La Monorotaia Uno di Marte correva da est a ovest, abbracciando, come una cintura di cemento, l’emisfero occidentale del pianeta. A nord c’era il Lago District, circondato da campi fertili; verso sud, vicino all’equatore sorgeva la grande catena delle stazioni di compressori, responsabili in larga misura, di quello straordinario miracolo. L’occhio esperto era ancora in grado di individuare i vecchi crateri e le coppe dell’antico suolo di Marte, nascosti ora da una spolverata di erba e da qualche foresta di conifere.
I piloni di cemento grigio della monorotaia marciavano come soldati verso l’orizzonte. Svariati raccordi collegavano la linea principale con gli insediamenti delle regioni più remote e, a mano a mano che aumentavano gli insediamenti, venivano costruiti nuovi raccordi. Da un punto di vista logistico sarebbe stato di gran lunga più semplice se tutti i marziani fossero stati concentrati in Una Sola Grande Città, ma a loro non si confaceva quel genere di vita.
In quel periodo stavano realizzando il raccordo 7Y, che avanzava a grandi balzi, di sgradevolissimo effetto estetico, verso il recente avamposto dei Laghi Beltran. Avevano già scavato le fondamenta dei piloni, che avrebbero sorretto tre-quarti della gittata che avrebbe collegato la Mono Uno al nuovo centro abitato; un enorme erigi-piloni avanzava nell’ampia vallata, divorando sabbia che poi sputava fuori sotto forma di lastre di cemento, che accatastava sul terreno. Divorava, sputava, accatastava e avanzava, divorava, sputava, accatastava e avanzava. La macchina si muoveva rapidamente, guidata da un cervello omeostatico che la manteneva sulla giusta traiettoria. La seguivano altre macchine, che gettavano l’asfalto fra i piloni e stendevano le linee elettriche, telefoniche, e così via, che avrebbero seguito quello stesso percorso. I coloni disponevano di svariate tecnologie d’avanguardia, ma fra queste non figurava, ancora, la trasmissione a microonde dell’energia elettrica, cosicché le linee dovevano essere tirate da un posto all’altro, come nel Medio Evo.
Il sistema di monorotaia era stato concepito per il trasporto pesante. Per spostarsi da un luogo all’altro anche i marziani, come tutti, utilizzavano le barcheceleri; ma quei veicoli, agili e di piccole dimensioni, non si prestavano al trasporto di grandi quantità di materiale da costruzione e Marte era un pianeta in fase di costruzione. Adesso che la fase di ricostruzione era terminata e i terrestrizzatori se ne erano andati. Nell’anno di grazia 2152, il territorio di Marte era coperto da valli boscóse, nelle quali, grazie a condizioni di vita finalmente ospitali, poteva ora fiorire una civiltà. I marziani erano milioni, ormai. Dopo decenni di vita di frontiera, adesso potevano insediarsi nelle varie regioni e godere dei benefici di un promettente boom economico. Contemporaneamente, chilometro dopo chilometro, avanzava la monorotaia, che costeggiava i mari, i laghi e i fiumi.
Il lavoro pesante veniva svolto da macchine intelligenti, ma controllate dagli uomini, il cui compito era quello di evitare ogni minimo scarto nell’omeostasi del cervello che le guidava. Alcuni anni prima, infatti, era accaduto che, a causa di un guasto dei relè d’arresto, prima che chiunque potesse accorgersene, una macchina avesse gettato piloni per un tratto di venticinque chilometri attraverso il Lago Holliman… ma a ventiquattro metri di profondità! I marziani detestavano gli sprechi. Quell’esperienza aveva insegnato loro che le macchine non erano affidabili al cento per cento e, da allora, avevano deciso di tenerle sotto controllo, così come i cani da pastore governano i greggi.
Incaricati di seguire i lavori di quel particolare raccordo della Monorotaia Uno erano due uomini: il primo, un sessantenne asciutto, abbronzato, di nome Paul Weiner, godeva di buoni agganci politici; non così il secondo, un tipo grassottello, di pelo rosso, di nome Hadley Donovan. Le persone con la pelle chiara e i capelli rossi erano rare su Marte, per le solite ragioni statistiche; anche gli uomini grassottelli erano rari, me meno di un tempo. In quegli anni, le condizioni di vita erano meno dure sul pianeta, e i giovani marziani avevano abitudini meno spartane. Hadley Donovan trovava ridicoli gli usi dei più anziani, che portavano le armi, rispettavano rigorosi cerimoniali, si sottoponevano a una severa disciplina e si ritenevano tanto importanti. Forse, all’epoca dei pionieri, quegli atteggiamenti avevano un significato, pensava Donovan, ma ormai erano trascorsi trent’anni da allora. E così, lui si era concesso il lusso di un po’ di pancetta. Sapeva che Paul Weiner lo disprezzava per questo.
E lui lo ricambiava cordialmente.
I due uomini sedevano l’uno accanto all’altro a bordo di un cingolo, che avanzava sul terreno accidentato, precedendo di una ventina di metri la macchina erigi-piloni. A intervalli regolari, i trasponditori emettevano segnali sonori; sul pannello di controllo, i colori andavano e venivano in ondate evanescenti. In teoria, il compito di Weiner era quello di monitorare la gittata dei piloni, mentre Donovan doveva controllare il percorso che avrebbe dovuto seguire la ferrovia, alla ricerca di eventuali sacche di terreno soffice immediatamente sopra il sottosuolo, che la erigi-piloni non sarebbe stata in grado di valutare. Invece, Hadley Donovan cercava di occuparsi di entrambe le cose contemporaneamente. Preferiva non lasciare responsabilità operative a un tipo come Weiner, che aveva ottenuto quel posto soltanto grazie a una raccomandazione politica. Weiner era nipote di Nat Weiner, uno dei membri più influenti dei consigli governativi, il quale, raggiunta la veneranda età di cento e rotti anni, ogni tanto andava sulla Terra per farsi sostituire il pancreas, i reni o qualche arteria con organi artificiali. Probabilmente, sarebbe vissuto per sempre, ma, nel dubbio, stava provvedendo a sistemare nell’ambito dell’impiego pubblico, tutti i membri della sua famiglia. Impegnato a svolgere un lavoro che avrebbe richiesto l’attenzione costante di due persone, Donovan provava un vago senso di disperazione. Ogni trenta secondi, i suoi occhi, sgranati sul suo pannello di controllo, correvano a controllare furtivamente quello del suo vicino.
Una luce rossa, accesasi improvvisamente sullo Schermo delle Anomalie di Weiner, attrasse la sua attenzione, ma in quel momento era troppo preso dalla sua parte di lavoro per occuparsene. Weiner, però, non gli diede tregua e, con la sua parlata lenta e strascicata, disse: — Ho qualcosa di strano, qui, Donovan. Che cosa ne pensa libero cittadino?
Donovan fermò il cingolo con un calcio e studiò il pannello. — Sembrerebbe una specie di caverna sotterranea. A cinque o sei chilometri dal percorso della monorotaia.
— Pensa che dovremmo andare a darle un’occhiata?
— E perché? — domandò Donovan. — La monorotaia non ci passa nemmeno vicino.
— Non è curioso? Magari, è una delle caverne in cui gli Antichi Marziani hanno nascosto i loro tesori.
Donovan non lo degnò neanche di una risposta.
— Che cosa pensa che sia, allora? — insistette Weiner. — Forse è una grotta scavata da un fiume sotterraneo. Credeva che sia possibile? Uno dei fiumi che scorrevano sotto il sottosuolo di Marte prima che terrestrizzassero il pianeta? I fiumi che scorrevano sotto il deserto?
Celando l’irritazione che gli faceva prudere le dita, Donovan rispose: — Forse è soltanto uno degli spazi sotterranei lasciati dagli ingegneri della terrestrizzazione. Non vedo perché… Oh, al diavolo! Okay, andiamo a dare un’occhiata. Sospendiamo i lavori per una mezz’oretta. Tanto, chi se ne importa?
Spense gli interruttori.
Era un’interruzione stupida e inutile, ma la curiosità del vecchio Weiner andava soddisfatta. La grotta del tesoro! Un fiume sotterraneo! Del resto, Donovan riconosceva di non sapersi spiegare la presenza di quella sacca ,di vuoto lì sotto. Dal punto di vista geologico i conti non tornavano.
In breve raggiunsero l’innocuo prato erboso sotto il quale si apriva la camera. Attraverso alcuni rilevamenti, appurarono che la caverna si trovava a circa sei metri sotto il livello del terreno, che era lunga circa tre metri, larga quattro e profonda fra i due e due metri e mezzo. Donovan continuava a sostenere che fosse una nicchia sotterranea, lasciata dagli ingegneri della terrestrizzazione; tuttavia, non figurava, in quanto tale, sulle carte topografiche del pianeta e questo era inspiegabile. Chiamò uno scava-robot e lo mise al lavoro.
Nell’arco di dieci minuti, la macchina portò alla luce il tetto della grotta: una lastra di vetro di fusione verde. Donovan ebbe un brivido. — Sai, penso che abbiamo scoperto una tomba — osservò Weiner.
— Lasciamo perdere. Non è cosa che ci riguardi. Segnaliamo la nostra scoperta a chi di dovere e…
— E qui che c’è? — domandò Weiner infilando la mano in un’apertura. Sembrava che stesse accarezzando qualcosa all’interno. All’improvviso, sulla volta della cripta si diffuse un bagliore giallo e Weiner ritrasse la mano.
Una voce disse: — La benedizione dell’eterna armonia scenda su di voi. Siete giunti alla temporanea dimora del beato Lazzaro. Per poter ritornare in vita ho bisogno dell’intervento di medici specializzati. Vi prego, aiutatemi. Ma, per favore, non cercate di aprire questa cripta senza l’assistenza di medici specializzati.
Silenzio.
Poi la voce riprese: — La benedizione dell’eterna armonia scenda su di voi. Siete giunti alla temporanea dimora…
— Una voce-cubo — mormorò Donovan.
