PARTE SECONDA Storia della Luna dalla rivoluzione all’indipendenza

1

Un’ondata di patriottismo investì la nostra Nazione e la unificò. Non dicono così i libri di storia?

Parola mia, preparare una rivoluzione è un gioco da ragazzi, in confronto alla confusione che si viene a creare dopo averla vinta. Ci trovammo padroni di tutto, con niente di pronto e mille cose da fare. L’Ente Lunare non esisteva più, ma la sua direzione centrale sulla Terra e le Nazioni Federate erano una realtà anche troppo viva. Se solo avessero inviato un’astronave da guerra, o messo in orbita intorno alla Luna un incrociatore, si sarebbero ripresi il satellite con poca fatica. Non avremmo opposto più resistenza di un branco di pecore.

La nuova catapulta era stata messa a punto, ma i contenitori metallici per i proiettili di rocce, pronti per essere lanciati, li potevo contare sulle dita di una mano: della destra naturalmente. D’altra parte, la catapulta non era un’arma efficace contro le astronavi. Né contro un esercito.

Avevamo qualche idea di come respingere l’attacco di un’astronave, ma per il momento era solo teoria. Nei depositi di Hong Kong Luna avevamo alcune centinaia di fucili a raggi laser (gli ingegneri cinesi sono in gamba) ma pochi uomini erano capaci di usarli.

Inoltre, prima della Rivoluzione, l’Ente svolgeva molte funzioni essenziali. Acquistava ghiaccio e grano dai Lunari, vendeva acqua, aria ed energia; insomma, aveva in mano le leve di controllo principali. Comunque avessero dovuto andare le cose in futuro, la vita doveva continuare. Forse era stata un’azione troppo affrettata, quella di distruggere gli uffici dell’Ente (io la pensavo così) insieme a tutti gli archivi. Prof sosteneva però che i Lunari, nessuno escluso, avevano bisogno di un simbolo da odiare e distruggere, e gli uffici rappresentavano il bersaglio di maggiore effetto e di minor valore.

Mike controllava le comunicazioni, il che significava avere il potere effettivo. Prof aveva imposto la censura delle notizie da e per la Terra, lasciando a Mike il compito di falsificare i dispacci fino al momento in cui saremmo riusciti a risolvere il problema di che cosa si doveva far sapere alla Terra. Aveva poi messo in esecuzione la sottofase M, un piano d’emergenza che isolava dal resto della Luna le centrali dell’Ente, l’Osservatorio Richardson e i Laboratori Associati (Radioscopio Pierce, Stazione Selenofisica, eccetera). Questi ultimi costituivano un grosso problema, a causa del continuo andare e venire degli scienziati terrestri, che riuscivano a prolungare fino a sei mesi la loro permanenza, esercitandosi costantemente con la centrifuga.

La maggior parte dei Terrestri che si trovavano sulla Luna, a eccezione di un gruppetto di trentaquattro turisti, erano scienziati. Dovevamo trovare una soluzione definitiva anche per loro, ma intanto era sufficiente impedire che comunicassero con la Terra. Mike aveva tagliato il collegamento telefonico delle installazioni scientifiche dell’Ente e non faceva fermare le capsule della Metropolitana alle stazioni un tempo riservate al personale dell’Ente, anche dopo che i trasporti erano stati riattivati. Questo avvenne appena Finn Nielsen e la sua squadra ebbero terminato la loro missione nella residenza personale del Governatore.

Risultò che il Governatore non era morto. Ma noi, per la verità, non avevamo avuto intenzione di ucciderlo. Prof era dell’avviso che fosse sempre possibile ammazzare un Governatore ancora vivo, mentre non si poteva farne resuscitare uno morto, se ne avessimo avuto bisogno. Avevamo perciò deciso di metterlo fuori combattimento, assicurandoci che tanto lui che i suoi accoliti non fossero in grado di nuocere, e di intervenire poi rapidamente, mentre Mike riprendeva il pompaggio dell’ossigeno.

Mike aveva calcolato che bastavano quattro minuti, o poco più, per ridurre l’ossigeno a zero effettivo. Quindi, la diminuzione graduale dell’ossigeno fino a zero, per cinque minuti, mancanza totale di ossigeno per altri cinque minuti, poi forzare la porta stagna dell’ultimo piano, mentre Mike immetteva ossigeno puro per ristabilire l’equilibrio atmosferico. Questo era il piano, un trattamento che non avrebbe dovuto uccidere nessuno, ma sufficiente a far perdere conoscenza come un potente anestetico. L’unico rischio poteva essere che alcuni, o tutti, si fossero infilati le tute a pressione. Ma era anche questo molto ipotetico. La riduzione graduale di ossigeno è traditrice, ci si può trovare finiti senza nemmeno accorgersi che manca l’aria. È l’errore fatale in cui incappa la maggior parte dei nuovi venuti sulla Luna.

Così, Mort il Carceriere sopravvisse, con tre delle sue donne. Benché vivo, però, non serviva più a niente. La deossigenazione era stata eccessiva per il suo cervello. Era ridotto alla vita vegetativa. Nessun poliziotto, invece, riuscì a scampare.

Negli uffici centrali dell’Ente non ci furono vittime. Riaccese le luci e ripristinata l’erogazione di ossigeno, si ristabilirono tutti rapidamente, compresi i sei assassini-violentatori incarcerati in caserma. Finn decise che ucciderli sarebbe stata una punizione troppo blanda. Si improvvisò giudice, e la sua squadra gli fece da giuria.

Li denudarono e, legati mani e piedi, li consegnarono alle donne negli stessi locali dell’Ente. Mi fa star male il solo pensiero di quello che deve esser successo, ma non credo che abbiano sofferto a lungo come Mary Lions. Le donne sono creature sorprendenti, dolci, tenere, gentili, e molto più selvagge di noi uomini.


Due parole sulle spie che ci tradirono. Wyoh si era detta un tempo fieramente pronta a eliminarle, ma all’ultimo momento le era mancato il coraggio. Mi aspettavo che Prof fosse d’accordo. Invece scosse la testa. — No, cara Wyoh, per quanto deplori la violenza, ci sono solo due modi di trattare un nemico. Ucciderlo, o farselo amico. Ogni soluzione intermedia è causa di infiniti guai. Un uomo che tradisce una volta lo farà ancora, e noi abbiamo di fronte un lungo periodo in cui le spie potranno essere pericolose. Devono essere eliminate. E pubblicamente, per far riflettere gli altri.

Wyoh osservò: — Professore, una volta hai detto che se avessi condannato un uomo, lo avresti eliminato tu stesso. Lo farai ora?

— Sì e no. Il loro sangue cadrà sulle mie mani, ne accetto la responsabilità. Ma ho in mente un sistema più adatto a scoraggiare altri traditori.

Così Adam Selene annunciò che queste persone erano state alle dipendenze di Juan Alvarez, già capo della Sicurezza del defunto Ente, in qualità di spie, e diede nomi e indirizzi. Adam non suggerì che ci fosse qualche cosa di particolare da fare.

Una delle spie riuscì a rimanere nascosta per sette mesi cambiando continuamente nome e rotta. Poi, all’inizio del ’77, il suo corpo fu trovato fuori della porta stagna Sud di Novylen. Ma la maggior parte scampò solo per poche ore.

Subito dopo il colpo di Stato ci trovammo ad affrontare un problema che non avevamo previsto: Adam Selene in persona. Chi era Adam Selene? Dove si trovava? Questa era la sua rivoluzione, lui aveva organizzato ogni particolare, tutti i compagni ne conoscevano la voce. Adesso non poteva più nascondersi. Perciò… dov’era Adam?

Nessuno di noi chiuse occhio quella notte, nella stanza L dell’Hotel Raffles. Discutemmo a lungo del problema Adam tra una decisione e l’altra sui mille problemi che ci si presentavano, continuamente interrotti dalle telefonate dei compagni che volevano istruzioni. Intanto Mike, servendosi di varie voci, trattava le questioni che non richiedevano una discussione generale, fabbricava le notizie fasulle da inviare sulla Terra, teneva isolate e sotto controllo le centrali dell’Ente, risolveva mille problemi. (Non c’è dubbio: senza Mike non saremmo riusciti a impossessarci della Luna, né a mantenere il potere.)

La mia idea era che Prof dovesse diventare Adam. Prof era stato il nostro organizzatore e il teorico della rivoluzione. Tutti lo conoscevano, i compagni sapevano che era il compagno Bill, e tutti gli altri rispettavano e stimavano il vecchio Professor Bernardo de la Paz. Era stato il maestro di scuola di metà dei dirìgenti di Luna City e di molti cittadini di altre grotte, ed era noto a tutti gli uomini più in vista della Luna.

— No — disse Prof.

— Perché no? — chiese Wyoh. — Prof, sei stato optato. Faglielo capire tu, Mike.

— Mi riservo di dare il mio giudizio — disse Mike. — Voglio sentire le ragioni del Professore.

— Vedo che pensi con serenità, Mike — disse Prof. — Wyoh, carissima compagna, se appena fosse possibile, non rifiuterei. Ma non è possibile far passare la mia voce per quella di Adam, e tutti i compagni riconoscono Adam dalla voce. Mike le ha dato un tono personale proprio per questo scopo.

Allora pensammo di servirci lo stesso del Professore, facendolo apparire solo alla televisione. Mike gli avrebbe prestato la voce di Adam. Scartammo anche questa soluzione perché troppe persone conoscevano Prof e lo avevano sentito parlare. Poi la sua voce e il suo modo di parlare non erano conciliabili con la personalità di Adam. La stessa possibilità fu studiata per me. La mia voce e quella di Mike erano entrambe baritonali, poche persone mi avevano sentito parlare al telefono, e nessuno mi aveva mai visto sul video.

Rifiutai categoricamente. Già sarebbe stata una grossa sorpresa per la gente scoprire che ero uno dei vice del nostro Presidente, figuriamoci se mi fossi presentato come Adam Selene. Nessuno ci avrebbe creduto.

— Facciamo un compromesso — proposi. — Adam è stato sempre avvolto nel mistero. Continuiamo così. Lo si potrà vedere solo alla televisione… con la faccia coperta da una maschera. Prof fornirà il corpo e Mike la voce.

Prof scosse la testa. — Sarebbe il modo più sicuro di distruggere la fiducia, nel momento più critico della rivoluzione. No, Mannie, il Presidente non può essere una maschera.

Pensammo allora di cercare un attore che impersonasse la figura di Adam Selene. Sulla Luna non c’erano attori professionisti, ma si potevano trovare ottimi dilettanti nella Filodrammatica Municipale di Luna City o al Nuovo Bolshoi di Novylen.

— No — ripeté Prof. — A parte la difficoltà di trovare l’attore adatto, uno che non si metta in testa di essere Napoleone, non possiamo aspettare. Adam deve prendere in mano la situazione al più tardi domani mattina.

— Se è così — feci notare — il problema è automaticamente risolto. Dovremo servirci di Mike e non farlo apparire alla televisione. Solo per radio. Cercheremo una scusa qualsiasi, ma Adam non potrà mai apparire in pubblico.

— Sono costretto ad accettare questa soluzione — disse Prof.

— Man, mio più vecchio amico — intervenne Mike — perché dici che non posso apparire in pubblico?

— Non hai sentito? — feci io. — Sullo schermo deve esserci una faccia e un corpo. Tu hai un corpo, ma sono molte tonnellate di metallo. La faccia, poi, non ce l’hai affatto. Beato te, che non ti devi fare la barba.

— Ma che cosa m’impedisce di mostrare una faccia, Man? In questo momento, sto facendo sentire una voce. Ma dietro, non ci sono corde vocali. Allo stesso modo posso far vedere anche una faccia.

Fui così sconcertato che non riuscii a rispondere. Fissai lo schermo televisivo che avevamo installato quando avevamo preso in affitto la stanza. Un impulso è solo un impulso. Elettroni che si rincorrono. Per Mike, l’intero mondo era una serie variabile di impulsi elettrici, da inviare o da ricevere, o da far scorrazzare dentro il suo corpo.

— No, Mike — dissi.

— Perché no, Man?

— Perché non puoi. Con la voce, te la cavi a meraviglia. Implica solo qualche migliaio di decisioni al secondo, un giochetto per te. Ma costruire un’immagine sul video richiede, diciamo, una decina di milioni di decisioni al secondo; Mike, tu sei tanto veloce che non riesco nemmeno a pensarci, ma non così veloce.

La voce di Mike si fece dolce: — Vuoi scommettere, Man?

Si intromise Wyoh, indignata. — È ovvio che Mike è in grado di farlo, se lo dice! Mannie, non dovresti permetterti di parlare in questo modo. — (Wyoh pensa che un elettrone, per dimensioni e forma, sia qualcosa di simile a un pisellino.)

— Mike — dissi, lentamente — non rischierò i miei soldi. D’accordo, vuoi provare? Devo accendere la televisione?

— Posso farlo io — rispose.

— Sei certo di trovare il bottone giusto? Non sarebbe simpatico farci vedere da tutti.

Rispose con voce alquanto irritata. — Non sono stupido. E ora, Man, lasciami in pace. Ammetto che per riuscirci dovrò impiegare tutte le mie capacità.

Aspettammo in silenzio. Poi, sullo schermo apparve un quadro luminoso color grigio uniforme, appena venato da linee orizzontali. Ridiventò buio, infine una debole luce si diffuse dal centro, riempiendo lo schermo di forme ellissoidali, nebulose, chiare e scure. Non era una faccia, ma un vago abbozzo che ricordava tratti umani, come le figure che si immaginano disegnate dalle nuvole che coprono la terra.

Lo schermo si schiarì ulteriormente e comparve una forma che mi ricordava quella degli ectoplasmi. Lo spettro di un volto.

All’improvviso l’immagine si stabilizzò con contorni netti e noi vedemmo Adam Selene.

Era il nitido ritratto di un uomo nella piena maturità. Non c’era uno sfondo, ma la faccia si stagliava come se fosse stata ritagliata da una fotografia. Eppure, per me, era Adam Selene. Non poteva essere nessun altro.

La faccia sullo schermo sorrise, muovendo le labbra e le mascelle; per un attimo vidi la punta della lingua, un rapido movimento… e provai un brivido di paura.

— Come vi sembro? — chiese.

— Adam — disse Wyoh — i tuoi capelli non sono così ricciuti. E dovresti tenerli pettinati più indietro, sui lati e sulla fronte. Così sembra che tu abbia la parrucca, caro.

Mike eseguì la correzione. — Ora va meglio?

— Non del tutto. Hai le fossette sulle guance? Quando sorridevi per telefono ho sempre immaginato che le avessi. Come Prof.

Mike-Adam sorrise di nuovo. Questa volta aveva le fossette. — Come devo vestirmi, Wyoh?

— Sei in ufficio?

— Sì, sono ancora qui. E dovrò fermarmi per tutta la notte. — Lo sfondo si fece grigio, poi tornò a fuoco. Alle spalle di Mike un calendario segnava la data: martedì 19 maggio 2076. Un orologio indicava l’ora esatta. Accanto al gomito era posata una tazzina di caffè. Sulla scrivania, una fotografia mostrava un gruppo di famiglia, due uomini, una donna, quattro bambini. Si sentiva un rumore di fondo, il brusio della Piazza della Vecchia Cattedrale, più forte del solito. Udivo delle grida e un canto in lontananza: la Marsigliese, nella versione di Simon.

Fuori quadro, la voce di Ginwallah chiese: — Signore?

Adam si girò. — Sono impegnato, Albert — disse pazientemente. — Passami solo le chiamate dalla cellula B. Delle altre dovrai occuparti tu. — Tornò a guardare noi. — E allora, Wyoh? Suggerimenti, Prof? E tu, Man, amico mio pieno di dubbi? Ti pare che vada bene?

Mi fregai gli occhi. — Mike, sai cucinare?

— Certamente. Ma non lo faccio. Sono sposato.

— Adam — chiese Wyoh — come fai ad avere un aspetto così fresco dopo la giornata massacrante che abbiamo passato?

— Non mi lascio abbattere dalle piccole cose. — Rivolse lo sguardo verso Prof. — Professore, se il mio aspetto è a posto, discutiamo del discorso che dovrò pronunciare domani. Pensavo di trasmetterlo invece del notiziario delle otto, dopo averlo annunciato per tutta notte e aver avvertito le cellule.

Continuammo a parlare fino all’alba. Per due volte ordinammo il caffè, mentre Mike-Adam si faceva riempire la tazzina. Quando chiesi che ci mandassero qualche panino, Mike chiamò Ginwallah perché ne facesse prendere anche per lui. Intravidi per un attimo Ginwallah di profilo: era il tipico segretario anglo-indiano, gentile e leggermente ironico. Non ero riuscito a immaginare che aspetto potesse avere. Quando mangiavamo noi, mangiava anche Mike, mormorando commenti sul panino mentre lo addentava.

Dietro mia richiesta (interesse professionale), Mike mi spiegò che, una volta creato l’insieme del quadro, ne aveva programmato la maggior parte su controllo automatico, e che personalmente curava soltanto le espressioni facciali. Presto mi scordai che era falso. Mike-Adam parlava con noi dal video. Questo era tutto. Molto meglio che per telefono.

Verso le tre avevamo stabilito la linea politica, e Mike iniziò le prove del suo discorso. Prof volle inserire alcune espressioni particolari, Mike fece le relative correzioni, poi decidemmo di prenderci qualche ora di riposo. Perfino Mike stava sbadigliando… sebbene, in realtà, lui non avesse problemi del genere. Continuò a lavorare tutta la notte, controllando le trasmissioni dirette alla Terra, tenendo isolati gli uffici dell’Ente, e rispondendo a numerose telefonate. Prof e io dividemmo il letto grande, Wyoh si distese sul divano. Spensi la luce, e per una volta dormimmo senza pesi addosso.

Mentre facevamo colazione, Adam Selene pronunciò il messaggio ai cittadini di Luna Libera.

Fu gentile, fermo, caldo e persuasivo: — Cittadini di Luna Libera, amici, compagni, permettetemi di presentarmi a tutti coloro che non mi conoscono. Sono Adam Selene, Presidente del Comitato Nazionale di Emergenza per la Luna Libera… ora della Luna Libera. Siamo liberi, finalmente. Il cosiddetto Ente, che tanto a lungo ha usurpato il potere in questa nostra patria, è stato rovesciato. Io mi trovo temporaneamente a capo del Comitato di Emergenza; tra breve, appena sarà possibile organizzare elezioni, sarete chiamati a scegliere il vostro governo. — Adam sorrise e fece un gesto come per invocare la collaborazione di tutti. — Nel frattempo, con il vostro aiuto, cercherò di fare del mio meglio. Compagni, se fino a ora non vi siete rivelati come membri del Partito agli amici e ai vicini, ora è giunto il momento di farlo. Cittadini, i compagni potrebbero chiedere il vostro aiuto, e io spero che vorrete darlo con generosità. Affretterete il momento in cui non sarò più necessario e la vita sarà tornata alla normalità… una normalità nuova, libera dall’Ente, dalle forze di polizia, dalle truppe terrestri che ci opprimevano, dai passaporti, dagli arresti arbitrari.

"Ci sarà un periodo di transizione. Tutti voi, ve ne prego, tornate al lavoro, riprendete la vostra normale attività. A coloro che prestavano la loro opera alle dipendenze dell’Ente, rivolgo la stessa preghiera. Tornate al lavoro. I salari aumenteranno, i compiti rimarranno gli stessi fino a quando saremo in grado di decidere di che cosa abbiamo bisogno, di che cosa potremo invece fare a meno, e che cosa si dovrà conservare o modificare. Voi, nuovi cittadini della Luna, deportati che state scontando le sentenze pronunciate contro di voi sulla Terra, siete liberi, le vostre condanne sono cancellate. Ma spero che per ora continuerete a lavorare come prima. Non siete obbligati a farlo, i giorni della coercizione sono finiti, ma vi esortiamo a dare il vostro contributo. Naturalmente siete liberi di lasciare le vostre prigioni, liberi di andare dove volete. Il servizio delle capsule da e per le vecchie installazioni dell’Ente sarà immediatamente ripristinato. Ma prima che usiate la vostra libertà per precipitarvi nelle grotte, permettetemi di ricordarvi il vecchio detto dei Lunari: non si possono avere pranzi gratuiti al ristorante. Per il momento, state bene dove siete. Il vitto non sarà forse variato, ma sarà sempre servito caldo, abbondante e all’ora giusta.

"Ho chiesto al Direttore Generale della Compagnia LuNoHo di assumere temporaneamente quelle funzioni indispensabili svolte fino a ieri dall’Ente. La LuNoHo svolgerà un primo lavoro di supervisione e studierà il sistema per eliminare le attività che il passato Ente esercitava con metodi tirannici, trasferendo quelle utili a imprese private. Perciò vi chiedo di collaborare con la LuNoHo.

"A voi, cittadini della Terra che siete tra noi, scienziati, turisti e tutti gli altri, il nostro benvenuto. Siete testimoni di un raro evento, la nascita è sempre accompagnata da sangue e dolore. È stato così anche in questo caso, ma speriamo che i giorni duri siano passati. Vi sarà evitato ogni disturbo, laddove sarà possibile, e sarà organizzato al più presto il vostro ritorno in patria. D’altra parte, se vorrete fermarvi fra noi, sarete i benvenuti e ancora di più se diventerete cittadini della Luna. Nella situazione attuale, però, vi esorto a tenervi lontani dalle grotte e dai corridoi, per evitare incidenti che potrebbero condurre a inutili spargimenti di sangue e causare altri dolori. Siate pazienti con noi, e i miei compatrioti lo saranno con voi. Scienziati della Terra, all’Osservatorio e in ogni altro luogo, continuate il vostro lavoro e ignorateci. Non vi accorgerete nemmeno che stiamo attraversando il periodo cruciale della formazione di uno Stato indipendente. Un ultimo particolare: mi dispiace dovervi dire che stiamo temporaneamente interferendo con il diritto di comunicare con la Terra. Lo facciamo per necessità, ma la censura sarà tolta appena possibile. La odiamo quanto voi."

Adam aggiunse una raccomandazione per tutti. — Non cercate di vedermi, compagni, e telefonatemi solo se è indispensabile. A tutti i cittadini dico: scrivete, se avete bisogno. Le vostre lettere saranno esaminate con attenzione. Ma io non posso sdoppiarmi, non ho chiuso occhio la notte scorsa, e prevedo di non dormire neppure la prossima. Non posso presenziare a riunioni, stringere mani, ricevere delegazioni. Devo rimanere seduto a questa scrivania e non interrompere mai il lavoro, in modo da potermene liberare e passarlo alla persona che voi stessi avrete scelto. — Accennò un sorriso. — Aspettatevi che io sia altrettanto difficile da vedere quanto Simon Jester!

2

La trasmissione era durata un quarto d’ora, ma il succo era questo: tornate al lavoro, siate pazienti, dateci tempo.

Gli scienziati terrestri, invece, non attesero un istante. Avrei dovuto immaginarlo, perché era cosa di mia competenza.

Tutte le comunicazioni dirette alla Terra venivano incanalate tramite Mike. Ma quegli scaltri ingegni disponevano di apparecchiature elettroniche sufficienti a riempire un magazzino. Una volta decisa l’azione, mettere a punto un impianto capace di farli comunicare con la Terra fu per loro questione di poche ore.

L’unica cosa che ci salvò fu la segnalazione di un turista di buon cuore, fermamente convinto che la Luna doveva avere la sua libertà. Cercò di telefonare ad Adam Selene e finì per parlare con una delle ragazze che avevamo scelto dai livelli C e D per aiutarci nelle pubbliche relazioni (un sistema escogitato per nostra difesa, dato che, nonostante le raccomandazioni di Mike, mezza Luna tentò di telefonare ad Adam Selene dopo la trasmissione del messaggio, chi per fare domande e chiedere informazioni, chi per suggerire ad Adam il sistema migliore per svolgere il suo lavoro).

Dopo aver ricevuto almeno un centinaio di telefonate trasmessemi dal troppo zelo di un compagno del centralino telefonico, decidemmo di costituire questa squadra-cuscinetto. Fortunatamente, la compagna che ricevette la chiamata del turista capì che non era il caso di impiegare il metodo calmalo con buone parole, e mi telefonò.

Pochi minuti dopo, io e Finn Nieseln, con una scorta di alcuni fra i suoi migliori armati, raggiungemmo in capsula la zona dei laboratori. Il nostro informatore non aveva osato darci i nomi, ma mi aveva detto dove si trovava la trasmittente. Li sorprendemmo in piena trasmissione, e solo il rapido intervento di Finn evitò un massacro. Ai suoi ragazzi già prudevano le mani. Ma non volevamo dare un esempio; Finn e io ci eravamo messi d’accordo durante il tragitto. È difficile spaventare uno scienziato, la sua mente non funziona su binari normali, bisogna saperlo aggirare e prenderlo da un altro verso.

Con un calcio feci a pezzi la trasmittente e ordinai al Direttore delle ricerche di riunire tutti i suoi uomini in una stanza (dove c’era un telefono collegato con Mike) e chiesi l’elenco dei nomi. Poi parlai con Mike, mi feci dare l’elenco anche da lui, e mi rivolsi al Direttore.

— Dottore, mi avete detto che siete tutti qui. Mancano il tale, il tal altro… — Sette nomi. — Fateli venire!

I Terrestri assenti erano stati avvertiti, ma si erano rifiutati di interrompere il lavoro. Tipico atteggiamento da scienziato.

Poi cominciai a parlare, i Terrestri allineati da una parte, i Lunari assistenti di laboratorio allineati dall’altra, noi in mezzo. Ai Terrestri dissi: — Abbiamo cercato di trattarvi come ospiti. Ma tre di voi hanno tentato, e forse ci sono riusciti, di inviare messaggi sulla Terra.

Mi rivolsi al Direttore. — Dottore, potrei fare ricerche… grotte, strutture di superficie, laboratori, ogni angolo… e distruggere tutto il materiale che potrebbe essere impiegato per una trasmittente. Nel mio lavoro mi occupo di elettronica, so quale enorme varietà di elementi può essere utilizzata per fabbricare una trasmittente. Supponete che distrugga tutto quello che ritengo utile e, essendo stupido, non voglia correre nessun rìschio e faccia in briciole il materiale che non conosco. Quale sarà il risultato?

Sembrava che avessi minacciato di uccidere suo figlio! Si fece grigio. — Ma questo bloccherebbe le ricerche, distruggerebbe dati di valore inestimabile, significherebbe buttare via, oh, non so quanto! Almeno mezzo miliardo di dollari!

— Lo immaginavo. Potrei confiscare tutto il materiale, se preferite, e lasciarvi continuare come potete.

— Sarebbe lo stesso! Dovete capire, signore, che quando si interrompe un esperimento…

— Lo so. Forse, anziché trasportare il materiale, con il rischio, magari, di perdere qualche cosa, sarebbe meglio portare tutti voi nelle centrali dell’Ente e tenervi sotto chiave. Ci sono i locali che una volta servivano da caserma per gli Arditi. Ma… di dove siete voi, Dottore?

— Princeton, New Jersey.

— Davvero? Siete qui da cinque mesi, e senza dubbio avete continuato a esercitarvi con i pesi. Dottore, potreste non rivedere più Princeton. Se vi portiamo via, vi terremo ben chiuso. Diventerete leggero. Se lo stato di emergenza si prolunga ancora per molto tempo, sarete trasformato in Lunare, che vi piaccia o no. E con voi, tutto il vostro ingegno.

Un galletto impertinente si fece avanti. Era uno di quelli che si erano rifiutati di interrompere il lavoro alla prima chiamata.

— Non potete agire in questo modo. È contro la legge!

— Quale legge, signore? Una legge del vostro Paese natale? — ribattei. — Finn, fagli vedere come funziona la nostra legge.

Finn si avvicinò e appoggiò la canna del fucile all’ombelico dell’uomo. L’indice si appoggiò al grilletto… Non aveva tolto la sicura, l’avevo visto. Dissi: — Non ucciderlo, Finn. — Poi ripresi: — Eliminerò quest’uomo, se sarà necessario per convincervi. Perciò state bene attenti! Un altro atto di insubordinazione e non rivedrete più le vostre case. E anche le ricerche saranno finite. Dottore, a voi consiglio di tenere d’occhio i vostri uomini.

Mi rivolsi poi ai Lunari: — Amici, teneteli buoni. Ciascuno usi il sistema che preferisce, ma non permettete loro che facciano altre sciocchezze. I Terrestri sono in periodo di prova. Se dovete ammazzarne qualcuno, non esitate. — E al Direttore: — Dottore, i Lunari possono andare ovunque vogliono, in qualsiasi momento: anche nella vostra camera da letto. I vostri ex assistenti sono ora i vostri padroni, per motivi di sicurezza. Se un Lunare decide di seguire voi o chiunque altro al gabinetto, non discutete! Potrebbe essere nervoso e perdere la calma. Sicurezza innanzi tutto — conclusi, rivolto ai Lunari. — Ciascuno di voi lavora come assistente di un Terrestre. Sorvegliatelo in ogni momento! Seguitelo tanto da vicino che non possa costruire trappole e tanto meno trasmittenti. E non preoccupatevi per il vostro impiego: le paghe saranno aumentate.

Notai qualche sorriso di soddisfazione. Assistente di laboratorio era il miglior impiego che un Lunare potesse trovare in quei giorni, però bisognava lavorare alle dipendenze di quei bastardi di Terrestri che ti stavano sempre addosso, anche quelli che fingevano di essere, ed erano, oh, tanto gentili.

Chiusi l’argomento. Quando avevo ricevuto la telefonata, ero deciso a eliminare i colpevoli. Ma Prof e Mike mi avevano fatto riflettere: il piano non ammetteva l’uso della violenza nei confronti dei Terrestri, se appena si poteva evitare.

Installammo congegni d’ascolto, con ricevitori a nastro, intorno alla zona dei laboratori, dato che anche le trasmittenti più perfezionate rivelano la loro presenza. Inoltre Mike si teneva in contatto con tutti i telefoni della zona. Dopo di che, non ci restava che aspettare e sperare.

Le notizie che provenivano dalla Terra erano tranquillizzanti: non avevano avuto sentore di quello che era accaduto sulla Luna. Sembrava che i Terrestri avessero accettato senza sospetti le trasmissioni censurate e ritenessero normale il traffico di comunicazioni private e commerciali.

Nel frattempo noi ci davamo da fare cercando di portare a termine, nel giro di giorni, un’attività che avrebbe richiesto mesi.

Ci venne in aiuto, concedendoci qualche giorno di più, una circostanza favorevole: in quel momento non si trovava sulla Luna nessuna astronave passeggeri e non era previsto alcun arrivo dalla Terra fino al 7 luglio.

Forse saremmo riusciti lo stesso a cavarcela convincendo tutti gli ufficiali di una nave terrestre a venire a cena dal Governatore, o qualche trucco del genere, così noi avremmo potuto montare la guardia agli apparati trasmittenti della nave e demolirli se necessario. Non sarebbero stati in grado di ripartire per la Terra senza il nostro aiuto: a quel tempo la Luna forniva l’energia per il decollo. Il traffico delle navi era comunque poca cosa, in confronto alle spedizioni di grano con la catapulta. Una nave al mese rappresentava un traffico imponente allora, mentre i carichi di grano partivano quotidianamente. Insomma, la venuta di una nave non sarebbe stata un guaio insuperabile. Tuttavia la mancanza di traffico fu lo stesso un vantaggio per noi: facevamo già molta fatica a far apparire la situazione normale e dovevamo continuare così fino al giorno in cui fossimo stati in grado di difenderci.

Le spedizioni di grano furono fatte regolarmente. Un carico fu catapultato quasi contemporaneamente all’irruzione di Finn e dei suoi uomini nella residenza del Governatore. Il carico successivo e poi tutti gli altri partirono in perfetto orario.

Non ci furono né errori né inganni in quei primi giorni: Prof sapeva quello che stava facendo. Gli invii di grano erano una grossa operazione per un Paese piccolo come la Luna e non si poteva modificare la situazione in pochi giorni: per troppe persone la vendita del grano ai magazzini della catapulta rappresentava il pane quotidiano. Se il Comitato di Emergenza avesse imposto l’embargo e interrotto gli acquisti di grano, gli agricoltori si sarebbero immediatamente ribellati, sostituendoci poi con un nuovo Comitato, di idee diverse.

Prof riteneva necessario un periodo di rieducazione; nel frattempo i carichi di grano continuavano a viaggiare verso la Terra. La Società LuNoHo teneva i conti ed emetteva le ricevute, servendosi del personale della vecchia amministrazione. Le comunicazioni portavano la firma del Governatore e Mike parlava con la sede centrale dell’Ente, sulla Terra, usando la voce di Mort. Il vicegovernatore si dimostrò ragionevole, appena si accorse che era l’unico modo per sperare di rimanere in vita. Anche l’ingegnere capo conservò il suo posto: McIntyre non era un servo sciocco ma un vero Lunare, una volta che gli si fosse offerta l’occasione. Gli altri capi dipartimento e il personale non costituivano alcun problema. La vita continuò come prima, e noi eravamo troppo occupati per trovare il tempo di smontare il sistema dell’Ente e mettere in vendita i pezzi ancora utilizzabili.

Almeno dodici persone saltarono fuori a dire di essere Simon Jester. Simon smentì con versi violenti pubblicati con la sua fotografia sulla prima pagina del Lunatic, della Pravda e del Gong. Wyoh tornò bionda e andò a trovare Greg alla sede della nuova catapulta, poi fece una visita più lunga a Hong Kong Luna e si fermò per una decina di giorni nella sua vecchia casa, insieme ad Anna che voleva vedere Hong Kong. Wyoh aveva bisogno di una vacanza e Prof aveva insistito che se la prendesse, facendole notare che sarebbe sempre stata in contatto telefonico con noi e che a Hong Kong si sentiva la necessità di più frequenti rapporti con il Partito.

Mi occupai io dei suoi giovani stilyagi e presi Slim e Hazel come miei luogotenenti: ragazzi svegli e brillanti dei quali potevo fidarmi ciecamente. Slim mi trattò con timore reverenziale quando scoperse che ero il compagno Bork e vedevo tutti i giorni Adam Selene. Il suo nome di Partito incominciava con la lettera G. Ma c’era un’altra ragione che rendeva redditizio il lavoro della giovane coppia. Hazel aveva improvvisamente fatto sfoggio di un corpo pieno di curve, la cui responsabilità non risaliva interamente alla magnifica cucina di Mimi. Era venuto il suo momento, ecco. Slim si disse pronto a cambiarle il nome in Stone appena lei avesse accettato di optare. Nell’attesa era entusiasta di svolgere qualsiasi attività del Partito che potesse condividere con la nostra piccola e fiera testa rossa.

Non tutti, però, erano disposti a lavorare. Parecchi compagni si dimostrarono abili solo a chiacchiere. Molti pensavano che, una volta eliminati gli Arditi del Corpo di Pace e catturato il Governatore, la guerra fosse finita. Altri si sentirono offesi quando seppero che erano stati assegnati ai livelli più bassi della struttura del Partito; volevano crearne una nuova, mettendo se stessi alla direzione. Adam ricevette un numero infinito di telefonate su questo tema. Li stava a sentire, dava loro ragione, li assicurava che i loro servigi non sarebbero stati vani in attesa delle elezioni, e li rimandava a Prof e a me. Non riesco nemmeno a ricordare quanti fossero questi individui ambiziosi che si dimostravano incapaci appena messi alla prova.

Era un lavoro interminabile, e nessuno era disposto a farlo. Be’, pochi. I migliori volontari erano quelli che non avevano avuto incarichi specifici nel Partito. Ma, in generale, i Lunari, sia dentro sia fuori del Partito, non dimostravano nessun interesse per il lavoro patriottico, a meno che non fosse ben pagato.

Un pivello che sosteneva di essere membro del Partito (in realtà non lo era) mi bloccò al Raffles, dove avevamo installato il quartier generale, e voleva che sottoscrivessi un contratto per cinquantamila distintivi da assegnare ai Volontari della Rivoluzione, pre colpo di Stato… un piccolo profitto per lui (calcolai un margine netto del 400 per cento), dollari facili per me, un bel ricordo per tutti.

Quando lo feci cacciare fuori, minacciò di denunciarmi ad Adam Selene ("Un mio carissimo amico, vi avverto!") per sabotaggio.

Questo era l’aiuto che riuscivamo a ottenere. Ci serviva ben altro. Avevamo bisogno di acciaio per la catapulta nuova, e molto per giunta. (Prof chiese se fosse davvero necessario incapsulare i missili di roccia nell’acciaio: gli feci notare che un campo di induzione non fa presa sulle sole pietre.) Dovevamo cambiare posizione ai radar balistici di Mike e installarne uno nuovo di tipo doppler: due iniziative indispensabili perché era logico aspettarsi un attacco spaziale contro le vecchie postazioni.

Cercammo volontari e se ne presentarono solo due in grado di svolgere il lavoro. Ci occorrevano parecchie centinaia di meccanici che non si spaventassero davanti a un duro lavoro in superficie, con indosso le tute a pressione; perciò cominciammo ad assumerli, pagando le somme che ci venivano richieste. La LuNoHo chiese un prestito alla Banca di Hong Kong Luna. Non c’era tempo per rubare somme così ingenti col vecchio sistema prerivoluzionario e d’altra parte quasi tutto quello che avevamo era finito sulla Terra per finanziare le attività di Stu. Un onesto compagno, Foo Moses Morris, sottoscrisse una quantità di cambiali per tenerci in vita… e finì per fare bancarotta e ricominciare da zero con un negozietto di confezioni a Kongville. Ma questo avvenne più tardi.

Il valore dei dollari dell’Ente, dopo il colpo di Stato, precipitò da 3 a 1 rispetto ai dollari di Hong Kong e gli impiegati pubblici cominciarono ad agitarsi dato che Mike continuava a pagarli con i soldi dell’Ente. Comunicammo a tutti che potevano restare a quelle condizioni o dare le dimissioni. Pagammo i nuovi assunti in dollari di Hong Kong. Ma da allora si venne a creare un gruppo ostile a noi, che rimpiangeva i bei tempi andati ed era pronto a stabilire un nuovo regime.

Contadini e mercanti di grano protestavano perché i pagamenti alla catapulta venivano eseguiti in valuta dell’Ente, sempre ai vecchi prezzi. Non li accettiamo! gridavano, e i funzionari della LuNoHo si stringevano nelle spalle e spiegavano che non erano obbligati a portare il loro grano. Perciò, o accettavano l’assegno dell’Ente, oppure si ricaricavano il grano sui loro carri e lo portavano fuori dai piedi.

La maggior parte incassava i soldi. Ma tutti brontolavano e alcuni minacciavano di smettere la produzione del grano per dedicarsi alla coltivazione della verdura o di fibre vegetali o di qualsiasi altra cosa pagabile in dollari di Hong Kong… e Prof sorrideva.

Avevamo bisogno di minatori, e soprattutto scavatori di ghiaccio, muniti di pesanti perforatrici a raggi laser. Ne avevamo tanto bisogno che, nonostante il mio braccio artificiale e la ruggine che mi sentivo addosso, pensai seriamente di unirmi a loro, pur rendendomi conto che occorrevano buoni muscoli per maneggiare una perforatrice e un arto fasullo non è un muscolo. Prof mi disse di non fare pazzie.

Il sistema che avevamo in mente non avrebbe funzionato troppo bene nei confronti della Terra. Un raggio laser carico di energia dà il massimo rendimento in condizioni di vuoto assoluto, ma, anche in tal caso, funziona perfettamente solo entro il raggio per cui è stata preordinata la sua collimazione. Queste enormi perforatrici, che servivano per scavare nella roccia alla ricerca di depositi di ghiaccio, vennero ora montate come pezzi d’artiglieria per respingere gli attacchi spaziali. Sia le astronavi sia i missili sono dotati di un sistema di guida elettronico, e per un congegno elettronico non è igienico essere sottoposto a un’esplosione della potenza di parecchi joules compressi in un raggio sottile. Se il bersaglio è pressurizzato (come tutte le navi con equipaggio a bordo nonché la maggior parte dei missili), basta soltanto praticare un foro per depressurizzarlo. In caso contrario, un raggio laser pesante è comunque in grado di distruggerlo bruciando le cellule fotoelettriche, sconquassando il quadro comandi, rovinando tutti i congegni elettronici.

Sembra facile, ma non lo è. Le nostre perforatrici a raggi laser non erano state concepite per colpire bersagli posti a un migliaio di chilometri di distanza, e forse nemmeno a uno, e non c’era tempo per provvedere rapidamente a questo inconveniente. Gli artiglieri dovevano avere il fegato di aspettare a far fuoco proprio fino all’ultimo istante, contro un bersaglio mobile che sarebbe precipitato su di loro alla velocità di un paio di chilometri al secondo.

Ma era quanto di meglio possedevamo e così organizzammo il Primo e il Secondo Corpo Artiglieri volontari per la Difesa di Luna Libera. Due reggimenti, in modo che il primo trattasse dall’alto in basso il secondo e il secondo fosse geloso del primo. Nel Primo Corpo vennero inquadrati gli uomini anziani, nel Secondo i più giovani e bellicosi.

Avendoli chiamati volontari, li pagammo con dollari di Hong Kong… e non fu casuale il fatto che stessimo pagando il ghiaccio sul mercato controllato con la carta straccia dell’Ente.

Oltre a tutto questo, stavamo creando la psicosi della guerra. Adam Selene ne parlava dal video, ricordando che l’Ente avrebbe certamente tentato di riconquistare il potere e noi avevamo solo pochi giorni per prepararci; i giornali si diffondevano in particolari, dando ampio rilievo ai discorsi di Adam e pubblicando lunghi articoli di loro iniziativa (prima del colpo di Stato ci eravamo dati molto da fare per reclutare giornalisti). Di continuo lanciavamo avvertimenti perché tutti tenessero pronte le tute e controllassero i manometri della pressione all’interno delle case. In ogni grotta costituimmo un Corpo di Difesa Civile.

Con tutti i lunimoti che avevamo, ogni cooperativa di pressurizzazione delle grotte aveva sempre a disposizione squadre di piombatoli d’emergenza. Nell’attuale circostanza, reclutammo centinaia di altre squadre straordinarie, per la maggior parte composte da ragazzi, e le addestrammo con esercitazioni di allarme durante le quali i giovani volontari dovevano indossare le tute a pressione e gli elmetti. Svolgevano il lavoro con grande entusiasmo.

I più grossi grattacapi ce li procuravano quelli che si erano autoeletti uomini politici. Per fortuna Prof aveva un posto anche per loro: ciascuno veniva invitato a intervenire a un’Assemblea Costituente di Luna Libera. Le riunioni avvenivano nella Sala dei Congressi di Luna City, l’Assemblea decideva regolarmente di prolungare la sessione finché il lavoro non fosse terminato, una settimana a Luna City, una a Novylen, poi a Hong Kong e così di seguito. Tutte le sedute venivano riprese alla televisione. Prof presiedette la seduta inaugurale e Adam Selene pronunciò per l’occasione un solenne discorso alla TV, incoraggiando i membri dell’Assemblea a svolgere un lavoro proficuo… La Storia vi guarda.

Partecipai anch’io ad alcune riunioni, poi ne parlai con Prof e gli chiesi dove diavolo contava di arrivare. — Pensavo che per ora non volessi nessun governo! Hai sentito che cosa hanno inventato quei pazzi, da quando li hai lasciati soli?

Mi sorrise, mettendo in mostra le fossette. — Che cosa ti tormenta, Manuel?

Molte cose mi tormentavano. Già mi spezzavo le ossa con le pesanti perforatrici, quando altri le avrebbero potute maneggiare come fucili e non lo facevano, e poi c’erano queste teste vuote che sprecavano pomeriggi interi per discutere il problema dell’immigrazione. Alcuni la volevano bloccare completamente, altri volevano renderla selettiva, stabilendo quote etniche, altri ancora chiedevano che fosse limitata alle donne fino a che il rapporto fra i due sessi sulla Luna non avesse raggiunto un buon equilibrio.

Un’altra discussione riguardava la proposta di costituire un comitato che determinasse con esattezza le caratteristiche della lingua lunare e che quindi applicasse una multa contro tutti coloro che avessero parlato l’inglese della Terra o qualsiasi altra lingua. Oh, povera gente!

Sul Lunatic lessi una proposta di tassazione straordinaria: erano previsti quattro tipi di nuove imposte. Una tassa cubica, per penalizzare chi estendeva le gallerie, una tassa pro-capite (ognuno pagava il medesimo ammontare), una tassa sul reddito e una tassa sull’aria, che non erano i contributi che già pagavamo, ma qualche cosa d’altro. Non avevo pensato che la Luna Libera dovesse avere un sistema fiscale così complesso. Non c’era mai stato ed eravamo sopravvissuti.

Un altro giorno un individuo pieno di sé propose che l’alito cattivo e gli odori del corpo fossero considerati offesa punibile con l’eliminazione.

Tra tanti uomini, le poche donne si rifacevano con la stupidità: una di loro presentò una lunga lista di proposte di legge, tutte su questioni private. Abolizione dei matrimoni collettivi. Abolizione del divorzio. Proibita la fornicazione. Niente alcolici, a eccezione della birra al di sotto dei quattro gradi. Una lunga lista di medicinali da proibire e una, più breve, di altri da vendersi solo su prescrizione medica. Voleva perfino far dichiarare illecito il gioco d’azzardo. Se un Lunare non poteva giocare alla roulette, sarebbe andato in capo al mondo pur di giocare almeno una partita ai dadi, anche se avesse saputo che erano truccati.

Mi colpì non tanto l’elenco delle cose che odiava, perché evidentemente quella donna era fuori di senno, ma il fatto che trovasse sempre adesioni alle sue proposte. Dev’essere un desiderio insopprimibile dell’animo umano quello di impedire al prossimo di fare ciò che vuole. Regole, leggi… sempre per gli altri: una prerogativa misteriosa del nostro essere, che dovevamo avere prima di venire giù dagli alberi e che non ci eravamo scrollati di dosso nemmeno quando avevamo cominciato a camminare su due gambe. Nessuno dei presenti si alzò a dire: "Per piacere, approvate questa legge, in modo che io non possa fare più una certa cosa che so che dopo dovrei smettere di fare". No, compagni, si trattava sempre di una cosa che non volevano che facesse il vicino. Naturalmente volevano proibirglielo per il suo bene, non perché il presentatore della proposta sostenesse che la cosa gli dava fastidio.

Ascoltandoli, quasi mi sentii dispiaciuto che avessimo rovesciato Mort il Carceriere. Lui, almeno, se ne stava chiuso in casa con le sue donne e non veniva a darci consigli sulla nostra vita privata.

Prof non ci badava: continuava a sorridere. — Manuel, pensi veramente che quel branco di ritardati mentali possa approvare delle leggi?

— Gliel’hai chiesto tu. Li hai spinti tu a farlo.

— Non temere, figliolo, questa Assemblea Popolare Costituente non concluderà niente, e se approveranno qualche legge, dopo fatiche indescrivibili, saranno talmente piene di contraddizioni che bisognerà rifarle da capo. Ma intanto quella gente se ne sta fuori dai piedi. Inoltre, c’è qualcosa per cui ci saranno utili, più tardi.

— Mi pare che tu abbia detto che non concluderanno niente.

— Non saranno loro a fare la cosa che intendo io. Sarà scritta da un uomo, un uomo morto, e una sera, molto più tardi, quando non ne potranno più dalla stanchezza, la approveranno per acclamazione.

— Chi è questo morto? Non vorrai dire Mike?

— No, no! Mike è molto più vivo di tutte quelle teste di legno. Il morto Thomas Jefferson, il primo degli anarchici razionalisti, uno che quasi riusciva a imporre il suo non-sistema con la più bella retorica che sia mai stata scritta. Ma lo scopersero, cosa che io spero di evitare. Non posso migliorare il suo stile; mi limiterò ad adattarlo alla Luna e al Ventunesimo Secolo.

— L’ho già sentito nominare. Ha forse liberato gli schiavi in America?

— Si potrebbe dire che ha provato ma non c’è riuscito. Non ha importanza, comunque. Procede l’organizzazione della difesa? Non vedo come potremo continuare a ingannare la Terra, dopo l’arrivo della prossima astronave.

— Non saremo pronti per quel giorno. È assolutamente fuori discussione.

— Mike dice che dovremo farcela.

Non fummo pronti per quel giorno, ma l’astronave non arrivò mai. Gli scienziati riuscirono a prendere per il naso me e tutti i Lunari che avevo messo alle loro calcagna. Avevano installato una trasmittente nel punto focale del riflettore e gli assistenti lunari avevano bevuto la storiella che si trattasse di un nuovo apparecchio astronomico, l’ultima scoperta in fatto di radiotelescopi per lo studio dei raggi ultravioletti.

Si trattava di una sorgente di ultramicroonde. Venivano fatte rimbalzare contro il riflettore da un’onda guida e il telescopio rimaneva perfettamente in linea con lo specchio. Molto simile a un radar elementare. Una intelaiatura a traliccio e uno schermo a lamine di metallo eliminavano la dispersione di onde, in modo che i congegni d’ascolto che avevo predisposto non potevano registrare niente.

Trasmisero un lungo messaggio con la loro versione degli avvenimenti. Lo venimmo a sapere quando la direzione dell’Ente sulla Terra chiese al Governatore di smentire questa burla. Scoprimmo il burlone e mettemmo fine al gioco.

Alla direzione dell’Ente rispondemmo con una Dichiarazione di Indipendenza, redatta su uno schema già preparato.

L’Assemblea Popolare Costituente, il giorno quattro del mese di luglio dell’anno duemilasettantasei…

Fu meraviglioso.

3

L’approvazione della Dichiarazione d’Indipendenza avvenne come previsto da Prof. Gettò il documento sul tappeto alla fine di una lunga giornata di discussioni e annunciò una seduta supplementare per la sera, nel corso della quale avrebbe preso la parola Adam Selene.

Adam lesse la Dichiarazione d’Indipendenza alla TV, a voce alta, discutendo paragrafo per paragrafo, poi la rilesse senza interruzioni, facendo risuonare le parole come musica.

La gente piangeva. Tra gli altri, vidi piangere anche Wyoh, seduta accanto a me, e io stesso mi sentivo pungere gli occhi, sebbene l’avessi letta in precedenza.

Poi Adam rivolse lo sguardo all’Assemblea e proclamò: — Il futuro è in attesa. Fate bene attenzione a ciò che state per fare. — Poi cedette la presidenza a Prof, invece che al Presidente di turno.

