SANSA

Si svegliò di soprassalto, con tutti i nervi che fremevano.

Per qualche momento, non riuscì a capire dove si trovava. Aveva fatto un sogno. Era piccola, e divideva ancora la camera da letto con sua sorella Arya. Ma la persona che udì girarsi nel sonno era la sua cameriera, non sua sorella. E quel luogo non era Grande Inverno, ma Nido dell’Aquila. “E io non sono più Sansa Stark. Adesso sono Alayne Stone, una bastarda.” Sansa era al caldo sotto le coperte, ma la stanza attorno a lei era buia e gelida. L’alba era lontana. A volte, sognava di ser Ilyn Payne, e si svegliava con il cuore in gola. Questo sogno era stato diverso. “Casa. Ho sognato di essere a casa.”

Ma Nido dell’Aquila non era casa sua. Non era più grande del Fortino di Maegor, e all’esterno delle sue lisce mura bianche c’erano solo la montagna e la lunga, pericolosa discesa oltre Cielo, Neve e Pietra, i fortini alle altezze intermedie, fino alle Porte della Luna, sul fondo della valle. Non c’era nessun posto dove andare e nemmeno molto da fare. I vecchi servitori ricordavano come quelle sale riecheggiassero di risate all’epoca in cui Eddard Stark e Robert Baratheon erano i protetti di Jon Arryn. Ma quei giorni erano svaniti da molto tempo. Lady Lysa aveva una corte ridotta, e di rado permetteva ai suoi ospiti di scendere fino alle Porte della Luna. Oltre alla cameriera, una donna di mezza età, l’unico compagno di Sansa era lord Robert Arryn, otto anni. Il quale però era come se ne avesse tre, di anni.

“E poi c’è Marillion. C’è sempre Marillion.” Quando il cantastorie suonava per loro a cena, il giovane spesso sembrava esibirsi solo e soltanto per Sansa. Sua zia ne era tutt’altro che compiaciuta. Lady Lysa era rapita da Marillion, e aveva già bandito due servette e addirittura un paggio per avere raccontato menzogne su di lui.

Ma anche Lysa si sentiva sola quanto Sansa. Il suo nuovo marito sembrava passare più tempo ai piedi della montagna di quanto non ne passasse sulla cima. In quei giorni era assente. Se ne era andato da circa una settimana per incontrare i Corbray. Da frammenti di conversazione che Sansa aveva udito casualmente, gli alfieri di Jon Arryn non solo non avevano gradito il matrimonio di Lysa ma provavano anche un forte risentimento nei confronti di Petyr Baelish per il suo incarico di lord protettore della Valle. Il ramo principale della Casa Royce era quasi in aperta rivolta per il rifiuto di Lysa a correre in aiuto di Robb Stark nella sua guerra contro i Lannister. E anche altre nobili Case della Valle, i Waynwood, i Redfort, i Belmore e i Templeton, stavano dando il loro appoggio ai Royce. Inoltre, i clan dei barbari delle montagne erano sempre più turbolenti, e la morte del vecchio lord Hunter era stata così improvvisa da indurre i due figli minori a sospettare il fratello primogenito di parricidio. La valle di Arryn era stata risparmiata dai disastri della guerra, ma non era affatto quel luogo idilliaco che lady Lysa aveva cercato di creare.

“Non posso rimettermi a dormire” realizzò Sansa. “Ho troppi pensieri per la testa.” Spinse via con riluttanza il cuscino, scostò le coperte, andò alla finestra e aprì le imposte.

Su Nido dell’Aquila stava cadendo la neve.

All’esterno, i fiocchi fluttuavano soffici e silenziosi come i ricordi. “È stata la neve a svegliarmi?” Sul giardino in basso si era già depositato uno spesso strato candido ricoprendo il prato, spruzzando di bianco i cespugli e le statue, incurvando i rami degli alberi. Queste immagini riportarono Sansa alle fredde notti, di tanto tempo prima, nella lunga estate della sua infanzia.

L’ultima volta che aveva visto la neve era stata a Grande Inverno. “Una nevicata più leggera di questa” ricordò. “Quando mi diede l’ultimo abbraccio, Robb aveva i fiocchi che si scioglievano nei capelli e la palla di neve che Arya cercava di fare continuava a dissolversi tra le sue dita.” Ricordò come si era sentita felice, quella mattina. Ma adesso quel ricordo la faceva soffrire. Hullen, il mastro dei cavalli di suo padre, l’aveva aiutata a montare in sella. Poi lei aveva cavalcato fuori della Prima Fortezza per entrare nel grande, vasto mondo che l’attendeva, con tanti fiocchi bianchi che le turbinavano attorno. “Pensavo che il mio canto fosse appena all’inizio quel giorno, invece era quasi alla fine.”

Mentre si vestiva, Sansa lasciò aperte le imposte. Le torri di Nido dell’Aquila circondavano il giardino, proteggendolo dall’assalto dei duri venti delle montagne, ma là fuori avrebbe fatto comunque freddo, lei già lo sapeva. Indossò biancheria di seta e una tunica di lino, su cui fece scivolare un abito di calda lana d’agnello blu. Seguirono due paia di calze lunghe a proteggere le gambe, stivali allacciati fino al ginocchio, spessi guanti di pelle e infine un mantello con cappuccio di morbida pelliccia di volpe bianca.

La neve penetrò dalla finestra e la cameriera, nel letto, si avvolse più strettamente nelle coperte, continuando a dormire. Sansa aprì piano la porta e scese la scala a chiocciola. Quando aprì la porta che dava sul giardino, restò quasi senza fiato per il meraviglioso scenario che si trovò davanti. Non voleva turbare una bellezza così perfetta. La neve continuava a cadere in un silenzio spettrale, formando al suolo una coltre spessa, intonsa. Tutti i colori del mondo esterno erano svaniti. Il luogo era fatto unicamente di bianco, nero e grigio. Torri bianche, neve bianca, statue bianche, ombre nere e alberi neri, e un cielo grigio che sovrastava tutto.

“Un mondo puro” pensò Sansa. “Al quale io non appartengo.”

