Si fermò bruscamente, nel vedere le loro facce silenziose, luccicanti di fuoco. Era vestito con semplicità: un lungo mantello di lana scura che nascondeva abiti più scuri. Ma nulla poteva dissimulare il suo corpo possente, la fierezza della testa, la figura maestosa. A Kir aveva dato i suoi capelli neri, le sopracciglia arcuate come ali, i lineamenti del volto, e l’espressione, perfino: ma i profondi occhi grigi erano colmi di un’umanità che Kir non possedeva. E ora il suo sguardo correva da Fiord a Kir, per poi posarsi sul drago. Trame d’ombra e di fuoco guizzavano sui capelli d’oro del giovane, sui chiari occhi azzurri: il re chiuse gli occhi, come sopraffatto dal tormento.
Dietro di lui apparve Lyo. Per un attimo il suo sguardo indugiò, estatico, a contemplare l’arabesco di fuoco che palpitava sulle pareti; poi vide il libro degli incantesimi aperto sul tavolo, e i suoi occhi si volsero a Fiord, in muta, sorpresa interrogazione. Kir lasciò cadere la ghirlanda che ancora teneva in mano, e la ragnatela si dissolse.
Si alzò in piedi; e così fece il drago. Rannicchiata vicino al focolare, Fiord avrebbe voluto che un incantesimo la facesse scomparire tra le pagine del libro. Kir e il padre si guardavano in silenzio, come se non trovassero le parole.
Finalmente il re parlò: «Il mago mi ha detto che ti avrei trovato in questa casa. È qui che tu vieni, dunque.»
«A volte vengo qui…» s’interruppe, la gola riarsa. «E a volte vengo solo per guardare il mare.»
Il re annuì, di nuovo silenzioso. I suoi occhi si posarono sul drago, sbalorditi, increduli. Kir strinse i pugni, e Fiord vide un improvviso dolore invadergli il volto.
«È tuo figlio» disse, aspramente. «Il tuo vero figlio. Prendilo con te, e rendimi al mare.»
Il re tacque ancora, immobile. Poi, in due passi, raggiunse Kir e lo prese per le spalle: «Anche tu sei mio figlio!» lo scosse leggermente con le grandi mani; poi allentò la stretta. «Sei così simile a tua madre…» aggiunse, con voce roca. «Così simile! Ho cercato di non vederlo, in tutti questi anni. Non capivo come fosse possibile. Hai i suoi occhi. Ogni volta che ti guardavo, vedevo il suo viso. E tuttavia… com’era possibile?» Guardò di nuovo il drago. «E questo, quest’altro figlio, ha il volto della giovane regina, la donna che ho sposato e che cominciavo appena a conoscere, quando morì.»
Inquieto, il drago si avvicinò a Kir: quell’improvvisa, sconcertante tensione sembrava metterlo a disagio. Gli occhi del re si muovevano increduli dall’uno all’altro giovane — uno biondo, uno bruno — entrambi riflessi di un confuso passato.
«Cosa stai facendo?» azzardò il drago, e il re ebbe un sussulto.
Intervenne Lyo, delicatamente: «Non conosce ancora molte parole. Fiord gliene insegna ogni notte, quando assume la forma umana.»
«Perché solo di notte?» domandò il re. «Perché continua a tenerlo in quella forma di mostro? C’è un prezzo da pagare, per portarlo via dal mare? C’è un prezzo?»
Lyo attraversò la stanza, sedendosi accanto a Fiord: «Non lo so» si limitò a dire. «Penso che dovrebbe chiederlo a lei.»
Il re afflosciò le spalle, come sopraffatto dalla stanchezza; d’improvviso appariva smarrito, impotente. Guardò Fiord, che si acquattava vicino al fuoco, cercando di nascondersi dietro Lyo. E di colpo Fiord si rese conto d’essere terribilmente sciatta: il selvaggio groviglio dei capelli, le mani callose, la coperta rattoppata con cui copriva la stinta camicia da notte.
«Tu sei l’amica di mio figlio» le disse il re.
Il volto di Fiord riprese colore, si sollevò con fierezza: come se con quella parola il re avesse conferito un’improvvisa dignità a lei e alla sua logora coperta.
Incuriosito, il drago ripeté la parola: «Amica.»
Il re si sedette: «Il mago mi ha portato un anello» disse, stancamente. «Il mio anello. Mi ha detto chi l’ha gettato in mare. E chi l’ha restituito.» Scrutò il viso di Kir come se di nuovo vi scorgesse lunghe chiome pallide adorne di perle, ondeggianti nella marea. La voce gli si addolcì: «Pensavo che ti fossi innamorato della figlia di un pescatore.»
