Parte seconda Il volo sperimentale

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La Stazione di Ricerca per gli Armamenti era alla periferia sud-occidentale di Ro-Atabri, nel vecchio distretto industriale di Mardavan Quays. Era una zona depressa, attraversata da un rumoroso e inquinato corso d’acqua che sfociava nel Borann, sotto la città. Secoli di uso industriale avevano reso il suolo di Mardavan Quays sterile in molte zone, mentre in altre c’erano grandi distese di vegetazione del colore sbagliato, nutrita da sconosciute infiltrazioni e secrezioni, prodotti di antiche fogne e di mucchi di materiale per lo sterro. Fabbriche e magazzini erano sparpagliati in abbondanza nel paesaggio, collegati da percorsi evidenti come cicatrici, e mezzo nascosti in quella desolazione c’erano gruppi di misere abitazioni dalle cui finestre brillava assai raramente la luce.

La Stazione di Ricerca non dava l’idea di essere fuori posto nel circondario, con la sua accozzaglia di laboratori indefiniti, baracche e miseri uffici a un solo piano. Persino l’ufficio del capo della stazione era così sporco che i tipici disegni a diamante dei mattoni erano quasi indistinguibili.

Toller Maraquine trovava la stazione un posto profondamente deprimente per lavorare. Guardando indietro, al tempo della sua nomina, capiva di essere stato infantilmente ingenuo nell’immaginare uno stabilimento di ricerca militare. Si era figurato un prato accarezzato dalla brezza, con gli spadaccini occupati a provare nuovi tipi di lame, e gli arcieri che valutavano meticolosamente il rendimento di archi laminati e sperimentavano gli ultimi modelli di punte di frecce.

Arrivato ai Quays gli erano bastate poche ore per scoprire che con Borreat Hargeth non si poteva condurre nessuna seria ricerca sulle armi. Il nome della stazione mascherava il fatto che la maggior parte dei fondi erano assorbiti dalla ricerca di materiali in grado di sostituire il brakka nella costruzione di ingranaggi e altri componenti per macchinari. Il compito di Toller consisteva principalmente nel mescolare varie fibre e polveri con altrettanti tipi di resine, e usare poi il composto per costruire diverse forme di campioni per i test. Odiava l’odore soffocante delle resine e la natura ripetitiva del lavoro, specialmente perché il suo istinto gli suggeriva che il progetto era una perdita di tempo. Nessuno dei materiali compositi finora ottenuti poteva sostituire bene il brakka, la più dura e duratura sostanza sul pianeta, e se la natura si era data tanto da fare per produrre un materiale ideale, perché cercarne un altro?

A parte gli occasionali brontolìi di Hargeth, comunque, Toller lavorava con metodo e coscienziosamente, deciso a provare a suo fratello di essere un degno membro della famiglia. Anche il suo matrimonio con Fera aveva avuto un certo peso nel suo nuovo equilibrio, un beneficio inaspettato per un gioco in cui si era tuffato solo per confondere la moglie di suo fratello. Aveva offerto a Fera il quarto grado, temporaneo, non esclusivo, a cui poteva porre termine il marito in qualunque momento, ma lei aveva avuto la forza di tenere duro e di strappargli lo status di terzo grado, che lo impegnava per sei anni.

Questo era successo più di cinquanta giorni prima, e Toller aveva sperato che in quel periodo Gesalla si sarebbe ammorbidita, sia verso di lui che verso Fera, ma l’unico risultato era stato invece un ulteriore deterioramento di quel rapporto a tre. Fattori irritanti erano l’appetito monumentale di Fera e la sua propensione all’indolenza, entrambi un affronto per l’efficientissima Gesalla,. ma Toller non se la sentiva di rimproverare sua moglie perché rifiutava di cambiare i suoi modi. Lei reclamava il diritto di essere la persona che era sempre stata, senza preoccuparsi di non piacere a qualcuno, proprio come lui reclamava il diritto di risiedere nella dimora di famiglia. Gesalla era sempre in cerca di un pretesto con il quale allontanarlo dalla Casa Quadrata, e questa sua tenace ostinazione lo tratteneva dal trovare alloggio altrove.

Toller stava meditando sulla sua situazione domestica, un antigiorno, chiedendosi per quanto tempo avrebbe retto quel delicato equilibrio, quando vide Hargeth entrare nel capannone dove stava misurando fibre di vetro triturate.Hargeth era un uomo magro e irrequieto, sulla cinquantina, e tutto della sua persona, naso, mento, orecchie, gomiti, spalle, sembrava essere ad angolo acuto. Quel giorno sembrava più irrequieto del solito.

— Vieni con me, Toller — disse. — Abbiamo bisogno dei tuoi muscoli.

Toller mise da parte il misurino. — Cosa volete che faccia?

— Ti lamenti sempre di non poter lavorare alle macchine da guerra, e adesso hai un’opportunità. — Hargeth gli fece strada verso una piccola gru portatile che era stata eretta su un fazzoletto di terra tra due laboratori. Era di struttura convenzionale, in legno di travicello, ma le ruote d’ingranaggio, che sarebbero state di brakka in una gru normale, erano fatte di un composto grigiastro prodotto dalla Stazione di Ricerca.

— Lord Glo arriverà presto — disse Hargeth. — Vuole mostrare questi meccanismi a uno degli ispettori finanziari del principe Poche, e oggi faremo un test preliminare. Voglio che tu controlli i cavi, che ingrassi con cura gli ingranaggi e riempia di pietre il cestino di carico.

— Avete parlato di una macchina da guerra — disse Toller. — Questa è solo una gru.

— Gli ingegneri militari devono costruire fortificazioni e sollevare strutture pesanti, quindi questa è una macchina da guerra. Gli ispettori del principe devono essere soddisfatti, altrimenti perderemo i fondi. Ora mettiti al lavoro; Glo sarà qui entro un’ora.

Toller annuì e cominciò a preparare la gru. Il sole era solo a metà strada dalla sua tappa giornaliera dietro Sopramondo, ma non c’era vento a mitigare il calore che saliva dal bacino del fiume, e la temperatura continuava a salire. Una conceria là vicino aggiungeva i suoi effluvi maleodoranti all’aria già mefitica della stazione. Toller si trovò a desiderare ardentemente un boccale di birra fresca, ma il distretto di Quays Vantava soltanto una taverna e questa aveva un aspetto talmente disgustoso che non ci avrebbe mandato nemmeno un apprendista a fare un assaggio.

“Questa è una misera ricompensa per una vita di virtù”, pensò sconsolato. “Almeno a Haifanger l’aria è respirabile”. Aveva appena finito di mettere le pietre nel cestino di carico quando sentì rumore di finimenti e colpi di zoccoli. Lo smagliante cocchio rosso e arancione di Lord Glo oltrepassò caracollando i cancelli della stazione e venne a fermarsi fuori dell’ufficio di Hargeth, con un effetto assurdo nel luridume del circondario. Glo scese dal veicolo e discusse a lungo con il suo cocchiere prima di voltarsi a salutare Hargeth, che si era avventurato fuori per incontrarlo. I due uomini conversarono a bassa voce per un minuto, poi si diressero alla gru.

Glo si premeva un fazzoletto sul naso, ed era evidente dal suo colorito acceso e da una certa rigidità del portamento che aveva già attinto al vino in generosa quantità. Toller scosse la testa in una specie di divertito rispetto per la perseveranza con la quale il Lord Filosofo insisteva a rendersi inabile al suo ufficio.Si fermò sorridendo quando notò che diversi uomini di passaggio stavano sussurrando coprendosi la bocca con le mani. Perché Glo non riusciva ad afferrare il valore della sua dignità?

— Eccoti qui, ragazzo mio! — gridò Glo vedendo Toller. — Sai che più che mai mi ricordi me stesso quando… hmm… ero giovane? — Diede di gomito a Hargeth. — Com’è questa come splendida figura di uomo, Borreat? Io ero così, una volta.

— Molto bene, mylord — rispose Hargeth, chiaramente disinteressato. — Queste ruote sono le vecchie Compound 18, ma abbiamo provato a vulcanizzarle a bassa temperatura e i risultati sono piuttosto incoraggianti, anche se questa gru è solo un modello in scala. Sono sicuro che è un passo nella giusta direzione.

— Sono sicuro che tu abbia ragione, ma fammela vedere al… hmm… lavoro.

— Certo. — Hargeth fece un cenno a Toller, che mise in moto. L’operazione avrebbe previsto due uomini, ma lui poteva sollevare il carico da solo senza sforzo, e diretto da Hargeth passò alcuni minuti a far ruotare il braccio e a dimostrare la precisione del piazzacarichi del macchinario. Ebbe cura di compiere l’operazione più dolcemente possibile, per ridurre le sollecitazioni ai denti dell’ingranaggio, e alla fine della dimostrazione le parti mobili della gru risultarono apparentemente in ottime condizioni. Il gruppo di assistenti e di operai che si erano riuniti per seguire l’esperimento cominciarono ad allontanarsi.

Toller stava riportando il carico in posizione di riposo quando, senza preavviso, la leva di controllo con la quale stava guidando la discesa s’inceppò nei denti della leva d’arresto principale, con un orrendo rumore gracchiante. Il cestino colmo di pietre precipitò d’un bel tratto prima che il cavo scattasse chiudendosi, e la gru, con Toller ancora ai comandi, si inclinò pericolosamente sulla sua base. Riuscì a non rovesciarsi solo perché alcuni degli operai presenti si buttarono di peso dall’altra parte e la riportarono a terra.

— Le mie congratulazioni — disse aspramente Hargeth mentre Toller scendeva e si allontanava dalla struttura cigolante. — Come ci sei riuscito?

Se solo voi riusciste a inventare un materiale più resistente di un porridge stantio non ci sarebbe nessun… — Toller s’interruppe: guardando alle spalle di Hargeth aveva visto Lord Glo steso a terra. Giaceva con la faccia contro una montagnetta di argilla secca, e sembrava che non riuscisse a muoversi. Timoroso che potesse essere stato colpito da un dente volante dell’ingranaggio, Toller corse ad inginocchiarsi vicino a lui. Gli occhi celesti di Glo si voltarono e girarono nella sua direzione, ma il corpo grassoccio continuo a rimanere inerte.

- Non sono ubriaco — mormorò Glo, parlando da un angolo della bocca. — Portami via da qui, ragazzo mio — penso di essere quasi morto.


Fera Rivoo si era adattata bene al suo nuovo stile di vita a Greenmount Peel, ma nessun tentativo di Toller l’aveva mai persuasa a montare a cavallo di un blucorno, e neppure di uno dei più piccoli biancocorni spesso preferiti dalle donne. Di conseguenza, quando Toller voleva uscire dal Peel con sua moglie per prendere una boccata d’aria o semplicemente per cambiare ambiente era obbligato ad andare a piedi. Per lui, il camminare, come forma di esercizio fisico o come modo di viaggiare, era poco interessante, trovava che fosse noioso e che imponesse un ritmo troppo lento, ma Fera lo vedeva come il solo modo per fare un giro nei distretti della città quando non aveva nessuna carrozza a sua disposizione.

— Ho fame — annunciò quando raggiunsero Piazza dei Navigatori, vicino al centro di Ro-Atabri.

:— Certo che ne hai — disse Toller. — Perché dev’essere passata almeno un’ora dalla tua seconda colazione.

Fera gli diede un colpo alle costole con il gomito e gli scoccò un sorrisino malizioso. — Vuoi che conservi la mia energia, vero?

— Ti è mai venuto in mente che potrebbe esserci qualcosa di più nella vita oltre al sesso e al cibo?

— Sì: il vino. — Si riparò gli occhi dal primo sole dell’antigiorno e studiò i chioschi dei pasticceri più vicini, disseminati lungo il perimetro della piazza. — Penso che prenderò un po’ di torta al miele, e forse un sorso di bianco Kailiano per mandarla giù.

Lanciando proteste simboliche Toller provvide agli acquisti, poi entrambi si sedettero su una delle panchine di fronte alle statue di illustri navigatori del passato. La piazza si apriva su un misto di costruzioni pubbliche e commerciali, che per la maggior parte esibivano, in varie sfumature di muratura e mattonelle, il tradizionale disegno Kolcorriano a diamanti interconnessi. I colori degli alberi in fasi del diverso ciclo di maturazione e l’abbigliamento variopinto dei passanti macchiavano gaiamente l’assolato chiaroscuro. Una brezza occidentale rendeva l’aria piacevole e frizzante.

— Devo ammettere — disse Toller sorseggiando un po’ di vino leggero e fresco, — che questo è molto meglio che lavorare con Hargeth. Non ho mai capito perché il lavoro di ricerca scientifica debba sempre includere odori infernali.

— Oh, povera delicata creatura! — Fera si tolse una briciola dal mento. — Se vuoi sapere cos’è davvero la puzza dovresti provare a lavorare al mercato del pesce.

— No, grazie. Preferisco rimanere dove sono — rispose Toller. Erano passati quasi venti giorni dall’improvvisa malattia di Lord Glo, ma Toller stava ancora apprezzando il conseguente cambiamento delle sue condizioni e del suo lavoro. Glo era stato colpito da una paralisi che aveva attaccato la parte sinistra del suo corpo e si era trovato ad aver bisogno di un assistente personale, preferibilmente dotato di buona forza fisica.Quando gli era stato offerto il posto, Toller aveva accettato immediatamente, e si era trasferito con Fera nella spaziosa residenza di Glo, sul lato occidentale di Greenmount. La nuova sistemazione, oltre ad essere stata accolta con sollievo a Mardavan Quays, aveva risolto la difficile situazione in casa Maraquine, e Toller stava facendo uno sforzo coscienzioso per sentirsi soddisfatto. Una tristezza senza luce si impadroniva di lui qualche volta, quando paragonava la sua vita da servo con quella che avrebbe desiderato, ma era qualcosa che teneva sempre per se stesso. C’era di buono che Glo, che aveva trovato in lui un assistente premuroso, appena aveva riacquistato una certa parte della sua autonomia aveva cercato di limitare al massimo le sue richieste.

— Lord Glo sembrava molto indaffarato stamattina — disse Fera. — Sentivo il ticchettio continuo di quell’eliografo da qualunque parte andassi.

Toller annuì. — Ha parlato a lungo con Tunsfo, ultimamente. Credo che sia preoccupato per i rapporti dalle province.

— Non ci sarà davvero un’epidemia, vero, Toller? — Fera si rannicchiò nelle spalle, disgustata, accentuando la fessura tra i seni. — Non sopporto di avere gente malata intorno a me.

Non preoccuparti! Da quello che ho sentito non resterebbero intorno a te molto a lungo; circa due ore, sembra essere la media.

Toller! — Fera lo fissò in un rimprovero a bocca aperta, con la lingua ricoperta di un bell’impasto di dolce al miele.

— Non c’è niente per cui tu debba agitarti — disse Toller rassicurante, anche se a detta di Glo qualcosa di simile a un’epidemia era scoppiata simultaneamente in otto posti molto distanti fra loro. I primi attacchi erano stati segnalati nelle province palatine di Kail e Middac; poi nelle remote regioni di Sorka, Merrill, Padale, Ballin, Yarlofac e Loongl. Da alcuni giorni non succedeva più niente, e Toller sapeva che le autorità stavano sperando contro ogni ragione che la calamità fosse di natura passeggera, che la malattia si fosse esaurita da sola, che la grande madre Kolcorron e la sua capitale ne sarebbero uscite indenni. Toller poteva capire i loro sentimenti, ma vedeva poche ragioni di ottimismo. Se i ptertha avevano aumentato il loro raggio d’azione e il loro mortale potere fino ai valori terrificanti suggeriti dai dispacci, allora, secondo lui, non c’era la minima possibilità che si fermassero. Il momento di respiro che il genere umano stava godendo poteva anche significare che i ptertha si stavano comportando da nemici intelligenti e spietati che, avendo sperimentato con successo una nuova arma, si ritiravano per consultarsi e mettere a punto una più dirompente offensiva.

— Devo tornare al Peel presto. — Toller vuotò la sua coppa di porcellana e la mise sotto la panchina perché i venditori la ritirassero. — Glo vuole fare il bagno prima della piccola notte.

— Sono felice di non doverti aiutare.

— Ha un suo genere di coraggio, sai. Penso che io non sarei capace di sopportare una vita da storpio, ma quanto a lui, non l’ho ancora sentito lamentarsi una volta.

— Perché continui a parlare di malattie quando sai che non mi piace? — Fera si alzò e lisciò il sottile piumaggio del suo vestito. — Abbiamo il tempo di fare una passeggiata fino alle Fontane Bianche?

— Veloce, però. — Toller prese sua moglie sottobraccio, attraversarono la Piazza dei Navigatori e camminarono lungo i viali affollati che portavano ai giardini municipali. Le fontane scolpite in marmo Padaliano, candide come la neve, riempivano l’aria di una freschezza corroborante. Gruppi di persone, a volte con bambini, stavano passeggiando tra le macchie di luminoso fogliame, e il suono di estemporanee risate sottolineava la serenità idilliaca della scena.

— Suppongo che questo possa essere visto come il compendio della vita civilizzata — commentò Toller. — La sola cosa sbagliata, ma questo è solo il mio punto di vista, è che è troppo… — Si bloccò quando la nota alta e rauca di un corno d’allarme risuonò dalla punta di un tetto vicino e riecheggiò sonora da altre in punti più distanti della città.

— Ptertha! — Toller alzò lo sguardo al cielo.

Fera gli si fece più vicina. — È uno sbaglio, vero, Toller? Non vengono dentro la città.

— Faremmo comunque meglio a metterci al riparo — disse lui spingendola verso le costruzioni a nord dei giardini. La gente intorno stava scrutando il cielo, ma, tale era il potere della convinzione e dell’abitudine, solo qualcuno si stava affrettando a mettersi al coperto. I ptertha erano un implacabile nemico naturale, ma molto tempo prima si era stabilito quasi un compromesso, e l’esistenza stessa della civiltà era stata basata sui modelli di comportamento dei ptertha, presumendoli costanti e prevedibili. Era pressoché impensabile che i globi maligni dessero un’improvvisa, radicale svolta alle loro abitudini, e quanto a questo Toller la pensava come la gente attorno a lui, ma le notizie dalle province avevano piantato semi d’inquietudine nella sua mente. Se i ptertha potevano cambiare in un modo, perché non in un altro?

Una donna urlò, poco lontano, alla sua sinistra, e quel suono inarticolato gli sembrò la risposta del mondo reale alle sue meditazioni astratte. Guardò ih quella direzione e vide un ptertha scendere leggero nel cono brillante del sole. Il globo violaceo calò proprio in mezzo a una zona affollata al centro dei giardini, e ora anche gli uomini stavano gridando facendo da contrappunto al pressante squillo dei corni. Fera s’irrigidì per lo shock quando intravide il ptertha nell’attimo estremo della sua esistenza.

— Corri! — Toller le afferrò la mano e scattò in direzione dei palazzi a peristilio delle corporazioni. Nella sua corsa affannosa sul terreno aperto i suoi sensi erano all’erta per stare in guardia da altri globi, ma non c’era più bisogno di cercarli. Erano più che visibili adesso, mentre andavano alla deriva tra i tetti e le cupole e i comignoli nella calma luce del pomeriggio.

Solo pochi cittadini dell’impero Kolcorriano erano vissuti nell’incubo di essere sorpresi all’aperto da uno sciame di ptertha, e nell’ora successiva Toller non solo sperimentò quell’incubo in tutti i suoi aspetti ma andò anche oltre, entrando in nuovi regni di terrore.

Con una nuova, terrificante baldanza i ptertha stavano scendendo a livello della strada, fuori e dentro la città, silenziosi e scintillanti, invadendo giardini e recinzioni, lanciandosi lentamente nelle piazze, nascondendosi all’ombra delle arcate e dei colonnati. Venivano annientati dalla gente in preda al terrore, ma era proprio qui che i limiti dell’antico incubo si rivelavano superati, perché Toller sapeva, con una desolata, muta certezza, che gli invasori rappresentavano la nuova stirpe di ptertha.

I portatori dell’epidemia.

Nello storico dibattito sulla natura dei ptertha, i fautori dell’idea che i globi possedessero un qualche tipo di mente avevano sempre sottolineato il fatto che essi evitavano giudiziosamente le città e i grandi villaggi. Anche gli sciami relativamente numerosi sarebbero stati rapidamente distrutti se si fossero avventurati in un ambiente urbano, specialmente in condizioni di buona visibilità. La spiegazione sarebbe stata che i globi erano meno interessati a futili attacchi, chiara evidenza di attività mentale, e la teoria aveva avuto una certa attendibilità fino a quando il raggio d’azione dei ptertha rispettava una certa distanza.


Ma, come Toller aveva intuito subito, i lividi globi che scendevano su Ro-Atabri erano portatori di una diversa rovina.

Per ognuno che veniva distrutto, molti uomini sarebbero stati colpiti dal nuovo tipo di polvere venefica capace di uccidere anche a grande distanza, e l’orrore non si fermava lì, perché le nuove, spietate regole decretavano che ogni vittima diretta avrebbe contagiato e ucciso, nel breve tempo che gli rimaneva, una dozzina di altre persone.

Passò un’ora prima che il vento cambiasse e ponesse fine al primo attacco su Ro-Atabri, ma in una città dove ogni uomo, donna e bambino era diventato improvvisamente un mortale nemico e andava visto come tale, l’incubo di Toller rischiava di durare molto, molto a lungo…


Uno strato di pioggia insolitamente sottile era caduto durante la notte e ora, nei primi minuti tranquilli dopo l’alba, Toller Maraquine si ritrovò a guardare giù da Greenmount su un mondo sconosciuto. Stralci e brandelli di foschia abbracciavano il terreno e inghirlandavano il panorama sottostante, a tratti oscurando RoAtabri molto più del manto di schermi anti-ptertha installati sopra la città sin dal primo attacco, quasi due anni prima. La sagoma triangolare del Monte Opelmer sbucò a est da una bruma colorata dall’aurora, con le pendici più alte tinte dal sole rosseggiante.

Toller si era svegliato presto, e guidato dall’irrequietezza che ormai lo stava affliggendo sempre di più, aveva deciso di alzarsi e di fare una passeggiata solitaria nei terreni del Peel.

Prima di tutto passò lungo gli schermi difensivi interni, controllando che le reti fossero al loro posto. Prima del furibondo attacco della calamità, solo le case rurali avevano avuto bisogno di barriere anti-ptertha, e all’epoca semplici reti e graticci erano più che sufficienti, ma improvvisamente, sia in città che in campagna, era diventato necessario erigere schermi più elaborati che creavano una zona di sicurezza di almeno trenta iarde intorno alle aree protette. Un singolo strato di reti era ancora sufficiente per la maggior parte delle zone chiuse, perché le tossine dei ptertha venivano portate via orizzontalmente nel vento, ma era vitale che lungo i perimetri ci fossero schermi doppi, ben distanziati e sostenuti da solide impalcature.

Lord Glo aveva ricompensato Toller affidandogli, oltre ai suoi compiti normali, l’incarico delicato e qualche volta pericoloso di supervisionare la costruzione degli schermi del Peel e di qualche altro palazzo del quartiere dei filosofi. La sensazione di fare finalmente qualcosa di importante e di utile lo aveva reso meno turbolento, e i rischi di lavorare all’aperto gli avevano dato soddisfazioni di un genere tutto particolare. Il solo contributo significativo di Borreat Hargeth all’armamento anti-ptertha era stata una bacchetta da lancio dall’aspetto strano, a forma di “L”, che volava più in fretta e più lontano di quella tradizionale a forma di croce, e che nelle mani di un uomo abile poteva distruggere i globi a più di quaranta iarde. Nei suoi giri d’ispezione Toller si era esercitato a lungo con la nuova arma, e si faceva vanto di non aver perso nessun operaio a causa dei ptertha.

Questa fase della sua vita lo aveva calato in un clima generale di oppressione, comunque, e ora, nonostante tutti i suoi sforzi, aveva la sensazione di essere stato preso come un pesce nella rete che proprio lui aveva contribuito a costruire. Considerando che più di due terzi della popolazione dell’impero era stata spazzata via dalla nuova forma di pterthacosi, si sarebbe dovuto ritenere fortunato a essere vivo e in buona salute, con cibo, riparo e una donna sana con cui dividere il letto, ma nessuna di queste considerazioni poteva compensare la tormentosa sensazione di stare sprecando la sua esistenza. Istintivamente rigettava l’insegnamento della Chiesa secondo cui avrebbe avuto una serie infinita di reincarnazioni davanti a lui, alternate tra Mondo e Sopramondo; gli era stata concessa una vita sola, un prezioso, breve intervallo di consapevolezza, e la prospettiva di gettare al vento quello che ne rimaneva gli era intollerabile.

Nonostante la briosa freschezza dell’aria del mattino, Toller si sentì il torace pesante e i polmoni sotto sforzo, come se stesse per soffocare. Sentendosi vicino a un attacco di panico irrazionale, cercò disperatamente uno sfogo fisico per le sue improvvise emozioni, e reagì come non aveva più fatto sin dal suo esilio nella peni sola di Loongl. Aprì un cancello nello schermo interno del Peel, attraversò la zona di sicurezza e andò verso lo schermo esterno, fermandosi sul pendio non protetto di Greenmount. Una striscia di pascolo, legalmente assegnata all’ordine filosofico molto tempo prima, si stendeva davanti a lui per un bel pezzo e la parte più bassa si perdeva tra alberi e foschia. L’aria era quasi completamente immobile, quindi c’erano poche probabilità di imbattersi in un globo vagante, ma la sfida simbolica aveva un effetto calmante sulla pressione psicologica che si era andata accumulando dentro di lui.

Sganciò una bacchetta da ptertha dalla cintura e si stava preparando a scendere ancora più giù dalla collina quando la sua attenzione fu attirata da un movimento ai margini del pascolo. Un cavaliere solitario stava sbucando dal bosco che separava la proprietà dei filosofi dall’adiacente distretto cittadino di Silarbri. Toller tirò fuori il suo cannocchiale, un bene prezioso, e con il suo aiuto riconobbe nel cavaliere un corriere al servizio del Re, che ne portava sul petto il simbolo bianco e blu con la piuma e la spada.

Il suo interesse aumentò, e Toller si sedette su un sedile naturale di roccia per osservare il nuovo arrivato. Si ricordò di un tempo precedente in cui l’arrivo di un messaggero reale aveva segnato la sua liberazione dalle miserie della Stazione di Ricerca di Loongl, ma ora le circostanze erano enormemente differenti. Lord Glo era stato in pratica radiato dal Gran Palazzo dopo la famosa débàcle nella Sala dell’Arcobaleno.

In passato, la consegna di un messaggio a mano avrebbe potuto sottintendere che si trattasse di una comunicazione confidenziale e quindi non affidabile a un eliografo, ma adesso era difficile immaginare che Re Prad volesse comunicare una cosa qualsiasi al Lord Filosofo.

Il cavaliere si stava avvicinando lentamente, con noncuranza. Prendendo una strada leggermente più lunga avrebbe potuto fare tutto il viaggio fino alla residenza di Glo sotto la protezione degli schermi da ptertha della città, ma sembrava invece che stesse godendo di quello stralcio di cielo aperto, nonostante il rischio che un ptertha scendesse su di lui. Toller si chiese se il messaggero aveva uno spirito simile al suo, uno spirito che si sentiva soffocare dalle rigorose misure anti-ptertha, che comunque permettevano a quello che era rimasto della popolazione di continuare la sua assillata esistenza.

Il grande censimento del 2622, solo quattro anni prima, aveva stabilito che la popolazione dell’impero consisteva in quasi due milioni di persone con piena cittadinanza Kolcorriana e di circa quattro milioni in posizione tributaria. Dopo i primi due anni di epidemia si stimava che ammontasse a un po’ meno di due milioni. Una piccola parte dei sopravvissuti era riuscita a scampare perché, inspiegabilmente, aveva un certo grado di immunità all’infezione secondaria, ma la grande maggioranza temeva costante mente per la sua vita, e viveva come i più umili parassiti, in fondo alle tane. Le abitazioni senza schermi erano state equipaggiate di sigilli ermetici applicati a porte, finestre e comignoli che entravano in funzione durante gli allarmi ptertha, e fuori dalle città e dai distretti amministrativi la gente di campagna aveva abbandonato le fattorie e si era messa a vivere nei boschi e nelle foreste, fortezze naturali che i globi non potevano penetrare.

Come risultato, la produzione agricola era precipitata a un livello tale che era insufficiente persino per i bisogni enormemente diminuiti di una popolazione così ridotta, ma Toller, con l’inconscio egoismo del giovane, non si curava troppo delle statistiche che parlavano di calamità su scala nazionale. Per lui erano poco più che un gioco di ombre, uno sfondo vagamente mutevole del dramma centrale dei suoi affari personali, e fu nella speranza di sapere qualcosa da usare a suo personale vantaggio che si alzò per salutare il messaggero del Re.

— Buon antigiorno — disse sorridendo. — Cosa portate a Greenmount Peel?

Il corriere era un uomo magro che lo guardava con uno sguardo stanco del mondo, ma gli fece un cenno del capo abbastanza gentile mentre tirava le briglie per fermare il suo blucorno. — Il messaggio che porto è riservato esclusivamente a Lord Glo.

— Lord Glo sta ancora dormendo. Io sono Toller Maraquine, attendente personale di Lord Glo e membro ereditario dell’ordine filosofico. Non ho nessuna intenzione di curiosare, ma Sua Signoria è un uomo malato e non gli farebbe piacere che lo svegliassi a quest’ora, a meno che non si tratti di qualcosa di molto urgente. Datemi un accenno del vostro messaggio, in modo che io possa decidere cosa fare.

— Il tubo del messaggio è sigillato. — Il corriere fece un sorriso falsamente dispiaciuto. — E io non sono tenuto ad essere a conoscenza del suo contenuto.

Toller si strinse nelle spalle, con falsa indifferenza. — Peccato. Speravo di rendere la vita un po’ più facile a me e a voi.

— Bella terra — divagò il corriere, voltandosi sulla sella per valutare il pascolo che aveva appena attraversato. — Immagino che la casa del vostro padrone non sia stata molto colpita dalla penuria di cibo…

— Dovete avere fame dopo aver cavalcato così a lungo — riprese Toller. — Sarei felice di offrirvi una colazione da eroe, ma forse non c’è tempo. Forse devo andare immediatamente a svegliare Lord Glo.

— Forse sarebbe più opportuno permettere a Sua Eccellenza di godersi il suo riposo. — Il corriere scese e si fermò vicino a Toller. — Il Re lo convoca per un incontro speciale al Gran Palazzo, ma l’appuntamento è tra quattro giorni. Non ha l’aria di una cosa molto urgente.

— Forse — disse Toller, aggrottando bruscamente la fronte, mentre cercava di valutare la sorprendente informazione. — Forse no.

7

— Non sono affatto sicuro di fare la cosa giusta — disse Lord Glo, mentre Toller finiva di chiudere le cinghie del suo busto. — Penso che sarebbe molto più prudente, per non dire più corretto nei tuoi riguardi, se mi facessi accompagnare al Gran Palazzo da uno dei servi e… hmm… lasciassi te qui. C’è abbastanza lavoro da fare al palazzo, e tu ti terresti fuori dai guai.

— Sono passati due anni — replicò Toller, deciso a non farsi escludere. — E Leddravohr ha avuto tante cose a cui pensare che probabilmente ha dimenticato tutto di me.

— Non ci conterei, ragazzo mio; il principe ha una certa reputazione in queste faccende. Inoltre, se ti conosco bene, non è improbabile che tu gli rinfreschi la memoria.

— Perché dovrei fare qualcosa di così imprudente?

— Ti ho osservato ultimamente. Sei come un albero di brakka che attende da troppo tempo di scoppiare.

Non faccio più questo tipo di cose — protestò Toller automaticamente, come spesso aveva fatto nel passato, ma si rese conto che in effetti era considerevolmente cambiato dal suo primo incontro con il principe soldato. I suoi occasionali periodi di irrequietezza e insoddisfazione, proprio per il modo in cui li affrontava, erano le prove di quel cambiamento. Anziché arrivare a un punto in cui la più piccola difficoltà innescava una reazione inarrestabile, aveva imparato, come altri, a deviare o a sublimare le sue energie emotive. Aveva insegnato a se stesso ad accettare un quantum di gioie e soddisfazioni minori al posto di quel singolo totale appagamento cui agognavano così tanti e destinato a così pochi.

