— Siamo a’’ena usciti dalla Fessura, ca’itano. Voi due siete già sbronzi?
La voce di Rydra: — No.
— Come volete. Comunque state bene, vero?
La voce di Rydra: — Il cervello bene. Il corpo bene.
— Uh? Ehi, Macellaio, ha avuto un altro di quei suoi malori?
La voce del Macellaio: — No.
— Non mi sembrate molto allegri. Devo mandare giù Lumaca a darvi un’occhiata?
La voce del Macellaio: — No.
— Va bene. Ora la navigazione è ’iù facile, e ’osso abbreviare il viaggio di un ’aio d’ore. Cosa ne dite?
La voce del Macellaio: — Cosa c’è da dire?
— ’rovate con “grazie”. Non fa mai male.
La voce di Rydra: — Grazie.
— Meglio di niente, immagino. Vi lascerò in ’ace.
Ehi, scusate se ho interrotto qualcosa.
“Macellaio, non lo sapevo! Non potevo saperlo”
E nell’eco le loro menti si fusero in un solo grido: Non potevo saperlo… non potevo. Questa luce…
“L’ho detto a Ottone, gli ho detto che tu parlavi una lingua priva della parola io e che io non ne conoscevo nessuna. Ma ne esisteva una, la più ovvia, Babel-17…!”
Sinapsi concordanti vibrarono leggere finché le immagini non si incastrarono, e creando da se stessa quelle immagini Rydra lo vide…
… nel minuscolo cubicolo di isolamento su Titin, lui stava tracciando con lo sperone una mappa sulla vernice verde della parete, ingombra delle oscenità graffite da sue secoli di prigionieri; era una mappa che le guardie avrebbero seguito dopo la sua fuga, e che le avrebbe portate nella direzione sbagliata. Lei lo vide misurare per tre mesi quella gabbia di un metro e venti di lato, finché il suo corpo robusto non fu ridotto a pesare una cinquantina di chili e crollò sotto i morsi del digiuno.
Su una tripla fune di parole lei risalì dal pozzo: digiuno, fuga, puntata; crollare, correre, incassare; morsi, mutamento, azzardo.
Lui incassò le sue vincite alla cassa e si avviò sopra la folta moquette rossastra verso l’uscita della casa da gioco, quando il croupier negro gli si parò davanti, sorridendo con gli occhi puntati sulla valigetta piena di banconote. — Non vorreste sfidare ancora la sorte, signore? Con qualcosa di più adatto a un giocatore della vostra abilità? — Fu accompagnato dinanzi a una splendida scacchiera tridimensionale con le pedine in ceramica smaltata. — Giocherete contro il computer della casa. Ogni pezzo perduto vi costerà mille crediti. Ogni pezzo vinto vi farà guadagnare la stessa cifra. Per ogni scacco inferto o subito, la vincita o la perdita sarà di cinquecento crediti. Lo scacco matto porterà al vincitore cento volte la posta ancora in gioco sulla scacchiera. — Era una partita preparata apposta per ingoiare le sue vincite esorbitanti, perché lui aveva appunto vinto cifre esorbitanti. Ora vado a portare a casa questi soldi — lui disse al croupier. Il croupier sorrise e disse: — La casa insiste perché voi giochiate. — Rydra osservò, affascinata, mentre il Macellaio scrollava le spalle, si voltava verso la scacchiera… e dava scacco matto al computer con sette mosse. Gli pagarono il suo milione di crediti… e tentarono di assassinarlo tre volte ancora prima che lasciasse la casa da gioco. Non ebbero successo, ma quello sport lo divertì più del gioco.
Guardandolo muoversi e reagire in quelle situazioni, la mente di Rydra sussultò dentro la sua, piegandosi al suo piacere e al suo dolore, emozioni bizzarre in quanto prive di ego e inarticolate, magiche, seducenti, mitiche. “Macellaio…”
Riuscì a interrompere quel frenetico girare.
“…se allora tu comprendevi già Babel-17, perché te ne sei sempre servito in modo così gratuito, per una serata di gioco o una rapina in banca, quando il giorno dopo avresti perso tutto senza fare il minimo sforzo per tenere qualcosa per te?”
“Per me? allora non esisteva nessun io.”
Lei era entrata in lui con una strabiliante sessualità rovesciata, e accogliendola dentro di sé, ora lui agonizzava. “La tua luce… Tu crei quella luce!” era il suo grido di terrore.
“Macellaio” chiese lei, più abituata a plasmare parole intorno a turbolenze emotive “com’è la mia mente agli occhi della tua?”
“Lucente, si muove luminosa” ululò lui, con la precisione analitica di Babel-17, dura come roccia, che articolava la loro fusione mentale e creava di continuo nuovi schemi.
“Essere poeta significa questo” spiegò lei, e l’obliqua connessione spezzò momentaneamente il diluvio di immagini. “In greco, poeta significa ’costruttore’ o ’artefice’.”
“Eccone uno! C’è uno schema, ora. Ahhhhl… cosi luminoso, troppa luce!”
“Solo per quel semplice collegamento semantico!” si stupì lei.