«È così» commentò lui, rigidamente.
«Pensavo che fosse questo, a tormentarti» continuò il re. «Speravo che fosse solo questo. Il mago ha detto che se volevo fare qualcosa di saggio, per una volta, dovevo chiederti cos’è che vuoi. Ha detto…»
«Come lo sapevi?» l’interruppe Kir, rivolto a Lyo.
La sua voce era tesissima; il drago si dimenò, nuovamente inquieto. Lyo alzò gli occhi dalle ghirlande sparpagliate sul libro. Parlò con calma, ma parve a Fiord che scegliesse con estrema cura ogni parola, come se pronunciasse un incantesimo per scongiurare una burrasca: «Strane cose hanno attratto la mia attenzione. Felicità, dolore s’intrecciano attraverso il mondo come fili dai colori bizzarri, che conducono in luoghi imprevedibili. Anche quando sono nascosti, profondamente segreti, lasciano segni, lasciano messaggi, perché ciò che non viene espresso in parole si manifesta in altri modi. In città mi era giunta voce che i pescatori di un piccolo villaggio desideravano l’intervento di un grande mago, per togliere una catena d’oro ad un mostro marino. Prima ancora di vedere la catena, sapevo che l’oro era la cosa meno importante. Molto più importante era il legame che qualcuno aveva forgiato tra acqua e aria, tra un luogo misterioso sotto le onde e il luogo dove dimorano gli uomini. E quando ho visto il drago, quando mi sono tuffato nei suoi grandi occhi per penetrargli nella mente, allora ho capito…»
«Che cosa… cosa hai capito?» mormorò il re.
«Perché fosse tanto attratto dai pescherecci, dalle voci umane. Perché emergesse dalle onde per scrutare la terraferma. E allora ho cominciato a sospettare come mai il re e suo figlio fossero venuti così presto, quest’anno, e come mai così spesso si vedesse il giovane principe galoppare sul suo cavallo, nelle ore più strane del giorno e della notte, lungo la riva del mare… Ancora non sapevo, allora, quanto di tutto ciò comprendessero il re o il principe o il drago. E tuttora non so perché al drago fosse finalmente consentito di comparire sulla superficie dell’acqua. Ma io l’ho liberato, e ho trasformato in fiori la catena d’oro… in parte per disturbare il mare, per mandargli un messaggio. E in parte perché, se l’oro affonda, i fiordalisi possono galleggiare. E poi ho cercato di insegnargli alcune cose. E poco dopo lui ha ripreso la sua forma d’uomo… ancora non capisco come e perché. E ha trovato Fiord. Ha un nome?» chiese al re.
Il re scosse la testa, pallidissimo: «Ho battezzato mio figlio dopo la morte della regina. Mio figlio venuto dal mare. Non ricordo di aver mai visto il vero bambino di mia moglie. Il bambino che ho visto nella culla, l’ho chiamato Kir: e ricordo di aver notato quanto fossero scuri i suoi occhi, il blu cupo del crepuscolo, e di essermi detto che sarebbero cambiati, per assumere il colore estivo degli occhi di sua madre. Ma non sono cambiati.»
«Ma giù in fondo al mare, prima di metterlo nella culla del principe, la madre di Kir deve averlo chiamato in qualche modo. Così Kir ha un doppio nome…»
«Perché doveva darmi un nome…» sussurrò Kir «… per poi abbandonarmi? Deve averci odiati entrambi, per incatenare lui a quel modo, e gettar via me…»
«Non ti ha gettato via. Ti ha dato a me!» ribatté il re. «Sapeva che ti avrei amato. Io l’amavo, tua madre.»
Kir rimase in silenzio; continuava a chiudere e aprire le mani.
Il re si alzò adagio, si mise davanti a lui: «È così terribile?» domandò, con dolore. «È così terribile stare con me sulla terra?»
«È terribile» rispose lui, con voce rotta. Sollevò il viso, perché il re vedesse i suoi occhi di mare. «Non posso farne a meno. Non riesco a trovar pace in questo mondo. Solo nel mare potrei trovar pace. E non posso amare, in questo mondo. Neppure Fiord.»
«Tu mi hai amata» disse lei, con voce tremante.
«No.»
«Sì, invece. Ti sei preoccupato per me. Hai pensato a me.»
