Nessuna persona ragionevole biasimerà mai un esploratore interplanetario per aver effettuato calcoli errati in merito all’ambiente in cui si trova, soprattutto quando si deve prendere una qualche decisione, in fretta e sotto tensione. Occasionali errori sono inevitabili: se sapessimo esattamente cosa aspettarci in tutto il Sistema Solare, non avremmo ragione di esplorarlo.
Il modulo si sollevò, ed un velo di polvere cosmica si allontanò dai suoi razzi. Ad un’altitudine di centocinquanta metri, la spinta si ridusse, e l’imbarcazione sostò immota su un pilastro di fuoco.
All’interno della cabina c’era ben poco rumore, solo un basso sibilo ed un rombo profondo ma quasi inudibile. Il sudore copriva il volto di Danzig, gocciolava lucente dalla barba stopposa, inzuppava la tuta impregnandola di sudore: Danzig stava per intraprendere una manovra altrettanto difficile quanto un randezvous, e senza guida.
Con cautela, spinse in avanti una leva, azionando un motore laterale: il modulo saettò in avanti in picchiata e subito le mani di Danzig scattarono sui comandi; doveva calibrare le forze che tenevano sollevato il modulo e quelle che lo spingevano orizzontalmente in modo da ottenere un risultato che lo portasse verso est ad una velocità lenta e costante. I vettori sarebbero cambiati ad ogni istante, come succede ad un uomo che cammini, ed il computer di controllo, pur occupandosi della maggior parte del bilanciamento, non era in grado di svolgere la parte cruciale: era Danzig che gli doveva dire cosa fare.
Il suo pilotaggio era inesperto, come si era reso conto che sarebbe stato. Una maggiore altitudine gli avrebbe dato un più ampio margine d’errore, ma lo avrebbe privato dei punti di riferimento che i suoi occhi scorgevano sul terreno sottostante e sull’orizzonte antistante, senza contare che, una volta raggiunto il ghiaccio, avrebbe per forza dovuto volare basso per trovare la meta, dal momento che sarebbe stato troppo impegnato per poter effettuare un preciso calcolo di navigazione astrale, come avrebbe potuto invece fare a piedi.
Nel tentativo di correggere il suo errore, Danzig compensò eccessivamente ed il modulo precipitò in una diversa direzione. Premette allora il bottone di «pausa» ed il computer riprese il controllo: con il veicolo di nuovo immobile, Danzig si concesse un minuto per riprendere fiato, riacquistare coraggio e rivedere il da farsi. Mordendosi un labbro, fece quindi un nuovo tentativo, e questa volta non andò incontro ad un vero e proprio disastro: con i motori accesi, la scialuppa avanzò barcollando, come ubriaca, sul paesaggio lunare.
L’altura gelata si fece sempre più incombente e vicina; Danzig scorse la sua fragile bellezza e provò un senso di rimpianto all’idea di doverla rovinare, eppure, che significato aveva qualsiasi meraviglia della natura se non era presente una mente cosciente per ammirarla? Spuntò il pendio più basso e lo vide svanire fra volute di vapore.
Sempre più avanti. Sotto quel ribollire, a destra, a sinistra e davanti, quell’architettura da Fiaba crollava. Danzig superò la palizzata, e si venne così a trovare ad appena cinque metri di altezza sulla superficie, con le nubi di vapore che si avvicinavano pericolosamente prima di dissolversi nel vuoto; guardò con fatica fuori dall’oblò e fece apparire sullo schermo una visuale ingrandita della zona circostante, in cerca della sua destinazione.
Un bianco vulcano eruttò, e l’esplosione lo avvolse, costringendolo improvvisamente a volare alla cieca, mentre una serie di impatti raggiungevano lo scafo, colpito da pezzi di roccia scagliati in alto. La brina rivestì il modulo e l’immagine sullo schermo divenne altrettanto vacua quanto quella data dall’oblò. Danzig avrebbe dovuto ordinare al computer di salire, ma era inesperto, e l’istinto spinge un essere umano a correre piuttosto che a saltare, se messo di fronte ad un pericolo. Così, cercò di sfuggire da un lato, e, non avendo l’ausilio della visuale esterna, fece rotolare il modulo su se stesso. Quando si accorse dell’errore commesso, meno di un secondo dopo, era troppo tardi: aveva perso il controllo. Il computer avrebbe potuto riprendere il comando della situazione dopo un po’, ma il ghiacciaio era troppo vicino, ed il modulo andò a sbattere.
— Pronto, Mark — gridò Scobie. — Mark, mi ricevi? Dove sei, per l’amore di Cristo?
L’unica risposta fu il silenzio, e Scobie lanciò alla Broberg una lunga occhiata.
— Sembrava che tutto fosse a posto — osservò l’uomo, — finché abbiamo sentito quel grido e tanto frastuono, e poi niente altro. A quest’ora ci avrebbe già dovuti raggiungere, ed invece è andato incontro a qualche guaio. Spero solo che non sia stato nulla di letale.
— Cosa possiamo fare? — La domanda della Broberg era retorica: avevano bisogno di parlare, di dire qualsiasi cosa, perché Garcilaso era steso accanto a loro, e la sua voce delirante si stava affievolendo in fretta.
— Se non riceviamo cellule d’energia fresche entro le prossime quaranta o cinquanta ore saremo alla fine della nostra pista. Il modulo dovrebbe essere qui vicino da qualche parte, ma sembra che dovremo uscire da questo buco con le nostre sole forze. Aspetta qui con Luis, mentre do un’occhiata in giro in cerca di una pista praticabile.
Scobie si avviò verso il basso e la Broberg si accoccolò accanto al pilota.
— … solo per sempre nel buio… — lo sentì dire.
— No, Alvarlan. — Lo abbracciò. Molto probabilmente, Luis non era in grado di accorgersene, ma lei sì. — Alvarlan, ascoltami. Sono Ricia. Sento nella mente il richiamo del tuo spirito: lascia che ti aiuti, lascia che ti riporti alla luce.
— Sta’ attenta — l’ammonì Scobie. — Siamo troppo vicini ad ipnotizzarci di nuovo, così come stanno le cose.