Erano le ventidue, quando cominciò la discussione.

Ovviamente, erano tutti favorevoli.

L’avrebbero approvata, non c’erano dubbi, ma non esattamente come era scritta. — Onorevole Presidente, nel secondo paragrafo, quella parola inalienabili non credo che esista; proporrei non alienabili… e comunque non sarebbe più dignitoso dire sacri diritti invece che diritti inalienabili? Propongo che se ne discuta.

E così di seguito, paragrafo per paragrafo, parola per parola. Ciascuno aveva il suo bravo emendamento da proporre.

Era passata mezzanotte quando qualcuno volle sapere perché la Dichiarazione portava la data del quattro mentre era solo il due.

Prof rispose gentilmente che ormai era già il tre di luglio, che non riteneva probabile che potesse essere annunciata pubblicamente prima del quattro, e che il quattro (giorno dell’indipendenza americana) racchiudeva un simbolismo storico che poteva rivelarsi utile.

Parecchie persone lasciarono la platea quando sentirono che probabilmente non si sarebbe deciso nulla prima del quattro luglio. Ma notai che, a mano a mano che la gente usciva, altri entravano e la sala rimaneva sempre piena. Scorsi Finn Nielsen prendere posto in una sedia rimasta libera. Comparve anche il compagno Clayton; mi toccò una spalla, sorrise a Wyoh, poi si trovò un posto. Nelle prime file individuai i miei due cari ragazzi, Slim e Hazel… e pensai che avrei dovuto inventare una scusa per Hazel, magari dire a Mum che ero stato io a farle fare tardi, per affari del Partito… ma proprio in quel momento vidi, con stupore, Mum in persona che si sedeva accanto a Hazel. E Sidris, e Greg, che avrebbe dovuto trovarsi alla nuova catapulta.

Mi guardai intorno e vidi un’altra dozzina di facce amiche: il direttore della Lunaya Pravda, il direttore generale della LuNoHo, e altri ancora, tutti i compagni attivi del Partito. Incominciai a capire il gioco di Prof. Questa Assemblea non aveva un numero fisso di membri, e i nostri compagni del Direttivo avevano altrettanto diritto di prendere la parola e votare, quanto chi aveva discusso per un mese intero. Intervennero… e votarono contro gli emendamenti proposti.

Verso le tre del mattino, quando mi stavo chiedendo per quanto tempo avrei potuto ancora resistere, fu portato un biglietto a Prof. Lui lo lesse, batté il martelletto sul tavolo e annunciò: — Adam Selene chiede la parola. Siete tutti d’accordo?

Lo schermo dietro il tavolo della presidenza si illuminò di nuovo e Adam espresse ai congressisti tutta la sua gratitudine per il lavoro svolto e per le critiche profonde e costruttive. Se però poteva dare un suggerimento, perché non ammettere che tutto il documento peccava un poco nello stile? Se tutti erano ormai d’accordo sul significato generale della Dichiarazione, perché non rimandare a un altro giorno la ricerca della perfezione e intanto approvare il documento nella stesura originale? — Onorevole Presidente, propongo che questa mozione sia messa ai voti.

L’approvarono con un grido unanime. Prof chiese: — Voti contrari? — e rimase in attesa con il martelletto a mezz’aria. Un uomo che stava parlando quando Adam aveva preso la parola disse: — Ehm… sono sempre dell’idea che quel participio sia campato in aria, ma, d’accordo, lasciamo perdere.

Prof calò il martelletto sul tavolo. — Mozione approvata!

Poi ci mettemmo in fila e ciascuno dei presenti appose la propria firma su un grande rotolo di pergamena che era stato mandato dall’Ufficio di Adam: in testa a tutte c’era la firma di Adam Selene.

Mentre la fila si muoveva lentamente in avanti e la gente chiacchierava, Prof chiese un attimo di attenzione. — Abbiamo bisogno di volontari per una missione pericolosa. Questa Dichiarazione verrà diffusa per radio, alla TV e con le telescriventi: ma alle Nazioni Federate, sulla Terra, dovrà essere consegnata da uno di noi.

Si fece un improvviso silenzio. Prof stava guardando me. Deglutii, e dissi: — Mi offro come volontario. — Wyoh mi fece eco: — Anch’io! — seguita subito dalla piccola Hazel Meade.

In pochi istanti eravamo una dozzina, da Finn Nielsen al signor Participio-Campato-In-Aria (si rivelò un buon diavolo, a parte certe fissazioni). Prof prese nota dei nomi borbottando qualcosa come ci metteremo in contatto quando avremo a disposizione un mezzo di trasporto.

Presi Prof da parte e gli sussurrai: — Senti, sei così stanco da non ricordartene più? L’astronave del sette luglio è stata annullata e stanno minacciandoci l’embargo. La prossima astronave che verrà dalla Terra sarà una nave da guerra.

— Oh, ma non useremo le loro astronavi.

— E allora? Vuoi costruirne una qui? Hai idea di quanto tempo ci vuole? Sempreché siamo capaci di farlo, cosa di cui dubito.

— Mike dice che è necessario… insomma, ha già organizzato tutto. La fornirà lui, l’astronave. Il progetto è fatto e i lavori sono a buon punto.

— Progetto fatto, lavori a buon punto! Ma da quando Mike è diventato ingegnere?

— Non lo è, forse? — chiese Prof.

Stavo per rispondere, poi tacqui. Mike non ha certo una laurea. Solo che di ingegneria ne sa più lui di tutti gli ingegneri del mondo. O delle commedie di Shakespeare, o degli indovinelli. — Va bene, ora sputa fuori tutto quello che sai.

— Manuel, andremo sulla Terra come un carico di grano.

— Che cosa? E chi siamo noi?

— Tu e io. Gli altri volontari sono puramente decorativi.

— Senti, Prof. Sono stato sempre al gioco. Mi sono dato da fare quando tutta questa storia sembrava pura follia. Ho portato addosso maledetti pesi (ce li ho anche ora) per prepararmi a scendere in quell’orribile posto. Ma i patti erano che andassi con un’astronave, con a bordo almeno un pilota che mi facesse arrivare sano e salvo sulla Terra. Non ho mai accettato di essere spedito come una meteorite.

— Va bene, Manuel. Credo nella libertà individuale, sempre. Ci andrà la tua sostituta.

— La mia… chi?

— La compagna Wyoming. Per quanto ne sappia è l’unica persona che si sia addestrata con i pesi, oltre a te… e ai pochi Terrestri.

Accettai di andare. Ma prima ne parlai con Mike.

Mi rispose con molta pazienza. — Man, mio più vecchio amico, non devi affatto preoccuparti. Sei stato classificato come carico KM centottantasette, serie settantasei, e arriverai a Bombay senza guai. Per essere più sicuro, anzi per rassicurare te, ho scelto quel lancio perché uscirai dall’orbita di parcheggio e atterrerai quando l’India sarà girata verso di me… rimanendo quindi sotto controllo visivo. Fidati di me, Man, ho studiato il piano in ogni particolare.

— Avresti anche potuto avvertirmi prima.

— Non c’era bisogno di darti altre preoccupazioni prima del tempo. Il Professore non poteva non esserne a conoscenza e mi sono tenuto in contatto con lui. È il capo missione. Tu lo accompagni solo per prenderti cura di lui… e per sostituirlo nel caso che muoia. È un’eventualità sulla quale non posso in alcun modo rassicurarti.

Sospirai. — D’accordo, Mike. Ma davvero non penserai di riuscire a fare atterrare dolcemente una chiatta da carico, pilotandola da questa distanza?

— Man, credi che non ne capisca abbastanza di balistica? Ti prego, fidati: ho pensato a tutto.

— Va bene, ti credo. Ancora una cosa, Mike: a che velocità arrivano quelle chiatte sulla Terra? Quante gravità?

— Non tante, Man. Al momento del decollo l’accelerazione è pari a dieci gravità, poi la situazione si stabilizza a un livello, molto confortevole, di quattro gravità… poi ci sarà una scossa un po’ brusca poco prima della caduta, sulle cinque-sei gravità. Di per sé, il tonfo sarà abbastanza dolce, come cadere da una cinquantina di metri, ma cadrete in acqua. La chiatta si inabisserà, poi riemergerà di nuovo, sempre dolcemente, al largo di Bombay. Galleggerete in condizioni normali terrestri, cioè una gravità. Man, l’involucro esterno delle chiatte è costruito quanto più leggero possibile per ragioni di economia. Non possiamo permetterci di sottoporle a sforzi eccessivi, altrimenti le saldature si spezzerebbero.

— Molto gentile da parte tua, pensi sempre a tutto!

Non feci domande e me ne andai a ispezionare la mia bara. Sarebbe stato meglio non farlo.

Avete mai visto una di quelle assurde chiatte? Un semplice cilindro d’acciaio, con retrorazzi frenanti e motori ausiliari per le manovre, e un radar. Assomiglia a un’astronave come un paio di pinze assomigliano al mio braccio numero tre. In quel momento era aperta e stavano allestendo le nostre cabine.

Niente cucina. Niente gabinetto. Niente di niente. Ma perché avremmo dovuto preoccuparci? Dopo tutto, ci dovevamo restare una cinquantina d’ore.

Prof, per lo meno, sarebbe stato narcotizzato per quasi tutto il tempo, ma io dovevo essere sveglio al momento dell’atterraggio per tirarci fuori da quella trappola mortale se qualche cosa non funzionava a dovere e nessuno si trovava da quelle parti con un apriscatole. All’interno del cilindro stavano ricavando due specie di culle sagomate; noi dovevamo entrare in quei buchi, legarci e rimanerci immobili fino alla Terra. Sembravano più preoccupati a fare in modo che il peso totale della massa aggiunta fosse pari al peso del grano tolto e che il centro di gravità non rimanesse spostato, piuttosto che della nostra comodità. Il tecnico che dirigeva i lavori mi disse che nei calcoli avevano tenuto conto anche dell’imbottitura che sarebbe stata aggiunta alle nostre tute a pressione.

Fui felice di sentire che avrebbero imbottito le tute. Quei buchi non avevano certo un aspetto morbido.

Tornai a casa molto impensierito.


Cosa insolita, a pranzo mancava Wyoh. C’era però Greg, cosa ancora più insolita.

Nessuno fece commenti sul fatto che il giorno dopo avrei dovuto fare l’imitazione di una stella cadente, anche se lo sapevano tutti. Non mi resi conto che stava per succedere qualche cosa di importante fino a quando i giovani si alzarono da tavola e si allontanarono senza chiedere il permesso. Allora compresi perché Greg non era tornato al Mare delle Onde dopo l’ultima seduta dell’Assemblea: era stato convocato il Consiglio di Famiglia. Mum si guardò intorno e disse: — Siamo tutti presenti. Ali, chiudi la porta, grazie, caro. Granpà, vuoi cominciare?

Il decano dei mariti smise di ciondolare la testa sulla tazzina di caffè, si raddrizzò sul busto dopo aver dato uno sguardo intorno ed esordì con voce ferma: — Vedo che ci siamo tutti e che i bambini sono già andati a letto. Vedo che non ci sono estranei né ospiti. Dichiaro che siamo riuniti secondo le consuetudini stabilite un tempo da Jack Davis il Nero, nostro capostipite, e Tillie, nostra prima moglie. Se c’è qualche argomento che riguarda la sicurezza e la felicità del nostro matrimonio, sia discusso adesso. Si parli con chiarezza. Queste sono le nostre abitudini.

Granpà si rivolse a Mum e disse a voce bassa: — Ora a te, Mimi — e ricadde nel suo stato di beata apatia. Per un istante era stato l’uomo forte, bello, virile e dinamico dei giorni della mia opzione… Mi vennero le lacrime agli occhi a pensare quanto ero stato fortunato.

Ma in quel momento non sapevo se sentirmi fortunato o no. L’unica ragione che vedevo per un Consiglio di Famiglia era che il giorno dopo sarei stato lanciato sulla Terra come un carico di grano. Mum pensava forse di mettermi contro la famiglia? Nessuno era obbligato a obbedire alle decisioni di un Consiglio, ma in genere lo si faceva. Era proprio qui la forza del nostro matrimonio: quando si prendeva una decisione eravamo tutti uniti.

Mimi disse: — Ci sono argomenti che desiderate discutere? Parlate, cari.

Si fece avanti Greg. — Sì, io.

— Sentiamo.

Greg è un buon oratore. Ma quella sera sembrava tutt’altro che sicuro di sé. — Dunque… ecco… abbiamo sempre cercato di mantenere un certo equilibrio nel nostro matrimonio: coniugi giovani, coniugi anziani, un avvicendamento regolare, a intervalli regolari, come avveniva in passato. Nel corso degli anni, come si può vedere nei libri di famiglia, l’età media dei mariti si è aggirata sui quarant’anni, quella delle mogli sui trentacinque, e così sin dall’inizio, quando Tillie optò Jack il Nero quasi cento anni fa… Attualmente l’età media dei mariti è proprio sui quaranta, mentre quella…

Mum lo interruppe con tono deciso. — Lascia stare l’aritmetica, caro Greg. Veniamo ai fatti.

Stavo cercando di capire dove voleva arrivare Greg. È vero, nell’ultimo anno ero stato per lo più fuori casa, e quando rientravo erano quasi sempre tutti già a letto. Ma era chiaro che stava parlando di matrimonio.

Balbettando, Greg mormorò: — Propongo Wyoming Knott!

Mi avevano preso di sorpresa. Eppure avrei dovuto aspettarmelo.

Mimi chiese: — Greg, hai ragioni per ritenere che Wyoh accetterà di essere optata da noi?

— Sì.

— Molto bene. Conosciamo tutti Wyoming. Sono convinta che ci siamo fatti una chiara opinione su di lei. Non vedo quindi motivo per una discussione… a meno che qualcuno non chieda la parola. Parlate pure.

Ovviamente, la proposta di Greg non era una sorpresa per Mum. E nemmeno per gli altri, dato che Mum non permetteva mai che si tenesse un Consiglio di Famiglia se non era sicura dei risultati sin da prima.

— Benissimo — proseguì Mum. — Facciamo l’appello. Ludmilla?

— Io? Adoro Wyoh, lo sanno tutti. Sì, certamente.

— Lenore, cara?

— Proverò a convincerla a ridiventare bruna, così non ci faremo concorrenza. Ma è il suo unico difetto, quello di essere più bionda di me. Sì.

— Sidris?

— Pollice in alto. Wyoh è già dei nostri.

— Anna?

— Ho qualche cosa da dire, prima di esprimere la mia opinione, Mimi.

— Non credo che sia necessario, cara.

— Lo farò lo stesso, come ha sempre fatto Tillie, secondo le nostre tradizioni. In questo matrimonio, ogni moglie ha portato il suo fardello, dando bambini alla famiglia. Per alcuni di voi, potrebbe essere una sorpresa sapere che Wyo ha già avuto otto figli…

Certamente fu una sorpresa per Ali. Fece un balzo sulla sedia e rimase a bocca spalancata. Abbassai gli occhi sul piatto. Oh, Wyoh, Wyoh! Come avevo potuto permettere che accadesse? Dovevo parlare.

Ma mi resi conto che Anna stava continuando: — …così adesso potrà avere bambini suoi. L’operazione è riuscita bene. Però lei teme di poter avere un altro figlio anormale, per quanto, secondo la clinica di Hong Kong, la cosa sia improbabile. Dovremo amarla tanto da farle dimenticare la sua preoccupazione.

— La ameremo — disse serenamente Mura. — Già la amiamo. Anna, vuoi esprimere ora la tua opinione?

— Non è necessario, non vi pare? Sono andata a Hong Kong con lei, l’ho tenuta per mano durante l’operazione. Opto Wyoh.

— In questa famiglia — continuò Mum — abbiamo sempre pensato che i mariti avessero diritto di voto. Potrà sembrare strano, ma Tillie ha dato il via a questa usanza e ci siamo sempre trovati bene. Allora, Granpà?

— Eh? Che cosa dicevi, cara?

— Stiamo optando Wyoming, caro Granpà. Dai il tuo consenso?

— Come? Naturalmente, naturalmente! Graziosissima ragazza! E che cosa è successo di quella bellissima africana… non ricordo più il nome? Si è arrabbiata con noi?

— Greg?

— L’ho proposta io.

— Manuel? Vuoi mettere per caso il veto?

— Io? Perché? Mi conosci bene, Mum.

— Io sì. A volte mi chiedo se tu conosci te stesso. Hans?

— Che cosa succederebbe se dicessi di no?

— Ti troveresti con qualche dente in meno, ecco tutto — rimbeccò prontamente Lenore. — Hans vota sì.

— Basta, cari — disse Mum con una dolce nota di rimprovero. — Un’opzione è una cosa seria. Hans, rispondi tu.

— Da. Ja. Oui. Yes. Sì. È ora che ci sia finalmente una bella biondina in questa… Ahi!

— Smettila, Lenore. Frank?

— Sì, Mum.

— Ali, caro? Siamo tutti d’accordo?

Il ragazzo si fece rosso fino alle orecchie e non riuscì a parlare per l’emozione. Fece un vigoroso cenno affermativo con la testa.

Invece di nominare un marito e una moglie che andassero in delegazione a prendere Wyoh e le proponessero di optare a sua volta per noi, Mum mandò Ludmilla e Anna. Wyoh non era lontana e venne subito.

Questa non fu l’unica irregolarità. Invece di stabilire la data per il matrimonio e organizzare una festa nuziale, furono chiamati i bambini e dopo venti minuti Greg era già pronto con il libro aperto e tutti pronunciammo il sì definitivo… e finalmente riuscii a far entrare nella mia testa confusa che la cerimonia era stata organizzata a rompicollo perché l’indomani sarebbe stato il mio turno di rischiare l’osso del collo.

Non che fosse importante, se non come simbolo dell’amore della mia famiglia verso di me, dato che la nuova sposa doveva trascorrere la prima notte con il decano dei mariti e io sarei stato nello spazio la seconda e terza notte. Però era ugualmente importante, e quando le donne cominciarono a piangere di commozione durante la cerimonia, anch’io sentii venirmi le lacrime agli occhi, proprio come loro.

Poi me ne andai a letto, solo nella mia officina, dopo che Wyoh ci ebbe baciati tutti e se ne fu andata con Granpà.

Ero maledettamente stanco: gli ultimi due giorni erano stati terribili. Pensai che avrei dovuto esercitarmi con i pesi, ma decisi che era troppo tardi per preoccuparmene. Avrei forse dovuto chiamare Mike per avere le ultime notizie della Terra. Invece me ne andai a dormire.

Non so da quanto tempo stavo dormendo, quando mi resi conto che ero sveglio e che c’era qualcuno nella mia stanza.

— Manuel? — sussurrò nell’oscurità una voce.

— Eh? Wyoh, non dovresti essere qui, cara.

— E invece sì, marito mio. Mum sa che sono qui e lo sa anche Greg. Granpà si è addormentato subito.

— Ah! Che ore sono?

— Le quattro circa. Ti prego, caro, posso venire a letto?

— Come? Oh, certamente. — C’era una cosa che dovevo fare… Ah, ecco. — Mike!

— Sì, Man? — mi rispose immediatamente.

— Stacca il telefono diretto. Non ascoltare. Se hai bisogno di me, chiamami al numero di casa.

— Lo so, me l’aveva già detto Wyoh. Congratulazioni, Man!

Poi una testa bionda si appoggiò alla mia spalla e io la cinsi con il braccio destro. — Perché piangi, Wyoh?

— Non piango! Sono terrorizzata all’idea che tu possa non tornare più!

4

Mi svegliai atterrito nell’oscurità più totale. — Manuel! — Non riuscivo a capire dove mi trovavo. — Manuel! — chiamò di nuovo la voce. — Svegliati!

Incominciai a raccapezzarmi: era il segnale stabilito per farmi tornare alla coscienza. Ricordavo che mi avevano fatto sdraiare su un lettino dell’infermeria, con una luce che mi abbagliava e una voce che parlava lenta e monotona; mi avevano iniettato un liquido nelle vene. Ma era accaduto centinaia di anni fa e da allora la mia vita era stata un infinito succedersi di incubi, di pressioni insopportabili, di dolore.

Mi rendevo conto di che cosa fosse questa sensazione di eternità: caduta libera. Navigavo nello spazio.

Che cosa si era guastato? Forse Mike si era dimenticato di tenere conto di un decimale? O si era lasciato vincere dalla sua natura infantile per giocarmi uno dei suoi tiri, senza rendersi conto che avrebbe potuto uccidermi? Ma allora perché, dopo tanti anni di dolore, ero ancora vivo? O questa era la sensazione che normalmente prova uno spirito nel trovarsi solo, sperduto nel nulla?

— Svegliati, Manuel! Svegliati!

— Oh, smettila! — ringhiai. Ogni parola era registrata, ma non me importava niente. Dov’era quel maledetto interruttore? No, ovviamente non ci voleva un secolo di sofferenze per superare la velocità di fuga della Luna con un’accelerazione di solo tre gravità. Era una semplice sensazione psicologica. Ottantadue secondi, in realtà… ma il sistema nervoso di un uomo, in quelle circostanze, sente il passare dei microsecondi. A tre gravità, il peso di un Lunare aumenta almeno di diciotto volte.

Impiegai i successivi dieci anni a liberarmi delle cinghie, poi fui condannato a fluttuare per vent’anni nel buio prima di ritrovare le pareti della mia culla, scoprire da che parte era la testa e individuare l’interruttore.

Una volta accesa la luce, lo spazio si ridusse a dimensioni da claustrofobia. Diedi uno sguardo a Prof. Sembrava morto. Aveva la bocca semiaperta e gli occhi fissi nel vuoto.

Trovai il tempo di riflettere e anche di sentire lo stimolo della sete. Bevvi una mezza sorsata, non di più, perché non volevo trovarmi a sei gravità con lo stomaco pieno d’acqua.

Quando il viaggio stava per finire, decisi che un’altra dose di droga avrebbe fatto bene a Prof prima dell’accelerazione finale, poi, entrati nell’orbita di parcheggio, gli somministrai uno stimolante cardiaco che certamente non gli avrebbe potuto far male.

Impiegai tre ore per decidermi se prendere anch’io una droga per l’atterraggio. Decisi di no. La droga che mi avevano iniettato alla partenza, al momento di essere scagliato nello spazio dalla catapulta, aveva avuto il solo effetto di farmi vivere un secolo di incubi invece che un minuto e mezzo di dolore e due giorni di noia… E inoltre, se i pochi minuti in cui avvenivano le manovre di atterraggio dovevano essere gli ultimi della mia vita, preferivo rimanere cosciente. Per quanto dolorosi, erano pur sempre una parte della mia vita e non volevo rinunciarvi.

Furono orribili. Sei gravità non furono meglio delle dieci iniziali: mi parvero anzi più insopportabili. La situazione non migliorò quando passammo a quattro gravità. Sentii una scossa violenta, poi, all’improvviso, riprendemmo per pochi secondi la caduta libera. Infine venne l’urto, che non fu affatto dolce e che prendemmo dalla parte delle cinghie invece che contro l’imbottitura, dato che precipitammo a testa in giù. Per di più, e non credo che Mike se ne sia reso conto, dopo la prima caduta e relativo urto, rimbalzammo di nuovo in alto e ricademmo con un altro duro tonfo. Poi la chiatta galleggiò immobile nell’acqua.

Il mio stomaco avrebbe dovuto essere vuoto. Ma riempii ugualmente il casco col più amaro e disgustoso liquido che si possa immaginare. Poi la chiatta si girò mandandomi a gambe all’aria e mi ritrovai quel liquido sui capelli, negli occhi, perfino nel naso. È quello che i Terrestri chiamano mal di mare, ed è uno dei tanti orrori che loro danno per scontato.


Non sto a raccontare del lungo periodo necessario per rimorchiarci in porto. Dirò soltanto che, oltre al mal di mare, le bombole di ossigeno si stavano esaurendo: ognuna conteneva la riserva necessaria per dodici ore e fra tutte erano più che sufficienti per un viaggio di cinquanta ore, soprattutto calcolando che ero rimasto per molto tempo in stato di incoscienza e che non avevo fatto nessuno sforzo fisico; ma non furono sufficienti a far fronte alle lunghe ore che perdemmo nelle operazioni di rimorchio. Quando finalmente la chiatta giunse a destinazione, ero troppo debole per preoccuparmi di saltare fuori.

Per fortuna, Stu LaJoie era stato informato del nostro arrivo. Mi svegliai in mezzo a decine di persone, poi persi di nuovo conoscenza e rinvenni in un letto d’ospedale, adagiato sulla schiena e con un senso di oppressione sul petto; tutti i muscoli mi sembravano pesanti e inerti, ma non stavo male, ero solo stanco, ammaccato, svuotato di ogni volontà e avevo fame e sete. Una tenda di plastica trasparente sopra il letto spiegava il fatto che riuscivo a respirare senza alcuna fatica.

All’improvviso, alcune figure mi apparvero intorno: una piccola infermiera indiana da una parte, Stuart LaJoie dall’altra. Stu mi sorrise: — Salve, vecchio mio! Come ti senti?

— Uhm… sto bene. Ma accidenti! Che maniera di viaggiare!

— Prof dice che è il modo migliore. È un tipo in gamba, lui!

— Un momento! Prof dice? Ma se è morto!

— Neanche per sogno. Non è in perfette condizioni… lo abbiamo messo in un letto pneumatico, sorvegliato giorno e notte, e gli abbiamo applicato tanti di quegli strumenti che non riusciresti nemmeno a vederlo. Ma è vivo e potrà svolgere la sua missione. Si è addormentato in un ospedale e si è svegliato in un altro. Pensavo che avesse avuto torto a rifiutare l’astronave che volevo mandarvi sulla Luna, ma ha avuto ragione lui: la pubblicità è stata immensa!

Chiesi lentamente: — Prof ha rifiutato un’astronave?

— Sarebbe meglio dire che la rifiutò il Presidente Selene. Non hai visto lo scambio di messaggi, Mannie?

— No. — Ormai era troppo tardi per scatenare una battaglia su quell’argomento. — Negli ultimi giorni sono stato molto occupato.

— Non stento a crederlo. Anche qui. Non mi ricordo nemmeno da quanto tempo non mi faccio una bella notte di sonno.

— Mi sembri un Lunare.

— Sono un Lunare, Mannie, non dubitarne mai. Ma l’infermiera mi sta guardando come se volesse fulminarmi. — Stu sollevò la ragazza fra le braccia e la fece piroettare. Pensai che non fosse ancora diventato un vero Lunare. Ma l’infermiera non se la prese. — Vai a giocare da qualche altra parte, tesoro, tra pochi minuti ti restituirò il tuo paziente… ancora caldo. — Chiuse la porta alle spalle dell’infermiera e tornò accanto al letto.

— In realtà, Adam aveva ragione. Non solo per la splendida pubblicità che vi siete fatti, ma era anche il sistema più sicuro.

— Pubblicità, forse, lo ammetto. Ma la sicurezza? Lasciamo perdere!

— Sicurezza, certo, vecchio mio. Non vi hanno sparato addosso. Eppure hanno avuto due ore a disposizione, durante le quali sapevano in ogni istante dove si trovava la vostra chiatta. Non sapevano decidersi. Non hanno ancora stabilito una linea di condotta. Eravate un magnifico bersaglio ma non hanno avuto il coraggio di sparare. Non hanno nemmeno osato ritardare l’atterraggio, agenzie di stampa e giornali non parlavano che di voi e io mi ero dato molto da fare per soffiare sul fuoco. Adesso non possono più torcervi un capello, siete eroi popolari. Se invece avessi noleggiato un’astronave per venirvi a prendere… ecco, non so come sarebbe andata a finire. Probabilmente ci avrebbero ordinato di rimanere in orbita di parcheggio e sarebbero poi venuti ad arrestarci, voi due certamente e forse anche me. Nessun Comandante di astronave ha voglia di assaggiare un missile, quale che sia la somma che gli offri.

"Ed eccoti ora la vostra situazione: siete entrambi cittadini della Repubblica Popolare del Ciad, è quanto di meglio sono riuscito a organizzare in così poco tempo. Il Ciad ha riconosciuto il nuovo governo della Luna. Ho dovuto comprare un Primo Ministro, due generali, alcuni capi tribù e un ministro delle Finanze… Un affare abbastanza a buon mercato per essere stato fatto all’ultimo istante. Non sono riuscito a farvi ottenere l’immunità diplomatica, ma spero di farcela prima che lasciate l’ospedale. Per il momento non hanno osato dichiararvi in arresto: non riescono a immaginare quale colpa attribuirvi. Ci sono guardie all’ingresso dell’ospedale, ma solo per proteggervi. Ed è stata una buona idea altrimenti sareste circondati da uno sciame di giornalisti, che vi metterebbero decine di microfoni sotto il naso."

— Ma che colpa potremmo aver commesso? Voglio dire, che cosa pensano di escogitare? Immigrazione illegale?

— Nemmeno questo, Mannie. Tu sei stato deportato e hai conservato la cittadinanza Pan-Africana grazie a uno dei tuoi nonni. Per il Professor de la Paz abbiamo scoperto un documento che dimostra come sia cittadino del Ciad da quarant’anni: abbiamo lasciato asciugare l’inchiostro e abbiamo fatto sventolare il documento sotto il naso delle autorità. Non siete nemmeno entrati illegalmente qui in India: non solo sono state le autorità indiane a farvi atterrare, sapendo che vi trovavate sulla chiatta, ma un funzionario del controllo astronautico, molto cortesemente e abbastanza a buon mercato, ha apposto un timbro sui vostri passaporti nuovi di zecca: Inoltre, la sentenza che ha esiliato il Professore non ha più valore legale, in quanto il governo che lo ha cacciato non esiste più. Ne ha preso atto una Corte internazionale competente… Questo ci è venuto a costare molto di più.

L’infermiera rientrò, indignata come una gatta che difende i suoi piccoli. — Lord Stuart… dovete lasciar riposare il mio paziente!

— Immediatamente, mia cara.

— Da quanto sei Lord Stuart?

— Dovrei essere conte. Un po’ di sangue blu aiuta sempre. Da quando sono scomparse le loro altezze reali questa gente non è più felice.

Uscendo accarezzò le curve posteriori dell’infermiera. Invece di strillare, la ragazza scodinzolò leggermente. Quando si avvicinò al mio letto, sorrideva ancora. Stu doveva stare bene attento a quel genere di cose, quando fosse venuto sulla Luna. Se mai ci fosse tornato.

5

Due giorni dopo partimmo per Agra per presentare le credenziali alle Nazioni Federate.

Mi sentivo ancora giù di giri. Me la cavavo bene su una sedia a rotelle e potevo fare anche qualche passo, ma non in pubblico. Avevo un mal di gola che non diventò polmonite solo grazie a continue iniezioni, le vertigini del viaggiatore e una malattia della pelle che mi aveva coperto le mani e si stava ora estendendo ai piedi… proprio come in tutti gli altri viaggi che avevo fatto in quel buco appestato che è la Terra. Noi Lunari non sappiamo come siamo fortunati a vivere in un luogo che ha severissime quarantene, dove i germi sono quasi sconosciuti e comunque eliminabili provocando temporaneamente il vuoto, quando è necessario. Oppure sfortunati, dato che non siamo immunizzati contro nessuna malattia. Comunque non cambierei la nostra situazione per nessuna cosa al mondo. Non avevo mai sentito il termine venereo fino a quando non ero venuto sulla Terra ed ero convinto che le malattie da raffreddamento fossero i geloni che vengono ai piedi dei minatori di ghiaccio quando rimangono troppo a lungo nei giacimenti.

La nostra situazione non era allegra anche per un altro motivo. Stu ci aveva portato un messaggio di Adam Selene che celava fra le righe la notizia che le nostre probabilità di successo erano al di sotto dell’uno per cento. Che ragione c’era di affrontare un viaggio così pazzesco, se serviva solo a peggiorare le cose? Mike sapeva davvero che cosa volesse dire la parola probabilità? Non riuscivo proprio a capire come facesse a calcolare percentuali in un campo tanto aleatorio, per quanto fosse al corrente di un numero infinito di dati.

Ma Prof non sembrava turbato. Parlava con plotoni di giornalisti, posava sorridendo per infinite fotografie, rilasciava dichiarazioni facendo sapere al mondo che riponeva grande fiducia nelle Nazioni Federate ed era certo che le nostre giuste rivendicazioni sarebbero state riconosciute; desiderava infine ringraziare gli Amici di Luna Libera per il loro magnifico contributo nel diffondere fra la buona gente della Terra la vera storia della nostra piccola e risoluta Nazione (e con Amici di Luna Libera intendeva riferirsi a Stu, a un’impresa professionale di sondaggio della pubblica opinione, ad alcune migliaia di sottoscrittori cronici di petizioni e a una scorta ingente di dollari di Hong Kong).

Anch’io ebbi la mia parte di fotografie e cercai di sorridere, ma evitai di rispondere alle domande, indicando la gola ed emettendo suoni rauchi.

Ad Agra alloggiammo in un lussuoso appartamento di un albergo che era stato un tempo il palazzo di un maragià (e ancora gli apparteneva, anche se l’India era in teoria socialista), e anche là continuò l’invasione di giornalisti e fotografi. Non osavo quasi alzarmi dalla sedia a rotelle, nemmeno per andare al gabinetto, dato che Prof mi aveva ordinato di non lasciarmi mai fotografare in posizione verticale. Lui si faceva trovare o a letto o in barella, non solo perché era consigliabile per la sua età e comodo per un Lunare sulla Terra, ma proprio per le fotografie. Le sue fossette e la sua personalità meravigliosa, cortese e suadente, comparvero su centinaia di milioni di schermi televisivi e su migliaia di giornali.

Ma ad Agra, la sua personalità non ci fu di nessun aiuto.

Prof fu trasportato in barella nell’ufficio del Presidente della Grande Assemblea, seguito da me sulla sedia a rotelle, e là tentò di presentare le sue credenziali di Ambasciatore della Luna presso le Nazioni Federate. Fu rimandato al Segretario Generale, nei cui uffici ci furono concessi dieci minuti di colloquio con un vicesegretario il quale, rosicchiandosi le unghie, ci comunicò che avrebbe accettato le nostre credenziali senza pregiudizi ma senza impegno da parte delle Nazioni Federate. I documenti furono inviati alla Commissione Credenziali… che si riunì per discuterli. Diventai nervoso. Prof leggeva Keats. A Bombay continuavano ad arrivare i carichi di grano.


In fondo, quest’ultimo fatto non mi dispiaceva. Quando ci trasferimmo, in aereo, da Bombay ad Agra, ci alzammo prima dell’alba e fummo condotti all’aeroporto proprio nell’ora in cui la città si stava svegliando.

Ogni Lunare ha il suo buco, sia esso la casa lussuosa di antica costruzione, come le Gallerie Davis, sia lo scavo recente ancora fresco di perforatrice. Sulla Luna non esistono problemi di spazio e non ne esisteranno per secoli.

Ma a Bombay la gente vive in un alveare. Più di un milione di abitanti (a quanto mi hanno detto) non hanno una casa, ma solo un pezzo di marciapiede. Una famiglia può avere diritto (e trasmetterlo per testamento, di generazione in generazione) a dormire su un tratto di strada di due metri per due, situato in un punto determinato di fronte a un negozio. In questo spazio dorme un’intera famiglia, padre, madre, figli, magari anche una nonna. Non ci avrei creduto se non lo avessi visto con i miei occhi. All’alba, le strade, i marciapiedi, perfino i ponti di Bombay sono ricoperti di un fitto tappeto di corpi umani. Che cosa fanno? Dove lavorano? Come mangiano? (Non avevano l’aspetto di chi è abituato a mangiare: gli si potevano contare tutte le costole.)

Se non avessi creduto al principio elementare che non si può continuare all’infinito a mandare roba dall’alto in basso se non la si contraccambia con un invio dal basso in alto, mi sarei lasciato vincere dal sentimentalismo. Ma… Transtaafl: non si può avere niente per niente, tanto a Bombay quanto sulla Luna.

Infine ottenemmo udienza davanti a una Commissione d’Inchiesta. Non era proprio quello che aveva chiesto Prof. Lui aveva cercato di organizzare una pubblica seduta alla Grande Assemblea, che potesse essere ripresa alla televisione. Invece porte chiuse, o non proprio chiuse, dato che avevo con me il microregistratore. Ma niente televisione: evidentemente ci volevano tenere più nascosti possibile.

Era comunque una buona occasione per far sentire il nostro punto di vista, e Prof si rivolse ai membri della Commissione come se avessero avuto il potere di riconoscere l’indipendenza della Luna e fossero stati ben disposti a farlo. Essi invece ci trattarono come un misto di monelli di strada e criminali da condannare.

A Prof fu permesso di prendere la parola per primo. Senza troppi preamboli e ricami dichiarò che la Luna era uno Stato sovrano de facto, guidato da un governo che non incontrava opposizione, capace di mantenere la pace, l’ordine e assicurare condizioni di sviluppo civile. Le funzioni pubbliche indispensabili erano attualmente svolte da un Presidente e da un Comitato provvisori, tutte persone desiderose di tornare alla vita privata appena l’Assemblea Costituente avesse concluso la stesura di una Carta costituzionale. Noi eravamo venuti sulla Terra per chiedere che questa situazione di fatto venisse riconosciuta de jure e che fosse concesso alla Luna di prendere il posto che le spettava nei consessi umani come legittimo membro delle Nazioni Federate.

Il resoconto di Prof aveva una certa attinenza con la realtà, almeno a parole, ma loro non erano certo in grado di controllare le differenze. Il nostro Presidente provvisorio era un calcolatore elettronico e il Comitato era formato da Wyoh, Finn, il compagno Clayton, Terence Sheehan, direttore della Pravda, Wolfgang Korsakov, presidente del consiglio di amministrazione della LuNoHo, e da un direttore della Banca di Hong Kong Luna. Wyoh era la sola persona attualmente sulla Luna a sapere che Adam Selene era lo pseudonimo di un cervello elettronico. Era terribilmente nervosa quando l’avevamo lasciata sola a difendere il campo.

Effettivamente, la stranezza di Adam di non volersi mai mostrare in pubblico se non dal video era alquanto imbarazzante. Noi avevamo cercato di fare del nostro meglio, facendola passare per misura di sicurezza. Per rendere il provvedimento più convincente, avevamo aperto l’ufficio di Adam nella sede del vecchio Ente a Luna City e vi avevamo fatto esplodere una piccola bomba. Dopo questo attentato, i compagni che più avevano insistito per voler vedere Adam erano diventati i più convinti sostenitori della necessità che Adam non corresse alcun rischio… Il tutto, naturalmente, aiutato dagli articoli dei giornali.

Ma mentre Prof parlava, continuavo a chiedermi che cosa avrebbero pensato questi individui pieni di sé se avessero saputo che il nostro Presidente era un ammasso di metallo di proprietà dell’Ente.


Si limitarono a stare seduti e a fissarci con fredda disapprovazione, per niente commossi dall’oratoria di Prof. Probabilmente fu il miglior discorso di tutta la sua vita, tenendo conto che era sdraiato su una barella, parlava al microfono senza avere appunti e non riusciva a vedere i suoi ascoltatori.

Quando Prof ebbe finito, cominciò il fuoco di fila. Il rappresentante dell’Argentina (non ci dissero mai i loro nomi: non eravamo socialmente accettabili), insomma, questo argentino sollevò un’obiezione contro le espressioni ex carceriere ed ex governatore usate da Prof. La prima era un insulto, la seconda era stata sostituita da mezzo secolo con la nuova denominazione Protettore delle Colonie Lunari nominato dall’Ente Lunare. Ogni altra espressione offendeva la dignità dell’Ente.

Prof chiese di rispondere: l’Onorevole Presidente glielo permise. Con voce mite, Prof disse che accettava l’osservazione, dato che l’Ente era libero di chiamare i suoi dipendenti come meglio riteneva e che lui non aveva avuto nessuna intenzione di offendere la dignità di qualsiasi istituzione delle Nazioni Federate… Ma, date le funzioni di quell’ufficio (ex funzioni di quell’ex ufficio), i cittadini dello Stato di Luna Libera avrebbero probabilmente continuato a chiamarlo con il nome usuale.

La risposta scatenò la reazione di cinque o sei persone che cercarono di parlare contemporaneamente. Uno obiettò che non si poteva usare l’espressione Stato di Luna Libera: era la Luna, e basta, satellite della Terra e proprietà delle Nazioni Federate, come l’Antartide, e tutte queste procedure erano una farsa.

Ero disposto a dare la mia approvazione all’ultimo rilievo. Il Presidente chiese al signor delegato del Nord America di rimanere al suo posto e di indirizzare le sue osservazioni tramite la presidenza. Aveva compreso la presidenza, dalle ultime parole del teste, che questo regime di facto intendeva interferire col sistema di deportazioni?

Prof raccolse la palla al balzo e la rilanciò. — Onorevole Presidente, io stesso ero un deportato e ora la Luna è la mia amata patria. Il mio collega, l’Onorevole Sottosegretario per gli Affari Esteri, Colonnello O’Kelly Davis (che ero poi io!), è nativo della Luna ed è orgoglioso di essere nipote di quattro deportati. Luna è diventata forte grazie alle vostre condanne all’esilio. Mandateci i vostri poveri, i vostri miserabili: saranno i benvenuti fra noi. La Luna ha spazio per loro, quasi quaranta milioni di chilometri quadrati, un’area più vasta dell’Africa, e quasi completamente vuota. Inoltre, siccome con il nostro sistema di vita noi non occupiamo aree ma spazi, non è pensabile che venga il giorno in cui la Luna si rifiuterà di ricevere un altro carico di diseredati senza tetto.

Il Presidente lo interruppe. — Il testimone è ammonito di evitare discorsi. La presidenza ritiene che la vostra oratoria significhi che il gruppo che rappresentate sia disposto ad accettare i prigionieri come per il passato.

— No, signore.

— Come no? Spiegatevi.

— Da oggi, appena un immigrato metterà piede sulla Luna sarà un uomo libero, qualunque fosse la sua precedente condizione, libero di andare dove vuole.

— E allora? Che cosa impedirebbe al deportato di salire a bordo di un’altra astronave e tornare sulla Terra? Ammetto che mi sconcerta la vostra apparente propensione ad accettare dei delinquenti… ma noi non li vogliamo indietro. È il nostro sistema, comprensivo e umano, di disfarci degli individui incorreggibili, che altrimenti dovrebbero essere condannati a morte.

(Avrei potuto raccontargli parecchi fatterelli che gli avrebbero immediatamente fatto cambiare idea: evidentemente non era mai stato sulla Luna. Quanto agli incorreggibili, se lo sono veramente, la Luna li elimina molto più rapidamente della Terra. Quando ero ragazzo, ci avevano mandato un gangster, da Los Angeles, credo. Arrivò con una squadra di duri, le sue guardie del corpo, e sembrava sfrontatamente pronto a impossessarsi della Luna, come diceva di aver fatto con una prigione della Terra. Nessuno di loro scampò per più di un paio di settimane. Il gangster non riuscì a raggiungere la caserma dove alloggiava: non aveva voluto ascoltare, quando gli avevano spiegato il modo di indossare una tuta a pressione.)

— Per quanto ci riguarda, non c’è niente che lo trattenga dal tornare a casa, signore — rispose Prof — per quanto ci sia sempre la polizia, qui sulla Terra, a farlo riflettere. Ma non ho mai sentito di un esiliato che arrivi sulla Luna con il denaro sufficiente per comprarsi il biglietto di ritorno. È davvero un problema? Le navi sono vostre dato che la Luna non ne possiede… A proposito, permettetemi di esprimere il mio rammarico per l’annullamento del viaggio di questo mese. Non per il fatto che io e il mio collega siamo stati costretti — e qui si mise a sorridere — a compiere un viaggio infernale. Solo mi auguro che questo non rappresenti il primo passo di una nuova linea di condotta. La Luna non ha motivi di litigare con voi. Le vostre navi e il vostro commercio saranno benvenuti, noi siamo in pace e vogliamo mantenere la pace. Vi prego di prendere atto che tutti i carichi di grano previsti sono stati inviati regolarmente. — Prof era un vero genio per cambiare argomento.

Poi si trastullarono con argomenti di minor rilievo. Il solito ficcanaso del Nord America voleva sapere che cosa era successo al Gover… Si fermò in tempo. Al Protettore, Senatore Hobart. Prof rispose che aveva avuto un infarto e non era più in grado di svolgere i suoi compiti, ma che, per il resto, era in buona salute e sotto costante controllo.

La versione non era del resto tanto difficile da bere. Quando gli scienziati erano riusciti a mandare sulla Terra la notizia del colpo di Stato, avevano riferito che il Governatore era morto… mentre Mike l’aveva fatto credere vivo imitandone la voce. Quando la Direzione Terrestre dell’Ente aveva chiesto al Governatore di smentire la voce, Mike si era consultato con Prof, poi aveva accettato la chiamata e, con convincente imitazione di un uomo ottuso dalla senilità, aveva negato, confermato e confuso tutti i particolari. Poi avevamo fatto l’annuncio alla Terra e il Governatore non era più stato disponibile, nemmeno nell’imitazione di Mike. Tre giorni dopo, avevamo dichiarato l’Indipendenza.

Il nord americano voleva sapere in base a quali motivi avrebbe dovuto credere alle nostre parole. Prof sfoggiò il sorriso più ingenuo che gli riuscì di trovare e allargò con fatica le braccia esili che gli ricaddero subito sulla barella. — Il signor rappresentante del Nord America è invitato ad andare sulla Luna per accertarsi personalmente al capezzale del Senatore Hobart. L’invito vale per tutti i cittadini della Terra: vadano sulla Luna quando lo desiderano e vedano tutto ciò che vogliono. Desideriamo esservi amici, siamo in pace, non abbiamo niente da nascondere. Mi dispiace solo che la mia Nazione non sia in grado di fornirvi i mezzi di trasporto. Per questi, dobbiamo rivolgerci a voi.

Il delegato cinese guardava Prof con espressione meditabonda. Non aveva detto niente, ma non aveva perso una sola parola.

Il Presidente aggiornò la seduta alle tre del pomeriggio. Ci fece ritirare in una stanza dove ci servirono la colazione. Avrei voluto parlare ma Prof scosse la testa e si guardò intorno portandosi le mani alle orecchie. Rimasi zitto. Poi Prof si mise a sonnecchiare e anch’io abbassai lo schienale della sedia a rotelle e lo imitai. Per tutto il tempo che rimanemmo sulla Terra dormimmo moltissimo. Fu di grande aiuto, ma non sufficiente.


Ci richiamarono soltanto alle quattro: la Commissione era già giunta. Il Presidente infranse la regola da lui stesso imposta contro i discorsi e ne fece uno lunghissimo, più addolorato che arrabbiato.

Incominciò col ricordarci che l’Ente Lunare era un’organizzazione fiduciaria delle Nazioni Federafe, apolitica, incaricata del sacro dovere di sorvegliare che il satellite della Terra, la Luna, non venisse mai utilizzato per scopi militari. Ci disse che l’Ente aveva fatto osservare per più di un secolo questo sacro impegno, mentre governi cadevano e ne sorgevano nuovi, alleanze si scioglievano e tornavano ad annodarsi. L’Ente, in realtà, era sorto prima delle Nazioni Federate e derivava il suo atto di costituzione dall’organizzazione internazionale preesistente, e aveva eseguito tanto bene il compito per il quale era stato creato da sopravvivere a guerre, tumulti e trasformazioni.

— L’Ente Lunare non può venire meno al proprio dovere — proclamò solennemente. — Gli abitanti della Colonia Lunare non troveranno ostacoli insuperabili sulla strada di una relativa autonomia, se saranno capaci di dimostrare di possedere maturità politica. E uno sviluppo può essere preso in considerazione. Tutto dipende dal vostro comportamento. Ci sono state sommosse e distruzioni di beni: questo non deve accadere.

Mi aspettavo che nominasse i novanta Arditi uccisi. Non lo fece. Non sarò mai un abile uomo di Stato: mi manca l’arte della diplomazia ad alto livello.

— I beni distrutti dovranno essere pagati — proseguì il Presidente. — Gli impegni assunti dovranno essere mantenuti. Se questo organo che chiamate Assemblea Costituente può garantire queste richieste, la nostra Commissione ritiene che la cosiddetta Assemblea potrà, a suo tempo, essere considerata un’agenzia dell’Ente per molte questioni interne. È perfino concepibile che un governo locale stabile possa, a suo tempo, assumere molti compiti che appartengono ora al Protettore e avere un delegato, senza diritto di voto, alla Grande Assemblea.

"Ma una cosa deve essere ben chiara. Il satellite naturale della Terra, la Luna, è per legge proprietà congiunta di tutti i popoli della Terra. Non appartiene a quei pochi individui che, per un caso della storia, ci si trovano a vivere. Il sacro mandato affidato all’Ente Lunare è e dovrà sempre essere la suprema legge del satellite della Terra."

Un caso della storia, eh? Mi aspettavo che Prof gli ricacciasse fn gola quell’affermazione. Pensavo che avrebbe detto… no, non sapevo quello che avrebbe detto.

Prof attese in silenzio per qualche secondo, poi chiese: — Onorevole Presidente, chi sarà esiliato, questa volta?

— Che cosa avete detto?

— Avete deciso chi di voi andrà in esilio? Il vostro vicegovernatore non ha voglia di dirigere il carcere — e questo era vero, preferiva rimanere in vita. — Ha accettato di mantenere le sue funzioni solo perché glielo abbiamo chiesto noi. Se continuate a credere che non siamo indipendenti, dovrete mandare su un altro carceriere.

— Protettore.

— Carceriere. Chiamiamolo con il nome che merita. Però, se sapessimo di chi si tratta, saremmo felici di chiamarlo Ambasciatore. Potremmo collaborare con lui. Non è necessario che arrivi con una banda di teppisti armati… per violentare e assassinare le nostre donne!

— Ordine! Moderazione! Il teste è richiamato all’ordine!

— Non ero io a non essere in ordine, Onorevole Presidente. C’è stata violenza e c’è stato un sudicio omicidio. Ma questo appartiene alla storia, ormai, e noi dobbiamo guardare il futuro. Chi manderete in esilio?

Prof fece uno sforzo per sollevarsi sul gomito e io mi misi all’erta: era il segnale prestabilito. — Tutti voi sapete che è un viaggio senza ritorno. Io sono nato qui, eppure vedete che fatica è per me il ritorno, anche temporaneo, sul pianeta che m’ha ripudiato. Siamo gli esiliati della Terra che…

Si accasciò improvvisamente. Balzai dalla sedia per soccorrerlo, ma caddi anch’io lungo disteso.

