IV

Boyd sentì il pigolio del flauto quando arrivò ai piedi del sentiero che saliva alla caverna. Le note erano spezzate, portate via dal vento. I Pirenei spiccavano contro l’alto cielo azzurro.

Boyd si assestò la bottiglia di vino sotto il braccio e incominciò la salita. Sotto di lui c’era il rosso dei tetti del villaggio e il bruno dell’autunno che si diffondeva nella valle. Il suono del flauto continuò, più nitido e meno nitido a seconda del vento che lo strattonava giocosamente.

Luis era seduto a gambe incrociate davanti alla tenda rattoppata. Quando vide Boyd, si mise il flauto sulle ginocchia e attese.

Boyd gli sedette accanto e gli porse la bottiglia. Luis la prese e incominciò a lavorare sul tappo.

— Ho saputo che eri tornato — disse. — Com’è andato il viaggio?

— È andato bene — disse Boyd.

— E così ora sai — disse Luis.

Boyd annuì. — Penso che tu volessi farmelo sapere. Ma perché lo volevi?

— Gli anni sono lunghi — disse Luis. — E il peso opprimente. Mi sento solo.

— Non sei solo.

— Ci si sente soli, quando non c’è nessuno che ti conosce. Adesso tu sei il primo che mi conosce veramente.

— Ma sarà per poco tempo. Ancora qualche anno, e poi non ci sarà nessuno che ti conosca.

— Allevia il peso per un po’ — disse Luis. — Quando te ne sarai andato tu, riuscirò ad addossarmelo di nuovo. E c’è qualcosa…

— Sì, Luis, che cosa?

— Hai detto che quando te ne sarai andato non ci sarà più nessuno. Significa…

— Vuoi chiedermi se lo racconterò in giro? No, non lo farò. A meno che tu lo desideri. Ho pensato a quello che sarebbe di te se il mondo lo sapesse.

— Ho certe difese. Non puoi vivere quanto ho vissuto io, se non hai certe difese.

— Quali difese?

— Difese, ecco.

— Scusami se sono stato indiscreto. C’è un’altra cosa. Se volevi che io sapessi, l’hai presa molto alla lontana. Se qualcosa fosse andato storto, se io non avessi trovato la piccola grotta…

— All’inizio avevo sperato che la piccola grotta non fosse necessaria. Avevo creduto che ce l’avresti fatta a indovinare da solo.

— Sapevo che c’era qualcosa che non andava. Ma questo è così assurdo che non avrei creduto a me stesso, anche se avessi immaginato. E se non avessi trovato la piccola grotta… L’ho scoperta per un puro caso, sai.

— Se non l’avessi scoperta, avrei atteso. In un’altra occasione, un altro anno, ci sarebbe stato qualcun altro. Qualche altro modo per tradirmi.

— Avresti potuto dirmelo.

— Così a freddo?

— Sì. Non ti avrei creduto, naturalmente. Almeno all’inizio.

— Non capisci? Non potevo dirtelo. Ormai nascondermi è diventato una seconda natura. È una delle difese di cui ti ho parlato. Non sarei stato capace di dirlo. A te o a chiunque altro.

— Perché proprio a me? Perché hai atteso per tutti questi anni fino a che sono comparso io?

— Non ho atteso, Boyd. Ce ne sono stati altri, in tempi diversi. Non è mai andata come volevo. Dovevo trovare, capisci?, qualcuno che avesse la forza per affrontare la verità. Non qualcuno che scappasse via urlando come un pazzo. Sapevo che tu non l’avresti fatto.

— Io ho avuto il tempo per pensarci bene — disse Boyd. — E mi sono abituato all’idea. Posso accettare la realtà, ma non troppo: appena appena. Luis, tu hai una spiegazione? Come mai sei così diverso da tutti noi?

— Non ne ho la più pallida idea. Un tempo pensavo che dovevano esserci altri come me. Li ho cercati. Non ne ho trovato nessuno. Non li cerco più.

Il tappo saltò e Luis passò la bottiglia di vino a Boyd. — Prima tu — disse.