— Ma potrei riuscire a raggiungere Luis e… confortarlo… Alvarlan, Kendrick ed io siamo fuggiti. Lui sta cercando una via che ci riporti a casa, ed io sto cercando te. Alvarlan, qui c’è la mia mano, vieni a stringerla.
Sul fondo del cratere, Scobie scosse il capo, fece schioccare la lingua, quindi depose l’equipaggiamento: il binocolo lo avrebbe aiutato a localizzare la zona più promettente, mentre un insieme di altri attrezzi, che andavano da un’asta di metallo ad un geosonar portatile, gli avrebbe permesso di farsi un’idea più esatta del tipo di terreno che giaceva sotto lo strato insormontabile di ghiaccio-sabbia. Era vero che la portata di quei mezzi di sondaggio era molto limitata, ma Scobie non aveva il tempo di scavare tonnellate di materiale solo per salire più in alto ad esaminare il terreno. Avrebbe semplicemente dovuto accontentarsi di qualche risultato preliminare, fare un’approssimativa supposizione su quale sentiero si sarebbe dimostrato più accessibile per uscire dalla conca, ed infine sperare di aver avuto ragione.
Scobie escluse dal suo pensiero cosciente la Broberg e Garcilaso quanto più gli era possibile e si mise al lavoro.
Un’ora più tardi, ignorando il dolore, stata sgombrando una zona che attraversava uno strato di roccia: pensava che più avanti ci fosse un blocco di buon solido ghiaccio d’acqua, ma voleva esserne certo.
— Jean! Colin! Mi ricevete?
Scobie si raddrizzò e rimase immobile. Vagamente, sentì la Broberg che diceva:
— Se non posso fare altro, Alvarlan, concedimi di pregare per il riposo della tua anima.
— Mark! — esclamò Scobie. — Stai bene? Cosa diavolo è successo?
— Sì, sto bene, non ho preso botte troppo violente ed il modulo è abitabile, anche se temo che non volerà più. Voi come state? E Luis?
— Sta peggiorando in fretta. D’accordo, sentiamo le novità.
— Ho volato malamente in una direzione ignota e per una distanza anch’essa non stimabile. Non posso essere finito molto lontano, dal momento che è passato poco tempo dal decollo all’impatto. Evidentemente, sono andato a finire dentro ad un grosso… um… banco di neve, che ha attutito la violenza dell’urto ma che ha anche bloccato le trasmissioni radio. Adesso la neve è evaporata dall’area circostante la cabina. Vedo masse bianche tutt’intorno ed altre formazioni in distanza… non so quali danni i sostegni ed i motori di prua abbiano riportato. Il modulo è inclinato su un fianco con un’angolazione di circa quarantacinque gradi, presumibilmente su un fondale roccioso. Ma, la parte posteriore è ancora seppellita nella sostanza meno volatile… acqua e ghiacci di CO2, credo… che ha raggiunto una temperatura stabile e che deve aver ingolfato i motori. Se tentassi di accenderli, potrei far saltare tutto.
— Sta certo che succederebbe — annuì Scobie.
— Oh, Dio, Colin, cosa ho fatto? — esclamò Danzig, con voce rotta. — Volevo aiutare Luis, e può darsi che abbia ucciso te e Jean.
— Non cominciamo a piangere prima del tempo — replicò Scobie, serrando le labbra. — È vero, abbiamo avuto un bel po’ di sfortuna, ma né tu né io né nessun altro avremmo potuto immaginare che avresti fatto saltare una bomba sotto di te.
— Cosa è stato? Ne hai un’idea? Nulla del genere è mai accaduto in occasione d’impatti con comete, e tu ritieni che il ghiaccio sia una cometa infranta, vero?
— Uh-huh, salvo per il fatto che le condizioni l’hanno ovviamente modificata. L’impatto ha prodotto calore, shock, turbolenza, le molecole sono state sparpagliate, e ci deve essere stata una momentanea presenza di plasmi. Misture, composti, leghe… si è formata roba che non era mai esistita nello spazio. Possiamo imparare un sacco di nozioni chimiche, qui.
— È per questo che sono venuto… Bene, allora, devo aver sorvolato un deposito di qualche sostanza e sostanze che i motori hanno fatto sublimare con forza tremenda. Un vapore di qualche tipo è tornato a congelarsi quando ha urtato lo scafo, tanto che ho dovuto sbrinare gli oblò dall’interno dopo che la neve che li copriva si era squagliata.
— Dove ti trovi, rispetto a noi?
— Te l’ho detto, non lo so, e non sono neppure certo di poterlo determinare, perché l’impatto ha distrutto l’antenna direzionale. Aspetta che vado fuori per vedere meglio.
— D’accordo — convenne Scobie. — Intanto vedrò di darmi da fare.
E così fece, fino a quando un suono rantolante e spettrale ed il pianto della Broberg lo fecero tornare a tutta velocità sullo spuntone roccioso.
— Questa potrebbe essere la differenza che ci farà sopravvivere — disse Scobie, disinnestando la cellula d’energia di Garcilaso. — Considerandola un regalo. Grazie, Luis.
La Broberg lasciò andare il pilota e si alzò in piedi; raddrizzò gli arti del morto, convulsi per l’agonia, e gli incrociò le braccia sul petto. Non c’era nulla da fare per la mascella rilassata o per gli occhi che fissavano il cielo: toglierlo dalla tuta, là, avrebbe peggiorato il suo aspetto. E non poteva neppure asciugarsi le lacrime che le rigavano la faccia: poteva soltanto cercare di arrestarle.
— Addio, Luis — sussurrò.
— Puoi darmi un nuovo incarico, per favore? — supplicò, rivolta a Scobie.
— Vieni con me. Ti spiegherò quello che ho in mente per riuscire ad aprirci la via fino alla superficie.
Erano a metà strada attraverso la conca quando Danzig chiamò: il chimico non aveva permesso che la morte del compagno rallentasse i suoi sforzi e non aveva detto molto mentre questo si verificava. Soltanto una volta, con voce estremamente sommessa, aveva pronunciato la preghiera ebraica per i defunti.