— Molto bene, giovanotto — disse Glo mentre si aggiustava una fibbia. — Ti darò fiducia, ma per favore ricorda che questa è un’occasione importante e unica, quindi comportati di conseguenza. Ti ritengo vincolato dalle tue stesse parole. Ti rendi conto, naturalmente, del perché il Re ha ritenuto opportuno… hmm… convocarmi?

— È un ritorno ai giorni in cui venivamo consultati sui grandi misteri della vita? Il Re vuole sapere perché gli uomini hanno capezzoli ma non possono allattare?

Glo sospirò rumorosamente. — Tuo fratello ha la stessa infelice tendenza all’umorismo volgare.

— Mi dispiace.

— Non è vero, ma ti illuminerò lo stesso. L’idea che ho piantato nella mente del Re due anni fa ha finalmente attecchito. Ricordi cos’hai detto sul mio volare più in alto e vedere?… No, quello era Lain. Ma c’è qualcosa per te su cui… hmm… riflettere, giovane Toller. Sto andando avanti negli anni e non ho più molta strada da percorrere, ma scommetto mille nobili che metterò piede su Sopramondo prima di morire.

— Non metterei mai in dubbio le vostre parole su nessun argomento — disse Toller diplomaticamente, meravigliandosi del talento di quell’uomo nel raccontarsi favole. Chiunque altro, con la sola possibile eccezione di Vorndal Sisstt, avrebbe ricordato con vergogna la riunione del consiglio. La caduta dei filosofi era stata così eclatante che sarebbero stati certamente scacciati da Greenmount se la corona non avesse avuto altri problemi cui pensare, come l’epidemia e le sue conseguenze, eppure Lord Glo continuava a credere di essere altamente considerato dal Re, e che il suo fantasticare sulla colonizzazione di Sopramondo potesse essere preso seriamente. Sin dall’inizio della sua malattia Glo aveva evitato l’alcol, e di conseguenza riusciva addirittura a comportarsi meglio, ma rimaneva la vecchiaia a distorcere la sua visione della realtà. L’opinione personale di Toller era che Glo fosse stato convocato a palazzo per rendere conto del continuo fallimento nella ricerca dell’arma anti-ptertha a lungo raggio, vitale se si voleva riprendere il normale sfruttamento agricolo.

— Dobbiamo sbrigarci — disse Glo. — Non possiamo rischiare di essere in ritardo nel giorno del nostro trionfo. — Con l’aiuto di Toller indossò la formale tunica grigia, stendendola bene sopra il busto di una canna che gli permetteva di stare in piedi da solo. Il suo corpo, una volta grassoccio, era diventato magro e aveva la pelle cadente, ma lui non aveva sostituito il suo guardaroba e accomodava gli abiti sopra il busto sperando di nascondere la portata della sua infermità. Era una delle umane debolezze che gli avevano meritato la simpatia di Toller.

— Vi porteremo lì in tempo — disse Toller rassicurante, chiedendosi se avrebbe dovuto preparare Glo per la possibile delusione che gli stava davanti.


Il viaggio verso il Gran Palazzo si svolse in silenzio, con Glo che annuiva ripetutamente a se stesso mentre provava il discorso che avrebbe fatto.

Era un giorno grigio di nebbia, la tristezza era accentuata dagli schermi anti-ptertha che chiudevano il cielo. Nelle strade dove era stato sufficiente tirare un tetto orizzontale di reti o tralicci, da grondaia a grondaia, il livello di illuminazione non si era ridotto di molto. Ma dove c’erano tetti e parapetti vicini di differenti altezze, era stato necessario erigere strutture pesanti e complicate, spesso rivestite in tessuto verniciato per prevenire correnti d’aria e infiltrazioni di polvere vagante, che in quelle costruzioni disegnate per un clima equatoriale, potevano facilmente penetrare da fessure di poco conto. Molti dei viali una volta splendenti nel cuore di RoAtabri erano ora immersi in un’oscurità cavernosa, e tutta l’architettura della città era ostruita, oscurata e soffocata dal mantello difensivo.

Il Ponte sul Bytran, il fiume principale che attraversava la capitale da nord a sud, era stato completamente ricoperto di tavole, che gli davano l’apparenza di un gigantesco deposito, e da lì una specie di galleria attraversava i fossati e portava al Gran Palazzo, ora sepolto sotto una fitta col tre di drappi. La prima intuizione di Toller, che la riunione sarebbe stata diversa da quella di due anni prima, gli fu confermata dalla mancanza di carrozze nel cortile principale. A parte pochi cocchi ufficiali, solo il leggero carro coperto di suo fratello, acquistato dopo la messa al bando dei veicoli trainati da blucorni, aspettava vicino all’entrata. Lain era solo vicino al carro, e aveva un sottile rotolo di carta sotto il braccio. Il suo viso allungato sembrava pallido e stanco sotto le ciocche di capelli neri. Toller saltò a terra e aiutò Glo a scendere dalla carrozza, sostenendo con discrezione tutto il suo peso finché lo vide sicuro sulle gambe.

— Non mi avevate detto che sarebbe stata un’udienza privata — disse Toller.

Glo gli diede uno sguardo di divertito disdegno, tornando ad essere per un attimo quello che era stato in passato. — Non puoi aspettarti che ti dica tutto, giovanotto; è importante per il Lord Filosofo essere riservato e… hmm… enigmatico, adesso e ancora. — Appoggiandosi pesantemente al braccio di Toller zoppicò verso l’arco intagliato dell’entrata, dove Lain li raggiunse.

Durante lo scambio di saluti Toller, che non vedeva suo fratello da quasi quaranta giorni, fu preoccupato dalla sua evidente debilitazione. Disse: — Lain, spero che tu non stia lavorando troppo.

Lain fece una smorfia obliqua.

— Lavorando troppo e dormendo troppo poco. Gesalla è di nuovo incinta e ha fastidi maggiori rispetto all’ultima volta.

— Mi dispiace. — Toller rimase sorpreso di sentire che, dopo l’aborto di quasi due anni prima, Gesalla fosse ancora determinata a diventare madre. Indicava un istinto materno che lui aveva difficoltà a conciliare con il resto del carattere di lei. A parte quel curioso e unico episodio che gli aveva fatto “sentire” Gesalla in modo così strano, al suo ritorno dalla disastrosa riunione del consiglio, l’aveva sempre vista come troppo asciutta, troppo ordinata, troppo affezionata alla sua autonomia personale perché le piacesse allevare bambini.

— A proposito, ti manda i suoi saluti — aggiunse Lain.

Toller sorrise apertamente per sottolineare la sua incredulità, poi i tre uomini si avviarono all’interno del palazzo. Glo li guidò attraverso i corridoi in cui si svolgeva un’attività ora silenziosa verso una porta in vetrolegno molto lontana dal settore amministrativo. Gli ostiari dalla nera armatura erano segno che il Re era già dentro. Toller sentì il corpo di Glo raddrizzarsi con fatica mentre il Lord si sforzava di assumere un atteggiamento eretto, e lui cercò di mascherare l’aiuto che gli dava mentre entravano nella sala delle udienze.

La sala era esagonale, piuttosto piccola, illuminata da un’unica finestra, e il solo mobilio era dato da un tavolo esagonale con sei sedie. Re Prad era già seduto di fronte alla finestra e vicino a lui c’erano i principi Leddravohr e Chakkel, tutti informalmente vestiti con comodi abiti di seta. L’unico segno che distingueva il Re era un grande gioiello blu appeso al collo con una catena di vetro. Toller, che in quella occasione aveva un forte desiderio di passare inosservato, per il bene di suo fratello e di Lord Glo, evitò di guardare in direzione di Leddravohr. Tenne gli occhi bassi finché Prad fece segno a Glo e a Lain di sedersi, poi mise tutta la sua attenzione nell’accompagnare il Lord Filosofo fino a una sedia, cercando di fare scricchiolare il suo busto il meno possibile.

— Chiedo scusa per questo ritardo, Maestà — disse Glo in lingua colta quando si fu finalmente messo comodo. — Desiderate che il mio attendente si ritiri?

Prad scosse la testa. — Può rimanere per il vostro conforto, Lord Glo. Non mi ha fatto piacere la gravità della vostra indisposizione.

— Una certa recalcitranza degli… hmm… arti, questo è tutto — rispose stoicamente Glo.

— Cionondimeno, vi sono grato dello sforzo che avete fatto per essere qui. Come potete vedere, vi sto esonerando da ogni formalità in modo che possiamo avere uno scambio di idee senza impacci di protocollo. Le circostanze del nostro ultimo incontro potevano difficilmente lasciar spazio alla libera discussione, non trovate?

Toller, che si era messo dietro alla sedia di Glo, era sorpreso dai toni amabili e ragionevoli del Re. A quanto sembrava, il suo pessimismo era stato ingiustificato, e a Glo sarebbe stata risparmiata una nuova umiliazione. Guardò direttamente attraverso il tavolo per la prima volta e vide che l’espressione di Prad era rassicurante quanto poteva esserlo con quei lineamenti dominati dal suo occhio bianco marmo. Automaticamente il suo sguardo scivolò verso Leddravohr e con uno shock quasi fisico si accorse che gli occhi del principe non lo avevano mai abbandonato, colmi di una malevolenza e di un disprezzo inconfondibili.

“Sono una persona diversa”, si disse Toller cercando di controllare il provocatorio irrigidirsi del suo corpo. “Glo e Lain non verranno in alcun modo danneggiati dall’essere con me”.

Abbassò la testa, ma non prima di aver visto balenare sul viso del principe un sorriso maligno, una specie di spasmo, automatico e veloce come un serpente, del labbro superiore. Toller non riusciva a decidere una linea di azione o di inazione. Sembrava che tutto quello che si diceva su Leddravohr fosse vero, che avesse un’eccellente memoria per le facce e una ancora migliore per gli insulti. La difficoltà immediata per Toller stava nel fatto che, per quanto fosse deciso a non incrociare quello sguardo ostile, non poteva certo rimanere a testa bassa per tutto l’antigiorno. Poteva trovare un pretesto per lasciare la stanza, forse qualcosa a che fare con…?

— Voglio parlare del volo verso Sopramondo — disse il Re, e le sue parole furono come l’esplosione di una bomba che scacciò ogni altra cosa dalla mente di Toller. — Affermate, nella vostra veste ufficiale di Lord Filosofo, che possa essere fattibile?

— Sì, Maestà. — Lord Glo lanciò un’occhiata a Leddravohr e Chakkel, entrambi scuri in volto, come sfidandoli a obiettare. — È possibile volare verso Sopramondo.

— Come?

— Per mezzo di palloni aerostatici ad aria calda.

— Andate avanti.

— La loro capacità ascensionale dovrebbe essere sorretta da reattori a gas, che tra l’altro sarebbero indispensabili nelle regioni dove i palloni cesserebbero praticamente di funzionare.

Glo stava parlando con convinzione, senza esitazione, come sapeva fare qualche volta quand’era ispirato. — Inoltre i reattori servirebbero anche a governare i palloni nel punto medio del volo, mettendoli così in grado di scendere in maniera normale.

“Lo ripeto, Maestà, è possibile volare verso Sopramondo”.

Le parole di Glo furono seguite da un silenzio bisbigliante e Toller, stupefatto come tutti, guardò suo fratello per vedere se quel discorso sul volare a Sopramondo lo avesse colto di sorpresa. Lain sembrava nervoso, decisamente a disagio, ma per niente meravigliato. Lui e Glo dovevano essere d’accordo, e se Lain credeva che il volo fosse possibile, allora lo era! Toller sentì un freddo insinuante diffonderai lungo la sua spina dorsale: quella, per lui, era un’esperienza intellettuale ed emotiva totalmente nuova. “Ho un futuro”, pensò. “Ho scoperto perché sono qui…”

— Diteci di più, Lord Glo — disse il Re. — Questi palloni ad aria calda di cui parlate sono già stati progettati?

— Non solo sono stati progettati, Maestà, ma i documenti d’archivio mostrano che ne fu fabbricato un prototipo nell’anno 2187. Fu fatto volare con successo diverse volte, quell’anno, da un filosofo di nome Usader, e si crede, sebbene le testimonianze siano… hmm… vaghe a questo proposito, che nel 2188 egli abbia effettivamente tentato il volo per Sopramondo.

— Cosa ne è stato di lui?

— Non se n’è più parlato.

— Questo non ispira molta fiducia — dichiarò Chakkel, parlando per la prima volta. — Certo non testimonia un successo.

— Dipende dai punti di vista. — Glo rifiutò di farsi scoraggiare. — Se Usader fosse tornato qualche giorno dopo, si potrebbe essere autorizzati a considerare il suo volo un fallimento. Al contrario, il fatto che non sia tornato potrebbe indicare che ha avuto successo.

Chakkel sbuffò. — Più verosimilmente che sia morto!

— Non sto dicendo che una simile impresa sia facile o non presenti un certo grado di… hmm… incertezza. Ma io credo che la nostra accresciuta conoscenza scientifica potrebbe ridurre i rischi a un livello accettabile. Con uno studio serio e le adeguate risorse materiali e finanziarie, possiamo riuscire a costruire navi in grado di arrivare a Sopramondo.

Il principe Leddravohr sospirò rumorosamente e scivolò nella sua sedia, ma non fece commenti. Toller immaginò che il Re l’avesse seriamente ammonito, prima che la riunione cominciasse.

— Ne state parlando come di una gita di piacere — disse Re Prad. — Ma non è un fatto che Mondo e Sopramondo distano quasi cinquemila miglia?

— Le migliori rilevazioni danno una cifra di 4.650 miglia, Maestà. Da superficie a superficie, cioè.

— Quanto ci vorrebbe a coprire in volo questa distanza?

— Sono spiacente di non poter dare una risposta a questa domanda, al punto in cui siamo.

— È una domanda importante, non vi pare?

— Senza dubbio! La velocità di ascensione del pallone è di fondamentale importanza, Maestà, ma ci sono parecchie variabili da… hmm… prendere in considerazione. — Glo fece segno a Lain di aprire il suo rotolo di carta. — Il mio capo scienziato, che è un matematico migliore di me, ha lavorato sui calcoli preliminari. Con il vostro consenso, spiegherà il problema.

Lain aprì una tabella con mani tremanti, e Toller vide sollevato che stavolta aveva avuto la previdenza di farla aderire a un pesante foglio telato che si distese in fretta. Parte della tabella era occupata da un diagramma in scala che illustrava i mondi gemelli e le loro relazioni spaziali; il resto era coperto di particolareggiati disegni di palloni a forma di pera e di complicate navicelle. Lain deglutì con difficoltà un paio di volte e Toller si preoccupò subito, temendo che non sarebbe stato in grado di parlare.

— Questo cerchio rappresenta il nostro pianeta con il suo diametro di 4.100 miglia — articolò infine Lain. — L’altro circolo più piccolo rappresenta Sopramondo, il cui diametro, per accettazione generale, è di 3.220 miglia, in un punto fissato sopra il nostro equatore al meridiano zero, che passa attraverso Ro-Atabri.

— Credo che tutti noi abbiamo imparato queste nozioni di astronomia elementare nella nostra infanzia — disse Prad. — Perché non potete dire quanto tempo ci vorrà per il viaggio?

Lain deglutì di nuovo. — Maestà, la misura del pallone e il peso del carico che dovrà portare influenzerà la velocità di ascensione. La differenza di temperatura tra i gas all’interno del pallone e l’atmosfera circostante è un altro fattore importante, ma quello principale è dato dalla quantità di cristalli disponibili per alimentare i reattori.

Si potrebbe realizzare una economia di carburante lasciando salire i palloni all’altezza massima, senza usare i reattori finché la spinta gravitazionale di Mondo non sia diminuita. Questo, naturalmente, allungherebbe i tempi del viaggio e quindi comporterebbe un aumento in quantità e peso dei rifornimenti di bordo, il che a sua volta farebbe…

— Basta, basta! Mi gira la testa! — Il Re tese in avanti entrambe le mani, le dita leggermente piegate come a toccare un pallone invisibile. — Supponiamo che si parli di una nave che porterà, diciamo, venti persone. Immaginate che i cristalli siano ragionevolmente abbondanti. Ora, quanto impiegherebbe questo veicolo a raggiungere Sopramondo? Non mi aspetto che siate preciso, datemi semplicemente una cifra che io possa accogliere nel mio cranio.

Lain, più pallido che mai ma sempre più sicuro, fece scorrere un dito su e giù lungo una colonna di cifre a lato della tabella. — Dodici giorni, Maestà.

— Finalmente! — Prad diede un’occhiata significativa a Leddravohr e Chakkel. — Ora, per la stessa nave, quanti cristalli rossi e verdi sarebbero necessari?

Lain alzò la testa e fissò il Re con occhi preoccupati. Il Re lo guardò di rimando, con calma e attenzione, mentre aspettava la risposta. Toller capì che tra i due si stava svolgendo una conversazione muta, che stava accadendo qualcosa al di là della sua comprensione. Suo fratello sembrava aver superato tutto il suo nervosismo e la sua indecisione, acquisendo una strana autorità che, per il momento almeno, lo metteva sullo stesso piano del sovrano. Toller sentì un’ondata di orgoglio familiare quando vide che il Re sembrava riconoscere la nuova statura di Lain ed era preparato a concedergli tutto il tempo di cui aveva bisogno per formulare la sua risposta.

— Posso presumere, Maestà disse Lain alla fine — che stiamo parlando di un volo di sola andata?

L’occhio bianco del Re si strinse. — Potete.

— In questo caso, Maestà, la nave richiederebbe approssimativamente trenta libbre sia di pikonio che di alvelio.


— Grazie. Non starete a sottilizzare sul fatto che una proporzione più alta di alvelio dà un miglior risultato nella combustione prolungata?

Lain scosse la testa. — Viste le circostanze, no.

— Siete un uomo prezioso, Lain Maraquine.

— Maestà, io non capisco — protestò Glo, facendo eco alla perplessità di Toller. — Non c’è nessuna ragione valida per provvedere una nave di carburante sufficiente per un viaggio di sola andata.

— Una sola nave, no — disse il Re. — Una piccola flotta, neanche. Ma quando stiamo parlando di… — Si rivolse di nuovo a Lain.

— Quante navi direste?

Lain fece un pallido sorriso. — Mille dovrebbero bastare, Maestà.

Mille! — Un suono scricchiolante uscì dal busto di canna di Glo quando questi fece un inutile tentativo per alzarsi, e quando parlò di nuovo una nota addolorata si era infiltrata nella sua voce.

— Sono l’unico, qui, a non sapere di cosa si sta parlando?

Il Re fece un gesto per calmarlo. — Non c’è nessuna cospirazione, Lord Glo. È semplicemente che il vostro capo scienziato sembra avere la capacità di leggere nel pensiero. Mi piacerebbe sapere come ha fatto a indovinare quello che avevo in mente.

Lain si fissò le mani e parlò quasi distrattamente, come se stesse riflettendo a voce alta. — Per più di duecento giorni non sono riuscito a ottenere nessuna statistica sulla produzione agricola o sulle vittime dei ptertha. La spiegazione ufficiale era che gli amministratori provinciali erano troppo oberati di lavoro per preparare i loro rilievi, e ho cercato di persuadermi che fosse davvero così. Ma gli indizi erano già lì, Maestà. In un certo senso è un sollievo vedere confermate le mie peggiori paure. Il solo modo di superare una crisi è affrontarla.

— Sono d’accordo con voi — disse Prad — ma ero preoccupato di evitare un panico generale, da qui la segretezza. Dovevo essere certo.

— Certo? — La grande testa di Glo si volgeva da una parte all’altra. — Certo? Certo?

— Sì, Lord Glo — disse il Re gravemente. — Dovevo essere certo che il nostro mondo si stava avviando alla fine.

Nel sentire quella calma dichiarazione, Toller fu travolto da un’unica, violenta ondata di emozione. Qualunque fossero state le sue paure, svanirono immediatamente di fronte alla curiosità e a un senso schiacciante, egoistico e esultante di privilegio. I più grandi avvenimenti della storia stavano nascendo davanti a lui, solo per lui. Per la prima volta nella sua vita, era innamorato del futuro.

— … come se i ptertha fossero incoraggiati dal successo degli ultimi due anni, alla maniera di un guerriero che vede che il suo avversario si sta indebolendo — stava dicendo il Re. — Il loro numero sta aumentando, e chi può dire che le loro emissioni non diventeranno anche più letali? È accaduto una volta, e può accadere di nuovo.

“Noi a Ro-Atabri siamo stati relativamente fortunati finora, ma in tutto l’impero la gente sta morendo dell’insidiosa nuova forma di pterthacosi, nonostante i nostri sforzi di respingere i globi. E i neonati, dai quali dipende il nostro futuro, sono i più vulnerabili. Ci troviamo di fronte alla prospettiva di una continua diminuzione della popolazione, destinata a ridursi fino a una pietosa manciata di uomini e donne sterili già condannati, non fosse altro che per lo spettro della carestia. Le regioni agricole non sono più in grado di produrre cibo nelle quantità necessarie al sostentamento delle nostre città, anche con le popolazioni urbane così drasticamente decimate.

Il Re si fermò per rivolgere al suo uditorio un piccolo sorriso. — Ci sono tra noi alcuni che sostengono che c’è ancora spazio per la speranza, che il fato può ancora placarsi e rivoltarsi contro i ptertha, ma Kolcorron non è diventata grande fidando supinamente nella fortuna. Questo tipo di comportamento è estraneo al nostro carattere nazionale. Quando siamo forzati a cedere terreno in una battaglia, ci ritiriamo in un rifugio sicuro dove possiamo raccogliere le nostre forze e la nostra determinazione per risollevarci di nuovo e sbaragliare i nemici.

“Nella circostanza attuale, come si conviene a un conflitto definitivo, c’è un rifugio estremo, e il suo nome è Sopramondo”.

- È mio decreto reale che ci prepariamo a ritirarci su Sopra mondo, non per rannicchiarci lontano dal nostro nemico, ma per crescere di nuovo numerosi e potenti, per avere il tempo di escogitare i mezzi adeguati per distruggere i ptertha nella loro odiosa interezza, e infine, indipendentemente dal tempo che occorrerà, ritornare al nostro pianeta natale, Mondo, come un esercito glorioso e invincibile che trionfalmente reclamerà tutto quello che è suo per natura e per diritto.

Il discorso del Re, enfatizzato dal formalismo della lingua colta, aveva trascinato Toller aprendo nuove prospettive nella sua mente, e fu con una certa sorpresa che si accorse che non veniva risposta alcuna né da suo fratello né da Lord Glo. Quest’ultimo era tanto immobile che sarebbe potuto essere morto, e Lain continuava a fissarsi le mani mentre rigirava l’anello di brakka al sesto dito. Toller si chiese con una certa pena se Lain stava pensando a Gesalla e al bambino che sarebbe nato in tempi tanto turbolenti.

Prad mise fine al silenzio scegliendo stranamente, a parere di Toller, di rivolgersi a Lain. — Ebbene, grande matematico? Avete un’altra dimostrazione di lettura del pensiero da offrirci?

Lain alzò la testa e guardò il Re con aria grave. — Maestà, anche se le nostre armate fossero al massimo della loro potenza, non dovremmo andare contro Chamteth.

— Sono offeso per le implicazioni di questo commento — interruppe sgarbatamente il principe Leddravohr. — Io esigo che…

— La tua promessa, Leddravohr! — Il Re si voltò irosamente verso suo figlio. — Vorrei ricordarti la promessa che mi hai fatto. Sii paziente! Sta per venire il tuo momento.

Leddravohr alzò entrambe le mani in un gesto di rassegnazione mentre si risistemava nella sua sedia, e ora il suo sguardo minaccioso era fisso su Lain. Lo spasmo di allarme che Toller sentì per suo fratello fu quasi cancellato dal silenzioso clamore della propria reazione alla menzione di Chamteth. Perché era stato così lento a capire che una flotta di migrazione interplanetaria, se mai fosse. stata costruita, avrebbe richiesto cristalli di energia in tale quantità che ci sarebbe stato un modo solo di sopperire ai suoi bisogni? Se i piani imponenti del Re includevano anche andare in guerra contro gli sconosciuti e lontani Chamtethani, allora il futuro prossimo sarebbe stato ancor più movimentato di quanto Toller avesse potuto immaginare.

Chamteth era un Paese così immenso che poteva essere ugualmente raggiunto sia da est che da ovest viaggiando nella Terra dei Lunghi Giorni, quell’emisfero del pianeta che non era sfiorato dall’ombra di Sopramondo e dove non c’era la piccola notte a segnare nel cielo l’avanzata del sole. Nel lontano passato vari sovrani ambiziosi avevano tentato di esplorare l’interno di Chamteth, ma con risultati così poco convincenti, così disastrosi, che era stato cancellato di fatto dalla coscienza nazionale. Esisteva, ma, come per Sopramondo, la sua esistenza non aveva nessuna rilevanza per gli affari quotidiani dell’impero.

“Finora”, pensò Toller, sforzandosi di ricostruire la sua immagine dell’universo, “Chamteth e Sopramondo sono collegati… connessi… prendere l’una è prendere l’altro”.

— La guerra contro Chamteth è diventata inevitabile — disse il Re. — Alcuni sono dell’opinione che sia sempre stata inevitabile. Cosa ne dite, Lord Glo?

— Maestà, io… — Glo si schiarì la gola e si sedette più dritto. — Maestà, mi sono sempre considerato un pensatore creativo, ma ammetto onestamente che la grandezza e la portata della vostra visione mi hanno tolto…hmm… il fiato. Quando in origine ho proposto di volare su Sopramondo pensavo a un nucleo di pionieri, seguiti dal graduale insediamento di una piccola colonia. Non avevo immaginato la migrazione su scala totale che voi state contemplando, ma posso assicurarvi che sono all’altezza delle responsabilità che questo implica. La progettazione di una nave adatta e la preparazione di tutto il necessario… — Glo smise di parlare quando vide che Prad stava scuotendo la testa.

— Mio caro Lord Glo, non siete un uomo sano — disse il Re, — e sarei meno che leale verso di voi se vi permettessi di sprecare ciò che rimane della vostra forza in un compito di tale portata.

— Ma, Maestà…

Il viso del Re si fece severo. — Non interrompete! La gravità della nostra situazione richiede misure altrettanto estreme. Le intere risorse di Kolcorron devono essere riorganizzate e mobilitate, e per questo io sto eliminando tutte le vecchie strutture di famiglia dinastica. Al loro posto, come il momento richiede, ci sarà un’unica piramide di autorità. Il suo capo esecutivo è mio figlio, il principe Leddravohr, che controllerà e coordinerà ogni aspetto, militare e civile dei nostri affari nazionali. Viene assistito dal principe Chakkel, che sarà responsabile davanti a lui della costruzione della flotta di migrazione..

Il Re si fermò, e quando parlò di nuovo la sua voce non aveva più niente di umano. — Sia ben chiaro che l’autorità del principe Leddravohr è assoluta, che il suo potere è illimitato, e che andare contro i suoi desideri sotto ogni aspetto è un crimine equivalente all’alto tradimento.

Toller chiuse gli occhi, sapendo che quando li avrebbe aperti di nuovo il mondo della sua fanciullezza e della sua gioventù sarebbe ormai appartenuto alla storia, e al suo posto ci sarebbe stato un nuovo, pericoloso cosmo nel quale la sua permanenza rischiava di essere molto breve.

8

Leddravohr era mentalmente stanco dopo la riunione e sperava di rilassarsi durante la cena, ma suo padre, con la vitalità cerebrale che caratterizza certi uomini anziani, chiacchierò tutto il tempo del pasto. Passava rapidamente e senza sforzo dalla strategia militare agli schemi di razionamento del cibo, agli aspetti tecnici del volo interplanetario, dimostrando il suo amore per i dettagli, cercando di conciliare possibilità incompatibili. Leddravohr, che non aveva mai apprezzato i giochini con le astrazioni, fu sollevato quando il pranzo fu finito e suo padre uscì sul balcone per un’ultima coppa di vino prima di ritirarsi nelle sue stanze.

— Maledizione a questo vetro — disse Prad picchiettando sulla cupola trasparente che lo chiudeva. — Una volta mi piaceva prendere aria qui di notte. Adesso posso appena respirare.

— Senza il vetro non respireresti affatto. — Leddravohr batté leggermente con il pollice, indicando un gruppo di tre ptertha che passavano sulla loro testa sullo sfondo della faccia brillante di Sopramondo. Il sole era tramontato e ora il pianeta gemello stava entrando nella sua fase d’illuminazione biconvessa, allungando i suoi raggi fino alla parte meridionale della città, la Baia di Arle e la distesa indaco scuro del Golfo di Tronom. La luce era sufficiente per leggere e sarebbe aumentata gradatamente fino a restare stabile quando il pianeta, mettendosi al passo con la rotazione di Mondo, avesse raggiunto il suo punto di opposizione con il sole. Sebbene il cielo si fosse oscurato solo fino a raggiungere un intenso blu medio, le stelle, alcune delle quali erano abbastanza luminose da essere visibili anche alla luce del giorno, formavano vivide decorazioni dal margine di Sopramondo giù fino all’orizzonte.

Maledizione anche ai ptertha — disse Prad. — Sai, figliolo, una delle più grandi tragedie del nostro passato è che non abbiamo mai scoperto da dove provengano. Anche se fossero generati da qualche parte nell’atmosfera superiore, avremmo potuto allo stesso tempo dirigerli giù e distruggerli alla fonte. Adesso, comunque, è troppo tardi.

— E come farai il tuo trionfante ritorno da Sopramondo? Attaccando i ptertha dall’alto?

— Troppo tardi per me, volevo dire. La storia si ricorderà di me solo per il volo di andata.

— Ah, sì, la storia — disse Leddravohr, ancora una volta meravigliandosi della preoccupazione di suo padre per la pallida e fasulla immortalità offerta dai libri e dai monumenti funebri. La vita era una cosa transitoria, impossibile da prolungare oltre il suo limite naturale, e il tempo speso a cercare di farlo era uno spreco proprio della cosa che si stava cercando di preservare. L’opinione di Leddravohr era che il solo modo di farla in barba alla morte, o perlomeno di venire a patti con essa, era di soddisfare ogni ambizione e saziare ogni appetito, in modo che quando il tempo fosse venuto, lasciare la vita sarebbe stato poco più che scartare una zucca vuota.

La sua sola, vera ambizione era stata quella di estendere la sua futura sovranità in ogni punto di Mondo, inclusa Chamteth, ma questo gli era adesso negato da una connivenza del fato. Al suo posto c’era la prospettiva di un azzardato e innaturale volo attraverso il cielo, seguito da un’esistenza poco più che tribale su un pianeta sconosciuto. Questo, lo rendeva furibondo; si sentiva rodere da una rabbia divorante che non aveva mai conosciuto, e qualcuno avrebbe pagato.

Prad sorseggiò meditabondo il suo vino. — Hai preparato tutti i tuoi dispacci?

— Sì. I messaggeri partiranno alla prima luce. — Leddravohr aveva passato tutto il suo tempo libero dopo, la riunione scrivendo personalmente gli ordini ai cinque generali che aveva chiamato a far parte del suo stato maggiore. — Ho dato loro istruzioni di usare tutta la loro influenza, così avremo una compagnia distinta abba stanza presto.

— Devo desumere che hai scelto Dalacott.

— È ancora il miglior esperto di tattica che abbiamo.

— Non hai paura che possa aver perso smalto? — disse Prad. — Deve avere settant’anni adesso, e essere giù a Kail quando è scoppiata l’epidemia non può avergli fatto molto bene. Non ha perduto una figlia e un nipote proprio il primo giorno?

— Qualcosa del genere — rispose Leddravohr noncurante. — Lui è ancora in salute, comunque. Ancora di valore.