Kir tacque di nuovo, guardandola; e un guizzo di luce gli trasformò il viso per un attimo. Poi si rivolse al padre, gli sfiorò un braccio in atteggiamento di supplica: «Ti prego. Devi lasciarmi andare.»
«Come puoi…» il re s’interruppe. A fatica riprese: «Come puoi esser certo che una volta nel mare non avrai nostalgia di questa terra?» Il fuoco gli illuminava il viso, rivelando un luccichio di lacrime trattenute. Fece una nuova pausa, come per trovare la forza di proseguire. E le parole gli venivano con difficoltà, quando aggiunse: «Se tu non lo desiderassi con tanta passione, non ti lascerei mai andar via.»
«Ti prego, vorrai… vorrai parlare con mia madre?»
Gli occhi del re lasciarono il figlio, per scivolare in una lontana memoria. Le linee severe del suo volto si spianarono, si ammorbidirono, come se guardasse il mare azzurro d’un giorno d’estate: «Un tempo» bisbigliò «un tempo ero in grado di comprendere il suo strano linguaggio marino.»
Di nuovo balzò intorno a loro la ragnatela di fuoco. Giocherellando con le ghirlande, Lyo aveva creato un tale groviglio di fili che pareva di trovarsi in un fiammeggiante labirinto.
«Stai mettendo a fuoco il mondo» mormorò il drago.
«Già, non è acqua…» commentò Lyo, pensosamente. «È una cosa che non può esistere nell’acqua… Strano, strano…»
«Di che si tratta?» chiese il re. «Un altro messaggio?»
«Sono i malefici di Fiord. Le sue ghirlande di sterpi. La madre di Kir gliele ha restituite così, trasformate in lune e sentieri di luna, sentieri di fuoco.»
«Perché?»
«Perché ce ne servissimo.»
«Come?»
Lyo scosse la testa: «Non lo so» bisbigliò, come incantato dall’intreccio di luce. «Non lo so proprio.»
Immobile accanto al padre, Kir osservava in silenzio. Sembrava placato, notò Fiord: già era più simile a sua madre, come se cominciasse a spogliarsi della sua esperienza umana. Volgendo gli occhi su Fiord, colse il suo sguardo malinconico, e le rivolse un sorriso. Fiord inghiottì un nodo di tristezza, un nodo che sapeva di salmastro. Kir la stava già lasciando.
Il drago si agitava, irrequieto: la marea lo chiamava, invitandolo a riprendere la sua forma di mostro.
«Fiord» disse «devo andare.»
Fiord annuì.
Il re si rivolse al mago: «Cosa possiamo fare, per lui?» Rughe profonde gli solcavano di nuovo il viso. «I miei due figli vivono in un mondo a metà. Non voglio perderli entrambi nel mare.»
Il drago si avvicinò a Kir, le dita che annaspavano sulla fibbia del mantello. Kir lo fermò, dolcemente: «Tienilo» disse. «Fuori fa freddo. Aspetta, vengo con te sulla riva.»
Il drago scosse la testa: «No. Rimani.»
Nel silenzio della stanza si udiva soltanto la marea. Ascoltando, il drago s’illuminò di un sorriso: il suo sorriso sereno, senza conflitti, come se anche le onde, i pesci, i gabbiani fossero cose che amava, insieme a tutte le parole imparate e al tocco umano di Fiord. Fiord gli apri l’uscio, lo salutò con un abbraccio affettuoso. Il drago fece per avviarsi, poi si voltò a guardare il re, incerto, come folgorato da qualcosa che finalmente vedeva ma non riusciva a comprendere: «Io voglio…» Esitò, misurandosi con quel suo nuovo pensiero. «Io devo rivederti.»
Il volto del re si distese in un immenso sollievo: «Sì» disse. «Sì.»
Fiord lasciò aperta la metà superiore dell’uscio, affacciandosi a guardare la vaga figura inondata di luna, che attraversava la spiaggia. Inaspettatamente Kir le venne vicino, cingendola tra le braccia, il viso premuto sui suoi capelli, e guardò con lei. Alle loro spalle, anche il re guardava. Il drago raggiunse il limitare della marea; lasciò cadere il mantello di Kir e avanzò nudo nella risacca, pallida figura inondata di luna, che diventava via via più grande e buia.
Nel profondo silenzio un rametto scricchiolò, facendoli sobbalzare. Rivolgendosi impetuosamente a Lyo, il re gridò: «Fa’ qualcosa!»
Lyo annuì: appariva deciso, ma vagamente perplesso.