— Non abbiamo fortuna — riferì, in tono impersonale come una macchina. — Ho descritto il cerchio più ampio possibile tenendo sempre d’occhio il modulo, ed ho trovato soltanto strane formazioni ghiacciate. Non posso trovarmi ad un’enorme distanza da voi, altrimenti vedrei un cielo del tutto differente, su questa palla così piccola. Siete probabilmente nel raggio di venti o trenta chilometri rispetto a me, ma questo è un territorio piuttosto esteso.
— Esatto — convenne Scobie. — È probabile che tu non riesca a trovarci, entro il tempo che ci è rimasto. Ritorna alla scialuppa.
— Ehi, aspetta! — protestò Danzig. — Posso procedere a spirale, segnando il mio percorso, e vi potrei anche incrociare.
— Sarà più utile se torni indietro — replicò Scobie. — Presumendo che riusciamo ad uscire di qui, ti potremmo raggiungere a piedi, ma avremo bisogno di una segnalazione per orientarci. Quel che mi viene in mente è il ghiaccio stesso. Una piccola scarica d’energia, se concentrata, dovrebbe liberare una grossa nube di metano o altre sostanze altrettanto volatili. Il gas si raffredderà nell’espandersi, si tornerà a condensare intorno a particelle di polvere che si sarà portato dietro… genererà vapore… e la nube dovrebbe salire tanto in alto, prima di evaporare di nuovo, da essere visibile da qui.
— Ho capito! — Una vena di eccitazione trapelò nel tono di Danzig. — Provvedo immediatamente. Farò dei sondaggi e cercherò il punto in cui si può ottenere il risultato più vistoso e… che ne dici se uso una bomba termica? No, potrebbe essere troppo calda. Bene, costruirò un qualche congegno.
— Tienici al corrente.
— Ma io… non credo che ci andrà di chiacchierare oziosamente — azzardò la Broberg.
— No, tu ed io ci metteremo subito a lavorare a più non posso — convenne Scobie.
— Uh, aspettate — intervenne Danzig. — Che succede se scoprite che non vi è possibile arrivare fino in cima? Avevi lasciato intendere che era solo una possibilità.
— Ebbene, a quel punto ci sarà tempo per procedimenti più radicali, quali che saranno — replicò Scobie. — Francamente, in questo momento ho la testa troppo piena di… di Luis e della necessità di scegliere la via di fuga migliore per poter pensare molto a qualsiasi cosa.
— M-m, sì, suppongo che abbiamo già un’ampia scorta di guai senza bisogno di procurarcene altri. Ti dico cosa farò, però: non appena il mio segnale sarà pronto, preparerò quella corda di cui abbiamo parlato. Potreste scoprire di preferirla ad un mucchio di vestiti e di coperte pulite, quando arriverete — Danzig rimase in silenzio per parecchi secondi prima di concludere: — Arriverete, dannazione!
Scobie scelse un punto sul lato settentrionale della conca per il suo tentativo. Là, due scaffali di roccia sporgevano in fuori, uno vicino al suolo ed un altro parecchi metri più in su. Più oltre ancora, seguendo un disegno incerto, c’erano uguali sporgenze di ghiaccio resistente. Interposto fra questi ed al di là della sporgenza più elevata, che si trovava a meno di metà strada dal bordo della conca, non c’era altro che il liscio pendio di polvere cristallina e senza appigli, la cui angolatura provocava una pendenza che rendeva il cammino doppiamente pericoloso. La domanda, cui solo la prova diretta poteva dare risposta, era quanto tale strato fosse spesso al di sopra delle superfici su cui gli umani potevano camminare, e se tali superfici si stendevano per tutta la distanza fino alla cima.
Giunti al punto prefissato, Scobie segnalò l’alt.
— Prenditela calma, Jean. Io andrò avanti e comincerò a scavare.
— Perché non procediamo insieme? Ho anch’io il mio attrezzo.
— Perché non so prevedere come si comporterà una fascia tanto grande di quella specie di sabbie mobili: potrebbe reagire allo scavo provocando una frana gigantesca.
La Broberg si stizzì, e sul suo volto sparuto apparve un’espressione di ammutinamento.
Allora, perché non mandi me per prima? Supponi che voglia sempre aspettare passivamente che Kendrick si salvi?
— In effetti — replicò secco Scobie, — comincerò io perché la costola mi fa soffrire terribilmente e questo sta consumando le poche energie rimastemi. Se ci troveremo nei guai, tu potrai aiutarmi meglio di quanto io potrei fare con te.
— Oh! — La Broberg chinò il capo. — Mi dispiace. Devo essere io stessa in ben brutte condizioni se ho permesso che un falso senso d’orgoglio interferisse con le mie azioni. — Il suo sguardo si spostò in direzione di Saturno, intorno al quale orbitava la Chronos, che trasportava suo marito ed i suoi figli.
— Sei perdonata. — Scobie raccolse le gambe sotto di sé e superò con un salto i cinque metri fino al costone più basso. Il successivo si trovava un po’ troppo in alto per poter essere raggiunto con un altro salto, dato che non c’era spazio per prendere la rincorsa.
Chinatosi, Scobie attaccò il fondo del pendio che si stendeva brillante di fronte a lui, con il proprio attrezzo e cominciò a scavare. Una marea di granelli si riversò dall’alto, bilioni di particelle, a coprire il suo scavo, ma Scobie prese a lavorare come un automa posseduto da qualche forza. Ogni palata era virtualmente priva di peso, ma il numero delle palate era quasi infinito. Scobie non si attirò addosso l’intero fianco della conca, come aveva in parte temuto ed in parte sperato (se non lo avesse ucciso, la frana gli avrebbe risparmiato un mucchio di fatica). Un torrente secco prese a scorrere a destra ed a sinistra intorno alle sue caviglie, eppure alla fine cominciò ad apparire una superficie un po’ più ampia della roccia sottostante.
Da sotto, la Broberg ascoltava il suo respiro, che era rauco, spesso inframmezzato da sussulti o da imprecazioni. Nella tuta spaziale, sotto la cruda e tenue luce solare, sembrava un cavaliere che, nonostante le sue ferite, stesse combattendo contro un mostro.