— Deve essere un immune. — Il viso di Prad si fece più animato mentre si lanciava in un altro discorso a ruota libera. — Sai, Glo mi ha mandato alcune statistiche molto interessanti all’inizio dell’anno. Sono state raccolte da Maraquine. Mostrano che tra il personale militare l’incidenza dei morti nell’epidemia, che tu ti aspetteresti alto a causa della loro esposizione, è in realtà in qualche modo più basso che tra la popolazione in generale. E, significativamente, i soldati e gli avieri in servizio da lungo tempo sono quelli che muoiono meno. Maraquine ha suggerito che l’aver passato tanti anni vicino agli scoppi dei ptertha e l’aver forse assorbito minute tracce della polvere potrebbe aver allenato il loro organismo a resistere alla pterthacosi. È un’idea interessante.

— Padre, è un’idea totalmente inutile.

— Non direi. Se i discendenti degli uomini e delle donne immuni fossero anch’essi immuni, dalla nascita, allora si potrebbe allevare una nuova razza per cui i globi non sarebbero affatto una minaccia.

— E quale bene farebbe questo a te e me? — disse Leddravohr, buttandosi sull’argomento per il solo gusto di sfogarsi. — No, finché ci sarò io, Glo e Maraquine e la loro razza saranno ammennicoli di cui possiamo bene fare a meno. Non vedo l’ora che venga il giorno in cui…

Bastai — suo padre divenne improvvisamente Re Prad Neldeever, sovrano dell’impero di Kolcorron, alto e rigido, con un terribile occhio cieco e un ugualmente spaventoso occhio che vedeva tutto, che conosceva tutto, anche quello che Leddravohr avrebbe voluto mantenere segreto. — La nostra casa non sarà ricordata per aver voltato la schiena al sapere. Mi darai la tua parola che non farai del male a Glo e Maraquine.

Leddravohr si strinse nelle spalle. — Hai la mia parola.

— Ti è venuto troppo facile. — Suo padre lo fissò per un momento, dubbioso, poi disse: — E non toccherai nemmeno il fratello di Maraquine, quello che adesso si occupa di Glo.

— Quel balordo! Ho cose più importanti da pensare.

— Lo so. Ti ho dato poteri senza precedenti perché hai le qualità necessarie per portare al successo un’impresa così grande, ma di questo potere non devi abusare.

— Risparmiami tutto questo, padre — protestò Leddravohr, nascondendo con un sorriso il suo risentimento per essere stato ammonito come un bambino cocciuto. — Intendo trattare i nostri filosofi con tutta la considerazione che meritano. Domani andrò a Greenmount per due o tre giorni, per imparare tutto quello di cui ho bisogno sulle loro navi volanti, e se ti prenderai là briga d’informarti sentirai che non emanerò altro che cortesia e amore.

— Non esagerare. — Prad svuotò la sua coppa decorata, la posò sulla larga balaustra di pietra e si preparò ad andarsene. — Buona notte, figliolo. E ricorda: il futuro ci guarda.

Appena il Re se ne fu andato Leddravohr cambiò il suo vino con un bicchiere di forte brandy Padaliano e tornò sul balcone. Si . sedette su un divano di pelle e fissò cupamente il cielo a sud, dove tre grandi comete piumeggiavano i campi di stelle. “Il futuro ci guarda!”. Suo padre accarezzava ancora l’idea di passare alla storia come un altro Re Bytran, nascondendo anche a se stesso, la probabilità che forse non ci sarebbe più stato nessuno storico a registrare le sue conquiste. Il destino di Kolcorron stava volgendo a una fine bizzarra e ignominiosa proprio quando sarebbe dovuto entrare nell’era più gloriosa di tutte.

“E io sono quello che ci rimette di più”, pensò Leddravohr. “Non diventerò mai un vero Re”.

Mentre continuava a bere brandy, e la notte diventava gradatamente più luminosa, gli venne in mente che c’era un’anomalia in quel contrasto con suo padre. Leddravohr riteneva che l’ottimismo fosse una sua propria caratteristica, eppure era il Re che stava guardando al futuro con fiducia; il pessimismo era un tratto del vecchio, ma questa volta era Leddravohr ad essere sfiduciato e vittima di sinistri presentimenti. Perché?

Forse che suo padre era troppo assorbito dall’entusiasmo per tutte le cose scientifiche per ammettere che la migrazione era impossibile? Leddravohr tirò le fila dei suoi pensieri e fu obbligato a scartare quell’ipotesi. In qualche momento della riunione della mattina lui stesso era stato persuaso dai progetti, i grafici e le catene di cifre, ed era veramente convinto che un’astronave potesse raggiungere il pianeta gemello. Quale, allora, era la causa del senso di malessere che si sentiva addosso? Il futuro non era completamente nero, in fondo, e prima c’era la guerra con Chamteth a rallegrarlo.

Mentre piegava indietro la testa per finire il bicchiere di brandy il suo sguardo scivolò verso lo zenit, e improvvisamente ebbe la risposta. Il grande disco di Sopramondo era adesso quasi completamente illuminato e la sua faccia stava appena iniziando a mostrare le variazioni di luce che annunciavano la sua immersione notturna dentro l’ombra di Mondo. La notte profonda, quel periodo in cui il pianeta sperimentava il buio vero, stava cominciando, e aveva il suo equivalente nella mente di Leddravohr.

Lui era un soldato, professionalmente immune dalla paura, ed era per questo che era stato così restio ad accettare o anche solo a identificare la sensazione che si era nascosta nella sua coscienza per la maggior parte della giornata. Paura.

Aveva paura del volo a Sopramondo.

Quella che sentiva non era semplice apprensione per gli innegabili rischi connessi, era puro, primitivo e disarmato terrore alla sola idea di salire per migliaia di miglia nel blu che non perdona del cielo. Capiva che la forza della sua paura era tale che quando il terribile momento dell’imbarco fosse giunto lui avrebbe potuto non essere in grado di controllarsi. Lui, il principe Leddravohr Neldeever, temeva di poter crollare e correre via come un bambino spaventato, e di dover essere trascinato di peso sull’astronave davanti a migliaia…

Leddravohr schizzò in piedi e gettò via il suo bicchiere, mandandolo a frantumarsi sul pavimento di pietra del balcone. C’era un’odiosa ironia nel fatto che la sua iniziazione alla paura fosse avvenuta non sul campo di battaglia, ma nella calma di una piccola stanza, in mezzo a farfuglianti immaginazioni, con i loro sgorbi e le loro scalfitture e le loro casuali visioni dell’impensabile.

Respirando profondamente e regolarmente per aiutarsi a riguadagnare la padronanza delle sue emozioni, il principe guardò il nero della notte profonda avvolgere il pianeta, e quando infine si ritirò per andare a letto il suo viso aveva riacquistato la sua statuaria compostezza.

9

— Si sta facendo tardi — disse Toller. — Forse Leddravohr non verrà.

— Dobbiamo solo aspettare e vedere. — Lain sorrise brevemente e rivolse di nuovo la sua attenzione ai fogli e agli strumenti matematici sulla scrivania.

— Sì. — Toller studiò il soffitto per un momento. — Questa non è una conversazione vivace, vero?

— Non è affatto una conversazione — disse Lain. — È che io sto cercando di lavorare e tu continui a interrompermi.

Mi dispiace. — Toller sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo solo ma era restio a farlo. Era passato molto tempo da quando era stato l’ultima volta nella casa di famiglia, e tra i suoi più vividi ricordi di ragazzo c’era il suo ingresso in quella stanza familiare e il vedere Lain alla stessa scrivania, intento alla sua incomprensibile attività di matematico.L’istinto gli diceva che lui e suo fratello stavano raggiungendo una linea di divisione nelle loro vite, e lui aveva un intenso desiderio di passare con lui un’ora amichevole mentre era ancora possibile. Era vagamente imbarazzato da quelle sue sensazioni e non aveva neanche tentato di tradurle in parole, con il risultato che Lain non si sentiva a suo agio ed era infastidito dalla sua continua presenza.

Decidendosi a mettersi buono, Toller si avvicinò a una delle cataste di antichi manoscritti che erano stati prelevati dagli archivi di Greenmount. Prese un volume rilegato in pelle e diede un’occhiata al titolo. Come al solito le parole gli apparivano come linee di segni dal contenuto elusivo finché non usò un trucco che Lain aveva una volta escogitato per lui. Coprì il titolo con il palmo della mano e lentamente la fece scivolare verso destra, così che le lettere gli si rivelavano in sequenza. Questa volta i simboli stampati avevano un significato: “Voli aerostatici verso, l’estremo Nord”, di Muel Webrey, 2136.

Questo era il massimo a cui in genere arrivava l’interesse di Toller, ma dopo l’importantissima riunione del giorno prima, le ascensioni in pallone erano rimaste da qualche parte nella sua mente, e la sua curiosità era ulteriormente eccitata dal fatto che il libro aveva cinquecento anni. Come era stato volare per il pianeta, a quel tempo, prima che Kolcorron sorgesse a unificare una dozzina di nazioni in guerra? Si mise a sedere e aprì il libro quasi a metà, sperando che Lain ne rimanesse colpito, e cominciò a leggere. Alcuni modi di scrivere e qualche costruzione grammaticale poco familiare rendevano il testo più difficile di quanto desiderasse, ma continuò, facendo scivolare la mano tra i paragrafi. Il libro aveva più a che fare con le antiche politiche che con l’aviazione, e lui ne fu deluso. Stava cominciando a perdere la concentrazione quando la sua attenzione fu attratta da un riferimento ai ptertha: “…e lontano alla nostra sinistra i globi rosa dei ptertha si stavano alzando”.

Toller aggrottò la fronte e fece scorrere il dito sull’aggettivo varie volte prima di alzare la testa. — Lain, qui dice che i ptertha sono rosa.

Lain non alzò nemmeno lo sguardo. — Devi aver letto male. La parola è “violaceo”.

Toller studiò l’aggettivo di nuovo. — No, dice rosa.

— Devi concedere una certa libertà d’espressione alle descrizioni soggettive. Inoltre, i significati delle parole possono cambiare in un lungo periodo di tempo.

— Sì, ma… — Toller si sentiva insoddisfatto. — Quindi tu non pensi che una volta i ptertha fossero div…

— Toller! — Lain buttò giù la penna. — Toller, non pensare che io non sia contento di vederti, ma perché hai preso sede fissa nel mio ufficio?

— Noi non parliamo mai — disse Toller a disagio.

— Va bene, di cosa vuoi parlare?

— Di qualunque cosa. Potrebbe non esserci molto… tempo. — Toller cercava un’ispirazione.

Potresti dirmi su cosa stai lavorando.

— Non servirebbe a molto. Non lo capiresti.

— Eppure avremmo dovuto parlarne — disse Toller, alzandosi in piedi e mettendo di nuovo a posto il vecchio libro nel mucchio. Si stava dirigendo verso la porta quando suo fratello parlò.

— Mi dispiace, Toller; hai ragione — disse Lain con un sorriso di scusa. — Vedi, ho cominciato questo saggio più di un anno fa, e voglio finirlo prima di dovermi dedicare ad altre faccende. Ma forse non è poi così importante.

— Deve essere importante se ci hai lavorato tutto quel tempo. Ti lascerò in pace.

— Per favore non andare via disse Lain in fretta. — Ti piacerebbe vedere qualcosa di veramente straordinario? Guarda questo! — Prese un piccolo disco di legno, lo posò su un foglio di carta e vi tracciò intorno un cerchio. Spostò il disco di lato e disegnò un altro cerchio che andò a sfiorare il primo, poi ripetè il procedimento, finendo con tre cerchi allineati. Piazzando un dito su ciascuna estremità della fila, disse:

— Da qui a qui ci sono esattamente tre diametri, giusto?

— È giusto — approvò Toller ansiosamente, chiedendosi se aveva sbagliato qualcosa.

Ora arriviamo alla parte divertente. — Lain fece un segno di inchiostro sull’orlo del disco e lo piazzò verticalmente sul foglio, assicurandosi con attenzione che il segno coincidesse con il bordo esterno di uno dei tre cerchi. Dopo aver dato uno sguardo a

Toller per essere sicuro che stesse prestando la dovuta attenzione, Lain fece scorrere lentamente il disco lungo tutta la riga di cerchi. Il segno sul suo bordo descrisse, un circolo completo e scese esattamente sul bordo esterno dell’ultimo cerchio.

— La dimostrazione è finita — annunciò Lain. — E questo fa parte di ciò che sto scrivendo.

Toller lo guardò di sottecchi. — La circonferenza di una ruota che è uguale a tre diametri?

— Il fatto è che è esattamente uguale a tre diametri. Questa dimostrazione era piuttosto rozza, ma anche quando andiamo ai limiti della misurazione il rapporto è esattamente tre. Questo non ti stupisce?

— Perché dovrebbe? — disse Toller, mentre la sua perplessità cresceva. — Se è così, è così.

— Sì, ma perché dovrebbe essere esattamente tre? Questo, e cose come il fatto che noi abbiamo dodici dita, rende le intere aree di calcolo assurdamente facili. È quasi come un dono ingiustificato della natura.

— Ma è così. Cos’altro potrebbe essere?

— Ora ti stai avvicinando al tema del saggio. Può esserci qualche altro… posto… dove il rapporto è tre e un quarto, o forse solo due e mezzo. In effetti, non c’è nessuna ragione per cui non debba esserci qualche numero completamente irrazionale che farebbe venire il mal di testa ai matematici.

— Qualche altro posto — disse Toller. — Vuoi dire un altro pianeta? Come Oltremondo?

— No. — Lain gli diede uno sguardo che era allo stesso tempo franco ed enigmatico. — Voglio dire un’altra totalità, dove ci siano leggi fisiche e costanti differenti da quelle che noi conosciamo.

Toller fissò di rimando suo fratello, tentando di penetrare la barriera che si era interposta tra loro. — È molto interessante — disse. — Riesco a capire perché il saggio ti ha preso così a lungo.

Lain rise forte e aggirò la scrivania per abbracciare Toller. — Ti voglio bene, fratellino.

— Anch’io, Lain.

Bene! Voglio che te ne ricordi quando Leddravohr arriverà. Io sono un pacifista impegnato, Toller, e rifuggo da ogni violenza. Il fatto che io tenga testa a Leddravohr è irrilevante, mi sarei comportato esattamente nello stesso modo con lui se il nostro status sociale e fisico fosse invertito. Leddravohr e il suo genere fanno parte del passato, mentre noi rappresentiamo il futuro. Quindi io voglio che tu mi giuri che, anche se Leddravohr mi insulterà a sangue, tu te ne starai da parte e lascerai la conduzione dei miei affari solamente a me.

— Sono una persona diversa ora — disse Toller, facendo un passo indietro. — Inoltre, Leddravohr potrebbe essere ben disposto.

— Voglio la tua parola, Toller.

Ce l’hai. E poi, è nel mio stesso interesse prendere Leddravohr per il suo verso, se voglio diventare pilota di astronavi. Toller rimase tardivamente colpito dalle sue stesse parole. — Lain, perché discutiamo di tutto questo con tanta calma? Ci è stato appena detto che il mondo come noi lo conosciamo sta per finire… e che dobbiamo cercare di raggiungere un altro pianeta… eppure tutti noi ci stiamo occupando dei nostri affari quotidiani come se niente fosse successo. Non ha senso.

— È una reazione più naturale di quanto tu possa pensare. E non dimenticare che il volo di migrazione è solo una congettura, finora; potrebbe non avvenire mai.

— La guerra con Chamteth sta per avvenire.

Questa è responsabilità del Re — disse Lain, con voce improvvisamente brusca. — Non può essere attribuita a me. Devo continuare con il mio lavoro adesso.

— Io dovrei vedere come sta Sua Grazia. — Mentre Toller camminava per il corridoio verso la scala principale si chiese di nuovo perché Leddravohr avesse deciso di andare alla Casa Quadrata invece di far visita a Glo nel molto più grande Greenmount Peel. Il messaggio dell’eliografo dal palazzo aveva trasmesso semplicemente che i principi Leddravohr e Chakkel sarebbero arrivati lì prima della piccola notte per istruzioni tecniche preliminari, e Glo, benché infermo, era stato obbligato a uscire per incontrarli. Ora era dopogiorno inoltrato e Glo si sarebbe stancato, indebolito ulteriormente dallo sforzo di cercare di nascondere la sua infermità.

Toller scese sino all’ingresso e voltò a sinistra nella sala comune dove aveva lasciato Glo alle temporanee cure di Fera. I rapporti tra i due erano molto buoni, e proprio, sospettava Toller, grazie alle umili origini e alle maniere non troppo educate di lei. Era un altro dei vezzi di Glo, un modo di ricordare a chi gli stava intorno che lui non era soltanto un appartato filosofo. Era seduto a un tavolo e leggeva un piccolo libro, e Fera stava in piedi vicino a una finestra a fissare il mosaico del cielo quadrettato dalle reti. Indossava un semplice abito intero di batista grigio chiaro che metteva in evidenza la sua figura statuaria.

Si voltò sentendo Toller entrare nella stanza e disse: — Che noia. Voglio andare a casa.

— Pensavo che volessi vedere un principe in carne ed ossa da vicino.

— Ho cambiato idea.

— Saranno qui presto — disse Toller. — Perché non fai come Sua Grazia e passi il tempo leggendo?

Fera mosse le labbra silenziosamente, formando con cura le parole di un’imprecazione così che non ci fosse nessun dubbio su cosa ne pensava di quel suggerimento. — Non sarebbe così male se ci fosse almeno qualcosa da mangiare.

— Ma hai mangiato meno di un’ora fa! — Toller fece scorrere uno sguardo scherzosamente critico sulla figura della sua mediamoglie. — Non c’è da stupirsi che tu stia ingrassando.

Non è vero! — Fera si diede un colpo sul ventre e contrasse lo stomaco, il che causò un voluttuoso gonfiarsi dei seni. Toller guardò lo spettacolo con apprezzamento affettuoso. Era una cosa inspiegabile per lui che Fera, nonostante il suo appetito e l’abitudine a trascorrere intere giornate a letto, avesse quasi lo stesso aspetto di due anni prima. Il solo cambiamento visibile era che il suo dente sbocconcellato aveva cominciato a diventare grigio. Lei passava molto tempo a strofinarlo con polveri bianche prese al mercato Samlue, che avrebbero dovuto contenere perle schiacciate. Lord Glo alzò gli occhi dal suo libro, il viso maliziosamente animato. — Portala di sopra — disse a Toller. — Questo è quello che farei io se avessi cinque anni di meno.

Fera ci pensò solo un attimo, poi uscì con la sua prevedibile volgarità. — Io vorrei che voi aveste cinque anni di meno, Vostra Grazia; il solo salire le scale sarebbe abbastanza per finire mio marito.

Glo fece un nitrito di gratitudine.

— In questo caso, lo faremo proprio qui — disse Toller. Si fece avanti, mise le braccia intorno a Fera e la strinse a sé, simulando un amplesso con apparente serietà. C’era una chiara intenzione di stuzzicare Glo in quello che lui e Fera stavano facendo, ma il genere di rapporto costruito dai tre era improntato a uno schietto cameratismo fitto di amichevoli buffonate. Dopo alcuni secondi di sfregamenti, comunque, Toller sentì Fera muoversi contro di lui con segni d’intenzioni meno scherzose.

— Puoi ancora usare la tua vecchia stanza da letto? — sussurrò premendogli le labbra all’orecchio. — Sto cominciando a sentirmi come… — Smise di parlare, e anche se rimase tra le sua braccia Toller intuì che qualcuno era entrato nella stanza.

Si voltò e vide Gesalla Maraquine che lo guardava con freddo disdegno, la familiare espressione che sua cognata sembrava riservare solo a lui. Il suo vestito scuro, leggero, accentuava la sua magrezza. Era la prima volta che si incontravano dopo quasi due anni e lui fu colpito dal fatto che, come Fera, anche lei non era cambiata in modo significativo. I disturbi della sua seconda gravidanza, che le avevano impedito di prender parte al pasto della piccola notte, avevano soffuso i suoi delicati lineamenti di una dignità quasi divina, che in qualche modo lo fece sentire estraneo a tutto quello che era importante nella vita.

— Buon dopogiorno, Gesalla — le disse. — Vedo che non hai perso la tua abilità di materializzarti esattamente nel momento sbagliato. — Fera scivolò via da lui. Toller sorrise e guardò Glo, aspettandosi il suo appoggio morale, ma il vecchio indulgeva nel suo tradimento scherzoso fissando con insistenza il suo libro, facendo finta di essere così concentrato da non essersi nemmeno accorto di quello che Toller e Fera stavano facendo.

Gli occhi grigi di Gesalla considerarono brevemente Toller mentre decideva se fosse o meno degno di una risposta, poi rivolse la sua attenzione a Lord Glo. — Vostra Grazia, lo scudiero del principe Chakkel è arrivato. Comunica che i principi Chakkel e Leddravohr stanno salendo la collina.

— Grazie, mia cara. — Glo chiuse il libro e aspettò che Gesalla avesse lasciato la stanza prima di rivelare le rovine dei suoi denti inferiori. — Ho pensato che non foste… hmm.. spaventati da lei.

Toller era indignato. — Spaventato? Perché dovrei essere spaventato?

— Huh! — Fera era tornata al suo posto vicino alla finestra. — Cosa c’era di sbagliato?

— Di cosa stai parlando?

— Hai detto che lei è entrata nel momento sbagliato. Cosa c’era di sbagliato?

Toller la stava fissando, esasperato e muto, quando Glo gli tirò la manica per indicare che voleva alzarsi in piedi. Dall’ingresso venivano rumori di passi e il suono di una voce maschile. Toller aiutò Glo ad alzarsi e allacciò le stecche del suo busto di canna. Entrarono insieme in sala, con Toller che reggeva molto del peso del Lord senza darlo a vedere. Lo scudiero aveva circa quarant’anni, la pelle grassa e labbra rossastre prominenti, e stava arringando Lain e Gesalla. Aveva i calzoni e la tunica grigio scuro frivolmente decorati con file di minuscole perline di cristallo e portava la stretta spada da duellante.

— Sono Canrell Zotiern, e rappresento il principe Chakkel — annunciò con un’imperiosità che si sarebbe meglio adattata al suo padrone. — Lord Glo e i membri della famiglia Maraquine, nessun altro, staranno qui in fila di fronte alla porta e aspetteranno l’arrivo del principe.

Toller, stupito dall’arroganza di Zotiern, aiutò Glo a raggiungere il punto indicato vicino a Lain e Gesalla. Lo fissò aspettando che reagisse con un’adeguata reprimenda, ma il vecchio sembrava troppo preoccupato dei faticosi meccanismi del camminare per aver notato qualunque altra cosa. Molti servi della casa guardavano silenziosamente dalla porta che dava sulle cucine. Oltre l’arcata dell’ingresso principale i soldati a cavallo della guardia personale di Chakkel ostruivano il flusso di luce che entrava nella sala. Toller si accorse che lo scudiero lo stava guardando.

— Tu! Il servo personale! — gridò Zotiern. — Sei sordo? Torna ai tuoi alloggi.

Il mio attendente personale è un Maraquine, e rimane con me — disse Glo fermamente.

Toller sentì lo scambio di parole come attraverso una tumultuosa distanza. Quel martellare nella testa era qualcosa che non provava da lungo tempo, e fu sbigottito di scoprire che la sua presunta immunità alle provocazioni si dimostrava illusoria. “Sono una persona diversa”, si disse, mentre un fremito nervoso percorreva le sue sopracciglia. “Io sono una persona diversa”.

— E ho un avvertimento per voi — continuò Glo, parlando in Kolcorriano colto e lasciando venir fuori qualcosa della sua vecchia autorità. — I poteri eccezionali che il Re ha conferito a Leddravohr e Chakkel non si estendono, come voi sembrate pensare, ai loro lacchè. Non tollererò alcun’altra violazione del protocollo da parte vostra.

— Mille scuse, Vostra Grazia — disse Zotiern, falso e imperturbabile consultando una lista che aveva tirato fuori dalla tasca. — Ah, sì: Toller Maraquine… e una consorte di home Fera — si pavoneggiò più vicino a Toller. — Visto che si sta parlando di protocollo, Toller Maraquine, dov’è questa vostra consorte? Non sapete che tutti i membri femminili della famiglia dovrebbero essere presenti?

— Mia moglie è a portata di mano — disse Toller freddamente. — La farò… — Si interruppe quando Fera, che doveva essere rimasta in ascolto, apparve sulla porta della sala. Muovendosi timidamente con un contegno insolito, andò verso Toller.

— Sì, riesco a capire perché volevate tenere questa qui nascosta — disse Zotiern. — Devo fare un’ispezione più accurata in nome del principe.

Mentre Fera gli passava vicino lui la fermò afferrandole una ciocca di capelli. Il tamburellio nel cervello di Toller sprofondò nel silenzio. Tese la mano sinistra e colpì Zotiern sulla spalla, mandandolo ruzzoloni. Lo scudiero cadde di lato, atterrando sulle mani e sulle ginocchia, e immediatamente scattò in piedi di nuovo. La sua mano destra corse alla spada e Toller sapeva che quando avesse completamente riguadagnato l’equilibrio sarebbe stata sguainata. Spinto dall’istinto, dalla rabbia e dalla paura, Toller si lanciò sul suo avversario e lo colpì sul lato del collo con tutta la forza del braccio. Zotiern rotolò via, con le braccia e le gambe che frustavano l’aria come le lame di una bacchetta da ptertha, crollò al suolo e scivolò per varie iarde sul pavimento levigato. Si fermò sdraiato sulla schiena, immobile, la testa piegata ad angolo sopra una spalla. Gesalla diede un grido chiaro, acuto.

— Cosa sta succedendo qui? — L’urlo proveniva dal principe Chakkel, che aveva appena oltrepassato la soglia seguito da vicino da quattro della sua guardia. Procedette a grandi passi verso Zotiern, si piegò brevemente su di lui, il cranio quasi calvo che brillava, e alzò gli occhi verso Toller, che era congelato in posizione di combattimento.

— Voi! Di nuovo! — L’espressione cupa di Chakkel divenne ancora più scura. — Cosa vuol dire questo?

— Lui ha insultato Lord Glo — rispose Toller, affrontando direttamente lo sguardo del principe. — Ha anche insultato me e molestato mia moglie.

— È vero — dichiarò Glo. — Il comportamento del vostro uomo è stato del tutto senza scu…

— Silenzio! Ne ho abbastanza di questo stupido villano rifatto — Chakkel agitò il braccio, facendo segno alle sue guardie di avvicinarsi a Toller. Uccidetelo!

I soldati avanzarono, brandendo le loro lame nere. Toller indietreggiò, pensando alla spada che aveva lasciato a casa, finché i suoi talloni non toccarono il muro. I soldati formarono un semicerchio e si chiusero su di lui, gli occhi attenti stretti a fessura sotto il bordo degli elmetti di brakka. Dietro di loro Toller poteva vedere Gesalla che si nascondeva tra le braccia di Lain; Glo, vestito di grigio fermo al suo posto, la mano alzata in una protesta senza effetto; e Fera che lo guardava attraverso le dita semiaperte. Fino a quel momento le guardie erano rimaste alla stessa distanza da lui, ma adesso quello di destra stava passando all’azione e la punta della sua spada descriveva impazienti piccoli cerchi mentre l’uomo si preparava ad attaccare.

Toller si spinse con tutta la forza contro il muro e si preparò a passare sotto la lama quando il colpo fosse arrivato, deciso a dare almeno un po’ di filo da torcere ai suoi carnefici invece di lasciarsi tranquillamente tagliare a metà. La punta ballerina della spada si fermò significativamente e il messaggio per Toller fu che il suo tempo era scaduto. La percezione acutizzata di tutto quello che lo circondava gli disse che un altro uomo stava entrando nella sala, e persino in quella disperata situazione fu in grado di sentire una fitta di rammarico per il fatto che il nuovo venuto fosse il principe Leddravohr, che arrivava giusto in tempo per gustarsi la sua morte…

— State lontani da quell’uomo!— ordinò Leddravohr. La sua voce non era eccessivamente alta, ma le quattro guardie obbedirono immediatamente.

— Che diavolo… — Chakkel si voltò verso Leddravohr. — Quegli uomini fanno parte della mia guardia personale e prendono ordini solo da me.

— Ah sì? — disse con calma Leddravohr. Puntò un dito verso i soldati e lo spostò lentamente indicando il lato opposto della sala.

I quattro seguirono la direzione indicata, come controllati da bacchette invisibili, e si fermarono nelle nuove posizioni.

— Ma non capisci — protestò Chakkel. — Il villano Maraquine ha ucciso Zotiern.

In teoria non sarebbe possibile: Zotiern era armato e il villano Maraquine no. Questo è parte del prezzo che paghi, mio caro Chakkel, per il fatto di circondarti di boriosi incompetenti. — Leddravohr si avvicinò a Zotiern, lo guardò ed emise un cupo sogghigno. — E poi, non è morto. E ferito a morte, bada bene, ma non è affatto morto. Non è così, Zotiern? — Leddravohr enfatizzò la domanda spingendo leggermente l’uomo con la punta del piede.

La bocca di Zotiern emise un debole suono gorgogliante e Toller vide che i suoi occhi erano ancora aperti, furibondi e fissi, sebbene il suo corpo rimanesse inerte.

Leddravohr sorrise a beneficio di Chakkel. — Dal momento che hai una così grande stima di Zotiern, gli concederemo l’onore di mandarlo lungo la Strada Luminosa. Forse l’avrebbe addirittura scelta lui stesso se fosse ancora in grado di parlare. — Leddravohr gettò un’occhiata ai quattro soldati attenti. — Portatelo via e provvedete.

I soldati, evidentemente lieti di sfuggire alla presenza di Leddravohr, fecero un frettoloso saluto prima di precipitarsi su Zotiern e di portarlo fuori nel cortile. Chakkel fece come per seguirli, poi tornò indietro. Leddravohr gli diede una pacca beffardamente affettuosa sulla spalla, fece scivolare una mano sulla spada e attraversò la sala per fermarsi davanti a Toller.

— Sembri ossessionato dal desiderio di mettere in pericolo la tua vita — disse. — Perché l’hai fatto?

— Principe, quell’uomo ha insultato Lord Glo. Ha insultato me. E ha molestato mia moglie.

— Tua moglie? — Leddravohr si voltò e guardò Fera. — Ah, sì. E come hai sopraffatto Zotiern?

Toller era sconcertato dal tono di Leddravohr. — L’ho colpito con un pugno.

— Una volta?

— Non c’è stato bisogno di farlo di nuovo.

— Capisco. — La faccia inumanamente levigata di Leddravohr era enigmatica. — È vero che hai fatto numerosi tentativi per entrare nell’esercito?

— È vero, principe.

— In questo caso ho buone notizie per te, Maraquine — disse Leddravohr. — Adesso sei nell’esercito. Ti prometto che avrai molte opportunità di soddisfare i tuoi fastidiosi istinti guerreschi a Chamteth. Presentati a rapporto alla Caserma Mithold all’alba.

Leddravohr si allontanò senza aspettare risposta e cominciò una conversazione a bassa voce con Chakkel. Toller rimase com’era, la schiena ancora premuta contro il muro, mentre cercava di controllare il ribollire dei suoi pensieri. Nonostante il suo focoso temperamento aveva ucciso solo un’altra volta, prima, quando era stato attaccato dai ladri in una strada buia nel distretto di Flylien di Ro-Atabri, e ne aveva stesi due. Non aveva neppure visto le loro facce e l’incidente lo aveva lasciato insensibile, ma nel caso di Zotiern poteva ancora sentire lo spaventoso scricchiolio delle vertebre e vedere i suoi occhi terrorizzati. Il fatto di non averlo ucciso sul colpo rendeva soltanto l’episodio più drammatico; Zotiern, inerme come un insetto mutilato, aveva avuto una sua personale eternità per anticipare il colpo di spada finale. Toller si stava ancora arrovellando per arrivare a un compromesso con le emozioni quando Leddravohr aveva lanciato la sua bomba, e ora l’universo era un caos di frammenti in rovina.

— Il principe Chakkel ed io ci ritireremo in una stanza separata con Lain Maraquine — annunciò Leddravohr. — Non dobbiamo essere disturbati.