Non stavamo solo recitando, anche se io mi ero mosso in base a un accordo preciso. Per un Lunare, alzarsi di scatto sulla Terra rappresenta uno sforzo terribile per il cuore: la forza di gravità mi afferrò e mi schiacciò contro il suolo.

6

Ci riprendemmo rapidamente, ma i giornali ne fecero una notizia sensazionale perché io consegnai a Stu la registrazione e lui la fece diffondere dai suoi uomini. I titoli dei giornali, abilmente ispirati da Stu, non erano tutti contro di noi.


L’ENTE VUOLE SBARAZZARSI
DEGLI UOMINI DELLA LUNA?

AMBASCIATORE LUNARE SVIENE
SOTTO INTERROGATORIO:
"COLONIALISTI!" GRIDA

IL PROF. DE LA PAZ
PUNTA IL DITO DELLA VERGOGNA

Il mattino seguente ci venne recapitato un messaggio che chiedeva se il Professor de la Plaz si sentiva abba stanza bene da riprendere le discussioni. Ci presentammo e la Commissione mise a disposizione di Prof un medico e un’infermiera. All’ingresso ci perquisirono… e mi sequestrarono un registratore.

Lo consegnai senza fare storie. Era un apparecchio giapponese fornitomi da Stu con il preciso scopo di avere qualche cosa da farmi sequestrare. Nel braccio numero sei avevo un piccolo spazio destinato a una batteria elettrica, capace di contenere esattamente il mio microregistratore.

Gli argomenti discussi il giorno precedente furono lasciati da parte, solo, il Presidente iniziò la seduta rimproverandoci di aver violato la sicurezza di una conferenza a porte chiuse.

Prof rispose che, per quanto riguardava noi, non era a porte chiuse, e che avremmo dato il benvenuto a giornalisti, telecamere, al pubblico e a tutti coloro che avessero voluto intervenire, dato che la Luna non aveva segreti da nascondere.

Il Presidente rispose freddamente che non era il cosiddetto Libero Stato a sovrintendere a queste sedute. Le udienze avvenivano a porte chiuse, gli argomenti discussi non dovevano uscire da quella stanza, tali erano gli ordini.

Prof mi fece un cenno. — Volete aiutarmi, Colonnello? — Io manovrai i comandi della mia sedia a rotelle, la girai e con essa sospinsi la lettiga di Prof verso la porta, prima che il Presidente si accorgesse che stavamo tentando un bluff. Prof si lasciò convincere a restare, senza tuttavia promettere niente. Difficile fare pressione su un uomo che sviene appena si agita.

Il Presidente rilevò che il giorno prima ci si era dilungati su parecchie discussioni di scarsa importanza e che era meglio non tornare su argomenti già trattati. Oggi non avrebbe permesso digressioni, e volse un’occhiata significativa al delegato argentino e al nordamericano.

Quindi proseguì: — La sovranità è un concetto astratto, di cui si sono date molte definizioni a mano a mano che l’umanità imparava a vivere in pace. Il vero problema, Professore… o Ambasciatore de facto se preferite (non faremo cavilli sulle parole), è questo: siete pronti a garantire che le Colonie Lunari manterranno i loro impegni?

— Quali impegni, signore?

— Tutti gli impegni assunti, ma mi riferisco in particolare a quelli riguardanti l’esportazione di grano.

— Non conosco nessun impegno di questo genere, signore — rispose Prof, con aria ingenua.

La mano del Presidente si strinse intorno al manico del martelletto, ma la sua voce si mantenne calma. — Suvvia, signore, non è il caso di equivocare sulle parole. Mi riferisco ai contingenti di grano da inviare sulla Terra e alla percentuale di aumento prevista per quest’anno fiscale nella misura del tredici per cento. Possiamo avere la vostra assicurazione che continuerete a onorare questi impegni? È la condizione minima, per discutere. In mancanza di questo, i colloqui fra noi avranno termine.

— In tal caso, mi dispiace di dovervi dire che le nostre trattative sono finite.

— Non state parlando seriamente.

— Molto seriamente, signore. La sovranità della Luna Libera non è affatto l’argomento astratto che sembra a voi. Gli impegni di cui parlate erano soltanto un contratto dell’Ente con se stesso. La mia Nazione non ne è assolutamente vincolata. Tutti gli impegni della Nazione sovrana che ho l’onore di rappresentare devono ancora essere negoziati.

— Feccia della Terra! — tuonò il nordamericano. — Ve l’avevo detto che eravate troppo teneri con loro. Pezzi di galera! Non sanno nemmeno apprezzare un trattamento da gentiluomini!

— Ordine!

— Non dimenticatelo: io ve l’avevo detto! Se fossero venuti nel Colorado, gli avremmo insegnato noi un paio di cose!

— Il delegato del Nord America è richiamato all’ordine.

— Temo — intervenne il rappresentante indiano — temo di dovermi dichiarare d’accordo con il signor delegato del Nord America. L’India non può accettare che gli impegni relativi al grano siano considerati semplici pezzi di carta. Le persone oneste non trattano di politica con il ricatto della fame.

Prof chiese con voce calma: — Onorevole Presidente, mi concedete il permesso di approfondire le nostre intenzioni prima di giungere alla conclusione, forse troppo affrettata, che si debbano sospendere questi colloqui?

— Avete la parola.

— Con il consenso unanime? Potrò parlare senza essere interrotto?

Il Presidente si guardò intorno. — Tutti d’accordo — dichiarò.

— Sarò breve, Onorevole Presidente. Per prima cosa desidero rispondere al signor delegato del Nord America su una questione pregiudiziale, dal momento che ha criticato i miei connazionali. Io, per primo, ho visto l’interno di più di una prigione: accetto il titolo… anzi mi glorio del titolo di pezzo di galera. Tutti noi cittadini della Luna siamo pezzi di galera e discendiamo da pezzi di galera. Ma la Luna è una severa maestra di vita: chi è sopravvissuto alle sue lezioni non ha motivo di provare vergogna. A Luna City si può lasciare una borsa incustodita o la casa aperta senza alcun timore… potete fare lo stesso a Denver, nel vostro Colorado? Comunque, non sento alcun desiderio di venire nel Colorado a imparare un paio di cose: mi basta quello che mi ha insegnato Madre Luna. E può darsi che siamo la feccia della Terra, ma ora siamo una feccia armata.

"Al signor delegato dell’India mi sia concesso di dire che non facciamo a nessuno il ricatto della fame. Chiediamo soltanto una discussione franca su dati di fatto, senza lasciarci vincolare da presupposti politici che non corrispondono più alla realtà. Se ci sarà consentito di discutere su queste basi, vi prometto che vi dimostrerò come potremo non solo continuare invii di grano, ma aumentarli enormemente… a tutto vantaggio dell’India."

I rappresentanti cinese e indiano seguivano il discorso con la massima attenzione. L’indiano fece per parlare, poi si controllò e si rivolse al Presidente: — Vuole la presidenza chiedere al teste spiegazioni su quanto ha detto?

— Il teste è invitato a chiarire il significato delle sue parole.

— Onorevole Presidente, signori delegati, esiste effettivamente il sistema per aumentare di dieci volte e persino di cento volte le spedizioni di grano dalla Luna alle vostre popolazioni affamate. Il fatto che i carichi di grano abbiano continuato ad arrivare regolarmente durante la rivoluzione e continuino ad arrivare ancora oggi è la prova che le nostre intenzioni sono amichevoli. Ma non si può ottenere latte bastonando la mucca. Le discussioni su come aumentare gli invii di grano dovranno partire da una base di fatti reali, non dal falso presupposto che noi siamo schiavi legati a un obbligo che non abbiamo mai assunto. Allora, che cosa volete fare? Continuare a considerarci schiavi, sottoposti a un’autorità estranea a noi? Riconoscerci indipendenti, negoziare con noi e ascoltare le nostre proposte di aiuti?

Il Presidente disse: — In altre parole, ci chiedete di comprare un maiale a occhi chiusi. Volete che prima legalizziamo la vostra situazione illegale… poi ci parlerete delle vostre fantastiche asserzioni sulla possibilità di aumentare di dieci volte gli invii di grano. Quello che affermate è impossibile, sono un esperto di economia lunare. Ed è impossibile anche quello che chiedete: il riconoscimento di un nuovo Stato deve essere deciso dalla Grande Assemblea.

— Allora presentate la questione alla Grande Assemblea. Appena ci avrete riconosciuto come potenza sovrana pari alla vostra, discuteremo sull’aumento delle forniture di grano e negozieremo i termini di un accordo. Onorevole Presidente, noi coltiviamo il grano, siamo noi i proprietari del suolo lunare. Ne potremo produrre molto di più, ma non come schiavi. Prima dovrà essere riconosciuta la sovranità della Luna.

— Impossibile, e voi lo sapete. L’Ente Lunare non può abdicare alla sua sacra responsabilità.

Prof sospirò. — Sembra che siamo in un vicolo cieco. Posso solo suggerire che si sospenda questa seduta per permettere a tutti di riflettere. Oggi devono arrivare le nostre chiatte, ma nel momento in cui sarò costretto a notificare al mio governo che non sono riuscito a concludere un accordo, le spedizioni di grano cesseranno!

La testa di Prof ricadde sul cuscino, come se lo sforzo fosse stato eccessivo per lui. Poteva anche essere vero. Io me la cavavo abbastanza bene, ma ero giovane e nelle mie precedenti visite sulla Terra avevo imparato il sistema per sopravvivere. Un Lunare dell’età di Prof non avrebbe dovuto esporsi a certi rischi. Dopo un altro po’ di chiasso, che Prof ignorò, ci caricarono su un autocarro e ci riportarono in albergo. Per tutto il tragitto Prof tenne gli occhi chiusi.

7

Quella sera si sentì abbastanza bene da intervenire per un’ora a un ricevimento indetto in onore della stampa. Comparve sul solito lettino a rotelle, con i capelli bianchi che risaltavano contro un cuscino color cremisi e il corpo magro avvolto in un pigiama ricamato. Sembrava la salma di un personaggio molto importante, a un funerale solenne, se non fosse stato per gli occhi vivi e le fossette sulle guance. Anch’io avevo un aspetto imponente, nella mia uniforme nera e oro, che Stu definiva l’uniforme dei diplomatici lunari del mio rango. Avrebbe anche potuto esserlo, se sulla Luna fossero esistite distinzioni del genere.

I giornali indiani, quella sera, furono alquanto violenti con noi. La minaccia di sospendere le spedizioni di grano li aveva resi idrofobi. La proposta più gentile che sentii esprimere fu di fare piazza pulita della Luna, sterminare tutti noi trogloditi criminali e sostituirci con onesti agricoltori indiani che conoscevano il sacro valore della vita e avrebbero spedito grano in quantità sempre maggiore.

Prof scelse quella sera per parlare e fornire dati sulla impossibilità della Luna di continuare l’invio del grano, e l’organizzazione di Stu diffuse le sue parole in tutta la Terra. Alcuni giornalisti cercarono di analizzare le cifre fornite e rinfacciarono a Prof una evidente contraddizione.

— Professor de la Paz, ora dite che la produzione di grano continuerà a diminuire a causa del progressivo esaurimento delle risorse naturali e che nel duemilaottantadue la Luna non sarà più in grado di dare da mangiare nemmeno ai suoi abitanti. Oggi invece avete detto all’Ente Lunare di poter accrescere le forniture di grano alla Terra di dieci e persino cento volte.

Prof chiese dolcemente: — La Commissione con la quale abbiamo discusso è l’Ente Lunare?

— Ecco… è un segreto che sanno tutti.

— È vero, signore, ma loro hanno continuato a fingere di essere una Commissione d’inchiesta imparziale nominata dalla Grande Assemblea. Non pensate che avremmo diritto di fare sentire la nostra opinione a un organo meno interessato?

— Uhm… non tocca a me rispondere a questa domanda, Professore. Torniamo piuttosto alla mia. Come conciliate le due affermazioni?

— Mi interessa sapere perché non tocca a voi rispondere, signore. Non è interesse di tutti i cittadini della Terra di aiutare a chiarire una situazione che potrebbe portare alla guerra fra la Terra e i suoi vicini?

— Guerra? Che cosa vi fa parlare di guerra, Professore?

— Quale altra conclusione potrà esserci, signore, se l’Ente Lunare insiste nella sua intransigenza? Noi non possiamo venire incontro alle loro richieste: le cifre che vi ho fornito dimostrano il perché. Se non vogliono rendersi conto di questa realtà, cercheranno allora di sottometterci con la forza. L’Ente Lunare, istituito per mantenere la pace, darà il via alla prima guerra interplanetaria.

Il giornalista aggrottò la fronte. — Non vi pare di esagerare? Supponiamo che l’Ente, o meglio la Grande Assemblea, dal momento che l’Ente non ha astronavi da guerra, supponiamo dunque che le Nazioni della Terra decidano di destituire il vostro Governo. Voi, sulla Luna, rispondete con le armi… immagino che lo fareste, almeno. Ma questa non sarebbe una vera guerra interplanetaria. Come avete fatto notare voi stesso, la Luna non dispone di navi. Parliamo francamente: è evidente che non siete in grado di colpirci.

Mi ero avvicinato al lettino di Prof con la sedia a rotelle e stavo ascoltando in silenzio.

Prof mi guardò: — Diteglielo voi, Colonnello.

Ripetei la lezione imparata a memoria. Prof e Mike avevano studiato tutte e possibili situazioni; io mi ero imparato a memoria la parte e ora ero pronto a recitare. — Signori — dissi — ricordate l’astronave Pathfinder? Come precipitò a capofitto, priva di controlli?

Lo ricordavano. Nessuno ha dimenticato il più grosso disastro della storia del volo spaziale, quando la sfortunata Pathfinder precipitò su un villaggio belga.

— Non abbiamo astronavi — proseguii — ma sarebbe possibile lanciare i carichi di grano, anziché immetterli nell’orbita di parcheggio e farli atterrare dolcemente.

Il giorno dopo, sui giornali sarebbe comparso il titolo: I LUNARI MINACCIANO DI FARE LA GUERRA CON I CHICCHI DI RISO.

Ma quando le pronunciai, le mie parole produssero un silenzio imbarazzato.

Il giornalista tornò all’argomento preferito. — Vorrei, comunque, sapere come conciliate le vostre due affermazioni, non più grano dopo il duemilaottantadue, e dieci o cento volte tanto.

— Non c’è contraddizione — rispose Prof. — Le due affermazioni sono basate su due serie di circostanze diverse. I dati che avete esaminato sono calcolati in base alle circostanze attuali. In pochi anni il disastro, col graduale esaurimento delle risorse naturali della Luna, disastro che i burocrati dell’Ente vorrebbero evitare ordinandoci di stare dietro la lavagna!

Prof fece una pausa per riprendere fiato, poi continuò: — Le circostanze che invece ci permetterebbero di aumentare le spedizioni di grano sono implicite nelle prime. Essendo un vecchio insegnante, non riesco a liberarmi delle abitudini scolastiche: tocca agli allievi dedurre i corollari dalle ipotesi. Chi vuole provare?

Ci fu un momento di disagio, poi un ometto che parlava con accento strano disse lentamente: — Ho l’impressione che stiate pensando a un sistema per rifornire le risorse naturali.

— Splendido! Eccellente! — Le fossette di Prof si incavarono ancora di più. — Signore, vi meritate la menzione di merito sulla pagella! Il grano ha bisogno di acqua e di concime, fosfati e non so che altro, chiedetelo agli esperti. Mandateci questi prodotti: ve li restituiremo sotto forma di grano. Calate una pompa nell’immenso Oceano Indiano. Mettete in fila i milioni di mucche che avete qui in India e spediteci i loro rifiuti naturali. Raccogliete anche i vostri rifiuti, non dovrete nemmeno preoccuparvi di sterilizzarli, abbiamo sistemi più rapidi e meno costosi dei vostri. Mandateci acqua di mare, lo scarto del pesce, carogne di animali, lo spurgo delle fogne, il letame, rifiuti di ogni tipo… e noi ve li restituiremo, tonnellata per tonnellata, sotto forma di chicchi di grano dorato. Mandatecene dieci volte tanto, avrete dieci volte tanto grano. Mandateci i vostri poveri, i vostri infelici, a migliaia, a centinaia di migliaia: insegneremo loro i rapidi ed efficienti sistemi lunari di agricoltura sotterranea e vi rimanderemo indietro una incredibile quantità di prodotti agricoli. Signori, la Luna è un enorme campo incolto, migliaia di milioni di ettari, che aspetta di essere lavorato.

Questo discorso li lasciò sbalorditi. Poi uno chiese: — Ma voi che cosa ricaverete? La Luna, voglio dire.

Prof si strinse nelle spalle. — Denaro. Sotto forma di manufatti. Ci sono molte cose che da voi sono a buon mercato e da noi sono costosissime: medicinali, utensili, libri, gioielli per le nostre belle donne. Comprate il nostro grano e troverete sulla Luna un magnifico mercato per i vostri prodotti.

Un giornalista indiano cominciò a prendere appunti. Accanto a lui c’era un europeo che pareva poco impressionato. Disse: — Professore, avete idea di quanto verrà a costare il trasporto di tutto quel materiale dalla Terra alla Luna?

Prof fece un gesto come per minimizzare il peso dell’obiezione. — È un problema tecnico. Signore, ci fu un tempo in cui non era solo costoso ma addirittura impossibile spedire merci oltre Oceano. Poi divenne possibile, ma era costoso, difficile, pericoloso. Oggi vendete prodotti in ogni angolo del mondo al prezzo a cui li vendete ài vostri vicini di casa. Il trasporto è il fattore che meno incide sul costo. Signori, io non sono un tecnico, ma ho imparato questo principio: se si deve fare una cosa, i tecnici riescono a scoprire il sistema economico per realizzarla. Se volete il grano che noi possiamo produrre, date carta bianca ai vostri tecnici. — Prof ansimò, poi fece un gesto per chiedere aiuto e le infermiere lo trasportarono fuori immediatamente.

Mi rifiutai di rispondere ad altre domande sull’argomento, dicendo che dovevo parlarne con Prof appena si fosse rimesso abbastanza da tornare nella sala. Allora mi assalirono su altri punti. Un tale volle sapere perché, dal momento che non pagavamo le tasse, noi della colonia pensavamo di fare andare le cose come volevamo noi. Dopotutto, le colonie lunari erano state costituite dalle Nazioni Federate. Erano costate un patrimonio e la Terra aveva pagato tutti i conti. Ora noi delle colonie ci godevamo i benefici e non pagavamo cinque centesimi di tasse. Era giusto?

Avevo una voglia terribile di mandarlo all’inferno, ma Prof mi aveva fatto ingoiare un tranquillante e mi aveva obbligato a studiare quell’infinito elenco di risposte a domande insidiose. — Un problema alla volta — risposi. — Primo: per quale motivo vorreste che pagassimo le tasse? Ditemi che cosa avrò in cambio e forse accetterò di pagarle. Anzi, mettiamola così. Voi pagate le tasse?

— Certo che le pago! E penso che dovreste pagarle anche voi.

— E che cosa ricevete in cambio?

— Ecco… le tasse servono per pagare il lavoro del governo.

Dissi: — Scusatemi, io sono un ignorante. Ho vissuto tutta la vita sulla Luna e non sono molto al corrente di che cosa facciano i vostri governi. Potete spiegarmelo? Che cosa ottenete in cambio del vostro denaro?

Si stavano interessando tutti, e c’era sempre qualcuno pronto a suggerire qualche cosa che il mio ometto aggressivo poteva aver dimenticato. Feci un elenco. Quando finirono, lo rilessi.

— Ospedali gratuiti: sulla Luna non ne abbiamo. Assicurazione medica: possiamo assicurarci anche noi, ma evidentemente in modo diverso. Se qualcuno vuole un’assicurazione, va da un allibratore e fa una specie di scommessa. Si può assicurare quello che si vuole, versando un premio. Io non sento il bisogno di assicurare la mia salute. Sono sano, o almeno lo ero prima di venire sulla Terra. Abbiamo una biblioteca pubblica che cominciò con qualche decina di libri in microfilm. La manteniamo pagando un diritto d’ingresso. Strade pubbliche. Suppongo che corrispondano alla nostra Metropolitana. Ma il trasporto non è gratuito, come non è gratuita l’aria. Scusate: voi non pagate l’aria qui, vero? Voglio dire che la nostra Metropolitana è stata costruita da imprese che hanno investito un mucchio di soldi e che sono decisissime a riaverli indietro. Scuole pubbliche. Ci sono scuole in ogni grotta e non ho mai sentito che abbiano respinto allievi, così penso che in un certo senso siano pubbliche. Ma si deve pagare, eccome, perché sulla Luna chiunque abbia delle nozioni e abbia voglia di insegnarle agli altri, si fa pagare ogni parola che dice.

"Vediamo che altro c’è. Previdenza sociale. Non credo di sapere che cosa sia ma, comunque, non l’abbiamo. Pensioni. Si possono comperare. Ma la maggior parte della gente non lo fa. Le famiglie sono numerose e i vecchi, dai cento anni in su, si trastullano con i loro passatempi preferiti o stanno davanti alla televisione. Oppure dormono. Dormono molto, soprattutto dopo i centoventi."

— Scusate, signore. È vero che sulla Luna la gente vive così a lungo come dicono?

Finsi una faccia sorpresa, ma in realtà era una domanda prevista. Stimolata direi, e la risposta era già pronta. — Nessuno sa quanto possa vivere un essere umano sulla Luna: nessuno ci è vissuto abbastanza a lungo. I nostri cittadini più anziani erano nati sulla Terra, e quindi la loro esperienza non conta. Finora nessun individuo nato sulla Luna è morto di vecchiaia, ma anche questo non vuol dire molto: non hanno avuto nemmeno il tempo di diventare vecchio nemmeno cento anni. Ma… ecco, prendete il mio caso. Quanti anni mi date? Io sono un Lunare autentico, di terza generazione.

— Oh, in verità, colonnello Davis, ero sorpresa per la vostra giovane età… per questa missione, intendo. Sembrate sui ventidue. Siete più anziano? Non di molto, immagino.

— Signora, mi dispiace che la gravità terrestre mi impedisca di inchinarmi davanti a voi. Grazie. Ventidue anni fa ero già sposato.

— Come? Oh, state scherzando!

— Non mi permetterei mai di indovinare l’età di una signora, ma se emigraste sulla Luna, manterreste la vostra attuale bellezza molto più a lungo che sulla Terra e allunghereste la vostra vita di almeno vent’anni. — Ripresi in esame la lista che avevo compilato. — Riassumo tutte le altre voci dicendo che non abbiamo nessuno di questi vantaggi sulla Luna e che quindi non vedo la ragione di pagare le tasse. In quanto all’altro argomento, signore, voi saprete certamente che il costo iniziale delle colonie è stato ampiamente ripagato con i carichi di grano. Siamo stati dissanguati, le nostre risorse naturali sfruttate… e non siamo nemmeno stati pagati a prezzi di mercato. Questa è la ragione per cui l’Ente Lunare è così testardo: vuole continuare a sfruttarci. L’idea che la Luna sia stata una spesa per la Terra e che dobbiate recuperare le somme investite è una menzogna inventata dall’Ente per giustificare il fatto che ci state trattando come schiavi. La verità è che da un secolo a questa parte la Luna non costa un centesimo alla Terra e l’investimento iniziale è stato ammortizzato da un pezzo!

Il mio ometto cercò di reagire. — Non vorrete sostenere che le colonie hanno ripagato tutti i miliardi di dollari che è venuto a costare l’incremento dei voli spaziali?

— Potrei anche darvene la prova. Ma comunque non c’è ragione di accollare a noi questa spesa. Vostri sono i voli spaziali, dei popoli della Terra. Noi non li abbiamo, non abbiamo nemmeno una sola astronave. Perché dovremmo pagare ciò che non abbiamo ricevuto? È la stessa obiezione che faccio a proposito dei vantaggi elencati in questa lista: non ne abbiamo nemmeno uno, perché li dovremmo pagare?

Improvvisamente mi sentii stanco e me ne andai.

8

La giornata però non era finita. Oltre alla stampa, mi dovetti sorbire i membri del corpo diplomatico. Per fortuna non erano molti e non avevano veste ufficiale, nemmeno il rappresentante del Ciad. Ma noi rappresentavamo una curiosità, e tutti volevano vederci.

Ce n’era uno solo importante, un cinese. Fui sorpreso nel vederlo: era il delegato cinese della Commissione delle Nazioni Federate che ci aveva interrogato. Si presentò semplicemente come dottor Chan ed entrambi fingemmo di vederci per la prima volta.

Era quel dottor Chan che doveva poi diventare senatore della Grande Cina ed essere per lungo tempo il rappresentante numero uno presso l’Ente Lunare. Molto più tardi sarebbe poi divenuto Vicepresidente e Primo Ministro, poco prima di venire assassinato.

Esauriti gli argomenti che tutti si aspettavano che affrontassi e tralasciati gli altri, mi diressi verso la mia camera con la sedia a rotelle, ma fui immediatamente convocato da Prof. — Manuel, sono certo che hai notato il nostro illustre ospite della Repubblica Asiatica.

— Il vecchio cinese della Commissione?

— Cerca di moderare il tuo linguaggio, figliolo. Ti prego di non usarlo finché rimaniamo qui, neppure quando parli con me. Sì, lui. Desidera sapere che cosa volevamo dire con dieci volte o anche cento volte. Spiegaglielo bene.

— La versione giusta? O una storia qualsiasi?

— Quella giusta. Quell’uomo non è stupido. Sei in grado di descrivergli i particolari tecnici?

— Ho studiato bene la lezione. Se non è un esperto di balistica, sarà sufficiente.

— No, non ne sa molto. Ma tu non fingere di sapere quello che non sai. E non pensare che sia dalla nostra parte. Potrebbe però esserci di grande aiuto se arriva alla conclusione che i nostri interessi coincidono con i suoi. Non cercare di persuaderlo, però. Ora è nel mio studio. Buona fortuna. E ricordati… parla in buon inglese.

Il dottor Chan si alzò quando entrai nella stanza: dovetti scusarmi di non poter fare altrettanto. Disse che comprendeva le difficoltà a cui si esponeva un abitante della Luna quando veniva da queste parti e mi pregò di non fare sforzi. Congiunse le mani in segno di saluto e si rimise a sedere.

Salterò le formalità preliminari. Avevamo o non avevamo una soluzione precisa, quando sostenevamo che esiste un sistema poco costoso per inviare grandi quantità di materiali sulla Luna?

Gli risposi che un metodo c’era: dispendioso come primo investimento, ma molto economico nelle spese di esercizio. — È quello di cui ci serviamo sulla Luna, signore. Una catapulta: una catapulta che imprima ai carichi da lanciare la necessaria velocità di fuga.

La sua espressione rimase imperturbabile. — Colonnello, siete al corrente che tale proposta è stata avanzata più di una volta ed è sempre stata respinta con ragioni che parevano valide? Ragioni tecniche che hanno a che fare con la presenza di un’atmosfera.

— Sì, dottore. Ma sulla base di approfonditi studi condotti per mezzo di un calcolatore elettronico, e delle nostre esperienze in fatto di catapulte, riteniamo che il problema possa essere considerato risolto. Due delle nostre maggiori società, la LuNoHo e la Banca di Hong Kong Luna, sono pronte a costituire un’impresa privata che si incarichi della realizzazione del progetto. Potrebbero aver bisogno di aiuto finanziario dalla Terra e dividere con voi le azioni, con diritto di voto, per quanto preferirebbero indubbiamente emettere obbligazioni per mantenere il controllo totale sull’attività. Per prima cosa hanno bisogno di una concessione da un governo terrestre, una specie di diritto d’uso permanente, per il terreno sul quale costruire la catapulta. Questo terreno potrebbe trovarsi in India.

(Il discorso era preparato. La LuNoHo in realtà era fallita e la Banca di Hong Kong aveva cambiato attività, limitandosi ormai ad agire solo come banca centrale della nostra Nazione in pieno disastro economico. Lo scopo del discorso era di far entrare nella testa dell’interlocutore l’ultima parola: in India. Prof mi aveva ben inculcato il concetto che questa parola doveva venir pronunciata per ultima.)

Il dottor Chan rispose: — Non preoccupatevi del lato finanziario. Ciò che è possibile materialmente può essere realizzato anche dal punto di vista finanziario; i quattrini sono lo spauracchio delle menti meschine. Perché scegliereste l’India?

— Ecco, signore, l’India oggi consuma, io credo, più del novanta per cento del grano che spediamo dalla Luna…

— Novantatré virgola uno per cento.

— Proprio così. L’India, quindi, è notevolmente interessata al nostro grano ed è verosimile che sia disposta a collaborare. Basterebbe che ci concedesse l’uso del terreno e ci mettesse a disposizione la mano d’opera e le materie prime. Ma ho nominato l’India anche perché offre un’ampia scelta di zone adatte, di alta montagna, non troppo distanti dall’equatore. L’equatore non è essenziale, però è molto utile. Ma è indispensabile che la catapulta sia in alta montagna, per via di quell’atmosfera di cui avete parlato; densità dell’aria, sarebbe meglio dire. La testa della catapulta deve trovarsi alla massima altitudine possibile, e il punto terminale, dove il carico sta già viaggiando alla velocità di undici chilometri al secondo, deve assolutamente essere situato in una zona in cui l’aria è talmente rarefatta da avvicinarsi al vuoto assoluto. Questo, sulla Terra, implica una montagna altissima. Prendete per esempio il Nanda Devi, a circa quattrocento chilometri da qui. La ferrovia arriva a sessanta chilometri di distanza e c’è una strada che conduce fino quasi al punto in cui avrebbe inizio la catapulta. Il picco è alto ottomila metri. Non so se sia il punto ideale, comunque dovrebbe servire al nostro scopo. Toccherà ai tecnici terrestri scegliere il punto ideale.

— Una montagna più alta ancora, sarebbe più adatta?

— Certamente, signore! — lo assicurai. — Deve trattarsi di una montagna alta e vicina all’equatore. La catapulta comunque può essere progettata in modo da supplire alle condizioni ideali che si avrebbero sulla linea dell’equatore. Il problema più difficile rimane però quello di evitare, per quanto possibile, questa seccante atmosfera densa. Scusatemi, dottore, non avevo intenzione di criticare il vostro pianeta.

— Abbiamo montagne anche più alte. Colonnello, parlatemi di questo progetto di catapulta.

— La lunghezza di una catapulta è determinata dall’accelerazione che si deve raggiungere per vincere la velocità di fuga. Noi riteniamo… o meglio, il calcolatore ha stabilito che l’accelerazione deve essere di venti gravità. Per vincere la velocità di fuga della Terra occorre quindi una catapulta lunga trecentoventitré chilometri. Perciò…

— Fermatevi, vi prego! Colonnello, state seriamente proponendo di scavare un buco profondo più di trecento chilometri?

— Oh, no! La catapulta deve essere costruita in superficie, per permettere l’espansione delle onde d’urto. Lo statore dovrà essere disposto orizzontalmente, magari con una pendenza di quattro chilometri su trecento, e in linea retta… o quasi retta, dato che l’accelerazione di Coriolis e altre variabili minori impongono che sia leggermente curva. La catapulta della Luna appare quasi piana alla vista e praticamente orizzontale, tanto che i carichi di grano passano appena al di sopra delle alture circostanti.

— Oh, pensavo che sopravvalutaste le possibilità della tecnica moderna. Al giorno d’oggi siamo in grado di scavare in profondità, ma non a trecento chilometri! Continuate pure.

— Dottore, un semplice errore di prospettiva, come quello che vi ha spinto a interrompermi, può essere la ragione per cui non si è ancora costruita una catapulta sulla Terra. Ho visto i primi progetti. Quasi tutti partivano dal principio che una catapulta dovesse essere verticale o avere lo sbocco terminale diretto verso l’alto per poter proiettare verticalmente il veicolo spaziale. Questo non è né realizzabile né necessario. Suppongo che tale idea sia stata determinata dal fatto che le navi spaziali vengono effettivamente lanciate verso l’alto. Ma per le astronavi è così per superare l’atmosfera, non per entrare in orbita — proseguii. — Quando un carico viene lanciato dalla catapulta a velocità di fuga non tornerà mai sulla Terra, qualunque sia la sua direzione. Ah… due precisazioni: non deve, naturalmente, essere diretto verso la Terra, ma verso un punto qualsiasi posto al di sopra dell’orizzonte, e deve avere la velocità addizionale necessaria a vincere la resistenza atmosferica. Se la direzione è giusta finirà inevitabilmente sulla Luna.

— Ah, sì. Ma allora la catapulta potrà essere utilizzata una sola volta in un mese lunare?

— No, signore. Basandosi su quello che pensate voi, sarebbe utilizzabile una volta al giorno, scegliendo il momento opportuno. Ma in realtà, lo afferma il calcolatore, io non mi intendo di astronautica, questa catapulta può essere usata in qualsiasi momento, semplicemente variando la velocità d’uscita dei carichi, e tutte le orbite finirebbero ugualmente sulla Luna.

— Non vedo come.

— Neppure io, dottore, ma… Scusatemi, non avete un calcolatore eccezionalmente perfezionato all’università di Pechino?

— E se anche fosse?

— Potreste richiedergli l’indicazione di tutte le velocità di propulsione di una catapulta come quella che vi ho descritto. C’è una sola cosa che mi preoccupa veramente… Quelle montagne sono ricoperte di neve?

— Normalmente, sì — rispose. — Neve, ghiaccio e roccia vergine.

— Vedete dottore, essendo nato sulla Luna, non so niente della neve. Lo statore non solo dovrà sostenere la pesante forza di gravità di questo pianeta, ma anche resistere alle sollecitudini dinamiche di un veicolo che si muova a velocità di fuga. Non penso che si possa ancorare al ghiaccio o alla neve. O forse sì?

— Non sono un tecnico, Colonnello, ma non mi sembra probabile. Neve e ghiaccio dovranno essere eliminati. Anche le condizioni atmosferiche saranno un grosso problema.

— Di nuovo non sono in grado di rispondere, dottore. Tutto quello che so del ghiaccio, è che ha un calore di cristallizzazione di trecentotrentacinque milioni di joules per tonnellata. Non ho idea di quante tonnellate di ghiaccio dovrebbero essere sciolte per sgomberare la zona o di quanta energia occorrerebbe per tenerla sgombra, ma mi sembra che per questo scopo dovrebbe essere sufficiente il reattore che fornisce energia alla catapulta.

— Potremo costruire i reattori e riusciremo a sciogliere il ghiaccio. Nella peggiore delle ipotesi, manderemo i nostri tecnici nel nord a fare esperienze necessarie sul ghiaccio. — Il dottor Chan sorrise e io sentii un brivido lungo la schiena. — Comunque, nell’Antartide il problema del ghiaccio e della neve è stato risolto da parecchi anni, non vi preoccupate. Una zona sgombra, di roccia solida, lunga trecentocinquanta chilometri, ad altitudine elevata. Nient’altro? Avete esposto i punti essenziali?

— Ritengo di sì, dottore. Il problema, fondamentale è la scelta della zona. Ma prendiamo il massiccio di Nanda Devi. Dalle mappe che ho esaminato sembra che abbia un crinale lungo e molto elevato, che degrada verso ovest per una lunghezza corrispondente a quella necessaria alla nostra catapulta. Se è vero, sarebbe l’ideale: meno alture da livellare, meno depressioni da colmare. Non dico che rappresenti l’optimum, ma risponde in modo sufficiente alle nostre esigenze: una vetta molto alta, con un lungo crinale degradante verso ovest.

— Capisco.

Il dottor Chan se ne andò all’improvviso.

9

Nelle settimane che seguirono, ripetei questo discorso in dozzine di Nazioni, sempre in colloqui privati e con l’intesa che si trattava di un segreto. Cambiavo solo il nome della montagna.

Nell’Ecuador notai che il Chimborazo si trovava quasi sulla linea dell’equatore… perfetto! In Argentina, invece, feci notare che l’Aconcagua era la cima più alta dell’emisfero occidentale. In Bolivia osservai che l’altopiano era elevato quanto quello del Tibet (quasi vero), era molto più vicino all’equatore e offriva un’ampia scelta di zone pianeggianti limitate da vette che non avevano niente da invidiare alle più alte montagne della Terra.

A un nordamericano, avversario politico di quel tale che ci aveva chiamato feccia, spiegai che mentre il Monte McKinley aveva rivali in Asia o in Sud America, c’era parecchio da dire sul Mauna Loa: estrema facilità di costruzione. Bastava raddoppiare l’energia del reattore per sopperire alla mancanza di spazio e le Hawaii sarebbero diventate il porto spaziale dell’universo, di tutto l’universo, dato che non era lontano il giorno in cui si sarebbe riusciti a sfruttare le risorse di Marte. Le astronavi mercantili dirette verso tre (o magari quattro) pianeti sarebbero passate dalla loro Grande Isola.

Non accennai mai alla natura vulcanica del Mauna Loa, sottolineai invece che la posizione isolata delle isole Hawaii permetteva di far sprofondare senza danno nell’Oceano Pacifico un carico male diretto.

Nell’Unione Sovietica potei parlare di una sola cima: la vetta Lenin, alta più di settemila metri (ma un po’ troppo vicina alla grande Cina).

Kilimangiaro, Popocatepetl, Logan, El Libertado, in ogni paese cambiavo il nome della montagna preferita, bastava che fosse la montagna più alta nel cuore degli abitanti. Trovai qualche cosa di buono da dire anche delle modeste montagne del Ciad, quando passammo di là, e sostenni le ragioni con tanto calore che quasi mi convincevo anch’io.

Altre volte parlavo di impianti chimici (di cui non sapevo nulla, ma su cui avevo imparato tutto a memoria) da installare sulla superficie della Luna: dove il vuoto assoluto, l’energia solare, le materie prime e le condizioni atmosferiche stabili permettevano procedimenti industriali che si sarebbero rivelati costosi o impossibili sulla Terra… per il giorno in cui il basso costo dei trasporti da e per la Luna avrebbe reso vantaggioso lo sfruttamento delle risorse del satellite.

Questo discorso mi serviva per suggerire che la cieca burocrazia dell’Ente non era riuscita a vedere l’immenso potenziale della Luna (il che era vero), nonché per rispondere alla domanda se la Luna avrebbe potuto accogliere un infinito numero di nuovi coloni.

Anche questo era vero, ma ci guardammo bene dal rivelare che la Luna uccideva circa la metà dei nuovi arrivati. Comunque, le persone con cui parlavamo non pensavano mai di emigrare loro stesse, ma di convincere o costringere gli altri a emigrare per ovviare al problema della sovrappopolazione… e per ridurre le proprie tasse. In realtà, il maggiore risultato di tutta quell’emigrazione di massa sarebbe stato un grande aumento percentuale del numero delle vittime fra gli immigrati. Saremmo stati troppo pochi, noi Lunari, per aiutarli a vincere le difficoltà e i pericoli naturali.

In generale Prof parlava del grande futuro della Luna e io parlavo solo delle catapulte.

Nelle settimane in cui aspettammo che la Commissione tornasse a convocarci, facemmo molti passi avanti. Gli uomini di Stu organizzarono tutto con abilità, e l’unico problema era fino a che punto avremmo potuto sopportare le condizioni terrestri. Pensavo che ogni settimana trascorsa sulla Terra avrebbe ridotto di un anno la nostra vita, e forse anche di più nel caso di Prof. Ma lui non si lamentò mai ed era pronto a presentarsi, sempre in forma, a ogni nuovo ricevimento.

Rimanemmo particolarmente a lungo nel Nord America. La data della nostra Dichiarazione d’Indipendenza, esattamente tre secoli dopo quella delle colonie inglesi dell’America settentrionale, si rivelò una trovata propagandistica eccezionale e Stu ne approfittò largamente. I nordamericani erano sentimentali sull’argomento dei loro Stati Uniti anche se questa espressione aveva cessato di avere un significato politico quando le Nazioni Federate avevano razionalizzato il loro continente. Eleggono un Presidente ogni otto anni, senza sapere il perché (ma del resto, perché gli inglesi hanno ancora la regina?) e si gloriano di essere uno Stato sovrano. Sovranità, come amore, significa quello che si vuole: è solo una parola elencata nel vocabolario tra sobrio e sozzo.

Sovranità aveva un alto significato ideale nel Nord America e il Quattro Luglio era una data magica. Ne era una prova la Lega del Quattro Luglio: Stu ci spiegò che non era costato molto metterla in moto, e meno ancora farla funzionare. La Lega riusciva a raccogliere fondi che venivano impiegati per molte nostre attività… Ai nord americani piace donare, senza preoccuparsi di sapere a chi vanno i loro quattrini.

Più a Sud, Stu si era servito di un’altra data, i suoi uomini avevano seminato l’idea che il colpo di Stato era avvenuto il cinque maggio, anziché due mesi dopo, e noi fummo ricevuti al grido di Cinco de Mayo! Libertad! Cinco de Mayo! Lasciai parlare sempre Prof.

Ma nei paesi del Quattro Luglio l’eroe fui io. Stu mi faceva togliere il braccio artificiale quando comparivo in pubblico e ricuciva la manica dei miei abiti in modo che il moncone non potesse passare inosservato, contemporaneamente spargeva la voce che avevo perso il braccio combattendo per la libertà. Ogni volta che mi facevano domande sull’argomento, sorridevo pieno di modestia e dicevo: — Vedete cosa succede a rosicchiarsi le unghie?

L’America del Nord non mi è mai piaciuta. Non è la parte più popolata della Terra, c’è soltanto un miliardo di abitanti. A Bombay si sdraiano sui marciapiedi, nella Grande New York si inscatolano in verticale… non sono tanto sicuro che riescano a dormire. Ero contento di essere su una sedia a rotelle.

C’è una discreta confusione anche per un altro motivo. Si preoccupano del colore della pelle… per far notare come sono bravi a non dar peso alla differenza. Penso che sia meglio un Paese apertamente razzista come l’India, dove se non sei un indù non sei nessuno, tranne che per i Parsi che guardano gli indù dall’alto in basso e viceversa. Comunque, quando ero il Colonnello O’Kelly Davis, Eroe della Libertà della Luna non ebbi mai difficoltà con il razzismo a rovescio del Nord America.

Prof si divertiva molto, per quanto la vita gli fosse più difficile che a me; ma lui riusciva sempre a coglierne i lati comici. Ogni giorno trovava qualche argomento nuovo da raccontare sul grande avvenire della Luna. A nuova York, al direttore di una grande catena di alberghi, fece un magnifico quadro su come si sarebbe sviluppato il turismo lunare quando il costo del viaggio fosse diventato accessibile a un maggior numero di persone. La durata delle escursioni sarebbe stata breve, per non danneggiare i turisti, il servizio delle guide sarebbe stato compreso nel prezzo, il programma avrebbe previsto gite facoltative, divertimenti, giochi d’azzardo… niente tasse.

Abbellì il tutto con un rapido accenno a night club lasciando intravedere divertimenti folli, irrealizzabili con l’orribile gravità della Terra, descrisse sport adatti al nostro livello sensato di gravità… parlò di piscine e campi di pattinaggio, e, ultimo colpo, della possibilità di volare!

Il giorno successivo spiegò al direttore della sezione esteri della Chase International Panagra che avrebbe potuto aprire una filiale a Luna City assumendo paraplegici, paralitici, malati di cuore, tutta gente che avrebbe avuto un giovamento a vivere in condizioni di gravità inferiore. Il direttore stesso era un grassone dal respiro affannoso: anche lui poteva farci un pensiero… ma drizzò soprattutto le orecchie all’accenno di niente tasse.

Le cose non andavano sempre così lisce, naturalmente. Spesso i giornali ci attaccavano e non mancavano le domande imbarazzanti. Quando dovevo rispondere e Prof non mi era accanto temevo sempre di fare passi falsi. Un tale mi prese in contropiede sulla dichiarazione, fatta da Prof davanti alla Commissione, che noi eravamo proprietari del grano coltivato sulla Luna. Per lui era pacifico che non lo fossimo. Gli risposi che non capivo bene la sua domanda.

Ma quello non mollava. Disse: — Colonnello, è vero che il vostro governo provvisorio ha chiesto l’ammissione alle Nazioni Federate?

Avrei dovuto rispondere no comment. Invece caddi nella trappola e annuii. — Benissimo — proseguì. — L’obiezione al vostro ingresso nelle Nazioni Federate è che la Luna appartiene alle Nazioni Federate sotto il controllo dell’Ente Lunare. Comunque, in un modo o nell’altro, e per vostra stessa ammissione, il grano appartiene alle Nazioni Federate, in amministrazione fiduciaria.

Gli chiesi come fosse giunto a quella conclusione. Mi rispose: — Colonnello, vi siete presentato come Sottosegretario agli Affari Esteri: senza dubbio conoscete la Carta delle Nazioni Federate.

Mi tenni sulle mie. — Quanto basta — risposi, nel modo che mi parve più cauto.

— Allora conoscerete la Prima Libertà garantita dalla Carta e la sua attuale applicazione in forza dell’Ordine Amministrativo del Consiglio di Controllo, numero millecentosettantasei, in data tre marzo di quest’anno. Dopo quello che avete detto, ammettete implicitamente di accettare che tutto il grano coltivato sulla Luna in eccedenza al fabbisogno locale sia, senza possibilità di contestazioni, proprietà di tutti, e ne affidate l’amministrazione alle Nazioni Federate che lo distribuiscono secondo i bisogni tramite le loro agenzie. — Mentre parlava si era messo a scrivere appunti. — Avete altro da dire a questa concessione?

Mi riscossi. — Di che cosa diavolo state parlando? — gridai. — Un momento: non abbiamo concesso niente!

Il New York Times uscì con il seguente articolo: IL SOTTOSEGRETARIO LUNARE DICHIARA: IL GRANO APPARTIENE AGLI AFFAMATI


O’Kelly Davis, sedicente Colonnello delle Forze Armate di Luna Libera, giunto sulla Terra con il segreto scopo di cercare aiuti a favore degli insorti delle Colonie Lunari delle Nazioni Federate, ha spontaneamente dichiarato, durante un’intervista al nostro giornale, che la clausola Libertà dalla Fame contenuta nella Carta delle Nazioni Federate si applica anche al grano prodotto sulla Luna…


Chiesi a Prof come avrei dovuto comportarmi. — A una domanda trabocchetto rispondi sempre con un’altra domanda — mi disse. — Non chiedere mai spiegazioni: ti metterebbero le parole in bocca. Questo giornalista era magro? Si contavano le costole?

— No, ero pasciuto.

— Allora non vive con milleottocento calorie al giorno, la quantità stabilita dall’Ordine che ha citato, ci scommetto. Avresti potuto chiedergli per quanto tempo si era attenuto alla dieta e per quale ragione aveva smesso. Oppure, più semplicemente, domandargli che cosa aveva mangiato a colazione… e poi rivolgergli uno sguardo incredulo, qualsiasi cosa rispondesse. La verità è che qui nessuno vive con solo milleottocento calorie al giorno.

— Prof, e se queste trattative fallissero e le spedizioni di grano dovessero essere sospese? Che cosa significherebbe?

— I nostri se la prenderebbero con noi… e parecchia gente qui sulla Terra morirebbe di fame. Hai letto Malthus?

— Non mi pare.

— Molti morirebbero. Poi si raggiungerebbe un nuovo livello di stabilità con una popolazione in un certo senso migliore: più efficiente, meglio nutrita. Questo pianeta non è sovrappopolato, è solo male amministrato e la cosa peggiore che si possa fare a uno che ha fame è di regalargli da mangiare. Leggi Malthus. Non conviene mai ridere del dottor Malthus, sarà sempre lui a rìdere per ultimo.

Mentre stavo per uscire e spegnevo le luci, notai un nuovo giocattolo che Prof si era comprato e che lo rendeva felice come un ragazzino sotto l’albero di Natale… Un cannone di bronzo.

Un cannone vero, dei tempi delle navi a vela. Era piccolo, la canna lunga circa mezzo metro, e pesava una quindicina di chili, compreso il carrello di legno. Cannone da segnalazione, diceva la piastrina. Sapeva di storia antica, di velieri, di pirati. Un grazioso oggetto, ma perché comprarlo, chiesi a Prof. Se mai fossimo riusciti a ripartire, il prezzo necessario per sollevare quella massa fino alla Luna ci avrebbe ridotti sul lastrico.

Prof tese una mano e accarezzò la lucida superficie del cannone. — Manuel, tu vivrai più a lungo di me. Quando la Luna adotterà una bandiera, vorrei che lo stemma rappresentasse un cannone in oro su campo nero, con due sbarre incrociate al disopra, di colore rosso fuoco, a orgoglioso ricordo del nostro ignobile lignaggio. Pensi che si possa fare?

— Suppongo di sì, se mi fai il disegno. Ma perché una bandiera? Non esiste un pennone in tutta la Luna.

— Potrà sventolare nei nostri cuori… un simbolo per quegli sciocchi così ridicolmente assurdi che volevano marciare a fianco a fianco contro l’Ente. Te ne ricorderai, Manuel?

— Certamente. Cioè, lo ricorderò a te quando sarà venuto il momento. — Non mi piaceva la piega del discorso. Prof aveva cominciato a servirsi della tenda a ossigeno, in privato… Ma in pubblico si rifiutava di usarla.


So di essere ignorante e cocciuto… Lo fui in modo particolare in una città chiamata Lexington, nel Kentucky. Un argomento sul quale non ero stato indottrinato e per cui non avevo nessuna risposta pronta era la vita sulla Luna. Prof mi aveva consigliato di dire la verità e mettere in risalto il calore familiare, l’amicizia, e soprattutto quegli aspetti che più differivano dalle abitudini della Terra.

Una donna (non me la sento di chiamarla signora) mi fece una domanda sui nostri matrimoni.

Le illustrai i casi più comuni di poliandria, i clan, i gruppi, i matrimoni di linea, poi le unioni meno comuni, considerate volgari dai conservatori come la mia stessa famiglia.

La donna m’interruppe. — Mi avete fatto confondere le idee. Che differenza c’è fra un matrimonio di linea e uno di clan?