— Guarda! — esclamò Weiner con voce strozzata, indicando il tetto della volta che si stava rischiarando. A poco a poco, il vetro, illuminato dal basso, diventò trasparente. Donovan aguzzò gli occhi e scrutò l’interno della cripta. Era una stanza rettangolare. Al centro, immerso in una soluzione nutritiva, con fili e cateteri collegati alle varie parti del corpo, giaceva un uomo magro, con il profilo da sparviero. Sembrava una Camera del Nulla, ma molto più sofisticata. L’uomo sorrideva. Sulle pareti della stanza erano incisi tratti misteriosi, in cui il marziano riconobbe i simboli della religione armonista. Il culto che si praticava su Venere. Un profondo senso di incertezza lo assalì al petto, come una pugnalata. Che cos’era quella cripta che avevano riportato alla luce? "La temporanea dimora di Lazzaro" aveva detto la voce-cubo. Lazzaro era il profeta degli armonisti. Donovan giudicava tutte le religioni, compresa quella armonista, un cumulo di stupidaggini. Adesso avrebbe dovuto segnalare quella scoperta alle autorità, con il risultato che i lavori di costruzione della monorotaia si sarebbero fermati, e lui avrebbe goduto, improvvisamente, di una notorietà di cui avrebbe volentieri fatto a meno. Accidenti a Weiner! Non sarebbe successo niente se lui avesse dormito come al solito! Perché aveva notato quella spia sul pannello? Perché?
— Faremmo meglio a informare chi di dovere — disse Weiner. — Penso che abbiamo scoperto qualcosa di importante.
Sul pianeta Venere, in un piccolo edificio circondato dalla giungla, otto uomini, che non erano uomini, ne stavano fissando un nono. Avevano tutti la pelle azzurra degli abitanti di Venere, ma solo tre di loro erano nati con quella caratteristica. Gli altri l’avevano acquisita in seguito a un intervento chirurgico: erano terrestri convertiti in venusiani. Ma la loro conversione non era stata soltanto di tipo fisico. Un tempo, infatti, tutti e sei erano stati seguaci di Vorst.
I vorsteriani erano le persone più potenti della Terra. Ma quella non era la Terra, bensì Venere, e Venere era nelle mani degli armonisti, detti anche lazzariti, dal nome del loro fondatore e martire, Davide Lazzaro. Lazzaro, il profeta dell’Armonia Trascendente, era stato messo a morte più sessant’anni prima da alcuni monaci vorsteriani. E adesso, con grande sgomento dei suoi seguaci…
— Fratello Nicholas, possiamo sentire il tuo rapporto? — domandò Christopher Mondschein, capo degli armonisti su Venere.
Nicholas Martell, un uomo di mezza età, magro e caparbio, fissò i suoi otto confratelli con aria stanca. Negli ultimi giorni aveva dormito molto poco e il suo equilibrio aveva subito notevoli scossoni. Martell era andato su Marte per controllare la notizia flash che era giunta poco prima sui tre pianeti.
— È proprio come hanno annunciato — disse. — Due marziani, addetti al controllo dei lavori di un nuovo raccordo della monorotaia, hanno scoperto una cripta.
— Tu l’hai vista? — domandò Mondschein.
— Sì, l’ho vista, anche se l’hanno già tutta isolata.
— E di Lazzaro che cosa sei in grado di dirci?
— C’è un uomo all’interno della cripta. Ha il viso identico all’immagine di Lazzaro conservata a Roma. Assomiglia a tutti i ritratti che ho visto di lui. La cripta è una specie di Camera del Nulla, e Lazzaro vi giace in posizione supina, collegato a vari fili. Le autorità marziane hanno controllato i collegamenti elettrici della cripta e ritengono che se qualcuno cerca di forzarla, potrebbe esplodere.
— E quell’uomo — insistette un confratello con il volto scavato, di nome Emory. — Quell’uomo è Lazzaro?
— Gli assomiglia — rispose Martell. — Non devi dimenticare che io non l’ho mai visto di persona. Non ero ancora nato quando lui morì. Ammesso che sia morto.
— Ma che cosa dici? — lo rimproverò Emory. — Questa è tutta una montatura e basta. Lazzaro fu assassinato e il suo corpo gettato in un convertitore. Di lui non rimase che un flusso di protoni, elettroni e neutroni.
— Così dicono le nostre Scritture — osservò Mondschein cautamente. Poi chiuse gli occhi per un istante. Era il più vecchio dei presenti; era giunto su Venere sessant’anni prima ed era stato lui a istituire quella branca del movimento e a farle conquistare l’attuale predominio. — Sussiste sempre la possibilità che il testo in nostro possesso sia impuro — disse alla fine.
— No! — L’urlo di protesta era di Emory, giovane e di spirito conservatore. — Come può dire una cosa simile?
Mondschein scrollò le spalle. — I primi anni della storia del nostro movimento sono avvolti nel mistero. Sappiamo che un certo Lazzaro lavorava con Vorst a Santa Fe, che litigò con lui e che in seguito fu assassinato o, comunque, tolto di mezzo. Ma questa vicenda risale a moltissimo tempo fa e nel nostro ordine non è rimasto più nessuno che abbia avuto rapporti diretti con lui. Come sapete, noi non siamo longevi come i vorsteriani. Quindi, nell’ipotesi che Lazzaro non sia stato soppresso e il suo corpo gettato in un convertitore, ma semplicemente trasportato su Marte in stato di sospesa animazione e conservato in una Camera del Nulla per sessanta o settant’anni…
Nessuno fiatò nella stanza. Martell lanciò a Mondschein uno sguardo angosciato. Fu Emory, alla fine, a rompere il silenzio: — E se quel tizio resuscitasse e sostenesse di essere Lazzaro? Che ne sarebbe del movimento?
— Affronteremo il problema quando si presenterà — rispose Mondschein. — Stando a quanto ci ha riferito fratello Nicholas ci sono dubbi anche sulla possibilità di aprire la camera.
— Esatto — confermò Martell. — Se è stata realizzata in modo da esplodere se qualcuno cerca di penetrarvi…
— Speriamo propri che sia così — interloquì fratello Ward, che fino ad allora non aveva parlato. — A noi fa molto più comodo un Lazzaro martire che un Lazzaro redivivo. Potremmo trasformare la sua tomba in un santuario e organizzare dei pellegrinaggi. Chissà, potremmo anche riuscire a suscitare l’interesse dei marziani. Se invece resuscita e si mette a ribaltare le cose…
— E se l’uomo chiuso in quella cripta non fosse Lazzaro… — azzardò Emory.
Mondschein lo fissò stupito. Emory sembrava sul punto di crollare.
— Forse sarebbe meglio che ti riposassi un po’, fratello — suggerì Mondschein. — Ti stai prendendo troppo a cuore questa faccenda.
— È una cosa sconcertante, Christopher — sbottò Martell. — Se tu lo avessi visto… Ha un’aria così angelica, come se avesse la certezza di resuscitare…
Emory gemette. Mondschein aggrottò la fronte e la porta si aprì, per far entrare uno delle migliaia di esperiani, che gli armonisti avevano convertito nel corso di quegli anni.
— Fratello Emory è stanco, Neerol — disse Mondschein. Il venusiano annuì. Quindi, serrò la mano color rosso porpora attorno al polso azzurro del missionario. Fra i due si instaurò un collegamento, che permise un rapido flusso neuronale: nel cervello di Emory si aprirono alcune chiuse. L’armonista si rilassò e Neerol lo condusse fuori dalla stanza.
Mondschein si voltò a guardare gli altri. — Dobbiamo partire dal presupposto che il corpo di Davide Lazzaro è riapparso su Marte, che le notizie riferite dalle Scritture circa il suo destino, sono errate e che esiste la possibilità che il corpo rinchiuso in quella cripta possa venire riportato in vita. A questo punto la questione è: come ci comportiamo?
Martell, che aveva visto la cripta e che da allora non era più né sarebbe mai più stato lo stesso, disse: — Tu sai che ho sempre avuto delle riserve sul valore carismatico della leggenda di Lazzaro. Ma adesso mi rendo conto che può giocare a nostro vantaggio. Se riuscissimo a impadronirci della cripta e farne il centro simbolico del nostro movimento… Sfruttare la straordinarietà della situazione per colpire l’immaginazione della gente…
— Esatto! — approvò Ward. — Il vero punto di forza del nostro movimento sono sempre stati i nostri miti. I nostri avversali possono contare su Vorst e sui miracoli della scienza, Santa Fe e tutto il resto, ma non riescono a toccare il cuore della gente. Noi, invece, abbiamo il martirio di Lazzaro ed è stato questo a permetterci di riuscire laddove i vorsteriani hanno fallito, cioè nella conquista Venere. E adesso, con Lazzaro in persona che resuscita dalla morte…
— Ma proprio qui casca il palco! — lo interruppe Mondschein, con un sorriso sottile. — Il ritrovamento del corpo del presunto Lazzaro su Marte contraddice la leggenda. Le Scritture non prevedono che Lazzaro risorga nella carne, perché il suo corpo fu atomizzato. Immagina se gli archeologi avessero scoperto che Gesù Cristo era stato decapitato anziché crocefisso, oppure che Maometto non aveva mai messo piede alla Mecca! Se quell’uomo è Lazzaro, il complesso di miti su cui si basa il nostro movimento verrebbe confutato. E questo potrebbe significare la nostra rovina! Rischiamo di veder sgretolare sotto i nostri occhi tutto quello che abbiamo costruito.
A una cinquantina di chilometri dall’antica e pittoresca città di Santa Fe, racchiusi da una cerchia di scure montagne, sorgevano gli imponenti laboratori del Centro Noel Vorst di Scienze Biologiche. Lì i chirurghi trasformavano gli uomini in creature aliene, alacri scienziati manipolavano i geni, famiglie di esperiani si sottoponevano a ogni genere di indagini e uomini bionici spronavano senza pietà i loro corpi verso una nuova dimensione dell’esistenza. Il centro era una potentissima macchina, lanciata a tutto regime verso il conseguimento di importanti traguardi.
Alla guida della macchina c’erano uomini incredibilmente vecchi.
Il cuore del movimento si trovava nel palazzo con il tetto a cupola, che sorgeva accanto al principale auditorium di Santa Fe, e che era la dimora di Vorst. Noel Vorst, il Fondatore della Confraternita della Radianza Immanente, aveva più di centoventi anni. C’era chi sosteneva che fosse morto e che quello che, di quando in quando, faceva la sua apparizione in questo o quel tempio fosse un robot, un simulacro. Vorst rideva di quelle dicerie. A onor del vero, il suo corpo era composto più di organi artificiali che di vera carne, ma non c’erano dubbi che fosse ancora vivo e vegeto e che nei suoi programmi non rientrasse affatto quello di lasciare il mondo nell’immediato futuro. Se avesse avuto intenzione di morire, non si sarebbe certamente preso la briga di fondare la Confraternita. I primi anni erano stati davvero duri. Non è piacevole essere considerato un tipo un po’ tocco.