Ma poi avanzò in quella purezza. I suoi stivali scavarono piccole buche nella liscia superficie, affondando fino alla caviglia, senza alcun rumore. Sansa si spostò oltre arbusti irrigiditi dal gelo ed esili alberi scuri, continuando a domandarsi se non stesse ancora sognando. I fiocchi di neve le sfiorarono il viso, leggeri come i baci di un amante, sciogliendosi sulle sue guance. Al centro del giardino, la statua di una donna piangente giaceva a terra, spezzata in due e semisepolta dalla neve. Quando giunse accanto a quel simulacro, Sansa si fermò e alzò il viso verso il cielo, chiudendo gli occhi. Percepì i fiocchi sulle ciglia, ne sentì il sapore sulle labbra. Il sapore di Grande Inverno. Il sapore dell’innocenza. Il sapore dei sogni.

Sansa riaprì gli occhi. Era in ginocchio nella neve. Non ricordava di essere caduta. Le parve che il cielo avesse assunto una sfumatura grigio pallido. “L’alba. Un nuovo giorno. Un altro nuovo giorno.” Ma erano i vecchi giorni quelli di cui aveva una disperata nostalgia. Quelli per cui pregava. Ma pregava chi? Come lei sapeva, un tempo quel giardino era destinato a essere il parco degli dèi di Nido dell’Aquila, ma il terreno era troppo pietroso perché un albero-diga potesse attecchire. “Un parco degli dèi senza dèi, vuoto come lo sono io.”

Raccolse una manciata di neve e la strinse tra le dita. La neve, umida e pesante, si compresse con facilità. Sansa si mise a fare palle di neve, compattandole fino a quando non furono rotonde, bianche, perfette. Ricordò un mattino di un’altra neve d’estate, a Grande Inverno, quando Arya e Bran le avevano teso un agguato mentre lei usciva dal castello. Sua sorella e suo fratello si erano muniti di una dozzina di palle di neve a testa, lei invece non ne aveva nessuna. Bran, il piccolo scalatore, si era appostato sul tetto del ponte coperto, fuori dalla sua portata. Sansa però aveva inseguito Arya dentro le stalle e attorno alle cucine, l’aveva inseguita fino a quando tutte e due si ritrovarono senza fiato. Sansa sarebbe anche riuscita a prenderla se non fosse scivolata su una lastra di ghiaccio. Arya era tornata indietro per vedere se si era fatta male. E quando Sansa le aveva detto di no, Arya l’aveva colpita in viso con un’altra palla di neve. Sansa l’aveva afferrata per una gamba, trascinandola a terra e riempiendole i capelli di neve, fino a quando Jory Cassel, ridendo, era accorso a separarle.

“Che cosa mi illudo di poter fare con queste palle di neve?” Si fermò a guardare il suo piccolo, triste arsenale. “Non c’è nessuno a cui tirarle.” Aprì le dita, lasciando cadere quella che stava ancora facendo. “Però potrei fare un pupazzo di neve. Oppure…”

Afise due palle di neve l’una nell’altra, ne aggiunse una terza, poi ammassò altra neve e lavorò il tutto fino a fargli assumere una forma cilindrica. Quindi si rialzò, e con la punta del mignolo scavò i fori delle finestre. I merli sulla sommità furono un po’ più difficili, ma una volta completati, Sansa aveva costruito una torre. “Adesso però ci vogliono delle mura” pensò. “E tutto un castello.” Si rimise all’opera.

La neve continuò a cadere e il castello continuò a crescere. Due cerchie di mura s’innalzavano fino alla caviglia, quella interna più alta di quella esterna. Torri e torrette, manieri e scale, le cucine rotonde, l’armeria quadrata, le stalle lungo le mura occidentali. All’inizio, era stato solo un castello senza nome, ma in breve Sansa si rese conto di stare costruendo Grande Inverno. Sotto la neve, trovò arbusti e rami caduti. Li spezzò, tramutandoli in alberi per il parco degli dèi. Per le lapidi nel terreno delle sepolture si servì di frammenti di corteccia. In breve, si ritrovò con i guanti e gli stivali ricoperti da una crosta bianca, le mani che le bruciavano, i piedi inzuppati e gelidi. Ma non le importava. L’unica cosa che contava in quel momento era il castello. Certe cose erano difficili da ricordare, ma per la maggior parte le tornarono alla mente con facilità, come se le avesse viste il giorno prima. La Torre della biblioteca, con la ripida scala di pietra che si svolgeva lungo la parete esterna. Il corpo di guardia, i due enormi torrioni difensivi, il ponte coperto ad arcata che li collegava, i merli lungo tutte le mura…

La neve continuò a cadere, bianca, inesorabile. Formava cumuli alla base della costruzione di Sansa con la stessa rapidità con cui lei la erigeva. Udì la voce mentre stava sistemando il tetto della sala grande. Sansa alzò la testa. C’era la sua cameriera affacciata alla finestra. Tutto bene, mia signora? Desiderava fare colazione? Sansa scosse il capo e continuò a dare forma alla neve. Aggiunse un camino verso il fondo della sala grande, nel punto in cui, all’interno, c’era il focolare.

L’alba si insinuò nel giardino, subdola come un ladro. Il cielo assunse una tonalità di grigio ancora più chiara. Sui loro bastioni di neve, gli alberi e i cespugli divennero colore verde scuro. Alcuni servitori uscirono a guardarla lavorare. Sansa li ignorò e loro tornarono dentro, dove faceva più caldo. Vide lady Lysa che la osservava dalla balconata delle sue stanze, avvolta in una vestaglia di velluto blu bordata di pelliccia di volpe bianca. Ma quando Sansa alzò nuovamente lo sguardo, sua zia non c’era più. Anche maestro Colemon, magro, tremante di freddo ma incuriosito, si affacciò dall’uccelliera a dare a sua volta un’occhiata.

I ponti di collegamento della fortezza di Sansa continuavano a crollare. C’era un ponte coperto tra l’armeria e il maniero principale, un altro che dal quarto piano della torre campanaria scendeva al secondo piano dell’uccelliera. Ma a dispetto della cura che lei gli dedicava, semplicemente non stavano assieme. Al terzo crollo, Sansa imprecò a voce alta e sedette nella neve, piena di frustrazione impotente.

«Pressa la neve attorno a un ramo, Sansa.»

Sansa non aveva idea da quanto tempo lui la stesse guardando, né quando fosse tornato dalla Valle. «Attorno a un ramo?» ripeté.

«Permetterebbe ai tuoi ponti di reggersi, credo» disse Petyr Baelish. «Posso venire nel tuo castello, mia signora?»

Sansa era un po’ guardinga e sospettosa. «Non danneggiarlo. Sii…»

«…delicato?» Ditocorto sorrise. «Grande Inverno ha resistito a nemici ben più feroci di me. Perché questo è Grande Inverno, vero?»