«Ci vuole la luna piena» osservò Fiord, ricordando la formula magica letta nel libro, e Lyo le scoccò un’occhiata severa.
«Non funzionerà, con me» mormorò Kir, di nuovo scoraggiato.
«Dovrebbe funzionare, invece» disse Lyo. «Quelle formule si trovano nel libro degli incantesimi proprio perché funzionano. Ecco perché…» chiuse il libro e lo fece scomparire: presumibilmente, pensò Fiord, in qualche cespuglio segreto.
Kir aveva gli occhi inchiodati sul mago: «Un dono… C’è scritto che devo…»
«Ah!» Lyo scosse la testa. «Questo vale per i maghi. Tu hai il desiderio del tuo cuore: dovrebbe essere quello, il tuo sentiero. Tu stesso sei il dono.»
«Ma lei non ha… non vuole…»
Lyo prese a scompigliarsi i capelli, nervosamente: «Lo so. É una cosa che non capisco. Quelle ghirlande! Ci ha restituito le ghirlande perché potessimo servircene. Sono vitali, sono necessarie…»
«E come…»
«Non lo so. Non lo so ancora, per il momento» sospirò. «Posso solo tentare.»
«Quando?» chiese il re.
«Tra cinque notti. Quando la luna sarà piena. Mi troverete davanti alle guglie.»
Kir annuì, senza parlare. Stancamente, il re gli posò una mano sulla spalla: «Vieni a casa, figliolo, finché mi rimangono ancora questi pochi giorni con te» disse. «Sarai magari consumato dal desiderio di tornare ai tuoi abissi, ma io ti ho avuto per diciassette anni, e lasciandomi ti porterai via ciò che ho di più caro. Se il mare esige un dono, sarò io a offrirglielo.»
Kir abbassò la testa. Sempre in silenzio, si avvicinò a Fiord e la baciò sulla guancia; poi le sollevò il viso tra le mani, scrutandola negli occhi. “Non sarà facile” dicevano i suoi occhi “non sarà facile lasciarti”. «Ma devo» disse, e uscì con suo padre.
«Il mago è tornato» annunciò Fiord, con noncuranza, mentre riempiva il secchio alla pompa del cortile, il mattino dopo.
Marli fece un sospiro di sollievo: «Grazie al cielo! I pescatori potranno riprendere il lavoro.»
Carey saltellava tutta eccitata: «Farà qualcosa per renderci l’oro?»
«Quanto all’oro, non saprei» disse Fiord. «Ma penso che metterà fine alle strane cose che succedono sul mare.»
«E l’oro?»
«Non ne ha parlato.»
«Ma perché non…» Carey s’interruppe, fissandola con sorpresa. «Perché è venuto da te? Dov’è che l’hai visto?»
Fiord finì di riempire il secchio e lasciò il posto a Marli: «Siamo usciti insieme col “Riccio” ieri mattina. Sì, credo che fosse ieri mattina.» Improvvisamente le pareva trascorsa un’infinità di tempo. Si rivolse a Marli: «Puoi riferire a Enin che il mago è tornato.»
«D’accordo.» Anche Marli la stava scrutando incuriosita, come se cominciasse a intravedere la magica foschia in cui Fiord si muoveva: una foschia dove i draghi si trasformavano in principi ai suoi piedi, e i re bussavano alla sua porta. «Non so perché, ma ho la buffa sensazione che tu ne sappia più di quanto dici, in fatto di oro, e maghi, e mostri marini…»
Fiord le ricambiò lo sguardo in silenzio, afferrando il secchio; già aveva le scarpe e l’orlo del vestito inzuppati d’acqua.
Marli scosse adagio la testa, come a respingere l’inquietante visione che s’era insinuata nei suoi pensieri: «No, lascia perdere» disse. «Era un’idea stupida.» Riempì a sua volta il secchio.
Fiord fissava il luminoso mare del mattino, la gola stretta in un nodo di sofferenza: pensava a Kir, e alla sua vita senza Kir, senza il drago. Un’interminabile successione di secchi e strofinacci… Per la prima volta capì Carey. Un luccicante sentiero dorato s’allontanava dalla locanda, per portare a… a cosa? A dove? Ma era da lei che erano venuti, i due principi, dalla piccola sguattera senza oro: e nessun oro al mondo le avrebbe mai comprato quella cosa: il magico bacio del mare.
«Sveglia, ragazzina!» disse Marli.
Con un sospiro, Fiord sollevò il secchio.