— D’accordo — chiamò finalmente Scobie. — Credo di sapere cosa ci dobbiamo aspettare e come dobbiamo agire. Ci reggerà tutti e due.
— Sì… oh, sì, mio Kendrick.
Le ore trascorsero. Sempre con lentezza, il sole salì nel cielo, le stelle ruotarono e Saturno si affievolì alla vista.
Per lo più, i due umani faticavano fianco a fianco. Non avevano bisogno di un sentiero strettissimo, ma se non cominciavano a scavare in maniera ampia, le sponde a destra ed a sinistra dello scavo scivolavano rapidamente giù, seppellendo tutto. Qualche volta, la formazione sottostante permetteva il lavoro di una sola persona, ed allora l’altro poteva riposare, e ben presto fu Scobie a dover approfittare più spesso di quel vantaggio. Di tanto in tanto, entrambi si arrestavano per mangiare e bere qualcosa e per riposare addossati agli zaini.
La roccia cedette il posto al ghiaccio d’acqua, e, dove questo si levava con una notevole pendenza, la sabbia di ghiaccio scavata via dalla coppia crollava in massa. Dopo il primo incidente di quel genere, nel corso del quale per poco non furono spazzati via entrambi, Scobie prese l’abitudine di conficcare sempre il suo martello da geologo in ogni nuovo strato che incontravano: al minimo segno di pericolo, lui ne afferrava l’impugnatura e la Broberg gli circondava la vita con un braccio, mentre con la mano libera tenevano entrambi stretti gli attrezzi da scavo. Ancorati saldamente, ma costretti a sforzare ogni muscolo, rimanevano saldi mentre la sostanza simile a sabbia si riversava loro intorno, fino alle ginocchia e, una volta, fino al petto, tentando di seppellirli senza speranza nella propria massa semifluida. Successivamente, si trovarono a dover affrontare un tratto spoglio, troppo ripido per poter essere scalato senza appigli, per cui furono costretti a scavarseli.
La stanchezza era un altro tipo di marea cui non osavano cedere. Nel migliore dei casi, i loro progressi erano lenti in maniera scoraggiante. Avevano bisogno di ben poca immissione di calore per mantenere caldo il corpo, salvo quando si riposavano, ma la richiesta dei polmoni all’apparecchio di riciclaggio dell’aria era tremenda. La cellula d’energia di Garcilaso, che avevano portato con loro, avrebbe potuto dare qualche ora in più di vita ad una sola persona, ma era talmente impoverita a causa dell’ipotermia del pilota che aveva dovuto combattere, che avrebbe fornito un tempo di sopravvivenza insufficiente a garantire l’arrivo dei soccorsi dalla Chronos. Presente, ma non espressa, era l’idea di utilizzare la cellula a turno: questo li avrebbe lasciati in misere condizioni, infreddoliti e semisoffocati, ma almeno avrebbe permesso loro di abbandonare l’universo insieme.
Così, ci fu ben poco da meravigliarsi se le loro menti rifuggirono dalla sofferenza, dall’indolenzimento, dallo sfinimento, dalla disperazione, dalla puzza del loro stesso sudore: senza questo sfogo, non avrebbero potuto resistere così a lungo.
Godendo pochi minuti di riposo, la schiena appoggiata ad un parapetto di blu brillante che avrebbero dovuto scalare fra poco, spinsero lo sguardo sull’altra parte della conca, dove il corpo di Garcilaso, avvolto nella tuta, brillava come su una remota pira, e poi più in alto, lungo la curva di parete opposta a Saturno. Il pianeta brillava di una languida luce ambrata, dolcemente striato, con gli anelli che creavano una corona resa più brillante da una fascia d’ombra che l’attraversava. Quella luminosità aveva la meglio sulla luce della maggior parte delle stelle vicine, ma altrove esse si riunivano in moltitudini, in splendore, intorno alla strada argentea che la galassia si apriva fra loro.
— Che tomba adeguata per Alvarlan — dice Ricia, in un mormorio sognante.
— Allora è morto? — chiede Kendrick.
— Non lo sai?
— Ero troppo occupato. Dopo che ci siamo liberati dalle rovine e ti ho lasciata a riposare un po’, mi sono imbattuto in un gruppo di guerrieri. Sono sfuggito loro, ma sono per forza dovuto tornare da te seguendo percorsi tortuosi e nascosti. — Kendrick accarezza i capelli color del sole di Ricia. — Inoltre, mia amatissima, sei sempre stata tu, e non io, a possedere il dono di sentire gli spiriti.
— Mio coraggioso amore… Sì, è una gloria per me essere stata capace di richiamare la sua anima dall’Inferno. Essa ha cercato di rientrare nel corpo, ma questo era vecchio e fragile e non è potuto sopravvivere al sapere che aveva acquisito. Tuttavia, Alvarlan è trapassato pacificamente, e, prima di morire, come ultimo atto di magia si è costruito una tomba il cui soffitto stellato brillerà in eterno.
— Possa egli riposare bene. Ma non c’è riposo per noi, non ancora: abbiamo molta strada da percorrere.
— Sì, ma ci siamo già lasciati le rovine alle spalle. Guarda! Dovunque intorno a noi su questo prato ci sono anemoni che sbucano fra l’erba. Un’allodola canta in alto.
— Queste terre non sono sempre tranquille, e potrebbero esserci altre avventure che ci attendono più avanti, ma noi le affronteremo con cuori coraggiosi.
Kendrick e Ricia si alzano per riprendere il loro viaggio.
Raggomitolati su una misera sporgenza, Scobie e la Broberg scavarono per un’ora senza riuscire ad allargare molto il sostegno. La sabbia di ghiaccio scivolava dall’alto con la stessa rapidità con cui essi la toglievano.
— Sarebbe bene lasciar perdere: è fatica sprecata — decise infine l’uomo. — Il meglio che siamo riusciti a fare è stato di appiattire un po’ il pendio che abbiamo dinnanzi. Non si può dire quanto vada in profondità questo scaffale prima di essere sormontato da uno strato solido. Magari non ce n’è affatto.
— Che facciamo, allora? — chiese la Broberg, con lo stesso tono stanco.