«Sì» ammise Sansa.

Petyr fece il giro delle mura. «L’ho sognato spesso, dopo che Cat fu andata a nord assieme a Eddard Stark. Nei miei sogni era sempre un luogo cupo. Un luogo gelido.»

«Invece no. Era sempre caldo, perfino quando nevicava. L’acqua delle sorgenti calde sotterranee scorreva dentro i condotti nelle mura, mantenendole calde. E all’interno dei giardini vetrati, sembrava sempre di essere nei giorni più caldi dell’estate.» Sansa si alzò, dominando il grande castello bianco. «Non so come fare il tetto di vetro dei giardini coperti.»

Ditocorto si passò una mano sul mento, dove un tempo aveva il pizzetto, prima che lady Lysa gli chiedesse di tagliare la barba. «I vetri erano fissati con delle cornici, vero? Rametti, ecco la soluzione. Togli la corteccia, li sistemi a croce e usi del sughero per fissarli alla cornice. Ti faccio vedere.»

Si aggirò per il giardino innevato, raccogliendo rametti di varie dimensioni, scuotendo la neve incrostata sulla corteccia. Quando ne ebbe raccolti abbastanza, con un lungo passo scavalcò entrambe le cinte di mura del castello, accoccolandosi sui talloni in mezzo al cortile.

Sansa si avvicinò per vedere che cosa stava facendo. Le mani di Petyr erano abili e i movimenti precisi, in breve ebbe costruito e sistemato il tetto in miniatura, davvero somigliante alla copertura delle serre di Grande Inverno.

«Quanto ai vetri» disse nel presentarle l’opera «dovremo affidarci all’immaginazione.»

«È perfetto!» esclamò Sansa.

Petyr Baelish le sfiorò il viso. «Anche questo lo è.»

Sansa non capì. «Che cosa?»

«Il tuo sorriso, mia signora. Vuoi che ti prepari un altro tetto di vetro?»

«Se tu davvero volessi…»

«Nulla potrebbe darmi più piacere.»

Sansa costruì le pareti dei giardini vetrati, mentre Ditocorto andava avanti a sistemare il tetto. Una volta completata l’opera, lui l’aiutò a prolungare le mura e a erigere i baraccamenti delle guardie. Sansa rinforzò i ponti coperti con rametti e questa volta, proprio come Petyr aveva detto, i ponti riuscirono a reggere. La Prima Fortezza era abbastanza semplice, una vecchia torre a forma di tamburo, Sansa però fu di nuovo nei guai quando si trattò di collocare i doccioni attorno al perimetro sulla sommità.

E di nuovo, Petyr trovò la soluzione. «Sta nevicando sul tuo castello, mia signora» rilevò. «Che aspetto hanno i doccioni quando sono coperti di neve?»

Sansa chiuse gli occhi, cercando di evocarli nel ricordo. «Sono dei semplici oggetti bianchi.»

«Bene, allora. I doccioni sono difficili da fare, ma questi oggetti bianchi dovrebbero essere facili.»

E così fu. La Torre Spezzata risultò ancora più facile. Sansa e Petyr costruirono l’alta torre lavorando assieme, inginocchiati l’uno accanto all’altra a lisciare e a compattare la neve. Quando l’ebbero innalzata, Sansa infilò le dita nella cima, afferrò una manciata di neve e la gettò dritta in faccia a Petyr. Lui urlò, la neve che gli scivolava dentro il colletto.

«Questo, mia signora, è stato un gesto tutt’altro che cavalieresco.»

«Anche il tuo, che mi hai condotta quassù dopo avermi giurato che mi avresti riportata a casa.»

Sansa si chiese da dove venisse quel suo improvviso coraggio, a parlargli con tale franchezza. “Da Grande Inverno” pensò. “Sono più forte tra le mura di Grande Inverno.”

L’espressione di Petyr si fece più seria. «È vero, ti ho detto una bugia… E anche un’altra.»

Sansa sentì un vuoto allo stomaco. «Quale altra bugia?»

«Ti ho detto che nulla potrebbe darmi più piacere dell’aiutarti a costruire il tuo castello. Ma temo che anche questa sia una bugia. C’è una cosa che potrebbe darmi un piacere maggiore.» Si avvicinò. «Questa.»

Sansa cercò di ritirarsi. Petyr la prese tra le braccia. All’improvviso, la stava baciando. Lei cercò debolmente di respingerlo, ma l’unico risultato fu quello di ritrovarsi ancora più stretta contro di lui. La bocca di Petyr coprì la sua, inghiottendone le proteste. Il suo alito sapeva di menta. Per un breve attimo, Sansa cedette al bacio… ma poi voltò il viso dall’altra parte, divincolandosi dalle sue braccia.

«Ma che cosa stai facendo?»

Petyr si ricompose il mantello. «Sto baciando una fanciulla di neve.»

«Dovresti invece baciare lei.» Sansa sollevò lo sguardo, ma la balconata di Lysa era vuota. «La lady tua moglie.»

«Lo faccio. Lysa non ha alcuna ragione di lamentarsi.» Petyr sorrideva. «Come vorrei che tu potessi vederti, mia signora. Sei così bella. Tutta incrostata di neve come un cucciolo d’orso, con il viso acceso, il respiro affannato. Da quanto tempo sei qui? Devi avere molto freddo. Lascia che ti riscaldi, Sansa. Togliti quei guanti bagnati, dammi le tue mani.»

«No. Non intendo farlo.»

In quel momento Petyr Baelish, lord di Harrenhal e protettore della valle di Arryn, parlava esattamente come Marillion il cantastorie la notte delle nozze, ubriaco perso. Solo che, questa volta, nessun Lothor Brune sarebbe apparso a salvare Sansa. Lothor Brune era un uomo di Petyr.

«E tu non mi puoi baciare. Potrei essere tua figlia…»

«Certo che potresti esserlo» ammise lui con un sorriso ambiguo. «Ma non lo sei, o sbaglio? Sei figlia di Eddard Stark e di Cat. E io penso che tu sia addirittura più bella di quanto lo fosse tua madre alla tua età.»

«Petyr, ti prego.» La voce di Sansa era debole, così debole. «Ti prego…»

«Un castello!»

Il grido echeggiò alto, stridulo. Una voce infantile. Ditocorto si allontanò da lei. «Lord Robert.» Abbozzò una specie di inchino. «Non dovresti uscire nella neve senza guanti.»

