L’Umanità era composta di 128 persone.
La densità di popolazione di quell’orda era tale che essa aveva da tempo stipato oltre una dozzina di cunicoli. Bande appartenenti alla Società Maschile, in pieno assetto di guerra, pattugliavano i corridoi più esterni: ventitré giovani maschi adulti, nel pieno del vigore e del coraggio, disposti in quei punti-chiave per sostenere il primo urto in caso di attacchi contro l’Umanità. Dipendevano dai capitani di banda ed erano a loro volta serviti da giovani iniziati.
Eric l’Unico era un iniziato appartenente a una di queste possenti formazioni. Per ora, era soltanto un aspirante guerriero, ma domani, domani…
Era il suo compleanno. Domani sarebbe andato a Rubare per l’Umanità. Niente paura: Eric era svelto e intelligente e sarebbe tornato, e al ritorno avrebbe abbandonato il perizoma degli adolescenti per sostituirlo con le aderenti fasce lombari di prode guerriero della Società Maschile.
Avrebbe potuto dire la sua al Consiglio dell’Umanità. Avrebbe potuto guardare le donne tutte le volte che ne avesse avuto voglia e le avrebbe potute anche avvicinare, e…
Stava avvicinandosi all’estremità del cunicolo, e stringeva in mano la punta di lancia che doveva aguzzare per suo zio. Lì cominciava un cunicolo delle donne, e alcune appartenenti alla Società Femminile erano intente a preparare il cibo rubato quel giorno stesso alla dispensa dei Titanici. Incantesimi e preghiere dovevano venire formulati con la massima precisione, altrimenti il cibo non sarebbe stato commestibile, non solo, ma sarebbe stato dannoso. L’Umanità era proprio fortunata: cibo in abbondanza a portata di mano e donne che conoscevano le formule magiche capaci di renderlo adatto agli uomini.
E che donne… Che splendide donne!
Per esempio, Sarah la Guaritrice che sapeva sempre distinguere quale cibo fosse commestibile e quale no. Rivestita solo dei lunghissimi capelli, mostrava ora i larghi fianchi, ora gli ampi seni: i più voluminosi di tutta l’Umanità. Aveva già avuto cinque figliate, di cui due del numero massimo. Che donna! Ma era la moglie di un capobanda, ed Eric non poteva nemmeno alzare gli occhi su di lei. Però, c’era sua figlia, Selma Pellemorbida, che forse avrebbe gradito le sue attenzioni. Portava ancora i capelli raccolti in una pesante crocchia, e solo fra un anno circa la Società Femminile l’avrebbe considerata un’iniziata, permettendole di avvolgere la sua nudità nei capelli lasciati liberi. No, era decisamente troppo giovane per uno che il giorno dopo sarebbe diventato un guerriero.
Un’altra ragazza attirò l’attenzione di Eric. Lei lo stava già osservando da un po’ di sottecchi. Era Harriet la Cantastorie, la figlia maggiore di Rita la Raccoglitrice di Ricordi, di cui avrebbe un giorno ereditato le mansioni. Snella e adorabile, portava i capelli sciolti, testimonianza della sua piena femminilità e riconoscimento del suo status professionale. Eric si era già accorto altre volte che Harriet lo guardava, specie nelle ultime settimane, mentre il giorno di quel Furto andava avvicinandosi. Sapeva che se tutto fosse andato bene (e non poteva essere altrimenti, lui non doveva pensare che potesse andare diversamente), lei avrebbe accolto con favore le sue proposte. Certo, Harriet aveva i capelli rossi, e secondo le tradizioni dell’Umanità era sfortunata. Avrebbe fatto fatica a trovarsi un compagno. Ma anche la madre di Eric aveva avuto i capelli rossi.
Ed era stata sfortunata. Sfortunata al punto da coinvolgere nella disgrazia anche il suo compagno. Tuttavia, Harriet la Cantastorie era una persona importante, nella tribù, per la sua età. Ed era anche bella. E soprattutto, non lo sfuggiva. Anzi…
«Guardate Eric!» esclamò qualcuno alle sue spalle. «Sta già cercandosi una compagna. Ehi, Eric, non porti ancora le fasce. Prima devi rubare. Poi penserai ad accoppiarti.»
Eric si voltò di scatto, interrompendo bruscamente le sue fantasie.
Il gruppo di giovani che si addossava al muro del cunicolo della sua banda, stava ridendo alle sue spalle. Erano tutti adulti, tutti avevano già compiuto il Furto. Socialmente, erano suoi superiori. Non poteva difendersi se non con un comportamento freddo e dignitoso.
«Lo so» disse. «Prima il Furto, poi…»
«Non è detto» lo interruppe uno dei giovani soppesando la lancia con finta noncuranza. «Alcuni non riescono ad accoppiarsi. Dopo il Furto, bisogna convincere una donna che sei un uomo. E alcuni fanno molta fatica a convincerle, Eric l’Unico.»
Scoppiò un’altra risata più fragorosa della prima. Eric si fece di brace. Come osavano ricordargli la sua nascita? E proprio quel giorno? Proprio mentre lui si preparava a Rubare per l’Umanità.
Lasciò cadere nella sacca la pietra appuntita, e agitò la lancia dello zio. «Per lo meno, quando avrò trovato una donna, resterà mia, Roy il Corridore» ribatté. «Non sarà sempre pronta ad accettare le offerte di tutti i maschi della tribù.»
«Piccolo sporco bastardo!» ruggì Roy il Corridore, balzando verso di lui con la lancia pronta a colpire. «Vuoi che ti faccia un buco nella pancia? La mia donna ha partorito due figlie mie, e belle grosse, anche. Di cosa saresti stato capace tu, sporco figlio unico?»