“Ma i greci erano poeti tremila anni fa e tu sei poeta ora. Tu unisci fra loro parole così distanti, e le loro scie mi accecano. I tuoi pensieri sono di fuoco, sopra forme che non posso afferrare. Suonano come musica troppo profonda, che mi scuote.”
“Questo perché non sei mai stato scosso prima. Ma mi sento lusingata.”
“Sei cosi grande dentro di me, e ho paura di spezzarmi. Vedo lo schema chiamato ’il criminale e la coscienza artistica si incontrano nella stessa testa con un lingua quale intermediaria…’”
“Sì, avevo iniziato a pensare qualcosa di…”
“E ai suoi fianchi, forme chiamate ’Baudelaire’…ahhh!…e ’Villon’.”
“Erano antichi poeti fran…”
“Troppo luminose! Troppa luce! L’io che è in me non è abbastanza forte per trattenerle. Rydxa, quando guardo la notte e le stelle, è solo un atto passivo, ma tu sei attiva anche quando guardi, e rendi l’aureola delle stelle ancora più luminosa.”
“Ognuno cambia ciò che percepisce, Macellaio. Ma prima si deve percepirlo.”
“Io devo… la luce; al tuo centro io vedo specchio e movimento fusi, e le immagini sono mescolate, ruotano, e ogni cosa è scelta con cura.”
“Le mie poesie!” L’imbarazzo del sentirsi messa a nudo.
“…tu incendi le mie parole di significati che posso solo intravedere. Che cosa sto avviluppando? Che cosa sono io, avviluppando te?”
Sempre osservando, lei lo vide compiere rapine, omicidi, mutilazioni, perché la validità semantica di mio e tuo era ormai crollata in un ringhio di sinapsi corrose. “Macellaio, l’ho sentita echeggiare nei tuoi muscoli… era la solitudine che ti ha spinto a chiedere a Jebel di agganciare la Rimbaud, solo per poter avere accanto qualcuno che potesse parlare con te questa lingua analitica. La stessa ragione per la quale hai cercato di salvare il feto” sussurrò.
Immagini estranee si chiusero sul suo cervello.
Lunghi steli d’erba sussurravano accanto alla chiusa. Le lune di Aleppo rendevano nebbiosa la sera. La terramobile ronzava, e con misurata impazienza lui batteva sull’emblema color rubino al centro del volante con la punta del suo sperone sinistro. Lill si voltò verso di lui, ridendo. — Sai, Macellaio, se Mister Big sapesse che mi hai portato fin qui in uria notte così romantica, credo che diventerebbe furioso. Mi porterai davvero a Parigi quando avrai finito qui? — In lui, un calore senza nome si unì a un’impazienza senza nome. La spalla di Lill era umida sotto la sua mano, le sue labbra scarlatte. Aveva raccolto i capelli color champagne sopra un orecchio. — Se mi stai prendendo in giro a proposito di Parigi, lo dirò a Mister Big. Se fossi una ragazza furba, aspetterei di essere a Parigi con te prima di… darti quello che vuoi. — Il suo respiro era profumato nella notte umida. Lui alzò l’altra mano a stringerle il braccio. — Macellaio, portami via da questo mondo morto e rovente. Paludi, caverne, pioggia! Mister Big mi fa paura, Macellaio. Portami lontano da lui, a Parigi. Non prendermi in giro. Io ti desidero tanto… — Rise di nuovo, ma stavolta solo con le labbra. — Temo proprio… di non essere una ragazza molto furba, in fondo. — Lui posò le labbra sulla bocca di Lill… e le spezzò il collo con una sola stretta di mani. Con gli occhi ancora aperti, lei scivolò all’indietro. L’ampolla ipodermica che era stata sul punto di infilare nella spalla del Macellaio le cadde di mano, rotolò sul cruscotto e finì sotto la pedaliera. Lui trasportò il corpo fino alla chiusa, e fece ritorno infangato fino a mezza coscia. Una volta dietro il volante, accese la radio. — È finita, Mister Big.
— Molto bene. Stavo ascoltando. Puoi passare a prendere i tuoi soldi in mattinata. Lill è stata molto stupida a credere di poterla fare franca dopo avermi fregato quei cinquantamila.
La terramobile cominciò a muoversi, fra la brezza tiepida che gli asciugava il fango sulle braccia e il fruscio dell’erba contro le portiere.
“Macellaio…!”
“Quello sono io, Rydra.”
“Lo so. Ma non…”
“Ho dovuto fare la stessa cosa a Mister Big solo due settimane più tardi.”
“Dove avevi promesso di portarlo?”
“Alle caverne da gioco di Minosse. E una volta ho dovuto starmene accucciato….”