«L’hai fatto tu il castello di neve, lord Ditocorto?»

«Alayne ne ha costruito la maggior parte, mio lord.»

«È Grande Inverno» precisò Sansa.

«Grande Inverno?» Robert Arryn era piccolo per la sua età, un ragazzmo magro dalla pelle chiazzata e gli occhi che lacrimavano perennemente. Sotto un braccio stringeva il bambolotto di pezza che si portava dietro ovunque.

«Grande Inverno è la sede della nobile Casa Stark» spiegò Sansa al suo promesso sposo. «Il grande castello del Nord.»

«Non è mica poi così grande.» Il bambino s’inginocchiò davanti al corpo di guardia. «Guarda, ecco che viene un gigante ad abbatterlo.» Mise il bambolotto di pezza in piedi nella neve e lo mosse a scatti. «Bum, bum, sono un gigante, sono un gigante» annunciò. «Oh, oh, oh, aprite le porte se no le butto giù.» Mulinò il bambolotto tenendolo per le gambe, fece saltare via la parte superiore di una delle torri del corpo di guardia, poi dell’altra.

Fu più di quanto Sansa poté tollerare. «Robert, fermo! Non fare così!»

Inutile. Robert mulinò il bambolotto e un lungo tratto di mura esplose in un vortice candido. Sansa cercò di afferrargli la mano, ma si ritrovò tra le dita la bambola. La stoffa sottile si lacerò con un rumore secco. Di colpo, Sansa stringeva nel pugno la testa e Robert il resto del corpo. Fiotti d’imbottitura di stracci e segatura si dispersero sulla neve.

La bocca di lord Robert cominciò a tremare. «Ahhhhhh, l’hai ucciiiisoooo!» ululò. Poi anche il suo corpo cominciò a tremare. All’inizio fu un tremito leggero, ma nel giro di pochi istanti il signore di Nido dell’Aquila crollò sul castello di neve, le gambe e le braccia scosse da sussulti violenti. Le torri bianche e i ponti di neve crollarono, volando via in polvere. Sansa rimase come pietrificata, inorridita. Petyr Baelish afferrò i polsi del piccolo e chiamò in soccorso il maestro.

In breve le guardie e le servette arrivarono a trattenere il ragazzo, poi apparve il maestro Colemon. Il morbo del tremito di Robert Arryn non era nuovo per la corte di Nido dell’Aquila, e lady Lysa aveva insegnato loro a entrare in azione al primo grido del ragazzo. Il maestro trattenne il capo del piccolo lord e gli fece bere una mezza coppa di vino dei sogni, mormorandogli parole tranquillizzanti. Lentamente, la violenza dell’attacco parve placarsi, fino a quando non rimase altro che un lieve tremore alle mani.

«Trasportatelo nella mia torretta» disse il maestro Colemon alle guardie. «Un salasso lo aiuterà a calmarsi.»

«È stata colpa mia.» Sansa mostrò loro la testa della bambola di pezza. «Ho rotto il suo bambolotto. Non volevo…»

«Il lord stava distruggendo il castello» aggiunse Petyr.

«Un gigante» sussurrò il ragazzo, piangendo. «Non sono stato io. È il gigante che distruggeva il castello. Lei lo ha ucciso! La odio! È una bastarda e io la odio! E non voglio il salasso!»

«Mio lord, il tuo sangue è troppo denso» spiegò maestro Colemon. «È tutto quel sangue cattivo che causa la tua rabbia, e la rabbia causa il tremito. Adesso, vieni con me.»

Portarono via il ragazzino. “Il lord mio marito…” Quel pensiero attraversò la mente di Sansa mentre contemplava le rovine di Grande Inverno. La neve aveva cessato di cadere e faceva più freddo, molto più freddo di prima. Sansa si domandò se lord Robert avrebbe continuato a tremare per tutta la durata della loro cerimonia nuziale. “Per lo meno Joffrey era fisicamente sano.” Un furore nero s’impossessò di lei. Raccolse un ramo spezzato, lo infilò nella testa mozzata del bambolotto e lo sistemò sui resti del corpo di guardia di quello che era stato il suo castello di neve, simile a un sinistro trofeo. I servitori rimasero sconvolti. Ma Ditocorto, quando vide quello che lei aveva fatto, scoppiò in una risata. «Stando alle leggende, non è certo il primo gigante la cui testa è finita a decorare le mura di Grande Inverno.»

«Sono solo leggende» disse Sansa. Gli voltò le spalle e lo lasciò nella neve devastata.


Fece ritorno nei suoi alloggi, si sbarazzò del mantello e degli stivali fradici e si sedette vicino al fuoco. Sarebbe stata costretta a rispondere della crisi di lord Robert. “Forse lady Lysa mi manderà via.” Sua zia era molto incline, anche troppo, ad allontanare chiunque la facesse adirare. E nessuno la faceva adirare quanto coloro che secondo lei maltrattavano suo figlio.

Sansa non avrebbe chiesto di meglio che essere bandita. Il castello delle Porte della Luna era decisamente più grande di Nido dell’Aquila, e con molta più vita. Lord Nestor Royce sembrava arcigno e austero, ma era sua figlia Myranda a mandare avanti il castello in sua vece, e tutti dicevano che era una ragazza piena di allegria. Nemmeno la ipotetica nascita bastarda di Sansa avrebbe fatto molta differenza. Al servizio di lord Nestor c’era anche una delle figlie bastarde di Robert Baratheon, una ragazza di nome Mya Stone. E si diceva che lei e lady Myranda fossero molto amiche, addirittura quasi come due sorelle.

“Dirò a mia zia che non intendo sposare Robert.” Neppure l’Alto Sacerdote in persona poteva dichiarare sposata una donna, se lei si rifiutava di pronunciare il giuramento nuziale. E lei non era affatto una mendicante, a dispetto di qualsiasi cosa dicesse sua zia. Aveva tredici anni, era una donna fertile e sposata, erede di Grande Inverno. Certe volte, Sansa provava compassione per quel gracile cuginetto, ma non riusciva proprio a immaginare di poter diventare sua moglie. “Piuttosto, preferirei essere ancora sposata con Tyrion Lannister.” E se sua zia fosse venuta a saperlo, l’avrebbe di certo bandita… lontano dalle smorfie e dagli occhi lacrimosi di Robert, lontano dagli sguardi turpi di Marillion, e lontano dai baci di Petyr. “Glielo dirò! Sì: glielo dirò!”