Boyd alzò la bottiglia e bevve. La restituì a Luis. Lo guardò bere. E mentre lo guardava si chiedeva come poteva starsene lì tranquillo a parlare con un uomo che aveva vissuto, restando giovane, per ventimila anni. Ancora una volta la gola gli si strinse al pensiero di accettare quella realtà… ma doveva essere l’unica realtà. La scapola di cervo, la piccola quantità di materia organica rimasta nel pigmento aveva dato come responso 22.000 anni. Non c’erano dubbi: le impronte digitali nel colore corrispondevano a quelle della bottiglia. A Washington aveva posto un quesito, nella speranza di trovare la prova di un’impostura. Era possibile, aveva chiesto, che l’antico pigmento, il colore usato dall’artista preistorico, fosse stato ricostruito, e che le impronte vi fossero state lasciate prima che venisse rimesso nella piccola grotta? Impossibile, era stata la risposta. Una ricostruzione del pigmento, se fosse stata possibile, sarebbe risultata evidente dall’analisi. E non era così… il pigmento risaliva a 20.000 anni prima. Non c’era il minimo dubbio.

— Bene, Cro-Magnon — disse Boyd, spiegami come hai fatto. Come riesce, un uomo, a sopravvivere per tanto tempo? Non invecchi, è logico. Il tuo organismo non si ammala. Ma immagino che tu non sia immune alla violenza e agli incidenti. Sei vissuto in un mondo violento. Come può un uomo evitare gli incidenti e la violenza per duecento secoli?

— All’inizio — disse Luis, — tante volte rischiai di non sopravvivere. Per molto tempo non mi resi conto di quel che ero. Sicuro, ero più longevo di tutti gli altri, e rimanevo più giovane di loro… ma mi pare che non incominciai a notarlo fino a quando mi accorsi che tutti quelli che avevo conosciuto molto prima erano morti… morti da tantissimo tempo. Allora capii che ero diverso dagli altri. E più o meno allora, gli altri incominciarono ad accorgersi che ero diverso da loro. Mi guardavano con sospetto. Certuni con risentimento. Altri pensavano che fossi una specie di spirito maligno. Alla fine dovetti fuggire, abbandonare la tribù. Diventai un reietto. E allora incominciai a imparare i principii della sopravvivenza.

— Quali principii?

— Ti tieni nell’ombra. Non ti metti in vista. Non attiri l’attenzione. Diventi vigliacco. Non fai mai l’eroe. Non corri rischi. Lasci che siano gli altri a fare le cose pericolose. Non ti offri mai volontario. T’imboschi e scappi e ti nascondi. Acquisisci la pelle dura: te ne infischi di quel che gli altri pensano di te. Abbandoni tutti gli attributi nobili, la coscienza sociale. Dimentichi la devozione alla tribù o al popolo o al paese. Non sei un patriota. Vivi solo per te stesso. Sei un osservatore e non partecipi mai. Giri al largo. E diventi così egocentrico che finisci per convincerti che non ti si possa rimproverare nulla, che stai vivendo nell’unico modo logico in cui può vivere un uomo. Qualche giorno fa sei andato a Roncisvalle, ricordi?

— Sì, ti ho detto che c’ero andato. E tu hai risposto che ne avevi sentito parlare.

— Sentito parlare. Diavolo, ero lì, il giorno che successe… il 15 agosto 778. Osservatore, non partecipante. Un piccolo bastardo vigliacco accodato alla nobile banda di guasconi che fregò Carlomagno. Guasconi un corno. È un nome di fantasia. Erano baschi, puri e semplici. Le carogne più carogne che siano mai esistite sulla faccia della terra. Certi baschi sono nobili e valorosi, ma quelli non lo erano. Non erano tipi di guerrieri capaci di affrontare i franchi a viso aperto. Si nascosero in alto, sul passo, e fecero rotolare le pietre addosso a quei possenti cavalieri. Ma a loro non interessavano i cavalieri. Era il convoglio dei carri. Non si erano mossi per combattere una guerra o vendicare un torto. Volevano il bottino. Anche se non gli servì a molto.

— Perché?