Glo fece segno a Toller di avvicinarsi. — Abbiamo tutto pronto per voi, principe. Posso suggerire di…?

— Non suggerite niente, Lord Sciancato, la vostra presenza non è richiesta in questa fase. — La faccia di Leddravohr era priva di espressione mentre guardava Glo, come se non fosse nemmeno degno di disprezzo. — Rimarrete qui nel caso io abbia ragione di convocarvi più tardi, sebbene confessi di trovare difficile immaginare che la vostra presenza possa mai essere di qualche valore per chicchessia. — Leddravohr diresse il suo freddo sguardo su Lain. — Dove?

— Da questa parte, principe. — Lain parlò a bassa voce e stava visibilmente tremando quando si mosse verso le scale, seguito da Leddravohr e Chakkel. Appena furono scomparsi al piano superiore anche Gesalla uscì dalla stanza, lasciando Toller solo con Glo e Fera. Erano passati solo pochi minuti da quando si erano riuniti insieme nella sala, eppure ora respiravano un’aria diversa, abitavano un mondo diverso. Toller intuì che avrebbe sentito il pieno impatto del cambiamento solo più tardi.

— Aiutami a tornare alla mia… hmm… sedia, ragazzo mio — disse Glo. Rimase in silenzio finché non si fu sistemato nella stessa poltrona di prima. Poi guardò Toller con un sorriso di vergogna. — La vita non smette mai di riservare delle sorprese, non è vero?

— Mi dispiace, Vostra Grazia.

— Toller si sforzò di trovare le parole appropriate. — Non c’era niente che io potessi fare.

— Non affliggerti. Ne sei uscito bene, anche se temo che non fosse nelle intenzioni di Leddravohr farti un favore quando ti ha preso al suo servizio.

— Non lo capisco. Mentre veniva verso di me ho pensato che volesse uccidermi lui stesso.

— Mi dispiacerà perderti.

— Cosa ne sarà di me? — disse Fera. — Qualcuno ha pensato cosa succederà a me?

Toller le rispose con evidente esasperazione. — Tu puoi non averlo notato, ma a noi tutti sono state date altre cose a cui pensare.

— Non hai ragione di preoccuparti — le disse Glo. — Puoi rimanere al Peel per tutto il tempo che… hmm… desideri.

— Grazie, mylord. Vorrei poterci andare adesso.

— Anch’io, mia cara, ma ho paura che sia fuori questione. Nessuno di noi è libero di andarsene finché non verremo congedati dal principe. Questa è l’usanza.

— Usanza! — Lo sguardo insoddisfatto di Fera vagò per la stanza prima di posarsi su Toller. — Momento sbagliato!

Lui le voltò la schiena, non volendo trovarsi di fronte il mistero della psiche femminile, e andò a mettersi, vicino a una finestra. “L’uomo che ho ucciso meritava di essere ucciso”, disse a se stesso, “quindi non devo pensarci più”. Tornò a pensare al misterioso comportamento di Leddravohr. Glo aveva assolutamente ragione; il principe non aveva fatto un gesto di benevolenza quando lo aveva nominato soldato così sommariamente. Indubbiamente lui sperava che Toller fosse ucciso in battaglia, ma perché non aveva vagliato la possibilità di prendersi la rivincita di persona? Avrebbe potuto mettersi dalla parte di Chakkel per la morte dello scudiero e così avrebbe chiuso la faccenda. Leddravohr era capacissimo di progettare la rovina dei suoi oppositori in modo da trarne la massima soddisfazione, ma forse agli occhi del principe questo sarebbe stato attribuire importanza a un oscuro membro di una famiglia di filosofi.

Il pensiero delle sue origini ricordò a Toller lo stupefacente fatto che ora era nell’esercito, e quella consapevolezza lo colpì quasi con più forza dell’inattesa comunicazione di Leddravohr. Era un’ironia che l’ambizione che aveva cullato per tanta parte della sua vita si realizzasse in una maniera così bizzarra proprio quando lui stava cominciando a rinunciarvi. Cosa gli sarebbe successo dopo che si fosse presentato alla Caserma Mithold, quella mattina? Era sconcertante scoprire che non aveva nessuna idea del suo futuro, che dopo la notte in arrivo lo schema della sua vita si disfaceva in riflessioni frammentarie… Leddravohr… l’esercito… Chamteth… il volo di migrazione… Sopramondo… l’ignoto turbinare nell’ignoto…

Un leggero russare dietro di lui gli disse che Glo si era addormentato. Lasciò a Fera il compito di assicurarsi che stesse comodo e continuò a guardare fuori della finestra. Gli schermi anti-ptertha offuscavano la veduta di Sopramondo, ma poteva vedere la progressione del cono d’ombra sul grande disco. Quando fosse arrivato a metà strada, dividendo il pianeta gemello in due emisferi di uguale misura ma di diversa lucentezza, il sole sarebbe riapparso all’orizzonte.

Poco prima che questo avvenisse il principe Chakkel lasciò la lunga riunione e partì per la sua residenza a Palazzo Tannofern, che si trovava a oriente del Gran Palazzo. Adesso che le strade principali di Ro-Atabri erano praticamente gallerie, avrebbe potuto trattenersi più a lungo alla Casa Quadrata, ma Chakkel era famoso per la sua devozione alla moglie e ai figli. Dopo che lui e il suo seguito ebbero lasciato la casa, il cortile cadde in un silenzio assoluto, ricordando a tutti che Leddravohr era arrivato da solo. Il principe soldato era noto per la sua abitudine di viaggiare sempre senza scorta, in parte, si diceva, a causa della sua impazienza con gli attendenti, ma soprattutto perché disdegnava di affidare a un pugno dì guardie la propria sicurezza. Era convinto che la sua reputazione e la sua spada fossero tutta la protezione di cui aveva bisogno in qualunque parte dell’impero.

Toller aveva sperato che Leddravohr se ne sarebbe andato subito dopo Chakkel, ma le ore passarono l’una dopo l’altra senza che la riunione accennasse a finire. Leddravohr sembrava deciso ad assorbire tutte le cognizioni aeronautiche esistenti nel più breve tempo possibile.

L’orologio a muro di vetrolegno segnava l’ora decima quando un servitore arrivò con piatti di cibi semplici, principalmente torte di pesce e pane. Ci fu anche una nota di scusa da parte di Gesalla, che stava troppo male per adempiere ai suoi doveri di ospite. Fera si aspettava un lauto banchetto e rimase molto delusa quando Glo le spiegò che non poteva essere servito nessun pasto formale fino a che Leddravohr non avesse deciso di andare a tavola. Lei mangiò tutto quel che poteva con una sola mano, poi si lasciò cadere su una sedia in un angolo e fece finta di dormire. Glo un po’ cercava di leggere nella scarsa luce delle lampade a muro, un po’ rimaneva a fissare cupamente nel vuoto. Toller aveva l’impressione che la stima che aveva di sé fosse stata irreparabilmente scossa dalla maligna crudeltà di Leddravohr.

Era quasi l’ora undicesima quando Lain entrò nella stanza. Disse: — Per favore, tornate nell’ingresso, Vostra Grazia.

Glo alzò la testa con uno scatto. — Così il principe ha finalmente deciso di andarsene.

— No. — Lain sembrava leggermente disorientato. — Credo che il principe stia per farmi l’onore di passare la notte sotto il mio tetto. Dobbiamo presentarci subito. Anche tu e tua moglie, Toller.

Toller, che non riusciva a spiegarsi l’insolita decisione di Leddravohr, aiutò Glo a mettersi in piedi e a lasciare la stanza. In tempi e circostanze normali sarebbe stato un grande onore, da parte di un reale, dormire nella Casa Quadrata, soprattutto perché il Gran Palazzo era molto vicino, ma in questo caso era difficile interpretare l’atteggiamento di Leddravohr come un gesto di benevolenza. Gesalla stava già aspettando ai piedi della scala, tenendosi ben eretta nonostante la sua evidente debolezza. Gli altri si misero in fila vicino a lei, con Glo al centro fiancheggiato da Lain e Toller, e aspettarono che Leddravohr arrivasse.

Passarono vari minuti prima che il principe apparisse in cima alla scala. Stava mangiando una coscia di pollo arrosto, e protrasse la scortesia continuando a rosicchiare l’osso in silenzio finché non lo ebbe spolpato tutto. Toller cominciò ad avere cupe premonizioni. Leddravohr gettò l’osso per terra, si pulì le labbra con il dorso della mano e lentamente scese le scale. Portava ancora la spada, un’altra inciviltà, e il suo viso liscio non mostrava alcun segno di stanchezza.

— Bene, Lord Glo, sembra che vi abbia tenuto qui tutto il giorno inutilmente. — Il tono di Leddravohr diceva chiaramente che non si stava scusando, — Ho imparato quasi tutto quello di cui avevo bisogno e per il resto ce la farò in mattinata. Molte altre faccende richiedono la mia attenzione, così, per evitare di perdere tempo andando avanti e indietro dal palazzo, stanotte dormirò qui. Vi terrete a disposizione per l’ora sesta. Posso stare certo che potrete muovervi per quell’ora?

— Sarò qui all’ora sesta, principe— disse Glo.

Buono a sapersi — replicò Leddravohr, giovialmente sarcastico. Passeggiò davanti ai suoi ospiti schierati, si fermò di fronte a Toller e Fera, e indirizzò loro un sorriso lampeggiante che non aveva niente a che vedere con l’allegria. Toller lo guardò più duramente possibile, mentre il suo presagio si tramutava nella certezza che quella giornata cominciata male stava per finire ancora peggio. Leddravohr spense il suo sorriso, tornò alla scala e cominciò a salire. Toller stava cominciando a dubitare della fondatezza dei suoi timori quando il principe si fermò sul terzo gradino.

— Cosa mi succede? — disse come riflettendo, dando la schiena al gruppo attento. — Il mio cervello è stanco, ma il mio corpo ha bisogno di scaricare energie. Vediamo: devo prendermi una donna, o no?

Toller, conoscendo già la risposta a quella domanda retorica, avvicinò la bocca all’orecchio di Fera. — È colpa mia — sussurrò.

— Leddravohr sa odiare più di quanto pensavo. Vuole usarti come un’arma contro di me, e non c’è niente che possiamo fare. Dovrai andare necessariamente con lui.

— Vedremo — disse Fera, mantenendo la sua compostezza.

Leddravohr tamburellò con le dite sulla ringhiera prolungando l’attesa, poi si voltò verso la sala.

— Tu — disse indicando Gesalla.

— Vieni con me.

— Ma…! — Toller fece un passo in avanti, rompendo la riga, il corpo simile a una colonna pulsante di sangue. Fissò Gesalla quasi con risentimento mentre lei toccava la mano di Lain e si avviava verso la scala con uno strano movimento ondeggiante, quasi fosse in trance e non comprendesse realmente quello che stava succedendo. Il suo bel viso era quasi luminescente nel suo pallore. Leddravohr la precedette e i due si persero nell’incerta penombra del piano superiore.

Toller si girò verso suo fratello.

— Quella è tua moglie… ed è incinta!

— Grazie dell’informazione — disse Lain con voce spenta, guardando Toller con occhi senza vita.

— Ma è tutto sbagliato!

— È l’uso Kolcorriano. — Incredibilmente, Lain riuscì ad atteggiare le labbra in un sorriso.

Ed è uno dei motivi per cui siamo disprezzati da ogni altra nazione del mondo.

— Chi se ne frega degli altri…?

— Toller si accorse che Fera, le mani sui fianchi, lo stava fissando con una furia che non faceva nulla per mascherare. — Che cosa ti prende?

— Forse se tu mi avessi denudata e gettata al principe le cose sarebbero andate come volevi tu — disse Fera a voce bassa e alquanto dura.

— Cosa vuoi dire?

— Voglio dire che non vedevi l’ora di vedermi andare con lui.

— Tu non capisci — protestò Toller. — Pensavo che Leddravohr volesse punire me.

— È esattamente quello che…

— Fera si interruppe per dare un’occhiata a Lain, poi si rivolse di nuovo a Toller. — Sei un pazzo, Toller Maraquine. Vorrei non averti mai incontrato. — Girò sui tacchi, improvvisamente altera, in un modo che lui non aveva mai visto prima, tornò in fretta nel salone e sbatté la porta.

Toller rimase a bocca aperta per un momento, perplesso, poi fece un giro nervoso intorno alla stanza e tornò da Lain e Glo. Quest’ultimo, con un’aria più esausta e fragile che mai, stringeva la mano di Lain.

— Cosa vuoi che faccia, ragazzo mio? — disse dolcemente. — Posso tornare al Peel se vuoi restare solo.

Lain scosse la testa. — No, mylord. È molto tardi. Se vorrete farmi l’onore di restare qui vi farò preparare una stanza.

— Molto bene. — Quando Lain se ne andò per dare istruzioni ai servitori, Glo girò la sua grande testa in direzione di Toller. — Non stai aiutando tuo fratello correndo in giro come un animale in gabbia.

— Non lo capisco — borbottò Toller. — Qualcuno dovrebbe fare qualcosa.

— Che cosa… hmm… suggeriresti?

— Non lo so. Qualcosa.

— Migliorerebbe la sorte di Gesalla se Lain si facesse ammazzare?

— Forse — disse Toller, rifiutandosi di usare la logica. — Potrebbe almeno essere fiera di lui.

Glo sospirò. — Aiutami a tro vare una sedia, e poi vai a prendermi un bicchiere di qualcosa di forte. Un nero di Kailian.

— Vino? — Toller rimase sorpreso nonostante il suo tumulto mentale. — Volete vino?

— Hai detto che qualcuno dovrebbe fare qualcosa, e questo è quello che farò io — rispose Glo tranquillamente. — Dovrai ballare alla tua stessa musica.

Toller aiutò il vecchio a sistemarsi su una sedia dallo schienale alto in un angolo della sala e andò a prendergli la sua coppa di vino, cercando d’inventarsi una giustificazione qualsiasi per tollerare l’intollerabile. Ma era un modo di pensare innaturale per lui, e ci volle un tempo che gli sembrò lunghissimo per trovare una scappatoia. “Leddravohr ci sta solo prendendo in giro” decise, attaccandosi a un filo di speranza. “Gesalla non può piacere a uno che è abituato a cortigiane esperte. La sta solo tenendo chiusa nel la sua stanza, e ride di noi. In effetti, può esprimere il suo disprezzo molto meglio sdegnando di toccare una qualunque delle nostre donne”.

Nell’ora che seguì Glo bevve quattro grandi bicchieri di vino, che diedero colore al suo viso e gli restituirono un po’ di energia. Lain si era ritirato nella solitudine del suo studio, sempre senza mostrare alcun segno di emozione, e Toller si sentì ancor più demoralizzato quando Glo annunciò il suo desiderio di ritirarsi. Sapeva che lui non avrebbe dormito e non aveva nessuna voglia di rimanere da solo con i suoi pensieri. Accompagnò Glo all’appartamento assegnatogli e lo aiutò in tutte le tediose procedure del bagno e del mettersi a letto, poi tornò nel lungo corridoio che collegava le stanze da letto principali. Udì dei rumori sommessi alla sua sinistra.

Si voltò e vide Gesalla che veniva verso di lui diretta alla sua camera. Gli abiti neri lunghi e svolazzanti e il viso sbiancato le davano un aspetto spettrale, ma il suo portamento era eretto e solenne. Era la stessa Gesalla Maraquine che lui aveva sempre conosciuto, fredda, riservata e indomita, e vedendola sentì una fitta di preoccupazione mista a sollievo. — Gesalla — disse, muovendo verso di lei, — stai…?

— Non avvicinarti — disse lei brusca con gli occhi stretti in uno sguardo velenoso, e l’oltrepassò senza alterare il suo passo. Costernato dal vero e proprio disgusto della sua voce, l’osservò finché scomparve alla sua vista, poi lo sguardo gli cadde sul pavimento a mosaico chiaro. La traccia di impronte insanguinate gli raccontarono una storia ancora più orribile di qualunque altra avesse tentato di scacciare dalla sua mente.

“Leddravohr, oh Leddravohr, oh Leddravohr”, cantilenò dentro di sé. “Siamo indivisibili adesso, tu ed io. Ti sei legato a me… e solo la morte ci potrà separare”.

10

La decisione di attaccare Chamteth da ovest fu presa per ragioni geografiche.

Ai confini occidentali dell’impero Kolcorriano, un po’ a nord dell’equatore, c’era una catena di isolotti vulcanici che terminava in un triangolo di terra bassa di circa otto miglia di lato. Conosciuta come Oldock, l’isola disabitata presentava diversi aspetti di grande importanza strategica per Kolcorron. Intanto era abbastanza vicina a Chamteth da costituire un’eccellente testa di ponte per un attacco dal mare; poi era fittamente coperta di alberi di tallon e rafter, due specie che crescevano fino a una notevole altezza e offrivano quindi una buona protezione contro i ptertha.

Inoltre il fatto che Oldock e l’intera catena Fairondes giacessero su una linea di correnti d’aria prevalentemente occidentali era un altro vantaggio per le cinque armate di Kolcorron. Il vento costante che soffiava sul mare aperto, pur rallentando l’andatura e costringendo le aeronavi a fare uso continuo dei loro reattori ave va un’influenza ancora maggiore sul movimento dei ptertha, cui rendeva praticamente impossibile avvicinarsi alla preda. I telescopi mostravano i lividi globi che sciamavano pigri nelle correnti di alta quota, ma venivano per la maggior parte trascinati verso est quando cercavano di penetrare i livelli più bassi dell’atmosfera. Quando aveva studiato il piano di invasione, l’alto comando Kolcorriano aveva previsto di perdere più di un sesto dei suoi uomini a causa dei ptertha, invece i decessi effettivi erano insignificanti.

Mentre l’esercito procedeva sempre più a ovest, la durata del giorno e della notte subiva un graduale ma percettibile cambiamento. L’antigiorno si faceva via via più corto e il dopogiorno più lungo, mentre Sopramondo si spostava dallo zenit e si avvicinava all’orizzonte orientale. Infine Tantigiorno si ridusse a un breve sprazzo di colori mentre il sole attraversava il vuoto tra l’orizzonte e il pianeta gemello, ormai annidato al bordo orientale di Mondo. La piccola notte divenne un breve prolungamento della notte vera e propria, e ci fu un senso di vera eccitazione, tra gli invasori, quando l’aspetto del cielo disse loro che si trovavano ormai nel Paese dei Lunghi Giorni.

L’insediamento della postazione sulla spiaggia stessa di Chamteth era un’altra fase dell’operazione nella quale ci si aspettavano considerevoli perdite, e i comandanti Kolcorriani non riuscirono a credere alla loro buona fortuna quando trovarono le rive coperte alberi deserte e indifese.

L’esercito, suddiviso in tre ali separate, non incontrò alcuna resistenza, e poté riunirsi ed attestarsi senza una sola vittima, a arte i normali incidenti inevitabili quando grandi masse di uomini e materiali si addentrano in un territorio sconosciuto. Nella foresta, tra gli altri alberi, trovarono piccoli gruppi di brakka, e il giorno dopo i fanghisti erano già al lavoro in coda ai militari in marcia.

I sacchi di cristalli verdi e purpurei estratti dai brakka furono caricati separatamente su navi da carico (grandi quantità di pikonio e alvelio non venivano mai trasportate insieme), e in un tempo incredibilmente breve si gettarono le basi di una catena di rifornimento su tutto il territorio, fino a Ro-Atabri. La ricognizione aerea fu temporaneamente accantonata perché le aeronavi erano troppo grandi, ma, guidati dalle antiche mappe, gli invasori continuarono a spingersi verso ovest a ritmo costante. In certe zone il terreno era paludoso, e infestato di serpenti velenosi, ma non presentava alcun serio ostacolo per soldati ben addestrati, in ottime condizioni fisiche e morali.

Fu il dodicesimo giorno che un esploratore di pattuglia notò un’aeronave di forma sconosciuta correre via silenziosamente nel cielo sopra di loro.

In quel momento l’avanguardia della Terza Armata stava emergendo dal litorale acquitrinoso diretta verso una zona sopraelevata, una serie di collinette che correvano da nord a sud, dove la vegetazione era più rada. Per un esercito senza oppositori era il tipo di terreno ideale per un’avanzata, ma i primi difensori Chamtethani erano in attesa.

Erano uomini dalla pelle scura, con muscoli lunghi e barbe nere, che indossavano armature flessibili fatte di piccole lamine di brakka cucite insieme a scaglia di pesce, e si gettarono sugli invasori con una ferocia che neppure i più rodati Kolcorriani avevano mai incontrato prima. Alcuni sembravano gruppi suicidi intenzionati a causare il massimo danno e la massima confusione usando una varietà di armi a lunga gittata, cannoni, mortai e catapulte meccaniche che lanciavano bombe al pikonio-alvelio per creare diversivi che impedissero al nemico di organizzare un attacco.

Le truppe di sfondamento Kolcorriane, veterane di molte guerre di frontiera, distrussero i Chamtethani nel corso di un’estesa, lunga battaglia che durò quasi tutto il giorno. Caddero meno di cento uomini, circa la metà delle perdite del nemico, e quando il giorno seguente fu trascorso senza ulteriori incidenti, il morale degli invasori era di nuovo alle stelle.

Da quel momento in poi, essendo venuta meno la sorpresa, la fanteria fu preceduta da una copertura aerea di bombardieri e di ricognitori e la vista di quei velivoli ellittici che pattugliavano il cielo contribuì molto a rassicurare i soldati.

I loro comandanti erano meno tranquilli, però, poiché sapevano di aver incontrato solo una forza di difesa locale, e questo sottintendeva che la notizia dell’invasione era arrivata alle orecchie di Chamteth, e che la potenza di un enorme continente si sarebbe presto scatenata contro di loro.

11

Il generale Risdel Dalacott tolse il tappo della piccola bottiglia di veleno e ne annusò il contenuto.

Il fluido chiaro aveva un aroma curioso, di miele e di spezie allo stesso tempo. Era un distillato di estratti di semprevergine, l’erba che masticata regolarmente impediva alle donne di concepire. Nella sua forma concentrata era anche più biofoba e offriva una fuga dolce, indolore e assolutamente sicura da tutte le tribolazioni della carne. Godeva di grande considerazione tra quelli dell’aristocrazia Kolcorriana che non avevano propensione per i più onorevoli ma sanguinosissimi metodi tradizionali di suicidio.

Dalacott vuotò la bottiglia nella sua coppa di vino e, dopo solo una piccola esitazione, ne assaggiò un sorso. Il sapore del veleno si sentiva appena, anzi, si poteva quasi dire che avesse migliorato quello del vino aspro, aggiungendogli un pizzico di speziata dolcezza. Bevve un altro sorso e mise da parte la coppa, non volendo abbandonarsi troppo in fretta all’ultimo sonno. Doveva ancora portare a termine l’ultimo dovere che si era imposto.

Guardò la sua tenda, ammobiliata solo con una brandina, un baule, la sua scrivania portatile e qualche sedia pieghevole di paglia. Altri ufficiali di grado superiore amavano circondarsi di lusso per mitigare il rigore delle campagne militari, ma ciò non rientrava nel carattere di Dalacott. Era sempre stato un soldato ed era vissuto come un soldato dovrebbe vivere, e il motivo per cui aveva deciso di morire di veleno anziché di spada era che si riteneva più degno di una morte da soldato.

Era buio, dentro la tenda, perché l’unica luce veniva da una lanterna da campo militare, del tipo che si alimentava da sola attirando cimici oleose. Ne accese una seconda e la mise sulla scrivania, trovando ancora un po’ strano che si dovesse ricorrere a quei metodi per leggere di notte. In un punto così occidentale di Chamteth, oltre il Fiume Arancione, Sopramondo era nascosto sotto l’orizzonte e il periodo diurno consisteva in dodici ore di luce ininterrotta cui seguivano dodici ore di oscurità completa. Se Kolcorron fosse stata in quell’emisfero i suoi scienziati avrebbero probabilmente escogitato da tempo un efficiente sistema di illuminazione.

Dalacott alzò la ribalta della scrivania e tirò fuori l’ultimo volume del suo diario, quello del 2629. Era rilegato in morbida pelle verde e aveva una pagina per ciascun giorno dell’anno. Lo aprì e lo sfogliò lentamente, condensando l’intera campagna di Chamteth in pochi minuti, scegliendo gli eventi chiave che, dapprima insensibilmente, avevano portato alla sua personale disintegrazione di soldato e di uomo.


GIORNO 84 — Il principe Leddravohr era di un umore strano alla riunione dello stato maggiore oggi. Sentivo che era eccitato e su di giri, nonostante le notizie di pesanti perdite sul fronte sud. È tornato più volte sul fatto che i ptertha sembrano essere così pochi in questa parte di Mondo. Non è certo tenuto a confidare i suoi pensieri più intimi, ma mettendo insieme una serie di elementi, sia pure frammentari e indiretti, ho avuto l’impressione che cullasse l’idea di persuadere il Re ad abbandonare tutto il progetto di migrazione su Sopramondo.

La sua logica, mi sembra, è che misure così disperate sarebbero inutili se si dimostrasse che, per qualche sconosciuta ragione, nel Paese, dei Lunghi Giorni le condizioni sono sfavorevoli ai ptertha. In questo caso basterebbe che Kolcorron sottomettesse Chamteth e trasferisse qui la sede del potere e ciò che rimane della popolazione, una mossa molto più logica e naturale che tentare di raggiungere un altro pianeta…


GIORNO 93 — La guerra sta andando male. Questi uomini sono combattenti decisi, valorosi e dotati. Non voglio pensare all’eventualità di una nostra sconfitta, ma la verità è che avremmo dovuto fare prove severe prima di andare contro Chamteth, anche ai tempi in cui potevamo mettere in campo quasi un milione di uomini egregiamente addestrati. Attualmente ne abbiamo solo un terzo, di cui una parte sconfortantemente alta è data da reclute ancora da addestrare, e avremo bisogno di tutta la nostra fortuna, oltre alle nostre capacità e al nostro coraggio, per portare avanti la guerra con successo.

“Un importante elemento a nostro favore è che questo Paese è tanto ricco di risorse, particolarmente di brakka e di vegetali commestibili. Il rumore delle scariche di polline dei brakka viene continuamente scambiato dai miei uomini per il fuoco o le bombe del nemico, e abbiamo una grande abbondanza di cristalli di energia per le nostre armi pesanti. Né abbiamo difficoltà di approvvigionamento, nonostante gli sforzi dei Chamtethani per bruciare i raccolti che sono costretti ad abbandonare. %

Se non stiamo attenti, anche le donne e persino i bambini piccoli si danno da fare per distruggere i campi. Con la disponibilità di uomini ridotta al minimo, non possiamo stornare le truppe da combattimento per mansioni di sorveglianza, e per questa ragione Leddravohr ha ordinato di non fare prigionieri, senza badare al sesso o all’età.

Tutto questo suona molto militare, ma io sono rimasto disgustato dalla quantità di stragi di cui sono stato testimone di recente. Persino i più duri tra i soldati compiono il loro dovere con la faccia cupa e, durante la notte, negli accampamenti, risate e schiamazzi hanno una nota di allegria forzata.

Questo è un pensiero sedizioso, un pensiero che non esprimerei se non nell’intimità di queste pagine, ma una cosa è diffondere i benefici dell’impero fra tribù barbare e litigiose, e una cosa del tutto diversa è accanirsi nella distruzione di una grande nazione la cui unica colpa è quella di fare un uso saggio delle sue riserve di brakka.

Non ho mai avuto tempo per la religione, ma ora, per la prima volta, sto cominciando a comprendere il significato della parola ‘peccato’ ”.

Dalacott fece una pausa nella lettura e alzò la coppa di vino smaltata. Fissò per un momento il fondo imperlato, resistendo all’impulso di vuotarla fino in fondo, poi bevve un piccolo sorso.

Erano tante le persone che sembravano chiamarlo al di là di quella barriera che separa i vivi dai morti: sua moglie Tonane, Aytha Maraquine, suo figlio Oderan, Conna Dalacott, e il piccolo Hallie.

Perché proprio lui era stato scelto per continuare a vivere fino e oltre i settantanni, con la falsa consolazione dell’immunità, quando altri avrebbero potuto fare un uso migliore del dono della vita?

Involontariamente la sua mano destra scivolò in una tasca e localizzò il curioso oggetto che aveva trovato sulle rive del BesUndar tanti anni prima. Strofinò il pollice in un movimento circolare sulla superficie levigata come uno specchio, e riprese a sfogliare le pagine del suo diario.


GIORNO 102 — Come si possono prevedere gli scherzi del destino?

Stamattina, dopo un’interruzione di diversi giorni, ho cominciato a firmare il mucchio di menzioni d’onore sulla mia scrivania, e ho scoperto che mio figlio, Toller Maraquine, presta servizio come soldato semplice in uno dei reggimenti direttamente sotto il mio comando!

Sembra che sia stato raccomandato per i dischi al valore non meno di tre volte nonostante il suo breve servizio e la mancanza di addestramento formale. In teoria, come recluta non dovrebbe passare tanto tempo in prima linea, ma forse la famiglia Maraquine ha usato i suoi stretti legami con la corte per impedire a Toller di fare una carriera tardiva. Questo è qualcosa di cui mi devo informare, se riuscirò mai a trovare un momento di libertà dalle pressioni del comando.

Davvero i tempi sono cambiati, se la casta militare non solo chiama alle armi gli esterni per aumentare i suoi ranghi, ma li getta nel più grande pericolo, permettendo che questo sia confuso con la gloria.

Farò del mio meglio per vedere mio figlio, se ci riesco senza suscitare i suoi sospetti e i commenti degli altri. Un incontro con Toller sarebbe l’unico raggio di luce nella notte profonda di questa guerra criminale.


GIORNO 103 — Una compagnia dell’Ottavo Battaglione è stata completamente distrutta in un attacco a sorpresa nel settore CU. Solo una manciata di uomini è scampata al massacro e molti di loro erano feriti così seriamente che non hanno avuto altra scelta se non la Strada Luminosa. Disastri simili stanno diventando talmente comuni che ho scoperto che mi preoccupano di più i rapporti arrivati stamattina, che dicono che la nostra tregua con i ptertha sta per finire.

Osservazioni telescopiche di aeronavi molto a est di qui, dalla Penisola di Loongl, hanno rilevato che un gran numero di ptertha si stavano spostando a sud sopra l’equatore. Sono avvistamenti irregolari, perché al momento abbiamo poche navi sull’oceano Fyallon, ma l’opinione degli scienziati è che i ptertha si stessero muovendo a sud per approfittare di un nodo di vento che dovrebbe portarli a ovest per un lungo tratto e poi di nuovo a nord verso Chamteth.

Non ho mai creduto alla teoria secondo cui i globi possiedono una rudimentale intelligenza, ma se sono davvero capaci di un simile comportamento, cioè di strumentalizzare le condizioni del tempo, la conclusione che abbiano intenzioni maligne nei nostri confronti è quasi inevitabile. Forse, come le formiche e altre creature del genere, la loro specie come insieme ha una qualche forma di intelligenza collettiva, sebbene gli individui non abbiano alcuna attività mentale.


GIORNO 106 — Il sogno di Leddravohr di una Kolcorron libera dal flagello dei ptertha è naufragato di colpo. I globi sono stati avvistati dalle flotte ausiliaree della Prima Armata. Si stanno avvicinando alla costa meridionale della regione di Adrian.

C’è stato anche un curioso rapporto, non ancora confermato, dalla mia stessa zona di operazioni.

Due soldati semplici in un’area esterna sostengono di aver visto un ptertha rosa chiaro. Secondo il loro racconto è arrivato a circa quaranta passi da loro, ma non ha mostrato alcuna intenzione di Volersi avvicinare e infine è risalito e si è diretto verso ovest. Cosa si deve fare con resoconti così strani? Potrebbe essere che due soldati stanchi di combattere si siano messi d’accordo per ottenere qualche giorno di interrogatorio nella sicurezza del campo base?


GIORNO 107 — Oggi, sebbene non possa gloriarmi o essere contento dell’accaduto, mi sono meritato il riconoscimento del principe Leddravohr per la mia abilità di stratega.