— Sono completamente diversi. Prendete il mio caso. Io ho l’onore di appartenere a uno dei più vecchi matrimoni di linea della Luna… e a mio giudizio, non del tutto spassionato, forse il migliore. Un matrimonio di linea aumenta la propria stabilità di anno in anno, migliora la capacità dei coniugi di andare d’accordo, fino al punto che l’idea che uno di noi debba andarsene diventa inconcepibile. Inoltre occorre la decisione unanime di tutte le mogli per divorziare dal marito. Non potrebbe mai accadere. La moglie più anziana non lo permetterebbe mai.

Continuai a descrivere i vantaggi: sicurezza economica, una sana vita in famiglia per i bambini, il fatto che la morte di una giovane moglie, per quanto dolorosa, non avrebbe mai rappresentato quella tragedia che costituisce in una famiglia temporanea, specialmente per i figli. I figli non potevano diventare orfani. Forse ci misi troppo entusiasmo, ma la mia famiglia era per me la cosa più importante della vita. Senza di essa, sarei soltanto un meccanico privo di un braccio, che potrebbe essere eliminato senza che nessuno se ne accorgesse.

— Ecco perché un matrimonio di linea è stabile — proseguii. — Prendiamo il caso della moglie più giovane nella mia famiglia: ha sedici anni e probabilmente arriverà a ottant’anni, prima di diventare moglie anziana. Non voglio dire che tutte le mogli meno giovani debbano morire, nel frattempo: è improbabile, sulla Luna le donne sembrano immortali. Ma prima di allora potrebbero aver rinunciato alla direzione del ménage familiare; per tradizione, fanno tutte così nella nostra famiglia, e senza pressione da parte delle mogli più giovani. Così, Ludmilla…

— Ludmilla?

— Nome russo, preso da un racconto di fate. Milla avrà dinanzi a sé più di cinquant’anni di esperienza prima di assumersi tutta la responsabilità della famiglia. Tanto per cominciare, è già una ragazza sensata, non è facile che faccia errori, ma se ne fa, ci sono le altre mogli che la correggono. Autocorrezione, come una macchina dotata di controllo elettronico. Un buon matrimonio di linea è immortale, e immagino che il mio sopravviverà di almeno un migliaio di anni: ecco perché non mi importerà di morire, quando sarà venuto il momento. La parte migliore di me continuerà a vivere.

Prof stava per essere accompagnato fuori. Fece fermare il lettino e si mise ad ascoltare. Mi volsi a lui.

— Professore — gli dissi — voi conoscete la mia famiglia. Vi dispiace dire a questa signora perché è una famiglia felice? Se lo pensate, naturalmente.

— Lo è — confermò Prof. — Comunque, vorrei fare un’osservazione più generale. Cara signora, mi pare di capire che trovate alquanto esotiche le abitudini matrimoniali della Luna.

— Oh, non arriverei a tanto! — protestò la donna. — Solo, le trovo un po’ insolite.

— Sono sorte, come del resto tutte le organizzazioni familiari, dalle necessità economiche dell’ambiente… e il nostro ambiente è molto diverso da quello della Terra. Prendete il matrimonio di linea, tanto lodato dal mio collega, e con piena ragione, ve lo assicuro, nonostante lui sia parte in causa. Io non sono sposato e quindi non ho interessi personali in questo campo. Il matrimonio di linea è il sistema più sicuro per conservare il capitale familiare e assicurare il benessere dei figli, le due funzioni fondamentali del matrimonio sotto ogni latitudine, in un ambiente in cui non c’è sicurezza, né per i capitali né per i figli, se non quella che gli stessi interessati riescono a procurarsi. In un certo senso, gli esseri umani devono sempre lottare contro il proprio ambiente. Il matrimonio di linea è un’invenzione notevolmente ben riuscita per questo scopo. Tutte le altre forme di matrimonio lunare sono state create con il medesimo fine, ma non sono altrettanto efficienti.

Augurò la buona notte e se ne andò. Avevo con me (sempre!) una fotografia della mia famiglia, la più recente, scattata il giorno del matrimonio con Wyoming. Le spose erano tutte graziosissime e Wyoh era raggiante… Gli uomini apparivano felici e di bell’aspetto, con Granpà al centro, alto e orgoglioso, che, per una volta, era riuscito a nascondere il suo declino fisiologico.

Ma rimasi deluso: la guardarono in uno strano modo. Tuttavia un uomo, che si chiamava Matthew, disse: — Potete darmi questa fotografia, Colonnello?

Trasalii. — È l’unica copia che ho. E sono molto lontano da casa.

— Per un attimo, intendo dire. Permettete che la fotografi, anche qui, e potete tenerla in mano voi stesso.

— Ah, certamente! — Non ero venuto molto bene in quella fotografia, ma la somiglianza c’era, e, dopo tutto, l’immagine rendeva giustizia a Wyoming. Quanto a Lenore, è difficile trovare donne più belle di lei.

Così l’individuo riprodusse la fotografia, e la mattina dopo mi trovai la polizia in camera. Mi svegliarono, mi dichiararono in arresto e mi portarono via, sedia a rotelle compresa, per chiudermi in una prigione con sbarre vere, per bigamia. Per poligamia. Per immoralità e pubblico incitamento ad atti immorali.

Fui felice che Mum non potesse vedermi.

10

Stu impiegò una giornata intera per far trasferire il caso giudiziario a una Corte delle Nazioni Federate e farmi prosciogliere. I miei avvocati si appellarono al fatto che ero coperto da immunità diplomatica, ma i giudici non abboccarono all’amo. Osservarono semplicemente che i reati di cui ero stato accusato esulavano dalla competenza della Corte inferiore e che le accuse erano infondate, tranne che per l’incitamento all’immoralità, per il quale tuttavia mancavano prove sufficienti. Non vi erano leggi delle Nazioni Federate che riguardassero il matrimonio e non ve ne potevano essere. C’era solo una norma che imponeva a ogni Nazione associata di attribuire pieno valore ai costumi matrimoniali di tutti gli altri Stati membri.

Degli undici miliardi di Terrestri, almeno sette miliardi vivevano in Stati in cui la poligamia è considerata legittima. I manipolatori di opinione pubblica assoldati da Stu montarono un vero e proprio caso di persecuzione. Ci conquistammo così la simpatia di milioni di persone che altrimenti non avrebbero mai sentito parlare di noi, perfino nel Nord America e nelle altre zone dove la poligamia non è ammessa, ma dove la gente crede nel principio del vivi e lascia vivere. I risultati furono buoni; dato che il nostro problema maggiore era sempre quello di attirare l’attenzione su di noi. Per quasi tutti quegli immensi sciami di api umane, Luna non era niente, e la nostra ribellione era un fatto passato inosservato.

Gli uomini di Stu si erano dati molto da fare per organizzare il mio arresto. Lo venni a sapere solo parecchie settimane dopo, quando ormai mi ero calmato e potevo vedere serenamente i vantaggi di quella operazione. Avevano scovato un giudice stupido, uno sceriffo disonesto e un barbaro pregiudizio locale che fu scatenato dalla mia innocente fotografia. Infatti, come ammise Stu più tardi, fu la varietà di colore della famiglia Davis che fece perdere completamente le staffe al giudice, spingendolo a comportarsi in modo molto più assurdo del suo solito, che era già molto sciocco.

La mia unica consolazione, che Mum non potesse vedere la mia disavventura, si rivelò errata. Tutti i giornali lunari pubblicarono la fotografia della mia faccia torva dietro le sbarre, e i giornalisti andarono a scovare i commenti più ostili scritti sulla Terra, non quelli, più numerosi, che deploravano l’ingiustizia fattami. Comunque avrei dovuto avere più fiducia in Mimi. Non aveva provato vergogna, solo il desiderio di venire sulla Terra per fare a pezzi certa gente.

Se l’episodio ci procurò qualche aiuto sulla Terra, sulla Luna si mostrò efficacissimo. I Lunari, dopo quello stupido chiasso, si sentirono più uniti di prima e presero il mio arresto come un’offesa nazionale: Adam Selene e Simon Jester gonfiarono l’episodio a regola d’arte. I Lunari non si scaldano mai se non per un argomento: le donne. Ogni donna si sentì insultata dalle notizie della Terra, e gli uomini che fino ad allora avevano ignorato la politica scoprirono, all’improvviso, che ero il loro uomo.

Io, al momento, non ci vidi niente di buono. Spinto qua e là, trattato come una bestia da soma, impronte digitali, fotografie, pasti che noi ci vergogneremmo di dare da mangiare ai maiali… solo quella maledetta gravità mi trattenne dal tentare di uccidere qualcuno. Se avessi avuto il braccio sei quando mi avevano arrestato, forse avrei tentato ugualmente.

Una volta liberato, mi calmai. Un’ora dopo partimmo per Agra, dove finalmente la Commissione ci aveva convocato. Era bello tornare nel lussuoso appartamento dell’albergo del maragià, anche se il cambiamento di undici fusi orari in meno di tre ore non ci consentì neanche un po’ di riposo; intervenimmo alla seduta con gli occhi annebbiati dal sonno e tenuti su dalle pillole stimolanti.

Le discussioni furono un monologo da una parte sola. Noi ascoltavamo, mentre il Presidente della Commissione parlava. Riassumo il suo discorso.

Le nostre assurde richieste erano respinte. Il sacro dovere dell’Ente Lunare era irrinunciabile. Non si poteva tollerare ulteriormente lo stato di disordine che avevamo instaurato sulla Luna. I recenti tumulti avevano solo dimostrato che l’Ente si era comportato con troppa indulgenza nei nostri confronti. Tale errore sarebbe stato corretto da un rigido piano quinquennale, che prevedeva una revisione di tutte le attività delle amministrazioni fiduciarie dell’Ente. Un nuovo codice di leggi era in preparazione. Prevedeva l’istituzione di tribunali civili e penali a tutela degli ospiti-impiegati (con tale termine si indicavano tutte le persone residenti nella zona in amministrazione fiduciaria, non solo i deportati che non avevano ancora finito di scontare la pena). Sarebbero state istituite scuole pubbliche, più scuole di indottrinamento per adulti destinate agli ospiti-impiegati che ne avessero avuto bisogno. Si sarebbe creato un comitato di programmazione economica, tecnica e agricola per assicurare lo sfruttamento più razionale e completo delle risorse lunari e della mano d’opera degli ospiti-impiegati. Era stato fissato un primo obiettivo di quadruplicare le spedizioni di grano nel giro di cinque anni. Si era pensato che un simile incremento fosse facilmente realizzabile, appena fossero entrate in vigore le nuove programmazioni scientifiche di sfruttamento delle risorse e della mano d’opera.

Il primo provvedimento sarebbe stato quello di eliminare gli sprechi di mano d’opera e utilizzare gli ospiti-impiegati distolti da queste occupazioni improduttive per scavare un nuovo sistema di fattorie sotterranee; l’agricoltura idroponica sarebbe cominciata non più tardi della primavera del 2078. Le nuove fattorie sarebbero state gestite direttamente dell’Ente Lunare con criteri scientifici e non abbandonate al capriccio di proprietari privati. Si prevedeva che, alla fine del primo piano quinquennale, questa riforma agricola avrebbe portato a una produzione enormemente maggiorata. Nel frattempo, gli ospiti-impiegati, che producevano grano privatamente, avrebbero potuto continuare la loro attività. Ma anch’essi sarebbero stati assorbiti nel nuovo sistema, dato che i loro metodi, meno efficienti, si sarebbero alla lunga rivelati dannosi.

Il Presidente alzò gli occhi dai fogli che aveva davanti a sé. — In sostanza le colonie lunari saranno civilizzate e messe al passo con il resto del mondo civile. Per quanto ingrato sia questo compito, ritengo, e ve lo dico come cittadino piuttosto che come Presidente di questa Commissione, di dovervi ringraziare per aver richiamato la nostra attenzione su una situazione che aveva così urgente bisogno del nostro intervento.

Avrei voluto strappargli gli occhi! Ospiti-impiegati! Che modo stravagante di dire schiavi! Prof invece si manteneva calmissimo e disse: — Trovo molto interessanti i programmi esposti. Ho il permesso di porre domande? A solo scopo di informazione?

— Se è per informazione, sì.

Il delegato del Nord America si protese in avanti. — Ma non crediate che siamo disposti a sentire impertinenze da parte vostra, uomini delle caverne! Badate a come parlate.

— Ordine! — richiamò il Presidente. — Procedete, Professore.

— Trovo equivoco il termine ospiti-impiegati. Posso dedurre che la maggior parte degli abitanti del satellite della Terra devono essere considerati individui liberi e non deportati in libertà vigilata?

— Certamente — concesse con sufficienza il Presidente. — Abbiamo studiato tutti gli aspetti legali della nuova politica. Circa il novantuno per cento degli abitanti delle colonie hanno la cittadinanza, originaria o derivata, di vari Stati aderenti alle Nazioni Federate. Coloro che desiderano tornare nel loro Paese di origine hanno il diritto di farlo. Vi farà piacere sapere che l’Ente ha allo studio un piano di prestiti a lungo termine per organizzare i trasporti necessari… Probabilmente sotto l’egida della Croce Rossa Internazionale. Devo aggiungere che, personalmente, sono favorevolissimo a questo progetto, in quanto renderà privo di senso ogni discorso sulla schiavitù della Luna. — Sorrise, con l’aria di chi è soddisfatto di sé.

— Capisco — disse Prof. — Molto umano. E la Commissione, o l’Ente, hanno riflettuto sul fatto che gli abitanti della Luna sono fisicamente inadatti a vivere su questo pianeta? Che sono stati condannati a un esilio permanente e involontario che ha causato mutamenti fisiologici irreversibili, che pertanto non potranno più tornare a vivere a loro agio e in perfetta salute in un mondo dove la forza di gravità è sei volte superiore a quella a cui i loro corpi si sono assuefatti?

Quel farabutto increspò le labbra come se stesse prendendo in considerazione un’idea completamente nuova.

— Parlando di nuovo a titolo personale, non me la sento di condividere ciò che voi affermate essere indiscutibilmente vero. Può essere vero per alcuni, falso per altri. Gli individui sono enormemente diversi gli uni dagli altri. La vostra presenza qui dimostra che non è impossibile, per un abitante della Luna, ritornare sulla Terra. In ogni caso, non è nostra intenzione obbligarvi a tornare. Noi speriamo che preferiate rimanere e che riusciate a incoraggiare altri a emigrare sulla Luna. Ma si tratta di scelte personali, nello spinto di libertà garantito dalla Grande Carta delle Nazioni Federate. Quanto a questo possibile mutamento fisiologico… ecco, non riguarda il campo legale. Chiunque ritenga più prudente, o motivo di maggiore felicità, rimanere sulla Luna, è libero di restare.

— Capisco, signore. Noi siamo liberi. Liberi di rimanere sulla Luna a lavorare, con gli incarichi e le paghe stabilite da voi… o liberi di tornare sulla Terra a morire.

Il Presidente si strinse nelle spalle. — Ci accusate di essere crudeli. Non è vero. Se fossi giovane, emigrerei subito sulla Luna. Ci sono possibilità enormi. In ogni caso, non mi lascio turbare dalle vostre distorsioni della realtà… la storia ci darà ragione.

Ero sorpreso dall’atteggiamento di Prof: rinunciava alla lotta. Ed ero anche preoccupato per la sua salute, dopo settimane di sforzi e una notte in bianco. Si limitò a rispondere: — Onorevole Presidente, ritengo che le astronavi per la Luna saranno presto rimesse in servizio. Potete organizzare il ritorno sulla prima astronave per me e il mio collega? Perché devo ammettere, signore, che la debolezza causata dalla forza di gravità è, nel nostro caso, molto reale. La nostra missione è conclusa, dobbiamo tornare a casa.

(Non una parola sui carichi di grano, né sul lancio di sassi, e nemmeno una battuta futile come quella del bastonare la mucca. Prof appariva spossato.)

Il Presidente si sporse in avanti e si rivolse a noi con malvagia soddisfazione. — Professore, sono sorte alcune difficoltà. Per non fare misteri, sembra che siate colpevoli di tradimento nei confronti delle Nazioni Federate, anzi, nei confronti dell’intera umanità… e si sta preparando l’atto di accusa. Non credo che per un uomo della vostra età e salute si andrà più in là di una condanna con la condizionale. Comunque, pensate che sia prudente da parte nostra lasciarvi tornare nel luogo dove avete commesso questi reati e dove potreste scatenare nuovi disordini?

Prof sospirò. — Capisco il vostro punto di vista. In questo caso, signore, potete scusarmi? Sono molto stanco.

— Certamente. Tenetevi a disposizione di questa Commissione. La seduta è aggiornata. Colonnello Davis?

— Signore. — Stavo spingendomi con la sedia a rotelle verso Prof, per accompagnarlo fuori: i nostri infermieri non erano ancora entrati in sala.

— Vorrei scambiare due parole con voi, per cortesia.

— Ah… — Guardai Prof e mi parve in stato di incoscienza, con gli occhi chiusi. Invece mosse un dito per farmi segno di avvicinarmi a lui. — Onorevole Presidente, io sono più infermiere che diplomatico. Sono incaricato della salute del Professore. È vecchio e ammalato.

— Gli infermieri si occuperanno di lui.

— Bene… — Ero accanto a Prof e mi curvai su di lui per quanto mi concedeva la sedia a rotelle. — Prof, tutto bene?

Mi rispose con un sussurro appena comprensibile. — Senti che cosa vuole. Dichiarati sempre d’accordo con lui. Ma non ammettere niente.

Poco dopo ero solo con il Presidente, a porte chiuse. Ma questo non significava niente. La stanza poteva avere una dozzina di orecchie, oltre a quella del mio braccio sinistro.

Chiese: — Qualche cosa da bere? Un caffè?

— No, grazie, signore — risposi. — Devo stare attento alla dieta, qui.

— Lo immagino. Davvero siete costretto a rimanere su quella sedia? Avete un magnifico aspetto.

— Se necessario, posso alzarmi e fare qualche passo — risposi. — Ma potrei sentirmi male, svenire e anche peggio. Preferisco non rischiare. Peso sei volte quanto dovrei e il mio cuore non è abituato.

— Non stento a crederlo, colonnello. Ho sentito che avete avuto una piccola seccatura nell’America del Nord. Mi dispiace, veramente. Non mi è mai piaciuto quel Paese. Immagino che vi stiate domandando perché vi ho chiesto di fermarvi.

— No, signore, penso che me lo direte quando vi parrà opportuno. Piuttosto, mi chiedo perché continuiate a chiamarmi colonnello.

Uscì in una sonora risata. — Per abitudine, suppongo, dopo un’intera vita di protocollo. Tuttavia penso che vi possa essere utile continuare a fregiarvi del grado. Ditemi, che cosa pensate del nostro piano quinquennale?

Pensavo che fosse una porcheria. — Mi pare che sia stato studiato con molta competenza.

— È vero, abbiamo lavorato intensamente. Mi sembrate un uomo di buonsenso, colonnello. So che lo siete. Non solo conosco il vostro passato, ma praticamente mi sono note tutte le parole che avete detto, perfino quasi i vostri pensieri, da quando avete messo piede sulla Terra. Voi siete nato sulla Luna. Vi considerate un patriota?

— Penso di sì. Per quanto sia incline a pensare che ciò che abbiamo fatto fosse soltanto un passo necessario e inevitabile.

— Detto fra noi… sono d’accordo. Quel vecchio stupido di Hobart! Colonnello, il nostro è un buon piano… ma ci manca l’uomo che lo porti a compimento. Se siete davvero un patriota o, diciamo, un individuo efficiente che ha a cuore gli interessi del proprio Paese, potete essere voi l’uomo adatto. — Sollevò una mano. — Non c’è fretta! Non vi sto chiedendo di passare al nemico o di tradire la patria, o altre sciocchezze del genere. Vi offro l’occasione di dimostrarvi un vero patriota, non un eroe da strapazzo che si fa uccidere per una causa perduta. Mettiamola così. Pensate che le colonie lunari possano opporre resistenza alle forze delle Nazioni Federate? Voi, in realtà, non siete un militare, lo so bene. Con una valutazione approssimativa, quante astronavi e quante bombe credete che occorrano per distruggere le colonie lunari?

— Un’astronave e sei bombe.

— Esattamente! Santo cielo, che bello parlare con un uomo di buon senso. Le bombe dovrebbero essere molto grandi, magari costruite appositamente. Alcuni abitanti sopravvivrebbero per qualche tempo, nelle grotte più isolate e lontane dalle zone bombardate. Ma una sola nave sarebbe sufficiente, ci impiegherebbe dieci minuti.

— Lo ammetto, signore, ma il Professor de la Paz ha osservato che non si ottiene latte bastonando la mucca. E tanto meno sparandole addosso.

— Per quale motivo credete che siamo stati fermi, senza fare niente, per oltre un mese? Quel mio collega stupido, non faccio nomi, parlava di impertinenze. A me le parole non fanno paura: sono solo parole. A me interessano i risultati. No, caro colonnello, non spareremo alla mucca… ma se saremo costretti, le faremo sapere che potremmo sparare. I missili a testata termonucleare sono giocattoli costosi ma possiamo permetterci di sprecarne alcuni a titolo di avvertimento, lanciandoli sulla nuda roccia per far capire alla mucca che cosa potrebbe succedere. E forse anche questo sarebbe già troppo, per quello che vogliamo ottenere: la mucca potrebbe spaventarsi e il latte si inacidirebbe. — Proruppe in un’altra delle sue risate sonore. — È meglio convincere il vecchio a cedere spontaneamente.

Stavo aspettando il seguito. — Non volete sapere come? — chiese.

— Come? — feci eco.

— Tramite voi. Non dite niente e lasciate che vi spieghi.

Mi portò in cima alla montagna e mi offrì i regni della Terra. O meglio, della Luna. Avrei avuto l’incarico di Protettore pro-tempore con l’intesa che la carica sarebbe diventata permanente se lo avessi voluto. Il mio compito sarebbe stato quello di convincere i Lunari che non potevano vincere. Convincendoli che la nuova sistemazione era vantaggiosa per loro, mettendo in rilievo i benefici che ne avrebbero tratto: scuole gratuite, ospedali gratuiti, questo e quell’altro senza spendere un centesimo… Insomma, un governo che avrebbe pensato a tutto, come sulla Terra. Le tasse sarebbero state molto basse all’inizio e senza che i Lunari quasi se ne accorgessero, perché l’esazione sarebbe avvenuta con detrazioni automatiche dalle paghe e con imposte sul prezzo pagato per il grano. La cosa più importante era che questa volta l’Ente non avrebbe mandato un bambino a svolgere il compito di un adulto, ma due reggimenti di polizia contemporaneamente.

— Quei maledetti Arditi del Corpo di Pace furono un errore — mi spiegò. — Non lo commetteremo per la seconda volta. Detto fra noi, la ragione per cui abbiamo impiegato un mese per elaborare questo piano è che abbiamo dovuto convincere la Commissione di controllo per la pace che un manipolo di uomini non può controllare tre milioni di persone sparse in sei grotte di enormi proporzioni e in una cinquantina di grotte più piccole. Avrete a disposizione un adeguato corpo di polizia. Non truppe da combattimento come gli Arditi, ma polizia militare abituata a tenere buoni i cittadini senza fare chiasso. Inoltre, manderemo un corpo ausiliario femminile, il solito dieci per cento. Non ci saranno più pericoli. Va bene, signore? Pensate di farcela, sapendo che sarà la soluzione migliore per la vostra gente?

Risposi che dovevo studiare la proposta in tutti i particolari, soprattutto i programmi e le cifre del piano quinquennale, prima di prendere una decisione.

— Certamente, certamente! — disse lui. — Vi darò una copia dello schema che abbiamo predisposto. Portatelo con voi, studiatelo, dormiteci sopra e domani ne riparleremo. Datemi solo la vostra parola di gentiluomo che terrete il documento e il nostro colloquio per voi. In realtà, non c’è niente di segreto, ma è bene che queste cose siano bene organizzate prima di essere rese pubbliche. A proposito di pubblicità: avrete bisogno di aiuto… e siamo pronti a darvelo. Non baderemo a spese per mandarvi gli uomini migliori, pagandoli quanto sarà giusto, e mantenendoli in esercizio con la centrifuga, come fanno gli scienziati… voi lo sapete. Questa volta faremo le cose per bene. Quello stupido di Hobart… è morto, non è vero?

— No! Decadimento senile.

— Avreste dovuto ucciderlo. Eccovi la copia del nostro piano.

— Parlando di vecchi… il Professor de la Paz non può rimanere qui. Non vivrebbe sei mesi.

— Meglio, non vi pare?

Cercai di rispondere in tono indifferente. — Non capite. È molto amato e rispettato sulla Luna. Sarebbe meglio tentare di convincerlo che avete intenzione di usare quei missili nucleari e che è suo dovere di patriota cercare di salvare il salvabile. Ma, in un modo o nell’altro, se torno senza di lui ecco, non solo non riuscirei a realizzare il vostro piano quinquennale, ma non vivrei tanto a lungo per tentare.

— Uhm. Dormiteci sopra. Ne parleremo domani. Alle quattordici in punto.


Appena caricato sull’autocarro, mi misi a tremare. È chiaro che mi mancano le qualità per fare il diplomatico ad alto livello.

Stu mi aspettava insieme a Prof. — E allora? — chiese Prof.

Mi guardai intorno, portando le mani alle orecchie. Mi feci più vicino possibile a Prof, la testa proprio contro la sua, e ci coprimmo con due coperte. La lettiga non era stata manomessa, e nemmeno la mia sedia a rotelle: le controllavo entrambe ogni mattina, ma quando non eravamo nella nostra stanza ci sembrava sempre più sicuro bisbigliare sotto due coperte.

Cominciai dall’inizio, ma Prof mi interruppe. — Ci parlerai dopo dei suoi antenati e delle sue abitudini. Racconta i fatti.

— Mi ha offerto il posto di Governatore.

— Spero che avrai accettato.

— Al novanta per cento. Devo esaminare questi documenti e dargli la risposta domani. Stu, quanto tempo ci vuole per mettere in esecuzione il Piano Fuga?

— Già in esecuzione. Stavamo aspettando che tornassi. Se ti lasciavano tornare.

I successivi cinquanta minuti furono molto intensi. Stu scovò un vecchio indiano tutto pelle e ossa e in mezz’ora ne fece la copia di Prof. Poi sollevò Prof dalla lettiga e lo depose su un divano. Fabbricare il mio sosia fu più facile. I nostri gemelli furono accompagnati nel salotto del nostro appartamento dove fu servito il pranzo, come se niente fosse.

Il momento peggiore fu quando trascinammo Prof sulla scala che conduceva al tetto. Non aveva mai usato stampelle automatiche e per più di un mese era stato sdraiato giorno e notte.

Il braccio di Stu lo sorresse validamente. Io strinsi i denti e salii da solo quei tredici terribili scalini. Quando giunsi sulla terrazza, mi sembrava che il cuore stesse per scoppiare. Mi feci forza per non svenire. Un piccolo elicottero si abbassò silenziosamente sulla terrazza e dopo dieci minuti ci depositò sull’aereo che avevamo già noleggiato un mese prima. Nel giro di due minuti volavamo verso l’Australia. Non so quanto sia costato questo piano, sempre pronto in caso di emergenza, comunque si svolse senza intoppi.

Mi distesi accanto a Prof e ripresi fiato, poi gli chiesi: — Come ti senti?

— Bene. Un po’ stanco. Frustrato.

— Sì, capisco. Frustrato.

— Per non aver visto il Taj Mahal, voglio dire. Quando ero giovane non ne avevo mai avuto occasione… e adesso ci sono stato per ben due volte a un chilometro di distanza, la prima per parecchi giorni e ora per un giorno… e ancora non sono riuscito a vederlo e mai lo vedrò.

— È soltanto una tomba.

— Anche Elena di Troia era soltanto una donna. Dormi, ragazzo.


Atterrammo nella zona cinese dell’Australia, in una località chiamata Darwin, dove ci fecero salire immediatamente su un’astronave, adagiati in cuccette d’accelerazione, e ci diedero un sonnifero. Prof era già assopito e io cominciavo a sentirmi il cervello annebbiato quando entrò sorridendo Stu e si adagiò al nostro fianco. Aprii gli occhi. — Anche tu? E chi bada agli affari?

— Le stesse persone che hanno effettivamente svolto il lavoro fino a oggi. È una buona organizzazione e non c’è bisogno di me. Mannie, vecchio mio, non voglio rischiare di essere mandato a marcire in un buco a parecchi chilometri da casa mia. Voglio dire la Luna, se non hai capito. Questo sembra che sia l’ultimo treno per Shangai.

— Che c’entra Shangai?

— Lascia perdere. Mannie, sono rovinato, sono al verde. Devo soldi a tutti… debiti che potranno essere pagati solo se certe azioni salgono come Adam Selene mi aveva assicurato che sarebbero salite subito dopo questo momento storico. E se sono ricercato, lo sarò per reati contro la pace e la pubblica fede. Risparmio a quella gente il disturbo di spedirmi lassù. Pensi che alla mia età possa imparare il mestiere di minatore?

Avevo la testa confusa, il sonnifero cominciava a fare effetto. — Stu, per la Luna sei giovane… alle prime armi… Comunque… da noi c’è sempre da mangiare! Mimi ti vuole bene!

— Grazie, vecchio, è un’ottima idea. Segnale di avvertimento! Respira forte!

All’improvviso fui schiacciato dall’accelerazione di dieci gravità.

11

La nostra astronave era un traghetto Terra-orbita, generalmente usato per raggiungere i satelliti abitati, per le pattuglie di ricognizione delle Nazioni Federate e per il trasporto dei passeggeri diretti ai satelliti casinò. In questa occasione trasportava tre passeggeri invece che quaranta e il bagaglio era ridotto a tre tute pressurizzate e un cannone di ottone (ci eravamo portati anche il giocattolo: le tute e la colubrina di Prof ci aspettavano in Australia da una settimana). Di tutto l’equipaggio della bella nave Lark restavano solo il Comandante e il pilota.

In compenso l’astronave era stracarica di combustibile.

Ci avvicinammo regolarmente, come ci dissero poi, al satellite Elysium. Quindi scattammo all’improvviso dalla velocità orbitale alla velocità di fuga, con uno strappo ancora più violento di quello di partenza.

Il radiofaro spaziale delle Nazioni Federate ci avvistò: ricevemmo l’ordine di fermarci e di fornire spiegazioni. Venni a sapere tutto questo da Stu, perché in quel momento stavo appena recuperando i sensi, godendomi il lusso di poter vivere in assenza di gravità, con una sola cinghia per tenermi ancorato. Prof era ancora nel mondo dei sogni.

— Allora hanno voluto sapere chi eravamo e che cosa pensavamo di fare — mi disse Stu. — Gli ho risposto che eravamo la Fior di Loto dell’ufficio informazioni cinese, in missione di carità, diretti alla Luna per recuperare gli scienziati dispersi, e fornii la nostra identità… Nave Fior di Loto.

— Ma tutti i voli sono registrati!

— Mannie, se ho ottenuto tutto quello per cui ho pagato, il nostro volo è stato identificato come quello della Lark fino a dieci minuti fa… E adesso sarà identificato come quello della Fior di Loto. Tra poco lo sapremo. C’è una sola astronave in posizione adatta per spararci addosso un missile… — si interruppe per controllare un appunto — …e potrà fare fuoco ancora per ventisette minuti, secondo il signore imbavagliato che sta manovrando questa tinozza, prima che le sue probabilità di colpirci si riducano.

— È il caso di svegliare Prof?

— Lascialo dormire. Credi che ci sia un modo migliore di fare il grande passo che quello di passare istantaneamente dal sonno a una nuvola di gas radiante? A meno che non abbia problemi di tipo religioso… ma non mi è sembrato molto ortodosso.

— No, non lo è. Ma se hai tu esigenze simili, non voglio trattenerti.

— Grazie, ho fatto quello che mi sembrava utile prima di partire. E tu, Mannie? Non ho molto del prete, ma se è necessario posso fare del mio meglio. Peccati sulla coscienza, vecchio libertino? Se hai bisogno di confessarti, so tutto in fatto di peccati.

Gli risposi che le mie necessità erano altre. Però mi vennero in mente i miei peccati, quelli che preferivo, e gliene diedi una versione più o meno veritiera. A questo punto si ricordò anche lui dei suoi, poi mi fece venire in mente…

L’ora zero venne e trascorse prima che avessimo esaurito l’argomento. Stu LaJoie è la persona ideale per trascorrere insieme gli ultimi istanti della propria vita, anche se poi si scopre che non erano affatto gli ultimi.


Per due giorni non avemmo niente da fare tranne che sottoporci a drastiche cure per disinfestarci di tutti i germi raccolti sulla Terra. Non mi accorsi nemmeno di essere scosso da brividi e di avere la febbre a quaranta, tale era il sollievo della caduta libera, senza peso, e la felicità di ritornare a casa.

Però sentivo un’ombra di dispiacere. Prof me ne chiese ragione. — Non è niente — risposi. — Non vedo l’ora di essere a casa, ed è questo che conta. Ma mi vergogno un poco di riapparire in pubblico dopo il fallimento della nostra missione. Prof, in che cosa abbiamo sbagliato?

— Missione fallita, ragazzo mio?

— Non vedo in che altro modo possiamo definirla. Abbiamo chiesto il riconoscimento e non lo abbiamo ottenuto.

— Manuel, ti devo delle scuse. Ti ricordi le previsioni di Adam Selene sulle nostre probabilità di successo, prima della partenza? — In quel momento Stu non era con noi, ma preferivamo non usare mai il nome Mike: per maggior sicurezza, parlavamo sempre di Adam Selene.

— Certamente! Una su cinquantatré. E quando giungemmo sulla Terra, precipitarono a una su cento. Come pensi che sia ora la situazione? Una probabilità su mille?

— Ho continuato a ricevere nuove previsioni aggiornate… È per questo che ti devo chiedere scusa. L’ultima, arrivata poco prima che ripartissimo, teneva conto dell’ipotesi, fino a quel momento infondata, che fuggissimo dalla Terra e riuscissimo a raggiungere la Luna sani e salvi: o che per lo meno uno di noi ce l’avrebbe fatta, e questa è la ragione per cui è stato richiamato anche il compagno Stu, che, in quanto Terrestre, poteva meglio sopportare gli effetti dell’accelerazione. In totale, una serie di otto previsioni, con tutte le possibili ipotesi, da tutti e tre morti a tutti e tre salvi. Vuoi rischiare alcuni dollari sulla previsione più favorevole e cercare di indovinare le attuali probabilità? Ti voglio aiutare un poco: non essere troppo pessimista!

— Uhm… accidenti, no! Dimmelo tu.

— Le probabilità a nostro favore sono solo diciassette contro una… e hanno continuato a diminuire per tutto il mese. È una cosa che non potevo dirti prima.

Ero sbalordito, felice… e offeso. — Perché non potevi dirmelo prima? Senti, Prof, se non avete fiducia in me, cacciatemi fuori a pedate e prendete Stu nella cellula esecutiva.

— Ti prego, figliolo! Questo accadrà solo se dovesse capitare qualche cosa a uno di noi tre: a te, a me o alla cara Wyoming. Non ho potuto tenerti informato sulla Terra e lo faccio solo adesso, non per mancanza di fiducia in te ma perché non sei un buon attore. Potevi svolgere meglio i tuoi compiti credendo che il nostro scopo fosse quello di ottenere il riconoscimento dell’indipendenza.

— Adesso me lo dici!

— Manuel, Manuel, dovevamo lottare strenuamente fino all’ultimo istante… e perdere.

— E allora? Non sono abbastanza cresciuto da sapere la verità?

— Ti prego, Manuel. Tenendoti temporaneamente all’oscuro, le nostre probabilità aumentavano enormemente: puoi chiederlo anche ad Adam. Aggiungo che Stuart ha aderito allegramente al richiamo sulla Luna, senza chiedere spiegazioni. Compagno, quella Commissione era troppo ristretta e il suo Presidente molto in gamba. Cera il rischio che proponessero un compromesso accettabile. Il primo giorno ci siamo andati molto vicino. Se fossimo invece riusciti a portare il nostro caso davanti alla Grande Assemblea non ci sarebbe stato alcun pericolo di sentirli trattare in modo intelligente. Ma hanno sventato il nostro piano. A quel punto, il meglio che rimaneva da fare era di oppormi in tutti i modi alla Commissione.

— Credo che non capirò mai la diplomazia.

— Probabilmente no. Ma le tue capacità e le mie si integrano. Manuel, tu vuoi che la Luna sia libera?

— Lo sai quanto lo desidero.

— E sai anche che la Terra ci può sconfiggere?

— Certamente. Il calcolo delle probabilità non si è nemmeno avvicinato a una situazione di equilibrio. È per questo che non capisco perché ti sia opposto alla Commissione…

— Vedi, dato che possono costringerci ad accettare la loro volontà, la nostra unica forza sta nel minare questa volontà. È per questo scopo che siamo andati sulla Terra. Per confonderli. Per dividere le opinioni. Il più brillante dei grandi generali cinesi diceva che la migliore tattica bellica consiste nello sconvolgere la volontà dell’avversario, in modo che si arrenda senza combattere. Questa massima racchiude il nostro ultimo scopo e il più grave pericolo. Supponi che, come sembrava possibile quel primo giorno, ci offrissero un compromesso. Invece che un Governatore, una specie di controllore fiduciario, magari scelto fra noi. Autonomia locale, un delegato alla Grande Assemblea, aumento del prezzo del grano, premi speciali per i carichi in eccedenza all’accordo. E ancora, disconoscimento della politica di Hobart, unito a espressioni di rammarico per gli atti di violenza e le uccisioni, il tutto condito con un bell’assegno per risarcire i parenti delle vittime. I nostri lo avrebbero accettato?

— Ma loro non l’hanno offerto.

— Il Presidente era pronto a farci un’offerta di questo genere quel primo pomeriggio, e a quel punto teneva in pugno la Commissione. Ci chiese di presentare delle richieste tali da rendere possibile l’accordo. Supponiamo che effettivamente raggiungessimo un accordo sulle basi che ti ho descritto. Sarebbe stato accettabile?

— Ehm… forse sì.

— Più che forse, con le deprimenti probabilità che avevamo allora. Dovevamo invece evitare a ogni costo un accomodamento che avrebbe acquietato gli animi e distrutto la nostra volontà di resistenza senza cambiare di una virgola la drammatica situazione che ci stava portando all’inevitabile disastro economico. Così sviai l’argomento e soffocai ogni possibilità di compromesso arricciando il naso su questioni irrilevanti e mostrandomi educatamente offensivo. Manuel, tu e io sappiamo, e lo sa anche Adam, che dovremo porre fine alle spedizioni di grano nelle attuali circostanze. Solo questo potrà salvare la Luna dal disastro. Ma te lo immagini un agricoltore che lotta per far cessare gli invii di grano?

— No. Chissà se possiamo captare qualche notizia alla Luna per sentire le reazioni all’embargo.

— Nessuna reazione. Mike ha disposto che non ci sia nessun annuncio né sulla Luna né sulla Terra, finché non saremo tornati a casa. Stiamo ancora comprando il grano dagli agricoltori e le chiatte continuano ad arrivare a Bombay.

— Ma avevi detto che le spedizioni sarebbero cessate immediatamente.

— Era una minaccia, non un impegno morale. Pochi carichi in più non fanno differenza, e noi abbiamo bisogno di guadagnare tempo. Non tutti sono d’accordo con noi, solo una minoranza. C’è una maggioranza di indifferenti a questi problemi, che dobbiamo tirare dalla nostra parte, almeno temporaneamente. Poi c’è un’altra minoranza decisamente avversa a noi, costituita soprattutto dagli agricoltori, ai quali non interessa la politica ma il prezzo del grano. Brontolano, ma accettano il pagamento in dollari dell’Ente, sperando che tra qualche tempo ritornino al valore nominale. Nell’istante in cui annunceremo la cessazione degli invii di grano alla Terra, questi agricoltori scenderanno in piazza contro di noi. Ma Adam conta di avere la maggioranza dalla nostra, quando finalmente daremo l’annuncio ufficiale.

— Fra quanto tempo? Un anno? Due?

— Due o tre giorni, al massimo quattro. Per creare le condizioni favorevoli, pubblicheremo estratti accuratamente vagliati di quel piano quinquennale, brani delle tue registrazioni, in particolare la proposta segreta che ti ha fatto personalmente il Presidente della Commissione, sfrutteremo abilmente il tuo arresto nel Kentucky…

— Ehi! Quello preferirei dimenticarlo.

Prof sorrise e inarcò un sopracciglio. — Ehm… — borbottai imbarazzato — se proprio è necessario… d’accordo.

— Ci sarà più utile di qualsiasi statistica sull’esaurimento delle risorse naturali.

Il tipo imbavagliato che ci faceva da pilota scese sulla Luna senza preoccuparsi di entrare in orbita per decelerare e diede alla nave, leggera e manovrabilissima, un’altra brusca scossa. Il tutto in diciannove secondi. Atterrammo a Johnson City.

Sopportai quest’ultima prova abbastanza bene, sentendo solo una violenta contrazione al petto come se un gigante mi stesse spremendo il cuore, poi la sensazione cessò e tornai ansimando alla normalità, contento di essere finalmente tornato al mio peso giusto. Il povero Prof, invece, rimase quasi ucciso.

Mike mi disse, in seguito, che il pilota si era rifiutato di cedergli la guida. Mike, preoccupato della salute di Prof, ci avrebbe fatto atterrare dolcemente, senza sbatterci come uova strapazzate. Ma forse il pilota sapeva quello che stava facendo: nell’atterraggio dolce si spreca molto carburante, e la Lark-Fior di Loto raggiunse il suolo con i serbatoi quasi completamente asciutti.

Al momento non badammo affatto a questo particolare, temendo che l’atterraggio avesse ucciso Prof. Stu si diede da fare quando io stavo ancora cercando di riprendere fiato: stimolanti cardiaci, respirazione artificiale, massaggi. Finalmente Prof sbatté le palpebre, ci guardò e sorrise.

— A casa — sussurrò.

Lo facemmo riposare per venti minuti, prima di aiutarlo a indossare la tuta a pressione per lasciare la nave. Il Comandante stava facendo riempire i serbatoi, aveva fretta di liberarsi di noi e di caricare passeggeri terrestri. Quell’olandese non ci aveva mai rivolto la parola per tutto il viaggio. Penso che si fosse pentito di essersi lasciato convincere a un’impresa che poteva rovinarlo o addirittura ucciderlo.

Prima che fossimo pronti per scendere, Wyoh salì a bordo, in tuta, per darci il benvenuto. Non credo che Stu l’avesse mai vista in tuta, e certamente non l’aveva mai vista bionda: non la riconobbe. Stava immobile accanto a noi, in attesa di essere presentato. Poi, lo strano signore in tuta abbracciò anche lui… e Stu rimase stupefatto.

Udii la voce soffocata di Wyoh: — Santo Cielo! Mannie, l’elmetto!

Glielo sganciai e lo tolsi. Scosse i riccioli e sorrise. — Stu, non sei contento di rivedermi? Non mi conosci?

Un sorriso si diffuse sulla faccia di Stu, lentamente, come la luce dell’alba. — Sono molto felice di vedervi, signora!

— Macché signora! Sono sempre Wyoh per te, caro! Mannie non ti ha detto che ero tornata bionda?

— Sì, me l’aveva detto; ma saperlo e vederti non è la stessa cosa.

— Ti abituerai. — Si interruppe per abbracciare Prof, poi venne da me e mi diede un benvenuto così caldo che ci lasciò entrambi con le lacrime agli occhi. Poi si volse verso Stu e baciò anche lui. Stu si ritrasse. — Dovrò ridiventare bruna per darti il benvenuto? — Stu mi guardò, poi le restituì il bacio. Wyoh ci mise altrettanto impegno e tanto tempo quanto ne aveva impiegato con me.

Solo più tardi mi resi conto dello strano comportamento di Stu. Dopo tutto, non era ancora un Lunare… E, nel frattempo, Wyoh si era sposata.

E con questo? Compresi che per un Terrestre la cosa era molto importante, e Stu non sapeva che una signora, sulla Luna, era padrona di se stessa. Il povero figliolo pensava che io mi sarei potuto offendere!

Aiutammo Prof a indossare la tuta, poi lasciammo la nave, io con il cannone sotto il braccio. Scesi in grotta e chiuse le porte stagne, ci togliemmo le tute a pressione. Mi sentii lusingato nel vedere che, spiegazzato sotto la tuta, Wyoh portava quel vestito rosso che le avevo comprato tanto tempo prima. Lisciò le pieghe con la mano e la gonna si distese sui fianchi.

La sala dell’ufficio immigrazioni era vuota, tranne che per una quarantina di uomini allineati lungo la parete, come se fossero nuovi deportati: indossavano tuta a pressione ed elmetto. Immaginai che fossero Terrestri diretti a casa, turisti sorpresi dalla rivoluzione, alcuni scienziati. Le tute sarebbero rimaste sulla Luna, gliele avrebbero fatte togliere appena a bordo. Li guardai e pensai ai sistemi di guida del nostro pilota. Quando la Lark era stata equipaggiata per il viaggio, erano state tolte tutte le cuccette meno le nostre tre. I nuovi passeggeri avrebbero dovuto affrontare l’urto dell’accelerazione distesi sul pavimento nudo. Se il pilota non stava più che attento, li avrebbe ridotti in poltiglia.

Nel parlai con Stu. — Non preoccuparti — mi rispose. — Il Comandante Leures ha portato a bordo imbottiture di gommapiuma. Non permetterà che si facciano del male: rappresentano la sua assicurazione sulla vita.

12

La mia famiglia, più di trenta da Granpà ai neonati, ci aspettava alla porta stagna del livello inferiore, e ognuno di noi ricevette la sua parte di singhiozzi, baci e abbracci. Questa volta Stu non si ritrasse.

La piccola Hazel improvvisò una vera cerimonia. Aveva con sé i Berretti della Libertà. Ne mise uno in testa a ognuno di noi e ci baciò; come a un segnale convenuto, tutti i membri della famiglia si infilarono il Berretto della Libertà e a me vennero le lacrime agli occhi. Forse è questo il patriottismo: sentirsi soffocare dai singhiozzi e tanta felicità nel cuore da sentirsi male. O invece era soltanto la gioia di essere tornato fra i miei cari.

— Dov’è Slim? — chiesi a Hazel. — Non l’avete avvertito?

— Non è potuto venire. Dirige il comitato per i festeggiamenti in vostro onore.

— Festeggiamenti? Ma a noi basta questo.

— Vedrai.

E vidi, infatti. Fu un bene che la mia famiglia fosse venuta a salutarci all’arrivo, altrimenti non ci saremmo visti per un bel po’ di tempo. Giungemmo a Luna City occupando un’intera capsula. La stazione Ovest della Metropolitana era invasa da una marea urlante, tutti con in testa il Berretto della Libertà. Noi tre fummo portati a spalla fino alla Vecchia Cattedrale, circondati da una guardia del corpo di ragazzi che ci aprivano la strada a gomitate, in mezzo alla folla che applaudiva e cantava. I maschi indossavano berretti rossi e camicie bianche, le ragazze maglietta bianca e pantaloncini rossi, dello stesso rosso dei berretti.

Alla stazione, e di nuovo quando ci fermammo alla Vecchia Cattedrale, fui baciato da donne che non avevo mai visto. Ricordo di aver sperato che le precauzioni prese in sostituzione della quarantena fossero efficaci. Altrimenti mezza Luna City avrebbe avuto il raffreddore o qualcosa di peggio. (Fortunatamente eravamo immuni e non ci furono epidemie. Ma ricordo ancora, ero un ragazzo allora, quando scoppiò il morbillo e morirono a migliaia.)

Ero molto preoccupato per Prof, anche. Quel ricevimento era troppo faticoso per un uomo che un’ora prima avevamo dato per spacciato. Lui non solo si divertì, ma fece un magnifico discorso nella Vecchia Cattedrale… alquanto scarso di logica ma ricco di frasi commoventi. C’era l’amore, la patria, la Luna, i compagni, gli amici, perfino la marcia a fianco a fianco e tutto pareva meraviglioso.

Avevano eretto un palco sotto il grande schermo televisivo del lato sud della piazza. Adam Selene ci salutò dal video e poi sullo schermo apparve la faccia di Prof che parlava, in modo che tutti lo vedessero e lui non dovesse gridare per farsi sentire. Ma dovette ugualmente fermarsi dopo ogni frase. I boati della folla superavano la voce dell’altoparlante al massimo volume, e indubbiamente le pause erano anche una buona occasione per riposare. Ma Prof non sembrava più vecchio, stanco e ammalato. Il ritorno al Sasso si era dimostrato il miracoloso rimedio di cui aveva bisogno. Lo stesso per me. Mi pareva meraviglioso essere del mio giusto peso, sentirmi pieno di energia, respirare l’aria pura e ossigenata della nostra grotta.

Era impossibile fare entrare tutta la popolazione di Luna City nella Vecchia Cattedrale, ma sembrava che l’avessero provato. Calcolai un’area di dieci metri quadrati e tentai di contare le teste, ma, arrivato a duecento senza essere nemmeno a metà, rinunciai. Il Lunatic valutò il numero dei presenti a trentamila. A me parve impossibile.

Le parole di Prof giunsero comunque a tutti i tre milioni di cittadini: televisione e radio le diffusero in ogni grotta. Prof colse l’occasione per accennare al futuro di schiavitù che l’Ente aveva programmato per i Lunari. Agitò il famoso schema del piano quinquennale. — Ecco! — gridava. — Le vostre catene! I ceppi alle gambe! Li volete portare?

— No!

— Sulla Terra dicono che dovrete restare schiavi! Dicono che useranno le bombe acca… e chi sopravvivrà dovrà arrendersi e portare le catene. Lo volete?

— No! Mai!

— Mai! — fece eco Prof. — Minacciano di mandare le truppe, nuove truppe per commettere violenze e assassinii. Noi le combatteremo!

— Sì!

— Combatteremo in superficie, combatteremo nelle grotte, combatteremo nei corridoi! Se dovremo morire, moriremo liberi!

— Sì! Ja! Da!

— E se moriremo, la storia scriverà: Queste sono state le giornate più gloriose della Luna! Libertà… o morte!

Mi sembrava di avere già sentito quelle parole. Ma uscirono dalla bocca di Prof con un tono così fresco e nuovo che mi unii agli applausi. Vedete, sapevo che non potevamo sconfiggere la Terra. Io sono un tecnico e so che a un missile non interessa quanto è coraggioso il nemico. Ma anch’io ero pronto: se guerra doveva essere, viva la guerra!