— Andò così — disse Luis. — Sapevano che il resto dell’esercito franco sarebbe tornato, quando la retroguardia non fosse comparsa, e non avevano nessuna voglia di affrontarlo. Spogliarono i cavalieri morti degli speroni d’oro, delle armature e delle sopravvesti lussuose, presero i sacchi del denaro e li caricarono sui carri e se ne andarono. Qualche miglio più avanti, in mezzo alle montagne, si rintanarono in una gola profonda, dove pensavano che sarebbero stati al sicuro. Ma se li avessero scoperti, avevano una specie di fortezza. Mezzo miglio più in basso del punto dove si accamparono, la gola si restringeva e deviava bruscamente. In quel punto erano precipitati parecchi massi, e formavano una barricata che un pugno d’uomini poteva difendere contro qualunque assalto. Io, ormai, ero molto lontano. Avevo fiutato qualcosa che non andava. Sapevo che stava per succedere qualcosa di molto spiacevole. È un’altra caratteristica della sopravvivenza. Ti spunta un sesto senso. E così riesci a fiutare i guai prima che succedano, molto prima. Più tardi venni a sapere com’era andata.

Luis alzò la bottiglia e bevve un altro sorso, poi la passò a Boyd.

— Non tenermi sulle spine — disse Boyd. — Raccontami.

— Durante la notte scoppiò un temporale — disse Luis. — Uno di quei temporali estivi, improvvisi e violenti. Fu un nubifragio. I miei valorosi guasconi morirono tutti. È il prezzo del coraggio.

Boyd bevve un sorso, abbassò la bottiglia e la tenne stretta al petto.

— Questo lo sai tu — disse. — Tu e nessun altro. Forse nessuno si è mai chiesto che fine fecero i guasconi che avevano causato quel guaio a Carlomagno. Devi sapere tante altre cose. Cristo, tu hai visto la storia. Non sei sempre rimasto in questa zona.

— No. Certe volte me ne andavo in giro. Lo spirito vagabondo. C’erano tante cose da vedere. E dovevo continuare a spostarmi. Non potevo fermarmi troppo a lungo in un dato posto, altrimenti qualcuno avrebbe notato che non invecchiavo.

— Sei vissuto durante la Morte Nera — disse Boyd. — Hai visto le legioni romane. Hai sentito parlare di quello che stava facendo Attila. Ti sei accodato ai crociati. Hai girato per le vie dell’antica Atene.

— No, Atene no — disse Luis. — Atene non è mai stata di mio gusto. Ma passai qualche tempo a Sparta. Sparta, te l’assicuro, era davvero qualcosa.

— Sei istruito — disse Boyd. — Dove hai studiato?

— A Parigi, per qualche tempo, nel secolo decimoquarto. Più tardi a Oxford. E poi in altri posti. Sotto nomi diversi. Non cercare di seguire le mie tracce attraverso le scuole che ho frequentato.

— Potresti scrivere un libro — disse Boyd. — Stabilirebbe nuovi primati di vendita. Diventeresti milionario. Basterebbe un libro per farti diventare milionario.

— Non posso permettermi d’essere milionario. Non posso mettermi in mostra, e i milionari sono in mostra. Non sono in miseria. Non sono mai stato in miseria. C’è sempre qualche tesoro che uno come me riesce a scovare. Ho i miei nascondigli qua e là. Tiro avanti benissimo.

Luis aveva ragione, si disse Boyd. Non poteva diventare milionario. Non poteva scrivere un libro. Non poteva diventare famoso, mettersi in vista. Doveva restare sempre nascosto, sempre anonimo.

I principii della sopravvivenza, aveva detto. E questa era una parte, anche se non era tutto. Aveva accennato all’arte di fiutare i guai, l’intuizione. E dovevano esserci anche la furberia, l’astuzia pratica, il cinismo acquisito con il tempo, la capacità di giudicare i caratteri, la conoscenza delle reazioni umane, e qualche nozione circa l’uso del potere, ogni genere di potere, economico, politico, religioso.

Era ancora umano, si chiese, oppure in ventimila anni era diventato qualcosa di sovrumano? Era avanzato di quel passo decisivo che l’avrebbe posto oltre l’umanità, facendolo diventare quel tipo di essere che sarebbe venuto dopo l’uomo?

