — Probabilmente hai fatto bene a ignorare la cosa, Janov: è un errore interpretare alla lettera le chiacchiere poetiche.
— Ma è questo che si voleva indicare — disse Pelorat accennando allo schermo. — Ecco di cosa parlava quella poesia… Tre grandi anelli, concentrici, più ampi del pianeta stesso.
Trevize disse: — Mai sentita una cosa simile. Non credo che degli anelli planetari possano essere così ampi. Rispetto al pianeta, sono sempre molto stretti.
— Del resto — osservò Pelorat — non abbiamo mai sentito parlare nemmeno di un pianeta abitabile con un satellite gigantesco, né di uno con la crosta radioattiva. Questa è la terza caratteristica unica: trovando un pianeta radioattivo, che sarebbe altrimenti abitabile, con un enorme satellite e con un altro pianeta del sistema circondato da un anello gigantesco, avremmo la certezza di avere trovato la Terra.
Trevize sorrise. — Sono d’accordo, Janov. Se troveremo queste tre particolarità, avremo certamente localizzato la Terra.
— Se! — sospirò Bliss.
Avevano oltrepassato i mondi principali del sistema planetario, e stavano lanciandosi nello spazio tra i due pianeti più esterni, di modo che ora non ci fosse più alcuna massa significativa nel raggio di un miliardo e mezzo di chilometri. Di fronte a loro c’era solo l’immensa nube cometaria che, gravitazionalmente, era irrilevante.
La “Far Star” aveva accelerato portandosi a una velocità di 0,1 c, un decimo della velocità della luce. Trevize sapeva benissimo che, in teoria, la nave non avrebbe potuto essere spinta quasi alla velocità della luce, ma sapeva anche che in pratica 0,1 c fosse il limite ragionevole.
A quella velocità, era possibile evitare qualsiasi oggetto di massa apprezzabile, ma non c’era modo di schivare le innumerevoli particelle di pulviscolo cosmico, né tanto meno gli atomi e le molecole. A velocità elevate, persino i corpi infinitesimali potevano causare dei danni intaccando e graffiando lo scafo. A velocità prossime a quella della luce, ogni atomo che urtasse contro lo scafo possedeva le proprietà di una particella di raggio cosmico. Sotto quella radiazione cosmica penetrante, gli occupanti della nave non sarebbero sopravvissuti a lungo.
Le stelle lontane non mostravano alcun moto percettibile sullo schermo, ed anche se la nave filava a trentamila chilometri al secondo si aveva una sensazione di immobilità.
Il computer esplorava lo spazio a grandi distanze per individuare qualsiasi corpo in arrivo, piccolo ma di dimensioni pericolose, che potesse trovarsi su una rotta di collisione, e la nave deviava leggermente per evitarlo, nel caso estremamente improbabile che tale operazione fosse necessaria. Date le dimensioni ridotte di un possibile oggetto in arrivo, la velocità con cui veniva superato, la mancanza di effetti inerziali conseguenti al cambiamento di rotta, era impossibile stabilire se fosse accaduto qualcosa di definibile con l’espressione «scamparla per un pelo».
Trevize dunque non si preoccupava di certe cose, non ci pensava neppure distrattamente. La sua attenzione era concentrata interamente sulle tre serie di coordinate che Deniador gli aveva fornito, e in particolar modo sulle coordinate che indicavano il punto più vicino a loro.
— Qualcosa che non va in quelle cifre? — chiese Pelorat ansioso.
— Non sono ancora in grado di dirlo — rispose Trevize. — Le coordinate, di per se stesse, non sono di alcuna utilità, a meno di non conoscere il punto zero ed i parametri usati per fissarle… la direzione in cui segnare la distanza, per così dire… l’equivalente di un meridiano fondamentale, eccetera eccetera.
— Come puoi ricavare questi dati? — domandò Pelorat interdetto.
— Ho ricavato le coordinate di Terminus e di alcuni altri punti noti rispetto a Comporellen. Inserendole nel computer, il computer calcolerà quali debbano essere i parametri di base che le correlano perché Terminus e gli altri punti si trovino in posizione corretta. Sto solo cercando di ordinare le idee per poter programmare adeguatamente il computer: una volta fissati i parametri, le cifre dei Mondi Proibiti potrebbero acquistare un significato.
— Potrebbero, e basta? — disse Bliss.