Lady Lysa la mandò a chiamare nel tardo pomeriggio. Per tutta la giornata Sansa aveva cercato di farsi coraggio, ma quando Marillion comparve alla sua porta, tutti i suoi dubbi tornarono. «Lady Lysa chiede la tua presenza nella sala Alta.» E mentre diceva quelle poche parole, il cantastorie la spogliò con lo sguardo. Ma si trattava di una cosa cui ormai Sansa aveva fatto l’abitudine.

Marillion era attraente, inutile negarlo. Aggraziato e snello come un ragazzo, con la pelle liscia, i capelli color sabbia e il sorriso accattivante. Ma nella Valle era riuscito a farsi odiare pressoché da tutti quanti, tranne lady Lysa e il piccolo lord Robert. A sentire quello che dicevano i servitori, Sansa non era certo la prima fanciulla a essere vittima delle sue eccessive attenzioni, e altre ragazze non avevano avuto un Lothor Brune a difendere la loro virtù. Lady Lysa però semplicemente rifiutava di ascoltare qualsiasi lamentela nei suoi confronti. Dopo il suo arrivo a Nido dell’Aquila parecchio tempo prima, assieme a lady Catelyn, Tyrion e al mercenario Bronn, Marillion era diventato il suo favorito. Ogni notte, cantava la ninnananna a lord Robert, e faceva storcere il naso ai vari pretendenti di lady Lysa bersagliandoli con strofe satiriche che mettevano in burla i loro difetti. Lysa lo aveva letteralmente coperto di conio e di regali: abiti costosi, un bracciale d’oro, una cintura tempestata di pietre di luna, un magnifico cavallo. Era addirittura arrivata a donargli il falcone preferito del suo defunto marito. Il tutto aveva fatto sì che Marillion fosse la personificazione della più perfetta cortesia in presenza di lady Lysa e della più infame arroganza in sua assenza.

«Grazie» rispose rigidamente Sansa. «Conosco la strada.»

Ma lui rimase lì. «La mia lady ha detto di accompagnarti.»

’’Accompagnarmi?” Il suono di quella parola non le piacque affatto. «Cos’è, sei diventato una guardia, adesso?» Ditocorto aveva liquidato il capitano della guarnigione di Nido dell’Aquila per rimpiazzarlo con Lothor Brune.

«Ritieni di dover essere protetta?» fece Marillion in tono fatuo. «Sto componendo una nuova canzone, voglio che tu lo sappia. Una canzone così dolce e triste che arriverà a sciogliere perfino il tuo cuore di ghiaccio. Il suo titolo sarà La rosa sulla strada. Parla di una ragazza bastarda così bella da stregare il cuore di tutti gli uomini che posano il loro sguardo su di lei.»

“Io sono una Stark di Grande Inverno!” avrebbe voluto urlargli in faccia. Invece si limitò ad annuire, lasciando che lui la scortasse giù per le scale della torre e poi lungo un ponte di collegamento. La sala Alta era rimasta chiusa per tutto il tempo in cui lei era stata a Nido dell’Aquila. Sansa non poté fare a meno di domandarsi per quale ragione sua zia avesse deciso di aprirla. Di solito, lady Lysa preferiva la comodità del suo solarium, o anche il confortevole calore della sala delle udienze di lord Jon, con la sua splendida vista sulla cascata.

Ai lati della porta di legno scolpito della Sala Alta c’erano due armigeri con i mantelli color blu cielo della Casa Arryn, le picche in pugno.

«Che a nessuno sia consentito entrare fino a quando Alayne sarà al cospetto di lady Lysa» disse loro Marillion.

«Aye.»

Dopo averli fatti passare, le guardie incrociarono di nuovo le picche. Marillion spalancò le porte, poi le richiuse e le sbarrò con una terza picca messa di traverso, più lunga e più massiccia di quelle impugnate dagli armati della guarnigione.

Sansa percepì il soffio gelido di qualcosa che non andava. «Perché lo hai fatto?»

«La mia lady ti attende.»

Sansa si guardò intorno con apprensione. Lady Lysa sedeva da sola sullo scranno con un’alta spalliera, scavato nel legno livido di un albero-diga e collocato sulla pedana della sala. Alla sua destra c’era un altro scranno, con alcuni cuscini blu sul sedile, ma lord Robert non era su di esso. Sansa si augurò che il ragazzo si fosse ripreso, cosa che Marillion non le avrebbe comunque detto.

Sansa avanzò sul tappeto di seta blu che si stendeva tra file di pilastri rastremati, sottili come lance. Il pavimento e le pareti della sala Alta erano di marmo bianco come il latte, con venature azzurre. Lame di pallida luce solare penetravano in obliquo dalle strette finestre a sesto acuto sulla parete orientale. Tra le finestre c’erano delle torce, montate su supporti di ferro, nessuna delle quali era accesa. I passi di Sansa risuonarono attutiti dal tappeto. Fuori, il vento soffiava, freddo e tetro.

In mezzo a tutto quel bianco, perfino la luce del sole sembrava gelida… ma non quanto lo sguardo di lady Lysa Arryn. La signora di Nido dell’Aquila indossava un abito di velluto color crema e una collana di zaffiri e pietre di luna. I suoi capelli castano chiaro erano legati in una spessa treccia gettata di traverso su una spalla. Sedeva nell’alto scranno, osservando la nipote avvicinarsi, il viso arrossato e congestionato sotto lo strato di belletto e di cipria. Sulla parete alle sue spalle era appeso un enorme vessillo con la luna e il falcone, nei colori crema e blu, emblema della Casa Arryn.

Sansa si fermò di fronte alla pedana, fece una riverenza. «Mia signora. Mi hai mandato a chiamare.» Continuava a sentire il sibilo del vento, e gli accordi remoti che Marillion stava arpeggiando dal fondo della sala.

«Ho visto quello che hai fatto» esordì lady Lysa.

Sansa si lisciò le pieghe dell’abito. «Spero che lord Robert si senta meglio. Non era mia intenzione rompere il suo bambolotto. Lui stava distruggendo il mio castello di neve. Io volevo soltanto…»

«Stai forse cercando di fare l’ingenua con me?» la interruppe sua zia. «Non stavo affatto parlando del bambolotto di Robert. Io ti ho visto mentre lo baciavi

La sala Alta sembrò diventare più fredda. Le pareti, il pavimento, le colonne, di colpo tutto sembrò fatto di ghiaccio. «È stato lui a baciarmi.»