Fra quelli che a quell’epoca lo giudicavano tale, c’era anche il suo attuale braccio destro, il Coordinatore dell’Emisfero Reynolds Kirby. Kirby si era imbattuto nella Confraternita in un periodo di grande turbamento interiore, quando era alla ricerca di un appiglio sicuro nella tempesta della sua vita. Era l’anno 2077. Adesso, a settantacinque anni di distanza, era ancora aggrappato a quello stesso appiglio. Dopo tanti lustri di fedele sequela, era praticamente l’alter ego di Vorst, complemento dell’anima del Fondatore.
Ciò nonostante, il Fondatore era stato più che abbottonato con lui sull’impresa Lazzaro. Per la prima volta in tanti anni, Vorst aveva tenuto il suo più fidato collaboratore totalmente all’oscuro dei suoi progetti. C’erano cose che non potevano essere dette. Quando si trattava di questioni riguardanti Davide Lazzaro, Vorst le teneva in pectore, non si confidava nemmeno con Kirby.
Il Fondatore era adagiato in posizione semi-seduta in una poltrona di telaschiuma, che aveva la peculiarità di compensare l’effetto di attrazióne gravitazionale. Un tempo era stato un gigante d’uomo, robusto e dinamico: anche adesso, all’occorrenza, sfoggiava quegli stessi attributi, ma preferiva il relax e le comodità. Doveva risparmiare le energie. Il suo piano si stava realizzando come previsto, ma lui sapeva che senza la sua guida, rischiava ancora di finire in niente.
Kirby, le labbra sottili, i capelli brizzolati, sedeva di fronte a lui. Il suo corpo, come quello di Vorst, era un collage di organi artificiali. Adesso gli scienziati vorsteriani non ricorrevano più a primitivi interventi di trapianto, per prolungare la vita delle persone. Nell’arco dell’ultima generazione erano riusciti a mettere a punto una tecnica di stimolazione cellulare che permetteva all’organismo di rigenerarsi dall’interno. Ma Kirby era nato troppo presto per potersene awalerè, e anche Vorst. Per loro, il trapianto d’organi restava l’unica strada perseguibile per conseguire l’immortalità, anche se si trattava di un’immortalità condizionata. Con un po’ di fortuna, e a patto di sottoporsi a revisioni periodiche, potevano aspirare a vivere due o trecento anni. I membri, che avevano aderito alla Confraternita negli ultimi quarant’anni, invece, potevano contare su una vita molto più lunga; altri, ancora più giovani, sarebbero vissuti per sempre.
Vorst disse: — Riguardo a questa faccenda di Lazzaro…
La sua voce proveniva da una scatola di vocodificazione. Il Fondatore aveva perso la laringe sessant’anni prima. Ma l’effetto era abbastanza naturale.
— Possiamo infiltrare qualcuno dei nostri — lo rassicurò Kirby. — Posso sistemare la cosa attraverso Nat Weiner. Piazziamo una bomba sulla cripta e consegniamo il signor Lazzaro al riposo eterno.
— No.
— No?
— Ovvio che no — rispose Vorst, abbassando le tapparelle che gli lubrificavano gli occhi. — A quella cripta e all’uomo che c’è dentro non deve succedere niente. Infiltreremo senz’altro alcuni dei nostri uomini, e per questo puoi far leva su Weiner. Ma non per distruggere, bensì per riportare Lazzaro in vita.
— Per… che cosa?!
— Un piccolo regalo ai nostri amici armonisti. Per dimostrare il nostro amore per i nostri fratelli nell’Unità.
— No — disse Kirby. I muscoli del suo volto scarno si contrassero e Vorst capì che stava controllando il suo tasso di adrenalina, nel tentativo di mantenere la calma di fronte a quell’oltraggio al suo senso della logica. — Quell’uomo è il profeta degli eretici — disse il Coordinatore con voce pacata. — So che hai le tue buone ragioni per incoraggiare la loro crescita in certi luoghi, Noel, ma restituirgli addirittura il loro profeta… Non ha senso.
Vorst pigiò un bottoncino sulla sua scrivania. Si aprì uno scomparto, dal quale il Fondatore estrasse il Libro di Lazzaro, il testo sacro degli armonisti. Kirby parve un po’ sorpreso nello scoprire che ne veniva conservata una copia lì, nella roccaforte del movimento.
— L’hai letto, non è vero? — gli domandò Vorst.
— Naturalmente.
— Una storia strappalacrime. Un uomo nobile e buono come Davide Lazzaro braccato e ucciso da monaci vorsteriani senza vergogna. Praticamente, uno degli atti più blasfemi di cui si siano macchiati gli uomini dopo la Crocefissione. Un’onta incancellabile per il nostro movimento. Nella storia di Lazzaro noi facciamo la parte dei cattivi. Ed ecco, invece, che dopo sessant’anni salta fuori su Marte questo Lazzaro in salamoia. Quindi, niente affatto annientato fisicamente, come narra la leggenda. Fantastico! Splendido! A partire da questo momento ci impegneremo con tutte le nostre risorse per riportarlo in vita! Il nostro sarà un grande gesto ecumenico. Come tu sai, io spero di poter riunire, un giorno, i rami separati del nostro movimento.
Gli occhi di Kirby si illuminarono. — Lo sostieni da sessanta o settant’anni, Noel. Da quando gli armonisti hanno fondato la loro organizzazione. Ma lo vuoi veramente?
— Io sono sempre sincero — rispose Vorst sorridendo. — Certo che voglio accoglierli di nuovo in seno alla religione-madre. Alle mie condizioni, si intende, ma per il resto sono i benvenuti. In fondo, pur percorrendo strade diverse, perseguiamo tutti gli stessi obiettivi. Tu hai conosciuto Lazzaro?
— No. Quando è morto non ero un membro importante della Confraternita.
— Già… dimenticavo. Non è facile per me collocare ciascuno di voi nella sua matrice temporale. In ogni caso, stavi cominciando a farti una posizione quando Lazzaro se ne andò. Io rispettavo quell’uomo, Kirby. E ho pianto quando è morto, anche se era in errore e si ostinava a non volerlo riconoscere. È anche per questo che intendo redimere la Confraternita dalla sua grave colpa, riportandolo in vita. Certo che ha proprio il nome giusto, non trovi?
Kirby prese un sfera metallica, una specie di fermacarte, appoggiata sulla scrivania e la rigirò fra le dita. Vorst attese. Teneva lì quella sfera affinché i suoi visitatori potessero servirsene per scaricare la tensione; sapeva che per molti presentarsi al suo cospetto era come salire sul Monte Sinai per ricevere le Tavole della Legge. Lo trovava gratificante e ne godette intimamente anche in quel momento, mentre osservava Reynolds Kirby alle prese con il suo dilemma interiore.
Dopo alcuni minuti, il Coordinatore dell’Emisfero, l’unico uomo sulla faccia della Terra che potesse rivolgersi al Fondatore chiamandolo per nome, sbottò: — Dannazione, Noel, a che gioco stai giocando?
— Quale gioco?
— Mi guardi con il sorriso sulle labbra e mi dici che hai intenzione di far resuscitare Lazzaro. Io capisco benissimo che stai giocando a biliardo con le parole e non ho la più pallida idea di quello che hai in mente. A che cosa miri? Non è mille volte meglio che quell’uomo sia morto e resti tale?
— No. Come morto rappresenta un simbolo. Come vivo può essere manipolato. Questo è tutto ciò che ho intenzione di dirti sull’argomento. — Gli occhi fiammeggianti del Fondatore incontrarono quelli perplessi di Kirby e li inchiodarono. — Pensi forse che io sia rimbambito? Che abbia rimuginato tutti questi anni sul mio progetto fino ad uscir di cervello? So quello che faccio. Ho bisogno di Lazzaro vivo… Altrimenti non mi sarei imbarcato in questa storia. Mettiti in contatto con Nat Weiner e impadronisciti di quella cripta. Come non mi interessa. Lavoreremo sul corpo di Lazzaro a Santa Fe.
— D’accordo, Noel. Come vuoi tu.
— Fidati di me.
— Che cos’altro posso fare?
Kirby uscì rapidamente dalla stanza. Vorst, rilassandosi, si iniettò una dose di ormoni e chiuse gli occhi. Il mondo vacillò. Per un attimo si sentì trasportare dal flusso dei ricordi e all’improvviso fu di nuovo il 2071, l’anno in cui aveva cominciato a costruire reattori al cobalto in un sordido scantinato e ad affittare stanze nei palazzoni di New York da adibire a templi. Rifuggì da quel ricordo e fu scagliato in avanti, verso il confine del presente e anche un po’ oltre. Vorst possedeva facoltà esperiane molto modeste, ma, di tanto in tanto, la sua mente era capace di strane cose. Quella volta lo condusse sull’orlo del futuro e lui vi si ancorò disperatamente.
Con un colpo deciso delle dita, il Fondatore accese il comunicatore e, senza presentarsi, parlò brevemente con un internista del reparto ospedaliero riservato agli esperiani. Sì, gli rispose il medico, c’era un’esperiana in preda a una crisi così intensa che le sue probabilità di sopravvivenza erano pressoché nulle.
— Preparatela — disse Vorst. — Il Fondatore verrà a visitarla.
Vorst fu immediatamente circondato dai suoi assistenti, che lo prepararono per il viaggio. Il vecchio uomo si rifiutava di accettare l’immobilità e si ostinava a condurre una vita il più possibile attiva. Un pozzo di gravità lo condusse al pian terreno. Quindi, protetto da un corteo di lacché che lo accompagnavano ovunque, attraversò la piazza principale della cittadella di Santa Fe ed entrò nell’ospedale.
Cinque o sei esperiani, segregati in stanze circondate da possenti mura e protetti da membri della loro specie, versavano in fin di vita. C’era sempre chi veniva sopraffatto e distrutto dai propri poteri. Era di questi esperiani che, fin dall’inizio, Vorst si era occupato maggiormente, facendo ogni possibile tentativo per strapparli alla morte; perché era soprattutto di loro che aveva bisogno. Negli ultimi tempi il loro tasso di sopravvivenza era decisamente aumentato, ma non abbastanza.