— Torniamo al livello sottostante — Scobie indicò con un pollice, — e tentiamo in una diversa direzione. Ma prima abbiamo assolutamente bisogno di una sosta.
Stesero i loro cuscini di kerofoam e sedettero. Dopo un intervallo nel quale rimasero semplicemente immoti, intontiti dalla stanchezza, la Broberg cominciò a parlare.
— Vado alla sorgente — riferisce Ricia. — Essa canta sotto arcate di verdi tronchi, fra i quali la luce trapela per brillare sull’acqua. M’inginocchio a bere. L’acqua è fredda, pura, dolce. Quando sollevo gli occhi, vedo la figura di una giovane donna, nuda, le trecce del colore delle fronde: è una ninfa silvana, e sorride.
— Sì, la vedo anch’io — concorda Kendrick. — Mi avvicino con cautela per non spaventarla. Lei chiede quali siano i nostri nomi e dove andiamo. Le rispondiamo che ci siamo perduti, e lei ci spiega dove trovare un oracolo che ci potrebbe dare consiglio.
Partono per trovarlo.
La carne non era più in grado di tenere lontano il sonno.
— Chiamaci fra un’ora, ti spiace, Mark? — chiese Scobie.
— Certo — rispose Danzig. — Ma, sarà sufficiente?
È il massimo che ci possiamo permettere, dopo i ritardi che abbiamo avuto. Abbiamo percorso meno di un terzo di strada.
— Se non ho parlato con voi — disse lentamente Danzig, — non è stato perché lavoravo duro, anche se mi sono dato da fare. È stato perché immaginavo che voi due steste già passando dei brutti momenti senza che io vi infastidissi. Tuttavia… pensate che sia saggio fantasticare come avete fatto finora?
Un velo di rossore salì alle guance della Broberg e le scese lungo il collo.
— Hai ascoltato, Mark?
— Ecco, sì, naturalmente. Potevate avere qualcosa d’urgente da comunicare in qualsiasi momento…
— Perché? Cosa avresti potuto fare? Un gioco è una cosa personale…
— Uh, sì, sì…
Ricia e Kendrick avevano fatto all’amore tutte le volte che era possibile. I resoconti non erano mai espliciti, ma le parole erano spesso appassionate.
— Ci terremo in contatto con te quando ne avremo bisogno, per esempio quando servi da sveglia — scandì la Broberg, — ma per il resto chiuderemo il circuito.
— Ma… sentite, non intendevo…
— Lo so — sospirò Scobie. — Sei un brav’uomo, ed oserei dire che la nostra reazione è un po’ eccessiva. Comunque, è così che deve essere. Chiamaci come ti ho detto.
Nella profondità della grotta, la Pitonessa ondeggia sul trono, nel flusso e riflusso del suo sogno oracolare. Stando a quanto Ricia e Kendrick riescono a comprendere del suo canto, la Pitonessa dice loro di viaggiare verso ovest lungo il Sentiero del Cervo fino a quando incontreranno un uomo dalla barba grigia e con un occhio solo che potrà dare loro ulteriori indicazioni; ma essi dovranno stare attenti alla sua presenza, perché quell’uomo è facile all’ira. I due fanno un inchino e se ne vanno. Nell’uscire dalla grotta, oltrepassano l’offerta che hanno portato: dal momento che avevano ben poco, a parte gli abiti e le armi, la Principessa ha offerto all’altare le sue chiome d’oro. Il cavaliere ripete che, anche con i capelli così corti, lei rimane bellissima.
— Ehi, evviva, abbiamo superato venti metri con facilità — disse Scobie, ma con un tono di voce appiattito dallo sfinimento. All’inizio, il viaggio attraverso la terra di Nacre è una delizia. La successiva imprecazione non era molto più animata.
— Sembra che siamo in un altro vicolo cieco.
Il vecchio con il mantello azzurro ed il cappello a larga tesa si era veramente infuriato quando Ricia gli aveva negato i propri favori e la lancia di Kendrick aveva deviato il colpo della sua. Astutamente, il vecchio aveva preteso di essersi rappacificato con loro ed aveva indicato la strada che dovevano imboccare, ma, alla fine di quella strada ci sono alcuni giganti. I viaggiatori li evitano e tornano indietro.
— Il cervello mi brancola nella nebbia — gemette Scobie. — E la costola rotta non mi è sicuramente d’aiuto. Se non faccio un altro sonnellino, continuerò a sbagliare strada fino a che non avremo più tempo.
— Ma certo, Colin. Rimarrò io di guardia e ti sveglierò fra un’ora.
— Cosa? — fece Scobie, con una tenue sorpresa. — Perché non riposi anche tu e ci facciamo chiamare da Mark, come prima?
— Non c’è bisogno di disturbarlo — replicò lei con una smorfia. — Sono stanca, ma non ho sonno.
— Bene — disse Scobie, non avendo né la forza né la mente per discutere e, distesosi sul materassino isolante, crollò di schianto nel sonno.
La Broberg si sedette accanto a lui. Si trovavano a metà strada dalla cima, ma erano più di venti ore che lottavano, salvo occasionali pause, e l’avanzata si faceva più dura e difficile man mano che loro stessi diventavano più deboli ed intontiti. Se mai fossero riusciti ad arrivare in cima ed avessero avvistato il segnale di Danzig, avrebbero avuto dinnanzi ancora qualcosa come un paio d’ore di duro cammino.
Saturno, il sole, le stelle, brillavano attraverso il vetro dell’elmetto; la Broberg abbassò con un sorriso lo sguardo sul volto di Scobie: non era certo un dio Greco, ed aveva su di sé sudore e sporcizia, la barba lunga, i numerosi segni dell’esaurimento fisico… ma del resto, anche lei non era esattamente l’immagine della bellezza.
La Principessa Ricia siede accanto al suo cavaliere, là dove questi riposa nella capanna del nano, e suona l’arpa che il nano le ha prestato prima di andare al lavoro nella miniera, accompagnando una serenata che addolcisca i sogni di Kendrick. Quando ha finito, posa le labbra su quelle di lui e scivola nello stesso sonno gentile.
Scobie si destò gradatamente.