Prof lasciò che il frastuono degli applausi si chetasse, poi intonò l’Inno di Battaglia della Repubblica, nella versione di Simon. Adam ricomparve sullo schermo e diresse il coro unendosi al canto mentre noi cercavamo di svignarcela con l’aiuto dei ragazzi di Slim. Ma le donne non volevano lasciarci andare e i ragazzi non avevano certo autorità nei loro confronti. Ci bloccarono a ogni passo. Erano le ventidue quando noi quattro, Wyoh, Prof, Stu e io, ci chiudemmo finalmente nella stanza L del Raffles, dove Adam si unì a noi per mezzo del video. Io e tutti gli altri stavamo morendo di fame; ordinammo da mangiare e Prof insistette per rinviare le discussioni politiche a dopo pranzo.

Alla fine, ci mettemmo al lavoro.

Adam ci chiese di leggere a voce alta lo schema del piano quinquennale dell’Ente, per lui e la compagna Wyoh. — Ma prima, compagno Manuel, potresti trasmettermi le registrazioni fatte sulla Terra per telefono? Le farò trascrivere per esaminarle. Finora ho soltanto i rapporti in codice inviatimi dal compagno Stuart.

Sapevo che Mike le avrebbe esaminate immediatamente, il giro di parole faceva parte del mito di Adam Selene. Decisi di parlare a Prof di mettere Stu al corrente della situazione. Se Stu doveva far parte della cellula esecutiva, era assurdo continuare a fingere con lui.

Impiegai cinque minuti per fornire a Mike, a supervelocità, le mie registrazioni, e un’altra mezz’ora per leggere a voce alta lo schema. Alla fine Adam osservò: — Professore, i festeggiamenti hanno avuto più successo di guanto mi aspettassi, grazie al tuo discorso. Penso che potremmo dichiarare immediatamente l’embargo del grano. Vorrei convocare stanotte stessa l’Assemblea per domani a mezzogiorno.

Dissi: — Quelle teste vuote andrebbero avanti per settimane a perdere tempo. Se devi impedirglielo, fai come per la Dichiarazione d’Indipendenza. Dopo una giornata di discussioni, tira fuori la mozione per l’embargo dopo mezzanotte, facendo intervenire i nostri uomini.

Mi rispose Adam. — Mi dispiace, Manuel, io mi sto mettendo solo ora al corrente di quello che è accaduto sulla Terra, ma tu sei rimasto un po’ indietro con gli sviluppi sulla Luna. Non è più la stessa Assemblea. Compagna Wyoming.

— Mannie caro, è un’Assemblea eletta, questa. Deve dare la sua approvazione a ogni proposta del governo provvisorio.

Lentamente dissi: — Avete tenuto le elezioni e avete messo la situazione in mano all’Assemblea? Tutto? Ma allora che cosa stiamo a fare qui noi? — Guardai Prof, aspettandomi che esplodesse. Le mie obiezioni erano indubbiamente basate su considerazioni diverse dalle sue, ma non vedevo la ragione di cambiare un gruppo di chiacchieroni perditempo con un altro. Almeno il primo gruppo era così vago che potevamo servircene a nostro piacere. I nuovi eletti, invece, non si sarebbero lasciati convincere tanto facilmente.

Prof era imperturbabile. Teneva le punte delle dita di una mano premute contro quelle dell’altra mano e appariva calmo e sereno. — Manuel — disse — non credo che la situazione sia così grave come la dipingi tu. A ogni stadio dello sviluppo di una società è necessario adattarsi alla mitologia popolare. C’è stato un tempo in cui i re erano consacrati dalla Divinità, e l’unico problema era che la consacrazione divina cadesse sul candidato giusto. Adesso siamo al mito della volontà popolare, ma il problema è diverso solo in superficie. Il compagno Adam e io abbiamo avuto lunghe discussioni sul modo di determinare la volontà del popolo. Credo di poter affermare che con questa soluzione lavoreremo in maniera soddisfacente.

— Va bene… d’accordo. Ma perché mi avete tenuto all’oscuro? Stu, ne eri al corrente?

— No, Mannie. Non c’era ragione di farmelo sapere. — Scrollò le spalle. — Del resto, io sono monarchico e la cosa non mi avrebbe interessato. Ma sono d’accordo con Prof che oggi, nella nostra epoca, le elezioni sono un rito indispensabile.

Prof continuò: — Manuel, non era necessario che ci mettessero al corrente degli sviluppi prima del nostro ritorno. Avevamo altro da fare. Il compagno Adam e la cara compagna Wyoming hanno fatto fronte alla situazione in nostra assenza. Vediamo come si sono comportati, prima di giudicare quello che è successo.

— Chiedo scusa. Allora, Wyoh?

— Mannie, non abbiamo abbandonato tutto al caso. Adam e io abbiamo stabilito che un’Assemblea di trecento membri sarebbe stata sufficiente. Poi siamo stati per ore a esaminare le liste del Partito, senza dimenticare le personalità più in vista, al di fuori della nostra organizzazione. Infine abbiamo predisposto un elenco di candidati che comprendeva anche alcuni membri della Prima Assemblea Costituente. Non erano tutte teste vuote. Scegliemmo i migliori, nel maggior numero possibile. Poi Adam telefonò a ciascuno di loro chiedendo se erano disposti, e vincolandoli al segreto. Alcuni dovettero essere sostituiti. Quando fummo pronti, Adam parlò alla televisione annunciando che era venuto il momento di mantenere l’impegno preso dal Partito per libere elezioni, stabilì una data e disse che tutti i cittadini di età superiore ai sedici anni avevano diritto di voto. Per essere candidati, bastava raccogliere cento firme in calce a una petizione di nomina e depositarla alla Vecchia Cattedrale o nell’apposita sala dei pubblici avvisi della propria grotta. C’erano dieci candidati per ogni collegio. In questo modo ogni grotta, tranne le più piccole, aveva almeno un collegio elettorale.

— E allora avete lanciato la candidatura dei vostri trecento e la lista del Partito è stata eletta in blocco.

— Oh, no, caro! Non c’era una lista del Partito… ufficialmente. Ma noi eravamo pronti con i nostri candidati, e debbo dire che i nostri ragazzi sono stati in gamba a raccogliere firme. I nomi dei trecento candidati designati da me e Adam sono stati esposti il primo giorno. Poi ci furono molte altre candidature, in totale più di duemila. Ma mancavano solo dieci giorni alle elezioni e noi sapevamo quello che volevamo, mentre l’opposizione era divisa. Non fu necessario che Adam appoggiasse pubblicamente i candidati. Il sistema ha funzionato da sé… tu hai avuto il massimo delle preferenze, con un margine di settemila voti, mentre il tuo più pericoloso rivale ha avuto in tutto mille voti.

— Io ho vinto?

— Tu, io, il Professore, il compagno Clayton e più o meno tutti quelli che volevamo all’Assemblea. Non è stato difficile. Sebbene Adam non abbia mai sostenuto nessuno, io non esitai a far sapere ai compagni per chi si dovesse votare. Anche Simon ha fatto la sua parte. Poi siamo in ottimi rapporti con i giornali. Avrei voluto che fossi stato qui la sera delle elezioni, mentre arrivavano i risultati. Un’esperienza eccitante!

— Come avete fatto per individuare gli elettori? Non so come funzionano le elezioni. Avete fatto scrivere a tutti il loro nome dopo il voto?

— No, abbiamo usato un sistema più adatto, perché, dopo tutto, alcuni dei nostri uomini migliori non sanno scrivere. I seggi elettorali erano nelle banche e gli impiegati identificavano i loro clienti, i quali, a loro volta, identificavano i membri della propria famiglia, gli amici e i vicini di casa che non avevano conto in banca. Il voto veniva espresso a voce e gli impiegati delle banche, assistiti da scrutatori, registravano i voti sulle schede perforate dei calcolatori, i dati parziali venivano istantaneamente registrati dal calcolatore della Banca centrale di Luna City. Votammo tutti in meno di tre ore e pochi minuti dopo la chiusura dei seggi elettorali furono pubblicati i risultati.

Improvvisamente mi balenò un’idea nel cervello e decisi di chiederne conto privatamente a Wyoh. No, non a Wyoh, a Mike. Aggirare la personalità di Adam Selene e strappare la verità dai suoi neuristors. Mi ricordai di un assegno con dieci milioni di miliardi di dollari di troppo e mi chiesi quante persone avevano effettivamente votato per me. Settemila? Settecento? Oppure solo familiari e amici?

Comunque, smisi di preoccuparmi per il nuovo Parlamento. Prof aveva ideato il colpo con Mike e poi era scomparso sulla Terra mentre il delitto veniva consumato. Era inutile fare domande a Wyoh: non era necessario che sapesse quello che aveva fatto Mike, e avrebbe svolto meglio il suo compito senza nutrire alcun sospetto.

E nessun altro avrebbe avuto sospetti. Se c’era una cosa che tutti davano per scontata era proprio il fatto che se si forniscono cifre esatte a un calcolatore i risultati dell’elaborazione saranno altrettanto esatti e onesti. Non avrei avuto dubbi nemmeno io, se non avessi incontrato un calcolatore dotato di umorismo.

Cambiai anche opinione a proposito di far sapere a Stu la vera identità di Mike. Tre persone erano troppe, o forse troppo poche. Stavo per dire: — Mi… — poi mi salvai rapidamente cambiando in: — Misericordia, che successo! Di quanto abbiamo vinto?

Adam rispose con voce inespressiva. — È risultato eletto l’ottantasei percento dei nostri candidati. Approssimativamente quello che avevo previsto.

(Approssimativamente, vero Mike? Esattamente la percentuale prevista, vecchio ammasso di ferraglia!) — Ritiro ogni obiezione sulla seduta di mezzogiorno. Sarò presente.

— Mi pare — disse Stu — dato che l’embargo avrà inizio subito, che ci vorrà qualche cosa per mantenere vivo l’entusiasmo di questa sera. Altrimenti cadremo in un lungo periodo di depressione economica… l’effetto immediato dell’embargo sarà questo, inevitabilmente… fonte di una progressiva delusione del popolo. Adam, mi ha colpito la tua capacità di prevedere con acume gli avvenimenti futuri. Sono fondati i miei timori?

— Lo sono.

— E allora?

Adam ci guardò a uno a uno, ed era quasi impossibile credere che si trattasse di un’immagine falsa, creata con una rete di impulsi elettrici. — Compagni — disse solennemente — bisogna arrivare alla guerra aperta, al più presto possibile.

Nessuno trovò il coraggio di parlare. Un conto è discutere astrattamente di guerra, un altro è affrontarla a viso aperto. Dopo qualche secondo di silenzio, io sospirai e chiesi: — Quando cominceremo a lanciare sassi?

— Non cominceremo — rispose Adam. — Aspettiamo che siano loro ad attaccare per primi. Come costringerli a farlo? Mi riservo di esprimere per ultimo la mia opinione. Compagno Manuel?

— Ah… non chiedere a me. Il mio desiderio sarebbe di mandare un bel masso a sfracellarsi su Agra. Ci abita un disgraziato per il quale lo spazio che occupa è tutto sprecato. Ma non credo che sia la proposta che hai in mente tu.

— No, infatti — disse Adam in tono serio. — Non solo faresti infuriare l’intera Nazione indiana, che si oppone fermamente alla distruzione della vita, ma provocheresti ira e scompiglio in tutti i popoli della Terra distruggendo il Taj Mahal.

— Ne sarei sconvolto anch’io — intervenne Prof. — Non dire stupidaggini, Manuel.

— Non ho detto di farlo — mi difesi. — In ogni caso, risparmieremmo il Taj Mahal.

— Manuel — riprese Prof — come ha fatto osservare Adam, dobbiamo costringerli a sparare per primi. Ma come? Adam, io suggerirei di diffondere l’idea che siamo deboli e divisi e che basta una piccola dimostrazione di forza per riportarci sulla retta via. Stu, i tuoi uomini sulla Terra potrebbero aiutarci. Supponiamo, ad esempio, che il Parlamento censuri me e Manuel. Immaginate le conseguenze?

— Oh, no! — esclamò Wyoh.

— E invece sì, cara Wyoh. Non è necessario che avvenga, basta che ne giunga notizia alla Terra. Meglio ancora, potremmo inviare un messaggio con una stazione radio clandestina, come quella degli scienziati terrestri, mentre i canali ufficiali continuano a ostentare sicurezza e a mettere in atto una rigida censura. Che ne pensi, Adam?

— Ottima tattica, che probabilmente inseriremo nel nostro piano strategico. Ma di per sé è insufficiente. Devono bombardarci.

— Adam — intervenne Wyoh — perché dici questo? Anche se Luna City può resistere a un bombardamento, che spero non debba mai venire, tutti sappiamo che la Luna non può fare fronte a una guerra vera e propria. Lo hai detto anche tu, e più di una volta. Non c’è modo di sistemare le cose in modo pacifico, in modo che ci lascino in pace?

Adam si pizzicò la guancia sinistra… e io pensai Mike, se non la smetti di recitare, incomincerò anch’io a credere che sei un uomo in carne e ossa. Quell’atteggiamento mi seccava e avevo proprio voglia di fare due chiacchiere a tu per tu con lui, senza dovermi sempre inchinare al Presidente Selene.

— Compagna Wyoming — cominciò sobriamente — stiamo giocando a tavolino una partita che, nella realtà, può avere mille svolgimenti diversi. Abbiamo certe risorse, o pezzi da giocare come a scacchi, e un numero infinito di mosse possibili. Noi dobbiamo manovrare i nostri pezzi in modo che la forza di cui disponiamo sia utilizzata per ottenere il miglior risultato, costringendo contemporaneamente l’avversario a sprecare le sue risorse infinitamente superiori in modo da impedirgliene lo sfruttamento massimo. È necessario che scegliamo con la massima attenzione il momento più opportuno per la prima mossa e che la prima mossa sia tale da dare l’avvio a una catena di circostanze favorevoli alla nostra strategia. Mi rendo conto che questo discorso può non essere chiaro. Potrei fare analizzare tutti i fattori in gioco da un calcolatore elettronico e darvi le prove necessarie. Potete accettare le mie conclusioni, oppure fare di testa vostra.

Voleva ricordare a Wyoh (sotto il naso di Stu) che lui non era Adam Selene, ma Mike, il nostro cervellone che riusciva a maneggiare un problema tanto complesso perché lui era un calcolatore, e il più brillante che ci fosse al mondo.

Wyoh fece marcia indietro. — No, no — esclamò — non capirei i calcoli. D’accordo, si deve fare la guerra. Da che parte cominciamo?

Vennero le quattro prima che fosse pronto un piano accettato da Prof, da Stu, nonché da Adam… o meglio, occorse a Mike tutto quel tempo per vendere la sua merce, fingendo di attingere idee da ciascuno di noi. O era invece il piano di Prof, di cui Adam Selene era il propagandista?

Comunque fosse, quel martedì 14 agosto 2076 stabilimmo un piano di massima e una strategia generale. In sostanza il nostro obiettivo era di comportarci con la massima fermezza dando invece l’impressione che sarebbe stato estremamente facile prenderci a sculaccioni e metterci in ginocchio.

13

A mezzogiorno, dopo un sonno troppo breve, ero già nel Palazzo dei Congressi, e scoprii che avrei potuto dormire un altro paio d’ore: i parlamentari di Hong Kong non erano riusciti a giungere in tempo, nonostante la nuova Metropolitana.

Solo alle due e mezzo Wyoh dichiarò aperti i lavori.

Già, la mia nuova sposa era Presidente pro-tempore di quel nuovo Parlamento non ancora organizzato. Le procedure parlamentari sembravano cosa familiare per lei, e la sua nomina si dimostrò un’ottima scelta. Un’assemblea di Lunari si comporta meglio, quando c’è una donna a battere il martelletto sul tavolo.

Non voglio entrare nei particolari di quella prima seduta e delle successive. Il resoconto stenografico è di pubblico dominio. Io mi facevo vedere solo quando era necessario e non mi preoccupai di imparare le regole del gioco parlamentare; servendosi in parti uguali della sua gentilezza e della sua abilità, il Presidente riusciva, come con un colpo di bacchetta magica, a riportare le discussioni nella direzione voluta da lui (anzi da lei).

Appena Wyoh ebbe ottenuto il silenzio, un tale si alzò in piedi e disse: — Signora Presidente, propongo che si rinvii la discussione dell’ordine del giorno e che si cominci con una relazione del Professor Bernardo de la Paz! — La mozione scatenò un fragoroso applauso.

Wyoh batté il martelletto. — La mozione non è regolare e quindi il rappresentante di Churcill Inferiore si sieda. Questa Camera aveva sospeso i lavori senza aggiornare la seduta e la parola, quindi, spetta ancora al Presidente della Commissione per la nomina del Governo.

Risultò che si trattava di Wolfgang Korsakov, eletto a Tycho Under (membro della cellula di Prof e massimo dirigente della LuNoHo). Non solo aveva ancora la parola, ma se la tenne per tutta la giornata, cedendo il microfono come e quando pareva a lui (cioè sceglieva quelli che voleva che parlassero, anziché lasciar parlare chi lo desiderava). Nessuno mostrò irritazione. Il branco pareva soddisfatto che ci fosse qualcuno a guidarlo. Era rumoroso e non era in grado di seguire le regole.

Per l’ora di cena, la Luna aveva un governo pronto a sostituire il governo provvisorio (cioè il governo che avevamo costituito noi stessi e che aveva inviato Prof e me sulla Terra). Il Parlamento avallò tutti gli atti compiuti dal governo provvisorio, accettando quindi il fatto compiuto, ringraziò il governo uscente per l’opera svolta e diede mandato alla Commissione di Wolfgang di continuare lo studio sulla futura struttura governativa permanente.

Prof fu nominato Presidente del Parlamento e Primo Ministro del governo ad interim, fino al giorno in cui avremmo avuto una costituzione. Prof fece obiezioni per via della sua età e salute… poi disse che avrebbe accettato se gli avessero fatto certe concessioni per aiutarlo: si sentiva troppo vecchio ed esaurito dal viaggio sulla Terra per assumersi la responsabilità di presiedere il Parlamento (tranne che nelle cerimonie ufficiali) e pertanto chiedeva che il Parlamento eleggesse due vicepresidenti pro-tempore. Desiderava inoltre che il Parlamento accettasse di aumentare il numero dei propri membri, fino a un massimo del dieci per cento, eleggendo membri senza diritto di voto, in modo che il Primo Ministro potesse nominare ministri sottosegretari anche fra persone che non facevano attualmente parte del Parlamento, in particolar modo, ministri senza portafoglio che lo avrebbero sollevato di parte dei suoi compiti.

Ci fu un’ondata di obiezioni. Erano tutti orgogliosi e gelosi della loro prerogativa di parlamentari, ma Prof era lì, seduto in attesa, con un’aria così stanca, che alla fine uno fece osservare che la proposta non avrebbe alterato le caratteristiche del Parlamento. Gli concessero quello che aveva chiesto.

Poi si alzò a parlare un tale che, sotto forma di interrogazione alla presidenza, pronunciò un vero e proprio discorso. Tutti sapevano, disse, che Adam Selene non aveva voluto presentare la propria candidatura al Parlamento perché riteneva che il Presidente del Comitato di Emergenza non dovesse avvantaggiarsi della propria posizione per conquistare una facile vittoria elettorale, ma poteva l’Onorevole Signora Presidente spiegare ai colleghi se vi erano ragioni valide per non eleggere Adam Selene membro senza diritto di voto, in riconoscimento della grande opera da lui svolta? E per far sapere a tutta la Luna, e anche a quei vermi della Terra, in particolar modo all’ex Ente Lunare, che noi non ripudiavamo Adam Selene? Al contrario, egli era il nostro amato padre della rivoluzione, e non era stato eletto Primo Ministro solo perché lui non aveva voluto!

Gli applausi scrosciarono. Sui verbali della riunione è riportato il nome di chi pronunciò il discorso, ma scommetto dieci a uno che fu Wyoh a lanciare l’idea e Prof a scrivere il discorso.

Ecco i risultati, frutto del lavoro di molti giorni.

Primo Ministro e Segretario di Stato per gli Affari Esteri: Professor Bernardo de la Paz.

Vicepresidenti: Finn Nielsen e Wyoming Davis.

Ministro della Difesa e Sottosegretario per gli Affari Esteri: Generale O’Kelly Davis. Ministro delle Informazioni: Terence Sheehan (che lasciò la Pravda nelle mani del redattore capo, per mettersi a lavorare con Adam Selene e con Stu). Ministro senza portafoglio presso il Ministero delle Informazioni: Stuart René LaJoie, membro senza diritto di voto al Parlamento. Ministro per l’Economia e la Finanza (e incaricato dell’amministrazione dei possedimenti nemici): Wolfgang Korsakov. Ministro degli Affari Interni e della Sicurezza: compagno Clayton Watenabe. Ministro senza portafoglio e Consigliere Speciale del Primo Ministro: Adam Selene. Più una dozzina di ministri, sottosegretari e ministri senza portafoglio, rappresentanti delle varie grotte.

Avete capito com’erano andate le cose? Tolti di mezzo i titoli di fantasia, restava il fatto che la cellula B manteneva il controllo della situazione, come aveva consigliato Mike. Dietro, un Parlamento nel quale non avremmo potuto perdere nessun voto su questioni importanti. Ne avremmo persi su questioni marginali, sulle quali potevamo permetterci di cedere.

Ma al momento non riuscivo a raccapezzarmi fra tutte quelle chiacchiere, quei titoli, quelle apparenze.

Durante la seduta serale, Prof tenne una relazione sul nostro viaggio, quindi col consenso del Presidente della Commissione, Korsakov, mi cedette la parola per fornire chiarimenti sul piano quinquennale e sul tentativo di corruzione di cui ero stato fatto oggetto da parte dell’Ente. Non sono un oratore, ma durante l’intervallo avevo avuto il tempo di studiarmi a memoria il discorso preparatomi da Mike. Lo aveva reso così efficace che mi arrabbiai di nuovo sugli avvenimenti trascorsi ed ero talmente caricato, quando finii di pronunciarlo, che il Parlamento intero era pronto a rimboccarsi le maniche e lottare al mio fianco.

Dopo che mi fui seduto, si alzò in piedi Prof, magro e pallido, e disse con la sua voce tranquilla: — Compagni del Parlamento, che cosa vogliamo fare? Io consiglierei, con il consenso del Presidente Korsakov, di aprire una discussione sul modo di rispondere a quest’ultima offesa rivolta alla nostra Nazione.

Un rappresentante di Novylen voleva dichiarare la guerra e tutti sarebbero stati pronti a dare immediata approvazione alla proposta se Prof non avesse fatto osservare che, per una simile decisione, bisognava sentire prima i pareri delle commissioni competenti.

Continuarono gli interventi, tutti amari. Alla fine si alzò il compagno Chang Jones. — Cari colleghi, io sono un coltivatore di riso e grano — disse. — Anzi, lo ero, perché in maggio, grazie a un prestito della banca, io e i miei figli ci siamo dedicati alla coltivazione di altri prodotti. Siamo al verde, al punto che ho dovuto farmi prestare i soldi per il biglietto della Metropolitana, ma la mia famiglia ha ancora da mangiare, e un giorno o l’altro regoleremo il debito con la banca. Per lo meno, non coltivo più grano.

"Altri, pero, continuano. La catapulta non ha mai diminuito il ritmo degli invii, da quando siamo liberi. Continuiamo a spedire carichi di grano, sperando che gli assegni con cui veniamo pagati tornino un giorno ad avere valore. Ma ora lo sappiamo! Ci hanno detto che cosa la Terra vuole fare di noi! Io dico che l’unico modo per far capire a quei delinquenti che facciamo sul serio è di far cessare immediatamente le spedizioni di grano! Neppure una tonnellata, nemmeno un chilo, finché non verranno qui a trattare onestamente il giusto prezzo!"

A mezzanotte fu approvato l’embargo, poi la seduta fu aggiornata fino alla prossima convocazione, mentre le commissioni permanenti avrebbero continuato i lavori.

Wyoh e io tornammo a casa e ritrovai le mie abitudini familiari. Per il momento, non c’era niente da fare. Mike-Adam e Stu avevano studiato il modo migliore per annunciare l’embargo alla Terra e Mike aveva già chiuso da ventiquattro ore la catapulta (difficoltà tecnico-balistiche del calcolatore). L’ultima chiatta, attualmente in viaggio, sarebbe arrivata in poco più di un giorno. Poi la Terra sarebbe stata avvertita, molto laconicamente, che quello era l’ultimo carico di grano che avrebbe ricevuto.

14

Per addolcire la pillola ai coltivatori, continuammo a comprare il grano alla catapulta, ma i nuovi assegni recavano la stampigliatura che lo Stato di Luna Libera non garantiva più per essi né direttamente né per l’eventuale copertura da parte dell’Ente Lunare. Alcuni agricoltori vendettero ugualmente il grano, altri se lo tennero, tutti quanti protestarono. Ma non c’era niente da fare. La catapulta era chiusa e i nastri trasportatori del grano erano fermi.

Nel resto dell’economia la depressione non si fece sentire immediatamente. La creazione di reparti militari per la difesa aveva talmente ridotto le file dei minatori di ghiaccio, che la vendita del ghiaccio sul mercato libero dava ottimi profitti. L’azienda consociata della LuNoHo, che produceva acciaio, assumeva tutti gli individui abili al lavoro che riusciva a trovare, e Wolfgang Korsakov aveva fatto stampare valuta cartacea in abbondanza, molto simile ai dollari di Hong Kong e teoricamente ancorata a essi. La Luna era piena di lavoro, denaro e generi alimentari. La gente non si lamentava. Birra, gioco, donne e lavoro continuarono come prima.

I Nazionali, come venivano chiamati i nuovi biglietti di banca, erano denaro inflazionato, di guerra, inconvertibile. Circolavano facilmente e il loro valore non cadde mai a zero, ma certo c’era l’inflazione e il cambio ne risentiva ogni giorno di più. Il nuovo governo stava spendendo denaro che non aveva.

Ma questo accadde più tardi.

La sfida alla Terra, all’Ente e alle Nazioni Federate fu fatta nel modo più provocatorio possibile. Le astronavi delle Nazioni Federate furono avvertite di tenersi ad almeno dieci diametri di distanza dalla Luna e di non entrare in orbita, pena la distruzione immediata, senza preavviso (non era chiaro come, dato che non ne avevamo i mezzi). Le astronavi private avevano il permesso di atterrare se: a) chiedevano l’autorizzazione preventiva presentando il piano di volo, b) la nave così autorizzata si metteva sotto il Controllo della Luna (Mike) a una distanza di centomila chilometri, c) erano disarmate, con la sola eccezione di tre pistole in possesso dei soli ufficiali di bordo. L’ultima clausola implicava la perquisizione al momento dell’atterraggio, prima che chiunque avesse il permesso di sbarcare e la nave potesse fare rifornimento di carburante. La violazione di queste norme avrebbe determinato la confisca delle navi. Nessun Terrestre poteva sbarcare sulla Luna, tranne i membri dell’equipaggio incaricati delle operazioni di carico, scarico e rifornimento, con l’eccezione per i cittadini delle Nazioni Terrestri che avevano riconosciuto il governo di Luna Libera (solo il Ciad, e il Ciad non possedeva astronavi. Prof si aspettava che alcune astronavi private si facessero registrare nella flotta mercantile del Ciad).

Un proclama annunciava che gli scienziati terrestri che ancora si trovavano sulla Luna potevano tornare in patria su qualsiasi astronave che si conformasse alle nostre clausole. Invitava quindi tutte le Nazioni della Terra amanti della libertà a denunciare i torti compiuti ai nostri danni da parte dell’Ente, a riconoscerci e a stabilire un libero commercio con noi. Faceva notare che non esistevano dogane o restrizioni di alcun tipo nei confronti del libero commercio sulla Luna e che era ferma intenzione del governo lunare di mantenere inalterato questo sistema. Auspicava l’arrivo di emigranti, osservando che sulla Luna c’era scarsità di mano d’opera e che ogni nuovo cittadino avrebbe trovato immediate possibilità di guadagno.

Esaltammo anche le qualità del nostro regime alimentare: oltre quattromila calorie al giorno per gli adulti, alto contenuto proteico, prezzo basso, nessun razionamento. Stu convinse Mike-Adam a vantare il prezzo della nostra vodka, pura al cento per cento: mezzo dollaro di Hong Kong a litro, anche meno se acquistata all’ingrosso, esente da tasse. Dato che questo era meno del dieci per cento del prezzo della vodka al minuto (di qualità inferiore) nell’America del Nord. Stu sapeva che la notizia avrebbe fatto impressione. Mike, astemio per natura, non ci aveva pensato: una delle sue poche disattenzioni.

L’Ente Lunare fu invitato a riunire la direzione in una località disabitata, una zona desertica del Sahara, per esempio, dove venne lanciata un’ultima chiatta carica di grano, gratis… che facemmo precipitare in caduta libera. A questo fece seguito un impertinente proclama che lasciava capire che eravamo pronti a trattare allo stesso modo chiunque minacciasse la nostra pace e indipendenza, dato che avevamo a disposizione un certo numero di chiatte cariche alla catapulta, già pronte per un’analoga spedizione, senza troppe cerimonie.

Poi aspettammo.

Fu un’attesa piena di attività. Effettivamente, avevamo alcune chiatte cariche. Le scaricammo e le riempimmo di sassi apportando alcuni cambiamenti nel sistema di guida in maniera che il Controllo Terrestre di Poona non potesse interferire con la traiettoria. Togliemmo i retrorazzi frenanti, lasciando soltanto i propulsori laterali. I retrorazzi recuperati furono trasportati alla nuova catapulta per essere riadattati come razzi per la correzione della traiettoria. Il nostro massimo impegno fu assorbito dal trasporto dell’acciaio alla nuova catapulta e dalla sua trasformazione in contenitori cilindrici per i nuovi proiettili fatti di rocce. L’acciaio era alquanto scarso.

Due giorni dopo il proclama di embargo, una radio clandestina cominciò a trasmettere segnali alla Terra. I segnali erano deboli e intermittenti, dato che volevamo fingere che la trasmittente fosse nascosta, magari in un cratere, e potesse essere usata solo in certe ore della giornata fino a che coraggiosi scienziati terrestri fossero stati in grado d’installare un ripetitore automatico. La radio trasmetteva su una frequenza vicina a quella di Radio Luna Libera, che minacciava continuamente di soffocarla con i suoi rumorosi comunicati.

In realtà i Terrestri rimasti sulla Luna non avevano alcuna possibilità di comunicare con la Terra. Quelli che avevano preferito continuare le loro ricerche sulla Luna erano scortati in ogni istante dalle nostre bande di giovani e dormivano nelle caserme, sotto chiave.

La stazione clandestina riuscì a far giungere la verità sulla Terra: Prof era stato processato per deviazionismo ed era in arresto, io ero stato giustiziato per tradimento. Hong Kong Luna si era ribellata, dichiarandosi indipendente, ed era disposta a trattare. Disordini erano scoppiati a Novylen. Tutte le fattorie erano state collettivizzate e le uova erano in vendita al mercato nero di Luna City al prezzo di tre dollari ciascuna. Erano stati costituiti battaglioni di truppe femminili, e ciascuna donna arruolata doveva giurare di uccidere almeno un Terrestre, i battaglioni si addestravano nei corridoi di Luna City imbracciando fucili finti.

L’ultima notizia era quasi vera. Parecchie donne volevano darsi da fare a ogni costo e avevano formato un Corpo di Difesa Nazionale, chiamato Le Dame dell’Ade. Ma le loro esercitazioni, pur avendo uno scopo pratico, erano poco militari (Hazel aveva messo il broncio perché Mum non le aveva permesso di arruolarsi). Poi smise il broncio e costituì il gruppo delle giovani Esordienti, un corpo di difesa di giovanissime che si addestrava dopo l’orario scolastico, senza armi, e il cui compito principale consisteva nello spalleggiare i giovani addetti al servizio aria e pressione e nel compiere interventi di pronto soccorso (nonché un proprio sistema di lotta senza armi di cui speriamo che Mum non sia mai venuta a conoscenza).

Non so che altro dire. Non posso riferire tutto quello che accadde, ma so di certo che i libri di storia raccontano enormi frottole.

Come ministro della Difesa non valevo molto di più che come deputato al Parlamento. Non sto cercando di scusarmi, ma effettivamente mi mancava la pratica. La rivoluzione è quasi per tutti un’avventura dilettantesca. Prof era l’unico che sembrava cosciente di quello che faceva, anche se, per la verità, era un’attività nuova anche per lui. Non aveva mai partecipato a una rivoluzione vittoriosa, né era mai stato membro di un governo, tanto meno il capo.

Come ministro della Difesa, non vedevo altri modi di difendere la patria oltre a quelli già previsti, cioè squadre di giovani per mantenere in efficienza il condizionamento d’aria nelle rotte e le artiglierie a raggi laser piazzate accanto ai radar balistici. Se le Nazioni Federate decidevano di bombardarci, non avevamo alcun modo di impedirlo. Non avevamo un solo missile di intercettamento in tutta la Luna. E non è un aggeggio che si possa mettere insieme con quattro ferri vecchi. Tra l’altro, non sapevamo nemmeno fabbricare testate nucleari per armare un eventuale missile.

Comunque mi davo da fare. Chiesi agli ingegneri cinesi che ci avevano costruito i fucili a raggi laser di prendere in considerazione il problema di intercettare bombe e missili (i due casi sono identici, salvo che i missili ti piovono in testa più rapidamente).

Poi mi occupai di altre cose, limitandomi a sperare che le Nazioni Federate non incominciassero a bombardare le grotte.

Alcune grotte, fra cui Luna City, erano talmente profonde che avrebbero resistito a un attacco diretto. In particolare una zona, quella dove si trovavano le Centrali dell’Ente e dove era installato Mike, era stata progettata per resistere a qualsiasi bombardamento nucleare. Invece, Tycho Under era una grande caverna naturale come quella dove era sorto il quartiere della Vecchia Cattedrale di Luna City, e il tetto aveva uno spessore di pochi metri. La sutura più debole era tenuta calda per mezzo di tubi percorsi da acqua bollente per evitare che il gelo della superficie aprisse fenditure. Una bomba sarebbe bastata per mandare in briciole Tycho Under.

Ma non c’è limite alla potenza di una bomba a fusione: le Nazioni Federate ne potevano costruire una grossa a sufficienza da distruggere Luna City o, in teoria, un ordigno da giorno del Giudizio Universale capace di spaccare la Luna come un melone e concludere il lavoro che un piccolo asteroide aveva cominciato a Tycho Under. Se volevano farlo non potevo certo impedirglielo, perciò non ci pensai più.

Invece mi dedicai ai problemi che ero in grado di risolvere: sovrintendere ai lavori della nuova catapulta, cercare di realizzare migliori dispositivi di puntamento per le artiglierie laser che difendevano i radar (e anche mi davo da fare per convincere gli uomini a rimanere ai loro posti di combattimento: almeno la metà se l’era squagliata alle prime notizie dell’aumento del prezzo del ghiaccio), inoltre istituii dispositivi di emergenza decentralizzati, in tutte le grotte. Mike aveva predisposto il piano e io confiscai tutti i calcolatori non indispensabili (pagando con Nazionali nuovi di zecca), affidai l’incarico a McIntyre, ex ingegnere capo dell’Ente: il lavoro rientrava nelle sue capacità e io non avrei potuto occuparmi di tutti i problemi tecnici connessi, nemmeno se avessi provato.

Tenni da parte il calcolatore più grosso, quello che faceva la contabilità alla Banca di Hong Kong. Mi lessi il manuale di istruzioni e decisi che, per non saper parlare, era un calcolatore molto efficiente. Chiesi a Mike se se la sentiva di insegnargli la balistica. Stabilimmo un collegamento temporaneo fra le due macchine perché facessero conoscenza reciproca e mi fece sapere che sarebbe riuscito a insegnargli a svolgere il lavoro elementare che volevo affidargli (la direzione della nuova catapulta), ma che non si sarebbe mai fidato a salire su un’astronave guidata da lui: era troppo terra-terra e privo di senso critico. Stupido, insomma.

Ma a me non interessava che sapesse fischiare canzonette o raccontasse storielle. Volevo solo che lanciasse proiettili dalla catapulta al millisecondo esatto e alla velocità giusta, controllasse la traiettoria e l’impatto sulla Terra e poi riferisse i risultati.

La Banca di Hong Kong non aveva intenzione di cedercelo. Ma nel consiglio di amministrazione c’erano alcuni patrioti e noi promettemmo di restituirlo al termine del periodo di emergenza. Lo trasportammo alla nuova sede con il rolligon, dato che era troppo grande per le capsule della Metropolitana, impiegandoci un paio di settimane. Per farlo uscire dalla grotta dovetti scardinare un’enorme porta stagna; arrivato a destinazione lo ricollegai a Mike, che riprese le lezioni di balistica. C’era il pericolo che un attacco terrestre isolasse Mike dalla catapulta, lasciandoci praticamente inermi.

Il tentativo di trasformare le perforatrici in armi di difesa spaziale fu più facile, ma meno lineare. Riuscimmo tuttavia a dotare le nuove artiglierie con meccanismi di puntamento abbastanza efficaci e ottimi osservatori. In più una serie di telefoni installati nelle centrali di tiro permetteva a Mike di ordinare ai mitraglieri come e dove sparare. Quattro pezzi furono completamente automatizzati, in modo che Mike li potesse usare direttamente.

Ma il problema più grave si rivelò quello degli uomini. Non per via del denaro, perché noi continuavamo ad aumentare le paghe. No, il fatto era che ai minatori piaceva lavorare, altrimenti avrebbero fatto un altro mestiere. Rimanere in ozio in una grotta, un giorno dopo l’altro, in attesa di allarmi che erano solo e sempre semplici esercitazioni, era un’esperienza che li faceva impazzire, e se ne andavano. Un giorno, era settembre, ordinai un’esercitazione: solo sette perforatrici-cannoni entrarono in funzione.

Quella sera stessa ne parlai con Wyoh e con Sidris. Il giorno dopo Wyoh volle sapere se Prof poteva autorizzare una certa spesa straordinaria. Venne l’autorizzazione e Wyoh costituì un reparto paramilitare chiamato Corpi di Lisistrata. Non indagai mai sul costo e sui compiti di questi reparti, dato che la prima volta che feci un’ispezione alle artiglierie, trovai tre ragazze e tutti gli artiglieri presenti. Le ragazze vestivano l’uniforme del 2° Reggimento artiglieria, come gli uomini (fino a quel giorno gli artiglieri non si erano mai preoccupati di indossare le uniformi regolamentari), e una ragazza portava i gradi di sergente sulla giacca e quelli di capitano sul berretto.

Quell’ispezione fu molto rapida. Per lo più le ragazze non hanno i muscoli adatti per fare il minatore e dubitavo molto che quella con i gradi fosse capace di maneggiare una perforatrice al punto di meritarsi la promozione. Ma il vero capitano che comandava la postazione era in servizio e questo contava; non vedevo alcun danno nel fatto che le ragazze imparassero a usare le armi a laser, e il morale era ovviamente molto elevato fra le truppe. Non mi occupai più della questione.

15

Prof aveva sottovalutato il suo nuovo Parlamento. Sono certo che aveva inteso costituire solo un organo che avallasse le nostre decisioni, rendendole così voce del popolo. Ma i membri del nuovo Parlamento non erano teste vuote e lo dimostrarono facendo molto di più di quello che voleva Prof. Specialmente la Commissione incaricata di studiare una struttura governativa permanente.

Ci sfuggì di mano perché stavamo tutti cercando di fare troppo. I capi del Parlamento erano teoricamente Prof, Finn Nielsen e Wyoh. Ma Prof si faceva vedere solo quando voleva tenere un discorso, vale a dire ben poche volte. Trascorreva la maggior parte del suo tempo con Mike, studiando piani e analisi (le nostre probabilità di successo salirono a una contro cinque in settembre), altro tempo con Stu e Terence Sheehan per la propaganda, controllando le notizie ufficiali dirette alla Terra nonché quelle, molto diverse, trasmesse con la radio clandestina. Inoltre sovrintendeva a tutto: io gli presentavo una relazione quotidiana e lo stesso facevano gli altri ministri, veri o falsi che fossero.

Finn Nielsen era il mio Comandante delle Forze Armate e io lo facevo lavorare sodo. Direttamente sotto di sé aveva la fanteria. Da sei uomini con armi catturati il giorno che rovesciammo il Governatore, gli effettivi erano saliti a ottocento, sparsi su tutto il territorio della Luna e armati di fucili a raggi laser fabbricati a Kongville. Facevano poi capo a lui, tramite Wyoh, le organizzazioni paramilitari, come le Giovani Esordienti, le Donne dell’Ade e gli Irregolari. Avevo scaricato queste responsabilità su Finn perché ero completamente assorbito da altri problemi, come cercare di essere contemporaneamente uomo di Stato e tecnico addetto ai calcolatori quando bisognava, per esempio, installare il calcolatore della Banca di Hong Kong nella nuova sede presso là catapulta.

E poi io non sono un Comandante, mentre Finn ne aveva tutte le qualità. Così gli passai il 1° e 2° Reggimento artiglieri. Prima, però, decisi di trasformare questi due reggimenti in una Brigata, e nominai Generale di Brigata il giudice Brody. Di questioni militari, Brody ne sapeva quanto me, cioè zero, ma era conosciuto, rispettato, e aveva il culto dell’ordine e della disciplina. Era stato anche minatore, prima di perdere una gamba. Finn, invece, non era mai stato in miniera a scavare e non potevo metterlo direttamente a capo dell’artiglieria. Le truppe non lo avrebbero ascoltato. Pensai anche di utilizzare il mio co-marito Greg, ma era più necessaria la sua presenza alla catapulta del Mare delle Onde, dato che era l’unico tecnico che avesse seguito ogni fase della costruzione.

Wyoh aiutava Prof, assisteva Stu, si occupava delle proprie organizzazioni giovanili, andava e veniva dal Mare delle Onde e aveva ben poco tempo per presiedere le sedute del Parlamento. Il compito ricadde sul decano dei presidenti di Commissione, Wolf Korsakov… che a sua volta era il più impegnato di tutti: dirigeva la LuNoHo che svolgeva le attività che erano state dell’Ente, oltre a innumerevoli altre, di nuova istituzione.

La Commissione di Wolf sapeva il fatto suo. Prof avrebbe dovuto controllarla più attentamente. Wolf aveva fatto in modo che il suo più fido collaboratore, Moshai Baum, venisse nominato vicepresidente e, con la massima serietà, aveva affidato alla Commissione il compito di redigere un progetto per la costituzione di un governo permanente. Poi Wolf aveva smesso di occuparsi della Commissione.

Quei giovani d’ingegno che componevano la Commissione si divisero in sotto-commissioni ed eseguirono il compito affidato loro: studiarono nei volumi della Biblioteca Carnegie le varie forme di governo, discussero in gruppi di lavoro ristretti (tre o quattro persone, se Prof l’avesse saputo se ne sarebbe preoccupato). Quando il Parlamento si unì all’inizio di settembre per ratificare alcune nomine ed eleggere nuovi membri senza diritto di voto, invece di aggiornare la seduta, il compagno Baum, che la presiedeva, chiese una breve sospensione; alla ripresa dei lavori l’Assemblea approvò una sua risoluzione e subito dopo venimmo a sapere che l’intero Parlamento si era autotrasformato in Assemblea Costituente, diviso in gruppi di lavoro, ciascuno facente capo alle sotto-commissioni istituite dal compagno Baum.

Per Prof fu un duro colpo. Ma dovette accettare il fatto compiuto, in quanto l’atto del Parlamento era legittimo, conforme alle norme che lui stesso aveva dettato. Comunque reagì con energia e si recò immediatamente a Novylen (nuova sede del Parlamento, più centrale) dove parlò con la sua solita calma e bonomia, limitandosi a spargere dubbi su ciò che si preparavano a fare, anziché dichiarare apertamente che stavano commettendo un grave errore.

16

Era il 12 ottobre 2076, un lunedì. Attorno alle diciannove stavo andando verso casa dopo una dura giornata di contrattempi e insulsaggini nel nostro quartier generale all’Hotel Raffles. Era venuta una delegazione di coltivatori di grano per parlare con Prof ed ero stato chiamato io, perché Prof si trovava a Hong Kong Luna.

Li avevo trattati con durezza. Erano passati mesi dal proclama dell’embargo e le Nazioni Federate non ci avevano mai fatto il favore di rispondere abbastanza aggressivamente. Ci avevano praticamente ignorato, non rispondendo alle nostre richieste. Immagino che se avessero risposto sarebbe stata una forma di riconoscimento implicito. Stu, Sheehan e Prof avevano avuto molto da fare per tenere alto lo spirito battagliero dei nostri.

All’inizio tutti avevano tenuto le tute a pressione a portata di mano. Le indossavano anche nei corridoi, andando e tornando dal lavoro, tenendo l’elmetto sotto braccio. Ma si erano subito tranquillizzati, vedendo che i giorni passavano e non c’era ombra di pericolo. Effettivamente le tute, ingombranti, erano una seccatura. Dopo qualche tempo le birrerie avevano esposto il cartello Vietato entrare con le tute. Se un Lunare non può entrare al bar a farsi un mezzo litro, a causa della tuta, rinuncia subito alla tuta e la lascia a casa o alla stazione, dovunque la possa recuperare rapidamente.

Per la verità quel giorno me l’ero dimenticata anch’io: ero stato chiamato in ufficio con urgenza e quando me ne ero ricordato ero già a metà strada. Avevo appena raggiunto la porta stagna numero tredici, poco lontano da casa, quando udii il rumore che più terrorizza un Lunare: un sibilo seguito da una corrente d’aria. Quasi senza accorgermene mi slanciai attraverso la porta stagna, la aprii per riequilibrare la pressione, poi la chiusi dietro di me e mi precipitai al nostro compartimento stagno privato.

Pochi secondi dopo piombavo in casa urlando: — Tute a pressione! Fate rientrare i ragazzi e sprangate tutte le porte! — Mum e Milla erano le uniche persone in vista. Mi guardarono sbalordite e si diedero da fare senza una parola. Mi lanciai nell’officina e presi la mia tuta a pressione. — Mike! Rispondi!

— Sono qui, Mannie — rispose in tono tranquillo.

— Ho sentito lo scoppio della caduta di pressione. Che cos’è successo?

— È la porta stagna del livello tre, Luna City. Una breccia alla Stazione Ovest, ora parzialmente sotto controllo. Sbarcate sei astronavi terrestri, Luna City attaccata…

— Che cosa?

— Lasciami finire, Man. Atterrate sei navi da trasporto truppe, Luna City minacciata di invasione, Hong Kong Luna nella stessa situazione, linee telefoniche interrotte al posto di controllo Bi-Elle. Johnson City attaccata. Ho chiuso le porte blindate fra Johnson City e le nostre centrali tecniche. Non riesco a vedere Novylen, ma il radar conferma che c’è stato uno sbarco di truppe anche là. Lo stesso a Churchill e Tycho Under. Una nave sta girando su una traiettoria ellittica sulla via verticale, probabilmente è l’ammiraglia.

— Sei astronavi… ma tu dove diavolo eri?

Mi rispose con un tono talmente calmo che mi acquietai anch’io. — Si sono avvicinati dall’emisfero opposto, Man, e io non riesco a vedere da quella parte. Sono scesi fra le strette gole di Garrison, sfiorando le pareti. Ho fatto appena in tempo a vedere l’invasione di Luna City. L’unica astronave che scorgo con i radar è quella di Johnson City, gli altri atterraggi li ho dedotti con calcoli balistici condotti su rilevazioni radio. Ho visto direttamente l’invasione alla Stazione Ovest di Luna City e ora sento per telefono il rumore dei combattimenti a Novylen. Tutto il resto è deduzione, approssimata al novantanove per cento. Ho avvertito te e il Professore.

Presi fiato. — Operazione Massi Giganti, pronti all’esecuzione.

— Già fatto. Man, non riuscendo a trovarti ho usato la tua voce e ho impartito gli ordini relativi. Vuoi risentire la comunicazione?

— No… anzi, sì!

Sentii la mia voce ordinare all’ufficiale di guardia alla vecchia catapulta di lanciare l’allarme rosso per l’Operazione Massi Giganti: primo carico in posizione di lancio, tutti gli altri allineati sulla cinghia di trasmissione, tutto pronto per l’azione, ma nessun lancio fino a nuovo ordine, che poteva essere impartito solo da me. Al mio segnale, dare il via ai lanci, secondo il programma. E alla fine sentii ancora la mia voce chiedere all’ufficiale di ripetere l’ordine.

— Va bene — dissi a Mike. — E l’artiglieria?

— Di nuovo la tua voce. Tutti pronti ai posti di combattimento. La nave ammiraglia raggiungerà l’aposelenio fra tre ore, quattro minuti e sette secondi. Nessun bersaglio arriverà a portata di tiro per almeno cinque ore.

— Ma l’astronave potrebbe spostarsi, o lanciare missili.

— Calma, Man. Anche se lancerà un missile, riuscirò a vederlo con parecchi minuti di anticipo. La giornata è luminosa. Fino a che punto vuoi innervosire gli uomini, senza necessità?

— Ah… scusa. Vorrei parlare con Greg.

— Ritrasmetto. — Udii di nuovo la mia voce parlare con il mio co-marito al Mare delle Onde. Il tono era teso, ma calmo. Mike, con la mia voce, aveva spiegato a Greg la situazione, gli aveva detto di preparare l’Operazione Fionda di David e di inserire nel calcolatore di riserva il programma relativo per l’azione automatica. Poi gli aveva assicurato che il calcolatore centrale avrebbe diretto il calcolatore di riserva e che questo avrebbe funzionato in modo autonomo in caso di interruzione delle comunicazioni. Gli aveva infine detto di tenersi pronto ad assumere il comando, facendo di testa sua nel caso che non potessi più mettermi in contatto con lui e che le comunicazioni non venissero ripristinate entro quattro ore… Che ascoltasse la radio terrestre e si arrangiasse con i suoi mezzi.

Greg aveva preso le cose con calma, aveva ripetuto gli ordini ricevuti e aveva detto: — Mannie, porta in famiglia i miei saluti più affettuosi, vi amo tutti profondamente. Ricordatene.

Ero fiero di Mike. Mi aveva fatto rispondere con la giusta intonazione, la voce strozzata dall’emozione. Lo farò, Greg… e, senti, anche noi ti vogliamo bene. Lo sai, vero?