La splendida impresa, forse il culmine della mia carriera militare, è cominciata con il genere di errore che anche un tenentino appena uscito dall’accademia sarebbe stato capace di evitare. Tutto è cominciato all’ottava ora, quando ho perso la pazienza con il capitano Kadal per la sua lentezza nell’occupare una distesa di terreno aperto nel settore D14. Il motivo per cui lui esitava, al sicuro nella foresta, era che la sua mappa aerea preparata frettolosamente mostrava che il territorio era attraversato da vari torrenti, che lui riteneva profondi fossi di scolo capaci di nascondere un numero consistente di nemici. Kadal è un ufficiale competente e io avrei dovuto lasciargli perlustrare la zona a modo suo, ma temevo che quell’eccessivo temporeggiare lo rendesse poi timoroso, e sono stato sopraffatto dal desiderio folle di dare un esempio a lui e ai miei uomini.

Di conseguenza, ho preso un sergente, ho messo in sella una dozzina di soldati e sono andato avanti con loro. Il terreno era adatto ai blucorni e abbiamo coperto la distanza in fretta. Troppo in fretta! A circa un miglio dalle nostre linee il sergente si è fatto visibilmente preoccupato, ma io ero troppo imbaldanzito del mio successo per farci caso. Abbiamo attraversato due torrenti che erano, come indicato sulla mappa, troppo poco profondi per fornire qualunque tipo di riparo, e già mi vedevo mentre con aria indifferente consegnavo a Kadal, l’intera zona, come un premio vinto al suo posto grazie al mio coraggio.

Prima che me ne accorgessi, eravamo avanzati ancora di due miglia e persino nel mio attacco di megalomania stavo cominciando a sentire la voce rimbrottante del buon senso che mi avvisava che quand’è troppo è troppo, soprattutto dopo aver attraversato uno spartiacque vestigiale, e ormai fuori vista dalle nostre linee.

È a questo punto che sono apparsi i Chamtethani.

Sono balzati su dal terreno da entrambi i lati come per magia, sebbene naturalmente non ci fosse stregoneria alcuna; si erano tenuti nascosti proprio nei fossi di scolo alla cui esistenza io avevo sconsideratamente deciso di non credere. Ce n’erano almeno duecento, con quell’aspetto da rettili neri che gli dà l’armatura di brakka. Se fosse stata solo una forza di fanteria avremmo potuto sfuggirgli, ma un buon quarto di loro montava blucorni e stava già andando a tutta velocità per bloccare la nostra ritirata.

Mi resi conto che i miei uomini mi stavano fissando in attesa, e il fatto che non ci fosse alcun rimprovero nei loro occhi rese la mia posizione ancora peggiore. Io avevo gettato via le loro vite per il mio orgoglio smisurato e la mia stupidità, e tutto quello che mi chiedevano in quel terribile momento era una decisione sul dove e come morire!

Mi guardai intorno e vidi davanti a noi una specie di montagnola coperta di alberi. Ci avrebbe offerto un po’ di protezione e magari avremmo potuto mandare un messaggio con l’eliografo a Kadal dall’alto di uno degli alberi, e chiedere soccorsi.

Diedi l’ordine e corremmo a tutta velocità verso la duna prendendo fortunosamente di sorpresa i Chamtethani che si aspettavano che noi scappassimo in direzione opposta.

Raggiungemmo gli alberi con un considerevole vantaggio sui nostri inseguitori, che in ogni caso non avevano particolarmente fretta. Il tempo era dalla loro parte, ed era fin troppo chiaro che se anche fossimo riusciti a comunicare con Kadal non ci sarebbe stato di nessun aiuto.

Mentre uno degli uomini stava cominciando ad arrampicarsi su un albero con l’eliografo attaccato alla cintura, io usai il mio binocolo da campo per cercare di individuare il comandante nemico, e vedere se mi riusciva di capire le sue intenzioni. Se lui era a conoscenza del mio grado avrebbe forse cercato di prendermi vivo, e questa era una cosa che non avrei potuto permettere. Fu mentre stavo scorrendo con il binocolo la fila di soldati Chamtethani che vidi qualcosa che, persino in quella situazione disperata, produsse in me uno spasmo di terrore.

Ptertha!

Quattro globi sfumati di viola si stavano avvicinando da sud, portati dalla brezza leggera, sfiorando l’erba. Erano pienamente visibili ai Chamtethani. Ho visto qualcuno che li segnava con il dito, ma con mia sorpresa nessuno faceva il minimo gesto di difesa. Ho visto i globi arrivargli sempre più vicino e, tale è la forza dell’abitudine, ho dovuto soffocare l’impulso di gridare un avvertimento. I primi globi hanno raggiunto la fila di soldati e improvvisamente hanno cessato di esistere, esplodendo tra di loro.

Nemmeno allora è stata presa alcuna iniziativa, né di difesa né di fuga. Ho persino visto un soldato tagliare casualmente un ptertha con la sua spada. Nel giro di pochi secondi i quattro globi si erano disintegrati, spargendo le loro cariche di polvere mortale sui nemici, che sembravano del tutto indifferenti.

Se quello che era succèsso fino a quel punto era sorprendente, le conseguenze lo sono state anche di più.

I Chamtethani si stavano distanziando per formare un cerchio intorno alla nostra inadeguata piccola fortezza quando ho visto che comindava fra loro un certo trambusto. Il mio binocolo mostrava che alcuni dei soldati dall’armatura nera erano caduti. Già! I loro compagni gli si stavano inginocchiando vicino per soccorrerli, ma nello spazio di pochi attimi, anche loro erano caduti e si contorcevano per terra!

Il sergente è venuto al mio fianco e ha detto: — Signore, il caporale dice che riesce a vedere le nostre linee. Quale messaggio volete mandare?

— Aspetta! — Ho alzato leggermente il binocolo per prendere la distanza media e un momento dopo ho visto altri ptertha intrecciarsi e vacillare al di sopra del terreno erboso. — Dagli istruzioni di informare il capitano Kadal che abbiamo incontrato un grande distaccamento nemico, ma che lui deve rimanere dov’è. Non deve muoversi finché gli farò avere nuove istruzioni.

Il sergente era troppo disciplinato per azzardare una protesta, ma la sua perplessità era evidente mentre si allontanava in fretta per trasmettere i miei ordini. Ho ricominciato a sorvegliare i Chamtethani. In quel momento ci siamo tutti resi conto che c’era qualcosa che non andava, e lo sottolineava la maniera in cui i soldati stavano correndo qua e là in preda al panico e alla confusione. Gli uomini che avevano cominciato ad avanzare verso di noi si sono voltati e, non comprendendo che la loro unica speranza di salvezza stava nell’andarsene al più presto, si sono ricongiunti al gruppo. Ho guardato con un freddo vischioso nelle budella quando anche loro hanno cominciato a barcollare e a cadere.

Ho sentito bisbigli di meraviglia dietro di me quando i miei uomini, anche senza l’aiuto del binocolo, hanno capito che i Chamtethani sta vano venendo lentamente distrutti da qualche terrificante e invisibile forza. In un arco di tempo spaventosamente breve i nemici erano caduti fino all’ultimo, e nulla si muoveva nella pianura tranne i blucorni che avevano cominciato a brucare indifferenti tra i corpi dei loro padroni. (Come mai tutti i membri del regno animale, tranne qualche tipo di scimmia, sono immuni al veleno dei ptertha?).

Quando ne ho avuto abbastanza della terribile scena mi sono voltato e quasi ho riso a voce alta vedendo che i miei uomini mi stavano fissando con un misto di sollievo, rispetto e adorazione. Avevano creduto di essere condannati, e ora, questi sono i processi mentali di un comune soldato, la loro gratitudine per essere scampati alla morte si stava focalizzando su di me, come se la loro salvezza fosse dipesa da una mia qualche magistrale azione strategica. Sembravano non pensare affatto alle più vaste implicazioni di quello che era accaduto.

Tre anni prima Kolcorron era stata messa in ginocchio da un improvviso, maligno cambiamento nella natura dei nostri vecchi antagonisti, i ptertha, e ora sembrava che ci fosse un’altra e peggiore intensificazione dei diabolici poteri dei globi. La nuova forma di pterthacosi, perché nient’altro poteva aver distrutto i Chamtethani, che uccideva un uomo in pochi secondi invece che in ore, era un macabro presagio di giorni scuri davanti a noi.

Ho ritrasmesso un messaggio a Kadal, avvisandolo dì rimanere al riparo nella foresta e di stare in guardia dai ptertha, poi ho ripreso la mia osservazione. Il binocolo mostrava alcuni globi in gruppi di due o tre che si spostavano nella brezza meridionale. Eravamo ragionevolmente al sicuro da loro, grazie alla protezione degli alberi, ma ho aspettato un po’ e mi sono assicurato che il cielo fosse assolutamente sgombro prima di dare ordine di riprendere i blucorni e di tornare alle nostre linee alla massima velocità.


GIORNO 109 — Pare che io avessi assolutamente torto su una nuova e intensificata minaccia dei ptertha.

Leddravohr è arrivato alla conclusione grazie a un metodo diretto, tipico di lui. Ha legato a dei pali, in un terreno aperto, un gruppo di uomini e donne Chamtethane, e vicino a loro ha messo un gruppo di nostri soldati feriti, che avevano poche probabilità di sopravvivere. Infine, e l’avvenimento è stato seguito dai telescopi, un ptertha vagante li ha intercettati. I Kolcorriani, nonostante le loro precarie condizioni, hanno impiegato due ore per soccombere alla pterthacosi, ma gli sventurati Chamtethani sono morti quasi immediatamente.

Perché questa strana anomalia?

Una teoria che ho sentito dice che i Chamtethani come razza hanno una certa debolezza immunologica che li rende altamente vulnerabili alla pterthacosi, ma io credo che la vera spiegazione sia quella molto più complicata avanzata dai nostri consulenti medici. Si basa sul fatto che ci sono due distinte varietà di ptertha, il tipo violaceo conosciuto a Kolcorron, che è altamente velenoso; e un tipo rosa originario di Chamteth, che è innocuo o relativamente tale. (L’avvistamento di un globo rosa, oltre che in questa zona sembra essersi ripetuto molte volte da altre parti). La teoria dice inoltre che in secoli di guerra contro i ptertha, nei quali milioni di globi sono stati distrutti, l’intera popolazione di Kolcorron ha assunto microscopiche quantità di polvere tossica. Questo ci ha dato un leggero grado di tolleranza al veleno o aumentato la nostra resistenza, con un meccanismo simile a quello che assicura che alcune malattie possano essere contratte una sola volta. I Chamtethani, invece, non hanno alcuna resistenza, e l’incontro con un ptertha velenoso è persino più catastrofico per loro di quanto lo sia per noi.

Il solo modo per verificare la seconda teoria sarebbe di esporre gruppi di Kolcorriani e di Chamtethani ai ptertha rosa. Senza dubbio Leddravohr farà in modo che l’esperimento sia portato avanti come si deve se entreremo in una regione dove i globi rosa sono numerosi.


Dalacott smise di leggere e diede un’occhiata al segna-tempo che portava al polso. Era del tipo composto da un tubo di vetro temprato, preferito dai militari in mancanza di un compatto e affidabile cronometro. Lo scarafaggio da passo all’interno si stava avvicinando all’ottava tacca del germoglio di canna graduato. Il tempo che lo avvicinava al suo appuntamento finale stava per scadere.

Bevve un altro piccolo sorso del suo vino e tornò all’ultima annotazione del diario. Risaliva a molti giorni prima, e dopo averla scritta aveva abbandonato l’abitudine di una vita, smettendo di registrare ogni giorno le sue attività e i suoi pensieri.

In un certo senso quello era stato un suicidio simbolico, e lo preparava a quello reale di quella notte.


GIORNO 114 — La guerra è finita.

Il flagello dei ptertha ha fatto il lavoro al nostro posto.

Nell’arco di soli sei giorni da quando i ptertha violacei hanno fatto la loro comparsa a Chamteth, l’epidemia si è diffusa nel continente in lungo e in largo, spazzando via gli abitanti a milioni. Un rapido e fortuito genocidio!

Non dobbiamo più procedere a piedi, aprendoci la strada iarda per iarda contro un nemico irriducibile. Invece, avanziamo con l’aeronave, con i reattori continuamente in funzione. Viaggiare in questa maniera richiede grandi quantità di cristalli di energia, sia per il sistema di propulsione che per i cannoni anti-ptertha, ma ormai queste considerazioni non sono più importanti.

Noi siamo i fieri conquistatori di un intero continente di brakka maturi e di vere e proprie montagne di cristalli verdi e purpurei. Non dividiamo la nostra ricchezza con nessuno. Leddravohr non ha ritirato il suo ordine di non prendere prigionieri, e i gruppetti isolati di Chamtethani disorientati e demoralizzati che incontriamo vengono passati a fil di spada.

Ho volato sopra città, paesi e villaggi e fattorie dove niente vive, eccezion fatta per gli animali domestici vaganti. L’architettura è interessante: pulita, ben proporzionata, solenne; ma uno deve ammirarla da lontano. Il fetore dei cadaveri in putrefazione arriva fino al cielo.

Non siamo più soldati.

Siamo i portatori della pestilenza.

Noi siamo la pestilenza.

Non ho nient’altro da dire.

12

Il cielo notturno, sebbene nell’insieme fosse molto meno luminoso che a Kolcorron, era rischiarato dalla luce nebulosa di un’enorme spirale rotonda, i cui bracci scintillavano di stelle bianche, gialle e blu.

Quella ruota era fiancheggiata da altre due grandi spirali ellittiche, e il resto della volta celeste era generosamente variegata di piccoli mulinelli, ciuffi e macchie di fulgore, oltre alle code luccicanti di un certo numero di comete.

Anche se l’Albero non era visibile, il cielo era punteggiato di stelle molto luminose che sembravano più vicine di tutti gli altri corpi celesti, e davano all’immagine un’illusione di profondità.

Toller era abituato a vedere quelle configurazioni solo quando Mondo era dalla parte opposta del suo cammino intorno al sole, quando erano protette ed esaltate dal grande disco di Sopramondo.

Rimase immobile nella semioscurità, guardando i riflessi delle stelle tremolare nel largo specchio calmo delle acque del Fiume Arancione. Tutt’intorno a lui le miriadi di luci smorzate del quartier generale della Terza Armata brillavano in mezzo agli alberi della foresta, dal momento che i giorni degli accampamenti aperti erano passati con l’avvento del flagello dei ptertha.

Per tutto il giorno una domanda aveva assillato la sua mente. “Perché il generale Dalacott dovrebbe volere un colloquio privato con me?”

Aveva trascorso un breve periodo di inattività in un campo di transito venti miglia a ovest, parte di un’armata che, improvvisamente, non aveva più niente da fare, e stava cercando di adattarsi al nuovo ritmo di vita quando il comandante del battaglione gli aveva ordinato di presentarsi a rapporto al quartier generale. Arrivando era stato esaminato brevemente da vari ufficiali, uno dei quali ritenne fosse Vorict, l’aiutante maggiore. Gli era stato detto che il generale Dalacott desiderava conferirgli di persona i dischi al valore. Gli ufficiali erano evidentemente sconcertati dall’inusuale disposizione, e l’avevano discretamente sondato per saperne di più prima di capire che lui era ignaro della faccenda quanto loro.

Un giovane capitano uscì dal vicino recinto del settore amministrazione, si avvicinò a Toller nel buio luccicante di stelle e disse: — Tenente Maraquine, il generale vuole vedervi adesso.

Toller fece il saluto e seguì l’ufficiale verso una tenda che, inaspettatamente, era piuttosto piccola e disadorna. Il capitano lo fece entrare e se ne andò subito. Toller rimase sull’attenti davanti a un uomo magro, dall’aspetto austero, seduto a una scrivania portatile. Nella fioca luce di due lampade da campo i corti capelli del generale sarebbero potuti essere sia bianchi che biondi, e lui sembrava sorprendentemente giovane per essere un uomo con cinquantanni di distinto servizio.

Solo i suoi occhi sembravano vecchi, occhi che dovevano aver visto più di quello che era possibile sognare.

— Sedetevi, figliolo — disse. — Questo è un incontro assolutamente informale.

— Grazie, signore. — Toller prese la sedia indicata, mentre la sua perplessità cresceva.

— Vedo dalle vostre note caratteristiche che siete entrato nell’esercito meno di un anno fa come soldato semplice. So che i tempi sono cambiati, ma non è comunque strano per un uomo del vostro status sociale?

— E stata una decisione del principe Leddravohr.

— Leddravohr è un vostro amico?

Incoraggiato dai modi schietti ma amabili del generale, Toller si permise un sorriso ironico. — Non posso vantare questo onore, signore.

— Bene! — Dalacott sorrise a sua volta. — Così avete ottenuto il grado di tenente in meno di un anno solo grazie ai vostri meriti.

— Normali azioni di battaglia, signore. Non gli si può dare molto peso.

— Lo avranno invece. — Il generale fece una pausa per bere un sorso dalla coppa smaltata. — Perdonatemi se non vi offro niente da bere; questo è un infuso strano e dubito che sarebbe di vostro gusto.

— Non ho sete, signore.

Forse vi piacerebbe questo, invece. — Aprì un cassetto della sua scrivania e tirò fuori tre dischi al valore. Erano lamine circolari di brakka intarsiate di vetro bianco e rosso. Le porse a Toller. e si appoggiò allo schienale per osservare le sue reazioni.

— Grazie. — Toller passò le dita sui dischi e se li mise in tasca. — Sono onorato.

— Lo nascondete piuttosto bene.

Toller era imbarazzato e sconcertato. — Signore, non intendevo nessuna…

— È tutto a posto, figliolo — disse Dalacott. — Ditemi, la vita militare non è come ve l’aspettavate?

— Sin da quando ero bambino ho sognato di essere un guerriero, ma…

— Eravate preparato a pulire il sangue di un nemico dalla vostra spada, ma non pensavate ci avreste trovato sopra anche i resti del suo pranzo.

Toller affrontò apertamente lo sguardo del generale. — Signore, non capisco perché mi abbiate fatto venire qui.

— Penso che sia stato per darvi questo. — Dalacott aprì la mano destra rivelando un piccolo oggetto che gli fece cadere nel palmo.

Toller rimase sorpreso dal suo peso, dal massiccio impatto sulla sua mano. Avvicinò l’oggetto alla luce e guardò con curiosità il colore e la lucentezza della superficie levigata. Il colore era diverso da qualunque altro avesse mai visto prima, bianco ma in qualche modo più che bianco, e somigliava a quello del mare quando rifletteva indirettamente i raggi del sole. L’oggetto era tondeggiante come un ciottolo, ma sarebbe quasi potuto essere un teschio in miniatura, i cui dettagli fossero stati consumati dal tempo.

— Che cos’è? — chiese Toller. Dalacott scosse la testa. — Non lo so. Nessuno lo sa. L’ho trovato nella provincia di Redant molti anni fa, sulle rive del Bes-Undar, e nessuno è mai stato in grado di dirmi cosa sia.

Toller chiuse le dita intorno all’oggetto tiepido e si trovò involontariamente a sfregarvi sopra il pollice con lenti movimenti circolari. — Una domanda conduce a un’altra, signore. Perché volete che sia io ad averlo?

— Perché… — Dalacott gli fece uno strano sorriso. — Diciamo che ha fatto incontrare tua madre e me.

— Capisco — disse Toller, parlando meccanicamente ma comprendendo davvero, mentre le parole del generale penetravano nella sua mente, e come un’onda violenta e pulita che cambia l’aspetto di una spiaggia inserivano frammenti dei suoi ricordi in nuovi disegni. Erano disegni poco familiari ma neppure totalmente estranei, perché erano rimasti sepolti nei suoi vecchi schemi, e avevano semplicemente bisogno di un bello scossone per venire a galla. Cadde un lungo silenzio, rotto solo dal leggero rumore scoppiettante di una cimice oleosa che urtò il tubo a fiamma della lampada e scivolò giù nel serbatoio. Toller fissò solennemente suo padre, cercando di sentire qualche emozione, ma dentro di lui c’era solo torpore.

— Non so cosa dire — ammise infine. — Questo è arrivato così… tardi.

— Più tardi di quanto tu pensi.

— Di nuovo, l’espressione di Dalacott si fece enigmatica quando portò la coppa alle labbra. — Avevo molte ragioni, alcune solo egoistiche, per non farti sapere, Toller. Hai qualcosa da rimproverarmi?

— Nulla, signore.

Ne sono felice. — Dalacott si alzò. — Non ci incontreremo di nuovo, Toller. Vuoi abbracciarmi… per una volta… come un uomo abbraccia suo padre?

— Padre. — Toller si alzò e strinse le braccia intorno all’anziana figura dritta come una spada. In quel breve momento di contatto avvertì nel respiro di suo padre un vago sentore di spezie. Diede uno sguardo alla coppa che aspettava sul tavolo, fece un rapido collegamento mentale, e quando si separarono per tornare a sedere c’era un leggero pizzicore nei suoi occhi.

Dalacott sembrava calmo, del tutto composto. — Ora, figliolo, cosa farai dopo? Kolcorron e i suoi nuovi alleati, i ptertha, hanno ottenuto la loro gloriosa vittoria. Il tuo mestiere di soldato è quasi finito, quindi cos’hai pensato per il tuo futuro?

— Credo che non ci si aspettasse che avessi un futuro — disse Toller. — C’è stato un tempo in cui Leddravohr mi avrebbe ammazzato di persona, ma è successo qualcosa, qualcosa che non capisco. Mi ha fatto entrare nell’esercito e penso che contasse sui Chamtethani per fare il lavoro al suo posto.

— Non ha difficoltà per occupare i suoi pensieri e scaricare le sue energie, sai — continuò il generale. — C’è un intero continente da saccheggiare, semplicemente come preliminare alla costruzione della flotta di migrazione. Forse Leddravohr ti ha dimenticato Io non ho dimenticato lui.

— Vuoi ucciderlo?

— Ci ho pensato. — Toller rivide le impronte di sangue sul pavimento a mosaico, ma la visione era diventata sfocata, sepolta sotto centinaia di immagini di carneficina. — Ora non so più se la spada sia la risposta a tutto.

— Sono sollevato nel sentirtelo dire. Anche se Leddravohr non è certo entusiasta del piano di migrazione, lui è probabilmente l’uomo migliore per condurlo al successo. E possibile che il futuro della nostra razza posi sulle sue spalle.

— Sono consapevole di questa possibilità, padre.

— E senti anche di poter risolvere perfettamente i tuoi problemi senza i miei consigli. — Una smorfia cupa torse le labbra del generale. — Penso che mi sarebbe piaciuto averti vicino. Ora, cosa rispondi alla mia domanda originaria? Non hai proprio nessuna idea per il tuo futuro?

— Mi piacerebbe pilotare una nave per Sopramondo — disse Toller. — Ma credo che sia un’ambizione irrealizzabile.

— Perché? La tua famiglia deve avere una certa influenza.

— Mio fratello è il capo consulente nel progetto delle astronavi, ma è inviso al principe Leddravohr quasi quanto me.

— E una cosa che desideri davvero, pilotare un’astronave? Vuoi veramente salire per migliaia di miglia nel cielo? Con solo un pallone, qualche corda e pochi pezzi di legno a sorreggerti?

Toller rimase sorpreso dalla domanda. — Perché no?

— Davvero, una nuova età porta avanti nuovi uomini — disse Dalacott piano, come parlando a se stesso. Poi le sue maniere divennero brusche. — Devi andare adesso. Devo scrivere delle lettere. Ho una qualche influenza su Leddravohr, e molta su Carranald, il capo dei Servizi Aerei dell’Esercito. Se hai le attitudini necessarie piloterai un’astronave.

— Di nuovo, padre, non so cosa dire. — Toller si alzò, ma era riluttante ad andarsene. Erano successe tante cose nello spazio di appena qualche minuto, e la sua incapacità di rispondere lo riempiva di una colpevole sensazione di fallimento. Come poteva incontrare e dire addio a suo padre quasi nello stesso respiro?

— Non voglio che tu dica niente, figliolo. Accetta soltanto il fatto che io ho amato tua madre e… — Dalacott si interruppe, con un’espressione sorpresa, e scrutò l’interno della tenda come se sospettasse la presenza di un intruso.

Toller era preoccupato. — Stai male?

— Non è niente. La notte è troppo lunga e buia in questa parte del pianeta.

- Forse se ti sdraiassi — disse Toller, muovendo qualche passo verso di lui.

Il generale Risdel Dalacott lo fermò con uno sguardo. — Lasciatemi ora, tenente.

Toller salutò formalmente e uscì dalla tenda. Mentre stava chiudendo la falda dell’entrata vide che suo padre aveva preso in mano la penna e aveva già cominciato a scrivere. Toller lasciò cadere il lembo sul triangolo debolmente illuminato, su quell’immagine che filtrava attraverso le pieghe trasparenti di probabilità, di vite non vissute, di storie che non si sarebbero dovute raccontare mai. Cominciò a piangere subito allontanandosi nel buio pieno di stelle. Pozzi profondi di emozione erano rimasti chiusi troppo a lungo, e le sue lacrime erano tanto più abbondanti perché liberate così tardi.

13

La notte, come sempre, era il tempo dei ptertha.

Marnn Ibler era nell’esercito da quando aveva quindici anni e, come molti soldati in servizio da lungo tempo, aveva sviluppato un superbo sistema d’allarme personale che lo avvertiva infallibilmente quando uno dei globi era vicino. Non era realmente consapevole di quella vigilanza, e anche quand’era esausto o ubriaco sapeva come per istinto quando i ptertha stavano passando nelle sue vicinanze.

Fu così che si trovò a essere il primo uomo a cogliere i segnali di un ulteriore cambiamento nella natura e nei modi dell’antico nemico della sua gente.

Era di guardia notturna al grande campo base permanente della Terza Armata, a Trompha, nel Middac meridionale. Il servizio non richiedeva molta attenzione. Solo poche unità di sostegno erano state lasciate indietro quando Kolcorron aveva invaso Chamteth; la base era sicura, vicina al cuore dell’imperò, e nessuno se non un pazzo si sarebbe avventurato fuori di notte in aperta campagna.

Ibbler era con due giovani sentinelle che si stavano lamentando amaramente e diffusamente del cibo e della paga. Lui era segretamente d’accordo con loro sul primo punto, mai nella sua esperienza le razioni dell’esercito erano state così magre e indigeste, ma come tutti i vecchi soldati controbatteva ai loro reclami con i racconti delle privazioni delle campagne precedenti. Era vicino allo schermo interno, oltre il quale si estendeva la zona cuscinetto di trenta iarde, e poi lo schermo esterno. Attraverso i reticolati erano visibili le fertili pianure del Middac che si allungavano a occidente fino all’orizzonte, illuminato da un gibboso Sopramondo.

Non avrebbe dovuto esserci alcun movimento nel buio, tranne il balenio quasi continuo delle stelle cadenti, quindi, quando i sensi finemente sintonizzati di Ibbler colsero un impercettibile spostamento di ombra su ombra seppe subito che si trattava di un ptertha. Non ne parlò nemmeno ai suoi compagni, loro erano al sicuro sotto la doppia barriera, e continuò la conversazione come prima, ma una parte della sua coscienza era adesso impegnata altrove.

Un momento dopo notò un altro ptertha, poi un terzo, e in un minuto aveva individuato otto globi che formavano un gruppo unico. Galleggiavano a cavallo di una leggera brezza di nord-est, e sparirono alla vista poco più in là, alla sua destra, dove la parallasse si fondeva ai fili verticali della rete in qualcosa di simile a una stoffa a trama fitta.

Ibbler, guardingo ma non ancora preoccupato, aspettò che i ptertha riapparissero nel suo campo visivo. Incontrando lo schermo esterno i globi, obbedendo alla corrente d’aria, avrebbero seguito la loro strada verso sud, lungo il perimetro del campo e infine, non avendo trovato nessuna preda, si sarebbero dispersi e spostati verso la costa sud-occidentale e il Mare di Otollan.

Stavolta, però, sembravano comportarsi in modo imprevedibile.

Passarono alcuni minuti senza che i globi ricomparissero, e i giovani compagni di Ibbler notarono che lui non partecipava più alla conversazione.Risero divertiti quando lui spiegò a cosa stava pensando, e decisero che i ptertha, supponendo che fossero esistiti fuori dell’immaginazione di Ibbler, dovevano essere entrati in una corrente d’aria che si stava alzando in quel momento per andare a finire sopra i tetti a rete del campo. Per evitare di essere classificato come una vecchia isterica, Ibbler lasciò cadere la questione, sebbene fosse raro che i ptertha volassero così in alto quando erano vicino agli umani.

La mattina seguente quattro sterratori furono trovati morti di pterthacosi nella loro baracca. Anche il soldato che li trovò morì, come pure altri due che furono presi dal panico prima che scattassero le misure d’emergenza e che tutti i presunti contaminati fossero avviati lungo la Strada Luminosa.

Fu Ibbler che notò che la capanna degli sterratori era sottovento, vicino al punto in cui i ptertha avrebbero dovuto raggiungere il reticolato, la notte precedente. Ottenne un colloquio con il suo ufficiale comandante e espose la sua teoria che i ptertha si fossero autodistrutti in massa contro lo scudo esterno, producendo una nube di polvere tossica così concentrata da restare attiva anche oltre il margine di sicurezza standard di trenta iarde. Fu ascoltato con molto scetticismo, ma in capo a pochi giorni lo stesso fenomeno si ripetè in numerose località.

Nessuno dei successivi attacchi ptertha fu così ben contenuto come a Trompha, e ci furono centinaia di morti prima che le autorità si rendessero conto che la guerra tra Kolcorron e i ptertha era entrata in una nuova fase.

La popolazione ne sentì l’effetto in due modi. Le zone cuscinetto furono raddoppiate di misura, ma non c’era più alcuna garanzia della loro efficacia. La brezza leggera e stabile era la condizione atmosferica più temuta, perché poteva trasportare nubi invisibili di polvere velenosa per un lungo tratto prima che la concentrazione cadesse al di sotto dei valori mortali. Ma anche con un vento burrascoso e variabile uno sciame di ptertha abbastanza consistente avrebbe potuto stendere la furtiva mano della morte su un bambino addormentato, e nello spazio di un mattino un intero nucleo famigliare sarebbe rimasto contagiato.

Un altro elemento che contribuì a falcidiare la popolazione fu l’ulteriore calo della produzione agricola. Regioni che già avevano carenza di cibo cominciarono a sperimentare immediatamente la fame. Il sistema tradizionale del raccolto continuo ora si ritorceva contro i Kolcorriani, che non avevano mai sviluppato alcuna tecnica d’immagazzinamento a lungo termine per il grano e altri cereali commestibili. Magre riserve dicibo imputridirono o vennero attaccate dalla peste in granai frettolosamente improvvisati, e malattie indipendenti dai ptertha riscossero il loro tributo di vite umane.

Il trasferimento di enormi quantità di cristalli d’energia da Chamteth a Ro-Atabri avvenne per tutto il periodo della crisi, che continuava a peggiorare, ma stavolta le organizzazioni militari non ne uscirono indenni. Non soltanto le cinque armate furono lasciate a Chamteth, ma fu loro negato il rientro a Kolcorron e nelle patrie province, ebbero l’ordine di prendere residenza permanente nella Terra dei Lunghi Giorni, dove i ptertha, quasi sentissero la loro vulnerabilità, sciamavano in numero sempre crescente. Solo le unità adibite all’abbattimento delle foreste di brakka e al trasporto via nave dei carichi di cristalli rimasero sotto la calotta protettiva dell’alto comando di Leddravohr.

E lo stesso Leddravohr cambiò.

All’inizio aveva accettato la responsabilità della migrazione su Sopramondo esclusivamente per lealtà verso suo padre, mettendo a tacere i suoi dubbi e fidando nell’opportunità della guerra immediata contro Chamteth. Per tutto il periodo dei preparativi e della costruzione della flotta astronavale aveva nutrito la ferma convinzione che quella drastica misura non sarebbe mai stata necessaria, che si sarebbe trovata qualche soluzione meno radicale ai problemi di Kolcorron, più vicina ai modelli della storia umana.