Vorst sapeva perché alcuni esperiani si esaurivano come pile. Capitava a quelli che non riuscivano a restare saldamente ancorati nel tempo: incapaci di controllare i propri movimenti, oscillavano senza sosta fra passato e presente, sviluppando una tale carica di forza temporale che finiva per annientare la loro mente. Era una sorta di stordimento temporale, una vertigine mentale. Anche a lui erano capitati fenomeni di quel genere. Per un decennio, quasi un secolo prima, aveva pensato di essere impazzito, fino a quando aveva capito. Aveva raggiunto i confini del tempo, aveva avuto una visione del futuro che lo aveva annientato e poi ricreato: ma quello che era accaduto a lui non era che un’infima parte di ciò che sperimentavano i veri esperiani.
Il caso di esaurimento per il quale Vorst si era precipitato all’ospedale riguardava un soggetto di sesso femminile, giovane e di origine orientale: una combinazione fatale, a quanto sembrava. Nell’ottanta per cento dei casi il fenomeno colpiva esperiane di razza mongola, generalmente ragazze adolescenti. Era raro che riuscissero a raggiungere l’età adulta. Questa, in particolare, doveva avere all’incirca sedici anni, anche se era difficile a dirsi: avrebbe potuto avere una età qualsiasi, compresa fra i dodici e i venticinque anni. Quando Vorst arrivò al suo capezzale, si stava contorcendo sul letto, il corpo quasi nudo, le unghie affondate nelle coperte. Sulla sua fronte marroncina luccicava un velo di sudore. A un tratto, inarcò la schiena e contrasse il viso in una smorfia. Poi ricadde sul materasso. I suoi seni, che si intravvedevano attraverso la veste discinta, erano quelli di una bambina.
Accanto al letto erano schierate due file di vorsteriani, intimiditi dalla presenza del Fondatore. — Morirà in meno di un’ora, vero? — domandò quest’ultimo.
Qualcuno annuì. Vorst si avvicinò alla ragazza e le afferrò il polso fra le dita avvizzite. Un altro esperiano si precipito al suo fianco e appoggiò una mano sul suo avambraccio e una sul corpo della giovane, chiudendo il cerchio. All’improvviso Vorst entrò in contatto con la ragazza morente.
Il cervello dell’esperiana era in fiamme. Avanzava a scatti poi retrocedeva bruscamente, e Vorst insieme a lei, trasportato alla stregua di un autostoppista, mentre nella sua mente balenava una luce, come se un fulmine stesse danzando attorno a lui. Passato e presente si fusero insieme. Lo scarno corpo del vecchio fu squassato come una canna battuta dal vento. Le immagini ballavano come demoni nel suo cervello, confuse figure del passato, cupe avatara del futuro. Dimmi, dimmi, dimmi, implorò Vorst. Indicami la strada! Era sulla soglia del sapere. Era così che aveva proceduto per settant’anni, passo dopo passo, lungo la linea mondiale del suo grande piano, sfruttando i corpi straziati e contorti di quelle povere creature come ponti verso il futuro, contando unicamente sulle sue forze.
Fa che io veda, supplicò Vorst.
Era la figura di Davide Lazzaro a dominare il mondo del futuro, come Vorst aveva previsto. Lazzaro era un colosso, inaspettatamente risorto a vita nuova, che protendeva le braccia verso i suoi fratelli nell’eresia. Vorst rabbrividì. L’immagine tremolò, poi si dissolse. La fragile mano del Fondatore allentò la presa.
— È morta — disse Vorst. — Conducetemi vìa.
Un vecchio uomo aveva impartito un ordine, un secondo aveva obbedito e un terzo era stato contattato affinché esaudisse un favore. Nat Weiner, del Presidio Marziano, era sempre disposto ad accontentare il suo vecchio amico Reynolds Kirby. Si conoscevano da così tanti anni, che ormai entrambi avevano perso il conto.
Weiner, come la stragrande maggioranza dei marziani non era né vorsteriano né armonista. I marziani non erano attratti da nessuna forma di religione e mantenevano al riguardo un atteggiamento neutrale, dal quale cercavano di trarre il massimo vantaggio. Sulla Terra, dove la maggioranza della popolazione era di fede vorsteriana, il potere era praticamente nelle mani dei seguaci di Vorst; pertanto, poiché Marte intratteneva importanti relazioni commerciali con la Terra, era una questione di buon senso mantenere buoni rapporti con l’alto comando vorsteriano. Venere, era un altro paio di maniche. Nessuno sapeva con certezza come stessero le cose su quel pianeta, a parte il fatto, ormai accertato, che negli ultimi trenta-quaranta anni gli armonisti vi avevano consolidato la loro presenza e che un domani avrebbero potuto rappresentare per esso ciò che i vorsteriani rappresentavano per la Terra. Weiner era stato ambasciatore a Venere e riteneva di conoscere abbastanza bene i pelleazzurra. Non gli piacevano troppo, ma lui ormai non si lasciava più prendere dalle passioni. Se le era lasciate alle spalle il giorno in cui aveva compiuto cento anni.
Da Santa Fe, spendendo una cifra da capogiro, Reynolds Kirby si mise in contatto visivo con Weiner e lo pregò di fargli un favore. Non si vedevano da dodici anni, dall’ultima volta in cui il marziano era andato a Santa Fe per sottoporsi a una terapia di ringiovanimento. Solitamente, i centri dell’eterna giovinezza non erano aperti ai non-credenti, ma Kirby aveva fatto in modo che Weiner e un ristretto numero di suoi amici marziani, fossero ammessi periodicamente nel complesso della cittadella scientifica.
Weiner sapeva benissimo che, accettando la cortesia dell’amico, firmava cambiali in bianco, che un giorno o l’altro, Kirby si sarebbe presentato a riscuotere. Ma per lui andava bene così: la cosa più importante era sopravvivere. Weiner sarebbe perfino stato disposto a convertirsi al credo vorsteriano, pur di avere accesso al centro di Santa Fe. Ma una simile decisione gli avrebbe certamente nuociuto dal punto di vista politico, perché su Marte sia i vorsteriani che gli armonisti venivano considerati sovversivi. In questo modo, godeva dei benefici senza correre rischi, e doveva tutto questo al suo amico Reynolds Kirby. Weiner era disposto a fare molto per ripagare il terrestre dei suoi favori.
Kirby disse: — Hai già visto la presunta tomba di Lazzaro?
— Sono stato a fare un sopralluogo un paio di giorni fa. Abbiamo allestito un imponente sistema di sicurezza attorno alla cripta. Sai, è stato mio nipote a scoprirla. Se potessi, lo ucciderei.
— Perché?
— Avevamo proprio bisogno di trovare quella mummia d’armonista sepolta vicino ai Laghi Beltran! Ma perché diavolo i tuoi amici non l’hanno seppellito su Venere, dove vive la sua gente?
— Che cosa ti fa pensare che siamo stati noi a seppellirlo?
— Non siete stati voi a farlo fuori? O a congelarlo o quel che accidenti gli avete fatto?
— È accaduto prima che io entrassi nella Confraternita — rispose Kirby. — Soltanto Vorst sa come sono andate realmente le cose, e forse nemmeno lui. Ma a seppellirlo in quella cripta devono essere stati per forza i suoi seguaci, non pensi?
— Niente affatto — replicò Weiner. — Perché avrebbero ingarbugliato la loro storia? Lazzaro è il loro profeta. Se fossero stati loro a metterlo lì dentro, se ne sarebbero ricordati e avrebbero predicato la sua resurrezione, non ti pare? E invece sono quelli che sono rimasti più sorpresi quando è stata scoperta la tomba. — Weiner aggrottò la fronte. — D’altro canto, il messaggio registrato è pieno di slogan armonisti. E ci sono simboli armonisti incisi sulle pareti della cripta. Mi piacerebbe capire come stanno le cose. Anzi, mi piacerebbe ancor di più se non l’avessimo mai scoperto. Ma perché volevi parlarmi Ron?
— Vorst lo vuole.
— Vuole Lazzaro?
— Esattamente. Vuole riportarlo in vita. Porteremo l’intera cripta a Santa Fe, l’apriremo e lo faremo risorgere. Vorst ha intenzione di annunciarlo domani, a tutto il mondo.
— Non è possibile, Ron. Se c’è qualcuno che avrebbe diritto di reclamarlo, sono gli armonisti. È il loro profeta. Come posso consegnarlo ai tuoi ragazzi? Voi siete accusati di averlo assassinato e adesso…
— Adesso abbiamo intenzione di farlo resuscitare, cosa che gli armonisti non sono assolutamente in grado di fare, e questo lo sanno tutti. Sono liberi di provarci se vogliono, ma il fatto è che loro non hanno a disposizione laboratori sofisticati come i nostri. Noi siamo pronti a riportarlo in vita. Dopodiché lo restituiremo ai suoi discepoli e lui sarà libero di predicare quello che vorrà. A noi basta poter avere accesso alla sua tomba.
— Voi chiedete molto — osservò Nat.
— Noi ti abbiamo dato molto, Nat.
Weiner annuì. In quel momento si rese conto che le cambiali, che aveva firmato in tutti quegli anni, erano scadute.
— Gli armonisti chiederanno la mia testa, se vi accontento.
— La tua testa è ben salda sul collo, Nat. Trova il modo di consegnarci Lazzaro. Penso che potremmo arrabbiarci molto, se non lo facessi.
Weiner sospirò. — Sia fatta la sua volontà.
Ma in che modo, si domandò il marziano quando il collegamento si interruppe? Per "ragioni di causa maggiore"? Doveva consegnare Lazzaro ai vorsteriani e mandare al diavolo l’opinione pubblica? E se i venusiani se la prendevano? Non c’era mai stata nessuna guerra interplanetaria, ma forse adesso i tempi erano maturi. Una cosa era certa: gli armonisti reclamavano il corpo del loro profeta e avevano tutto il diritto di farlo. Proprio la settimana precedente, Martell, il missionario che era andato su Venere per fondarvi un tempio vorsteriano e poi era passato nel campo armonista, era venuto su Marte a vedere la cripta e aveva accennato all’idea di prenderne possesso. Martell e Mondschein, il suo superiore sarebbero saltati in aria quando avessero scoperto che la reliquia di Lazzaro era stata spedita a Santa Fe.
Era una questione che andava trattata con la massima delicatezza.