— Ricia, adorata — sussurra Kendrick, e la cerca con le mani. La desterà con i suoi baci…
— Per tutti i preti ebrei! — esclamò Scobie, balzando in piedi. La donna giaceva inerte, ma Scobie ne sentì il respiro nell’auricolare prima che il pulsare del suo cuore lo soffocasse. Il sole era salito ancora più in alto, tanto che se ne poteva notare il movimento, e la sagoma di Saturno si era affievolita ulteriormente, formando una mezzaluna appuntita alle estremità. Scobie si costrinse ad osservare l’orologio al polso sinistro.
— Dieci ore! — gemette. Poi s’inginocchiò e scosse la sua compagna. — Sveglia, per l’amor di Cristo!
Le sue ciglia si agitarono, e, quando vide l’orrore dipinto sul suo volto, la donna perse ogni sonnolenza.
— Oh, no — supplicò. — Per favore, no!
Scobie si sollevò rigidamente in piedi ed azionò l’interruttore di comunicazione principale.
— Mark, mi ricevi?
— Colin, grazie a Dio! — esclamò Danzig. — Stavo per perdere la testa dalla preoccupazione!
— E le preoccupazioni non sono finite, vecchio mio. Abbiamo appena finito un sonnellino di dieci ore.
— Cosa? Fin dove siete arrivati, prima?
— Ad un’elevazione di circa quaranta metri, ed il cammino avanti sembra ancora peggiore. Temo che non ce la faremo.
— Non lo dire! — supplicò Danzig.
— È colpa mia — dichiarò la Broberg. Era ritta in piedi, i pugni serrati, il volto una maschera rigida, la voce d’acciaio. — Era distrutto e doveva dormire un po’. Mi sono offerta di svegliarlo ma mi sono addormentata a mia volta.
— Non è colta tua, Jean — cominciò Scobie.
— Sì, mia — lo interruppe lei. — Forse posso rimediare. Prendi la mia cellula d’energia. Naturalmente, ti avrò comunque privato del mio aiuto, ma potrai raggiungere la scialuppa e sopravvivere.
Scobie le afferrò le mani, ma i pugni non si disserrarono.
— Se immagini che lo potrei fare…
— Se non lo farai, siamo finiti entrambi — replicò lei, inflessibile, — Preferisco morire con la coscienza pulita.
— E che ne dici della mia coscienza? — gridò Scobie. Poi, recuperato il controllo, s’inumidì le labbra e proseguì, rapido: — Inoltre, non sei da biasimare. Il sonno ti ha aggredita, e se io fossi stato in grado di pensare, mi sarei dovuto rendere conto che doveva succedere ed avrei dovuto chiamare comunque Mark. Il fatto che non lo abbia fatto neppure tu, dimostra quanto eri sfinita, e… tu hai Tom ed i bambini che ti aspettano. Prendi la mia cellula — fece una pausa, — e la mia benedizione.
— Dovrà Ricia abbandonare il suo sincero cavaliere?
— Aspettate, un momento, ascoltate! — chiamò Danzig. — Sentite, questo è terribile, ma… oh, all’inferno, scusatemi, ma vi devo ricordare che quelle fantasticherie servono soltanto ad ostacolare l’azione. Dalle descrizioni che mi avete fatto, non vedo come nessuno di voi due possa proseguire da solo, mentre insieme potete ancora farcela. Per lo meno, siete riposati… con i muscoli indolenziti, è indubbio, ma con la mente più chiara. La scalata davanti a voi potrebbe rivelarsi più facile di quanto sembri. Tentate!
Scobie e la Broberg si fissarono a vicenda per un minuto intero: un senso di disgelo percorse la donna e riscaldò anche lui, ed alla fine si abbracciarono con un sorriso.
— Sì, giusto — brontolò Scobie. — Ci muoviamo, ma prima mangiamo qualcosa: sono semplicemente affamato. E tu?
La donna annuì.
— Questo è lo spirito giusto! — li incoraggiò Danzig. — Uh, posso avanzare un altro suggerimento? Sono soltanto uno spettatore, il che rende la cosa davvero infernale ma mi conferisce una visuale d’insieme. Lasciate perdere quel vostro gioco.
Scobie e la Broberg s’irrigidirono.
— È lui il vero colpevole! — supplicò Danzig. — La sola stanchezza non avrebbe offuscato tanto la vostra capacità di giudizio: non mi avreste mai tagliato fuori e… Ma la stanchezza, lo shock ed il dolore hanno abbassato le vostre difese al punto che quel dannato gioco ha avuto la meglio su di voi. Non eravate voi stessi quando vi siete addormentati, eravate quei personaggi del vostro mondo di sogno, e loro non avevano ragione di non addormentarsi!
La Broberg scosse violentemente il capo.
— Mark — disse Scobie, — hai ragione quando dici di essere uno spettatore, il che significa che ci sono alcune cose che non capisci. Perché ti vuoi sottoporre alla tortura di ascoltare, ora dopo ora? Naturalmente ti richiameremo di tanto in tanto. Sta’ attento. — E Scobie interruppe il circuito.
— Si sbaglia — insistette la Broberg.
— Che si sbagli o meno, che differenza fa? — Scobie scrollò le spalle — Non ci addormenteremo di nuovo nel tempo che ci resta, ed il gioco non ci ha ostacolati mentre viaggiavamo, anzi, ci ha aiutati, facendo apparire la situazione meno spaventosa.
— Sì, spezziamo il digiuno e ripartiamo per il nostro pellegrinaggio.
La lotta si fece più dura.
— Probabilmente, la Strega Bianca ha gettato un incantesimo su questa strada — dice Ricia.
— Non ci arresterà — promette Kendrick.
— No, mai, fintanto che viaggiamo fianco a fianco, tu ed io, i più nobili fra gli umani.
Una valanga li sopraffece e li riportò indietro di una dozzina di metri. Si appoggiarono contro una balza, poi, dopo che la massa fu passata oltre, sollevarono i corpi ammaccati e zoppicarono in cerca di una via d’approccio diversa. Il luogo in cui si trovava il martello da geologo non era più accessibile.
— Cos’ha distrutto il ponte? — chiede Ricia.