— Potrebbero, e basta, temo — disse Trevize. — Questi sono dati vecchi… comporelliani, probabilmente, ma non ne siamo certi. E se si basassero su parametri di misura diversi?
— Sì, allora?
— Allora, questi numeri non avrebbero alcun significato. Ma… non ci resta che scoprirlo.
Le mani di Trevize si mossero rapide sui tasti lievemente luminosi del computer, fornendogli le informazioni necessarie. Poi Trevize posò le mani sui contorni tracciati sul ripiano della scrivania, ed attese, mentre il computer calcolava i parametri delle coordinate note, si fermava un istante, interpretava le coordinate del Mondo Proibito più vicino tramite gli stessi parametri, e infine confrontava quelle coordinate con la mappa galattica racchiusa nella sua memoria.
Sullo schermo apparve un campo stellare, che si mosse rapidamente, focalizzandosi. Raggiunta la stasi, si espanse, e le stelle schizzarono lateralmente in ogni direzione, fino a rimanere in numero limitato. Era impossibile seguire con lo sguardo quel cambiamento velocissimo; tutto si riduceva ad un’esplosione di macchioline. Infine sullo schermo restò solo uno spazio di un decimo di parsec su ambedue i lati (stando all’indice graduato sotto lo schermo). Non si verificarono ulteriori cambiamenti, e l’oscurità dello schermo era interrotta soltanto da una mezza dozzina di scintille fioche.
— Qual è il Mondo Proibito? — chiese Pelorat sottovoce.
— Nessuno di quelli — rispose Trevize. — Quattro sono nane rosse, una è una nana quasi-rossa, e l’ultima stella è una nana bianca. Tutte stelle che non possono avere nel loro sistema un mondo abitabile.
— Come fai a capire che siano nane rosse con un semplice sguardo?
Trevize disse: — Non stiamo guardando delle stelle vere; stiamo guardando un settore della mappa galattica memorizzata nel computer. Ognuna è classificata. Non si vede, e normalmente nemmeno io potrei vedere, ma quando sono in contatto manuale come in questo istante, qualsiasi stella osservi, percepisco una quantità considerevole di dati.
Il tono desolato, Pelorat disse: — Allora le coordinate sono inutili.
Trevize lo fissò. — No, Janov. Non ho ancora finito. C’è ancora la questione temporale. Le coordinate del Mondo Proibito risalgono a ventimila anni fa. In questi ventimila anni, sia il Mondo Proibito che Comporellen hanno ruotato attorno al centro della Galassia, e può darsi che ruotino a velocità diverse, e lungo orbite con inclinazioni ed eccentricità differenti. Col trascorrere del tempo, dunque, i due mondi possono essersi avvicinati o allontanati… e in ventimila anni il Mondo Proibito può essersi spostato da mezzo parsec a cinque parsec rispetto alla vecchia posizione. In tal caso non comparirebbe certamente in questo quadrato di un decimo di parsec.
— Cosa facciamo, allora?
— Diciamo al computer di spostare la Galassia indietro nel tempo di ventimila anni, in relazione a Comporellen.
— Può farlo? — chiese Bliss impressionata.
— Be’, non sposta temporalmente la Galassia vera e propria, però può spostare temporalmente la mappa contenuta nella sua memoria.
Bliss disse: — E noi vedremo succedere qualcosa?
— Osserva — rispose Trevize.
Molto lentamente, le sei stelle scivolarono sullo schermo. Una nuova stella, fino a quel momento invisibile, si insinuò nel campo visivo dal margine sinistro dello schermo, e Pelorat la indicò eccitato. — Ecco! Ecco!
Trevize intervenne: — Spiacente: un’altra nana rossa. Sono comunissime: almeno tre quarti delle stelle della Galassia sono nane rosse.
L’immagine sullo schermo si stabilizzò.
— Be’? — fece Bliss.
Trevize disse: — Fatto. Questo angolo della Galassia si presentava così ventimila anni fa. Al centro dello schermo c’è il punto dove il Mondo Proibito dovrebbe trovarsi, se si fosse mosso ad una velocità media.
— Dovrebbe, ma non c’è — sbottò brusca Bliss.
— Non c’è — convenne Trevize, sorprendentemente tranquillo.
Pelorat emise un lungo sospiro. — Ah, peccato, Golan.
— Un attimo, non disperate. Non prevedevo di trovare la stella in quel punto.