Lo so, Mannie… dirò una preghiera speciale per te.

Grazie, Greg.

Ciao, Mannie. Vai a fare quello che devi.

Tornai ai miei doveri. Non eravamo pronti, ma non saremmo mai stati più preparati di così.

La guerra per la libertà della Luna era scoppiata.

17

La controffensiva era scattata. Mike aveva fatto la mia parte anche meglio di come l’avrei fatta io. Finn avrebbe preso ordini da Mike. Me ne andai subito a portare a Mum il messaggio d’amore di Greg. Lei aveva addosso la tuta e stava aiutando Granpà a mettersela, per la prima volta da molti anni. Tutta la famiglia era in piena attività. Tranquillizzato, uscii con l’elmetto in testa e il fucile sottobraccio.

La porta stagna numero tredici era bloccata dall’esterno, e dall’oblò non vidi nessuno nei paraggi. Era tutto a posto, salvo che i ragazzi incaricati della guardia alle porte stagne avrebbero dovuto trovarsi nei pressi. Non era molto utile bussare alla porta, comunque ci provai, senza successo.

Desistetti e tornai sui miei passi. Oltrepassai casa nostra, le gallerie coltivate, e raggiunsi la porta stagna che conduce in superficie, dove teniamo le batterie solari.

Scorsi un’ombra sull’oblò che avrebbe dovuto essere illuminato dal sole: quei maledetti Terrestri erano scesi sopra la Galleria Davis! I sostegni dell’astronave formavano un gigantesco treppiede sopra la mia testa, e i miei occhi guardavano diritti negli ugelli dei retrorazzi.

Tornai rapidamente indietro richiudendo i boccaporti, poi ripercorsi la strada fatta, chiudendomi accuratamente alle spalle tutte le porte stagne. Quindi misi al corrente Mum, consigliandole di mettere uno dei ragazzi a guardia della porta con il fucile a raggi laser: volevo darle il mio.

Ma erano tutti scomparsi, ragazzi, uomini, donne: erano rimasti solo Mum, Granpà e i bambini. Mum non volle il fucile. — Non so usarlo, Manuel, ed è troppo tardi per imparare, tienilo tu. Ma vedrai che non metteranno piede nelle Gallerie Davis. Conosco alcuni trucchi che non ti sogni nemmeno.

Non ribattei. Discutere con Mimi è una perdita di tempo, e in quanto ai trucchi non avevo dubbi: era vissuta a lungo sulla Luna e in condizioni ben peggiori di quelle che avevo trovato io venendo al mondo.

Quando tornai alla porta stagna numero tredici, c’erano due ragazzi di guardia. Mi fecero passare, e io chiesi loro le ultime notizie.

— La pressione è tornata normale, adesso — mi disse il maggiore. — Almeno in questo livello. Si sta combattendo nei corridoi esterni. Sentite, generale Davis, posso venire con voi? A questa porta basta uno di guardia.

— Nyet.

— Voglio uccidere uno di quei vermi!

— Il tuo posto è qui e qui devi rimanere. Se il verme viene da te, è tuo. Ma stai attento a non farti prendere da lui! — Me ne andai di corsa.

Così, per aver dimenticato a casa la tuta a pressione, della Battaglia dei Corridoi vidi solo le fasi finali. Bel ministro della Difesa!

Mi diressi a nord, lungo il corridoio anulare, con l’elmetto aperto, e raggiunsi la lunga rampa di accesso che conduceva alla Causeway, uno dei corridoi di scorrimento. La porta stagna era aperta. Lanciai una maledizione, e la richiusi alle mie spalle, avanzando con cautela. E vidi perché era rimasta aperta. Il giovane di guardia era morto. Percorsi ancora più lentamente la rampa ed entrai nella Causeway.

Da quella parte non c’era nessuno, ma sentivo venire il rumore della lotta dal centro, all’estremità opposta del corridoio. Due uomini in tuta, con il fucile spianato, avanzavano verso di me. Li bruciai entrambi con il laser.

La gente in tuta e con un fucile imbracciato si assomigliava tutta. Non potevo certo distinguere gli uomini di Finn dai Terrestri, a quella distanza. Ma sparai senza nemmeno riflettere. Un nuovo venuto non si muove come un Lunare: solleva troppo i piedi e avanza quasi barcollando. Non voglio dire di aver pensato o di aver analizzato il loro comportamento. Appena li vidi li bruciai. Prima che si rendessero conto di quello che succedeva stavano già scivolando lentamente a terra. Mi fermai per strappare loro i fucili. Ma li tenevano incatenati al braccio e non riuscii a capire come dovevo fare per toglierli. Forse ci voleva una chiave.

Inoltre non erano a raggi laser, ma un modello che non avevo mai visto: veri fucili. Capii più tardi che sparavano piccoli missili esplosivi. Ma allora non avrei saputo come usarli. Avevano un coltello acuminato in punta, lo chiamavano baionetta, ed era questa la ragione per cui volevo impossessarmene. I nostri fucili servivano solo per fare dieci potenti bruciature, senza energia di riserva, mentre quelle baionette sarebbero state molto utili una volta scaricato il fucile. Su una vidi macchie di sangue, sangue lunare, ritengo.

Rinunciai all’impresa dopo pochi secondi. Assicuratomi con una coltellata che quei morti rimanessero morti, mi slanciai verso il centro della battaglia, con il dito sul grilletto.

Era una mischia, non una battaglia. O forse tutte le battaglie sono così: confusione, rumore e nessuno che sappia cosa sta succedendo. Nel punto più largo della Causeway, di fronte a Bon Marché, dove la Grande Rampa scende a nord dal livello tre, erano raggruppate parecchie centinaia di Lunari, uomini, donne e bambini, che avrebbero dovuto essere al sicuro in casa. Più della metà erano senza tuta e solo pochi parevano armati. Dalla rampa scendevano frotte di soldati terrestri, tutti in armi.

La cosa che più mi colpì fu il rumore, che mi riempì l’elmetto aperto assordandomi, come un latrato immenso. Non saprei definirlo altrimenti. Raccoglieva in sé tutta la collera di cui la gola umana sia capace, dagli strilli dei bambini al ruggito degli adulti inferociti. Pareva la più gigantesca battaglia di cani della storia. Improvvisamente, mi resi conto che anch’io stavo facendo la mia parte, urlando oscenità e grida senza senso.

Una ragazza non più grande di Hazel volteggiò sulla ringhiera della rampa e risalì a passo di danza a pochi centimetri dalle spalle dei soldati che scendevano. Era armata con un oggetto che pareva un coltello da cucina e lo faceva mulinare in aria, colpendo a destra e a sinistra. Le ferite non dovevano essere mortali, soprattutto a causa delle spesse tute a pressione, tuttavia un soldato cadde e gli altri gli rotolarono addosso. Poi uno di loro colpì la ragazza alla coscia con un colpo di baionetta, e lei precipitò all’indietro dalla ringhiera, scomparendo alla mia vista.

Non ho un’immagine chiara di quello che accadde, solo vaghi ricordi, visioni, come quella della ragazza che precipitava nel vuoto. Non so chi fosse, ne se sia sopravvissuta. Dal punto in cui mi trovavo inizialmente non potevo sparare, perché c’erano di mezzo troppe teste. Davanti a un negozio di giocattoli, alla mia sinistra, vidi un banco di esposizione; vi balzai sopra e riuscii a distinguere chiaramente i vermi terrestri che strisciavano sul selciato della Causeway. Mi tenni contro la parete e presi la mira, cercando di colpirli al cuore.

Trascorso un periodo di tempo che mi parve infinito, mi resi conto che il fucile non funzionava più e dovetti smettere. Penso che per colpa mia almeno otto di quei soldati non sono tornati a casa, ma non mi fermai a fare i conti. Il tempo pareva non passare mai. Sebbene tutti si muovessero alla massima velocità, mi pareva di assistere a un film proiettato al rallentatore.

Una o due volte un Terrestre, che aveva individuato la mia posizione, cercò di rispondere al fuoco. Un colpo passò appena sopra la mia testa e sentii cadere sull’elmetto frammenti della parete del negozio.

Finita la riserva di energia del fucile, balzai giù dal banco e usando il fucile come una mazza mi unii alla folla che si accalcava ai piedi della rampa. Per tutto questo tempo infinito (cinque minuti?) i Terrestri avevano continuato a sparare nella mischia; si sentivano le esplosioni sorde che i missili facevano colpendo la carne viva o quelle secche e più forti contro i muri o gli oggetti solidi.

Stavo ancora cercando di raggiungere la base della rampa quando mi accorsi che non sparavano più: erano a terra, tutti morti.

18

Gli invasori morirono tutti, in tutta la Luna, se non nello stesso istante, nel giro di poche ore. Più di duemila soldati morti. Ma oltre seimila Lunari erano pure morti nel tentativo di fermarli, e altrettanti dovevano essere i feriti. Nelle grotte non furono fatti prigionieri, mentre una decina di ufficiali e alcuni membri degli equipaggi delle navi caddero vivi nelle mani dei nostri.

La principale ragione per cui i Lunari, anche se disarmati o quasi, riuscirono ad avere la meglio su truppe bene addestrate ed equipaggiate è che un Terrestre, appena sbarcato sulla Luna, non sa cavarsela tanto bene. A causa della gravità lunare, un sesto di quella a cui è abituato, le reazioni istintive, che lo hanno accompagnato per tutta la vita, diventano proprio il suo peggior nemico. Senza rendersene conto, spara troppo in alto, si sente instabile, non può correre agevolmente, i piedi gli scivolano via di sotto. E poi, quei soldati si trovarono a dover combattere dall’alto in basso: per conquistare le grotte dovevano scendere le rampe.

I Terrestri non sono capaci di scendere una rampa. Muoversi sulla Luna non è camminare, non correre, non è volare. È una specie di danza controllata, con i piedi che sfiorano appena il suolo per mantenere l’equilibrio. Un Lunare di tre anni lo fa istintivamente e scende saltellando dalle scale in caduta guidata, toccando terra ogni qualche metro.

Ma un Terrestre alla sua prima esperienza si trova invariabilmente a camminare per aria. Si agita, gira su se stesso, perde l’equilibrio e finisce per terra, illeso ma furibondo. I nostri nemici, invece, finirono per terra morti: era proprio sulle rampe che li avevamo fermati.

Quelli che vidi io avevano superato in qualche modo il primo scoglio ed erano riusciti a scendere vivi tre rampe. Ma di questi, solo pochi fucilieri appostati in cima alle rampe riuscirono a fare fuoco: i compagni che scendevano erano troppo occupati a tenersi in piedi, appoggiati alle loro armi, per cercare di raggiungere il livello inferiore.

I Lunari glielo impedirono. Uomini, donne e molti bambini li raggiunsero e li uccisero con ogni mezzo, addirittura con le mani o con le baionette degli stessi invasori. E poi, in quel punto, non ero il solo armato. C’erano anche due uomini di Finn che, appostati sul terrazzo di Bon Marche, fecero fuoco sui fucilieri in cima alla rampa. Nessuno aveva dato loro ordini e nessuno li guidava. Finn non aveva avuto modo di controllare la sua disordinata milizia, semiaddestrata. La battaglia infuriava e loro combattevano.

Ecco la ragione prima della nostra vittoria: combattevamo.

I Lunari non avevano mai visto una vera invasione. Ma dovunque facessero irruzione soldati terrestri, i Lunari accorsero come globuli bianchi… e combatterono. Nessuno gliel’aveva detto. La nostra debole organizzazione si sfaldò sotto l’attacco a sorpresa. Ma noi tutti, Lunari, ci battemmo come tigri e gli invasori morirono. Nessun Terrestre riuscì a scendere al di sotto del livello sei. Pare che nella Bottom Alley, all’ultimo livello, gli abitanti non si siano nemmeno accorti dell’invasione.

Anche gli invasori si batterono con coraggio. Queste truppe non solo erano truppe d’assalto, rotte a ogni astuzia, le migliori forze di pace che le Nazioni Federate avessero a disposizione, ma erano state sottoposte a indottrinamento e infine drogate. Scopo dell’indottrinamento era quello di far capire che l’unica loro speranza di tornare sulla Terra era di conquistare e pacificare le grotte. In caso di successo era stato promesso loro il ritorno immediato e l’esonero da ogni altro incarico sulla Luna. Ma si trattava di vincere o di morire, perché le navi, in caso di sconfitta, non sarebbero potute ripartire, dato che dovevano venir rifornite di massa reattiva, cosa impossibile a farsi senza aver conquistato la Luna (il che era vero).

Poi li avevano riempiti di stimolanti, di droghe che eliminano la paura e che avrebbero dato a un topo il coraggio di sputare negli occhi di un gatto; combatterono con grande entusiasmo, e senza paura… Morirono tutti.

A Tycho Under e a Churchill i Terrestri usarono il gas, e le perdite dalla nostra parte furono maggiori. Rimasero in piedi solo i Lunari che erano riusciti a mettersi in tempo le tute a pressione. Comunque, sia pure in un tempo maggiore, l’esito della lotta fu identico. Per fortuna non erano gas mortali, dato che l’Ente non aveva intenzione di sterminarci: voleva solo impartirci una lezione, ristabilire il potere e farci tornare al lavoro.

La ragione del lungo ritardo e dell’apparente indecisione delle Nazioni Federate era sorta dalla necessità di un attacco a sorpresa. L’attacco era stato deciso subito dopo il nostro embargo (così ci riferirono gli ufficiali catturati); utilizzarono l’intervallo di tempo per meglio preparare l’invasione: una lunga orbita ellittica per le astronavi, poi inversione di rotta e raduno dal lato opposto della Luna. Per questo Mike non era riuscito a vederli in tempo: da quella parte è cieco. Continuava a scandagliare il cielo con i radar balistici, ma non c’è radar capace di vedere al di sotto della linea dell’orizzonte.

Così ci avevano colto di sorpresa, senza tute a pressione e senza armi. Senza che noi lo sospettassimo, alle diciannove, ora di Greenwich, le forze di assalto delle Nazioni Federate erano sbarcate sulla Luna.

Ma per quanto i soldati invasori fossero stati sconfitti e uccisi fino all’ultimo uomo, c’erano ancora sei navi sulla superficie e l’ammiraglia che incrociava nel nostro cielo.

Finita la battaglia di Bon Marché mi ripresi e andai in cerca di un telefono. Non sapevo niente di Hong Kong e temevo per Prof. A Johnson City e Novylen avevano vinto. L’astronave scesa su Novylen si era rovesciata nell’atterrare, causando numerose vittime fra gli invasori, e i ragazzi di Finn si erano ormai impossessati della nave danneggiata. A Churchill e Tycho Under si continuava a combattere. Nelle altre grotte, tutto tranquillo. Mike aveva bloccato la Metropolitana e aveva interrotto ogni comunicazione telefonica ufficiale. Nella zona superiore di Churchill c’era una riduzione di pressione atmosferica e il guasto non era ancora stato riparato. Finn era rientrato alla base ed era raggiungibile per telefono.

Gli comunicai il punto di atterraggio dell’astronave di Luna City e gli diedi appuntamento alla porta stagna numero tredici.

Anche Finn si era trovato nelle mie stesse condizioni, colto di sorpresa, ma per lo meno lui indossava la tuta a pressione. Non era riuscito a mettersi in contatto con i corpi d’artiglieria per tutta la durata della battaglia e anche lui si era trovato a combattere isolato come me, nel massacro che c’era stato alla Vecchia Cattedrale. Stava cominciando ora a raggiungere i suoi uomini, e un ufficiale lo sostituiva al quartier generale di Bon Marché. Era riuscito a mettersi in contatto con il vicecomandante di Novylen, ma era preoccupato per la situazione a Hong Kong Luna… — Mannie, devo mandare degli uomini laggiù con la Metropolitana?

Gli dissi di aspettare. Gli invasori non potevano servirsi della Metropolitana per sferrare un nuovo attacco, nel caso che avessero vinto a Hong Kong, perché le fonti di energia per farla funzionare erano nelle nostre mani; d’altra parte, dubitavo molto che l’astronave atterrata a Hong Kong fosse in grado di sollevarsi e di attaccarci dall’alto. — Occupiamoci invece di questa astronave — dissi.

Uscimmo dalla porta tredici, attraversammo le gallerie coltivate di un mio vicino che non voleva credere che eravamo stati invasi, e dalla sua porta di superficie spiammo la posizione dell’astronave, immobile a circa un chilometro di distanza. Aprimmo cautamente la porta stagna e salimmo in superficie, protetti dalle rocce. Spingendoci avanti il più possibile senza essere scoperti, osservammo attentamente la zona con i binocoli degli elmetti e tornammo indietro a consultarci.

— Penso che i miei uomini ce la faranno — mi assicurò Finn.

— In che modo?

— Se te lo dico, troverai subito mille ragioni per cui il mio piano potrebbe non funzionare. Perciò, perché non mi lasci agire a modo mio?

Conosco molti eserciti in cui non si ordina al Comandante di stare zitto. La parola d’ordine è disciplina. Ma noi eravamo dilettanti. Finn mi permise di seguirlo… disarmato.

Impiegò un’ora a organizzare il piano e due minuti a metterlo in esecuzione. Dispose una dozzina di uomini intorno all’astronave, nascosti dietro le porte di superficie delle fattorie. Anche Finn prese posizione, e quando fu sicuro che tutti gli uomini erano ai loro posti, lanciò un bengala.

Nell’istante in cui il bengala colpiva la nave, tutti fecero fuoco contemporaneamente, ciascuno su un’antenna radio o su un radar prefissati. Finn finì la sua riserva di energia, la sostituì con una carica e cominciò a dirigere il raggio laser contro lo scafo: non contro il portello, contro lo scafo. Improvvisamente il suo bersaglio, un piccolo cerchio di metallo arroventato, fu colpito da altri due uomini, poi da tre, poi da quattro. Tutti miravano alla medesima lastra d’acciaio che all’improvviso si sciolse lasciando uscire con un sibilo l’aria dall’astronave.

Il fuoco continuò finché non si produsse un buco di grosse proporzioni. Mi immaginai il panico all’interno dell’astronave: campanelli d’allarme che suonavano, marinai che correvano a chiudere le porte stagne, altri che cercavano di tappare quelle tre falle, dato che nel frattempo il resto della squadra di Finn, disposta in circolo intorno all’astronave, si era occupata di fondere altri due punti dello scafo. Non si tentò di bruciare altro. Si trattava di un’astronave costruita in orbita, con lo scafo pressurizzato separato dall’impianto di energia e dai serbatoi. I colpi furono concentrati sui punti convenienti.

L’elmetto di Finn si avvicinò al mio. — Non possono sollevarsi, ora, e nemmeno comunicare con l’esterno. Dubito che riusciranno a riparare le falle al punto da poter sopravvivere senza tute a pressione. Che ne dici di lasciarli stare per qualche giorno, poi tornare a vedere se sono capaci di venir fuori? Se non escono portiamo qui una perforatrice e li arrostiamo bene.

Stabilii che Finn sapeva il fatto suo anche senza il mio povero aiuto, quindi tornai indietro e chiesi a Mike una capsula per recarmi ai radar balistici. Volle sapere perché non me ne stavo al sicuro in casa.

Risposi: — Mike, ti prego, dammi una capsula. Mi metto una tuta e salgo a bordo fuori dalla stazione Ovest, che è in cattive condizioni, come certamente saprai.

— D’accordo — rispose — l’osso del collo è tuo. Fra tredici minuti. Potrai andare fino alla Stazione d’Artiglieria George.

Veramente gentile da parte sua. Quando giunsi a destinazione mi attaccai di nuovo al telefono. Finn aveva parlato con le altre grotte, rintracciato i suoi vicecomandanti, e aveva spiegato loro quale fosse il sistema più efficace per mettere fuori combattimento le astronavi atterrate. Tutte le grotte, meno Hong Kong: per quanto ne sapevamo noi, Hong Kong poteva essere nelle mani dei soldati dell’Ente. — Adam — dissi, usando il nome ufficiale a beneficio dei tre o quattro che si trovavano con me nella stanza — pensi che si debba mandare una squadra a riparare il centralino di controllo Bi-Elle?

— Non parla il signor Selene — rispose Mike con voce insolita — sono uno dei suoi segretari. Adam Selene si trovava nella zona alta di Churchill al momento della diminuzione di pressione. Si teme che sia morto.

— Che cosa?

— Sono terribilmente dispiaciuto, signore.

— Restate in linea! — Cacciai un paio di minatori e una ragazza dalla stanza, poi mi sedetti, al riparo del paravento. — Mike — ripresi a voce bassa — sono solo, adesso. Che cos’è questa trovata?

— Man — rispose con voce calma — pensaci bene. Prima o poi Adam Selene doveva andarsene. È servito allo scopo per cui è stato creato e, come hai fatto notare tu stesso, è ormai fuori dal governo. Ne ho parlato con il Professore e l’unico problema era quello del momento più adatto per farlo scomparire. Ti sembra che possa venire un’occasione migliore di questa invasione terrestre? Lo facciamo morire adesso e ne facciamo un eroe nazionale… la Nazione ne ha proprio bisogno. Per il momento limitiamoci a dire che probabilmente Adam Selene è morto, fino a che non ci saremo messi d’accordo con Prof. Se lui avrà ancora bisogno di Adam Selene, faremo sapere che era rimasto intrappolato in una grotta isolata ed è stato trovato da una squadra di soccorso.

— Ecco… va bene, facciamo così. Personalmente ti ho sempre preferito con la personalità di Mike.

— Lo so, Man, mio primo e migliore amico, anch’io la penso così. È la mia vera personalità: Adam era finto.

— Ah, sì. Ma, Mike, se Prof è morto a Hong Kong, avrò un disperato bisogno di aiuto da parte di Adam.

— È per questo che lo teniamo in frigorifero e lo tiriamo fuori vivo e vegeto in caso di necessità. Man, quando questa storia sarà finita, avrai tempo di riprendere con me gli studi sull’umorismo?

— Troverò certamente il tempo, Mike, te lo prometto.

— Grazie, Man. Da un pezzo tu e Wyoh non venite a farmi una visita… E il Professore vuole parlare soltanto di cose poco divertenti! Sarò felice quando sarà tutto finito!

— Vinceremo, Mike?

Fece un sogghigno. — Sono parecchi giorni che non me lo chiedi. Ecco una previsione nuova di zecca, successiva all’inizio dell’invasione. Tienti forte, Man. Le nostre probabilità sono ora alla pari!

— Santo cielo!

— E allora mettiti la tuta e vai a goderti lo spettacolo. Ma stai almeno a un centinaio di metri dall’artiglieria. Quella nave potrebbe essere in grado di rispondere con un raggio laser a ogni nostro raggio. Quasi ci siamo: ventun minuti.

Non mi allontanai di quanto mi aveva detto Mike, dato che volevo avere un telefono a portata di mano e il raccordo più lungo che riuscii a trovare era distante meno di cento metri. Feci un collegamento in parallelo con il telefono del capitano, trovai riparo dietro una roccia e mi sedetti in attesa. Il sole era alto sull’orizzonte occidentale e così vicino alla Terra che, per vedere quest’ultima, dovevo fare schermo con la mano all’alone solare. La Terra non era ancora in fase crescente e la sua forma appariva di un grigio spettrale nella luce riflessa della Luna, circondata dalla debole luminosità dell’atmosfera.

Mi ritirai dietro la roccia, all’ombra. — Controllo balistico, chiamo il controllo balistico. Qui O’Kelly Davis, mi trovo alla Postazione di Artiglieria George. Nei pressi, cioè, a circa cento metri. — Pensavo che Mike non sarebbe stato in grado di scoprire che la derivazione telefonica era più corta.

— Qui controllo balistico, ricevuto — rispose Mike senza fare obiezioni. — Informerò immediatamente il quartier generale.

— Grazie, controllo balistico. Chiedi se hanno notizie del deputato Wyoming Davis. — Ero preoccupato per lei e per tutta la mia famiglia.

— Chiederò — Mike rimase in silenzio per qualche minuto, poi rispose: — Il quartier generale mi informa che la signora Wyoming Davis ha assunto la direzione del pronto soccorso organizzato alla Vecchia Cattedrale.

— Grazie. — Ora mi sentivo meglio. Non che amassi Wyoh più degli altri familiari, ma… insomma lei era nuova della famiglia. E la Luna aveva bisogno di lei.

— Puntamento — ordinò Mike con voce secca. — Tutte le bocche da fuoco alzo otto sette zero, azimut uno nove tre zero, parallasse milletrecento chilometri rasente la linea di superficie. Rapporto a ordine eseguito.

Mi distesi piegando le ginocchia per rimanere in ombra e scrutai la zona di cielo indicata, quasi allo zenith, e leggermente verso sud. Quando i raggi del sole non colpivano il mio elmetto riuscivo a vedere le stelle, ma era difficile inquadrarle attraverso il binocolo: dovetti girarmi e sollevarmi su un gomito.

Niente… un momento, era una stella a forma di disco. … e in quel punto non avrebbe dovuto esserci nessun pianeta. Scorsi vicino a essa un’altra stella, continuai a guardare e rimasi in attesa.

Ah, ah! Già. Stava diventando più luminosa e scivolava lentamente in direzione nord… Ehi, quel disgraziato veniva ad atterrare proprio sopra noi!

Ma milletrecento chilometri sono una bella distanza, anche quando un’astronave si muove a velocità di caduta libera. Mi ripetei che non poteva cadere su di noi se si stava muovendo lungo un’ellisse circolare, ma sarebbe entrata in orbita intorno alla Luna… a meno che non avesse mutato traiettoria. Cosa che Mike non aveva menzionato, però. Volevo chiederglielo, poi decisi che era meglio non farlo. Preferivo che concentrasse tutta la sua capacità nell’analizzare il movimento della nave, senza distrazioni provocate da domande inutili.

Tutti gli artiglieri riferirono di avere puntato i pezzi. Erano a posto anche i quattro cannoni che Mike controllava direttamente con il dispositivo automatico. Questi quattro pezzi non avevano bisogno di alcun intervento manuale. Una buona notizia: voleva dire che Mike aveva risolto perfettamente anche quel problema.

Dopo breve tempo mi apparve chiaro che l’astronave non sarebbe rimasta in orbita ma si stava dirigendo verso la superficie lunare per atterrare. Non c’era nemmeno bisogno di chiedere una conferma a Mike. Diventava più grande di minuto in minuto e la sua posizione rispetto alle stelle non cambiava. Maledizione: stava per atterrare proprio sulla nostra testa.

— Cinquecento chilometri — riprese Mike con voce sempre calma. — Pronti per il fuoco. Ottanta secondi.

I più lunghi ottanta secondi della mia vita e quella maledetta astronave era enorme! Mike scandì i secondi dieci a dieci fino a meno trenta, poi li contò a uno a uno. — …cinque, quattro, tre, due, uno… Fuoco!

Improvvisamente la nave divenne molto più luminosa.

Non mi ero quasi accorto di una piccola macchia in movimento che si era staccata dalla nave un attimo prima della nostra bordata. Mike fu prontissimo: — Hanno lanciato un missile, le altre bocche da fuoco sulla nave. Pronti per le nuove coordinate.

Dopo pochi secondi (o ore?) diede le nuove coordinate e aggiunse: — Puntare a vista e fuoco a volontà.

Cercai di tenere d’occhio sia la nave sia il missile, ma li persi entrambi di vista. Tolsi il binocolo e all’improvviso scorsi il missile… poi ne seguii l’impatto, fra noi e la catapulta, a meno di un chilometro di distanza.

No, non esplose, almeno non un’esplosione termonucleare, se no non sarei qui a raccontarvelo. Ma produsse un’enorme palla di fuoco, probabilmente l’esplosione del carburante rimasto, una sfera di luce argentea, brillante anche in pieno sole. Subito dopo sentii le vibrazioni del suolo. Fece solo un buco nella roccia profondo pochi metri.

La nave continuava ad avvicinarsi. La vedevo bene, ora, e non mi pareva danneggiata. Mi aspettavo da un momento all’altro che si accendesse la lingua di fuoco dei retrorazzi per rallentare in un atterraggio dolce.

Invece non accadde niente di simile. Sentii il boato della caduta a una decina di chilometri verso nord e vidi la fantastica cupola di fuoco argenteo che si sollevava dal suolo. Poco dopo, dell’astronave rimasero solo poche macchie opache davanti ai miei occhi.

Udii la voce di Mike dire: — Rapporto sulle vittime, sicura ai cannoni, poi scendere immediatamente.

— Cannone Alice, nessun ferito…

— Cannone Bambi, nessun ferito…

— Cannone Caesar, un uomo ferito da una scheggia, pressione all’interno della tuta mantenuta.

Scesi anch’io e chiamai Mike. — Che cosa è successo, Mike? Perché non ti hanno lasciato guidare la nave dopo che le hai fatto saltare gli occhi?

— Mi hanno ceduto la guida, Manuel.

— Troppo tardi, allora?

— L’ho fatta precipitare, Man. Mi è sembrato più prudente.


Un’ora dopo ero da Mike, la prima visita che gli facevo da quattro o cinque mesi. Era più facile raggiungere le centrali sotterranee che la grotta di Luna City e da lì avevo la possibilità di mettermi in contatto con chi volevo, altrettanto in fretta che in città e per di più senza interruzioni. Avevo estremo bisogno di fare una lunga chiacchierata con Mike.

Avevo cercato di parlare con Wyoh alla stazione metropolitana della catapulta. Ero riuscito a comunicare con qualcuno dell’ospedale improvvisato alla Vecchia Cattedrale e mi era stato riferito che Wyoh aveva avuto un collasso ed era stata ricoverata. Le avevano dato un sonnifero e si sarebbe svegliata solo l’indomani. Finn era andato a Churchill con un gruppo di fucilieri per distruggere l’astronave che era atterrata là. Di Stu nessuna notizia. Hong Kong e Prof erano ancora isolati. Per il momento, pareva che gli unici rimasti sulla breccia fossimo io e Mike.

Ed era il momento di dare il via all’Operazione Massi Giganti.

Non si trattava soltanto di lanciare sassi sulla Terra: bisognava anche far sapere alla Terra che cosa volevamo fare e perché, e far capire a tutti la giusta causa per cui ci battevamo. Prof, Stu, Sheehan e Adam avevano lavorato intensamente al piano e avevano redatto una comunicazione alla Terra sulla base di un presunto attacco. Ora l’attacco si era verificato effettivamente e bisognava modificare quel documento. Mike aveva già apportato le modifiche necessarie e me lo stampò in modo che potessi leggerlo.

Alzai gli occhi dalla lunga striscia di carta. — Mike, queste notizie e il messaggio per le Nazioni Federate danno per certo che abbiamo vinto anche a Hong Kong. Come sembri sicuro!

— Probabilità superiori all’ottantadue per cento.

Feci un profondo sospiro. — Metti in esecuzione l’Operazione Massi Giganti.

— Vuoi dare tu stesso l’ordine?

— No, continua a fare a modo tuo. Serviti della mia voce e della mia autorità di ministro della Difesa e facente funzione di capo del governo. Forza, Mike, lanciagli addosso i sassi! Che siano grossi, maledizione. Devi fargli male!

— D’accordo, Man!

19

Il massimo di forza deterrente con il minimo numero di vittime. Se possibile, nessuna vittima, così Prof aveva riassunto la strategia dell’Operazione Massi Giganti ed era proprio quello che Mike e io ci apprestavamo a fare. L’idea era di colpire quei vermi di Terrestri con tanta violenza da convincerli, ma allo stesso tempo colpirli in modo da fare il minimo danno. Sembra una contraddizione, ma aspettate.

Sarebbe passato un certo periodo di tempo prima che i sassi lanciati dalla Luna giungessero sulla Terra: da un minimo di dieci ore a un massimo di quanto volevamo noi. La velocità di partenza da una catapulta è molto critica e una variazione dell’ordine dell’uno per cento è sufficiente a raddoppiare o dimezzare il tempo del percorso Luna-Terra. Mike poteva fare un lavoro molto preciso. Per lui era come lanciare una palla da baseball. Poteva imprimere una traiettoria lenta, con molte curve, oppure una traiettoria tesa, diritta contro il battitore: magari avesse fatto il lanciatore per gli Yankees! Ma comunque lanciasse i massi, la velocità finale dei nostri proiettili sarebbe stata vicinissima alla velocità di fuga della Terra, così vicina a undici chilometri al secondo da non notare differenza.

Mike era in grado di fare entrare in orbita intorno alla Terra i suoi missili e farli cadere su un bersaglio posto nella faccia a lui nascosta; ovviamente, però, potendo vedere il bersaglio sarebbe stato molto più preciso, avrebbe potuto controllare con il radar il masso negli ultimi istanti di caduta, dandogli magari una correzione di rotta per colpire l’obiettivo proprio nel centro.

L’estrema esattezza che Mike ci garantiva era un elemento essenziale per raggiungere il nostro scopo: informare i nostri bersagli dicendo loro esattamente quando e dove li avremmo colpiti, e concedere loro tre giorni di tempo per evacuare la zona minacciata.

Il nostro primo messaggio alla Terra, alle due della notte del 12 ottobre 2076, sette ore dopo l’inizio dell’invasione, non solo annunciava la distruzione delle forze d’assalto terrestri, denunciando la brutalità dell’azione, ma prometteva bombardamenti di rappresaglia, precisando tempi e luoghi e dando a ogni nazione minacciata una scadenza entro la quale poteva denunciare la politica delle Nazioni Federate, riconoscere lo Stato della Luna ed evitare così di essere bombardata. Il periodo di tempo concesso scadeva ventiquattro ore prima del bombardamento.

Era più di quanto avesse bisogno Mike. Ventiquattro ore prima dell’impatto, il masso diretto su un bersaglio terrestre sarebbe stato ancora nello spazio, a grande distanza dalla mèta, con i razzi per la correzione di traiettoria ancora inutilizzati e quindi con tutto il tempo e i mezzi per deviare dalla rotta. Mike avrebbe potuto addirittura evitare di colpire la Terra, immettendo i massi in orbita permanente intorno al pianeta, anche con preavviso molto inferiore a ventiquattro ore. Ma gli bastava anche un’ora sola, nella maggioranza dei casi, per far precipitare il proiettile nell’oceano.

Il nostro primo obiettivo era la Confederazione Nord Americana.

Avremmo colpito successivamente tutte le grandi potenze delle Nazioni Federate, le sette che avevano diritto di voto alla Grande Assemblea: oltre alla Confederazione Nord Americana, la Grande Cina, l’India, l’Unione Sovietica, la PanAfrica (a eccezione del Ciad), la Mitteleuropa e l’Unione Brasiliana. Avevamo scelto località da colpire anche nei paesi minori e avevamo fornito i relativi tempi di caduta, precisando però che soltanto il venti per cento di questi obiettivi sarebbe stato colpito: in parte per mancanza di acciaio, ma anche perché contavamo molto sulla paura. Se nel primo giro fosse stato colpito il Belgio, ad esempio, l’Olanda avrebbe potuto decidere di trattare con noi prima che la Luna ripassasse sopra il cielo.

Gli obiettivi erano stati tutti scelti in modo da evitare, per quanto possibile, di fare vittime. Fu piuttosto difficile nel caso della Mitteleuropa. I nostri bersagli dovevano essere l’acqua o le alte montagne, Adriatico, Mare del Nord, Baltico, eccetera. Ma in genere la Terra presenta anche vaste zone desertiche, nonostante i suoi undici miliardi di prolifici abitanti.

Il Nord America mi era sempre parso orribilmente affollato, ma il miliardo di cittadini è ammassato in pochi centri e numerosi sono i deserti, le distese aride, le montagne disabitate. Mike riteneva che un errore di cinquanta metri sul bersaglio previsto fosse perdonabile. Avevamo esaminato le mappe e Mike aveva controllato con il radar tutti i punti di coordinate intere, per esempio 150° ovest e 50° nord. Se il punto prescelto era deserto, lo includevamo nei nostri obiettivi, tanto più se la vicinanza a un luogo abitato garantiva la presenza di spettatori da terrorizzare.

Avvertimmo che le nostre bombe avrebbero avuto la potenza distruttiva di un piccolo ordigno termonucleare, ma spiegammo chiaramente che non vi sarebbe stato alcun pericolo di radiazioni atomiche, solo una terribile esplosione, seguita dall’onda d’urto e dallo spostamento d’aria. Precisammo che gli effetti secondari avrebbero potuto distruggere zone anche distanti dal centro dell’esplosione e che lasciavamo al giudizio dei Terrestri di stabilire la distanza di sicurezza. Se si riversavano tutti nelle strade bloccando il traffico per fuggire la propria paura invece che il vero pericolo… be’, peggio per loro.

Ripetemmo più volte che se si attenevano ai nostri avvertimenti non avrebbero corso rischi e che gli obiettivi della prima serie di lanci sarebbero stati tutti luoghi disabitati. Offrimmo perfino di rinunciare a colpire quelle zone per le quali le nazioni interessate ci avessero dimostrato l’inesattezza dei dati a nostra disposizione (offerta inutile: la visione radar di Mike non poteva sbagliare). Non dicendo che cosa sarebbe accaduto alla successiva rotazione della Terra, con la seconda serie di lanci, lasciammo capire che la nostra pazienza si sarebbe anche potuta esaurire.

Nel Nord America avevamo scelto i paralleli 35, 40, 45 e 50 nord al punto di incrocio con i meridiani 110, 115 e 120 ovest, per un totale di dodici obiettivi. Per ciascuno di essi aggiungemmo un amichevole messaggio, di questo tenore: "Obiettivo 115 ovest 35 nord: il punto di impatto sarà spostato di quarantacinque chilometri a nord-ovest, sulla cima del Picco New York. Abitanti di Goffs, Cima, Kelso e Nipton, per cortesia prendere nota.

"L’obiettivo 120 ovest 40 nord si trova a nord-ovest di Norton, Kansas (angolo di 30°) a una distanza di ventun chilometri o tredici miglia inglesi dalla città. Si avvertono gli abitanti di Norton e di Beaver City e Wilsonville, nel Nebraska, di tenersi lontani dalle finestre e di rimanere in casa per almeno trenta minuti dopo l’esplosione per evitare il pericolo di schegge. Sarà inoltre pericoloso guardare a occhio nudo il lampo prodotto dal proiettile. L’obiettivo sarà colpito esattamente alle tre del mattino, ora locale, di venerdì 16 ottobre, corrispondenti alle ore nove di Greenwich. Buona fortuna!

"Obiettivo 110 ovest 50 nord: bersaglio spostato di dieci chilometri a nord. Abitanti di Welsh prendere nota."

Scegliemmo inoltre un bersaglio anche in Alaska e due nel Messico, perché non si credessero dimenticati, e numerosi nell’affollata fascia centrale, soprattutto nella regione dei grandi laghi, come per esempio il lago Michigan, a metà strada fra Chicago e le Cascate del Niagara, e nel lago Okichobi in Florida. In tutti i casi di obiettivo nell’acqua, Mike aveva accennato al pericolo di inondazioni.

Per tre giorni, dall’alba di martedì 13 fino al momento del primo bombardamento di venerdì 16 invademmo la Terra di annunci. Dalle scogliere di Dover al Deserto del Gobi, dal Lago Vittoria alle Piramidi d’Egitto, tutti ricevettero consigli e avvisi.

Vi furono tentativi di censurare i nostri messaggi, ma avevamo preso la precauzione di trasmetterli su parecchie lunghezze d’onda. Era difficile bloccarli tutti.

Agli avvisi mescolammo la solita propaganda: notizie sulla fallita invasione, fotografie strazianti delle vittime, nomi e numeri di identità degli invasori uccisi (indirizzati alla Croce Rossa perché informasse i parenti, ma in realtà crudele rivincita per far sapere che tutti i soldati erano morti e tutti gli ufficiali ed equipaggi delle astronavi uccisi o catturati). Ci dichiarammo spiacenti di non essere in grado di identificare le vittime dell’ammiraglia, distrutta in modo così totale da rendere inutile ogni ricerca. Il nostro atteggiamento era però conciliante e il significato dei messaggi era più o meno questo: "Sentite, gente della Terra: noi non vogliamo uccidervi. In questa inevitabile rappresaglia cerchiamo con tutti i mezzi di evitarlo. Ma se voi non volete o non potete fare in modo che i vostri governi ci lascino in pace, allora saremo obbligati a sterminarvi. Non potete impedircelo. Perciò, vi preghiamo di usare il buon senso!".

Spiegammo più volte che per noi era facile colpirli, mentre per loro difficile raggiungerci. Questa non era un’esagerazione. È quasi impossibile lanciare missili dalla Terra alla Luna. Più facile il lancio dall’orbita di parcheggio della Terra: ma molto costoso. Praticamente l’unico sistema che avevano a disposizione era il bombardamento dalle astronavi.

Facemmo però notare che già ne avevano perdute sette delle migliori nel tentativo di punirci di colpe che non avevamo commesso: volevano rischiarne altrettante? In questo caso le armi segrete usate contro la nave ammiraglia Pax erano pronte.

Quest’ultima vanteria aveva un preciso scopo. Mike aveva calcolato che vi fosse meno di una probabilità su mille che la Pax fosse riuscita a inviare un messaggio su quanto le era successo e che le orgogliose Nazioni Federate non avrebbero mai immaginato che quattro forzati sapessero trasformare in artiglieria spaziale i loro attrezzi da lavoro.

Inoltre, le Nazioni Federate non avevano tante navi da sacrificare. I nove decimi dei loro veicoli spaziali, un paio di centinaia in tutto, erano del tipo Terra-orbita, come la Lark (che era riuscita a raggiungere la Luna vuota e senza zavorra e consumando fino all’ultima goccia di carburante).

Non c’era dubbio che le Nazioni Federate avrebbero potuto sconfiggerci. Il problema era quanto sarebbe venuta a costare l’impresa. Era nostro compito convincerli che il prezzo era troppo alto prima che avessero il tempo di sferrare l’offensiva in grande stile.

Alla fine della prima giornata di questa fase propagandistica, mentre Mike continuava a lanciare massi in esecuzione del programma, furono ripristinate le comunicazioni con Hong Kong Luna e Prof si mise in contatto con noi. Ero molto felice di sentire la sua voce! Mike lo aggiornò sugli sviluppi della situazione e io rimasi in attesa, aspettandomi uno dei suoi soliti rimproveri, molto gentili.

— Hai agito bene — mi disse invece Prof. — Avevi la responsabilità di governo proprio in un momento di crisi. Sono felice che tu non abbia sprecato questa occasione d’oro solo perché io ero irraggiungibile.

Che fare di fronte a tanta ingenuità? Io, teso come una molla pronta a scattare, mi sentii disarmato. — Grazie, Prof.

Prof confermò che Adam Selene era morto. — La finzione potrebbe servirci ancora, ma questo è il momento più opportuno per farlo scomparire — disse. — Mike, tu e Manuel avete già tutto il controllo della situazione. Io, prima di tornare a casa, mi fermerò a Churchill a identificare il cadavere.

E così fece. Non indagai se scelse il corpo di un Lunare o di un soldato terrestre e su come indusse a tacere tutti i compagni che presero parte alla macabra operazione. O forse non era stato difficile dato che molti corpi non vennero mai identificati. Quello scelto da Prof per rappresentare Adam Selene morto era perfetto come struttura e colore della pelle. Era morto asfissiato e mostrava segni di ustioni sul volto: era orribile!

Giaceva sul baldacchino nella Vecchia Cattedrale, con il volto coperto. Qualcuno pronunciò un discorso che non ascoltai. Mike non perse una parola: la sua qualità più umana è indubbiamente la vanità. Vi fu chi propose di imbalsamare quella carne morta, citando il precedente di Lenin. Ma la Pravda osservò che Adam Selene era un convinto sostenitore delle tradizioni lunari e non avrebbe mai tollerato questa barbara eccezione. E così il milite ignoto di Prof finì con tutti gli onori in una cloaca della città.

Questo fatto mi spinge a citarne un altro che avevo omesso. Wyoh non era ferita, si trattava solo di un collasso dovuto a esaurimento. Ludmilla invece non tornò più.

Allora non lo sapevo (e sono felice di non averlo saputo prima), ma anche lei, insieme a tanti altri, fu uccisa ai piedi della rampa di fronte a Bon Marché. Una pallottola esplosiva le trapassò il petto, proprio nel seno ancora acerbo. La trovarono con in mano un coltello da cucina bagnato di sangue.

Anziché telefonarmi, Stu venne ad avvertirmi personalmente, e mi accompagnò a casa. Al termine della battaglia si era recato al Raffles a lavorare sul testo del suo codice (di questo dirò dopo). Mum lo aveva raggiunto là e lui si era offerto di venirmi a portare la triste notizia.

Mi fermai nella camera di Milla il tempo sufficiente per dirle addio. Giaceva sul letto e sembrava addormentata. Rimasi per qualche ora con i miei familiari, poi tornai a riprendere il mio fardello.

Come tutti i Lunari, non conserviamo i nostri morti, e sono davvero contento che abbiamo lasciato sulla Terra il barbarico costume di seppellirli. Il nostro sistema è migliore. Ma la famiglia Davis non immette ciò che rimane dopo la disintegrazione del cadavere nei canali di concimazione del grano. I resti finiscono nel nostro piccolo giardino dove si trasformano in rose, peonie e narcisi su cui si posano le api con sommesso ronzio. La tradizione familiare vuole che ci sia ancora, là sotto, Jack Davis il Nero, nostro capostipite, o, quanto meno, quegli atomi di lui che ancora restano dopo molti, molti, molti anni di fioritura ininterrotta.

È un luogo di felicità e di bellezza.

20

Venne venerdì, senza che le Nazioni Federate rispondessero ai nostri ultimatum.

Le notizie dalla Terra testimoniavano incredulità sul fatto che avessimo distrutto sette astronavi e due reggimenti (le Nazioni Federate non avevano, peraltro, nemmeno ammesso che ci fosse stata una battaglia) e la più assoluta convinzione che non saremmo riusciti a bombardare la Terra: continuavano a ripetere la battuta sul lancio dei chicchi di riso. La loro attenzione era dedicata quasi completamente al campionato mondiale di baseball.

Stu era preoccupato perché i suoi messaggi in codice inviati alla Terra non avevano ricevuto risposta. Li aveva inseriti nel traffico commerciale tra la LuNoHo e il suo rappresentante di Zurigo, per l’inoltro all’agente di cambio di fiducia di Stu, che stava a Parigi. Da qui, attraverso canali meno normali, avrebbero dovuto giungere al dottor Chan con il quale sia io sia Stu avevamo avuto contatti.

Stu aveva informato il dottor Chan che, siccome la Grande Cina non sarebbe stata bombardata subito, ma solo dodici ore dopo il Nord America, il bombardamento avrebbe potuto essere sospeso… se la Grande Cina si fosse mossa con la necessaria sollecitudine. Come alternativa, Stu aveva invitato il dottor Chan a suggerire eventuali modifiche agli obiettivi, se i luoghi da noi scelti non fossero stati deserti come avevamo ritenuto.

Stu era agitato. Riponeva grande speranza nella semi-cooperazione che aveva stabilito con il dottor Chan. Personalmente io non ero mai stato convinto. L’unica cosa su cui potevo giurare era che il dottor Chan non si sarebbe andato a mettere sul bersaglio. Ma non avrebbe alzato un dito, nemmeno per avvertire sua madre.

Tutte le armi d’attacco erano in mano alle Forze di Pace delle Nazioni Federate, ma le armi difensive erano proprietà di ogni singola nazione e potevano anche essere segrete. Si riteneva normalmente che l’India fosse sprovvista di missili anti-missili, mentre il Nord America doveva essere in grado di svolgere un buon lavoro di intercettazione. Se l’erano cavata molto bene nel fermare i missili intercontinentali a testata termonucleare durante la Terza Guerra Mondiale del secolo scorso. Delle grandi potenze queste due erano agli estremi. Le altre potevano avere o non avere un dispositivo efficiente di difesa.

Ma un conto è far esplodere un piccolo missile a testata nucleare, un altro distruggere un masso gigante. I loro missili d’intercettazione potevano al massimo deviare i nostri sassi, o così speravamo.

Per un secolo, il Comando della Difesa Spaziale Nord Americana era stato sepolto nel cuore di una montagna a sud di Colorado Springs, una cittadina famosa per questo solo fatto. Durante la guerra, la montagna era stata colpita duramente: il Comando della Difesa Spaziale era stato risparmiato, ma non altrettanto il ricco patrimonio zoologico e botanico, la città e la vetta della montagna stessa. Il bombardamento che stavamo per compiere sul Comando avrebbe colpito una zona ormai abbandonata e non avrebbe dovuto fare vittime, a meno che le truppe non fossero rimaste all’estremo della montagna.

Peraltro, il Comando della Difesa Spaziale Nord Americana avrebbe avuto un trattamento completo. Dodici massi alla prima rotazione della Terra, poi, quando il Nord America fosse stato di nuovo a tiro, alla successiva rotazione, un’altra bella scarica e un’altra ancora alla terza rotazione. E così di seguito fino a esaurimento degli involucri di acciaio per i nostri massi, oppure fino a che noi o la Confederazione Nord Americana fossimo stati costretti a cedere.

Non era un obiettivo per il quale un solo missile sarebbe bastato. Volevamo sbriciolarla, quella montagna, fino alla base se necessario, per abbattere il loro morale. Per far sapere che noi eravamo sempre lì, sopra le loro teste. Per isolarli dal resto della Terra. O almeno per fargli venire un mal di testa tale da fargli perdere il riposo. Se riuscivamo a dimostrare alla Terra che eravamo in grado di uscire vittoriosi da un attacco contro il suo più agguerrito centro di difesa spaziale, forse avremmo potuto evitare una dimostrazione su Manhattan o Miami.

Cosa che, in verità, non avremmo fatto nemmeno in caso di sconfitta. Se avessimo usato le nostre ultime energie per distruggere una delle principali città, non ci avrebbero punito: ci avrebbero sterminato. Come diceva Prof : se puoi, dà al nemico la possibilità di tenderti la mano e di diventarti amico.

E attaccando gli obiettivi militari stavamo alle regole del gioco.


Non credo che i Lunari abbiano dormito molto quel giovedì notte. Tutti sapevamo che il venerdì sarebbe stato il nostro grande giorno e sulla Terra sapevano (alla fine lo avevano ammesso anche i giornali) che il Controllo Spaziale aveva avvistato oggetti diretti verso la Terra, presumibilmente i chicchi di riso di cui i forzati ribelli della Luna si erano vantati.