Ma fondamentalmente era un realista, un uomo che capiva l’importanza vitale di bilanciare ambizione e possibilità effettive, e quando previde l’inevitabile risultato della guerra contro i ptertha spostò la questione su un terreno diverso.

La migrazione su Sopramondo divenne parte del suo personale futuro, e quelli intorno a lui, intuendo la sua nuova posizione, capirono che non avrebbe permesso a niente e a nessuno di intralciare la sua strada.

14

— Ma Dio Santo! — sbottò il colonnello Kartkang. — Suppongo che vi rendiate conto che il vostro decollo è fissato per la decima ora!

Era di costituzione gracile per un essere membro della casta militare, con un viso tondo e una bocca così larga che aveva uno spazio visibile tra ognuno dei piccoli denti. Un talento innato per l’amministrazione e un occhio infallibile per i dettagli l’avevano portato alla carica di capo dello Squadrone Astronavi Sperimentali e chiaramente non gli piaceva l’idea di permettere a un pilota addetto al test di lasciare la base poco prima del più importante volo sperimentale del suo programma.

— Sarò di ritorno molto prima di quell’ora, signore — disse Toller. — Sapete che per nulla al mondo rinuncerei a questo volo.

— Sì, ma… sapete che il principe Leddravohr ha deciso di seguire l’ascensione di persona?

— Ragione in più per me per tornare in tempo utile, signore. Non voglio rischiare l’alto tradimento.

Kartkang, ancora poco convinto, squadrò un fascio di carte sulla sua scrivania. — Lord Glo era importante per voi?

— Ero pronto a rischiare la vita al suo servizio.

— In questo caso suppongo che dobbiate proprio tributargli il vostro estremo omaggio — disse Kartkang. — Ma tenete a mente la faccenda del principe.

Grazie, signore — Toller salutò e lasciò l’ufficio, con la mente simile a un campo di battaglia di contrastanti emozioni. Sembrava crudelmente ironico, quasi una prova dell’esistenza di una divinità maligna, che Glo venisse sepolto proprio nel giorno in cui un’astronave si preparava a dimostrare la possibilità di volare su Sopramondo. Il progetto era nato da lui, gli aveva meritato il ridicolo la disgrazia e poi un ignominioso ritiro, e proprio quando stava per avere la sua rivincita personale, il suo corpo martoriato lo aveva tradito. Non ci sarebbe stata alcuna statua con la pancia rotonda nei giardini del Gran Palazzo, e non si poteva nemmeno dire se il nome di Glo sarebbe stato ricordato dalla nazione che gli avrebbe dovuto una nuova patria su un altro mondo. Non era giusto che fosse andata così.

La visione della flotta di migrazione che atterrava su Sopramondo riacutizzò la glaciale eccitazione in cui Toller viveva da giorni. Era rimasto preso così a lungo nella morsa della sua stessa volontà, dedicandosi esclusivamente e totalmente a superare la selezione per la prima missione interplanetaria, che aveva in qualche modo perso di vista la stupefacente realtà. La sua impazienza aveva talmente rallentato il ritmo del tempo che aveva inconsciamente cominciato a credere che la sua meta sarebbe rimasta per sempre a balenare davanti a lui, tremolante e inaccessibile come un miraggio. E ora, con scioccante repentinità, il presente coincideva con il futuro.

Il tempo del grande viaggio era venuto, un tempo che avrebbe insegnato molte cose, e non solo sulle tecniche del volo interplanetario.

Toller lasciò il complesso dell’amministrazione della SAS e salì la scala di legno fino alla superficie della pianura che si stendeva a nord di Ro-Atabri, lungo le pendici dei Monti Slaskitan. Prese un blucorno della scuderia principale e si mise sulla strada che dopo due miglia l’avrebbe portato a Greenmount. La stoffa di lino verniciato che copriva il passaggio facendone una galleria brillava nel sole dell’antigiorno in un alone giallastro di luce soffusa, e l’aria intrappolata era umida, con un odore pesante di escrementi animali. La maggior parte del traffico era data da veicoli diretti fuori città, carretti piatti che trasportavano sezioni di navette e i cilindri di brakka dei reattori.

Toller arrivò in fretta all’incrocio orientale, entrò nel tunnel in direzione di Greenmount e presto raggiunse un’area protetta dai vecchi schermi a maglia aperta della periferia di Ro-Atabri. Cavalcò attraverso una serie di abitazioni abbandonate sul fianco esposto della collina, raggiungendo infine il piccolo cimitero privato vicino al colonnato occidentale di Greenmount Peel.

Vari gruppi di persone venute per il funerale erano già presenti, e tra loro scorse suo fratello e l’esile figura vestita di grigio di Gesalla Maraquine. Era la prima volta che la vedeva dalla notte in cui era stata violentata da Leddravohr, più di un anno prima, e il suo cuore sobbalzò spiacevolmente quando si accorse che non sapeva come comportarsi con lei.

Smontò, raddrizzò la giubba blu ricamata della sua uniforme di capitano di astronave e si avviò verso suo fratello e sua moglie, sentendosi ancora stranamente nervoso e impacciato. Vedendo che si stava avvicinando, Lain gli rivolse quel calmo mezzo sorriso, un misto di orgoglio familiare ed incredulità, che usava ultimamente quando si incontravano alle riunioni di formazione tecnica. Toller era compiaciuto di aver sorpreso e impressionato il fratello maggiore superando ogni ostacolo sulla sua strada per diventare un pilota di astronave incluse le difficoltà nella lettura.

Questo è un giorno triste — disse a Lain.

Gesalla, che non si era accorta del suo arrivo, si voltò e si portò una mano alla gola. Lui le fece un cortese cenno del capo e si astenne dal rivolgerle un saluto verbale, lasciando a lei se accettare o declinare l’iniziativa della conversazione. Lei restituì il cenno, silenziosamente ma senza traccia evidente della sua vecchia antipatia, e Toller si sentì leggermente rassicurato. Nella sua memoria il viso di Gesalla era consumato dal malessere della gravidanza, ma ora le sue guance erano più rotonde e soffuse di rosa. Sembrava addirittura più giovane di prima, e vederla gli fece bene al cuore.

Avvertì la pressione dello sguardo di Lain e disse: — Perché Glo non ha potuto avere più tempo?

Lain si strinse nelle spalle, un incomprensibile gesto’ di indifferenza per uno che era stato così vicino al Lord Filosofo. — Hai avuto conferma del decollo?

— Sì. È alla decima ora.

— Questo lo so. Voglio dire, sei sicuro che andrai?

— Certo! — Toller diede uno sguardo al cielo coperto dalla rete nel mattino perlaceo di Sopramondo. — Sono ansioso di arrivare alle invisibili montagne di Glo.

Gesalla sembrava divertita e interessata. — Cosa vuol dire?

— Sappiamo che l’atmosfera diventa rarefatta tra i due mondi — rispose Toller. — II grado di attenuazione è stato rozzamente misurato mandando su dei palloni a gas e osservando la loro espansione con telescopi calibrati. Va tutto verificato nel volo sperimentale, naturalmente, ma noi crediamo che l’aria sia sufficiente a permettere la vita, anche nel punto medio.

— Senti l’esperto che ha appena messo le penne — lo canzonò Lain.

— Ho avuto i migliori maestri — rispose Toller senza offendersi, riportando l’attenzione su Gesalla. — Lord Glo diceva che il volo sarebbe stato come salire sino alla cima di un’invisibile montagna e scendere dall’altra parte.

— Non gli avrei mai dato credito come poeta — disse Gesalla.

— Ci sono molte cose per le quali non avrà mai credito.

Sì, come prendersi cura di quella tua media moglie quando te ne sei andato a giocare al soldato — dichiarò Lain. — Cosa ne è stato di lei, comunque?

Toller fissò suo fratello per un momento, sbalordito e rattristato per la punta di malizia del suo tono. Lain gli aveva fatto la stessa domanda qualche tempo prima, ma ora gli sembrava che tirasse fuori l’argomento Fera solo perché era sempre stato un punto dolente per Gesalla. Possibile che Lain fosse geloso del suo fratellino che si era conquistato un posto nel volo sperimentale, il più grande esperimento scientifico del secolo?

— Fera si è stufata in fretta della vita al Peel ed è tornata a vivere nella sua città — disse Toller. — Presumo che stia bene, spero che così sia, ma non ho cercato di scoprirlo. Perché me lo chiedi?

— Ummm… semplice curiosità. Bene, se la tua curiosità si estende anche al mio periodo nell’esercito, posso assicurarti che la parola gioco è assolutamente inappropriata. Io….

— Zitti, voi due — intervenne Gesalla posando una mano sul braccio di ognuno. — La cerimonia comincia.

Toller smise di parlare in una nuova confusione di emozioni mentre il corteo funebre usciva dalla casa. Nel testamento Glo aveva dichiarato di desiderare la cerimonia più breve e semplice che potesse essere accordata a un aristocratico di Kolcorron. Il suo corteo era formato soltanto dal Lord Prelato Balountar, seguito da quatto assistenti vestiti di nero che portavano il cilindro di gesso nel quale il corpo di Lord Glo era già stato racchiuso. Balountar, con la testa in avanti e gli abiti neri drappeggiati sulla figura ossuta, somigliava a un corvo, e marciava a passo lento, verso la fossa circolare scavata nel letto di roccia del cimitero.

Intonò una breve preghiera, in cui riconsegnava la povera conchiglia di Lord Glo al corpo materno del pianeta, e chiedeva che al suo spirito fosse concesso un passaggio sicuro su Sopramondo, seguito da una felice rinascita e da una lunga e prosperosa vita sul pianeta gemello.

Toller era oppresso da un vago senso di colpa mentre guardava il cilindro calare nella fossa, subito sigillata con il cemento sparso da un’urna decorata. Avrebbe voluto sentirsi macerato dalla tristezza e dal dolore per l’eterna dipartita di Glo, ma la sua coscienza capricciosa era dominata dal fatto che Gesalla, che non lo aveva mai toccato in vita sua, aveva permes so alla sua mano di rimanere appoggiata sul suo braccio. Era segno di un nuovo atteggiamento nei suoi confronti, o la conseguenza di qualche screzio con Lain, che a sua volta si era comportato stranamente? E a mettere tutto in secondo piano, nella mente di Toller, c’era anche la consapevolezza pulsante che presto sarebbe salito in alto nella volta del cielo, così in alto da superare anche la portata di telescopi più potenti.

Fu sollevato, perciò, quando la breve cerimonia arrivò alla fine e i capannelli dei presenti, per la maggior parte parenti di sangue, cominciarono a disperdersi.

— Devo tornare alla base adesso — disse. — Ci sono ancora molte cose da… — Lasciò la frase in sospeso quando notò che il Lord Prelato si era staccato dal suo seguito e si stava avvicinando a loro. Pensando che Balountar avesse qualcosa da discutere con Lain, Toller fece un discreto passo all’indietro. Rimase sorpreso quando l’ecclesiastico andò dritto verso di lui, gli occhi socchiusi attenti e furiosi, e lo colpì sul petto con le dita agitate.

Non ti ho dimenticato, Maraquine! — disse — Sei quello che ha alzato le mani su di me nella Sala dell’Arcobaleno, davanti al Re.— Colpi Toller di nuovo, con un gesto palesemente offensivo.

— Bene, ora che avete pareggiato il conto — disse Toller senza scomporsi, — posso esservi utile in qualcosa, Vostra Grazia?

— Sì, puoi sbarazzarti di quell’uniforme! È un’offesa alla Chiese in generale e a me in particolare.

— In che modo è offensiva?

— In tutti i modi! Il colore simbolizza i cieli, non è vero? Sbandiera la vostra intenzione di contaminare l’Alto Sentiero, non è vero? Anche se le vostre diaboliche ambizioni falliranno miseramente, Maraquine, quegli stracci blu sono un affronto ad ogni cittadino di retta coscienza di questo Paese.

— Io indosso questa uniforme al servizio di Kolcorron, Vostra Grazia. Qualunque obiezione abbiate a questo proposito dovrebbe essere presentata direttamente al Re. O al principe Leddravohr.

— Huh! — Balountar lo fissò velenosamente per un momento, con il suo viso stravolto di rabbia frustrata. — Non sfuggirai al castigo, sai! Anche se tu e tuo fratello non avete rispetto per la Chiesa, con tutto il vostro sofismo e la vostra arroganza, imparerete a vostre spese che il popolo sopporterà solo fino a un certo punto. Vedrete! La grande empietà, il grande male, non resterà impunito! — Si girò e si diresse a gran passi verso il cancello del cimitero, dove i quattro assistenti stavano aspettando.

Toller lo guardò andarsene e si rivolse agli altri con le sopracciglia corrugate. — Il Lord Prelato sembra di cattivo umore.

— Un tempo gli avresti spaccato la mano per aver fatto questo. — Lain imitò il gesto di Balountar, battendo le dita fiacche contro il petto di Toller. — Non vedi più rosso così facilmente?

— Forse ho visto troppo rosso.

— Oh, sì. Come posso aver dimenticato? — Lo scherno nella voce di Lain era ora evidente. — Questo è il tuo nuovo ruolo, no? L’uomo che ha troppo bevuto alla coppa dell’esperienza.

— Lain, non ho la più vaga idea di cosa posso aver fatto per meritare la tua disapprovazione, e anche se questo mi rattrista non ho tempo per parlarne adesso. — Toller fece un cenno del capo al fratello e un inchino a Gesalla, il cui sguardo preoccupato si spostava dall’uno all’altro. Stava quasi per andarsene quando Lain, con gli occhi pieni di lacrime, improvvisamente allargò le braccia in una stretta che avvolse suo fratello e sua moglie insieme.

Non correre rischi inutili lassù nel cielo, fratellino — sussurrò Lain. — E tuo dovere verso la famiglia tornare sano e salvo, così quando il tempo della migrazione arriverà potremo volare per Sopramondo tutti insieme. Non voglio affidare Gesalla a altri che al miglior pilota. Capisci?

Toller annuì, senza neanche tentare di parlare. La sensazione del fragile corpo di Gesalla contro il suo era asessuata, com’era giusto, ma ne emanava tanta rettitudine, e con suo fratello che completava il circuito fisico, un tale senso di conforto e di guarigione, che lui avvertì un chiaro flusso di energie vitali che venivano aumentate piuttosto che dissipate.

Quando si liberò dall’abbraccio si sentì leggero e forte, più che capace di alzarsi in volo verso un altro pianeta.

15

Abbiamo rapporti eliografici fino a cinquanta miglia sopravvento — disse Vato Armduran, il capo ingegnere della SAS. — Le previsioni dicono che l’attività dei ptertha è molto bassa, quindi dovreste essere a posto da questo punto di vista, ma la velocità del vento è un po’ più alta di quanto avrei voluto.

— Se aspettiamo le condizioni perfette non partiremo mai. — Toller si riparò gli occhi dal sole e scrutò la volta blu e bianca del cielo. Ciuffi di nuvole alte avevano coperto le stelle più luminose senza tuttavia schermarle del tutto, e la lucentezza del disco di Sopramondo diceva che il dopogiorno era a metà.

— Suppongo che questo sia vero, ma avrete guai con la falsa elevazione quando rimuoverete la copertura. Dovrete starci attento.

Toller sorrise. — Non è un po’ tardi per le lezioni di aerodinamica,?

— Dite bene voi; ma sono io quello che dovrà dare tutte le spiegazioni se rimanete ucciso — disse Armduran seccamente. Era un uomo dai capelli dritti, con un naso schiacciato e il mento a forma di spada che gli davano qualcosa dell’aspetto di un soldato a riposo, ma il suo genio pratico nell’ingegneria gli aveva guadagnato la sua nomina personalmente dal principe Chakkel. A Toller piaceva per il suo umorismo caustico e la mancanza di condiscendenza verso i subordinati meno dotati. I membri dell’equipaggio addetto al gonfiaggio stavano affannosamente avviando con una manovella una grande ventola; i meccanismi a lame di legno emettevano un continuo suono scricchiolante mentre pompavano l’aria fredda dentro il pallone dell’astronave, che era stato fatto uscire sottovento dalla navetta. Stavano creando uno strato protettivo contro la superficie interna dell’involucro, in modo che il gas riscaldato dal bruciatore a cristalli potesse essere introdotto dopo, senza urtare direttamente contro la stoffa leggera. La tecnica era stata sviluppata per evitare il rischio da bruciature, specialmente ai pannelli di base intorno alla bocca del pallone. I capisquadra stavano urlando ordini agli uomini che tiravano su i lati del pallone che si gonfiava gradualmente, e che mettevano fuori le cime di attacco.

La navicella quadrata grande quanto una stanza di medie dimensioni giaceva su un fianco, già pronta per il volo. Oltre ai viveri e al carburante conteneva sacchi di sabbia equivalenti al peso di sedici persone che, aggiunti al peso dell’equipaggio, portavano il carico al massimo operativo. I tre uomini che dovevano volare con Toller stavano vicino alla navetta, pronti a salire a bordo al suo comando. Lui sapeva che l’ascensione doveva cominciare di lì a pochi minuti, e il subbuglio emotivo suscitato da Lain e Gesalla e il funerale di Glo si stava gradatamente riducendo a un soffocato mormorio ai livelli più bassi della sua coscienza. Nella sua mente stava già viaggiando nell’ignoto freddo blu, come un’anima migrante, e le sue preoccupazioni non erano più quelle dei comuni mortali confinati su Mondo.

Uno scalpitare di zoccoli risuonò nelle vicinanze e voltandosi Toller si trovò di fronte al principe Leddravohr che entrava cavalcando nel capannone, seguito da un carro aperto in cui sedevano il principe Chakkel, sua moglie Daseene e i loro tre bambini. Leddravohr indossava l’uniforme da cerimonia con la corazza bianca. L’immancabile spada da duello pendeva al suo fianco e un coltello da lancio era inguainato nel suo fodero all’avambraccio sinistro. Smontò dal suo alto blucorno, girando la testa per cogliere tutti i particolari di quella frenetica attività, e si incamminò verso Toller e Armduran.

Toller non lo aveva mai incontrato nel periodo passato nell’esercito e l’aveva visto solo da lontano da quando era tornato a RoAtabri, e notò che i lucidi capelli neri del principe erano ora sfumati di grigio sulle tempie. Era anche un po’ più massiccio, ma il peso sembrava essersi distribuito in uno strato uniforme su tutto il suo corpo, limitandosi a coprire appena i suoi solidi muscoli e a rendere il viso statuario più liscio che mai.Toller e Armduran gli fecero il saluto mentre si avvicinava.

Leddravohr rispose con un cenno del capo. — Bene, Maraquine, sei diventato importante dall’ultima volta che ci siamo incontrati. Spero che questo abbia reso più facile viverti accanto.

— Non mi reputo importante, principe — rispose Toller con voce accuratamente neutra, cercando di valutare l’atteggiamento dell’altro.

— Ma lo sei! Il primo uomo a portare una nave su Sopramondo! È un grande onore, Maraquine, e hai lavorato duramente per meritarlo. Sai, c’era chi diceva che eri troppo giovane e privo di esperienza per questa missione, che avremmo dovuto affidarla a un ufficiale con una lunga carriera alle spalle nel Servizio Aereo, ma io mi sono imposto. Tu hai ottenuto i migliori risultati nei corsi di formazione, non sei intralciato dalle qualifiche e dalla mentalità spesso obsoleta dei capitani delle aeronavi, e sei un uomo di indubbio coraggio; così ho deciso che il comando del volo di prova dovesse essere tuo. Cosa ne pensi?

— Vi sono profondamente grato, principe — disse Toller.

La gratitudine non c’entra. — II vecchio sorriso di Leddravohr, il sorriso che non aveva niente a che fare con l’amicizia, tremolò sul suo viso per un istante e subito scomparve. — È semplicemente giusto che tu colga il frutto delle tue fatiche.

Toller capì immediatamente che nulla era cambiato, che Leddravohr era ancora il mortale nemico che mai dimenticava né perdonava. Restava il mistero dell’apparente indulgenza del principe in quell’ultimo anno, ma nessun dubbio, assolutamente, che fosse ancora affamato della sua vita. “Spera che il volo sia un fallimento! Spera di mandarmi a morire!”.

L’intuizione gli aprì un improvviso squarcio sulla mente di Leddravohr. Analizzando i propri sentimenti nei riguardi del principe non trovò niente di nuovo se non una glaciale indifferenza, e forse una traccia di pena per quella creatura prigioniera di emozioni negative, sommersa e annaspante nel suo stesso veleno.

— Sono ugualmente grato — disse Toller gustando il doppio senso delle proprie parole. Fino allora aveva sempre temuto il momento in cui si sarebbe trovato faccia a faccia con Leddravohr, ma l’attuale incontro dimostrava che aveva superato il suo vecchio modo di essere, una volta per tutte. Finalmente era sicuro che il suo spirito si sarebbe elevato al di sopra di Leddravohr e di quelli come lui, come l’astronave sui continenti e gli oceani di Mondo, e sapeva che questo era un buon motivo per rallegrarsi.

Leddravohr studiò il suo viso per un momento, con uno sguardo penetrante, poi trasferì la sua attenzione sull’astronave. Gli uomini addetti al gonfiaggio continuarono a darsi da fare finché il pallone non si alzò sui quattro montanti di accelerazione, che costituivano la principale differenza con un normale velivolo atmosferico.Il pallone, gonfio per tre quarti, si assestò come un grottesco mostro marino privato del suo normale supporto naturale.L’involucro di lino verniciato ondeggiò debolmente nelle leggere correnti d’aria che entravano dalle feritoie nelle pareti del capannone.

— Se non sbaglio — disse Leddravohr — è ora che tu raggiunga la tua nave, Maraquine.

Toller gli fece il saluto, strinse la spalla di Armduran e corse verso la navicella. Diede il segnale a Zavotle, copilota e addetto al giornale di bordo; fu immediatamente seguito da Rillomyner, il meccanico, e dalla piccola figura di Flenn, montatore e cuoco di bordo. Toller salì sulla navetta dopo di loro, e prese il suo posto al bruciatore. La navicella era ancora inclinata su un fianco, e lui fu costretto a rimanere disteso, con la schiena su uno dei tramezzi di canna intrecciata, per azionare la propulsione. Per costruire la struttura portante del bruciatore era stato usato il tronco di un albero di brakka molto giovane. A sinistra, nella base bulbosa, c’era un piccolo serbatoio di pikonio,. con una valvola che immetteva i cristalli nella camera di combustione a pressione pneumatica. Dalla parte opposta un congegno simile regolava il flusso di alvelio, ed entrambe le valvole erano controllate da una singola leva. I canali nella valvola di destra erano leggermente più larghi, per fornire automaticamente quel tanto in più di alvelio, in una proporzione che si riteneva migliore per una spinta sostenuta.

Toller pompò il pikonio nel serbatoio pneumatico, poi segnalò al sovrintendente al gonfiaggio che era pronto per dare il via alla combustione. Nel capannone il rumore diminuì quando gli addetti alla ventola smisero di farla girare, e tirarono finalmente da parte la loro ingombrante macchina e il relativo effusore.

Toller tenne alzata la leva di controllo per circa un secondo. L’aria si riempì di un boato sibilante quando i cristalli si combinarono fra loro, provocando un’eruzione di gas migligno nella bocca del pallone. Soddisfatto del funzionamento del bruciatore, Toller aprì i vari getti d’aria per scongiurare i possibili danni del calore, e il grande involucro cominciò a espandersi e si staccò da terra. Mentre il pallone si metteva pian piano in posizione verticale, l’equipaggio che reggeva le funi le ritirò e le attaccò all’intelaiatura della navicella, che intanto veniva fatta ruotare per farle prendere il suo assetto normale. A quel punto l’astronave era pronta a spiccare il volo, trattenuta solo dall’ancora centrale.

Memore degli avvertimenti di Armduran circa il sollevamento, Toller continuò a dare gas per un altro buon minuto, e man mano che l’aria fredda veniva sostituita, il pallone cominciò ad alzarsi. Troppo preso dal suo lavoro per badare alla solennità del momento, Toller liberò il giunto dell’ancora e l’astronave si staccò da terra.

All’inizio salì in fretta, poi la corona curva del pallone prese il vento al di sopra dei capannoni, con un’impennata così violenta che Rillomyner ansimò forte, mentre la nave accelerava verso il cielo aperto. Toller, indifferente al fenomeno, fece uscire dal bruciatore una lunga fiammata. In pochi secondi il pallone era entrato del tutto nella corrente d’aria, e ormai viaggiava con lei, e quando il flusso d’aria superiore venne compensato, scomparvero anche gli effetti dell’impennata.

Nello stesso tempo, una leggera inclinazione dovuta all’impeto iniziale del vento provocò l’espulsione di un po’ di gas dalla bocca del pallone, così che la nave perdeva quota e veniva trascinata a est a circa dieci miglia l’ora.

La velocità non era elevata in confronto a quella di altri mezzi di trasporto, ma l’astronave era progettata solo per l’ascensione verticale, e qualunque contatto con il suolo, in quella fase, poteva essere disastroso.

Toller contrastò l’indesiderata picchiata con vampate prolungate del bruciatore. Per un interminabile minuto la navicella sembrò decisa a schiantarsi contro la fila di alberi di elvart sul bordo orientale del campo di volo, come attaccata a un’invisibile rotaia, poi la spinta ascensionale del pallone riprese il sopravvento. Il terreno si allontanò lentamente e Toller poté far riposare il bruciatore. Guardando giù verso la fila di capannoni, di cui molti ancora in costruzione, riuscì a cogliere il candido bagliore della corazza di Leddravohr tra le centinaia di spettatori, ma già il principe faceva parte del passato, e la sua importanza diminuiva con la distanza.

— Ti spiacerebbe fare un’annotazione? — disse Toller a Ilvan Zavotle. — Sembra che la massima velocità del vento per decollare a pieno carico sia di circa dieci miglia l’ora, E scrivi anche che quegli alberi dovrebbero essere eliminati.

Zavotle alzò brevemente gli occhi dal suo tavolo di vimini. — Lo sto già facendo, capitano. — Era un ragazzotto dalla testa allungata con orecchie piccolissime e un cipiglio permanente, meticoloso ed esigente come un vecchio, ma già un veterano di vari voli di prova.

Toller diede un’occhiata alla navicella quadrata, controllando che tutto fosse a posto. Il meccanico, Rillomyner, si era lasciato cadere sui sacchi di sabbia nel reparto passeggeri, con la faccia pallida e l’aria infelice. Ree Flenn, il montatore, era appollaiato come un animale arboreo sulla ringhiera della navetta, intento ad accorciare la catena di uno dei montanti di accelerazione che penzolava nel vuoto. Toller sentì uno spasmo ghiacciato allo stomaco quando vide che Flenn non aveva agganciato al parapetto la cintura di sicurezza.

— Cosa credi di fare, Flenn? — disse, — Attacca quella cima.

— Lavoro meglio senza, capitano. — Un sorriso divise a metà il viso del montatore, con i suoi occhi tondi e il naso a patata. — Non ho paura dell’altitudine.

Vorresti qualcosa di cui aver paura? — Toller parlò cortesemente, dolcemente addirittura, ma il sorriso di Flenn sparì immediatamente e lui si affrettò ad attaccare il moschettone alla ringhiera di brakka. Toller si voltò dall’altra parte per nascondere il suo divertimento. Puntando sulla piccola statura e sul suo buffo aspetto generale, Flenn contravveniva abitualmente alle regole della disciplina in modi che per altri avrebbero comportato la fustigazione ma era estremamente capace nel suo lavoro e Toller era stato felice di prenderlo con sé. Il suo stesso passato, in fin dei conti, lo portava a simpatizzare con i ribelli e i disadattati.

In quel momento la nave stava salendo e sorvolava la periferia occidentale di Ro-Atabri. La configurazione della città era confusa e appannata dal manto di schermi anti-ptertha che la coprivano come una calotta, ma le vedute del Golfo e della Baia di Arle erano come Toller le ricordava dalle escursioni aeree della sua adolescenza. Il loro nostalgico blu svanì in una foschia purpurea vicino all’orizzonte, sul quale brillavano, mitigate dalla luce del sole, le nove stelle dell’Albero.

Guardando in basso, Toller riuscì a vedere il Gran Palazzo sulla riva meridionale del Borann, e si chiese se in quel momento Re Prad fosse alla finestrata guardare il fragile insieme di stoffa e legno che costituiva la sua scommessa con la posterità. Da quando aveva conferito a suo figlio i poteri assoluti, il Re era diventato praticamente un recluso. Qualcuno diceva che era malato, altri che non aveva cuore di andare come un animale furtivo per le strade schiacciate della sua stessa città.

— Osservando il complesso e variegato panorama sotto di lui, Toller fu sorpreso della scarsa emozione che provava. Gli sembrava, dopo aver mosso il primo passo su quella strada di cinquemila miglia verso Sopramondo, di avere staccato le sue ossa dal passato.

Raggiungere il pianeta gemello in un viaggiò successivo e iniziare lì una nuova vita era una cosa che aveva a che fare con il futuro, e al momento il suo presente si esauriva nel minuscolo universo dell’astronave. Il microcosmo della navicella, quattro passi per lato, sarebbe stato il suo unico mondo per più di venti giorni, e lui non poteva prendersi nessun altro pensiero…

Le sue meditazioni furono bruscamente interrotte quando notò un movimento rossastro spostarsi nel cielo piumato di bianco, leggermente a nord-ovest.

— In piedi, Rillomyner — gridò. — È ora che cominci “a guadagnarti la paga.

Il meccanico si alzò e uscì dallo scompartimento passeggeri. — Mi dispiace, capitano, il modo in cui siamo decollati ha fatto qualcosa al mio intestino.

— Vai al cannone se non vuoi star male davvero — disse Toller. — Potremmo presto avere visite.

Rillomyner imprecò e si diresse barcollando verso il cannone più vicino. Zavotle e Flenn seguirono a ruota senza bisogno di aspettare gli ordini. C’erano due armi antiptertha montate su ciascun lato della navicella, con le canne fatte di leggere strisce di brakka unite a tubo da solide corde di vetro e resina. Ognuna disponeva di un deposito di munizioni, capsule di energia di vetro e proiettili di nuovo tipo, fasci di bastoncini di legno incernierati che si aprivano a raggio durante il volo. Richiedevano una maggiore accuratezza di tiro rispetto alle più vecchie armi a dispersione, ma avevano il vantaggio di una maggiore portata.

Toller si rimise al posto di pilotaggio e scaricò vampate intermittenti nel pallone per mantenere la velocità di ascensione.Non era eccessivamente preoccupato del ptertha solitario e aveva dato l’allarme più che altro per svegliare Rillomyner. Per quanto si sapeva, i globi erano in balia delle correnti d’aria nei percorsi a lunga distanza, e si muovevano forse per atto di volontà solo quando erano vicini alla loro preda. Come si attivasse l’impulso che li guidava nelle iarde finali era ancora un mistero, ma c’era una teoria che voleva che il ptertha avesse già cominciato il processo di autodistruzione, creando un piccolo orifizio sulla sua superficie, nel punto opposto rispetto alla vittima. L’espulsione dei gas interni avrebbe spinto il globo in avanti prima che l’intera struttura si disintegrasse e liberasse la sua carica di polvere tossica. Ma la teoria rimaneva a livello di congettura, data l’impossibilità di studiare i ptertha a distanza ravvicinata.

In quel momento il globo era a quasi quattrocento iarde dalla nave e sembrava verosimile che sarebbe rimasto a quella distanza poiché le rispettive posizioni erano governate dallo stesso flusso d’aria. Toller sapeva, comunque, che il solo movimento sul quale i ptertha avevano un certo grado di controllo era quello verticale.


L’osservazione attraverso telescopi calibrati aveva dimostrato che un ptertha poteva governare la propria posizione aumentando o diminuendo le dimensioni, alterando così la sua densità, e Toller era interessato a portare avanti un doppio esperimento che avrebbe potuto essere utile alla flotta di migrazione.

— Non perderlo di vista — disse a Zavotle. — Sembra che si stia tenendo alla nostra stessa quota, e se è così vuol dire che può sentire la nostra presenza già a quella distanza. Voglio anche scoprire quanto può salire prima di doversi fermare.