Le narici di Lysa si dilatarono. «E per quale motivo avrebbe fatto una cosa del genere? Lui ha una moglie che lo ama. Una donna adulta, non una ragazzina. Non ha alcun bisogno di correre dietro a una come te. Confessa, piccola. Ti sei offerta a lui. È così che è andata?»

«Non è vero.» Sansa fece un passo indietro.

«Dove credi di andare? Hai forse paura? Un tale intollerabile comportamento deve essere punito, ma io non sarò dura con te. Per Robert abbiamo un ragazzo per le fustigazioni, come è costume nelle città libere. La salute del mio piccolo è troppo delicata perché lui possa sopportare la verga. Troverò una ragazza del volgo che riceva la punizione al tuo posto, ma prima tu dovrai assumerti la responsabilità di quanto hai fatto. Non intendo tollerare bugie da te, Alayne.»

«Stavo costruendo il mio castello di neve» insistette Sansa. «Lord Petyr è venuto ad aiutarmi, e poi mi ha baciato. È tutto quello che hai visto.»

«Hai davvero così poco onore?» ribatté la zia in tono secco. «O forse mi prendi per una stupida. È così, vero? Sì, tu credi che io sia una stupida. Credi di poter avere qualsiasi uomo tu desideri, perché sei giovane e bella. Non pensare che mi siano sfuggite le occhiate che lanci a Marillion. Io so tutto quello che succede a Nido dell’Aquila, signorina mia bella. E le smorfiose come te le conosco da un pezzo. Ma commetti un grosso errore se credi che con i tuoi occhi dolci e i languidi sorrisi tu possa conquistare il cuore di Petyr. Lui è mio!» Si alzò in piedi. «Hanno già cercato tutti di portarmelo via. Tutti. Sempre. Il lord mio padre, Jon mio marito, tua madre… Sì, Catelyn più di chiunque altro. Le piaceva baciare il mio piccolo Petyr, oh, se le piaceva.»

«Mia madre?» Sansa fece un altro passo indietro.

«Sì, proprio tua madre, la tua adorata mammina, la mia cara sorellina Catelyn. E non tentare nemmeno di fare l’ingenua con me, piccola sporca bugiarda. In tutti quegli anni a Delta delle Acque, tua madre ha giocato con Petyr come se lui fosse il suo trastullo. Lo ha provocato con sorrisi e paroline dolci e sguardi laidi, trasformando le sue notti in un tormento.»

«No.» “Mia madre è morta” avrebbe voluto urlarle in faccia Sansa. “Era tua sorella, sangue del tuo sangue… e adesso è morta!” «Non è vero. Lei non l’ha mai fatto.»

«E tu come fai a saperlo? Eri forse là?» Lysa scese dall’alto scranno in un turbinio di sottane. «C’eri forse anche tu con lord Bracken e lord Blackwood, la volta che vennero al castello per dirimere la loro questione davanti al lord mio padre? Il cantastorie di lord Bracken suonò per noi, e Catelyn danzò sei volte con Petyr, quella notte. Sei volte, le contai una per una. Quando i due lord iniziarono a discutere, mio padre si appartò con loro nella sala delle udienze, per cui non c’era più nessuno che ci impedì di bere. Edmure si ubriacò, giovane com’era… e Petyr cercò di baciare tua madre, ma venne respinto. Lei gli rise in faccia. Lui aveva un’espressione così ferita da farmi scoppiare il cuore, dopo di che andò avanti a bere fino a quando non crollò sotto il tavolo. Lo zio Brynden lo portò a letto prima che mio padre potesse trovarlo in quello stato. Ma tu non ricordi nulla di tutto questo, vero?» Lysa la fissò con rabbia. «È vero

“È anche lei ubriaca… oppure pazza?” «Non ero neanche nata, mia signora.»

«No, infatti, non eri nata. Io invece sì. Per cui non osare nemmeno dirmi che non è vero. So che è vero. Tu lo hai baciato!»

«È stato lui a baciare me.» Sansa non cedette. «Io non ho mai voluto…»

«Zitta! Non ti ho dato licenza di parlare. Tu lo hai provocato, proprio come fece tua madre quella notte, a Delta delle Acque, con i suoi sorrisi e le sue danze. Quella stessa notte, io mi infilai nel suo letto per dargli conforto. Sanguinai, certo, ma fu un dolore dolce. Lui mi disse che mi amava, ma appena prima di cadere addormentato, mi chiamò “Cat”. Eppure io rimasi con lui fino a quando la luce del giorno rispuntò nel cielo. Tua madre non meritava Petyr. Si rifiutò addirittura di dargli un suo pegno, quando lui duellò contro Brandon Stark. Io invece gli avrei dato il mio pegno. Io gli ho dato tutto, tutto. E adesso lui è mio. Non di Catelyn, non tuo. È mio!»

Sottoposta a un simile assalto, tutta la determinazione di Sansa si era dissolta. Lysa Arryn le stava facendo addirittura più paura di quanta gliene avesse mai fatta la regina Cersei. «Petyr è tuo, mia signora» rispose, cercando di apparire debole e contrita. «Posso avere la tua licenza di ritirarmi?»

«No, non puoi.» Il fiato di sua zia puzzava di vino. «Se tu fossi chiunque altra, ti bandirei dalla mia casa. Ti manderei giù, alle Porte della Luna, da lord Nestor, oppure ti rispedirei alle Dita. Che ne dici, ti piacerebbe passare il resto dei tuoi giorni su quella costa tetra, circondata da reietti e da sterco di pecora? Fu quello il destino che mio padre riservò a Petyr. Tutti pensarono che fosse a causa di quel suo stupido duello con Brandon Stark, ma non fu affatto così. Il lord mio padre disse che io avrei dovuto rendere grazia agli dèi parche un grande lord come Jon Arryn era disposto a prendermi in sposa anche sverginata, ma io sapevo benissimo che quello che Jon voleva erano le spade di Delta delle Acque. O io sposavo Jon oppure mio padre mi avrebbe allontanata, come aveva fatto con suo fratello Brynden… Ma io ero destinata a Petyr. Ti dico questo perché tu capisca da quanto tempo lui e io ci amiamo, quanto a lungo abbiamo sofferto, quanto abbiamo sognato di potere finalmente stare insieme. E abbiamo fatto un bimbo, lui e io. Un delicato, adorabile bimbo.» Lysa si premette le mani sul ventre, come se quel bimbo si trovasse ancora là. «Quando me lo portarono via, io feci una promessa a me stessa: non avrei mai più permesso che una cosa del genere accadesse di nuovo. Jon voleva mandare il mio dolce Robert alla Roccia del Drago, e quel turpe ubriacone di re Robert voleva addirittura affidarlo a Cersei Lannister ma io non glielo permisi… così come non permetterò a te di rubarmi il mio Petyr Ditocorto. Mi hai inteso, Alayne, o Sansa, o comunque vuoi farti chiamare? Hai capito bene quello che ti ho detto?»