La mente di Weiner ronzava come un computer, mentre esaminava e scartava le diverse soluzioni, aprendo e chiudendo un circuito dopo l’altro. Non era soltanto per la sua veneranda età che ricopriva quell’importante posizione politica. Weiner era un uomo abile. Aveva acquisito grande scaltrezza dalla notte in cui, giovane bifolco ubriaco, aveva fatto il diavolo a quattro per le strade di New York.
Dopo tre ore e svariate migliaia di dollari in telefonate interplanetarie, Weiner aveva elaborato una soluzione soddisfacente.
La cripta era da considerarsi, a tutti gli effetti, proprietà del governo marziano. Pertanto, da quel momento in poi, Marte avrebbe rivestito un ruolo di grande importanza in merito all’attribuzione delle spoglie di Lazzaro. Nondimeno, poiché il governo marziano riconosceva il profondo valore simbolico della scoperta, al fine di dirimere la questione intendeva consultare le autorità religiose degli altri mondi. Sarebbe stato istituito un comitato, composto da tre esponenti armonisti, tre vorsteriani e tre marziani, nominati personalmente da lui. Era presumibile che i rappresentanti delle due religioni avrebbero agito nel proprio interesse, quindi i membri marziani del comitato si sarebbero mantenuti neutrali, al fine di garantire un giudizio imparziale.
Ovviamente.
Il comitato si sarebbe riunito per decidere il futuro della cripta. Naturalmente, gli armonisti avrebbero rivendicato le spoglie del loro profeta. I vorsteriani, avendo messo pubblicamente a disposizione le più moderne tecnologie scientifiche in loro possesso per riportare Lazzaro in vita, avrebbero chiesto di poter dimostrare di che cosa fossero capaci. Compito dei membri marziani del comitato sarebbe stato quello di valutare entrambe le richieste.
Poi, pensava Weiner, sarebbe giunto il momento della votazione.
Uno dei membri marziani avrebbe sostenuto gli armonisti, per salvare le apparenze. Gli altri due, invece, avrebbero votato a favore della richiesta vorsteriana, ponendo, come condizione, che qualsiasi esperimento sul corpo del presunto Lazzaro fosse eseguito sotto stretto controllo del comitato, per evitare imbrogli. Naturalmente, Mondschein si sarebbe opposto.
Ma fra le clausole alla base dell’accordo, sarebbe stata prevista anche la possibilità per un paio di rappresentanti di fede armonista di visitare i laboratori segreti di Santa Fe: questo sarebbe dovuto essere sufficiente per placare le ire dei venusiani, i quali, comunque, avrebbero masticato amaro. Ma se Kirby manteneva la sua parola e Lazzaro, una volta resuscitato, fosse potuto ritornare dai suoi seguaci, che cosa potevano avere in contrario gli armonisti?
Weiner sorrise. Non esisteva nodo così complicato che non si potesse sciogliere. Bastava rifletterci un po’. Era soddisfatto di sé. Se fosse stato quarant’anni più giovane sarebbe uscito a far baldoria per festeggiare. Ma adesso non poteva.
— Non andare — disse Martell.
— Sospetti che sia una trappola? — gli domandò Christopher Mondschein. — Ma è un’occasione per visitare il loro centro. L’ultima volta che ci ho messo piede ero un ragazzo. Perché non dovrei andare?
— Non abbiamo idea di che cosa potrebbe succederti là dentro. Immagino che non vedano l’ora di metterti le mani addosso. Tu sei l’asse portante di tutto il movimento venusiano.
— E pensi che mi faranno fuori con qualche raggio misterioso sotto gli occhi degli abitanti di tre pianeti? Sii realista, Nicholas. Quando il Papa va alla Mecca, stanno bene attenti che non gli succeda niente. Stai tranquillo, non corro nessun pericolo a Santa Fe.
— E gli esperiani? Sonderanno la tua mente.
— Verrà Neereol con me e mi farà da scudo — rispose Mondschein. — Non capteranno un solo pensiero. Lo frapporrò fra me e tutti i loro esperiani. E poi non ho niente da nascondere a Noel Vorst. Tu più di chiunque altro dovresti saperlo, visto che ti abbiamo accolto nonostante fossi imbottito di comandi-spia vorsteriani.
Allora Martell tentò un’altra strada. — Andando a Santa Fe tu ammetti implicitamente che il nostro ordine riconosce in quell’uomo il profeta Lazzaro.
— Adesso parli come fratello Emroy! Intendi dire che è tutto un imbroglio?
— Intendo dire che ti dovresti comportare come se lo fosse. Quell’individuo rappresenta la negazione della leggenda di Lazzaro. Potrebbe essere un piano vorsteriano per confonderci. Che cosa faremo quando ci restituiranno un Lazzaro che parla e cammina e saremmo costretti a riconcepire tutto il nostro ordine attorno a lui?
— È una questione molto delicata, Nicholas. Il nostro credo si basa sull’esistenza di un santo martire. Se adesso scopriamo che non è mai stato martirizzato…
— È quello che stavo dicendo io! Per noi sarà la rovina.
— Ne dubito — replicò Mondschein. Il vecchio armonista si toccò nervosamente le branchie. — Tu non sei abbastanza lungimirante, Nicholas. Fino a ora i vorsteriani sono stati più abili di noi, lo ammetto. Sono riusciti a mettere le mani su Lazzaro e stanno per restituircelo vivo e vegeto, mettendoci in una posizione di grave imbarazzo. Ma che cosa possiamo farci? In ogni caso, la prossima mossa spetta a noi. Se Lazzaro muore, ci basterà rivedere un pochino le nostre scritture. Se sopravvive e diventa una minaccia per il nostro ordine, noi sosterremo che si tratta di un impostore assoldato dai vorsteriani con intenti nefandi e lo distruggeremo. In questo modo, metteremo a segno un punto importante: ribadiremo la veridicità della storia del martirio di Lazzaro e accuseremo i vorsteriani di complottare contro di noi.
— E se quell’uomo fosse veramente Lazzaro? — domandò Martell.
Mondschein si illuminò. — Allora ci ritroveremo fra le mani un profeta, Fratello Nicholas. È un rischio che dobbiamo correre. Vado a Santa Fe.
Al Centro Noel Vorst ferveva più che mai l’attività, mentre continuavano i preparativi per l’arrivo del prezioso carico da Marte. Agli scienziati, a cui spettava il compito di riportare Lazzaro in vita, era stato riservato un intero quartiere della cittadella scientifica. Per la prima volta dal giorno della sua fondazione, venivano ammesse al centro le telecamere. La cittadella sarebbe stata invasa da sconosciuti, fra i quali perfino una delegazione di armonisti. Per un vorsteriano di vecchio stampo come Reynolds Kirby, abituato alla segretezza, era una cosa impensabile. Ma l’ordine era stato impartito da Vorst in persona e nessuno poteva discutere con il Fondatore. — Credo che sia ora di scoperchiare qualche pentola — aveva detto Vorst.
Anche Kirby, per parte sua, aveva intenzione di scoperchiare qualche pentola, mentre il grande giorno si avvicinava. Aveva alcuni vuoti di memoria che lo lasciavano perplesso e, approfittando del suo grado di comandante in seconda, andò a spulciare gli archivi vorsteriani per riempirli. Il punto era che non ricordava un gran che della vicenda di Davide Lazzaro prima del suo martirio e, per contro, riteneva fosse importante sapere qualcosa di più oltre alla versione ufficiale della storia. Chi era Lazzaro? Come era entrato nella Confraternita della Radianza Immanente e come ne era uscito?
Kirby si era convertito nel 2077, la sera in cui si era inginocchiato per la prima volta di fronte al Fuoco Azzurro di un reattore al cobalto in un tempio di New York. Come nuovo adepto non si era interessato della politica della gerarchia del movimento, ma soltanto dei valori che quella fede proponeva: la stabilità, la speranza di vivere in eterno, il sogno di raggiungere le stelle sfruttando i poteri degli esperiani. Kirby era entusiasta all’idea che un giorno l’uomo avrebbe esplorato altri sistemi solari, ma non era quello il desiderio della sua vita. Nemmeno la prospettiva dell’immortalità, principale motivo di attrazione per milioni di fedeli, lo allettava in modo particolare.
La vera ragione che lo aveva spinto ad aderire al credo vorsteriano all’età di quarant’anni, era stata la disciplina che offriva. La vita che conduceva, per quanto gratificante, non aveva punti fermi, e il mondo era un tale caos che lui continuava a fuggire, cercando rifugio ora in questo ora in quel paradiso artificiale. Fino al giorno in cui aveva scoperto la nuova religione predicata da Vorst e ne era stato totalmente catturato. Per i primi tempi, si era accontentato di essere un comune fedele, ma, dopo pochi mesi, era diventato accolito. Poi, grazie alla sua innata capacità organizzativa, aveva salito rapidamente la scala gerarchica e, all’età di ottant’anni, si era ritrovato braccio destro di Vorst. Soltanto allora aveva cominciato a preoccuparsi della propria sopravvivenza.
Secondo la versione ufficiale, Davide Lazzaro era stato martirizzato nell’anno di grazia 2090. A quell’epoca Kirby militava nel movimento da tredici anni: era Supervisore di Distretto e a lui facevano capo migliaia di confratelli.
Per quanto ricordava, fino ad allora di Lazzaro non aveva mai sentito parlare.
Alcuni anni più tardi il movimento degli armonisti aveva cominciato a rafforzarsi: gli eretici indossavano una tunica verde e criticavano aspramente il crescente attaccamento al potere dei vorsteriani. Sostenevano di essere i seguaci del martire Lazzaro, ma, per quanto rammentava Kirby, non parlavano mai molto di lui. Era stato soltanto in seguito, dopo la conquista di Venere, che avevano cominciato a divulgare insistentemente la sua leggenda. Come è possibile, si domandava Kirby, che io, che ero un suo contemporaneo, non abbia mai sentito pronunciare il suo nome?
Assorto in quelle considerazioni, Kirby si diresse verso il palazzo degli archivi.
Era un edificio color bianco latte, sormontato da una volta geodetica e rivestito di un tessuto a grana ruvida che, come consistenza assomigliava al rayon. Kirby percorse una galleria vietata agli estranei, mostrò i propri documenti ai robot di guardia, oltrepassò una porta sfinterica e si ritrovò nella stanza color verde oliva che ospitava gli archivi. Quindi, premette un pulsante e richiese le informazioni di cui aveva bisogno.
LAZZARO, DAVIDE.