— Molto bene, capitano. — Zavotle alzò il suo binocolo e lo puntò diligentemente sul ptertha.

Toller diede un’occhiata al suo mondo circoscritto, immaginandosi quanto si sarebbe ristretto con un pieno carico di venti persone. Il reparto passeggeri consisteva in due stretti scompartimenti isolati da alte tramezze situati ai lati opposti della navicella per ragioni di equilibrio. Ognuno avrebbe dovuto ospitare nove persone, stipate al massimo, senza avere possibilità né di sdraiarsi né di muoversi comodamente, e alla fine del lungo viaggio le loro condizioni fisiche non sarebbero state certo invidiabili.

Un angolo della navetta ospitava la cambusa, e quello diametralmente opposto una rudimentale stanza da bagno, in pratica un buco nel pavimento più qualche sanitario. Le quattro postazioni dell’equipaggio erano in mezzo, attorno al bruciatore e al reattore di propulsione, rivolto verso il basso. La maggior parte del poco spazio rimanente era occupato dalle casse di pikonio e alvelio, anch’esse ai lati opposti della navicella, dalle scorte di viveri e da contenitori di attrezzi vari.

Toller poteva prevedere che il viaggio interplanetario, come tante altre avventure gloriose passate alla storia, si sarebbe svolto in un clima di squallore e degradazione, un vero e proprio test di resistenza fisica e mentale al quale non tutti sarebbero sopravvissuti. In contrasto con la navicella angusta e spartana, la parte superiore dell’astronave era spaziosa in modo quasi offensivo, imponente, una forma gigantesca senza sostanza. I pannelli di lino dell’involucro erano stati dipinti di marrone scuro per assorbire il calore del sole e guadagnare di conseguenza una spinta maggiore, ma quando Toller guardò dentro, attraverso la bocca del pallone, poté vedere la luce riflessa dalla stoffa. Le cuciture e i nastri di carico orizzontali e verticali formavano una trama geometrica di linee nere e facevano risaltare l’ampiezza delle curvature. Lassù c’era la cupola di garza di una cattedrale tra le nuvole, impossibile da associare all’umile lavoro manuale di tessitori e cucitori.

Soddisfatto della stabilità della nave e della sua ascesa graduale, Toller diede ordine di ritirare i quattro montanti di accelerazione e di assicurarli agli spigoli della navicella. Flenn portò a termine il compito in pochi minuti, e in quel modo l’insieme del pallone e della navicella raggiunse il limite massimo di leggerezza e rigidità strutturale compatibile con le modeste forze che avrebbe dovuto fronteggiare quando sarebbero entrati in azione il reattore di propulsione o quelli di governo.

Attaccata con un gancio volante alla stazione di pilotaggio c’era la fune di sgonfiamento, dipinta di rosso, che attraversava il pallone fino alla corona, un pannello in cima che poteva essere rimosso per svuotare in fretta tutta la mongolfiera. Oltre a costituire un dispositivo d’emergenza, la corda rossa era anche un rudimentale indicatore della velocità di salita, che si afflosciava quando un flusso d’aria verticale spingeva in basso la corona. Toller passò un dito sulla fune e stimò che stavano salendo a circa dodici miglia l’ora, aiutati dal fatto che il gas migligno era un po’ più leggero dell’aria anche da freddo. Quella velocità sarebbe quasi raddoppiata, più tardi, grazie al reattore di propulsione, quando fossero entrati nell’atmosfera rarefatta quasi senza gravità del punto medio.

Dopo trenta minuti di volo la nave torreggiava sopra la sommità del Monte Opelmer e aveva smesso di andare alla deriva verso est. La provincia giardino di Kail si allungava a sud fino all’orizzonte, con le sue fattorie a strisce che disegnavano un mosaico scintillante, ogni tessera striata di sfumature diverse dal giallo al verde. A ovest c’era il Mare di Otollan; a est l’Oceano Mirlgiver, con le sue distese blu macchiate qua e là di navi a vela.Le montagne ocra di Kolcorron Superiore riempivano il panorama a nord, e la prospettiva faceva apparire compatte le catene, le gole, gli anfratti, i picchi. Alcune aeronavi che percorrevano le rotte commerciali luccicavano come piccoli gioielli ellittici.

Da un’altitudine di circa sei miglia l’aspetto di Mondo era talmente bello e sereno da togliere il fiato. Solo la relativa scarsità di mezzi di trasporto poteva far pensare che quel panorama immerso nella benevola luce del sole, era in realtà un campo di battaglia, un’arena nella quale il genere umano aveva combattuto e perso un duello mortale.

Toller, come ormai d’abitudine quando era immerso nei suoi pensieri, localizzò il curioso oggetto datogli da suo padre e strofinò il pollice sulla liscia superficie. Secondo il ritmo normale della storia, si, chiese quanti secoli sarebbero dovuti passare prima che gli uomini si fossero avventurati nel viaggio verso Sopramondo? E avrebbero mai fatto quello che stavano facendo, se non fossero stati scacciati dai ptertha?

Il pensiero dell’antico e implacabile nemico lo spinse a guardarsi intorno e a controllare la posizione del globo solitario che aveva avvistato poco prima. Era sempre alla stessa distanza dalla nave, e, cosa più significativa, stava mantenendo la sua velocità ascensionale. Poteva essere una prova di sensibilità e volontà? Se era così, perché i ptertha avevano scelto l’uomo come oggetto della loro ostilità? Perché ogni altra creatura su Mondo, con l’eccezione del gibbone di Sorka, era immune dalla pterthacosi?

Quasi avesse percepito il rinnovato interesse di Toller per il globo, Zavotle abbassò il binocolo e disse: — Vi sembra più grande, capitano?

Toller prese il suo binocolo e studiò la sagoma violacea, scoprendo però che la trasparenza vanificava i suoi tentativi di definirne i contorni. — Difficile da dire.

— La piccola notte calerà presto — commentò Zavotle. — Non mi piace l’idea di avere quell’affare sospeso intorno a noi con il buio.

— Non credo si avvicinerà; inoltre la nave ha più o meno la forma di un ptertha, e la nostra risposta a un vento di traverso sarà praticamente la stessa.

— Spero che abbiate ragione — disse Zavotle cupamente.

Dal suo posto al cannone Rillomyner guardò indietro. — Non mangiamo dall’alba, capitano. — Era un giovane pallido e tozzo con un appetito insaziabile anche per il più vile dei cibi. Si diceva addirittura che avesse guadagnato peso da quando erano cominciate le restrizioni alimentari, ingurgitando tutta la roba scadente scartata dai compagni di lavoro. Nonostante ispirasse poca fiducia, era un buon meccanico, e molto fiero delle sue capacità.

— Sono felice di sentire che il tuo intestino è tornato in condizioni normali — disse Toller:

Mi sarebbe dispiaciuto pensare di avergli causato un danno permanente con il mio modo di guidare la nave.

— Non intendevo criticare il decollo, capitano. E solo che sono sempre stato afflitto da uno stomaco debole.

Toller fece schioccare la lingua fingendo comprensione e diede uno sguardo a Flenn. — Sarà meglio che tu dia da mangiare a quest’uomo prima che s’indebolisca troppo.

— Subito, capitano. — Mentre Flenn si alzava la camicia gli si aprì sul petto e lasciò intravedere la testa striata di verde di un carble. Flenn coprì frettolosamente la creatura pelosa con la mano e la spinse di nuovo nel suo nascondiglio.

— Che cos’hai lì? — disse Toller a denti stretti.

— Si chiama Tinny, capitano. — Flenn tirò fuori il caròle e lo cullò nelle braccia. — Non avevo nessuno cui lasciarla.

Toller sospirò esasperato. — Questa è una missione scientifica, non un… Ti rendi conto che la maggior parte dei comandanti butterebbe fuori quest’animale?

— Giuro che non darà nessun fastidio, capitano.

— Sarà meglio. Ora occupati del pranzo.

Flenn sorrise. Agile come una scimmia sparì nella cambusa per preparare il loro primo pasto. Era abbastanza piccolo da restare completamente nascosto dal tramezzo intrecciato che agli altri dell’equipaggio arrivava al petto. Toller tornò ad occuparsi dei fatti suoi, cercando di impadronirsi meglio del controllo de la nave.

Deciso ad aumentare la velocità, prolungò le fiammate da tre a quattro secondi e verificò la risposta del pallone. Passarono diversi minuti prima che la spinta aggiuntiva superasse l’inerzia delle molte tonnellate di gas, ma infine la fune di sgonfiamento si allentò sensibilmente. Soddisfatto della nuova velocità di salita, circa diciotto miglia all’ora, passò a familiarizzare con il bruciatore, cercando qualcosa nel suo ritmo — quattro minuti acceso e venti spento — che entrasse a far parte della sua coscienza, che andasse al passo con i suoi orologi interni, cuore, polmoni. Aveva bisogno di coglierne la più piccola variazione anche nel sonno, quando Zavotle lo sostituiva ai comandi.

Il pranzo che Flenn aveva preparato aveva attinto alle limitate riserve fresche ed era più abbondante di quanto Toller si aspettasse: fette di carne abbastanza magra in salsa, legumi, focacce di grano fritte e boccali di tè verde bollente. Mentre mangiava Toller staccò il bruciatore, permettendo alla nave di salire, libera e silenziosa, con la spinta accumulata. Il calore emanato dalla camera di combustione si mescolò ai vapori aromatici della cambusa, trasformando la navicella in un’oasi casalinga galleggiante in un universo di vuoto azzurro.

A metà del pasto calò la piccola notte con un fugace sprazzo di colori iridati che lasciarono il posto a un’oscurità improvvisa. Mentre gli occhi dell’equipaggio si abituavano alle nuove condizioni di luce il cielo fiammeggiò di vita tutto intorno. Gli uomini reagirono alla mancanza di terra sotto i piedi con vivaci manifestazioni di cameratismo.Aleggiava una tacita impressione che si stessero formando amicizie per la vita, e in quell’atmosfera ogni aneddoto era interessante, ogni millanteria credibile, ogni scherzo estremamente divertente. E anche quando le chiacchiere infine si spensero a poco a poco, la comunicazione continuò su un altro piano.

Toller non poteva partecipare più di tanto perché non poteva abbandonare i comandi, ma era ugualmente eccitato. Dalla sua posizione seduta il bordo della navicella gli arrivava giusto a livello degli occhi il che significava che non poteva vedere niente se non enigmatici mulinelli di luce, piatte code nebbiose di comete, e stelle, e stelle, e sempre più stelle. L’unico suono era l’occasionale scricchiolio di una fune, l’unico movimento percettibile quello delle meteore che scendevano lentamente scrivendo i loro messaggi sulla lavagna della notte.

Poteva facilmente immaginarsi alla deriva nelle profondità luminose dell’universo, e d’improvviso, inaspettatamente, gli venne il desiderio ardente di avere accanto una donna, una presenza femminile che in qualche modo avrebbe dato al viaggio un significato. Gli sarebbe piaciuto essere con Fera in quel momento, ma poi pensò che la sua permeante carnalità si sarebbe male accordata con il suo stato d’animo. Non era Fera la donna giusta… una donna capace di esaltare gli aspetti mistici di quell’esperienza… una donna come…

Toller cancellò in fretta quell’immagine, subito, con ansia. Per un attimo la sensazione del corpo sottile di Gesalla Maraquine l’aveva aggredito in modo scioccante. Saltò in piedi, sentendosi colpevole e confuso, alterando l’equilibrio della navicella.

— C’è qualcosa che non va, capitano? — disse Zavotle, appena visibile nell’oscurità.

— Niente. Un piccolo crampo, tutto qui. Bada tu al bruciatore per un po’. Il regime che vogliamo è quattro-venti.

Toller si accostò al parapetto e si sporse dalla ringhiera. “Cosa mi sta succedendo?”, pensò. “Lain ha detto che stavo interpretando un ruolo. Ma come faceva a saperlo? Il nuovo, freddo, imperturbabile Toller Maraquine… l’uomo che ha bevuto troppo al calice dell’esperienza… che guarda i principi dall’alto in basso… che non ha paura del baratro tra i due mondi… e che quando la solisposa di suo fratello non fa niente di più che toccargli il braccio, si lascia immediatamente andare a fantasie da adolescente! Lain è riuscito, con la sua spaventosa sensibilità, a vedermi come il traditore che sono? È per questo che mi si è rivoltato contro?”

L’oscurità sotto la nave era assoluta, come se Mondo fosse già stato abbandonato da tutta l’umanità, ma quando Toller guardò verso il pianeta una linea sottile di fuoco rosso, verde e viola apparve all’orizzonte occidentale, allargandosi e diventando sempre più brillante. Sbocciò improvvisamente una macchia di luce pura, si aprì sul suo pianeta così in fretta da far fermare il cuore, ricreando gli oceani, e le terre emerse, e i loro colori, e tutti gli intricati dettagli.Toller si fece indietro, quasi aspettandosi un’inesorabile esplosione dopo che il cono d’ombra avesse raggiunto la nave sommergendola subito di un’annientante luce solare, e si affrettò a guardare verso l’orizzonte occidentale. Sopramondo aveva completato il suo transito giornaliero su Kolcorron, e Toller sentì di essere anche lui uscito dal buio, da una sua personale e privata piccola notte della mente.

“Non preoccuparti, fratello Lain”, pensò. “Anche con il pensiero, non ti tradirò mai”.

Ilven Zavotle lasciò il bruciatore e puntò gli occhi a nord-est.

— Cosa pensate adesso del globo, capitano? È più grande? Più vicino? O entrambe le cose?

— Potrebbe essere un po’ più vicino — ammise Toller, felice di avere un altro argomento su cui concentrare i suoi pensieri, mentre a sua volta puntava sul ptertha il suo binocolo. Riesci a sentire che la nave balla un po’? Possono esserci degli spostamenti di aria più calda o più fredda, dopo la piccola notte, e magari il ptertha ne ha avuto vantaggio.

— È sempre al nostro stesso livello, anche se abbiamo cambiato velocità.

— Sì. Penso che voglia noi.

— Io so cosa voglio io — annunciò Flenn, passando vicino a Toller diretto alla toletta. — Sto per avere l’onore di inaugurare una certa lunga discesa, e spero che tutto atterri proprio sul vecchio Puehilter. — Aveva nominato un supervisore meschino e tiranno, piuttosto impopolare fra i tecnici di volo della SAS.

Rillomyner fece un grugnito di approvazione. — Almeno avrà davvero qualcosa di cui lamentarsi, una volta tanto.


— Sarà peggio quando ci andrai tu; dovranno evacuare tutta Ro-Atabri quando comincerai a bombardarla.

— Stai attento a non cadere nel buco — grugnì di nuovo Rillomyner che non aveva gradito il riferimento alle sue debolezze intestinali. — Non è stato progettato per i nani.

Toller non fece nessun commento a quello scambio di battute. Sapeva che lo stavano saggiando per vedere che tipo di clima avrebbe imposto durante il viaggio. Se avesse interpretato il regolamento alla lettera, avrebbe dovuto proibire categoricamente qualunque tipo di scherzo tra l’equipaggio, per non parlare della volgarità, ma lui era interessato unicamente a cose come l’efficienza, la lealtà e il coraggio. In. due ore la nave sarebbe arrivata più in alto di qualunque altra mai, a parte quella del mitico Usader di cinque secoli prima, entrando in una regione di cose strane e sconosciute, e lui non dimenticava che il suo piccolo gruppo di avventurosi avrebbe potuto aver bisogno di tutta la solidarietà umana possibile.

Inoltre, quello stesso argomento aveva dato il via a una dozzina di battute ugualmente pesanti nei quartieri degli ufficiali, sin da quando la pianta della navicella era stata resa pubblica. Lui stesso aveva tratto un certo divertimento dalla frequenza con cui la bassa forza gli aveva ricordato che la toletta non doveva essere usata fino a quando le correnti occidentali non avessero portato la nave abbastanza lontana dalla base.

E lo scoppio del ptertha lo colse di sorpresa.

Stava fissando la sua immagine ingrandita, quando il globo semplicemente, cessò di esistere, e in assenza di uno sfondo contrastante neanche uno sbuffo di polvere ne ricordò la posizione. Nonostante la sua fiducia nella loro capacità di fronteggiare la minaccia, ne fu sollevato. Dormire lassù la prima notte, sarebbe stato già abbastanza difficile, senza doversi anche preoccupare delle capricciose correnti d’aria che potevano portare il silenzioso nemico a distanza mortale.

— Prendi nota che il ptertha è appena scoppiato — disse a Zavotle, e messo di buon umore, aggiunse un commento personale: segna che questo è successo dopo circa quattro ore di volo… proprio quando Flenn stava usando la toletta… ma probabilmente non c’è nessuna connessione tra i due avvenimenti.


Toller si svegliò poco dopo l’alba al suono di una discussione animata che veniva dal centro della navicella. Si mise in ginocchio sui sacchi di sabbia e si massaggiò le braccia, cercando di capire se il freddo che sentiva era freddo vero o solo la conseguenza di un sonno disturbato. Il boato intermittente del bruciatore gli aveva permesso solo brevi sonnellini, e ora non si sentiva molto più fresco che se fosse stato di guardia tutta la notte. Sempre in ginocchio andò all’apertura del tramezzo dello scompartimento passeggeri e guardò fuori il resto dell’equipaggio.

— Dovreste dare un’occhiata a questo, capitano — disse Zavotle, alzando la sua testa a pera. — L’indicatore di quota funziona davvero!

Toller infilò le gambe nell’angusto passaggio e andò alla postazione del pilota, dove Flenn e Rillomyner stavano in piedi vicino a Zavotle. L’altimetro era attaccato a una tavoletta e consisteva in una scala graduata verticale. Aveva in cima un piccolo peso sospeso a una delicata molla a spirale, fatta con un truciolo di brakka sottile come un capello. La mattina precedente, all’inizio del volo, il peso era in fondo, vicino al segno più basso della scala, ma ora era molte tacche più alto.

Toller fissò intensamente l’indicatore. — Qualcuno l’ha manomesso?

— Nessuno lo ha toccato — lo rassicurò Zavotle. — Significa che tutto quello che ci hanno detto deve essere vero. Tutto perde peso mentre saliamo! Stiamo diventando più leggeri!

— Dovevamo aspettarcelo — disse Toller, non volendo ammettere che in cuor suo non aveva mai del tutto digerito quella nozione, nemmeno quando Lain aveva perso ore di tempo per fargliela entrare in testa.

— Sì, ma significa anche che fra tre o quattro giorni non peseremo più niente. Potremo fluttuare nell’aria come… come… ptertha! È tutto vero, capitano!

— Quanto dice che siamo alti?

— Circa trecentocinquanta miglia, e questo concorda con i nostri calcoli.

— Non mi sento affatto diverso — dichiarò Rillomyner. — Io dico che la molla si è allungata.

Flenn annuì. — Anch’io.

Toller voleva un momento per riordinare i suoi pensieri. Andò sul fianco della navicella e fu preso da un attimo di vertigine quando vide Mondo come non l’aveva mai visto prima, un’immensa convessità circolare, una metà quasi buia, l’altra uno sfavillare brillante di oceano blu e di continenti e isole vagamente sfumate.

“Sarebbe tutto diverso se stessi salendo nello spazio aperto dal centro di Chamteth”, echeggiò la voce di Lain nella sua mente. “Ma viaggiando tra i due pianeti raggiungerai presto una zona media, leggermente più vicina a Sopramondo che a Mondo, in effetti, dove l’attrazione gravitazionale di ciascun pianeta cancella l’altra. In condizioni normali, con il carico più pesante del pallone, la nave avrebbe la regolarità di un pendolo, ma in questo caso, completamente priva di peso, non avrà alcuna stabilità e dovrai usare i reattori laterali per controllare la sua posizione”.

Lain aveva già fatto tutto il viaggio nella sua mente, si rese conto Toller, e tutto quello che lui aveva predetto sarebbe accaduto. Davvero, stavano entrando in una regione straordinaria, ma l’intelletto di Lain Maraquine e di altri uomini come lui avevano già percorso quella strada, e si doveva aver fiducia in loro.

— Non ti eccitare tanto da trascurare il regime di propulsione — disse Toller con calma, rivolgendosi a Zavotle. — E ricordati di controllare l’altimetro misurando il diametro apparente di Mondo quattro volte al giorno.

Guardò Flenn e Rillomyner. — E quanto a voi due, perché lo Squadrone si è preso il disturbo di farvi dei corsi speciali? La molla non si è allungata. Stiamo diventando più leggeri man mano che saliamo, e riterrò qualunque discussione su questo punto come un atto d’insubordinazione. È chiaro?

— Sì, capitano.

I due risposero all’unisono, ma Toller lesse uno sguardo preoccupato negli occhi di Rillomyner, e si chiese se il meccanico avrebbe avuto difficoltà ad abituarsi alla graduale perdita di peso. “E a questo che serve il volo sperimentale”, ricordò a se stesso. “Stiamo provando non solo la nave ma anche noi stessi”.

Al calare della notte il peso dell’indicatore di quota era quasi a metà della scala, e gli effetti della gravità ridotta, ormai visibili, non erano più materia di discussione.

Quando si lasciava cadere un piccolo oggetto, questo scendeva verso il pavimento con evidente lentezza, e tutti i membri dell’equipaggio accusavano curiose sensazioni di vuoto allo stomaco. Per due volte Rillomyner si svegliò con un grido di panico, spiegando poi che aveva avuto l’impressione di precipitare.

Toller notò la facilità quasi da sogno con la quale poteva muoversi, e gli venne in mente che sarebbe stato meglio per tutti restare sempre legati.Non gli piaceva l’idea che un qualsiasi movimento, e neanche tanto brusco, facesse volare qualcuno fuori dalla nave.

Osservò anche che nonostante il peso sempre più ridotto la nave tendeva a salire più lentamente. Anche questo era stato previsto, come risultato della differenza di peso tra il gas caldo dell’involucro e l’atmosfera circostante. Per mantenere la velocità modificò il ritmo di scoppio a quattro-diciotto, e poi a quattro-sedici. I serbatoi di pikonio e alvelio nel bruciatore dovevano essere riempiti con frequenza sempre maggiore, e pur sapendo di avere ampie riserve, Toller cominciò a non vedere l’ora di raggiungere la quota di milletrecento miglia. A quel punto il peso della nave, diminuendo in proporzione geometrica, sarebbe stato un quarto del normale, e il reattore, per tutto il percorso nella zona a gravità zero, avrebbe richiesto meno energia.

La necessità di tradurre ogni azione e avvenimento nel secco linguaggio della matematica, dell’ingegneria e della scienza erano in conflitto con la reazione naturale di Toller al nuovo ambiente. Trovò che poteva passare lunghi periodi sporgendosi oltre il bordo della navicella, senza muovere un muscolo, come incantato, completamente soggiogato da un’autentica e assoluta reverenza. Sopramondo era giusto sopra di lui, ma nascosto dalla paziente, infaticabile vastità del pallone; e giù, lontano, c’era il suo pianeta natale, che gradualmente diventava un luogo misterioso man mano che il suo aspetto familiare si sfocava sempre più in quelle miglia e miglia di vuoto.

Al terzo giorno di ascensione il cielo manteneva la sua normale colorazione sopra e sotto la nave, ma ai lati stava diventando di un blu più scuro, che scintillava di stelle sempre più numerose.

Quando Toller era perso nei suoi momenti di trance, la conversazione dei membri dell’equipaggio e persino il rombo del bruciatore svanivano dalla sua consapevolezza, e lui era solo nell’universo, unico possessore dei suoi scintillanti tesori. Una notte, mentre era al posto di pilotaggio, vide una meteora attraversare il cielo sotto la nave. Tracciò una linea di fuoco che pareva andare da un bordo all’altro dell’infinito, e qualche minuto dopo risuonò una sola nota, piena, pulsante, un suono a bassa frequenza, indistinto, velato e triste, che fece vibrare la nave e suscitò il brontolio di protesta di uno degli uomini addormentati. Un certo istinto di possesso, una specie di avidità spirituale, spinse Toller a tenere per sé quell’avvenimento.

Mentre l’ascensione continuava, Zavotle si occupava dei suoi grandi registri di volo, e molte delle annotazioni riguardavano gli effetti fisiologici sull’equipaggio. Persino sulla sommità della più alta montagna di Mondo non c’era nessun evidente calo di pressione atmosferica, ma nei precedenti voli ad alta quota qualcuno aveva accusato un senso di soffocamento e il bisogno di respirare * più profondamente. Il disturbo era stato di lieve entità, gli scienziati stimavano che l’atmosfera avrebbe continuato a permettere la vita anche nel punto di equilibrio gravitazionale tra i due pianeti, ma erano stime che andavano verificate.

Toller fu quasi confortato dalla sensazione di affaticamento dei suoi polmoni, il terzo giorno, prova ulteriore che gli aspetti del volo erano stati correttamente calcolati ma proprio per questo fu molto meno felice quando si trovò di fronte a un fenomeno inaspettato. Da un po’ di tempo si era accorto di avere freddo, ma non ci aveva badato. Adesso, però, gli altri si stavano lamentando quasi di continuo e non si poteva sfuggire all’inevitabile conclusione: mentre la nave guadagnava quota, l’aria circostante diventava sempre più fredda.

Gli scienziati della SAS, incluso Lain Maraquine, avevano invece previsto un aumento della temperatura quando la nave fosse entrata nella fascia d’aria rarefatta, con minore potere schermante dai raggi del sole. Come nativo della zona equatoriale di Kolcorron, Toller non aveva mai sperimentato un freddo realmente duro, e non aveva messo nient’altro, nel suo bagaglio personale che camicie, calzoni e un giubbotto senza maniche. Adesso, anche se non stava proprio ancora tremando, avvertiva l’aumentare del disagio, e un pensiero spaventoso stava cominciando a farsi strada nella sua mente; l’intero volo poteva fallire per la mancanza di una balla di lana.

Autorizzò l’equipaggio ad indossare tutti gli indumenti che volevano sotto le uniformi, e a Flenn di preparare tè su richiesta in qualsiasi momento. Quest’ultima decisione, ben lontana dal migliorare la situazione, portò a una serie di accaniti battibecchi. Rillomyner continuava a insistere che Flenn, per malizia o inettitudine, metteva il tè in infusione prima che l’acqua avesse bollito a dovere, oppure che lo lasciava raffreddare prima di servirlo. Fu solo quando Zavotle, ugualmente insoddisfatto, si prese la briga di osservarne la preparazione che venne fuori la sconcertante verità: l’acqua cominciava a bollire prima di aver raggiunto la giusta temperatura. Era calda, ma non bollente.

— Sono preoccupato per questa faccenda, capitano — disse Zavotle dopo avere annotato l’importante scoperta nel giornale di bordo. — La sola spiegazione è che quando l’acqua diventa più leggera bolle a una temperatura progressivamente più bassa. E se è così, cosa ci succederà quando il peso di ogni cosa sarà ridotto a zero? La saliva ci bollirà in bocca? Pisceremo vapore acqueo?

— Saremo obbligati a tornare indietro molto prima che tu debba subire questa ignominia — disse Toller, mostrando di non gradire l’atteggiamento negativo dell’altro — ma non vorrei arrivare a questo punto. Deve esserci qualche altra ragione. Forse qualcosa che ha che fare con l’aria.

Zavotle non era convinto. — Non vedo come l’aria possa contaminare l’acqua.

— Nemmeno io, quindi non perdo tempo in inutili speculazioni. — ribatté Toller tagliando corto.— Se vuoi qualcosa per occupare la mente, tieni bene d’occhio l’indicatore di quota. Dice che siamo a mille e cento miglia, e se questo è giusto vuol dire che la nostra velocità ha continuato a diminuire per tutto il giorno.

Zavotle studiò l’altimetro, toccò la fune di sgonfiamento guardò dentro il pallone, nella cavità che diventava più scura e misteriosa con l’arrivo del crepuscolo. — Ecco una cosa che potrebbe avere a che fare con l’aria — disse. — Io penso che quello che avete scoperto è che l’aria più leggera fa scendere più lentamente la corona dell’involucro e fa sembrare che stiamo andando più adagio di quanto andiamo in realtà.

Toller soppesò l’idea e sorrise. — L’hai scoperto tu non io, quindi attribuiscitene il merito nella registrazione. Direi che sarai pilota anziano nel tuo prossimo volo.

— Grazie, capitano — disse Zavotle, con aria raggiante.

— Te lo sei guadagnato — Toller toccò Zavotle sulla spalla, chiedendo tacitamente scusa per la sua irritabilità. — A questa velocità avremo passato il segno dei 1300 per l’alba, poi potremo spegnere il bruciatore e vedere come si comporta la nave con i reattori.

Più tardi, mentre si stava sistemando sui sacchi di sabbia per dormire, ripensò ai suoi balordi sbalzi d’umore e identificò la vera causa della sua aggressività. Era stato l’accumularsi di avvenimenti non previsti, il freddo in aumento, lo strano comportamento dell’acqua, le indicazioni sbagliate della velocità del pallone. E la sensazione sempre più netta di aver dato troppo credito alle previsioni degli scienziati. Lain in particolare si era dimostrato in torto ben tre volte, e se il suo supponente intelletto era stato sconfitto così in fretta, ancor prima di varcare i confini della regione misteriosa, chi poteva sapere cosa ci fosse in serbo per quelli che percorrevano il ponte di vetro pericolosamente incrinato verso un altro mondo?

Fino a quel momento, scoprì Toller, era stato istintivamente ottimista verso il futuro, convinto che il volo sperimentato avrebbe portato a una migrazione felice e alla fondazione di una colonia in cui coloro che gli stavano a cuore avrebbero condotto una vita di gioie senza fine. Aveva fatto di tutto per nascondersi che quella visione nasceva soprattutto dal suo egoismo, che il fato non aveva nessun obbligo di portare in salvo, come lui aveva deciso, persone come Lain e Gesalla, che le cose potevano accadere senza tener conto dei suoi desideri, e anche se per lui erano inimmaginabili.

Improvvisamente il futuro si presentava carico di incertezza e di pericoli.

E nel nuovo ordine delle cose, pensò Toller mentre scivolava nel sonno, uno doveva imparare a reinterpretare tutti i tipi di fenomeni. Banalità di tutti i giorni… la tensione di una fune… le bolle in un bricco d’acqua… tutti questi piccoli indizi… avvertimenti sussurrati, quasi troppo deboli da sentire…

La mattina l’altimetro segnava un’altitudine di 1400 miglia, e la scala supplementare diceva che la gravità era scesa a meno di un quarto del normale.

Toller, interessato alla leggerezza del suo corpo, volle fare un salto, e questo fu il suo primo ed ultimo esperimento del genere. Salì molto più in alto di quanto intendesse e per un momento, mentre roteava sospeso in aria, ebbe la terribile sensazione di essersi staccato dalla nave per sempre. La navicella aperta, con le sue pareti all’altezza del petto, gli apparve come una struttura fragile, con i montanti e i pannelli troppo deboli per il loro scopo. Ebbe il tempo di immaginare cosa sarebbe successo se un pezzo di pavimento avesse ceduto quando lui ci fosse atterrato sopra, lanciandolo nell’aria celeste 1400 miglia al di sopra del suo Mondo.

Sarebbe stata una caduta interminabile, in piena consapevolezza, senza niente da fare se non guardare il pianeta distendersi affamato sotto di lui. Anche il più coraggioso degli uomini avrebbe infine dovuto cominciare a urlare.

— Sembra che abbiamo perso un bel po’ di velocità durante la notte, capitano — riferì Zavotle dal posto di pilotaggio. — La fune di sgonfiamento è quasi piatta, anche se, certamente, non ci si può più fare molto affidamento.

— È tempo di usare il reattore, comunque — disse Toller. — Da ora in poi, fino a quando torneremo, useremo il bruciatore solo quanto basta per tenere gonfio il pallone. Dov’è Rillomyner?

— Qui, capitano. — Il meccanico emerse dall’altro reparto passeggeri. La sua figura tozza era piegata in due, e lui si teneva stretto alle tramezze con lo sguardo fisso sul pavimento.