— No? — fece Pelorat sbalordito.
— No. Vi ho spiegato che questa non sia la Galassia vera e propria, ma la mappa galattica del computer. Se una stella non figura sulla mappa, logicamente non la vediamo. Se quel pianeta viene chiamato “Proibito”, ed è definito così da ventimila anni, era prevedibile che non comparisse nella mappa: infatti, manca, e noi non lo vediamo.
Bliss commentò: — Forse non lo vediamo perché non esiste. Può darsi che le leggende comporelliane siano false, o che le coordinate siano sbagliate.
— Verissimo. Comunque, il computer adesso può calcolare quali dovrebbero essere le coordinate attuali, dopo avere individuato il punto dove dovesse trovarsi il Mondo Proibito ventimila anni fa. Usando le coordinate modificate in base al tempo, una correzione possibile solo attraverso l’uso della mappa stellare, ora noi siamo in grado di passare al campo stellare reale della Galassia reale.
Bliss disse: — Ma tu hai ipotizzato uno spostamento a velocità media per il Mondo Proibito. E se la sua velocità non fosse stata media? Adesso le coordinate non sarebbero esatte, vero?
— Vero. Ma una correzione basata su una velocità media, quasi certamente, si avvicinerà di più alla posizione effettiva del mondo che non un calcolo privo di correzione temporale.
— Tu speri! — fece Bliss dubbiosa.
— Esatto — disse Trevize. — Spero… E adesso diamo un’occhiata alla Galassia reale.
Pelorat e Bliss osservarono tesi, mentre Trevize (forse per alleviare la sua stessa tensione e rimandare l’attimo cruciale) parlava sottovoce, come se stesse tenendo una lezione.
— È più difficile osservare la Galassia reale. La mappa del computer è una costruzione artificiale, ed è possibile eliminare i particolari che non interessano. Se c’è una nebulosa che ostruisce la visuale, io posso toglierla; se la prospettiva d’osservazione è inadeguata per i miei scopi, posso cambiare l’angolazione, e via dicendo. Ma la Galassia reale va presa così com’è, e se voglio cambiare qualcosa devo muovermi fisicamente nello spazio, il che richiederà molto più tempo rispetto ad una semplice regolazione della mappa.
Mentre parlava, lo schermo mostrò un ammasso stellare così ricco di singole stelle da sembrare un mucchio irregolare di polvere.
— Questa è un’immagine grandangolare di un settore della Galassia, ed io naturalmente voglio un primo piano. Ampliando il primo piano, lo sfondo tenderà a svanire. Il punto indicato dalle coordinate è abbastanza vicino a Comporellen, così dovrei riuscire a evidenziarlo fino ad ottenere con buona approssimazione lo stesso campo visivo che mi dava prima la mappa. Devo solo inserire le istruzioni necessarie… sempre che riesca a mantenere abbastanza a lungo il mio equilibrio mentale. Fatto.
Il campo stellare si dilatò di colpo, mentre migliaia di stelle sparivano oltre bordi dello schermo, dando agli osservatori una sensazione di movimento talmente reale che tutti e tre si piegarono automaticamente all’indietro, quasi reagendo a un’accelerazione improvvisa.
Il vecchio campo visivo tornò, non più buio come sulla mappa, ma con le sei stelle nella medesima posizione di prima. E verso il centro c’era adesso un’altra stella, molto più brillante delle altre.
— Eccolo — mormorò Pelorat intimorito.
— Può darsi… Il computer registrerà il suo spettro e l’analizzerà. — Una pausa non molto breve, poi Trevize annunciò: — Classe spettrale, G-4, il che lo rende un po’ più debole e piccolo del sole di Terminus, ma molto più vivido del sole di Comporellen. E nessuna stella di classe G dovrebbe mancare dalla mappa galattica del computer. Dal momento che questa manca, mi pare un indizio significativo… forse è proprio il sole attorno al quale ruota il Mondo Proibito.
Bliss disse: — E se scoprissimo che non ci sia alcun pianeta abitabile che ruoti attorno a questa stella?
— È possibile. In tal caso, cercheremo di individuare gli altri due Mondi Proibiti.
Bliss insisté: — E se anche gli altri due saranno falsi allarmi?
— Allora tenteremo qualcos’altro.
— Cioè?
— Mi piacerebbe saperlo — rispose cupo Trevize.