EPILOGO Tredici anni dopo

«Ci sono due tragedie nella vita. Una è perdere quel che più si desidera. L’altra è ottenerlo.»

George Bernard Shaw, (vincitore nel 1925 del Premio Nobel per la Letteratura)


Valerie Beckett, prima donna presidente degli Stati Uniti, guardò la folla di cinquecento persone sul prato della Casa Bianca; la maggior parte erano accomodate sulle sedie pieghevoli metalliche fornite per l’occasione, ma qualcuno era su sedie a rotelle. Oltre la recinzione in ferro battuto intorno al prato, centinaia di spettatori e turisti osservavano meravigliati. Era una bella giornata di sole, il cielo era di un azzurro perfetto, e nell’aria c’era profumo di rose. Il marito della Beckett, il First Gentleman Roger Ashton, le sorrise dalla prima fila. Minuscole telecamere, molto più piccole di quelle di solo pochi anni prima, erano fissate su treppiedi dalle gambe sottili. Delle bandiere si increspavano appena nella leggera brezza.

— Siamo qui raccolti oggi per onorare un grande uomo — disse la Beckett, dal podio di legno col sigillo presidenziale. — Il suo nome è noto a molti di noi come vincitore, con Shari Cohen-Goldfarb, che è qui presente, di un Premio Nobel per le sue stupefacenti scoperte sui segreti racchiusi nel nostro DNA, scoperte che hanno cambiato la visione di noi stessi e della nostra evoluzione.

Per alcuni, nessun onore è più alto, e certamente non intendo presumere di insinuare che qualunque medaglia io possa conferire sia più significativa. Ma in realtà non è la medaglia che importa, è il lavoro dedicato ai suoi simili che vuole rappresentare. Per dieci anni, l’uomo che stiamo onorando ha guidato la lotta per impedire alle compagnie di assicurazioni in tutti e cinquantuno gli States di discriminare i nati e i non nati in base ai loro profili genetici o ai precedenti clinici familiari. Be’, come tutti sapete, durante l’ultima sessione del Congresso, questo stesso principio è diventato legge federale, e…

Fece una pausa per gli applausi, poi proseguì.

— …e oggi, siamo qui raccolti per onorare la memoria del dottor Pierre Jacques Tardivel, che combatté fino al giorno della sua morte perché venisse promulgata.

Molly, ancora bella a cinquant’anni, guardò sua figlia sedicenne, Amanda. Le mancava il marito; Dio, quanto le mancava, ma era ancora grata oltre ogni dire per Amanda, e per il legame particolare che dividevano.

«Pronta?» pensò Amanda. Molly annuì.

«Vorrei che papà avesse potuto vivere per vedere questo.»

Molly prese la mano di sua figlia. — Sarebbe stato così orgoglioso di te — bisbigliò.

Il presidente Beckett continuò: — Chiedo adesso alla vedova del dottor Tardivel, Molly Bond, e a sua figlia, Amanda, di farsi avanti e accettare questa medaglia coi ringraziamenti del popolo degli Stati Uniti d’America.

Molly si alzò in piedi. Lei e Amanda, tozza, con frange di capelli che le scendevano sugli occhi per coprire la sottile sporgenza ossea alla base della fronte, si portarono accanto al presidente, che strinse la mano a ciascuna di loro. Molly avanzò verso il microfono. — Grazie — disse. — So che tutto ciò avrebbe significato molto per Pierre. Grazie tante a tutti.

Amanda era ancora entro la zona di sua madre. «Ti voglio bene» pensò. Molly sorrise. Amanda non poteva, in realtà, leggerle nella mente, ma erano così vicine, così intime, che non occorsero parole pronunciate a voce perché Amanda sapesse che Molly stava pensando «Anch’io te ne voglio.»

Amanda alzò le mani e cominciò a fare segni.

Molly si chinò di nuovo sul microfono, interpretando.

— Amanda afferma che le manca suo padre ogni giorno di più, e lo ama moltissimo. E dice che le piacerebbe recitare un breve discorso che era tra i favoriti di Pierre, un discorso pronunciato per la prima volta a sole poche centinaia di metri da questo stesso luogo, mezzo secolo fa, da un altro uomo che finì per vincere il Premio Nobel.

Amanda fece un attimo di pausa, poi gettò uno sguardo a sua madre, attingendo forza dal loro legame. Poi le sue mani presero a muoversi di nuovo in un’intricata danza.

— Ho fatto un sogno — disse Molly, dando voce ai gesti di Amanda — che un giorno questa nazione si alzerà in piedi e vivrà secondo l’autentico significato del suo credo: che sia di per sé evidente la verità che tutti gli uomini sono creati eguali. Ho fatto un sogno che i miei quattro bimbi piccoli vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle ma per l’essenza del loro carattere. Ho fatto questo sogno oggi.

Amanda fece una pausa. Molly si asciugò le lacrime dagli occhi. Poi le mani di Amanda tornarono di nuovo a muoversi. — Promulgando questa legge che ci fa guardare oltre i nostri geni — disse Molly, interpretando ancora i segni — quel gran sogno di una nazione in cui tutti gli abitanti siano realmente considerati eguali si è avvicinato di un altro passo alla realtà.

Amanda abbassò le mani e guardò sua madre, dividendo un pensiero speciale solo con lei. Poi si voltò e fissò la folla, che stava applaudendo vigorosamente.

La figlia di Pierre Tardivel sorrise.

E fu anche un bel sorriso.

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