Rullo di tamburi nelle viscere della terra. Pellicole piene di dati iniziarono a scorrere, offrendosi al bacio dell’analizzatore, e le immagini si librarono verso Kirby. Caratteri a stampa giallo fosforescente apparvero sullo schermo.
Una biografia scarna, mal riassunta e insufficiente:
DATA DI NASCITA: 13 marzo 2051
STUDI: scuole elementari e superiori a Chicago; laurea in lettere ad Harvard nel ’72; laurea in filosofia (antropologia) Harvard nel ’75.
CONNOTATI: (1/1/88) altezza: un metro e ottantasei centimetri; peso: ottanta chilogrammi; capelli: scuri; occhi: scuri. Segni particolari: nessuno.
AFFILIAZIONE: 4/11/71 membro del tempio di Cambridge. 7/17/73 accolito…
Seguiva l’elenco dei diversi gradi assunti da Lazzaro nella sua rapida ascesa all’interno della gerarchia vorsteriana, fino all’ultimo dato, quello relativo alla MORTE, avvenuta il 2/9/90.
Era tutto. Una scheda lineare, essenziale, senza una parola di commento, senza le lodi che, Kirby lo sapeva, facevano da ornamento al suo curriculum, né alcun riferimento documentato al disaccordo fra Lazzaro e Vorst. Niente. Era il genere di scheda che chiunque avrebbe potuto compilare e inserire nell’archivio… il giorno prima.
Consultò le banche della memoria, nella speranza di reperire qualche ulteriore notizia sull’eretico degli eretici. Ma non trovò niente. Tuttavia, né questo, né l’esiguità di informazioni contenute nella scheda di Lazzaro legittimavano i suoi sospetti: Lazzaro era morto da molti anni e forse a quell’epoca la registrazione delle notizie avveniva in modo più schematico e approssimativo. Ciò nondimeno era un fatto sconcertante. Kirby uscì dal palazzo. Gli accoliti lo fissarono come se fosse Vorst in persona. Con ogni probabilità qualcuno di loro era anche tentato di inginocchiarsi di fronte a lui. Se solo sapessero quanto sono ignorante, pensò Kirby cupamente. Dopo settantacinque anni di vita nella confraternita. Se solo lo sapessero.
Trasportata intatta da Marte, con grande dispendio di denaro, la tomba di vetro nella quale giaceva Davide Lazzaro, si trovava adesso al centro della sala operatoria, sotto gli occhi vigili di innumerevoli telecamere, infisse nel soffitto e nelle pareti. Una selva ordinata di sofisticati strumenti circondava la cripta: compressori, centrifughe, apparecchi per la registrazione grafica di vari fenomeni, analizzatori, calibratori enzimatici, scalpelli laser, divaricatori, strumenti di indagine toracica ed encefalica, by-pass cuore-polmoni, reni artificiali, un generatore di pressione a elio II e un mostruoso, luccicante criostato. C’era di che restare sbalorditi di fronte a quello spiegamento di apparecchiature ed era proprio quello l’effetto che aveva voluto ottenere chi aveva allestito la scena. Attraverso quell’imponente esposizione di macchinari veniva mostrata al mondo intero la potenza della confraternita vorsteriana.
Vorst non era presente. Anche quello faceva parte di una sapiente orchestrazione. Lui e Kirby avrebbero assistito all’evento dal suo ufficio. Il membro dell’ordine di grado più elevato presente nella sala era l’allegro e pingue Capodimonte, supervisore distrettuale. Accanto a lui aveva preso posto Christopher Mondschein, in rappresentanza degli armonisti. Mondschein e Capodimonte si conoscevano per essersi frequentati durante la breve, e clamorosamente fallita, missione del primo a Santa Fe nel 2095. Adesso, però, l’armonista, che aveva subito radicali interventi di modificazione corporea, aveva un aspetto spaventoso e grottesco, nonostante la tuta protettiva celasse gran parte della sua figura. Lo accompagnava un venusiano, di aspetto ancora più strano, che gli stava incollato come un trapianto cutaneo. I due armonisti apparivano tesi e severi.
Il commentatore televisivo disse: — È già stato appurato che l’aria all’interno della tomba è formata da una miscela di gas inerti, fra i quali prevale l’argon. Lazzaro risulta immerso in un bagno di sostanze nutrienti e gli esperiani, che lo hanno esaminato, hanno individuato segni di vita. I meccanismi di tenuta della cripta sono stati aperti ieri alla presenza della delegazione di armonisti venusiani. Adesso, alcuni tecnici stanno provvedendo a convogliare l’aria verso l’esterno e, subito dopo, con i loro sensibilissimi strumenti, i chirurghi daranno inizio al complesso intervento di ripristino degli impulsi vitali.
Vorst scoppiò a ridere.
— Non è quello che faranno? — domandò Kirby.
— Più o meno. Se non fosse che quell’uomo è già vivo e vegeto così com’è. L’unica cosa che devono fare è aprire la tomba e tirarlo fuori.
— Il che però non sarebbe di grande effetto.
— Probabilmente no — convenne il Fondatore. Intrecciò le mani sul ventre, dal quale provenivano le deboli pulsazioni degli organi artificiali. Il commentatore si dilungò in minuziose descrizioni. La selva di strumenti che circondavano la cripta era in movimento adesso, braccia piccole e grandi che si agitavano come membra di una creatura fatta di tanti corpi. Vorst teneva gli occhi fissi su Christopher Mondschein. Non pensava che Mondschein sarebbe ritornato a Santa Fe. Una persona davvero ammirevole, commentò fra sé e sé. Aveva saputo affrontare bene le avversità, considerando il modo in cui gli armonisti lo avevano infinocchiato sessant’anni prima.
— Hanno aperto la tomba — disse Kirby.
— Ho visto. Adesso vedrai la mummia del re Tut alzarsi e camminare.
— Mi sembra che tu la prenda con molta allegria, eh, Noel?
— Mmm — assentì il Fondatore. Un sorriso gli balenò sulle labbra sottili. Vorst regolò rapidamente il flusso di ormoni. Sullo schermo, la tomba, che si stava schiudendo, fu quasi interamente oscurata dagli strumenti che affondavano all’interno per afferrare il dormiente.
All’improvviso, oltre il vetro trasparente della cripta si intravvide un vago movimento. Il grande momento era giunto. Lazzaro si mosse. Il martire era resuscitato!
— È ora che io faccia la mia entrata solenne — mormorò Vorst.
Gli accoliti del suo seguito provvidero immediatamente. Un tunnel scintillante lo condusse a tutta velocità alla sala operatoria. Kirby non lo seguì. La sedia del Fondatore varcò senza fretta la soglia della stanza nello stesso momento in cui Davide Lazzaro si drizzava cautamente a sedere.
Il profeta protese una mano tremante. Con la voce arrugginita tentò di articolare un suono coerente.
— V-V-Vorst! — esclamò Lazzaro sorpreso.
Il Fondatore sorrise con benevolenza e sollevò le braccia scarne in atto di saluto e di benedizione. Una mano nascosta manovrò silenziosamente una verga di controllo e, sulle pareti della sala, baluginò il Fuoco Azzurro, aggiungendo alla solenne atmosfera del momento il giusto tocco di teatralità. Quando la luce azzurrina lo avvolse, Christopher Mondschein, il volto impassibile dietro la maschera, serrò i pugni con rabbia.
Poi Vorst intonò: — E c’è la luce, che è eterna, per la quale rendiamo grazie.
— E c’è il calore, di fronte al quale ci inginocchiamo.
— E c’è l’energia, per la quale ci consideriamo benedetti…
— Benvenuto alla vita, Davide Lazzaro. Nel nome dello spettro, del quanto e del santo angstrom, pace a te, e perdono per coloro che ti hanno fatto del male!
Lazzaro si alzò in piedi e, dopo aver cercato a tentoni il bordo della cripta, vi si ancorò. Emozioni diverse si alternavano sul suo volto che, di volta in volta, si contraeva in espressioni indescrivibili. — Ho… ho dormito.
— Per sessant’anni, Davide. E in questi anni coloro che mi hanno abbandonato per diventare tuoi seguaci sono diventati molto potenti. Li vedi? Vedi le loro vesti verdi? Il pianeta Venere è tuo. Tu sei alla testa di un grande esercito adesso. Va’ da loro, Davide e consigliali. Io ti ho ridato la vita e adesso ti consegno alla tua gente. Tu sei il dono che io faccio ai tuoi seguaci. E colui che era morto venne fuori… scioglietelo e lasciatelo andare.
Lazzaro non rispose. Mondschein lo fissava a bocca aperta, appoggiandosi al venusiano al suo fianco per non cadere. Un brivido di riverente timore percorse l’animo di Kirby, che seguiva la scena dallo schermo, spazzando via tutto il suo scetticismo. Perfino il commentatore della televisione era ammutolito di fronte al miracolo.
La luce del Fuoco Azzurro permeava ogni cosa e saliva sempre più in alto, come le fiamme del Crepuscolo che lambiscono il Valhalla. E, in mezzo a quella luce, troneggiava Noel Vorst, il Fondatore, il Primo degli Immortali, sereno e raggiante, il vecchio corpo eretto, gli occhi lucenti, le mani protese verso l’uomo che era risuscitato dai morti. Mancava soltanto un coro di diecimila voci che cantasse l’Inno delle Lunghezze d’Onda, mentre dalle canne di un organo cosmico si riversavano le note di un peana di gioia.
E Lazzaro visse e camminò di nuovo in mezzo ai suoi, conversando con loro.
E Lazzaro era enormemente sorpreso.
Aveva dormito… per un attimo, per un battere di ciglia. E adesso si ritrovava circondato da sinistri individui azzurrognoli, venusiani incappucciati come demoni per proteggersi dall’aria mortifera della Terra, che lo salutavano come il loro profeta. Tutt’intorno si levavano i palazzi della metropoli vorsteriana, che testimoniavano del grande potere acquisito dalla Confraternita della Radianza Immanente.
Il venusiano piccolo e tarchiato — si chiamava Mondschein, vero? — gli mise in mano un libro. — Il Libro di Lazzaro — disse. — Il racconto della vostra vita e della vostra opera.
— E anche della mia morte?
— Sì, anche della vostra morte.
— Avrete bisogno di una nuova edizione — commentò Lazzaro. Sorrise, ma era il solo ad essere allegro.