— Ancora una cosa — disse Boyd. — Perché quei dipinti alla Disney?

— Li dipinsi diverso tempo dopo gli altri — rispose Luis. — Avevo dipinto qualcosa, nella caverna principale. L’orso che pesca è mio. Sapevo della piccola grotta. La scoprii e non dissi niente a nessuno. Non c’era motivo per tenerla segreta. Era soltanto una di quelle piccole cose che uno tiene per sé per sentirsi importante. Io so qualcosa che tu non sai… una sciocchezza così. Più tardi tornai per dipingere la piccola grotta. L’arte dei cavernicoli era così maledettamente seria. Una magia terribilmente stupida. Così mi dissi che la pittura doveva essere divertente. E tornai indietro, dopo che la tribù si era trasferita, e dipinsi semplicemente per divertirmi. Come t’è sembrato, Boyd?

— Straordinario — disse Boyd.

— Avevo paura che non trovassi la piccola grotta, e non potevo aiutarti. Sapevo che avevi notato le incrinature nella parete: un giorno ti ho visto mentre le osservavi. Contavo sul fatto che le avresti ricordate. E che avresti visto le impronte digitali e avresti trovato il flauto. Tutte coincidenze, naturalmente. Non avevo in mente nulla di particolare quando lasciai il colore con le impronte e il flauto. Il flauto, certo, era l’indizio decisivo, e speravo che ti saresti almeno incuriosito. Ma non potevo essere sicuro. Quando abbiamo cenato quella sera, qui accanto al fuoco, tu non hai parlato della piccola grotta, e io ho avuto paura che non l’avessi scoperta. Ma poi, quando ti sei portato via la bottiglia vuota, ho capito che ce l’avevo fatta. E adesso la domanda più importante. Farai sapere al mondo dei dipinti nella grotta piccola?

— Non lo so. Dovrò pensarci bene. Tu cosa ne dici?

— Preferirei che non lo raccontassi.

— D’accordo — disse Boyd. — Almeno per il momento. C’è qualcosa d’altro che posso fare per te? C’è qualcosa che vorresti?

— Hai già fatto il meglio — disse Luis. — Sai chi sono, che cosa sono. Non so perché per me sia tanto importante, ma lo è. Una questione d’identità, suppongo. Quando morirai, e ti auguro che sia fra molto tempo, allora non ci sarà più nessuno a sapere. Ma la conoscenza che un uomo sapeva, e soprattutto capiva, mi sosterrà per secoli. Un momento… ho qualcosa da darti.

Si alzò, entrò nella tenda e tornò con un foglio. Lo porse a Boyd. Era una carta topografica.

— Ho messo una croce — disse Luis. — Per segnare il posto.

— Quale posto?

— Dove troverai il tesoro di Roncisvalle. I carri e il tesoro furono senza dubbio trascinati lungo la gola dall’alluvione. La svolta e la barricata di massi dovettero bloccarli. Li troverai là, probabilmente sotto uno strato di ghiaia e di detriti.

Boyd alzò gli occhi dalla carta con aria interrogativa.

— Val la pena di cercarli — disse Luis. — E poi, sarà un’altra conferma della validità del mio racconto.

— Io ti credo — disse Boyd. — Non ho bisogno di altre prove.

— Ah, be’ — disse Luis. — Male non ne farà. E adesso è ora di andare.

— Ora di andare! Abbiamo tante cose di cui parlare.

— Più tardi, forse — disse Luis. — C’incontreremo di nuovo, prima o poi. Farò in modo che succeda. Ma adesso è ora di andare.

Si avviò lungo il sentiero e Boyd rimase seduto, a seguirlo con lo sguardo.

Dopo qualche passo, Luis si fermò e si voltò a mezzo.

— Mi sembra — disse come spiegazione, — che sia sempre ora di andare.

Boyd si alzò, lo guardò scendere lungo il sentiero verso il villaggio. Quella figura che camminava irradiava un profondo senso di solitudine… l’uomo più solo del mondo.

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