— Cos’hai, Rillomyner? Ti senti male?

— Non sto male, capitano. Io… io non voglio semplicemente guardare fuori.

— Perché no?

— Non posso, capitano. Sento come qualcosa che mi spinge oltre il fianco della nave. Ho paura di finire fuori.

— Sai che questo non ha senso, vero? Toller pensò al suo stesso momento di paura incontrollabile e divenne subito più comprensivo. — Questo influirà sul tuo lavoro?

— No, capitano. Il lavoro mi sarà d’aiuto.

— Bene! Fai un’accurata ispezione dei reattori, principale e laterali, e assicurati che il flusso dei cristalli sia regolare; non possiamo permetterci nessun contraccolpo a questo punto.

Rillomyner fece il saluto al pavimento, e andò a prendere i suoi attrezzi a testa bassa. Seguì un’ora di pace, senza il rumore ritmico del bruciatore, mentre Rillomyner ne controllava i comandi, alcuni dei quali erano in comune con il reattore principale. Flenn preparò e servì una colazione di farina d’avena guarnita di piccoli cubi di maiale salato, lamentandosi continuamente del freddo e della difficoltà di mantenere acceso il fuoco in cambusa. Il suo umore migliorò un po’ quando seppe che Rillomyner non avrebbe mangiato, e trascurando per una volta le prese in giro sui suoi problemi intestinali sottopose il meccanico a un fuoco di fila di battute sui rischi del cadere nel vuoto.

Coerente con la sua millanteria, Flenn sembrava indifferente alle inquietanti fessure di cielo che brillavano attraverso gli interstizi del pavimento. Alla fine del pasto andò addirittura a sedersi sul parapetto della navicella, con un braccio negligentemente gettato intorno a un montante di accelerazione, continuando a prendere in giro l’infelice Rillomyner. Anche se Flenn si era legato, vederlo appollaiato lì appoggiato a uno schienale di cielo provocò una tale morsa di ghiaccio allo stomaco di Toller che ne sopportò la vista solo per qualche secondo, prima di ordinargli di scendere.

Quando Rillomyner ebbe finito il suo lavoro e fu tornato a sdraiarsi sui sacchi di sabbia, Toller si rimise al posto di comando. Mise in moto il reattore tenendolo acceso per due secondi, a lunghi intervalli, e studiando gli effetti sul pallone. Ogni spinta suscitava sinistri scricchiolii dei montanti e del sartiame, ma l’involucro risultava molto meno danneggiato che nelle accensioni sperimentali a bassa quota. Incoraggiato, Toller provò i vari tempi e finalmente li sistemò su un ritmo di due-quattro, ottenendo un effetto di impulso continuo senza eccessive sollecitazioni. Un breve getto di gas dal bruciatore ogni due o tre minuti tenne gonfio il pallone e fece in modo che la corona non si flettesse troppo sotto le diverse pressioni dell’aria.

— Si maneggia bene — disse a Zavotle, che stava diligentemente scrivendo sul giornale di bordo.

Sembra che noi due avremo un lavoro più comodo nei prossimi giorni, finché si assesta l’instabilità.

Zavotle sollevò gli occhi. — Comodo per le orecchie, anche.

Toller fece un cenno d’assenso con la testa. Sebbene ogni volta il reattore restasse acceso un minuto in più del bruciatore, prima il suo scarico non finiva dentro la grande cavità del pallone, che ne moltiplicava l’eco. Dava un rumore più basso, meno fastidioso, che veniva assorbito in fretta dai circostanti oceani di silenzio.

Con la nave che si comportava tanto docilmente, e secondo le previsioni Toller cominciò a pensare che i cattivi presagi della notte fossero stati nient’altro che un sintomo della sua crescente stanchezza. Si soffermava sull’idea che in appena sette o otto giorni, se tutto andava bene, avrebbe visto da vicino un altro pianeta. La nave non poteva atterrare su Sopramondo, in realtà, perché questo avrebbe comportato l’asportazione del pannello di sgonfiamento, e senza nessuna attrezzatura di gonfiaggio non sarebbe stata in grado di ripartire. Ma sarebbe arrivata a poche iarde dalla superficie, sollevando il velo del mistero sulla realtà del pianeta gemello.

Le migliaia di miglia d’aria che separavano i due mondi avevano sempre réso difficile per gli astronomi dire molto di più oltre al fatto che c’era un continente all’equatore dell’emisfero visibile. Si era sempre creduto, in parte per ragioni religiose, che Sopramondo somigliasse molto a Mondo, ma c’era sempre la possibilità che fosse inospitale, perché la potenza dei telescopi non bastava a cogliere gli aspetti della superficie al di là di un certo limite. Un’altra possibilità, un articolo di fede per la Chiesa, un caso controverso per i filosofi, era che Sopramondo fosse già abitato.

Come potevano essere gli abitanti di Sopramondo? Costruivano città? E come avrebbero reagito a una flotta di navi aliene che veniva giù dal cielo?

Le divagazioni di Toller s’interruppero bruscamente quando lui si rese conto che il freddo era molto aumentato, in quei pochi minuti. Intanto gli si era avvicinato Flenn, che stringeva al petto il cucciolo di caròle e stava visibilmente tremando. La faccia dell’ometto aveva una sfumatura di blu.

— Il freddo mi sta uccidendo, capitano — disse sforzandosi di fare il suo solito sorriso. — È peggiorato tutto d’un colpo.

— Hai ragione. — Toller si sentì allarmato all’idea di aver attraversato un’invisibile linea di pericolo nell’atmosfera, poi gli venne un’ispirazione. — È da quando abbiamo spento il bruciatore. Il soffio di ritorno del gas migligno ci teneva caldi.

— Non solo — aggiunse Zavotle. — C’era anche l’aria che veniva giù dall’involucro caldo.

— Dannazione! — Toller guardò accigliato i disegni geometrici del pallone. — Questo significa che dobbiamo mettere più calore, là dentro. Abbiamo un sacco di cristalli d’energia quindi saremmo a posto, ma potremmo avere qualche problema dopo.

Zavotle annuì, con aria malinconica. — La discesa.

Toller si morse le labbra mentre, ancora una volta, si trovava ad affrontare difficoltà che gli scienziati della SAS non avevano previsto. Per un veicolo ad aria calda, l’unico modo di perdere quota era perdere calore, calore che però era vitale per l’equipaggio, e a rendere peggiore la situazione c’era il fatto che la direzione del flusso dell’aria si sarebbe invertita durante la discesa, portando la già scarsa quantità di calore a disperdersi verso l’aito, lontano dalla navicella. La conclusione era che avrebbero dovuto passare diversi giorni in condizioni molto peggiori di quelle presenti, con il pericolo reale di morire di freddo.

E questo poneva un dilemma che andava risolto.

Il fatto che così tanto dipendesse dal risultato del volo sperimentale era un motivo valido per andare avanti e avanti, anche con il rischio di superare il punto limite del non ritorno? O avevano il dovere morale di essere prudenti e di tornare con la loro sudata riserva di sapere?

— Questo è il tuo giorno fortunato — disse Toller a Rillomyner, che lo stava osservando nella sua solita posizione supina dai sacchi di uno scompartimento passeggeri. — Volevi lavorare per tenere occupata la mente, ora puoi farlo. Trova il modo di deviare un po’ del calore dal tubo di scappamento del bruciatore giù dentro la navicella.

Il meccanico si tirò a sedere con espressione perplessa. — Come si può fare, capitano?

— Non lo so! È il tuo lavoro far funzionare cose come questa. Monta un imbuto, o qualcosa del genere, e comincia immediatamente: sono stanco di vederti sempre lì sdraiato come una scrofa gravida. Gli occhi di Flenn scintillarono.

— Che modo è questo di parlare al nostro passeggero, capitano?

— Anche tu, hai passato troppo tempo sul tuo posteriore — gli disse Toller. — Hai aghi e fili nelle tua attrezzatura?

— Sì, capitano. Aghi grandi, aghi piccoli, fili e cordicelle sufficienti per montare una nave a vela.

— Allora comincia a svuotarci sacchi di sabbia e fai delle giacche con la stoffa. Avremo anche bisogno di guanti.

— Lasciate fare a me, capitano — disse Flenn. — Sistemerò tutti come dei re. — Evidentemente contento di avere qualcosa di costruttivo da fare, Flenn ricacciò il caròle sotto i vestiti, andò al suo armadietto e cominciò a rovistare nei vari scompartimenti. Stava fischiando in vibrato tremolante.

Toller lo guardò per un momento, poi si rivolse a Zavotle, che si stava soffiando sulle mani per Scaldarle. — Sei ancora preoccupato di ritrovarti in condizioni di assenza di peso?

Gli occhi di Zavotle divennero diffidenti. — Perché lo chiedete, Capitano?

— Dovresti essere… è come se dovessi tirare a sorte tra la bufera e la neve.


Poco prima della piccola notte del quinto giorno di volo, l’altimetro registrava 2.600 miglia di quota e gravità zero.

I quattro membri dell’equipaggio erano rannicchiati nelle loro sedie di vimini intorno all’unità di propulsione, con i piedi rivolti verso la calda base del tubo del reattore. Erano imbacuccati in rozzi abiti di tela di sacco marrone che confondeva le loro forme umane e nascondeva il faticoso ansare del loro petto nel respirare quell’aria gelida e rarefatta. Nella navicella i soli seghi di vita erano i fili di vapore del fiato degli uomini, mentre fuori le meteore guizzavano nelle infinità di blu profondo, unendo brevemente e accidentalmente stella con stella.

— Bene, eccoci qui — disse Toller, rompendo un lungo silenzio. — Abbiamo superato la parte più dura del viaggio, abbiamo tenuto testa a tutte le più spiacevoli sorprese che il cielo ci ha mandato addosso, e siamo ancora in buona salute. Direi che possiamo permetterci un po’ di brandy con il prossimo pasto.

Gli rispose un altro lungo silenzio, come se anche il pensiero fosse congelato in quell’inattività, poi Zavotle disse: — Sono ancora preoccupato per la discesa, capitano, anche con il calorifero.

— Se siamo sopravvissuti finora possiamo andare avanti. — Toller diede uno sguardo all’apparecchio di riscaldamento che Rillomyner aveva progettato e installato con un po’ di assistenza da parte di Zavotle. Consisteva in sezioni tubolari di brakka piegate a S, tenute insieme da corde di vetro e argilla refrattaria. Un’estremità entrava nella bocca del bruciatore, l’altra era assicurata al pavimento, vicino alla postazione di pilotaggio. Una piccola parte dei getti d’aria del bruciatore veniva incanalata verso il basso attraverso il tubo, mandando il caldo gas migligno a soffiare nella navicella, e alzava sensibilmente la temperatura. II bruciatore, necessariamente, sarebbe stato usato meno durante la discesa, ma Toller pensava che il calore sarebbe stato sufficiente ai loro bisogni nei due giorni più duri.

— È ora del rapporto medico — disse, facendo segno a Zavotle di prendere nota. — Come vi sentite tutti?

— Io mi sento ancora come se stessimo cadendo, capitano. — Rillomyner si teneva aggrappato alla sua sedia. — Ho la nausea.

— Come potremmo cadere se non abbiamo peso? — disse Toller cercando di farlo ragionare e di ignorare nel contempo lo sfarfallio che sentiva nello stomaco. — Dovrai abituartici. E tu, Flenn?

— Io sto bene, capitano; l’altitudine non mi dà fastidio. — Flenn diede un colpetto al caròle a righe verdi rannicchiato contro il suo petto, con la sola testa che sporgeva attraverso un buco dei vestiti. — Anche Tinny sta bene. Ci aiutiamo a riscaldarci l’un l’altro.

— Io credo di essere in condizioni decenti, tutto considerato. — Zavotle fece un’annotazione nel giornale di bordo scrivendo goffamente con la mano coperta dal guanto, e gettò uno sguardo di rimprovero a Toller. — Devo annotare che siete in buone condizioni, capitano? Non solo di salute?


— Sì, e tutto il tuo sarcasmo non mi farà cambiare idea. Rovescerò la nave immediatamente dopo la piccola notte. — Toller sapeva che il copilota era ancora fermo nella sua opinione, che gli aveva esposto, per cui, dopo aver passato il punto di gravità zero, avrebbero dovuto aspettare a spegnere la nave per un giorno intero o anche di più. Il ragionamento era che facendo così avrebbero superato più in fretta la zona di freddo più intenso, e con il calore del pallone a proteggerli dal gelo. Anche Toller la considerava una buona idea, ma non si sentiva né l’autorità né la responsabilità di metterla in pratica.

“Appena passate il punto medio, Sopramondo comincerà ad attirarvi”, lo aveva catechizzato Lain. “L’attrazione vi sembrerà molto leggera all’inizio, ma crescerà in fretta. Se tu aumenti questa attrazione con la spinta del reattore di propulsione, supererai presto la velocità massima per cui è stata progettata la nave, e non devi assolutamente permettere che questo accada”.

Zavotle aveva ribattuto che gli scienziati della SAS non avevano previsto né il freddo mortale né che l’aria rarefatta del punto medio esercitasse una minore forza sull’involucro, aumentando così la velocità massima di sicurezza. Toller era rimasto inalterato come un diamante. Come capitano della nave aveva un certo potere discrezionale, ma non era il caso di sfidare le direttive di base della SAS.

Non aveva detto che la sua determinazione era stata rafforzata da un istintivo disgusto per quel far saltellare la nave su e giù. Anche se durante l’addestramento era rimasto segretamente scettico sulla questione della mancanza di peso, aveva pienamente compreso che appena la nave avesse passato il punto medio sarebbe entrata nel campo gravitazionale di Sopramondo. In un certo senso il viaggio si poteva considerare finito, a quel punto, perché, a meno di non intervenire volontariamente, i destini della nave e del suo equipaggio non sarebbero più stati influenzabili dal pianeta di provenienza. Sarebbero rimasti fuori, ridefiniti come alieni, secondo i termini della fisica celeste.

Toller aveva deciso che già aspettando la fine della piccola notte per invertire la posizione avrebbe sfruttato tutto il potere decisionale di cui disponeva. Durante la salita Sopramondo, sebbene nascosto alla vista dal pallone, era apparentemente diventato sempre più grande e la piccola notte era divenuta di conseguenza più lunga. Quella che si avvicinava sarebbe durata più di tre ore, e quando fosse finita la nave avrebbe cominciato a cadere verso il pianeta gemello. Toller trovava che il cambiamento progressivo nell’alternarsi del giorno e della notte era un potente momento della grandezza del viaggio che avevano intrapreso, Niente di sorprendente finché era in ballo l’intelletto dell’adulto, ma il bambino che era in lui era incantato e impaurito da quello che stava succedendo. La notte stava diventando più corta mentre la piccola notte cresceva, e presto l’ordine naturale delle cose sarebbe stato invertito. La notte di Mondo si sarebbe accorciata per diventare la piccola notte di Sopramondo.

Aspettando che calasse l’oscurità, Toller e gli altri investigarono il miracolo della mancanza di peso. C’era un vago fascino nel sospendere piccoli oggetti nel vuoto e vederli mantenere le loro posizioni, a dispetto degli insegnamenti di tutta una vita, finché l’ultimo getto d’aria dal reattore di propulsione non li faceva tardivamente precipitare.

“È quasi come se il reattore ristabilisse in qualche modo una frazione del loro peso naturale”, diceva l’annotazione di Zavotle nel giornale di bordo, “ma certo questo è uno strano modo di guardare a un fenomeno. La reale spiegazione è che essi sono invisibilmente fissati in un dato posto, e che la spinta del reattore impedisce alla nave di spostarli”.

La piccola notte arrivò più bruscamente che mai, avvolgendo la navicella in un buio ingioiellato e striato di fuoco, e per tutta la sua durata i quattro conversarono in toni sereni, ricreando l’atmosfera della loro prima notte di volo, illuminata dalla luce delle stelle. Il discorso passava dai pettegolezzi sulla vita alla base della SAS alle speculazioni sulle cose strane che potevano trovare su Sopramondo, e ci fu anche un tentativo di prevedere i problemi di un volo a Oltremondo, che si poteva vedere, simile a una lanterna verde, sporgendosi a ovest. Nessuno si sentiva disposto, notò Toller, a soffermarsi sul fatto di trovarsi sospesi tra due mondi, in una fragile scatola aperta, con migliaia di miglia di vuoto tutt’intorno.

Notò anche che l’equipaggio aveva smesso di rivolgersi a lui come al capitano, per il momento, e non ne era dispiaciuto. Sapeva che non era una diminuita considerazione della sua necessaria autorità, ma un inconscio riconoscimento del fatto che quattro uomini come tanti altri si stavano avventurando nell’ignoto nella regione dello straordinario, e che nel loro mutuo bisogno l’uno dell’altro erano uguali.

Un lampo di colori fece di nuovo spuntare il giorno.

— Avete parlato di brandy, Capitano? — disse Rillomyner.

— Mi è appena venuto in mente che un po’ di calore interno potrebbe rinforzare questo mio maledetto stomaco delicato. Le proprietà medicinali del brandy sono ben conosciute.

— Il brandy al prossimo pasto.

— Toller strizzò gli occhi e si guardò intorno, ristabilendo i rapporti con la storia. — Ora dobbiamo spegnere la nave.

Era stato contento di scoprire che la predetta instabilità della nave, dentro e vicino alla zona senza peso, era facile da vincere e da controllare con i reattori laterali. Occasionali ascensioni di mezzo secondo erano state sufficienti per mantenere la navicella nell’allineamento desiderato con le stelle maggiori. Adesso, però, la nave, o l’universo, doveva essere messa di prua. Portò il serbatoio pneumatico al massimo della pressione prima di mandare i cristalli nel reattore di destra, per tre secondi interi. Il suono proveniente dal minuscolo foro fu divorato dall’infinito.

Per un momento sembrò che la piccola emissione non avrebbe avuto alcun effetto sulla massa della nave, poi, per la prima volta dall’inizio dell’ascensione, il grande disco di Sopramondo fu in piena vista da dietro la curvatura del pallone. Un crescendo di fuoco lo illuminava sul bordo, e toccava quasi il sole.

Nello stesso tempo Mondo si alzò sopra il parapetto della navetta, dalla parte opposta, e mentre la resistenza dell’aria vinceva gli impulsi del reattore la nave si stabilizzò in una posizione che offrì all’equipaggio la visione di due pianeti.

Voltando la testa, da una parte Toller poteva vedere Sopramondo, quasi completamente al buio per la sua vicinanza al sole; dall’altra c’era la convessità stupefacente del suo pianeta natale, sereno ed eterno, immerso nel sole tranne che per l’orlo orientale, dove una fetta sempre più piccola giaceva ancora nella piccola notte. Osservò rapito mentre l’ombra di Sopramondo lo liberava, sentendosi come sul fulcro di una leva di luce, un motore intangibile che aveva il potere di muovere i mondi.

— Per carità, capitano — gridò raucamente Rillomyner, — mettete la nave a dritta!

— Non c’è pericolo. — Toller accese di nuovo il reattore laterale e Mondo si spostò maestosamente in alto per nascondersi poi dietro il pallone mentre Sopramondo scivolava sotto il bordo della navicella.Il montante scricchiolò molte volte mentre lui azionava il reattore opposto per assestare la nave nella sua nuova posizione. E si permise un sorriso di soddisfazione, lieto di essere il primo uomo della storia a capovolgere una astronave. La manovra era stata effettuata in fretta e senza incidenti, e da quel momento in poi la maggior parte del lavoro sarebbe toccata alle forze naturali.

— Prendi nota — disse a Zavotle. — Punto medio superato con successo. Non prevedo altri ostacoli nella discesa su Sopramondo.

Zavotle liberò la sua matita dal gancio che la tratteneva. — Stiamo ancora congelando, capitano. — Questo non è un “altro” ostacolo. Se necessario bruceremo qualche cristallo proprio qui sul ponte. — Toller, improvvisamente contento e ottimista, si rivolse a Flenn. — Come ti senti? Il tuo mal di testa da alta quota può far fronte ai nostri bisogni?

Flenn sorrise. — Se è cibo che volete, capitano, io sono il vostro uomo. Giuro che ho il buco del sedere con le ragnatele.

— In questo caso, guarda se puoi organizzare qualcosa da mangiare. — Toller sapeva che l’ordine era particolarmente gradito, perché per più di un giorno l’equipaggio aveva deciso di tirare avanti senza cibo né acqua per evitare l’indegnità, la scomodità e la spiacevolezza di usare il bagno in virtuale mancanza di peso.

Guardò con occhio benevolo Flenn che spingeva di nuovo il caròle nel suo caldo santuario dentro i vestiti e si slegava dalla sedia. L’ometto faceva evidentemente fatica a respirare mentre si dirigeva verso la cambusa, ma le sfere nere dei suoi occhi scintillavano di buon umore. Riapparve giusto in tempo per porgere a Toller la piccola fiasca di brandy inclusa negli approvvigionamenti della nave, poi sparì per un lungo periodo, durante il quale si poteva sentirlo trafficare con gli attrezzi da cucina, ansimando e imprecando senza sosta. Toller bevve un sorso di brandy e aveva appena passato la fiasca a Zavotle quando si rese conto che Flenn stava cercando di preparare un pasto caldo.

— Non c’è bisogno di scaldare niente — gridò. — Carne secca e pane saranno sufficienti.

— Va tutto bene, capitano — fu la risposta ansimante di Flenn. — Il carbone è ancora acceso… ed è solo questione di… di sventolarlo abbastanza forte. Vi servirò… un vero e proprio banchetto. Un uomo ha bisogno di un buon… Accidenti!

Subito dopo l’ultima parola dalla cambusa provenne un grande acciottolio di stoviglie. Toller si voltò in tempo per vedere un pezzo di carbone incandescente salire verticalmente nell’aria da dietro la tramezza. Roteando pigramente, avvolto in una fiamma giallo chiaro, salì in alto e sfiorò uno dei pannelli curvi inferiori del pallone. Proprio quando sembrava che fosse stato deviato nel blu senza conseguenze, fu catturato da una corrente d’aria che lo riportò indietro, verso l’intersezione tra l’involucro e un montante di accelerazione. Si fermò proprio nella giuntura, bruciando ancora.

— E mio! — urlò Flenn. — Lo prenderò!

Sbucò all’angolo della navicella, e senza agganciarsi salì sul montante a tutta velocità, usando solo le mani in un curioso salto senza peso. Il cuore e la mente di Toller si gelarono quando vide un fumo brunastro alzarsi dalla stoffa verniciata del pallone. Flenn raggiunse il tizzone ardente, e lo afferrò con la mano guantata. Lo gettò via con un movimento laterale del braccio e improvvisamente anche lui si staccò dalla nave, galleggiando nell’aria sottile. Con le mani che cercavano inutilmente di aggrapparsi al montante, fluttuò lentamente verso l’esterno.

Toller si sentì spaccato da due diversi terrori. La paura della sua personale distruzione tenne il suo sguardo fisso sul pezzo di stoffa fumante finché non vide che la fiamma si era spenta, ma per tutto quel tempo un’altra parte di lui gridava silenziosamente perché il vuoto luminoso che separava Flenn dalla nave aumentava sempre più.

La spinta iniziale del movimento di Flenn non era stata gran cosa, ma lui si era ormai spostato di circa trenta iarde prima che la resistenza dell’aria lo facesse fermare. Stava sospeso nel vuoto azzurro, brillando nella luce del sole che il pallone nascondeva alla navicella, quasi irriconoscibile come essere umano nel misero fagotto dei suoi vestiti di tela di sacco.

Toller andò al parapetto e mise le mani a coppa intorno alla bocca. — Flenn! Stai bene?

— Non preoccupatevi per me, capitano. — L’ometto agitò un braccio e, incredibilmente, riuscì a sembrare contento. — Riesco a vedere bene l’involucro da qui. C’è una zona bruciacchiata tutt’intorno all’attacco del montante, ma la stoffa non è bucata.

— Ti porteremo dentro. — Toller si rivolse a Zavotle e a Rillomyner. — Non è perso. Dobbiamo gettargli una cima.

Rillomyner era piegato in due sulla sedia. — Non posso farlo, capitano — mugugnò. — Non posso guardare.

— Guarderai e farai il tuo lavoro — gli assicurò Toller severamente.

— Io posso aiutare — disse Zavotle, avvicinandosi. Aprì un armadietto e tirò fuori vari rotoli di corda. Toller, impaziente di effettuare il salvataggio, ne afferrò uno. Ne assicurò un’estremità e lanciò il rotolo verso Flenn, ma il movimento gli fece staccare i piedi dal ponte, e quello che voleva essere un lancio potente, risultò debole debole e mal diretto. La fune si srotolò solo per una parte della sua lunghezza e si congelò, inutile, mantenendo ancora la sua ondulazione.

Toller la ritirò e mentre la stava riavvolgendo Zavotle lanciò un’altra cima, ugualmente senza successo. Rillomyner, che mormorava debolmente a ogni respiro, lanciò una corda di vetro più sottile. Si stese del tutto, quasi nella giusta direzione, ma era troppo corta.

— Buono a niente! — lo canzonò Flenn, apparentemente indifferente alle migliaia di miglia di vuoto che si aprivano sotto di lui.

— La tua vecchia nonna saprebbe fare meglio, Rillo.

Toller si tolse i guanti e fece un nuovo tentativo di lanciare un ponte nel vuoto, ma anche se si era legato a un tramezzo la fune irrigidita dal freddo non si dipanò nel modo giusto. Fu mentre la stava ritirando a bordo che notò un particolare allarmante. All’inizio, Flenn si trovava molto più in alto in relazione alla nave, a livello dell’estremità superiore del montante di accelerazione, ma ora era solo leggermente al di sopra del bordo della navicella.

Una rapida riflessione disse a Toller che Flenn stava cadendo. Anche la nave stava cadendo, ma finché ci fosse stato calore dentro al pallone sarebbe rimasta relativamente frenata, e sarebbe scesa più lentamente di un oggetto solido. Così vicini al punto medio le velocità relative erano irrilevanti, ma Flenn era ugualmente catturato dalla gravità di Sopramondo, e aveva cominciato la lunga discesa verso la superficie.

— Hai notato cosa sta succedendo? — disse Toller a Zavotle a bassa voce. — Abbiamo tempi di caduta diversi.

Zavotle ci pensò su. — Sarebbe di qualche utilità usare i laterali?

— Cominceremmo soltanto a ruotare.

— Siamo nei guai — disse Zavotle. — Prima di tutto Flenn danneggia il pallone, poi si mette in condizione di non poterlo riparare.

— Non penso proprio che l’abbia fatto apposta — Toller si rivolse a Rillomyner. — Il cannone! Trova un peso che possa andare nel cannone. Forse potremmo sparare una cima.

In quel momento Flenn, che era rimasto calmo, sembrò notare il suo graduale spostamento rispetto alla nave e a tirare le appropriate conclusioni. Cominciò ad agitarsi e a contorcersi, fece movimenti esagerati, come se stesse nuotando, che in altre circostanze sarebbero stati comici. Scoprendo che niente aveva effetto si mise di nuovo tranquillo, tranne per un involontario movimento della mano quando la seconda fune lanciata da Zavotle non riuscì a raggiungerlo.

— Comincio ad aver paura, capitano. — Sebbene Flenn stesse gridando, le parole arrivavano deboli, come se le sue energie si disperdessero nell’immensità circostante. — Dovete riportarmi a casa.

— Ti riporteremo. C’è… — Toller lasciò che la frase svanisse. Stava per assicurare a Flenn che c’era un sacco di tempo, ma temeva che la sua voce suonasse poco convincente. Stava diventando evidente che non solo Flenn si stava spostando più in basso della navicella, ma anche che, per le immutabili leggi della fisica, stava guadagnando velocità. L’accelerazione era quasi impercettibile, ma gli effetti erano cumulativi. Cumulativi e letali.

Rillomyner toccò il braccio di Toller. — Non c’è niente che possa entrare nel cannone, capitano, ma ho unito due pezzi di corda di vetro e l’ho legata a questo. — Gli porse un martello con una grande testa di brakka. — penso che lo raggiungerà.

— Bravo — disse Toller, apprezzando il modo in cui il meccanico nell’emergenza stava vincendo la sua acrofobia. Si fece da parte per lasciare che Rillomyner facesse il suo lancio. Il meccanico assicurò l’estremità libera della corda di vetro alla ringhiera, valutò le distanze e scagliò il martello nello spazio.

Toller vide immediatamente che aveva commesso l’errore di mirare in alto, pensando di compensare una forza di gravità che non c’era. Il martello si tirò dietro la corda e si fermò nell’aria a poche tormentose iarde sopra Flenn, che muoveva le braccia come un mulino a vento in un futile tentativo di raggiungerlo. Rillomyner scosse leggermente la corda nel tentativo di spostare il martello verso il basso, ma riuscì solo a tirarlo su, a breve distanza dalla nave.

— Non serve a niente — ringhiò Toller. — Tiralo dentro in fretta e tiralo dritto contro di lui la prossima volta. — Stava cercando di soffocare un senso crescente di panico e disperazione. Flenn stava ora scendendo visibilmente sotto il livello della navicella, ed era sempre più difficile che il martello lo raggiungesse, mentre la distanza aumentava e l’angolazione rendeva più difficile la precisione di lancio. Quello di cui Flenn aveva disperatamente bisogno era un sistema per ridurre la distanza che lo separava dalla navicella, e questo era impossibile, a meno che… a meno che…

Una voce familiare parlò dentro la testa di Toller: “Azione e reazione”, stava dicendo Lain.

“Questo è il principio universale…”

— Flenn, puoi portarti più vicino — urlò Toller. — Usa il carble! Lancialo dritto verso la nave, più forte che puoi. Questo ti porterà nella nostra direzione.

Ci fu una pausa prima che Flenn rispondesse. — Non potrei mai farlo, capitano.

— È un ordine — muggì Toller. — Tira il carble, e tiralo immediatamente! Stiamo perdendo tempo.

Passarono lunghi attimi di silenzio immobile, poi Flenn fu visto armeggiare con gli stracci che. gli coprivano il petto. La luce del sole brillava sulla parte inferiore del suo corpo mentre lentamente tirava fuori l’animaletto striato di verde.

Toller imprecò per la frustrazione. — Sbrigati, sbrigati! Stiamo per perderti.

— Mi avete già perso, capitano.— La voce di Flenn era rassegnata. — Ma voglio che portiate Tinny a casa con voi.

Un improvviso movimento rotatorio del suo braccio, e Flenn fece un capitombolo all’indietro mentre il carble navigava verso la nave. Troppo basso. Toller guardò mentre l’animale terrorizzato, miagolando e annaspando nell’aria, scompariva sotto la navicella. Toller sentì quegli occhi gialli come trasportati dentro i suoi. Flenn arretrò ancora un po’, prima di stabilizzarsi aprendo le gambe e le braccia. Si fermò nella posizione di un annegato, galleggiando a faccia in giù su un oceano, invisibile, lo sguardo rivolto a Sopramondo che lo aveva preso nelle sue braccia gravitazionali da migliaia di miglia più sotto.

— Tu stupido piccolo nanerottolo — singhiozzò Rillomyner mentre scagliava di nuovo il martello verso Flenn. Si fermò bruscamente e un po’ di lato al suo bersaglio. Flenn, corpo e arti rigidi, continuò a cadere con velocità crescente.

— Cadrà magari per un giorno — sussurrò Zavotle. — Pensate… un intero giorno… cadendo… Mi chiedo se sarà ancora vivo quando colpirà il suolo…

— Ho altre cose a cui pensare — disse Toller aspramente, allontanandosi dalla parete della navicella, incapace di guardare Flenn che spariva alla vista.

I suoi ordini esigevano che interrompesse il volo nel caso di perdita di un membro dell’equipaggio o di un serio danno strutturale alla nave. Nessuno avrebbe potuto prevedere il verificarsi congiunto di entrambe le circostanze, a causa di uno stupido incidente con il fornello della cambusa, ma lui si sentiva non meno responsabile, e restava da vedere se gli amministratori della SAS non l’avrebbero anche ritenuto colpevole.

— Dai energia al reattore — disse a Rillomyner. — Torniamo a casa.

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