Si sentiva forte. Com’era possibile che i suoi muscoli non si fossero decomposti? Com’era possibile che fosse in grado di camminare in mezzo agli uomini e di parlare? Com’era possibile che il suo corpo potesse sostenere lo sforzo del vivere?
Era solo con i suoi seguaci. Nel giro di qualche giorno lo avrebbero portato al loro quartier generale su Venere, dove sarebbe stato costretto a vivere in un ambiente protetto. Vorst gli aveva messo a disposizione un’intera équipe di chirurghi, qualora desiderasse assumere sembianze venusiane, ma Lazzaro, sbalordito nell’apprendere che simili interventi fossero possibili, non era affatto sicuro di voler diventare una creatura con le branchie. Aveva bisogno di tempo per riflettere. Il mondo di cui era inaspettatamente ritornato a far parte era profondamente diverso da quello che aveva lasciato.
Sessanta e rotti anni. E, nel frattempo, Vorst aveva conquistato tutta la Terra, a quanto sembrava. Che fossero quelle le sue intenzioni, del resto, era stato chiaro fin dagli anni ottanta, quando lui aveva cominciato a dissentire dalla sua linea di condotta. Lazzaro aveva aderito al movimento vorsteriano quando era ancora un movimento scientifico-religioso. E ben vero che già allora era inquinato da un eccesso di falso spiritualismo, dal trucco dei reattori al cobalto alla litania dello spettro e dell’elettrone, ma in sostanza era un credo materialista, il cui principale motivo di attrattiva era rappresentato dalla promessa di una lunga (eterna) vita. Era per questo che Lazzaro era entrato nella Confraternita. Ma ben presto, intuendo il grande potere che stava acquisendo il movimento, Vorst aveva cominciato a inserire i propri seguaci nei vari parlamenti nazionali, a rilevare banche, ospedali, compagnie di assicurazione e ad acquistare titoli di imprese di servizi pubblici.
Lazzaro si era opposto a quella politica. Allora il Fondatore era un uomo accessibile e Lazzaro ricordava le loro accese discussioni e i loro scontri. — È necessario per la causa — sosteneva Vorst.
— È un traviamento dei principi ispiratori del nostro movimento — replicava lui.
— Soltanto così potremo raggiungere i nostri obiettivi — ribatteva Vorst.
Lazzaro non era d’accordo. A poco a poco, senza clamori, si era attirato le simpatie di alcuni seguaci e di alcuni confratelli, e, pur restando ufficialmente fedele al Fondatore, aveva dato vita a un movimento rivale. Negli anni di tirocinio presso Vorst, aveva appreso i segreti del mestiere, così non gli fu difficile gettare le basi di un nuovo movimento religioso. Proclamò il regno dell’Eterna Armonia, vestì i suoi seguaci di tonache verdi, confezionò per loro simboli, preghiere e una liturgia e instillò nei loro cuori il fervore dei riformatori. Non poteva dire che il suo movimento fosse particolarmente potente, paragonato alla macchina vorsteriana; nondimeno, oltre ad aver creato un vero e proprio scisma, riusciva ad attirare ogni mese centinaia di seguaci. Fin dall’inizio, Lazzaro aveva concepito la Confraternita dell’Eterna Armonia come un movimento essenzialmente missionario, perché aveva intuito che le sue idee avevano maggiori probabilità di attecchire su Venere, e forse anche su Marte, di quelle di Vorst.
Poi, un giorno del 2090, un gruppo di uomini vestiti d’azzurro si erano presentati al tempio e, dopo aver neutralizzato gli esperiani di guardia, lo avevano portato via con la stessa facilità con cui avrebbero sottratto un pezzo di piombo. Il suo rapimento era l’ultima cosa che ricordava, poi più nulla, fino al giorno in cui si era risvegliato a Santa Fe e aveva appreso che era l’anno 2152 e che i suoi seguaci avevano conquistato Venere.
— Vi sottoporrete all’intervento di adattamento? — gli domandò Mondschein.
— Non ne sono ancora sicuro. Ci sto pensando.
— Sarà difficile per voi operare su Venere nel vostro attuale stato.
— Forse potrei continuare a vivere sulla Terra — suggerì Lazzaro.
— Impossibile. Qui non avete un centro di potere e non credo che Vorst vi dimostrerà oltre la sua generosità. Non penso che tollererà la vostra presenza qui una volta che si sia spento l’entusiasmo per il vostro ritorno.
— Hai ragione — riconobbe Lazzaro con un sospiro. — Allora, mi sottoporrò all’intervento e poi vi seguirò su Venere per vedere che cosa avete costruito.
— Ne rimarrete piacevolmente sorpreso — promise Mondschein.
Sorpreso Lazzaro lo era rimasto già abbastanza per il fatto di essere resuscitato. Mondschein e Neerol se ne andarono. Rimasto solo, Lazzaro studiò le scritture sacre degli armonisti e restò affascinato dal ruolo di martire che gli avevano attribuito. Poi, leggendo un libro di storia armonista, comprese l’importanza che rivestiva la sua figura: laddove l’immaginario dei fedeli vorsteriani si cristallizzava attorno alla persona lontana e inaccessibile di Vorst, gli armonisti potevano venerare serenamente il loro martire buono. Quanti problemi deve aver creato loro la mia resurrezione, pensò Lazzaro.
Vorst non andò mai a fargli visita durante la sua degenza nell’ospedale della Confraternita. Andò invece a trovarlo un uomo di nome Kirby, con il viso pietrificato dalla vecchiaia, che si presentò come Coordinatore dell’Emisfero e come il più stretto collaboratore di Vorst.
— Entrai nella Confraternita prima che voi l’abbandonaste — disse Kirby. — Avete mai sentito parlare di me?
— Non mi sembra.
— Non rivestivo alcuna carica importante allora, perciò non c’era ragione per cui doveste conoscermi. Ma contavo sul fatto che mi avreste riconosciuto se ci fossimo già incontrati. La mia memoria deve fare i conti con i ricordi di decine e decine di anni, la vostra, invece, è ferma a più di mezzo secolo fa.
— La mia memoria funziona benissimo — replicò Lazzaro con voce pacata. — Non mi ricordo di lei.
— Né io di voi.
Lazzaro scrollò le spalle. — Lavoravo al fianco di Vorst e discutevo con lui. Su questo non ci sono dubbi. Alla fine me ne andai e fondai il movimento armonista. Poi, un giorno scomparvi… E adesso eccomi di nuovo qui. Nutre qualche perplessità sulla mia storia?
— No… Forse qualcuno ha manipolato la mia memoria — disse Kirby. — Vorrei ricordarmi di voi.
Lazzaro si distese sul letto e fissò le pareti verdi e gommose. Gli strumenti, che monitoravano i suoi processi vitali, ronzavano e ticchettavano. C’era un odore acre nell’aria: asepsi in corso. Kirby sembrava una creatura irreale. Lazzaro non poté fare a meno di domandarsi quale intrico di pompe e di sostegni tenessero insieme il suo corpo, sotto la stoffa pesante e calda della sua veste azzurra.
— Voi comprenderete che non potete restare sulla Terra — disse Kirby.
— Certo.
— E per vivere su Venere dovrete sottoporvi a un intervento di adattamento. A questo provvederemo noi. I vostri uomini potranno assistere all’operazione. Ne ho già parlato con Mondschein. Che cosa ne pensate?
— Sono d’accordo — rispose Lazzaro. — Operatemi.
L’intervento ebbe luogo il giorno seguente. A Lazzaro seccava che all’evento fosse data risonanza pubblica; del resto, dal momento stesso in cui era riemerso dal suo sonno decennale, non possedeva più una vita privata, e così sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni. Era inutile illudersi del contrario. Ci sarebbero volute alcune settimane per completare la sua trasformazione. Una volta erano necessari mesi. Lo avrebbero dotato di branchie, messo in condizione di respirare quel miscuglio di gas velenosi che era l’atmosfera di Venere e poi lo avrebbero lasciato andare. Lazzaro accettò. I chirurghi lo sezionarono, lo ricucirono e lo prepararono per il viaggio.
Vorst venne a salutarlo. Nonostante la voce fioca e il corpo rinsecchito era ancora una figura imponente e autorevole. — Devi sapere che io non ebbi nulla a che vedere con il tuo rapimento. Fu opera di alcuni fanatici… che agirono a mia insaputa.
— Naturalmente.
— Io apprezzo il fatto che altri abbiano idee diverse dalle mie. Non è detto che la strada che io percorro sia l’unica giusta. Da molti anni sento la mancanza di un rapporto dialettico con Venere. Una volta che sarai ritornato in mezzo ai tuoi, confido molto nella tua disponibilità al dialogo.
— La mia porta resterà sempre aperta, Vorst — rispose Lazzaro. — Tu mi hai dato la vita. Ascolterò con piacere ciò che avrai da dirmi. Non c’è ragione per cui non possiamo collaborare, fino a quando ciascuno rispetterà la sfera degli interessi dell’altro.
— Proprio così! Dopo tutto, noi perseguiamo gli stessi obiettivi. Potremmo unire le nostre forze.
— Non precorriamo i tempi — ammonì Lazzaro.
— D’accordo. Senza fretta, ma anche con il cuore. — Vorst sorrise e se ne andò.
I chirurghi completarono la loro opera. Lazzaro, non più terrestre ora, partì alla volta di Venere con Mondschein e il resto del seguito armonista. Il suo fu un trionfale ritorno a casa, ammesso che di ritorno a casa si potesse parlare per una persona che arrivava in un luogo mai visto prima.
Confratelli dalla carnagione azzurrognola e dalla veste verde lo accolsero calorosamente. Lazzaro visitò i templi e vide le icone sacre al suo ordine. Avevano sviluppato la dimensione spirituale del movimento più di quanto avesse previsto, in pratica facendo di lui un dio, ma non aveva intenzione di modificare nulla. Sapeva quanto fosse precaria la sua posizione. C’erano uomini di consolidato potere all’interno dell’organizzazione che non vedevano di buon occhio il ritorno del profeta, e che, con ogni probabilità, sarebbero stati pronti a martirizzarlo per la seconda, e ultima, volta se avesse osato sovvertire gli equilibri. Lazzaro decise di agire con prudenza.
— Abbiamo fatto grandi progressi con gli esperiani — lo informò Mondschein. — Per quanto ne sappiamo, siamo molto più avanti di Vorst in questo campo.
— Avete già sviluppato la telecinesi?