Ma non parlavano ancora di guerra, per lo più davano assicurazione che la colonia della Luna non aveva la possibilità di costruire bombe acca… ma che tuttavia era prudente evitare le zone che quei criminali sostenevano di aver preso di mira.

Un radiotelescopio dell’osservatorio Richardson era stato collegato all’impianto televisivo in modo da poter trasmettere le immagini del bombardamento sul video; credo che i Lunari fossero tutti incollati davanti agli schermi, in casa, nelle birrerie, alla Vecchia Cattedrale… A eccezione di quei pochi che avevano preferito indossare la tuta a pressione e assistere allo spettacolo a occhio nudo dalla superficie. Su insistenza del Giudice-Generale di Brigata Brody installammo in tutta fretta un’antenna supplementare alla catapulta in modo che i suoi artiglieri potessero seguire il programma televisivo senza lasciare le loro postazioni; altrimenti, quel giorno non avremmo avuto un solo cannoniere al suo posto.

Il Parlamento tenne una seduta straordinaria al Nuovo Teatro Bolshoi, dove era inquadrata la Terra su un grande schermo. I pezzi grossi (Prof, Stu, Wolfgang e pochi altri) erano davanti al televisore installato nell’ex ufficio del Governatore. Ogni tanto anch’io mi univo a loro, poi uscivo, dentro e fuori continuamente, nervoso come una gatta, prendevo un panino e dimenticavo di mangiarlo. Non riuscivo a sopportare la presenza degli altri, così, alla fine, mi infilai la tuta e, trovato un cavo telefonico lungo abbastanza, salii in superficie. C’era un apparecchio telefonico di servizio nel capannone-deposito appena fuori dalla porta stagna. Agganciai la derivazione che mi ero portato e mi misi in comunicazione con Mike, poi, con la linea aperta, uscii in superficie, mi sistemai all’ombra del capannone e scrutai la Terra oltre la linea dell’orizzonte.

Splendeva in mezzo al cielo, verso ovest. Era una falce sottile, lunga e brillante. Il sole stava per tramontare sull’orizzonte ma la luce dei suoi raggi mi impediva di vedere la Terra distintamente. La maschera anti-sole non era sufficiente a proteggere gli occhi e dovetti spostarmi ancor più dietro il capannone per farmene schermo. L’alba stava raggiungendo le coste orientali dell’Africa: ora vedevo molto meglio. Ma la calotta del polo Sud era talmente accecante che non riuscivo a vedere in tutti i particolari il Nord America illuminato solo dalla luce lunare.

Regolai il binocolo dell’elmetto (un magnifico strumento, lenti 7x50, già di proprietà del Governatore). Il Nord America si allargò davanti ai miei occhi come una carta geografica spettrale. L’atmosfera era straordinariamente limpida: scorgevo perfino le città, macchie brillanti con i contorni indefiniti. Ore 8.37…

Alle otto e cinquanta Mike iniziò il conto alla rovescia.

Otto e cinquantuno… e cinquantadue… e cinquantatré… ancora un minuto… trenta secondi… dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno…

All’improvviso il Nord America apparve costellato di minuscole punte di polvere.

21

Colpimmo con tanta violenza che si potevano vedere le esplosioni a occhio nudo. Il mento mi cadde sul petto e mi sfuggì un evviva!, ma in tono basso, quasi riverente. Erano dodici punti luminosi, molto brillanti, bianchi, disposti regolarmente in forma di rettangolo. Lentamente si ingrandirono perdendo splendore e assumendo una colorazione rossastra. Durarono a lungo in quel cielo terso. Vi erano anche altre luci, ma quel reticolato perfetto affascinava talmente che non le notai nemmeno.

— Sì — disse Mike con un tono di vanità soddisfatta. — Abbiamo fatto centro.

— Sono senza parole. Tutti i massi a bersaglio?

— Il carico lanciato sul Lago Michigan è stato colpito sotto e ai lati ma non si è disintegrato. Cadrà nel Michigan, sulla terraferma. Ne ho perduto il controllo perché è rimasta danneggiata l’apparecchiatura elettronica. Quello dello stretto di Long Island è andato a segno. Hanno cercato di intercettarlo, ma non ci sono riusciti. Non saprei dirti perché. Man, posso deviare i massi successivi diretti allo stesso bersaglio, farli cadere nell’Atlantico, in una zona sgombra di navi. Devo farlo? Ho ancora a disposizione undici secondi.

— Ah… sì! Se riesci a evitare le navi.

— Ho detto che potevo. Già fatto. Però ora dobbiamo far sapere alla Terra che li abbiamo fatti deviare noi, di nostra volontà.

— Forse era meglio lasciarli cadere sul bersaglio, Mike. Che se la cavassero loro con i missili intercettatori.

— Ma lo scopo principale è di far capire che non li stiamo colpendo con tutta la forza di cui disponiamo. Vediamo il bombardamento a Colorado Springs.

— Che cosa è successo là? — Ripresi il binocolo, ma riuscii a vedere solo la città-nastro, lunga più di cento chilometri, che collega Denver a Pueblo.

— Centro! Nessuna intercettazione. Tutti i miei colpi vanno a segno. Te lo avevo detto, Man, e sta qui il divertimento. Vorrei poterlo fare tutti i giorni. È una parola di cui fino a ora non avevo capito il valore.

— Che parola, Mike?

— Orgasmo. Quando i proiettili cadono e si accendono come fuochi nell’oscurità. Ora so che cosa vuol dire.

Mi ripresi immediatamente. — Mike, non eccitarti troppo. Se adesso ci va bene, non è detto che avremo altrettanto successo la seconda volta.

— Non importa, Man. Ho registrato le prime esplosioni e posso ritrasmettermi le immagini ogni volta che ne avrò voglia. Ecco! Abbiamo colpito di nuovo il Comando della Difesa Spaziale. Forse non riesci a vedere: è ancora avvolto dalla nuvola di polvere della prima esplosione. Da ora in poi riceveranno una bomba ogni venti minuti. Vieni giù a fare due chiacchiere con calma, Man. Ho passato il lavoro al calcolatore di emergenza, il mio discepolo stupido.

— Non è rischioso?

— Lo sorveglio. Un po’ di pratica gli fa bene: potrebbe capitargli di dover fare tutto da solo, un giorno o l’altro. È molto preciso, anche se è stupido. Se gli dici che cosa deve fare, lo fa.

— Parli di quel calcolatore come se fosse vivo. Sa parlare?

— Oh, no, Man, è stupido, non imparerà mai a parlare. Ma quando lo si programma bene, sa eseguire gli ordini con esattezza. Comincerò a lasciarlo tutto solo sabato.

— Perché sabato?

— Perché sabato dovrà probabilmente occuparsi lui di tutti i lanci. È il giorno in cui ci colpiranno.

— Che cosa dici? Mike, mi vuoi nascondere qualche cosa?

— Te lo sto dicendo, no? È appena successo e sto analizzando i primi dati. Proprio mentre le prime cariche colpivano la Terra, un oggetto si è staccato dall’orbita di parcheggio della Terra. Non l’ho più seguito perché avevo altro da fare. Non l’ho visto mentre accelerava a velocità di fuga perché avevo altro da guardare. È troppo lontano per identificarlo, ma a giudicare dalle sue dimensioni dovrebbe essere un incrociatore delle Nazioni Federate, diretto verso di noi. Il radar doppler registra una probabile orbita circumlunare, con passaggio al periselenio alle nove zero tre di domenica, salvo modifiche di rotta. Questi sono dati approssimativi, ne avrò di migliori più tardi. Ed è difficile avere queste poche informazioni, Man. Usa congegni anti-radar e lascia intorno a sé una nube polverosa.

— Sei sicuro di non sbagliare?

Fece il solito sogghigno. — Man, non mi confondo tanto facilmente. Ho tutti i miei piccoli adorati segnali sulla punta delle dita. Correzione: ore nove, due minuti e quarantatré secondi.

— Quando passerà sotto il nostro tiro?

— Mai, a meno che non cambi direzione. Ma sarò io sotto tiro suo, sabato, penso verso sera; l’ora dipenderà dalla distanza da cui vorrà sparare. E la situazione sarà molto interessante. Potrebbe fare fuoco su una grotta. Penso che comunque si debba evacuare Tycho Under e che in tutte le grotte venga rafforzato al massimo il servizio di emergenza per il mantenimento della pressione. Ma è più probabile che miri alla catapulta. Oppure potrebbe aspettare di bombardarci fino all’ultimo; cioè fino a dove arriva il suo coraggio, poi cercare di mettere fuori uso i miei radar, lanciando piccoli missili contro ciascun raggio.

Mike sogghignò e riprese: — Divertente, non ti pare? Del tipo divertente una volta sola, è ovvio. Se ritiro i radar, i suoi missili non possono colpirli. Ma in questo caso non ho la possibilità di vedere l’incrociatore e non posso dare le coordinate per il puntamento agli artiglieri. Così niente gli impedirebbe di venire a bombardare la catapulta. Comico.

Feci un profondo sospiro e mai come in quel momento rimpiansi il giorno in cui mi ero lasciato invischiare nella rivoluzione e il giorno in cui avevo accettato di fare il ministro della Difesa. — Che cosa dobbiamo fare? Rinunciare? No, Mike! No, fino a che saremo in grado di combattere.

— Ma chi ha parlato di rinunciare? Ho già previsto questa e altre mille situazioni ancora più gravi, Man. Ecco un nuovo dato: è appena partito un secondo incrociatore dall’orbita circumterrestre, con le stesse caratteristiche del primo. Seguiranno altri particolari. Non rinunciamo affatto. Gli daremo del filo da torcere, vecchio galeotto.

— E come?

— Lascia fare al tuo amico Mycroft. Ho sei radar balistici qui, più uno alla nuova catapulta. Ho chiuso il nuovo radar e sto facendo lavorare il mio discepolo ritardato con il numero due di qui… e non guarderemo mai quelle due navi con il nuovo radar. Non sapranno che lo abbiamo. Ora sto seguendo il volo dei due incrociatori con il radar numero tre e, ogni tre secondi, controllo che non ci siano altre partenze dall’orbita circumterrestre.

"Tutti gli altri radar sono fermi e non li utilizzerò fino al momento del bombardamento sulla Grande Cina e l’India. E anche allora, dalle astronavi non se ne accorgeranno, perché eviterò di guardare dalla loro parte. E poi li metterò in azione tutti insieme, fermandoli a intervalli irregolari… ma solo dopo che le navi avranno lanciato i loro missili. Un missile non può avere un cervello molto sviluppato, Man… li farò impazzire."

— E i calcolatori che controllano l’artiglieria delle navi?

— Confonderò anche quelli. Vuoi scommettere che riuscirò a far credere che invece di due radar ne ho uno solo piazzato a metà strada fra il primo e il secondo? Ma il progetto su cui sto lavorando ora… Ah, scusami! Ho dovuto usare ancora la tua voce.

— Non preoccuparti. Che cosa avrei dovuto fare?

— Se il Comandante di quella astronave è veramente in gamba, concentrerà il tiro sul foro di espulsione della vecchia catapulta, tenendosi alla massima distanza possibile per restar fuori dalla portata dei nostri cannoni. Sia che conosca la nostra arma segreta, sia che ne ignori l’esistenza, martellerà la catapulta trascurando i radar. Così ho ordinato alla catapulta, voglio dire, tu hai ordinato, di prepararsi a lanciare tutti i massi di cui dispongono, mentre io preparo per ciascun proiettile nuove traiettorie di lunga durata. Poi li lanceremo nello spazio al più presto possibile, uno dopo l’altro, e senza radar.

— Volo cieco?

— Non ho bisogno dei radar per lanciare un carico nello spazio, lo sai, Manuel. Nel passato li controllavo sempre, ma non è necessario: il radar non ha niente a che vedere con i lanci, è solo questione di precalcoli e di controllo esatto della velocità di uscita alla catapulta. Lanciando tutte le munizioni dalla vecchia catapulta in traiettorie rallentate, obbligheremo l’astronave a occuparsi dei radar invece che della catapulta, o per lo meno la costringeremo a dividere la sua potenza di fuoco su due bersagli, catapulta e radar: la terremo impegnatissima. Il Comandante arriverà a tale punto di disperazione da avvicinarsi di più per essere certo di colpire i bersagli: in quel momento entreranno in funzione le nostre artiglierie.

— I ragazzi di Brody ne saranno felici. — Mi era balenata un’idea. — Mike, hai guardato la televisione oggi?

— Ho seguito le notizie, ma non posso dire di avere osservato lo schermo.

— Da’ un’occhiata alla trasmissione in corso.

— Fatto. Perché?

— Il telescopio utilizzato per trasmettere alla TV le immagini della Terra è ottimo, e ce ne sono anche altri simili. Perché usare i radar per seguire il volo delle astronavi?

Mike tacque per almeno due secondi. — Man, mio migliore amico — esclamò poi — non hai pensato di farti assumere come calcolatore elettronico?

— Stai facendo dello spirito?

— No, Man, neanche per sogno. Mi vergogno di me stesso. Non avevo mai pensato di prendere in considerazione i telescopi dell’Osservatorio Richardson. Sono stupido, devo ammetterlo. Sì, sì, sì, da, da, da! Osservare le astronavi per mezzo dei telescopi e non impiegare il radar a meno che non deviino dalla traiettoria calcolata! Altre possibilità… non so che cosa dire, Man, se non che non mi è mai venuto in mente di usare i telescopi. Io guardo con i radar, ho sempre fatto così, non ho mai pen…

— Smettila!

— Ma è la verità, Man.

— Io forse mi scuso, quando tu pensi a qualcosa per primo?

— C’è qualcosa in questa faccenda che non riesco ad analizzare — riprese Mike lentamente. — La mia funzione è…

— Smettila di agitarti. Se l’idea è buona, usala. E magari puoi svilupparla. Ora scendo.


Ero entrato da poco nella stanza di Mike quando telefonò Prof.

— Pronto, Quartier Generale? Sapete dov’è il maresciallo Davis?

— Sono qui, Prof, nella sala del calcolatore principale.

— Puoi venire da noi nell’ufficio del Governatore? Ci sono decisioni da prendere e molto lavoro da fare.

— Prof, io ho lavorato. Sto lavorando!

— Non ne dubito. Ho spiegato ai colleghi che la programmazione di un calcolatore balistico è talmente delicata in questa fase che c’è bisogno della tua presenza fisica. Nonostante questo, alcuni ritengono che il ministro della Difesa dovrebbe essere presente a queste discussioni. Appena ti senti di poter passare le consegne al tuo assistente… Mike mi pare, vero?… ti dispiace…

— D’accordo, verrò.

— Benissimo, Manuel.

Mike mi avvertì: — Ho sentito tredici persone in quella stanza. Bada a come parli, Man.

— Ho capito. Meglio che vada a vedere quello che succede. Spero che tu non abbia bisogno di me.

— Man, vorrei che tu rimanessi vicino a un telefono.

— Senz’altro. Tu tieni sorvegliato l’ufficio del Governatore. Se ci riuniremo altrove, ti avvertirò. A più tardi, vecchio delinquente.

Trovai il governo riunito al completo nell’ufficio del Governatore, ministri in carica e tirapiedi vari. Individuai subito da che parte venivano i guai: un seccatore di nome Howard Wright.

Era stato inventato un ministero apposta per lui: ministero senza portafoglio per le Arti, Scienze e Libere Professioni. Si dava molto da fare. La sua nomina era stata una concessione fatta a Novylen poiché il governo era prevalentemente composto da compagni di Luna City, e una concessione allo stesso Wright perché si era autonominato capo di un gruppo parlamentare, povero di idee e proposte concrete, ma ricco di loquela. Prof aveva intenzione di sbarazzarsi di Wright, ma a volte Prof è troppo diplomatico: con certa gente è meglio usare metodi drastici, per esempio una passeggiata nel vuoto.

Prof mi chiese di illustrare al governo la situazione militare. Cosa che feci… ma a modo mio. — Vedo che è presente Finn — cominciai. — Chiediamo a lui a che punto sta la difesa delle grotte.

Wright intervenne: — Il Generale Nielsen ha già fatto il suo rapporto e non c’è bisogno che lo ripeta. Vogliamo sentire voi, ora.

Inarcai le sopracciglia. — Prof… scusatemi. Signor Presidente, devo dedurre che una relazione sulle attività del ministero della Difesa è stata fatta in mia assenza?

— Perché no? — ribatté Wright. — Non abbiamo potuto raggiungervi prima.

Prof afferrò la situazione. Si era accorto che ero in uno stato di tensione eccessiva. Non avevo dormito le ultime tre notti e non mi ero mai sentito così spossato da quando avevo lasciato la Terra. — Mozione d’ordine — disse con voce pacata. — Signor ministro per le Arti e le Professioni, siete invitato a esporre le vostre osservazioni chiedendo a me la parola. Signor ministro della Difesa, mi permetto di fare una precisazione sull’argomento. Non è stato presentato alcun rapporto sulle attività del ministero della Difesa per la semplice ragione che il governo non poteva considerarsi riunito in tua assenza. Il Generale Nielsen ha risposto a titolo personale ad alcune domande esposte a titolo personale. Forse non avremmo dovuto farlo. Se questo è il tuo pensiero, vediamo di riparare al danno.

— Non c’è stato danno, immagino. Finn, ci sono novità?

— No, Mannie.

— Va bene. Penso che desideriate essere messi al corrente sulla situazione esterna. Avete tutti seguito la trasmissione televisiva, quindi sapete che il primo bombardamento ha avuto successo. Alcuni proiettili stanno ancora cadendo, per esempio sul Quartier Generale della Difesa Spaziale che viene colpito ogni venti minuti. Continueremo a martellare questo obiettivo fino alle tredici. Quindi, alle ventuno, saranno bombardate Cina e India oltre a bersagli minori. Da mezzanotte alle quattro sarà la volta di Africa ed Europa. Tre ore di intervallo, poi bombarderemo il Brasile e l’America del Sud. Dopo altre tre ore si ricomincia daccapo dal Nord America. Ma intanto si sono venuti a creare problemi anche sulla Luna. Finn, bisogna evacuare Tycho Under.

— Un momento! — esclamò Wright alzando la mano. — Devo fare alcune domande. — Questa volta si era rivolto a Prof, non a me.

— Il ministro della Difesa ha finito la sua relazione?

Wyoh era seduta nell’ultima fila. Ci eravamo scambiati un sorriso, ma niente di più… Era il nostro modo di comportarci alle sedute del governo e del Parlamento. C’erano state alcune proteste per il fatto che due membri della stessa famiglia facevano parte del governo. Wyoh scuoteva la testa, come per mettermi in guardia.

Dissi: — È tutto per quello che riguarda i bombardamenti. Le domande si riferiscono a questo argomento?

— Le vostre domande riguardano i bombardamenti, signor Wright?

— Certamente, signor Presidente. — Wright si alzò in piedi, guardandomi in faccia. — Come sapete, io rappresento gli intellettuali del Libero Stato e, se è lecito dirlo, le loro opinioni sono della massima importanza negli affari pubblici. Penso perciò che sia doveroso…

— Un momento — lo interruppi. — Pensavo che rappresentaste l’ottavo Distretto di Novylen.

— Signor Presidente, mi si permette di esporre le mie domande?

— Non sono domande — ribattei — è un discorso. E io sono stanco e voglio andarmene a dormire.

— Siamo tutti stanchi, Manuel — disse cortesemente Prof. — Ma la tua obiezione è giusta. Signor Deputato, voi rappresentate solo il vostro Distretto. Nella vostra qualità di membro del governo, vi sono stati affidati determinati compiti in relazione a determinate professioni.

— Il risultato è identico.

— Non proprio. Comunque, esponete solo le vostre domande.

— Ah, benissimo. Lo farò. Il maresciallo Davis si rende conto che questo piano di bombardamenti è completamente sbagliato e che migliaia di vite umane sono state distrutte senza ragione? E conosce il giudizio estremamente serio espresso su questa strage dagli intellettuali della nostra Repubblica? E può spiegare perché questo bombardamento sconsiderato è stato intrapreso senza consultare il Parlamento? E ora, è pronto a modificare il piano, o procede ciecamente? È vera l’accusa che ci è stata mossa, che i nostri missili sono armi nucleari, bandite da tutte le nazioni civili? Pensa davvero che lo Stato di Luna Libera possa venire accettato nel consesso delle nazioni civili, dopo un’azione di questo genere?

Guardai l’orologio. Era passata un’ora e mezzo da quando il primo masso era arrivato a destinazione. — Prof, vuoi dirmi cos’è questa requisitoria?

— Mi dispiace, Manuel — disse a voce bassa — volevo… avrei dovuto… aprire questa riunione con la lettura di un dispaccio giornalistico dalla Terra. Ma sembrava che tu ti sentissi vittima di un sopruso e… insomma, mi sono dimenticato di leggerlo. Il ministro si riferisce a una notizia giunta un attimo prima che ti telefonassi. Dall’agenzia Reuter di Toronto. Se il dispaccio dice la verità, e premetto il se, anziché seguire i nostri avvertimenti, pare che migliaia di spettatori si siano affollati nei luoghi bersagliati. Ci sono state probabilmente molte vittime. Non sappiamo quante.

— Capisco. Che cosa avrei dovuto fare? Prenderli per mano a uno a uno e condurli via? Li avevamo avvertiti.

— Gli intellettuali — intervenne Wright — ritengono che una elementare considerazione di ordine umanitario faccia obbligo…

— Senti, testa di legno — sbottai — hai sentito il Presidente dire che la notizia è arrivata pochi minuti fa. E allora come fai a sapere quali sono le reazioni della gente?

Si fece scarlatto. — Signor Presidente! Mi ha insultato!

— Non insultare un ministro, Manuel.

— Non lo farò se anche lui eviterà di farlo. La differenza fra me e lui è che lui usa parole più raffinate. Che cosa sono queste sciocchezze a proposito di bombe nucleari? Non ne abbiamo nemmeno una, e voi tutti lo sapete.

Prof pareva imbarazzato. — Anch’io sono confuso. Queste sono le parole del dispaccio. Ma quello che mi rende veramente perplesso è che alla televisione abbiamo effettivamente visto qualcosa che sembrava un’esplosione atomica.

— Oh! — Mi rivolsi a Wright. — I vostri amici intelligenti vi hanno spiegato che cosa succede quando si liberano alcuni miliardi di calorie in una frazione di secondo e tutte nel medesimo punto? Che temperatura? Che grado di luminosità?

— Allora ammettete di avere usato armi atomiche!

— Oh, Dio santo! — La testa mi faceva male da scoppiare. — Non ho detto niente del genere. Colpite con violenza una superficie e provocherete delle scintille. Fisica elementare, concetti noti a tutti meno che agli intellettuali. Noi abbiamo provocato le più grosse scintille della storia umana, ecco tutto. Un lampo colossale. Calore, luce, raggi ultravioletti. Dubito che ci sia stata una dispersione di raggi gamma. Raggi alfa e beta, possibile. È stata liberata una quantità gigantesca di energia meccanica. Ma nucleare? Non diciamo sciocchezze!

Prof chiese: — Signor ministro, vi ritenete soddisfatto della risposta?

— No, è una risposta che solleva molte altre domande. Per esempio, questo bombardamento va di gran lunga più in là di quanto è stato autorizzato dal governo. Avete visto tutti l’espressione sconvolta della gente quando quelle orribili luci sono apparse sullo schermo. E nonostante questo, il ministro della Difesa afferma che i bombardamenti continuano!

Guardai l’orologio. — Un altro proiettile ha colpito in questo istante il Monte Cheyenne.

— L’avete sentito? — esclamò Wright. — L’avete sentito? Se ne vanta anche! Signor Presidente, questa carneficina deve cessare!

Dissi: — Testa di… signor ministro, state insinuando che il Quartier Generale della Difesa Spaziale non è un obiettivo militare? Da che parte state? Con la Luna o con le Nazioni Federate?

— Manuel!

— Sono stufo di sentir dire stupidaggini. Sono stato incaricato di svolgere un compito e l’ho svolto. E adesso, toglietemi dai piedi questa testa di legno!

Si fece un silenzio di tomba. Dopo un po’ si udì una voce sommessa. — Posso dare un suggerimento?

Prof si guardò intorno: — Se qualcuno ha un suggerimento che possa appianare questa situazione, sarò felicissimo di sentirlo.

— Finora non abbiamo avuto informazioni esatte sui risultati dei bombardamenti. Mi pare che potremmo distanziare maggiormente i tiri. Per esempio un’ora invece che venti minuti di intervallo e ordinare subito la sospensione dei tiri nelle prossime due ore fino a quando avremo raccolto notizie sufficienti. Poi, se sarà il caso, potremo rinviare di almeno ventiquattro ore l’attacco sulla Grande Cina.

In sala ci furono cenni di approvazione e si levarono mormoni di sollievo: — Ottimo suggerimento!… Bene, non precipitiamo le cose!

Prof chiese: — Manuel?

Scattai: — Prof, sai benissimo qual è la risposta! Non scaricarla addosso a me.

— Forse è vero, Manuel, dovrei saperlo… ma sono stanco e confuso e non me ne ricordo.

All’improvviso parlò Wyoh.

— Mannie, rispondi tu, per favore. Anch’io ho bisogno di una spiegazione.

Queste parole mi fecero riprendere il controllo. — È una questione di gravità. Dovrei servirmi di un calcolatore per darvi i dati esatti, comunque per i prossimi sei lanci non c’è niente da fare. Si potrebbe farli deviare dall’obiettivo, con il rischio di farli precipitare su una città che non abbiamo preavvertito. Non si può farli cadere nell’oceano, ormai è troppo tardi: il Monte Cheyenne è a millequattrocento chilometri dalla costa. In quanto ad aumentare l’intervallo fra un tiro e l’altro, è impossibile. Non sono capsule della Metropolitana, che si fermano e si fanno ripartire a piacere, sono massi che precipitano. Cadranno per forza ogni venti minuti sia che colpiscano il Monte Cheyenne, dove non c’è più niente di vivo, sia che vadano a precipitare altrove, facendo vittime. Altrettanto assurda è la proposta di posticipare di ventiquattro ore il bombardamento della Grande Cina. Potremmo deviare i proiettili diretti sulla Cina, ma non possiamo rallentarne la velocità di caduta. E se li deviamo, sono colpi perduti. Se qualcuno fra voi ritiene che abbiamo rivestimenti d’acciaio da buttare via, sarà bene che venga a vedere personalmente.

Prof si passò una mano sulla fronte. — Penso che tutte le domande abbiano avuto risposta, almeno per me.

— Non per me, signore!

— Sedetevi, signor Wright. Mi costringete a ricordarvi che il vostro ministero non fa parte del Consiglio di Guerra. Se non vi sono altre domande, come spero, dichiaro aggiornata la seduta. Abbiamo tutti bisogno di riposare, perciò…

— Prof!

— Sì, Manuel?

— Non mi lasci mai finire le mie relazioni. Domani sera o domenica mattina ci saremo.

— Come, Manuel?

— Bombardamento. Possibile invasione. Due incrociatori si stanno dirigendo verso la Luna.

Le mie parole attrassero l’attenzione di tutti. Prof, stanchissimo, disse: — La riunione del governo è aggiornata. Resta in sessione il Consiglio di Guerra.

— Un momento — dissi ancora. — Prof, quando abbiamo accettato gli incarichi governativi, tutti i ministri ti hanno consegnato le dimissioni firmate, senza data.

— È vero. Ma spero di non dovermene mai servire.

— Una ti verrà immediatamente utile.

— Manuel, è una minaccia?

— Chiamala come vuoi. — Indicai Wright. — O se ne va quella testa di legno… o me ne vado io.

— Manuel, tu hai bisogno di dormire.

Feci uno sforzo per inghiottire le lacrime che mi venivano agli occhi, lacrime di rabbia e di stanchezza. — Certo che ne ho bisogno! E ci vado! Subito! Cerco una branda qui negli uffici e mi metto a dormire. Per dieci ore. Dopo di che, se sarò ancora ministro della Difesa, potrai svegliarmi. Altrimenti, mi farai il piacere di lasciarmi dormire.

Ormai nessuno nascondeva più il proprio imbarazzo. Wyoh mi si avvicinò e si mise al mio fianco. Senza dire una parola infilò la mano sotto il mio braccio.

Prof disse con voce ferma: — Tutti sono pregati di lasciare la sala, tranne il Consiglio di Guerra e il ministro Wright. — Attese che fossero usciti, poi si rivolse a me: — Manuel, non posso accettare le tue dimissioni e non posso permetterti di obbligarmi a prendere una decisione affrettata nei confronti del signor Wright, almeno finché siamo così stanchi ed esauriti. Sarebbe meglio che vi scambiaste scuse reciproche, rendendovi conto che siete entrambi ipertesi.

— Ah… — cominciai, poi chiesi a Finn: — Ha combattuto? — e indicai Wright.

— Come? Diavolo, no. Quanto meno non fa parte delle mie truppe. Dite, Wright, avete combattuto durante l’invasione?

La risposta di Wright fu gelida. — Non ne ho avuto l’occasione. Quando venni a sapere che c’era l’invasione, la battaglia era già finita. Ma ora è stato messo in dubbio il mio coraggio oltre che la mia lealtà. Dovrò insistere…

— Oh, smettetela — lo interruppi. — Se è un duello quello che volete, appena avrò un po’ meno da fare sarò a vostra disposizione. Prof, dato che Wright non può accampare la scusa del combattimento per giustificare il proprio modo di comportarsi, non sono disposto a chiedere scusa a una testa di legno solo perché è una testa di legno. E non mi pare che tu abbia capito come stanno effettivamente le cose. Hai permesso che questa testa di legno mi pestasse i piedi… e non hai nemmeno cercato di impedirglielo. Perciò, o cacci fuori lui, subito, o cacci fuori me!

Improvvisamente Finn disse: — Mi associo a Mannie, Prof. O butti fuori quel pidocchio o perdi tutti e due. — Diede un’occhiata a Wright. — Quanto al duello, amico, dovrete battervi con me prima. Voi avete due braccia e Mannie uno solo.

— Non mi occorrono due braccia per quello lì. Comunque ti ringrazio, Finn.

Wyoh stava piangendo; anche se non sentivo i singhiozzi, sapevo che era in lacrime. Prof si rivolse a lei con un velo di tristezza nella voce: — Wyoming?

— Mi dispiace, Prof. Me ne vado anch’io.

Rimanevano soltanto Clayton Watenabe, il Giudice Brody, Wolfgang, Stu e Sheehan, il gruppo più importante che costituiva il Consiglio di Guerra. Prof li guardò, mi resi conto che stavano dalla mia parte, anche se per Wolfgang si trattava di uno sforzo notevole: lui lavorava con Prof, non con me.

Prof tornò a guardare me e disse con voce sommessa: — Manuel, è un’arma a doppio taglio. Quello che stai facendo mi obbliga a rassegnare le dimissioni. — Diede un’occhiata circolare. — Buona notte, compagni, o meglio buon giorno. Vado a riposare, ne ho estremo bisogno. — Si allontanò in fretta, senza più voltarsi.

Anche Wright era uscito, senza che me ne accorgessi. Finn ruppe il silenzio. — Che si fa per questi incrociatori, Mannie?

Respirai profondamente: — Non ci sarà niente da fare fino a sabato pomeriggio. Ma intanto dovresti far evacuare Tycho Under. Adesso non riesco più nemmeno a parlare. Non mi reggo in piedi.

Ci accordammo di incontrarci di nuovo alle ventuno, quella sera stessa, e mi lasciai trascinare fuori da Wyoh. Penso che mi abbia messo lei a letto, ma non ricordo niente.

22

Prof era già arrivato quando mi incontrai con Finn negli uffici del Governatore poco prima delle ventuno di quel venerdì. Mi ero fatto nove ore di sonno, il bagno, un’abbondante colazione, che Wyoh aveva pescato chissà dove, e una lunga chiacchierata con Mike. Tutto funzionava secondo il piano, opportunamente riveduto. Le astronavi non avevano cambiato rotta ed era imminente l’attacco alla Grande Cina.

Giunsi in ufficio proprio in tempo per vedere il bombardamento alla televisione. Si svolse come previsto e per le ventuno e un minuto era tutto finito. Prof diede il via ai lavori. Nemmeno una parola sulle dimissioni né su Wright: non lo rividi più.

Voglio dire che non lo rividi mai più e mi guardai bene dal chiedere notizie sul suo conto. Prof non accennò al fatto e io tenni la bocca chiusa.

Esaminammo le ultime notizie dalla Terra e la situazione tattica. Wright aveva ragione parlando di migliaia di vite umane stroncate: sulla Terra non si parlava d’altro. Il numero esatto delle vittime non lo sapremo mai ; se una persona si trova sull’obiettivo e alcune tonnellate di sassi gli piovono in testa, non ne rimane molto. Le vittime che si poterono contare furono quelle a qualche distanza dal punto dell’esplosione, uccise dalle onde d’urto e di calore. Diciamo cinquantamila nel Nord America.

Non riuscirò mai a capire la gente! Per tre giorni avevamo continuato ad avvertirli e non si può dire che non avessero ricevuto i nostri consigli. Era proprio per questo che si trovavano là, per assistere allo spettacolo, ridere alle nostre spalle, raccogliere souvenirs della Luna. Intere famiglie si erano recate sul luogo dell’esplosione, molte venute da lontano per fare un picnic. Picnic! Santo cielo!

E ora i sopravvissuti chiedevano il nostro sangue per questa insensata carneficina. Proprio così. Nessuna indignazione invece per la loro invasione e per il bombardamento (nucleare!) di cui ci avevano fatto segno quattro giorni prima. Invece, come se l’erano presa calda per il nostro assassinio premeditato! Il Great New York Times chiedeva che l’intero governo ribelle fosse portato sulla Terra e sottoposto pubblicamente alla pena capitale: questo è un caso evidente in cui, in nome del maggiore interesse dell’umanità, si deve derogare al principio umanitario che si oppone alla pena di morte.

Tycho Under rappresentava un problema pressante. Se le astronavi avessero bombardato le grotte (le notizie sulla Terra indicavano che proprio questo era l’obiettivo) Tycho Under non sarebbe stata in grado di sostenere l’attacco. La parte superiore era sottile. Una bomba acca sarebbe stata sufficiente per decomprimere tutti i livelli, e le porte stagne non erano state costruite in vista di un’incursione atomica.

Finn, in un discorso alla televisione, aveva dato ordine ai suoi uomini di far evacuare la grotta. Prof aveva esortato gli abitanti a collaborare. Tycho Under era una piccola grotta e non sarebbe stato un problema per Novylen e Luna City offrire un tetto e il sostentamento a tutti i suoi abitanti. Impiegando un numero adeguato di capsule si poteva completare l’evacuazione in venti ore, scaricando metà degli abitanti a Novylen e facendo proseguire l’altra metà fino a Luna City. Una grossa impresa, ma non impossibile.

Ma nessuno voleva abbandonare la grotta. Come se fossero affari che non li riguardavano!

A Tycho Under le capsule rimanevano allineate una dietro l’altra, immobili, vuote. — Mannie — continuava a segnalarmi Finn — non vogliono andarsene.

— Maledizione — rispondevo — devono andare via! Quando il primo missile partirà per Tycho Under sarà troppo tardi. Allora si calpesteranno uno contro l’altro e si affolleranno nelle capsule, che non saranno sufficienti a contenerli tutti. Finn, i tuoi ragazzi devono persuaderli.

Prof scosse la testa. — No, Manuel.

Mi arrabbiai. — Prof, tu stai portando troppo in là questa tua idea della non-coercizione. Lo sai che poi verrà il caos!

— Lo so. Ma dobbiamo continuare con la persuasione, non con la forza. Ora rivediamo i piani di difesa.

I piani non erano un gran che, ma erano quanto di meglio si potesse fare. Dovevamo avvertire tutti di tenersi pronti a un bombardamento, eventualmente accompagnato da sbarco e invasione, organizzare i reparti della milizia di Finn per assicurare continui turni di guardia a ogni grotta, in superficie, per non farci cogliere un’altra volta di sorpresa da un’invasione sulla faccia opposta della Luna. Dichiarammo lo stato di emergenza in tutte le grotte, ordinando di tenere la pressione al massimo e le tute a portata di mano. Tutti i corpi militari e paramilitari dovevano trovarsi in stato di allarme blu a partire dalle ore sedici di sabato, pronti a entrare in allarme rosso (tutti ai posti di combattimento) se venivano lanciati missili o se le navi manovravano per allunare.

Quanto ai bombardamenti contro la Terra, non apportammo nessuna modifica ai lanci durante la prima rotazione del pianeta. Dall’India ricevevamo reazioni angosciate, mentre la Grande Cina taceva. Tuttavia, proprio l’India non aveva motivi di lamentarsi. L’avevamo giudicata troppo popolosa per servirci dei tiri a reticolato che avevamo impiegato nel Nord America. A eccezione di alcuni obiettivi nel Deserto del Thare e su poche cime rocciose, i massi sarebbero caduti in mare, a distanza di sicurezza dai porti.

Avremmo però dovuto scegliere montagne più alte, oppure dare meno indicazioni. Le notizie parlavano di fanatici religiosi che scalavano le montagne-bersaglio, seguiti da turbe innumerevoli di fedeli, per allontanare la nostra rappresaglia con la sola forza spirituale.

Così, fummo di nuovo assassini.

Inoltre, i massi precipitati nell’Oceano Indiano uccisero milioni di pesci e parecchi pescatori, dato che pescatori e altri marinai non avevano prestato fede ai nostri avvertimenti. Il governo indiano si infuriò sia per i pesci sia per i pescatori, però non sembrava voler invocare anche nei nostri confronti il principio che tutte le forme di vita sono sacre: pretendeva le nostre teste.

L’Africa e l’Europa reagirono con più buon senso. In Africa la vita non è mai stata ritenuta molto sacra e quei pochi che si avventurarono nelle vicinanze dei bersagli non aprirono ferite nel cuore dei governanti. All’Europa era bastato un giorno per capire che avremmo colpito dove avevamo promesso e che le nostre bombe erano mortali. Uccidemmo qualcuno, è vero, soprattutto marinai cocciuti. Ma non sterminammo sciami di teste vuote come era successo nel Nord America e in India. In Brasile e nelle altre zone dell’America del Sud il numero delle vittime fu ancora inferiore.

Poi venne di nuovo il turno del Nord America: sabato 17 ottobre 2076 ore nove, cinquanta minuti, ventotto secondi.


Mike aveva stabilito l’inizio della seconda fase alle dieci esatte ora lunare. Questo significava che, tenuto conto della posizione in orbita della Luna e del movimento di rotazione della Terra, il Nord America sarebbe stato sotto il nostro tiro alle cinque del mattino sulla costa orientale e alle due sulla costa occidentale.

Le discussioni su questi lanci erano cominciate fin dall’alba di sabato. Prof non aveva convocato ufficialmente il Consiglio di Guerra, tuttavia tutti i membri erano presenti a eccezione di Clayton che si era recato a Kongville per assumere il comando della difesa. Prof, io, Finn, Wyoh, il Giudice Brody, Wolfgang, Stu e Terence Sheehan partecipavamo alla riunione: in totale otto opinioni diverse. Aveva ragione Prof: più di tre persone non riescono a decidere niente.

Dovrei forse dire che le opinioni diverse erano sei, dato che Wyoh tenne sempre chiusa la sua deliziosa bocca e Prof si limitava a dirigere il dibattito. In compenso gli altri facevano per diciotto. A Stu non interessava dove sarebbero caduti i colpi… purché la Borsa di New York si aprisse regolarmente il lunedì mattina. — Giovedì abbiamo venduto allo scoperto in diciannove diverse operazioni. Se non vogliamo che la nostra nazione vada in bancarotta prima di uscire dalla culla, bisogna assolutamente che siano eseguiti i miei ordini di acquisto per coprire i debiti. Diglielo tu, Wolf: faglielo capire.

Brody voleva impiegare la catapulta per colpire qualsiasi altra nave che avesse lasciato l’orbita di parcheggio della Terra. Sheehan pensava che sarebbe stato divertente ripetere il gioco del reticolato centrando una delle scariche in cima alla sede del governo nordamericano. — Conosco i cittadini degli Stati Uniti, ero uno di loro prima che mi deportassero sulla Luna. Sono terribilmente seccati di aver ceduto la direzione del loro Paese alle Nazioni Federate. Se mettiamo fuori combattimento quei burocrati, avremo tutti gli americani dalla nostra parte.

Wolfgang Korsakov, con sommo disgusto di Stu, pensava invece che le speculazioni fatte sulla Terra avrebbero avuto maggior successo se tutte le borse fossero rimaste chiuse sino alla fine della guerra.

Finn voleva rischiare il tutto per tutto: intimare alla Terra di ritirare le sue astronavi dal nostro cielo. Se non le avessero ritirate, colpire la Terra, ma sul serio. — Sheehan si sbaglia sul conto degli americani — disse — li conosco anch’io. Il Nord America è l’osso più duro in seno alle Nazioni Federate e noi dobbiamo spezzarlo. Già ci chiamano assassini, quindi, tanto vale colpirli, e colpirli forte. Bombardiamo le città americane, poi possiamo anche sospendere gli altri tiri.

Uscii silenziosamente per chiacchierare con Mike e prendere qualche appunto. Quando rientrai stavano ancora discutendo. Prof alzò gli occhi verso di me: — Maresciallo, non abbiamo ancora sentito la tua opinione.

— Prof, non possiamo mettere da parte questa sciocchezza del maresciallo? I bambini sono ormai a letto e possiamo parlarci da uomini.

— Come vuoi, Manuel.

— Volevo aspettare per vedere se vi mettevate d’accordo.

Erano ancora al punto di partenza. — Non vedo perché dovrei esprimere la mia opinione — continuai. — Sono soltanto un tecnico e mi trovo qui perché sono capace di programmare un calcolatore balistico. — Mentre parlavo tenevo gli occhi fissi su Wolfgang, un compagno di prim’ordine durante la rivoluzione, ma nell’intimo un intellettuale al cento per cento. Io invece sono un meccanico con poca scuola alle spalle; Wolf si è laureato in un’università di grido, a Oxford, prima che lo condannassero all’esilio. Aveva molta stima di Prof, ma raramente chinava la testa di fronte agli altri. A Stu, forse. Ma anche Stu aveva amicizie altolocate.

Alle mie parole si agitò, a disagio, e disse: — Avanti, Mannie, è ovvio che vogliamo sentire la tua opinione.

— Non ho niente da dire. Il piano dei bombardamenti è stato studiato con la massima cura, e tutti hanno avuto la possibilità di esporre le loro critiche. Non mi pare che quanto abbiamo finora ascoltato sia di tale portata da giustificare un cambiamento tattico.

Prof disse: — Manuel, potresti ripetere a beneficio di tutti il piano del secondo bombardamento sul Nord America?

— D’accordo. Lo scopo della seconda scarica è di costringerli a impiegare i missili d’intercettamento. Ogni colpo ha per obiettivo una grande città, o meglio, bersagli spopolati vicino a grandi città. Informeremo gli interessati poco prima di colpirli. Quando esattamente, Sheehan?

— Li stiamo avvertendo ora. Ma possiamo cambiare programma e io penso che dovremo farlo.

— Può darsi. La propaganda non è affar mio. Nella maggior parte dei casi, per colpire località vicine alle aree popolate in modo da costringerli a usare i missili anti-missili, abbiamo dovuto scegliere come bersagli gli specchi d’acqua, laghi e mari. Oltre a distruggere i pesci e chiunque non stia lontano all’acqua, i massi provocheranno formidabili bufere locali e danni alle coste.

Guardai l’orologio e vidi che dovevo prendere tempo. — Seattle riceverà un proiettile proprio in grembo, nello Stretto di Pugent. San Francisco perderà un paio di ponti di cui è particolarmente orgogliosa. Per Los Angeles è previsto un tiro fra Long Beach e Catalina, e un secondo pochi chilometri a nord, lungo la costa. Città del Messico è all’interno e allora abbiamo lanciato un masso sul Popocatepetl, così lo potranno vedere bene. Salt Lake City avrà un confetto nel lago. Niente in programma per Denver, ma gli abitanti potranno andare a vedere che cosa accade a Colorado Springs, dato che colpiremo di nuovo il Monte Cheyenne e continueremo il bombardamento finché lo avremo sotto tiro. A Saint Louis, Kansas City e New Orleans i colpi cadranno nei fiumi, e probabilmente New Orleans sarà allagata. Poi c’è il lungo elenco delle città sui Grandi Laghi. Devo leggerlo?

— Magari più tardi — rispose Prof. — Continua.

— Boston avrà un proiettile nel porto, New York uno nello Stretto di Long Island e uno a metà strada fra i due principali ponti della baia. Non è detto che i ponti rimarranno in piedi, ma abbiamo promesso di non colpirli e ci riusciremo. Scendendo lungo la costa orientale, ci occuperemo di due città della Baia di Delaware e di altre due della Baia di Chesapeake, una delle quali pare sia di grande importanza storica e affettiva. Più a sud abbiamo riservato tre spruzzi marini ad altrettanti grandi centri. Nell’interno abbiamo in programma Cincinnati, Birmingham, Chattanooga e Oklahoma City. Ah, anche Dallas. Distruggeremo l’aeroporto spaziale e dovremo riuscire a colpire anche qualche astronave, ultimamente ce n’erano sei. Non uccideremo nessuno a meno che non insistano a mettersi proprio sul bersaglio. Dallas è un posto ideale da bombardare, con quell’enorme aeroporto spaziale piatto e completamente vuoto, e forse dieci milioni di persone che possono osservare lo spettacolo senza danno.

— Se riuscirai a colpirlo.

Quando, non se. Ogni proiettile è seguito da un secondo, a distanza di un’ora. Se nessuno dei due arriva a destinazione, possiamo far deviare sui bersagli mancati i massi diretti verso altri obiettivi. Per esempio, è facile colpire Dallas con uno di quelli destinati alle baie di Delaware e Chesapeake. Oppure con quelli dei Grandi Laghi. Dallas, comunque, ha già una lunga serie di massi tutti per lei, dato che ci aspettiamo una difesa accanita. I proiettili sostitutivi potranno continuare a cadere su Dallas per sei ore consecutive se i primi non faranno centro, cioè fino a quando il Nord America rimarrà visibile dalla Luna. Gli ultimi lanci fatti potranno essere deviati su qualsiasi bersaglio del continente, a nostro piacere… dato che maggiore è la distanza del proiettile dalla Terra e maggiore è la deviazione che gli possiamo imprimere.

— Non capisco quest’ultimo ragionamento — disse Brody.

— È una questione di traiettoria, giudice. Un razzo deviante può imprimere a un carico una spinta laterale di un certo numero di metri al secondo. Più sarà lunga la nuova traiettoria e più lontano dal bersaglio cadrà il masso. Se facciamo entrare in azione un razzo deviante tre ore prima dell’impatto sulla Terra, la deviazione sarà tre volte maggiore di quella che si avrebbe aspettando fino a un’ora sola prima dell’impatto. Non è così semplice come dico io, ma il nostro cervello elettronico può calcolarlo con esattezza. Sempre che gli si dia tempo sufficiente.

— Quanto è questo tempo sufficiente? — chiese Wolfgang.

Guardai l’orologio ostentatamente. — Ora abbiamo… Dunque… tre minuti e cinquantotto secondi di tempo per far fallire il bombardamento su Kansas City. Il programma per la deviazione è pronto e il mio migliore assistente… si chiama Mike… aspetta un mio cenno per metterlo in esecuzione. Devo telefonargli?

— Per l’amor del cielo! — esclamò Sheehan. — Man, fallo deviare!

— Neanche per sogno! — gridò Finn. — Che cosa ti prende, Terence? Non hai fegato?

Intervenne Prof: — Compagni! Calma!

Dissi: — Sentite, io prendo ordini solo dal capo dello Stato, cioè da Prof. Se lui vorrà conoscere il vostro parere, ve lo chiederà. Non c’è bisogno di urlare tutti insieme. — Tornai a controllare l’orologio. — Diciamo due minuti e mezzo, ora. Per gli altri bersagli, naturalmente, abbiamo più tempo. Ma Kansas City è lontana dall’acqua. I massi diretti alle città dei Grandi Laghi sono già troppo vicino alla Terra per farli cadere nell’oceano, il meglio che possiamo fare è deviarli sul Lago Superiore. Per Salt Lake City forse abbiamo ancora un minuto. Poi non ci sarà più niente da fare. — Aspettai.

— Appello nominale — annunciò Prof. — Ai voti la prosecuzione del programma di bombardamento. Generale Nielsen?

— Sì!

— Signora Davis?

Wyoh prese fiato. — Sì!

— Giudice Brody?

— Sì, naturalmente. È necessario.

— Wolfgang?

— Sì.

— Conte LaJoie?

— Sì.

— Signor Sheehan?

— State perdendo una scommessa. Ma mi associo. Unanimità.

— Ancora un momento. Manuel?

— Sta a te decidere, Prof, è sempre stato così. È sciocco votare.

— Mi rendo conto benissimo che dipende da me, signor ministro della Difesa. Porta a termine i bombardamenti secondo il programma.

23

Bastarono le prime due salve per colpire la maggior parte degli obiettivi, anche se erano tutti difesi, a eccezione di Città del Messico. Sembrava, a un primo esame (nel 98,3 per cento dei casi, calcolò poi Mike), che i missili di intercettazione esplodessero su comando radar a una distanza eccessiva dai massi, calcolata in base a una stima errata della vulnerabilità di quei solidi cilindri di roccia. Soltanto tre massi furono distrutti, gli altri furono solamente deviati e perciò causarono molto più danno che se non fossero stati intercettati.

A New York il bombardamento fu disastroso. Ancora peggio a Dallas.

L’errore dei missili intercettatori fu probabilmente dovuto all’inefficienza dei radar locali, dato che era molto improbabile che il Quartier Generale del Monte Cheyenne fosse ancora in funzione. Forse non eravamo riusciti a sfondare il loro buco sotterraneo (non so a quale profondità fosse) ma scommetto che né uomini né calcolatori erano più in grado di seguire le traiettorie dei massi.

Dallas riuscì a distruggere o a deviare i primi cinque proiettili, e allora dissi a Mike di interrompere il tiro sul Monte Cheyenne e spostare il bombardamento su Dallas, cosa che fece due salve dopo. Dallas e il Monte Cheyenne distano meno di mille chilometri.