«Sì. Lo giuro, non lo bacerò mai più, né… lo provocherò mai più.» Sansa pensava che fosse questo che sua zia voleva sentirsi dire.

«Quindi lo ammetti! Sei stata tu, proprio come pensavo. Anche tu sei laida, come tua madre.» Lysa l’afferrò per un polso. «Vieni con me. Voglio mostrarti una cosa.»

«Mi fai male.» Sansa cercò di svincolarsi. «Zia Lysa, ti prego, non ho fatto nulla. Te lo giuro.»

Lady Lysa ignorò le sue proteste. «Marillion!» strillò. «Vieni! Ho bisogno di te, Marillion!»

Il cantastorie si era tenuto discretamente sul fondo della sala, ma al richiamo della lady di Nido dell’Aquila arrivò immediatamente. «Mia signora?»

«Suona una canzone per noi. Suona La Bugiarda e la Sincera.»

Le dita di Marillion scivolarono sulle corde dell’arpa. «Venne il lord a cavallo in un giorno di pioggia, hey-alla-hey, hey-alla-hey…»

Lady Lysa continuò a tirare Sansa per un braccio. L’alternativa era camminare o essere trascinata, per cui Sansa scelse di camminare. Avanzò fino a metà della sala, tra due file di colonne, e arrivò di fronte a una porta di livido legno di albero-diga nella parete di marmo bianco. La porta era solidamente chiusa, sbarrata da tre massicce sbarre di bronzo. Ma all’esterno delle cerniere, Sansa poté udire il sibilo feroce del vento. E scolpite nel legno c’erano delle lune crescenti che sembravano vecchie ossa.

«La Porta della luna…» Sansa cercò nuovamente di liberarsi. «Perché vuoi mostrarmi la Porta della luna?»

«Adesso squittisci come un topo, eh? Ma fuori, nel mio giardino, volevi osare, non è vero? E anche nella neve volevi osare.»

«Ricamava la lady in un giorno di pioggia, hey-alla-hey, hey-alla-hey» continuava a cantare Marillion. «Hey-alla-hey, hey-alla-hey…»

«Apri la porta» ordinò lady Lysa. «Ti ho detto di aprirla, Alayne, altrimenti manderò a chiamare le mie guardie.» Spinse Sansa in avanti. «Tua madre almeno era coraggiosa. Alza quelle sbarre.»

“Se faccio quello che mi chiede, poi mi lascerà andare.” Sansa afferrò una delle grosse sbarre di bronzo, la sollevò e la gettò a terra. Anche la seconda sbarra andò a sbattere sul marmo, poi la terza. Sansa sfiorò appena il chiavistello: la pesante porta si aprì praticamente da sola, andando a sbattere con violenza contro la parete della sala. La neve ammassata all’esterno vorticò loro addosso in un turbine gelido. Sansa si ritrovò a tremare in quell’improvvisa morsa glaciale. Cercò di indietreggiare, ma c’era sua zia dietro di lei. Lysa la afferrò di nuovo per il polso, le piantò l’altra mano in mezzo alle scapole e la obbligò ad avanzare.

Oltre la soglia, il cielo era bianco per la neve che cadeva. E non c’era nient’altro.

«Guarda in giù» ordinò lady Lysa. «In giù

Sansa cercò ancora di divincolarsi. Inutilmente: le unghie di sua zia affondavano nel suo braccio come artigli. Lysa le diede un’altra spinta. Sansa urlò. Il suo piede sinistro frantumò il cordolo di neve incrostata, e i frammenti caddero oltre la soglia. Sotto c’era il vuoto. Seicento piedi di vuoto. L’abisso arrivava fino a una delle fortificazioni intermedie aggrappate al fianco della montagna.

«Zia Lysa! Che cosa fai!» urlò Sansa. «Mi stai facendo paura!»

«Hey-alla-hey, hey-alla-hey….» cantava Marillion dietro di loro.

«Vuoi che ti lasci andare… adesso?» sibilò Lysa.

«No.» Sansa puntò i piedi, e cercò di tornare indietro. Sua zia era inamovibile come un macigno. «No, ti prego…» Sollevò una mano, le unghie raschiarono contro la porta. Non riuscì a tenere la presa. I suoi piedi scivolarono sul marmo bagnato del pavimento. Inesorabile, lady Lysa continuò a spingerla verso il baratro. E lady Lysa pesava almeno il triplo di lei.

«Baciando stava la lady, su un mucchio di fieno» cantò Marillion.

Sansa si contorse di lato, in preda al terrore, un piede ormai oltre il limite dell’abisso. Urlò di nuovo.

«Hey-alla-hey, hey-alla-hey…

Il vento le sollevò le sottane, zanne gelide addentarono le sue gambe nude. Sentì i fiocchi di neve sciogliersi a contatto delle sue guance. Annaspò disperatamente sull’orlo del vuoto. Le sue dita trovarono un appiglio: la spessa treccia di lady Lysa.

«I miei capelli!» strillò Lysa. «Lascia andare i miei capelli!»

Sansa tremava, singhiozzava. Erano entrambe in bilico sul margine del baratro. Marillion si interruppe. Molto lontano, le guardie picchiavano con le picche contro la porta, gridando loro di aprire.

«Lysa! Ma che cosa sta succedendo qui?» Una voce coprì i singhiozzi, i respiri affannosi. I passi echeggiarono sul marmo della sala Alta. «Andate via di là!»

Le guardie continuavano a picchiare contro la porta. Petyr Baelish puntò dritto verso le due donne. Era entrato dall’ingresso dei lord, sul retro della piattaforma.

Nel vederlo, Lysa allentò la presa quanto bastò perché Sansa potesse liberarsi con uno strattone. Cadde in ginocchio: Ditocorto la vide. «Alayne. Perché sei qui?»

«Lei» disse lady Lysa afferrando Sansa per i capelli «lei ti ha baciato.»