— Da vent’anni. E la stiamo perfezionando. La prossima generazione…
— Mi piacerebbe vederne un saggio.
— Avevamo già previsto una breve dimostrazione illustrativa.
Gli mostrarono di che cosa fossero capaci: di penetrare all’interno di un ceppo di legno e di farne danzare le molecole fino ad incendiarsi; di spostare un masso sollevandolo in aria; di passare rapidamente da un luogo all’altro. Sì, era davvero impressionante, una vera sfida all’intelligenza umana. E, senza dubbio, in questo superavano di gran lunga i vorsteriani.
Gli esperiani si esibirono davanti a Lazzaro per ore e ore. Mondschein, sereno e affabile, era visibilmente compiaciuto e parlava di soglie, di levitazione, di impeto telecinetico, di fulcri di unità e di altri argomenti che lasciarono Lazzaro perplesso ed entusiasta al tempo stesso.
Colui che era ritornato dai morti indicò la coltre di nuvole grigie che nascondevano il cielo.
— Fra quanto? — domandò.
— Non siamo ancora pronti per il trasporto interstellare — rispose Mondschein. — È nemmeno per quello interplanetario, anche se, in teoria, l’uno non dovrebbe porre problemi maggiori dell’altro. Ci stiamo lavorando. Dateci un po’ di tempo. Ci riusciremo.
— Potremmo farlo con l’aiuto di Vorst? — domandò Lazzaro.
Mondschein si sentì ferito nell’orgoglio. — Che genere di aiuto potrebbe darci? Vi ho già spiegato che noi siamo una generazione avanti rispetto ai loro esperiani.
— Ma bastano i poteri degli esperiani? Forse Vorst potrebbe fornirci ciò che ci manca. Potremmo lanciare una specie di joint venture con i vorsteriani. Non pensa che valga la pena prendere in considerazione anche quest’ipotesi, fratello Christopher?
Mondschein gli rispose con un blando sorriso. — Sì, sì, naturalmente. Certo che ne vale la pena. È una soluzione alla quale non avevamo pensato, lo ammetto, ma voi ci aiutate a vedere i problemi da un nuovo punto di vista. Mi piacerebbe approfondire questo discorso fra qualche tempo, quando vi sarete ambientato sul nostro pianeta.
Lazzaro ascoltò con indulgenza la lunga risposta di Mondschein. Era stato assente per molti anni, ma non così tanti da aver dimenticato come si leggono i significati fra le righe.
Capiva benissimo quando veniva trattato con condiscendenza.
Una volta partita la delegazione di armonisti, la vita a Santa Fe ritornò alla normalità. Lazzaro era risorto e se ne era andato libero per il mondo, i giornalisti della televisione avevano fatto fagotto e gli scienziati avevano ripreso a fare esperimenti e a sondare i misteri ultimi della vita e della mente umana.
— Noel, ma è mai veramente esistito un Davide Lazzaro? — domandò Kirby.
Vorst gli lanciò un’occhiata torva dal bozzolo termoplastico in cui si trovava. Non appena avevano concluso l’intervento su Lazzaro, i chirurghi erano dovuti accorrere al capezzale del Fondatore, colpito da un aneurisma a un’arteria già due volte ricostruita.
Alcuni sensori avevano evidenziato l’area affetta e cucchiai sottocutanei l’avevano esposta: i medici avevano applicato alcuni micronastri e la pericolosa bolla era stata sostituita da una rete di filo e polimeri. Non era la prima volta che Vorst si sottoponeva a una simile operazione.
— Lo hai visto con i tuoi occhi, Kirby — rispose.
— Io ho visto una creatura che è uscita da una tomba, che cammina e parla come un essere raziocinante. Ho anche conversato con lei e l’ho vista trasformata in un venusiano, ma questo non significa che fosse reale. Se tu volessi, potresti crearlo dal nulla un Davide Lazzaro, non è vero, Noel?
— Se volessi. Ma perché dovrei volere una cosa simile?
— È evidente. Per assumere il controllo degli armonisti.
— Se questa fosse stata la mia intenzione — rispose pazientemente Vorst — avrei provveduto cinquanta anni fa, prima che conquistassero Venere. E invece ho lasciato che si espandessero. Quel giovanotto, Mondschein, ne ha fatta di strada.
— Non è un giovanotto. Avrà almeno ottant’anni.
— Un bambino.
— Vuoi rispondere alla mia domanda? Il Lazzaro che è risorto nei nostri laboratori è autentico o no?
Vorst sbatté gli occhi visibilmente irritato. — Sì, Kirby, è autentico. Contento?
— Chi l’ha sepolto in quella cripta?
— I suoi seguaci, suppongo.
— Che poi si sarebbero dimenticati di averlo fatto?
— Be’, allora, forse sono stati i miei uomini. Ma hanno agito senza autorizzazione, a mia insaputa. È accaduto molto tempo fa. — Le mani di Vorst si muovevano in fretta, come se fosse agitato. — Come puoi pretendere che mi ricordi tutto? L’hanno trovato, noi lo abbiamo resuscitato e restituito alla sua gente. Mi stai seccando, Kirby.
Kirby si rese conto di camminare su un campo minato. Vorst era giunto al limite della sopportazione e insistere su quell’argomento avrebbe potuto comportare conseguenze disastrose. Altri uomini, in passato, avevano approfittato troppo della loro intimità con Vorst e, a poco a poco, i loro rapporti con il Fondatore si erano raffreddati.
— Scusami — disse Kirby.
Il malumore di Vorst svanì. — Tu mi credi molto più ambiguo di quanto non sia, Ron. Smettila di preoccuparti del passato di Lazzaro. Pensa al futuro. L’ho restituito agli armonisti. È un dono prezioso quello che ho fatto ai suoi seguaci, che se ne rendano conto oppure no. E adesso loro sono in debito verso di me. È come se mi avessero firmato una cambiale in bianco. Non pensi che ci sarà utile? A tempo debito mi presenterò per incassare ciò che mi devono.
Kirby non fece commenti. Intuiva che Vorst era riuscito ad alterare gli equilibri di potere fra i due movimenti, a mettere in ginocchio gli armonisti che, dopo la conquista di Venere, con la sua ricca vena di esperiani, si erano sensibilmente rafforzati. Non gli era chiaro, però, come ci fosse riuscito, ma fare ulteriori tentativi per capire non gli interessava.
Vorst stava parlando attraverso il comunicatore. Sollevò lo sguardo sul suo braccio destro.
— C’è un altro esperiano in fase terminale — disse. — Voglio andare al suo capezzale. Vieni con me, sì?
— Certamente — rispose Kirby.
Accompagnò il Fondatore attraverso il labirinto di corridoi che conducevano al reparto esperiani dell’ospedale del Centro. Si trattava di un ragazzo, questa volta. Il corpo del giovane, forse un hawaiano, si muoveva a scatti sul letto, come se fosse legato da corde che lo strattonavano ora da una parte ora dall’altra.
— È un peccato che tu non possieda poteri di percezione extra-sensoriale, Kirby — disse Vorst. — Potresti avere qualche visione del futuro.
— Sono troppo vecchio per rimpiangerlo adesso — replicò il Coordinatore.
Vorst si avvicinò al letto sulla sua sedia a rotelle e fece cenno a un esperiano di raggiungerlo. Allacciarono le mani, stabilendo il contatto. Kirby osservò la scena. Che cosa stava provando Vorst in quel momento? Ogni volta il corpo del ragazzo si contraeva, le sue labbra si raggrinzavano, si storcevano, quasi, in una smorfia di scherno, scoprendo le gengive. Si diceva che durante quelle crisi, che precedevano la morte, gli esperiani viaggiassero nel tempo. Per Kirby non significava niente. In quel momento Vorst stava viaggiando insieme al ragazzo, e questo gli permetteva di catturare un’immagine confusa del mondo oltre i confini del tempo.
Presente… presente… passato… futuro.
Per un istante Kirby ebbe la sensazione di essere entrato anche lui in contatto con l’esperiano e di essersi unito come terzo passeggero al suo viaggio nel tempo. Che cos’era quella confusione che adombrava il passato? E quella luce dorata che illuminava il futuro? Maledetto farabutto, che cosa mi hai fatto?… Lazzaro che si impone al di sopra di tutto, Lazzaro che non era nemmeno reale, ma un androide costruito in un laboratorio sotterraneo per ordine di Vorst, una marionetta nelle sue mani… Lazzaro che si era impadronito del futuro e lo sottraeva…
Il contatto si interruppe. Il ragazzo era morto.
— Ne abbiamo perso un altro — borbottò Vorst. Poi guardò Kirby. — Ti senti male? — domandò.
— No, sono solo stanco.
— Risposati, allora. Sei bobine di storia e poi una bella siesta nella vasca del rilassamento. Possiamo distenderci adesso. Lazzaro è un problema risolto.
Kirby annuì. Un addetto coprì il corpo del ragazzo con un lenzuolo. Nel giro di un’ora i neuroni del giovane esperiano sarebbero stai messi a congelare in una cella frigorifera nel palazzo vicino. Camminando lentamente, come se non cento, ma ottocento primavere gravassero sulle sue spalle, Kirby seguì Vorst fuori dalla stanza. Era calata la sera e, come sempre, nel cielo del Nuovo Messico le stelle brillavano di una luce particolarmente intensa; bassa, sopra le montagne, all’orizzonte, Venere splendeva più di tutte. Gli eretici avevano il loro Lazzaro lassù. Avevano perso un martire e avevano guadagnato un profeta. Ma, senza accorgersene — lui stesso cominciava a rendersene conto soltanto adesso — erano già finiti tutti quanti nel sacco di Vorst. Quel vecchiaccio era odioso. Kirby si raggomitolò sotto la spessa veste azzurra e, faticando un po’ nel tenere il passo, seguì il Fondatore, che faceva ritorno nel suo ufficio. Quel breve, inspiegabile contatto con l’esperiano gli aveva procurato il mal di testa. Ma dopo dieci minuti, Ron Kirby si sentiva già meglio.
Pensò di andare in chiesa a pregare. Ma a che prò? Perché inginocchiarsi di fronte al Fuoco Azzurro? Gli bastava andare da Vorst se voleva una benedizione… Vorst, il suo maestro e la sua guida per quasi ottant’anni, Vorst che riusciva a farlo sentire tranquillo come un bambino, Vorst che aveva resuscitato Lazzaro dai morti.