— Un gigante — risponde Kendrick. — L’ho visto mentre cadevo nel fiume. Ha tentato di trapassarmi ed abbiamo combattuto nell’acqua bassa fino a che è fuggito, portando via la mia spada confitta nella coscia.
— Hai la lancia che Wayland ti ha forgiato — dice Ricia, — ed hai sempre il mio cuore.
Si arrestarono sull’ultima, piccola sporgenza che riuscirono a liberare, e che si dimostrò essere non uno scaffale bensì un pinnacolo di ghiaccio d’acqua. Tutt’intorno ad esso brillava la distesa nuovamente quieta di pulviscolo ghiacciato e più avanti c’era un pendio di una trentina di metri, poi il bordo della conca e le stelle.
Quella distanza avrebbe anche potuto essere di trenta anni luce, perché chiunque avesse tentato di superarla sarebbe sprofondato fino a chissà dove.
Non c’era senso a ridiscendere, strisciando, il lato spoglio del pinnacolo. La Broberg era rimasta aggrappata ad esso per più di un’ora mentre scavava appigli nel ghiaccio e Scobie non l’aveva potuta aiutare a causa delle sue condizioni. Se avessero tentato di tornare indietro, avrebbero potuto facilmente scivolare, cadere ed essere sopraffatti dal pulviscolo. Se non lo avessero fatto, non avrebbero mai avuto modo di trovare un’altra via, e per di più le loro cellule conservavano energia ancora per un paio d’ore, e continuare ad avanzare usando alternativamente la cellula di Garcilaso, sarebbe stata una fatica inutile.
Si sedettero entrambi, le gambe penzolanti sull’abisso, e si presero per mano.
— Non credo che gli orchetti possano sfondare le porte di ferro di questa torre — dice Kendrick, — ma ci assedieranno fino a farci morire di fame.
— Non hai mai abbandonato la speranza prima d’ora, mio cavaliere — replica Ricia, baciandogli la tempia. — Perché non cerchiamo in giro? Queste mura sono indicibilmente antiche, e chi può sapere quali residui di magia siano stati dimenticati in mezzo a loro? Un paio di mantelli di piume di fenice che ci portino ridendo attraverso il cielo fino alla nostra casa…?
— Temo di no, mia cara. — Kendrick tocca la lancia che brilla appoggiata al bastione. — Triste e grigio sarà il mondo senza di te, ma dobbiamo incontrare con coraggio il nostro destino.
— Felici, dal momento che siamo insieme. — Ricia esibisce il suo coraggioso sorriso. — Hai notato che una certa stanza contiene un letto? Lo vogliamo provare?
— Forse dovremmo piuttosto portare ordine nelle nostre menti e nelle nostre anime. — Kendrick si acciglia.
— Più tardi… sì… — lo tira per un gomito. — E poi… chi lo sa? Forse quando scuoteremo la coperta per liberarla dalla polvere scopriremo che si tratta di una cappa magica che ci permetterà di attraversare invisibili le file del nemico.
— Tu sogni.
— E se lo facessi? — La paura si agita dietro i suoi occhi, la voce le trema. — Posso sognare che siamo liberi, se tu mi aiuterai.
— No! — gracchiò Scobie, picchiando il pugno sul ghiaccio. — Morirò nel mondo reale.
Ricia indietreggia dinnanzi a lui: Kendrick vede il terrore invaderla.
— Tu, tu deliri, adorato — balbetta.
Scobie si girò e l’afferrò per le braccia.
— Non vuoi ricordare Tom ed i bambini?
— Chi…
— Non lo so. Ho dimenticato anch’io. — Kendrick si accascia.
Ricia si appoggia a lui sull’altura ventosa. Un falco gira in alto.
— È certo il residuo di un incantesimo malvagio. Oh, cuore mio, vita mia, allontanalo da te! Aiutami a trovare un mezzo per salvarci! — Eppure, la sua supplica è incerta, e da essa traspare il terrore.
Kendrick si raddrizza, ed appoggia la mano sulla lancia di Wayland, ed è come se da essa la forza fluisse in lui.
— Un incantesimo, in vero — dice, ed il suo tono acquista forza. — Non indugerò nella sua oscurità, né permetterò che esso acciechi o assordi anche te, mia signora. — Il suo sguardo cattura quello di lei, che non riesce a liberarsi. — C’è una sola strada per arrivare alla libertà, ed essa passa attraverso i cancelli della morte.
Lei attende, muta e tremante.
— Qualsiasi cosa facciamo, dobbiamo morire, Ricia. Andiamo via di qui come si conviene alla nostra razza.
— Io… no… non farò… io…
— Vedi dinnanzi a te il mezzo della tua liberazione: è tagliente, ed io sono forte. Non sentirai dolore.
— Allora, presto, Kendrick, prima ch’io sia perduta. — Si denuda il seno.
Lui affonda l’arma.
— Ti amo — le dice, mentre lei gli si affloscia ai piedi. — Ti seguo, mia adorata. — Libera l’acciaio, punta l’asta contro il muro e si precipita sulla lancia, cadendo accanto alla Principessa. — Ora siamo liberi.
— È stato… un incubo. — La voce della Broberg sembrava quella di una sonnambula.
— Necessario, credo, per entrambi. — La voce di Scobie tremava. Teneva lo sguardo fisso dinnanzi a sé, lasciando che Saturno lo riempisse di luce abbagliante. — Altrimenti avremmo continuato ad essere… pazzi? Forse no, come definizione. Ma non saremmo neppure stati nella realtà.
— Sarebbe stato più facile — mormorò la donna. — Non ci saremmo accorti di morire.
— Lo avresti preferito?
La Broberg rabbrividì, ed il rilassamento nei suoi lineamenti cedette il posto alla stessa tensione presente sul volto di lui.
— Oh, no! — rispose, con voce molto bassa ma del tutta cosciente. — No, avevi ragione, naturalmente. Grazie per il tuo coraggio.
— Hai sempre avuto altrettanto coraggio quanto chiunque altro, Jean. Solo che devi avere più immaginazione di me. — La mano di Scobie tranciò lo spazio vuoto in un gesto che accantonava la questione. — Bene, dovremmo chiamare il povero Mark ed informarlo, ma prima… prima… — Le sue parole persero la cadenza che le animava.