…Benché fosse il suo corpo a starsene rannicchiato sotto la luce verde di Kreto, respirando con la bocca spalancata per evitare ogni minimo suono, erano l’attesa e la paura di Rydra a mantenerlo calmo. Lo scaricatore nell’uniforme rossa si ferma e si asciuga la fronte con un fazzoletto a colori vivaci. Balzare allo scoperto, battergli su una spalla. Lo scaricatore si volta, sorpreso, ed entrambi i polsi del Macellaio guizzano verso l’alto, squarciandogli il ventre con gli speroni affilati. Mentre le budella si rovesciano sulla piattaforma, lui comincia a correre scavalcando sacchi di sabbia, l’allarme si mette a suonare, lui afferra la catena del verricello e l’abbatte roteante sul viso meravigliato della guardia che sul lato opposto si è voltata con le braccia spalancate…
“…raggiunsi il terreno aperto e fuggii” le disse lui. “Il sistema per mascherare le mie tracce funzionò e i Rintraccianti non riuscirono a seguirmi oltre i pozzi di lava.”
“Ti stai aprendo, Macellaio. E intanto apri anche me.”
“Ti fa male, ti aiuta? Io non lo so.”
“Comunque, non c’erano parole nella tua mente. Anche Babel-17 era come il ronzio cerebrale di un computer impegnato in un’analisi puramente connettiva.”
“Sì. Ora incominci a capire…”
…in piedi, scosso da brividi nelle rombanti caverne di Dite dove era rimasto rinchiuso come in un utero per nove mesi, divorando tutte le provviste, il cagnolino di Lonny, poi lo stesso Lonny che era rimasto assiderato tentando di scalare il terrapieno di ghiaccio… finché all’improvviso il planetoide non uscì dall’ombra di Ciclope e Cerere sfolgorò fiammeggiante nel cielo, e così nel giro di quaranta minuti lui si ritrovò in una caverna allagata con l’acqua gelida fino al petto. Quando finalmente riuscì a liberare la sua slitta, l’acqua era tiepida e lui era madido di sudore. Corse a tutta velocità verso la fascia crepuscolare larga soltanto tre chilometri, innestando il pilota automatico un istante prima di crollare sfibrato dal calore. Perse i sensi dieci minuti prima di raggiungere il Gotterdammerung.
“Ti sei smarrito nel buio della tua memoria perduta, Macellaio, e io devo trovarti. Chi eri, prima di Nueva-Nueva York?”
E lui si rivolse a lei con dolcezza. “Hai paura, Rydra? Come prima…”
“No, non come prima. Tu mi stai insegnando qualcosa, e questo qualcosa sta scuotendo la mia intera visione del mondo e di me stessa. Prima pensavo di avere paura perché non sapevo fare quello che facevi tu, Macellaio.” La fiamma bianca divenne azzurra, protettrice, e tremolò. “E invece avevo paura perché potevo fare tutte quelle cose, e per motivi miei, non per la tua mancanza di motivi, perché io sono, e tu sei. Sono molto più grande di quello che pensavo di essere, Macellaio, e non so se ringraziarti o maledirti per avermelo fatto capire.” E qualcosa dentro di lei piangeva, balbettava, finché non si zittì, Lei si voltò nei silenzi che aveva preso da lui, timorosa, e in quei silenzi qualcosa aspettava che lei parlasse, da sola, per la prima volta.
“Guardati, Rydra.”
Specchiandosi in lui, vide crescere nella luce bianca del proprio corpo un’oscurità priva di parole, solo rumore… e cresceva! Gridò il suo nome e la sua forma. Le piastre dei circuiti che erano state spezzate! “Macellaio, quel nastro che poteva essere stato registrato solo sul mio apparecchio e solo mentre io ero nella cabina! Ma certo…!”
“Rydra, possiamo controllare queste cose se diamo loro un nome.”
“Ma come possiamo, ora? Prima dobbiamo dare un nome a noi stessi. E tu non sai chi sei.”
“Le tue parole, Rydra… possiamo usare in qualche modo le tue parole per scoprire chi sono?”
“Non le mie parole, Macellaio. Ma forse le tue, forse Babel-17.”
“No…”
“Io sono” sussurrò lei “credimi, Macellaio, e tu sei.”
— Siamo al Quartier Generale, capitano. Date un’occhiata attraverso l’elmetto sensorio. Quelle antenne radio a rete sembrano fuochi artificiali, e le anime corporate mi dicono che profumano di pasticcio di manzo e uova fritte. Oh, grazie per averci liberati dalla polvere. Quando ero vivo, avevo una tendenza a soffrire di febbre da fieno che non mi sono mai scrollato di dosso.
La voce di Rydra: — L’equipaggio sbarcherà con il capitano e con il Macellaio. L’equipaggio li porterà insieme dal generale Forester, e non permetterà che vengano separati.
La voce del Macellaio: — Sul tavolo della cabina comando c’è un nastro registrato contenente una grammatica di Babel-17. La Lumaca spedirà immediatamente questo nastro al dottor Markus T’mwarba sulla Terra, con corriere speciale. Poi informerà per videofono stellare il dottor T’mwarba che il nastro è stato spedito, specificando il contenuto e l’ora della spedizione.
— Ottone, Lumaca! C’è qualcosa che non va lassù! — La voce di Ron superò il segnale del capitano. — Li avete mai sentiti parlare in questo modo? Ehi, capitano Wong, cosa diavolo…?