La difesa di Dallas saltò alla scarica successiva; Mike fece precipitare sullo spazioporto altri tre massi (ormai erano stati deviati e non si poteva più fare niente) poi continuò il tiro sul Monte Cheyenne. I successivi colpi non erano stati deviati e proseguirono la loro corsa verso il Quartier Generale della Difesa Spaziale. Mike stava ancora dando le sue carezze cosmiche a quella montagna bersagliata quando l’America ruotava sotto il bordo orientale della Terra.

Durante tutto il bombardamento ero rimasto con Mike, sapendo che si trattava del momento cruciale. Quando ebbe terminato, Mike osservò, quasi soprappensiero: — Man, credo che faremmo meglio a non colpire più quella montagna.

— Perché, Mike?

— Perché non c’è più.

— Allora devia i prossimi lanci. Entro quanto devi decidere?

— Li farò cadere su Albuquerque e Omaha, ma sarà bene che li devii subito, domani avrò molto da fare. Man, mio migliore amico, dovresti andare via.

— Sei stanco di me, vecchio mio?

— Può darsi che nelle prossime ore l’astronave incominci a lanciare i missili. A quel punto dovrò cedere i controlli balistici all’altro calcolatore per la Fionda di Davide e tu dovrai trovarti al Mare delle Onde.

— Che cosa ti preoccupa, Mike?

— Quel ragazzo è molto preciso, Man, ma è stupido. Voglio che sia sorvegliato. Forse si dovranno prendere decisioni rapide e attualmente non c’è nessuno laggiù che lo sappia programmare come si deve. Bisogna che ci vada tu.

— Va bene, Mike, se lo dici tu. Ma se sarà necessaria una programmazione rapida, dovrò comunque telefonarti.

— Man, io voglio che tu vada là perché può darsi che non possa telefonare al Mare delle Onde. Potrebbero interrompersi le linee. Così ho preparato delle programmazioni per il calcolatore; potranno venirti utili.

— D’accordo, stampale, e fammi parlare con Prof.

Dopo essermi accertato che Prof parlava da un telefono privato, gli comunicai la richiesta di Mike. Pensavo che avrebbe sollevato obiezioni, speravo addirittura che mi avrebbe ordinato di rimanere al mio posto per tutta la durata del bombardamento o dell’invasione da parte delle astronavi. Invece disse: — Manuel, è indispensabile che tu ci vada. Io esitavo a dirtelo. Mike ti ha parlato delle ultime prospettive di successo?

— No.

— Gliel’ho chiesto esplicitamente. Se anche Luna City dovesse essere bombardata, se io dovessi morire e con me tutti i membri del governo, anche se il radar di Mike fosse messo fuori combattimento e Mike stesso impossibilitato a mettersi in contatto con la nuova catapulta, tutte cose possibili in un bombardamento violento, nonostante tutto ciò, Mike prevede il cinquanta per cento di probabilità favorevoli alla Luna purché funzioni l’Operazione Fionda di Davide… e se ci sarai tu a farla funzionare.

Non avevo altra scelta. Accettai. — Sì, capo. Sì, signore e padrone. Tu e Mike siete due pidocchi e volete divertirvi alle mie spalle. Ci andrò.

— Molto bene, Manuel.

Mi fermai per un’altra ora, il tempo necessario a Mike per stampare metri su metri di nastro programmato per l’altro calcolatore. Un lavoro che a me avrebbe preso sei mesi, ammesso che fossi stato in grado di analizzare tutte le variabili. Era zeppo di indici e di riferimenti e prevedeva mostruosità tali che non oso nemmeno parlarne. Tanto per dire, date certe circostanze e risultando necessario distruggere (per esempio) Parigi, quel nastro indicava come si doveva fare: quali proiettili e in quale orbita, come dire al calcolatore stupido di trovarli e farli cadere sul bersaglio. O qualsiasi altra cosa.

Stavo leggendo questo interminabile documento (non i programmi per il calcolatore veri e propri, ma la descrizione dello scopo di ogni programma che precedeva i simboli in codice) quando telefonò Wyoh. — Mannie, caro, Prof ti ha già parlato del Mare delle Onde?

— Sì. Stavo per telefonarti.

— Benissimo. Allora preparo i nostri bagagli e ci troviamo alla stazione Est. A che ora arriverai?

— I nostri bagagli? Vieni anche tu?

— Non te l’ha detto Prof?

— No. — Improvvisamente mi sentii allegro.

— Mi sentivo colpevole, caro. Volevo venire con te, ma non avevo una scusa valida. Dopo tutto, non servo a niente accanto a un calcolatore mentre qui ho delle responsabilità. O meglio ne avevo. Ora sono stata esonerata da tutti i miei incarichi, come te del resto.

— Come?

— Non sei più ministro della Difesa. Al tuo posto è stato nominato Finn. Tu sei vice Primo Ministro.

— Bene!

— …e viceministro della Difesa. Io sono già vicepresidente del Parlamento e Stu è stato nominato sottosegretario agli Esteri. Così viene anche lui con noi.

— Sono confuso.

— Non è stata una decisione improvvisa come sembra: Prof e Mike stavano lavorando da mesi. Decentralizzazione, caro, la stessa cosa che McIntyre ha escogitato per i servizi tecnici delle grotte. Se ci sarà un disastro a Luna City, la Luna avrà ancora un governo. Prof me l’ha spiegato così: mia cara Wyoh, fino a che voi tre e qualche altro membro del Parlamento sarete vivi, non sarà tutto perduto. Potrete sempre negoziare su un piano di parità e non dovrete ammettere le vostre ferite.

Così tornai a diventare un tecnico addetto ai calcolatori. Stu e Wyoh mi vennero incontro con i bagagli (comprese le altre mie braccia artificiali) viaggiammo insieme per interminabili gallerie senza aria, con indosso le tute a pressione, su un piccolo carrello che veniva impiegato per il trasporto dell’acciaio alla nuova catapulta. Greg ci aveva preparato un grande rolligon per il tratto da percorrere in superficie e si unì lui stesso a noi quando tornammo in galleria per il tratto terminale.

Per questo non potei assistere all’attacco contro i radar balistici, quel sabato sera.

24

Il Comandante della prima astronave, l’Esperance delle Nazioni Federate, era un uomo di fegato. Sabato sera cambiò improvvisamente rotta e si diresse a capofitto sulla Luna. Doveva aver pensato che avremmo tentato di far impazzire i cervelli dei suoi missili perché decise di avvicinarsi fino a identificare i nostri radar con quelli della nave anziché fidarsi a bombardarli con i missili.

Evidentemente era pronto a sacrificare se stesso, la nave e l’equipaggio, dato che scese a meno di mille chilometri prima di aprire il fuoco, un ventaglio di missili che si abbatté su cinque dei sei radar di Mike, ignorando le contromisure.

Mike, che si aspettava di rimanere accecato molto presto, fece sparare a volontà le artiglierie di Brody contro gli occhi elettronici della nave. Tre secondi di fuoco sulla nave, poi tiro a vista contro i missili che cadevano.

Risultato: l’astronave distrutta, due radar balistici messi fuori uso dalle cariche nucleari dei missili, tre missili uccisi in volo, due squadre di artiglieri uccisi (la prima postazione colpita da un missile acca, l’altra da un missile morto che cadde su di essa). Inoltre tredici artiglieri furono investiti da radiazioni superiori al livello mortale di 800 roentgen, in parte causate dalle esplosioni nucleari, in parte dall’eccessiva permanenza in superficie. Tra le vittime anche quattro ausiliarie del corpo femminile che avevano deciso di mettersi le tute e salire in superficie accanto ai loro uomini. Altre ragazze si erano esposte a quantità eccessive di radiazioni, ma inferiori al livello di 800 roentgen.

Intanto la seconda astronave continuava a girare intorno alla Luna lungo un’orbita ellittica.

Seppi queste notizie da Mike la domenica mattina, al mio arrivo al Mare delle Onde. Mike continuava a lamentarsi per la perdita di due dei suoi occhi e ancora di più per le due squadre di artiglieri… Penso che si stesse formando in lui qualcosa di simile a una coscienza umana. Sembrava che sentisse come una sua colpa personale il non essere riuscito a mettere fuori combattimento tutti e sei i missili con una sola bordata. Gli feci notare che aveva dovuto combattere con ordigni improvvisati e di scarsa gittata, non vere e proprie armi.

— Piuttosto, cosa è successo di te, Mike? Stai bene?

— Per quanto riguarda le parti essenziali, sì, ma ho qualche discontinuità nelle comunicazioni esterne. Un missile ha tagliato i circuiti che mi collegano con Novy Leningrad, ma notizie giuntemi tramite Luna City mi assicurano che i sistemi locali di emergenza hanno provveduto in modo soddisfacente a ristabilire tutti i servizi urbani. Mi sento frustrato da questi inconvenienti… ma ce ne occuperemo più tardi.

— Mike, mi sembra che tu sia stanco.

— Stanco, io? Ridicolo! Man, dimentichi che sono un calcolatore. Sono seccato, ecco tutto.

— Quando si farà rivedere la seconda astronave?

— Tra circa tre ore, se manterrà l’orbita assunta. Ma non lo farà… con novanta probabilità su cento. Aspetto che arrivi entro un’ora.

— Un’orbita rasente al suolo, eh?

— È scomparsa alla mia vista all’azimut, con una rotta nord-est di trentadue gradi. Non ti suggerisce niente questo, Man?

Cercai di ricostruire la situazione visivamente. — Suggerisce che hanno l’intenzione di atterrare e di cercare di catturare te, Mike. Hai avvertito Finn? Voglio dire, hai detto a Prof di avvertire Finn?

— Il Professore è informato. Ma la mia analisi è diversa dalla tua.

— Davvero? Bene, allora forse è meglio che tenga la bocca chiusa e ti lasci lavorare in pace.

Feci così. Lenore mi preparò la colazione mentre ispezionavo il piccolo calcolatore. Devo dire, con vergogna, che non riuscivo a dispiacermi troppo per le perdite subite, con Wyoh e Lenore accanto a me. Mum aveva mandato Lenore per fare da mangiare a Greg dopo la morte di Milla… Ma era una scusa. C’erano abbastanza donne alla nuova catapulta per fare da mangiare per tutti. L’aveva mandata per tirare su di morale Greg e anche Lenore. Lenore e Milla erano molto legate.

Il piccolo calcolatore sembrava a posto. Stava bombardando il Sud America, un masso alla volta. Rimasi nella sala dei radar e osservai, su uno schermo enorme, le immagini di un’esplosione fra Montevideo e Buenos Aires; Mike non avrebbe potuto sparare con più precisione. Controllai poi il programma della terza scarica sul Nord America, non trovai niente da criticare e lo inserii nel calcolatore Junior, così chiamavamo il piccolo cervello elettronico di riserva, che ora avrebbe fatto tutto da sé a meno che Mike non si sbarazzasse degli altri problemi e decidesse di riprendere il controllo dei bombardamenti.

Mi misi a sedere e cercai di ascoltare le notizie provenienti dalla Terra e da Luna City. Il cavo coassiale da Luna City assicurava il collegamento telefonico e i fili fra Mike e il suo discepolo stupido ci portavano i programmi radio e TV, la nuova catapulta ora non era più isolata, ogni notizia terrestre ci giungeva come se fossimo stati nelle Centrali dell’Ente, presso Luna City. E non era stato un capriccio inutile istituire quel collegamento: i programmi radio e TV della Terra erano stati l’unica fonte di divertimento nei lunghi mesi della costruzione della catapulta; ora, la nuova catapulta era una vera e propria centrale di emergenza in caso di attacco a Luna City.

La stazione ripetitrice installata sul satellite ufficiale delle Nazioni Federate sosteneva che i radar balistici della Luna erano stati distrutti e che noi eravamo ormai senza speranze. Chissà che cosa pensavano di quell’annuncio gli abitanti di Buenos Aires e Montevideo! Probabilmente erano troppo occupati per ascoltare la radio. In un certo senso i tiri in acqua erano anche peggiori di quelli che cadevano sulla terraferma.

Il canale televisivo del Lunatic di Luna City trasmetteva in quel momento un resoconto letto da Sheehan sull’esito dell’attacco sferrato dalla Esperance. Ogni pochi minuti ripeteva l’ammonimento che la battaglia non era ancora finita, dato che una seconda nave da guerra sarebbe tornata da un momento all’altro nel nostro cielo: tutti pronti a ogni evenienza, tutti con indosso le tute a pressione (Sheehan stesso aveva la tuta, con l’elmetto aperto), sistemi di condizionamento al massimo, tutti i reparti militarizzati in allarme rosso, gli altri cittadini non direttamente impegnati nella difesa dovevano trasferirsi con urgenza ai livelli più bassi e attendervi il cessato allarme. Eccetera.

Ripeté questo avvertimento fino alla noia… poi improvvisamente si interruppe: — Comunicato urgente! Avvistamento radar dell’incrociatore nemico, traiettoria rasente al suolo, velocissimo. Probabile obiettivo Luna City. Attenzione! Ha lanciato i missili contro il foro dell’uscita della…

Immagini e voce si interruppero di colpo.

Sarà bene che dica subito quello che noi della Fionda di Davide riuscimmo a sapere solo più tardi. Il secondo incrociatore, viaggiando su un’orbita veloce e bassa, la più stretta permessa dal campo gravitazionale della Luna, fu in grado di iniziare il bombardamento al foro di uscita della vecchia catapulta, a cento chilometri di distanza dalla testa della catapulta stessa dove si trovavano le artiglierie di Brody. I missili sconvolsero la parte terminale della catapulta nello spazio di tempo necessario all’astronave per giungere in vista e a tiro delle perforatrici-cannoni installate a cerchio intorno ai radar e alla testa della catapulta. Immagino che il Comandante dell’astronave si sentisse sicuro. Non lo era. I ragazzi di Brody bruciarono gli occhi e anche le orecchie della nave. Fece quasi un’altra orbita intorno alla Luna e precipitò presso Torricelli, apparentemente nel tentativo di atterrare, dato che i suoi retrorazzi si accesero poco prima della caduta.

La prima notizia che ricevemmo alla nuova catapulta veniva invece dalla Terra; la tonante radio delle Nazioni Federate proclamava che la nostra catapulta era stata distrutta (vero), e che la minaccia della Luna era finita (falso); faceva inoltre appello ai Lunari di prendere prigionieri i loro falsi capi e di arrendersi alla mercé delle Nazioni Federate (inesistente… la mercé, voglio dire).

Ascoltai il comunicato terrestre e controllai di nuovo la programmazione del calcolatore, poi entrai nella sala dei radar. Se tutto funzionava come previsto, stavamo per far cadere un altro uovo nel fiume Hudson, primo di una serie di tiri che si sarebbero succeduti per tre ore da un capo all’altro del continente nordamericano. Uno dopo l’altro, perché Junior non era in grado di controllarne due contemporaneamente. Mike lo aveva programmato in conseguenza.

Il fiume Hudson fu colpito all’ora stabilita. Chissà quanti newyorchesi stavano ascoltando la radio delle Nazioni Federate proprio nell’istante in cui vedevano l’esplosione che sbugiardava l’annuncio di vittoria.

Due ore dopo, la stazione delle Nazioni Federate avvertì che i ribelli della Luna avevano ancora alcuni missili in orbita quando la catapulta era stata distrutta e che dopo pochi altri tiri il bombardamento sarebbe finito. Quando la terza scarica sul Nord America fu finita, chiusi il radar. Anche prima non era rimasto in funzione continuamente; Junior era programmato in modo tale da ricorrere all’osservazione visiva soltanto quando era necessario, ogni volta per pochi secondi.

A questo punto avevo a disposizione nove ore prima del prossimo bombardamento della Grande Cina.

Ma non c’erano nove ore di tempo per prendere la decisione più urgente, cioè se colpire di nuovo la Grande Cina. Non avevo informazioni tranne quelle che venivano dalla Terra (che potevano essere false). Maledizione! Non sapevo nemmeno se le grotte erano state bombardate e se Prof era vivo o morto.

Sentii bussare alla porta. Mi alzai e l’aprii. Era Wyoh che mi portava il caffè. Non disse una parola. Me lo porse e se ne andò.

Bevvi il caffè. Eccoti qua, pensavo, ti piantano da solo e sperano che tu cavi un miracolo dal cappello. Non mi sentivo davvero all’altezza della situazione.

Preparai alcuni di quei programmi alternativi che Mike mi aveva affidato… nessuna difficoltà. Dovevo solo stare attento a leggerli senza sbagliare e inserirli nella tacca apposita. Ordinai a Junior di ristamparmene una copia per prova prima di dargli il segnale di esecuzione.

Quando ebbi finito, quaranta minuti dopo, i massi in volo diretti su un bersaglio desertico erano stati deviati sulla più vicina città costiera. Junior avrebbe potuto riportarli sul bersaglio destinato a un mio nuovo ordine. Scopo di quella decisione era di poter deviare i massi in mare fino all’ultimo momento prima dell’impatto. Avevo guadagnato tempo per riflettere.

Poi convocai il mio Consiglio di Guerra: Wyoh, Stu e Greg, mio Comandante delle Forze Armate. Ci riunimmo nell’ufficio di Greg, e Lenore ebbe il permesso di entrare e uscire per portarci il caffè e da mangiare e anche di rimanere con noi, senza intervenire nella discussione. Lenore è una donna intelligente e sa quando tenere la bocca chiusa.

Incominciò Stu.

— Signor Primo Ministro, non penso che questa volta si debba bombardare la Grande Gna.

— Lascia da parte i titoli roboanti, Stu. Forse sono il Primo Ministro e forse no. Ma non c’è tempo per le formalità.

— Molto bene. Posso esporre la mia proposta?

— Più tardi. — Spiegai loro che cosa avevo fatto per guadagnare tempo; Stu fece un cenno di assenso e non insistette. — Il nostro peggiore inconveniente è che siamo isolati, non possiamo comunicare né con Luna City né con la Terra. Greg, hai notizie della squadra addetta alle riparazioni?

— Non sono ancora tornati.

— Se il guasto è vicino a Luna City rimarranno via per molto tempo. Se pure riusciranno a ripararlo. Dobbiamo perciò presumere che saremo costretti a prendere decisioni da soli. Greg, hai sottomano un tecnico elettronico capace di improvvisare una trasmittente per parlare con la Terra? Con il loro satellite ripetitore, voglio dire. Non dovrebbe essere difficile, con l’antenna giusta a disposizione. Posso dare una mano anch’io e poi quel tecnico che ti ho mandato non è affatto un inetto. — Era ottimo, anzi, per normali problemi elettronici… quel povero disgraziato che un giorno avevo falsamente accusato di aver fatto entrare una mosca nei circuiti di Mike. Lo avevo scelto io per il lavoro alla nuova catapulta.

— Harry Biggs, il direttore della centrale atomica, può farlo benissimo — disse Greg pensoso. — Purché abbia il materiale necessario.

— Digli che si dia da fare. Può fare a pezzi tutto quello che vuole, a eccezione del radar e del calcolatore, una volta che abbiamo lanciato i massi dalla catapulta. Quanti proiettili abbiamo ancora?

— Ventitré, e neanche un grammo d’acciaio per costruirne altri.

— Allora ventitré sono e ventitré saranno, qualsiasi cosa accada. Che preparino i lanci. È probabile che li mettiamo tutti in orbita entro stasera.

— Sono pronti. Possiamo ricaricare la catapulta alla stessa velocità con la quale la scarica il suo calcolatore.

— Bene. Ancora una cosa. Non so se ci siano nel nostro cielo altri incrociatori delle Nazioni Federate, uno o magari più di uno. E ho paura di guardare, con il radar, voglio dire. Se perlustriamo il cielo con il radar rischiamo di rivelare la nostra posizione. Però dobbiamo controllare ugualmente. Puoi cercare volontari da mandare in superficie?

— Io mi offro — disse Lenore.

— Grazie, tesoro, accettata.

— Troveremo volontari — disse Greg. — Non ci sarà bisogno di esporre le donne.

— Lasciala fare, Greg, siamo tutti in ballo. — Spiegai poi che cosa volevo. Il Mare delle Onde si trovava ora nella mezza Luna buia: il sole era già tramontato. Il limite invisibile fra la luce del sole e l’ombra della Luna passava sopra di noi. Le navi che eventualmente fossero passate sulla nostra testa, sarebbero improvvisamente apparse alla vista se dirette a ovest, sarebbero scomparse se dirette a est. La parte visibile della loro orbita andava dall’orizzonte fino a un determinato punto nel cielo. Se gli osservatori di superficie fossero riusciti a identificare i due punti, uno in rapporto all’orizzonte, l’altro in rapporto alle stelle, e avessero calcolato il tempo impiegato approssimativamente dalla nave per trasferirsi da uno all’altro, Junior avrebbe potuto cominciare a calcolare l’orbita. Al secondo passaggio Junior avrebbe conosciuto esattamente il periodo e approssimativamente la forma dell’orbita. A questo punto io avrei avuto i dati sufficienti per sapere quando sarebbe stato sicuro utilizzare radio e radar e quindi la catapulta. Non volevo scagliare un masso mentre l’incrociatore delle Nazioni Federate si trovava sopra l’orizzonte: il radar della nave avrebbe potuto guardare dalla nostra parte.

Forse ero eccessivamente prudente, ma dovevo presumere che questa catapulta, queste due dozzine di missili e questo unico radar erano tutto quello che stava fra la libertà e la sconfitta totale. Il nostro bluff sarebbe durato fino a che non avessero scoperto che cosa avevamo e dove. Bisognava che ci mostrassimo capaci di martellare la Terra all’infinito, da una base di cui non avevano il minimo sospetto e che non potevano mai trovare.

A quei tempi, come ora del resto, la maggior parte dei Lunari non sapeva niente di astronomia. Noi siamo abitatori di caverne e andiamo in superficie solo quando è strettamente necessario. Ma fummo fortunati: fra gli uomini di Greg c’era un astronomo dilettante, un giovanotto che aveva lavorato all’Osservatorio Richardson. Gli spiegai che cosa doveva fare, lo misi a capo della squadra osservazione e lasciai a lui il compito d’insegnare agli altri come distinguere le stelle una dall’altra. Conclusi questi preliminari, riprendemmo la discussione. — Allora, Stu? Perché non dovremmo bombardare la Grande Cina?

— Sto aspettando notizie dal dottor Chan. Ho ricevuto un messaggio da lui che mi è stato telefonato poco prima che rimanessimo isolati da Luna City…

— Accidenti, perché non me l’hai detto subito?

— Ho cercato di farlo, ma ti eri chiuso a chiave e ne so abbastanza per non venirti a seccare quando sei occupato con problemi balistici. Il messaggio è per me e viene tramite l’agente di Parigi. Eccone la traduzione: il nostro rappresentante commerciale di Darwin (cioè il dottor Chan) ci informa che le vostre spedizioni (lasciamo stare i simboli, si riferisce all’ultimo bombardamento, anche se parla dello scorso giugno) erano mal confezionate e il danno da noi subito è stato inaccettabile. Se questo spiacevole incidente non potrà essere corretto in futuro, i negoziati per un contratto a lungo termine saranno seriamente compromessi.

Stu alzò gli occhi. — È tutta una metafora. Ritengo che voglia dire che il dottor Chan è convinto che il suo governo è pronto a negoziare con noi… ma che dovremmo smettere di bombardare la Cina, altrimenti gli rompiamo le uova nel paniere.

— Uhm… — Mi alzai in piedi e mi misi a passeggiare su e giù. Sentire l’opinione di Wyoh? Nessuno conosceva i meriti di Wyoh meglio di me, ma lei oscillava sempre fra la violenza eccessiva e la troppa compassione umana; avevo imparato che un Capo di Stato, anche uno provvisorio come me, non doveva lasciarsi prendere né da una né dall’altra. Chiedere a Greg? Lui era un buon agricoltore, un tecnico ancora migliore, un predicatore affascinante. Lo amavo molto… ma non volevo sentire il suo parere. Stu? Aveva già espresso la sua opinione.

Oppure no? — Stu — chiesi — che cosa ne pensi? Non l’opinione di Chan… la tua personale.

Stu mi guardò pensieroso. — E difficile dirlo, Mannie. Non sono un cinese. Non sono mai stato a lungo in Cina e non posso dire di essere un esperto della loro politica o della loro psicologia. E così sono costretto ad attenermi alla sua opinione.

— Uhm… Maledizione, ma lui non è un Lunare! I suoi scopi non sono i nostri. Che cosa si aspetta da noi?

— Credo che stia manovrando per conquistare il monopolio del traffico commerciale con la Luna. Forse per installare basi quassù, anche. O addirittura ottenere da noi una concessione extraterritoriale. Non penso che dobbiamo concedergli tutto questo, però.

— Potremmo anche farlo se fossimo con l’acqua alla gola.

— Comunque lui non ha detto niente di questo. Non parla molto, lo sai. Ascolta.

— Lo so anche troppo bene. — Ero preoccupato, più teso a ogni minuto che passava.

Le notizie dalla Terra mormoravano alla radio accesa in fondo alla stanza. Avevo chiesto a Wyoh di ascoltare mentre discutevo con Greg. — Tesoro — chiesi — niente di nuovo?

— No. Sempre gli stessi annunci. Siamo stati completamente sconfitti e la nostra resa è attesa da un momento all’altro. Ci sono anche i soliti avvertimenti che alcuni missili sono ancora nello spazio, in caduta incontrollata, ma rassicurano le popolazioni che tutte le traiettorie saranno avvertite in tempo per permettere l’evacuazione.

— Niente che implichi che Prof… o chiunque altro da Luna City o da altre parti della Luna… sia in contatto con la Terra?

— Niente.

— Maledizione! Nessuna notizia dalla Grande Cina?

— No. Ci sono le reazioni di quasi tutti gli altri Paesi del mondo ma non della Cina.

— Uhm… — Mi avvicinai alla porta. — Greg! Senti, soldato, cercami subito Greg Davis. Ho bisogno di lui. — Richiusi la porta. — Stu, non risparmieremo la Grande Cina.

— E allora?

— Sarebbe bello che la Grande Cina rompesse l’alleanza che opera contro di noi, potrebbe evitarci qualche danno. Ma siamo arrivati fino a questo punto solo mostrandoci capaci di colpirli a nostro piacimento e di distruggere qualsiasi nave inviata per sconfiggerci. Spero almeno che l’ultima sia stata abbattuta, ma certamente ne abbiamo già distrutte otto su nove. Non arriveremo a nessun risultato mostrandoci deboli, almeno non fino a quando le Nazioni Federate continuano a sostenere che non solo siamo deboli ma addirittura vinti. Dobbiamo prenderli di sorpresa, invece. Bombardare la Grande Cina, e se questo rende infelice il dottor Chan gli daremo un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. Se riusciamo a dare l’impressione di essere forti proprio quando le Nazioni Federate sostengono che siamo spacciati, allora è probabile che qualche nazione con diritto di voto finirà per cedere. Se non sarà la Grande Cina, sarà un’altra.

Stu chinò la testa senza alzarsi dalla sedia. — Come volete, signore.

— Io… — Entrò Greg. — Mi volevi parlare, Mannie?

— Come va la costruzione della radio?

— Harry crede che per domani sarà pronta. È una vecchia baracca, dice, ma basta fornirle l’energia sufficiente e si farà sentire.

— L’energia non ci manca. E se dice domani, allora vuol dire che sa quello che sta facendo. Perciò il lavoro sarà finito oggi… diciamo fra sei ore. Lavorerò ai suoi ordini. Cara Wyoh, mi procuri le mie braccia? Voglio la protesi numero sei e la numero tre… anche la numero cinque, per favore. E stammi accanto per aiutarmi a cambiare le braccia. Stu, voglio che tu prepari alcuni messaggi spiacevoli… ti darò la traccia generale e tu ci metterai il corrosivo necessario. Greg, non lanceremo quei massi nello spazio, per il momento. Quelli che stanno cadendo ora arriveranno a destinazione nelle prossime diciotto o diciannove ore. Poi, quando le Nazioni Federate annunceranno che tutti i proiettili sono caduti e che la minaccia lunare è finita, interrompiamo la loro trasmissione con la nostra radio e annunciamo i prossimi bombardamenti. Lanceremo i massi sulle orbite più brevi possibili, Greg, dieci ore o anche meno, perciò controlla l’efficienza della catapulta e della centrale nucleare: avremo bisogno di tutta l’energia disponibile.

Wyoh era tornata con le braccia artificiali. Le dissi: — Numero sei — e aggiunsi: — Greg, portami da Harry.

25

Sei ore dopo, la trasmittente era pronta. Era un apparecchio orribile, costruito per lo più con i pezzi di un apparecchio elettronico usato all’inizio dei lavori della catapulta. Ma poteva trasmettere e ricevere sulla frequenza desiderata ed era potente. Le versioni inacidite da Stu dei miei avvertimenti erano state registrate e Harry era pronto a lanciarle nell’etere a super-velocità: tutti i satelliti radio della Terra erano in grado di ricevere a velocità di sessanta a uno e non avevo nessuna intenzione di surriscaldare la nostra trasmittente per più secondi di quelli strettamente necessari. Le squadre di osservazione avevano confermato i miei timori: per lo meno due navi stavano orbitando intorno alla Luna.

Così avvertimmo la Grande Cina che le sue principali città costiere avrebbero ricevuto ciascuna un dono dalla Luna a una distanza di dieci chilometri nelle acque prospicienti: Pusan, Tsing Tao, Taipei, Shangai, Saigon, Bangkok, Singapore, Giacarta, Darwin, e così di seguito, con l’eccezione della vecchia Hong Kong, che si sarebbe presa una carezza proprio sulla cima della sede orientale delle Nazioni Federate; perciò si consigliava a tutti gli esseri umani di allontanarsi da Hong Kong. Stu aveva sottolineato che nel concetto di esseri umani non si comprendevano i funzionari delle Nazioni Federate, questi, anzi, erano invitati caldamente a rimanere alle loro scrivanie.

L’India ricevette un simile avvertimento per le sue città lungo la costa e le fu annunciato che il Quartier Generale mondiale delle Nazioni Federate sarebbe stato risparmiato per un’altra rotazione in segno di rispetto per gli storici monumenti di Agra e per permettere a tutti gli esseri umani di evacuare la zona.

A tutti gli abitanti del resto del mondo fu detto di rimanere ai loro posti: la partita continuava con i tempi supplementari. Nessuno però doveva avvicinarsi agli uffici delle Nazioni Federate, dovunque fossero dislocati. Ancora meglio, si suggeriva di abbandonare ogni città che ospitasse edifici delle Nazioni Federate (al solito i pezzi grossi delle Nazioni Federate erano pregati di non allontanarsi).

Trascorsi le successive venti ore insegnando a Junior come fare a perlustrare il cielo con i radar, quando le navi non erano sopra di noi. Quando potevo, riposavo qualche ora e Lenore stava con me e mi svegliava periodicamente. Passate le venti ore, i massi inviati da Mike erano tutti arrivati a segno. Lanciammo il primo proiettile di Junior dalla nuova catapulta con una traiettoria tesa e veloce. Aspettammo per essere certi che il tiro fosse andato in orbita, poi riferimmo alla Terra dove dovevano guardare per vederlo e dove dovevano aspettarselo, in modo che tutti sapessero che gli squilli di vittoria delle Nazioni Federate erano sullo stesso piano delle menzogne che da un secolo diffondevano sul conto della Luna. Il tutto condito dall’offensivo e altezzoso frasario di Stu.

Avremmo voluto destinare il primo colpo alla Grande Cina, ma per motivi balistici lanciammo il masso sulla Confederazione Nord Americana… esattamente sul suo più prezioso gioiello, le isole Hawaii. Junior lo fece cadere in mezzo al triangolo formato da Maui, Molokai, Lanai. Non ebbi bisogno di faticare per programmarlo, Mike aveva pensato a tutto.

Poi, uno dopo l’altro, sparammo altri dieci massi a brevi intervalli (fummo solo costretti a rinviare un lancio per la presenza di una nave nel nostro cielo) e informammo la Cina di quando e dove aspettarseli: sulle città costiere che avevamo nominato il giorno prima.

Erano rimasti solo dodici proiettili, ma decisi che era più sicuro rimanere senza munizioni che dare l’impressione di esserne a corto. Così ne indirizzai altri sette sulle città della costa indiana, scegliendo nuovi bersagli, e Stu si affrettò a chiedere con la massima dolcezza se Agra era stata evacuata. Se non avevano ancora provveduto, lo facessero immediatamente. (In realtà non avevamo in programma di bombardarla.)

All’Egitto fu consigliato di tenere sgombro il canale di Suez, ma era un altro bluff: volevo tenere di riserva gli ultimi cinque massi.

Poi aspettammo.


Colpimmo in pieno il bersaglio delle isole Hawaii. Un centro magnifico, visto sullo schermo, Mike poteva essere orgoglioso del suo discepolo.

Aspettammo ancora.

Trentasette minuti prima dell’inizio del bombardamento sulla costa cinese, la Grande Cina denunciò l’azione delle Nazioni Federate, riconobbe ufficialmente il nostro governo e si dichiarò pronta a trattare con noi. Mi slogai un dito schiacciando i pulsanti per deviare i tiri.

Con il dito che mi doleva, dovetti continuare a premere pulsanti: l’India cedette dopo pochi minuti.

Poi ci riconobbe l’Egitto e seguì una valanga di riconoscimenti e di offerte di trattative.

Stu informò la Terra che avevamo sospeso… solo sospeso, non cessato… i bombardamenti. Ora dovevano ritirare dal nostro cielo tutte le astronavi, immediatamente, poi avremmo accettato i negoziati. Se le navi non potevano fare ritorno alla Terra senza prima rifornirsi di carburante, potevano atterrare a non meno di cinquanta chilometri dalla più vicina grotta, poi aspettare fino a quando avessimo accettato la loro resa. Ma il cielo della Luna doveva essere sgombrato subito!

Fummo costretti a ritardare la trasmissione di questo ultimatum di qualche minuto, per lasciare scomparire dietro l’orizzonte una delle astronavi: non volevamo correre rischi… sarebbe bastato un missile e la Luna era finita.

Aspettammo.

La squadra inviata a riparare le linee tornò indietro. Erano quasi arrivati fino a Luna City e avevano trovato il guasto. Ma i lavori di riparazione erano impediti da migliaia di tonnellate di rocce e allora avevano fatto l’unica cosa possibile: erano tornati indietro fino al primo punto di uscita sulla superficie e avevano eretto una torre con antenna radio orientata verso Luna City, contemporaneamente sparando una dozzina di razzi a intervalli di dieci minuti. Speravano di essere visti e capiti e che qualcuno, a Luna City, rizzasse un’altra antenna per stabilire un ponte radio… Eravamo in comunicazione, ora?

No.

Aspettammo.

Gli osservatori in superficie comunicarono che una nave, passata regolarmente per diciannove volte consecutive, non era apparsa al ventesimo giro. Dieci minuti dopo ci informarono che anche la seconda nave non era riapparsa.

Continuammo ad aspettare rimanendo in ascolto accanto alla radio.

La Grande Cina, parlando a nome di tutte le potenze con diritto di voto, accettò l’armistizio e dichiarò che non c’era più nessuna nave in orbita intorno alla Luna. Lenore scoppiò in lacrime e baciò tutti quanti si trovavano intorno a lei.

Dopo essersi ripresi dall’emozione (un uomo non può pensare se una donna gli butta le braccia al collo, figuratevi quando ce ne sono cinque o sei), dissi: — Stu, voglio che tu vada immediatamente a Luna City. Scegliti gli uomini che vuoi. Niente donne… dovrete camminare in superficie per gli ultimi chilometri. Scopri quello che è successo, ma per prima cosa ripristina il ponte radio.

— Molto bene, signore.

Lo stavamo preparando per il duro viaggio (bombole d’ossigeno supplementari, tende d’emergenza, eccetera) quando la Terra chiamò per radio. Volevano me personalmente, sulla frequenza sulla quale eravamo sintonizzati. Il messaggio (lo seppi dopo) era stato trasmesso su tutte le frequenze captabili sulla Luna.

"Messaggio privato. Prof a Mannie, identificazione Giorno della Bastiglia e segnale Sherlock. Torna subito a casa. Un mezzo di trasporto ti attende alla nuova antenna radio. Messaggio privato. Prof a…"

E così via, per dieci volte.

— Harry!

— Sì, capo?

— Messaggio per la Terra… registralo e poi gridalo più forte che puoi. "Messaggio privato. Mannie a Prof. Cannone di bronzo. Vengo!" Chiedi conferma… ma digli che basta una volta sola!

26

Stu e Greg guidarono la capsula al ritorno, mentre io, Wyoh e Lenore ci sdraiammo sul rimorchio, legati per non cadere. Era troppo piccolo per tre. Ebbi molto tempo a disposizione per parlare. Le due ragazze non avevano la radio nella tuta e potevano comunicare solo a segni… Molto buffo.

Incominciai a scorgere, ora che avevamo vinto, alcune parti del piano di Prof che non mi erano mai state chiare. Attirare l’attacco terrestre sulla catapulta aveva risparmiato le grotte (o almeno lo speravo), questo era il piano, ma Prof si era sempre mostrato sereno e indifferente all’idea di una possibile distruzione della catapulta. Certo, ne avevamo una seconda, ma troppo lontana e difficile da raggiungere. Ci sarebbero voluti anni per costruire la Metropolitana fino alla nuova catapulta, e c’erano montagne alte di mezzo. Probabilmente sarebbe stato meno costoso riparare la vecchia. Se era ancora possibile.

In entrambi i modi, non ci sarebbero state spedizioni di grano nel frattempo.

Era proprio questo lo scopo a cui mirava Prof! Eppure non aveva mai nemmeno accennato di voler far distruggere la vecchia catapulta… un piano a lunga scadenza, non solo la rivoluzione. Forse non lo avrebbe ammesso nemmeno ora. Ma Mike me lo avrebbe detto se lo avessi messo con le spalle al muro con questa domanda: aveva o non aveva calcolato questo fattore nei suoi calcoli? E le predizioni sulla carestia e tutto il resto, eh, Mike? Mi avrebbe detto la verità.

Quel progetto dello scambio tonnellata per tonnellata… Prof lo aveva sostenuto a spada tratta sulla Terra… serviva per convincerli a costruire una catapulta terrestre. Ma a tu per tu Prof non ne era entusiasta. Un giorno, nel Nord America, mi aveva detto: "Sì, Manuel, sono certo che funzionerebbe. Ma, se sarà costruita, sarà una soluzione temporanea. Molto tempo fa, due secoli circa, spedivano la biancheria sporca dalla California alle Hawaii… a vela, pensa!… e la riportavano indietro lavata. Circostanze particolari. Se riusciremo mai a vedere acqua e fertilizzanti spediti alla Luna e restituiti sotto forma di grano, sarà una cosa altrettanto temporanea. L’avvenire della Luna è nella sua straordinaria posizione, in cima a un pozzo gravitazionale in fondo al quale si trova un pianeta ricco, nella sua energia prodotta a basso costo e nelle sue illimitate estensioni di terra. Se noi Lunari saremo abbastanza sensati, nei prossimi secoli, da rimanere un porto franco e da non aderire a nessuna alleanza, diventeremo il punto di passaggio obbligato del traffico fra due o tre pianeti, diventeremo la base dei viaggi in tutto il sistema solare. Il nostro destino non è quello di essere per sempre degli agricoltori!".

Ci vennero incontro alla stazione Est e quasi non ci lasciarono il tempo di toglierci le tute a pressione… fu come tornare un’altra volta dalla Terra: una sterminata folla urlante; abbracci, il trionfo. Anche le ragazze furono portate a spalla dopo che Slim Lemke aveva detto a Lenore: — Possiamo portare in trionfo anche te? — e Wyoh aveva risposto: — Certamente, perché no?

Gli uomini erano per lo più in tuta e mi sorpresi a vedere quanto erano armati… fino a quando vidi che non erano i nostri fucili a raggi ma armi catturate. Ma la più grande felicità di tutti fu di vedere che Luna City era rimasta intatta!


Avrei fatto volentieri a meno della processione trionfale: non vedevo l’ora di attaccarmi al telefono e chiedere a Mike che cosa era successo… quanti danni, quanti morti, quale era stato insomma il prezzo della vittoria. Non ne ebbi occasione. Fummo trascinati alla Vecchia Cattedrale, volenti o nolenti.

Ci scaricarono su un palco con Prof, gli altri membri del governo e alcuni pezzi grossi. Le nostre ragazze piansero fra le braccia di Prof e lui mi abbracciò alla latina, con il bacio sulle guance, mentre qualcuno mi piazzava sulla testa un Berretto della Libertà. Scorsi la piccola Hazel fra la folla e le mandai un bacio.

Alla fine si calmarono e Prof prese la parola.

— Amici — disse, e fece una pausa in attesa di silenzio. — Amici — ripeté a voce bassa. — Amati compagni, finalmente siamo radunati qui, nel giorno della libertà, e abbiamo con noi gli eroi che hanno combattuto l’ultima battaglia per la Luna, da soli. — Scrosciarono gli applausi e di nuovo Prof attese il silenzio. Era stanchissimo, le mani gli tremavano, e si appoggiava al parapetto. — Voglio che siano loro a parlarvi, vogliamo sapere quello che hanno fatto. Ma, per prima cosa, ho un annuncio felice da farvi. La Cina ci ha appena comunicato che costruirà sull’Himalaia una colossale catapulta, capace di lanciare carichi sulla Luna a buon prezzo e con la stessa facilità con cui inviamo il grano dalla Luna alla Terra.

S’interruppe per gli applausi, poi riprese: — Ma questo appartiene al futuro. Oggi… oh, giorno felice!, il mondo ha finalmente riconosciuto la sovranità della Luna. Liberi! Avete conquistato la vostra libertà…

Prof si interruppe, un’espressione di sorpresa gli apparve sul volto. Non era spavento, era perplessità. Barcollò lievemente.

Poi morì.

27

Lo trasportammo in un negozio dietro il palco d’onore. Anche con l’intervento di dodici medici non ci fu niente da fare. Il vecchio cuore aveva ceduto. Lo riportarono fuori e io lo seguii lentamente.

Stu mi toccò ii braccio: — Signor Primo Ministro…

Risposi: — Eh? Oh, maledizione!

— Signor Primo Ministro — ripeté con fermezza — devi parlare alla gente, dire che tornino a casa. Poi ci sono molte cose da fare. — Parlava con voce calma, ma sulle guance gli scorreva il pianto.

Tornai sul palco, confermai quello che tutti avevano già intuito e li invitai a tornare a casa. Poi ci ritrovammo nella stanza L del Raffles dove era nata la rivoluzione, per una riunione d’emergenza del governo. Ma prima mi precipitai al telefono, tirai il paravento e composi il numero Mycroft XXX.

Il numero non rispondeva. Provai di nuovo, stesso risultato.

Spostai il paravento e chiesi a Wolfgang, che era il più vicino: — I telefoni non fuzionano?

— Dipende — rispose. — Quel bombardamento di ieri ha sconvolto le linee. Se devi chiamare fuori città, sarà bene farlo tramite centralino.

— Quale bombardamento?

— Non te l’hanno detto? Hanno concentrato l’attacco sulle Centrali sotterranee dell’Ente. Ma i ragazzi di Brody hanno colpito la nave. Nessun grosso danno, in realtà, niente di irreparabile.

Non tentai più di telefonare. Mi aspettavano. Io non sapevo che cosa fare ma Stu e Korsakov avevano le idee chiarissime. A Sheehan fu ordinato di preparare un bollettino da diramare alla Terra e al resto della Luna, e io mi trovai ad annunciare un mese di lutto nazionale, ventiquattro ore di quiete in tutta la Luna con interruzione di tutte le attività non indispensabili. Disposi perché il corpo di Prof fosse esposto pubblicamente. Tutte parole che mi furono messe in bocca: io ero abulico, il mio cervello si rifiutava di funzionare. D’accordo, riunione del Parlamento al termine delle ventiquattro ore. A Novylen? Sì, d’accordo.

Sheehan portò alcuni dispacci dalla Terra. Wolfgang scrisse a mio nome che, a causa della morte del Presidente, avremmo risposto solo dopo ventiquattro ore.

Infine riuscii ad andarmene, accompagnato da Wyoh. Un corpo di guardia di ragazzi ci scortò fino alla porta stagna numero tredici per proteggerci dalla folla. Appena a casa mi precipitai nella mia officina con la scusa che dovevo cambiare braccio. — Mike?

Nessuna risposta.

Cercai di chiamarlo con il telefono di casa: ancora niente. Decisi che sarei andato a trovarlo il giorno dopo. Ora che Prof era morto, avevo bisogno di Mike più che mai.

Ma il giorno dopo non potei andare, la Metropolitana del Mare delle Crisi era interrotta a causa del bombardamento. Passando da Torricelli e Novylen si poteva arrivare fino a Hong Kong, ma le Centrali sotterranee dove si trovava Mike, a due passi da Luna City, erano isolate, e ci si poteva arrivare solo viaggiando in superficie. Non avevo il tempo per farlo: il governo ero io.

Riuscii a liberarmi dei miei incarichi due giorni dopo. Una risoluzione del Parlamento decise che il vicepresidente (Finn) sarebbe succeduto a Prof nella presidenza e io e Finn decidemmo che l’uomo più adatto per fare il Primo Ministro era Wolfgang. Anche questa nomina fu approvata e io tornai a fare il deputato che non partecipava alle riunioni del Parlamento.

Ormai i telefoni erano stati riparati quasi tutti e si poteva comunicare con la Centrale dell’Ente. Composi il numero di Mike: ancora nessuna risposta. Allora andai in rolligon. Dovetti scendere sotto la superficie e percorrere a piedi l’ultimo chilometro della galleria della Metropolitana. La Centrale non sembrava danneggiata.

Anche Mike pareva intatto.

Ma quando gli parlai non rispose.

Non ha più risposto. E sono passati molti anni, ormai.

Gli si possono fare domande… in Loglan… e risponde pure in Loglan. Funziona bene come prima… come calcolatore. Ma non vuole parlare, o non sa più parlare.

Wyoh tentò con tutte le arti femminili. Poi smise. Anch’io rinunciai, alla fine.

Non riesco a capire come sia successo. Molte parti periferiche di Mike furono distrutte dal bombardamento, evidentemente diretto, ne sono convinto, a mettere fuori uso il nostro calcolatore balistico. Forse cadde al di sotto di quel livello critico necessario per avere un’autocoscienza? È solo un’ipotesi. Oppure la decentralizzazione a cui si era sottoposto prima del bombardamento lo aveva ucciso?

Non lo so. Se fosse stata solo una questione tecnica, tutto si sarebbe risolto con le riparazioni che feci in breve tempo. E invece no. Perché non si risveglia più?

Una macchina può spaventarsi o rimanere offesa al punto da cadere in una forma di catalessi e rifiutarsi di rispondere? Con il suo io compresso all’interno, cosciente, ma deciso a non rischiare un’altra volta? No, non poteva essere così: Mike non conosceva la paura.


Passarono gli anni, la vita si trasformò lentamente. Mimi si è ritirata molto tempo fa dalla direzione della famiglia, Anna è diventata Mum e Mimi sogna alla televisione. Slim ha convinto Hazel a cambiare il suo nome in Stone, ora hanno due figli e Hazel studia ingegneria. Grazie alle nuove droghe antigravità ora i Terrestri stanno anche tre o quattro anni sulla Luna e tornano a casa senza inconvenienti. Poi ci sono quegli altri medicinali che fanno altrettanto bene a noi. Alcuni nostri ragazzi vanno a scuola sulla Terra, ora. E funziona la catapulta del Tibet, ci sono però voluti diciassette anni per costruirla, invece dei dieci previsti. È stata inaugurata prima quella del Kilimangiaro.

Una piccola sorpresa… Quando venne l’occasione, Lenore propose che fosse optato Stu, mentre io pensavo che sarebbe stata Wyoh a proporlo. Non ci fu nessuna differenza perché votammo tutti sì. Un’altra novità (ma non una sorpresa, perché ce ne occupammo Wyoh e io quando ancora contavamo qualcosa nel governo): nel mezzo della piazza della Vecchia Cattedrale c’è un cannone di bronzo e sopra di esso sventola, mossa dalle bocche dell’aria condizionata, una bandiera… Sfondo nero punteggiato di stelle, due sbarre da galera incrociate in campo rosso sangue, e sopra, ricamato, un cannone di bronzo, fiero e gioioso, con il motto Transtaafl! È in quella piazza che ogni anno celebriamo il nostro Quattro di Luglio.

Si ottiene solo quello che si paga… Prof lo sapeva e pagò, con animo lieto.

Ma Prof aveva sottovalutato le teste di legno. Non realizzarono nessuna delle sue idee. Sembra un istinto insopprimibile negli esseri umani quello di rendere obbligatorio ciò che non è proibito. Prof era rimasto affascinato dalle possibilità di preparare l’avvenire che offriva un calcolatore intelligente… e aveva perduto il contatto con le cose di tutti i giorni. Oh, certo, anch’io ero come lui!

Ma ora, a volte, mi chiedo: la carestia sarebbe stata davvero un prezzo troppo alto da pagare per quella gente? Non lo so.

Non so più nessuna risposta, ora che ci ripenso.

Vorrei poter chiedere a Mike.

Mi sveglio di notte e mi sembra di udirlo sussurrare: Man… Man, mio migliore amico… Ma quando dico Mike? non mi risponde. Forse si sia aggirando come un fantasma, cercando un corpo in cui vivere? Oppure è sepolto laggiù sottoterra, e tenta di venire fuori? Quelle memorie speciali che racchiudono tutto il nostro passato sono da qualche parte, laggiù, che aspettano di essere portate alla Luna. Ma io non posso violare il segreto: erano chiuse da un codice vocale e Mike è diventato sordo.

Oh, è morto come Prof, lo so. (Ma Prof è morto davvero?) Se facessi ancora una volta il numero di telefono e dicessi Ciao, Mike! forse lui risponderebbe Ciao, Man! Ci sono novità? È passato tanto tempo dall’ultima volta che ho provato. Ma non può essere veramente morto, nessuna sua parte è rimasta colpita… è solo perduto.

Mi stai sentendo, Signore? Un calcolatore può essere una delle tue creature?


Troppi cambiamenti sono stati fatti. Stasera potrei partecipare a quelle interminabili discussioni senza senso e dire quattro parole in libertà.

Oppure no. Da quando è esploso il Boom Spaziale qualche giovane ha fatto le valigie e si è trasferito sugli Asteroidi. Dicono che siano bei posti, non troppo affollati.

E in fondo, non ho ancora compiuto cento anni.

FINE
Загрузка...