— Cosa, Colin? — chiese lei, stringendogli la mano guantata.
— Decidiamo a proposito di quella terza cellula… quella di Luis — disse lui con difficoltà, continuando a fissare il grande pianeta anellato. — In effetti, la decisione spetta a te, anche se possiamo discutere la cosa, se lo desideri. Non voglio usarla solo per guadagnare qualche altra ora, e non intendo dividerla, perché questo renderebbe peggiore il trapasso per entrambi. Suggerisco tuttavia che la usi tu.
— Per sedere accanto al tuo cadavere congelato? No, non ne sentirei neppure il calore, non nelle ossa…
La donna si girò verso di lui talmente di scatto che per poco non cadde giù dal pinnacolo, e Scobie la dovette afferrare.
— Calore! — gridò lei, con voce acuta come il richiamo di un falco in volo. — Colin, riporteremo le ossa a casa!
— In effetti — disse Danzig, — mi sono arrampicato sopra lo scafo, ed ora sono abbastanza in alto da poter vedere sopra quei costoni e spuntoni, e riesco a scorgere l’intero orizzonte.
— Bene — grugnì Scobie. — Preparati ad esplorare rapidamente un cerchio completo. Questo dipende da un mucchio di fattori che non possiamo prevedere. Il segnale non sarà certo grosso come quello che hai preparato tu: può essere sottile e di breve durata, e, naturalmente, può sollevarsi troppo poco nell’aria per essere visibile alla tua distanza. — Scobie si schiarì la gola. — In quel caso, per noi due sarà la fine, ma avremo fatto un tentativo, il che è già grandioso di per sé.
Scobie tirò fuori la cellula d’energia: il dono di Garcilaso. Un massiccio pezzo di cavo, privato dell’isolante, congiungeva le due spine, e, senza un regolatore, l’unità riversava la sua massima energia attraverso quel cortocircuito, tanto che il filo era già incandescente.
— Sei certo di non volere che lo faccia io, Colin? — chiese la Broberg. — La tua costola…
— Sono ugualmente meglio strutturato dalla natura per lanciare le cose — replicò Scobie con un sorriso distorto. — Concedi almeno questo all’arroganza maschile: l’idea brillante è stata tutta tua.
— Avrebbe dovuto essere ovvio fin dall’inizio — replicò lei, — e credo che lo sarebbe stato, se non fossimo stati accecati dal nostro sogno.
— Hmmm. Spesso le risposte più semplici sono quelle più difficili da trovare. Inoltre, dovevamo arrivare fin qui, altrimenti non sarebbe servito a nulla, ed il gioco ci ha aiutati moltissimo… Sei pronto, Mark? Tira…!
Scobie tirò la cellula come fosse stata una palla da baseball, uno strattone lungo ed energico nella scarsa gravità di Iapetus. Roteando, la cellula tracciò dinnanzi allo sguardo una magica ragnatela con il suo cavo incandescente, quindi andò ad atterrare da qualche parte oltre il bordo, sul ghiacciaio.
Gas gelati si vaporizzarono, salirono vorticando e si ricondensarono brevemente prima di disperdersi. Il geyser si levò bianco contro le stelle.
— Vi vedo! — strillò Danzig. — Vedo il vostro segnale, mi sono orientato e mi metterò immediatamente in marcia, con la corda e le unità d’energia di scorta e tutto il resto!
Scobie si accasciò al suolo stringendosi il fianco sinistro, e la Broberg s’inginocchiò e lo abbracciò, come se uno di loro due potesse alleviare la sua sofferenza. Non aveva molta importanza: non avrebbe sofferto ancora per molto.
— Quanto pensi sia salita in alto la nuvoletta? — chiese Danzig, più calmo.
— Circa un centinaio di metri — precisò la Broberg, dopo aver riflettuto.
— Oh, dannazione, questi guanti rendono difficile manovrare il calcolatore… Bene, a giudicare da quello che ho osservato, devo essere dai dieci ai quindici klicks di distanza da voi. Concedetemi un’ora o poco più per arrivare là e trovare la vostra esatta posizione. Va bene?
— Sì, per un pelo — rispose la Broberg, dopo aver controllato i dati. — Abbasseremo i nostri termostati e rimarremo seduti e fermi per ridurre la richiesta di ossigeno. Avremo freddo, ma sopravviveremo.
— Può darsi che ci metta di meno — osservò Danzig. — Quello era il calcolo dell’eventualità peggiore. D’accordo, parto. Niente più conversazione fino a quando c’incontreremo. Non intendo correre rischi sciocchi, ma avrò bisogno di tutto il mio fiato per fare in fretta.
Debolmente, i due che attendevano lo sentirono respirare, poi udirono il passo affrettato dei suoi stivali. Il geyser di ghiaccio si estinse.
Rimasero seduti, circondandosi a vicenda la vita con le braccia, contemplando la gloria che li circondava. Dopo un periodo di silenzio, l’uomo disse:
— Bene, suppongo che questo segni la fine del gioco. Per tutti.
— Deve certamente essere tenuto sotto stretto controllo — rispose la donna. — Mi chiedo, tuttavia, se lo abbandoneremo del tutto… quassù.
— Se devono, possono farlo.
— Sì. Noi ci siamo riusciti, tu ed io, non è vero?
Si volsero faccia a faccia, sotto quel cielo dominato da Saturno e costellato di stelle; nulla mitigava la luce del sole che li rivelava l’uno all’altra, lei una donna sposata di mezza età, lui un uomo comune, salvo che per la sua solitudine. Non avrebbero mai più giocato: non potevano farlo.
— Caro amico… — cominciò la donna, una perplessa compassione nello sguardo.
La mano sollevata di lui le impedì di dire altro.
— Meglio non parlare, se non è essenziale. Ci farà risparmiare un po’ di ossigeno e ci permetterà di scaldarci un po’ di più. Vogliamo provare a dormire?
Gli occhi di lei si allargarono ed incupirono.
— Non oso farlo — confessò. — Non fino a che sarà trascorso abbastanza tempo. In questo momento, potrei sognare.