«Diglielo, Petyr!» implorò Sansa. «Dille che stavamo solo costruendo un castello di neve…»

«Zitta!» le urlò in faccia sua zia. «Non ti ho dato licenza di parlare. A nessuno importa niente del tuo stupido castello di neve.»

«Lysa, ma è solo una bambina» disse Ditocorto. «La figlia di Cat. Che cosa vuoi che stessimo facendo?»

«Io volevo farle sposare Robert! Non ha nessuna gratitudine. Non ha nessuna… decenza. E tu non puoi baciarla! Tu non sei suo! Le stavo solo dando una lezione.»

«Una lezione. Capisco.» Petyr si fregò il mento. «E credo che anche lei abbia capito. Non è vero, Alayne?»

«Sì» singhiozzò Sansa.

«Non la voglio più qui:» Lacrime scintillavano negli occhi di Lysa. «Perché l’hai portata nella Valle, Petyr? Questo non è il suo posto.»

«Vorrà dire che la manderemo via. Ad Approdo del Re, se lo desideri.» Ditocorto fece un passo verso di loro. «Adesso lasciala andare. Lascia che si allontani da quella porta.»

«No!» Lysa diede un altro strattone alla testa di Sansa. La neve continuava a vorticare su di loro, flagellando le loro sottane facendole schioccare come vessilli. «Tu non puoi desiderarla, Petyr. Non puoi! È solo una stupida ragazzina. Non potrà mai amarti come ti amo io, Petyr! Come ti ho sempre amato. E te ne ho data prova, non è vero? Non è vero?» Le lacrime rigavano il suo volto grassoccio e congestionato. «Io ti ho fatto dono della mia verginità. Ti avrei anche dato un figlio. Ma loro lo hanno avvelenato con il tansy, il tè della luna… Sì, gelsomino, menta e legno dei vermi, un cucchiaio di miele e una goccia di ombra della sera. Non sono stata io, non potevo saperlo, ho solo bevuto quello che il lord mio padre mi diede…»

«Tutto questo ormai è passato, Lysa. Lord Hoster Tully è morto. Anche il suo vecchio maestro è morto.» Ditocorto si avvicinò un po’ di più. «Hai di nuovo bevuto troppo vino? Sai che non dovresti dire certe cose. Noi… non vogliamo che Alayne sappia più del necessario, vero? E nemmeno Marillion.»

Lady Lysa ignorò queste parole. «Cat non ti ha mai dato niente. Sono stata io a farti avere il tuo primo incarico, sono stata io a indurre Jon a portarti a corte, perché tu e io potessimo stare vicini. Tu mi hai promesso di non dimenticarlo mai.»

«E non l’ho mai dimenticato. Siamo insieme, proprio come tu hai sempre desiderato. Ora però lascia andare i capelli di Sansa…»

«No, invece! Vi ho visto, nella neve, che vi baciavate. Lei è proprio come sua madre. Catelyn ti baciò nel parco degli dèi, però lei non ti ha mai voluto. Come hai potuto amarla? Ero io che ti amavo davvero… ero iooooooooo

«Lo so, amore mio.» Ditocorto fece un altro passo avanti. «E adesso sono qui. Tutto quello che devi fare è prendere la mia mano.» Allungò la mano verso di lei. «Non c’è ragione di versare tutte queste lacrime.»

«Lacrime, lacrime, lacrime.» Lysa singhiozzava istericamente. «Non c’è ragione di versare lacrime… ma non è questo che mi dicesti ad Approdo del Re. Le lacrime… le lacrime di Lys… Mi hai detto tu di versarle nel vino di Jon Arryn. E io ti ho obbedito! Ho ucciso il lord mio marito… per il mio piccolo Robert. E per noi due! E poi ho scritto a Catelyn. Le ho scritto che erano stati i Lannister, proprio come tu mi avevi detto di fare. Che mossa astuta… sei sempre stato astuto, tu. Lo dissi subito al lord mio padre. È così astuto Petyr, salirà in alto, molto in alto, ed è dolce e gentile e io porto il suo bimbo nel ventre… Perché l’hai baciata? Perché? Noi adesso siamo insieme. Insieme dopo tutto questo tempo, dopo tutto questo tempo… perché hai baciato leiii?»

«Lysa, Lysa» Petyr scosse la testa sospirando. «Dopo tutte le tempeste che abbiamo affrontato, come fai a non fidarti ancora di me? Te lo giuro, adorata Lysa, io non mi separerò mai da te, fino a quando tutti e due avremo vita.»

«Davvero?» Lysa continuava a piangere. «Lo dici davvero

«Sì, davvero. Adesso lascia andare la ragazza e vieni a darmi un bacio.»

Singhiozzando, Lysa si gettò tra le braccia di Ditocorto. Mentre si stringevano l’uno all’altra, Sansa strisciò carponi lontano dalla Porta della luna e avvolse le braccia attorno alla colonna più vicina. Sentiva il cuore che le martellava nel petto. Aveva neve nei capelli. Era senza la scarpa destra. “Deve essere caduta.” Rabbrividì, stringendosi alla colonna con maggior forza.

Per qualche minuto, Ditocorto lasciò che Lysa si sfogasse sul suo petto, poi appoggiò le mani sulle sue braccia e la baciò piano. «Mia dolce sciocca moglie gelosa» disse, con un sogghigno. «Io amo una donna sola, te lo giuro.»

Lysa Arryn tentò un sorriso tremulo. «Una donna sola? Oh, Petyr, me lo giuri? Una soltanto?»

«Solo Catelyn.»

Petyr Baelish le diede uno spintone, forte, definitivo.

Lysa Arryn barcollò all’indietro, i piedi scivolarono sul marmo bagnato, fino alla soglia. Oltre la soglia. E poi Lysa Arryn non ci fu più. Svanita. Inghiottita. Non aveva lanciato neppure un grido. Per un tempo lunghissimo l’unico suono fu l’ululare del vento.

Marillion era rimasto senza fiato. «Tu… tu l’hai…»

Le guardie continuavano a bussare con le picche contro la porta della sala Alta.

Lord Petyr aiutò Sansa ad alzarsi in piedi. «Sei ferita?»

Sansa scosse la testa.

«Allora corri. Fa’ entrare le mie guardie. Presto, non c’è tempo da perdere.» Guardò Marillion. «Questo cantastorie ha assassinato la lady mia moglie.»

Загрузка...