«Sì, due figliate, ma non da te» replicò con disprezzo Eric, mettendosi in guardia. «Se il padre sei tu, vuol dire che i capelli biondi del capo sono contagiosi come gli orecchioni.»
Una mano possente afferrò Eric per le spalle e lo sollevò di peso. Un calcio lo colpì con tal vigore da farlo ruzzolare di qualche passo. Quando ritrovò l’equilibrio si volse, brandendo inferocito la lancia. Era così infuriato che si sentiva pronto a combattere contro tutta l’Umanità. Ma non contro Thomas il Distruggitrappole, non contro suo zio, il più grande di tutti gli uomini. Con aria colpevole, arretrò fino alla nicchia dove erano conservate le armi della banda e vi depose la lancia di suo zio.
«Cosa ti piglia, Roy?» stava chiedendo Thomas. «Volevi venire alle mani con un non iniziato? Dov’è finito il tuo spirito di banda? Ci mancherebbe che il nostro effettivo si riducesse da sei a cinque! Risparmia la tua lancia per gli Stranieri, o se sei tanto coraggioso, per i Titanici.»
«Non avevo nessuna intenzione di combattere con lui» rispose Roy, ancora turbato. «Ma quel ragazzo è troppo insolente, e volevo punirlo.»
«Puoi punirlo con l’asta della lancia. E poi, non dimenticare che questa è la mia banda e tocca a me punire. Adesso, muovetevi! Dovete prepararvi per il consiglio. Baderò io al ragazzo.»
Tutti gli ubbidirono, e si allontanarono senza voltarsi. La banda del Distruggitrappole era famosa in tutta l’Umanità per la disciplina. Eric era fiero di farne parte. Ma essere chiamato ragazzo davanti agli altri… Però, a pensarci bene, meglio «ragazzo» che «figlio unico». Figlio unico equivaleva quasi a bastardo… figlio di una donna che non era mai stata accettata completamente dalla Società Femminile. Espose il suo problema allo zio che stava ispezionando le armi raccolte nella nicchia.
Il guerriero si volse, incrociò le braccia possenti sul petto muscoloso, e dopo averlo fissato a lungo, disse: «Eric, Eric, non ci pensare. Tuo padre era un uomo famoso. Lo chiamavano Eric l’Uragano della Dispensa, Eric il più gran Ladro dell’Umanità. È stato lui a insegnarmi tutto quello che so. Si sposò una volta sola. Tu sei il suo unico figlio, e devi esserne fiero. Non pensare ad altro. E adesso, aiutami a sistemare le armi.»
Eric ubbidì, ma dopo un poco tornò alla carica. «Però» disse «se mio padre si fosse unito ad altre donne, almeno non sarei Eric l’Unico.»
Thomas sospirò, poi si guardò intorno per assicurarsi che nessuno potesse sentirlo, e infine disse: «Questa è una cosa che non potremo mai provare, Eric. E se ti secca tanto essere l’Unico, sta a te guadagnarti un altro nome. Devi fare un buon Furto. Adesso pensa solo a questo, Eric. Quale categoria dichiarerai?»
Il giovane non ci aveva pensato molto. «La solita, credo» rispose. «Quella che scelgono quasi tutti, per l’iniziazione. La prima.»
L’altro strinse le labbra, con aria poco soddisfatta. «Prima categoria. Cibo. Beh…»
Eric pensò di avere capito. «Vuoi dire che per qualcuno come me, per un Unico che intenda davvero affermarsi ci vorrebbe un annuncio da vero guerriero? Forse dovrei optare per un Furto di seconda categoria… Articoli Utili per l’Umanità, vero? È così che avrebbe fatto mio padre?»
«Lo sai cos’avrebbe fatto tuo padre?»
«No, cosa?» chiese Eric con grande interesse.
«Avrebbe scelto la terza. E anch’io sceglierei la terza, oggi, se dovessi fare l’iniziazione. E voglio che tu annunci la terza.»
«Terza categoria? Ricordi dei Titanici? Ma sono secoli che nessuno l’annuncia. Perché dovrei farlo proprio io?»
«Perché la tua è qualcosa di più di una cerimonia d’iniziazione. Sarà il principio di una nuova vita per tutti noi.»
Eric rimase perplesso. Non capiva.
«Grandi cose stanno succedendo in questi giorni, nell’Umanità» sussurrò Thomas il Distruggitrappole. «E tu vi parteciperai. Se commetterai bene il tuo Furto, se farai quello che ti dico, farai saltare il capo dal suo seggio.»
«Il capo?» Eric era più confuso che mai. «Cosa c’entra il capo col mio Furto?»
Lo zio tornò a guardarsi furtivamente intorno. «Eric» disse poi, «cos’è la cosa più importante che tu, io, o qualsiasi altro di noi possa fare? Qual è lo scopo della nostra vita?»
«Oh, questo lo so» rispose con sollievo Eric. «Anche un bambino saprebbe rispondere a questa domanda. Rendere la pariglia ai Titanici» recitò. «Scacciarli dal pianeta, se ci riusciamo. Riconquistare la Terra all’Umanità. Ma, soprattutto, rendere la pariglia ai Titanici. Farli soffrire come abbiamo sofferto noi. Fare in modo che si rendano conto della nostra presenza…»
«Giusto. Sante parole. E ora, dimmi: noi, tutto questo, lo abbiamo fatto?»
Eric fissò attonito lo zio. Questa non era la seconda domanda del «catechismo». Forse aveva sentito male. O suo zio si era sbagliato.
«Lo faremo» disse, recitando la seconda risposta in tono cantilenante, «riconquistando la Scienza e le cognizioni dei nostri avi. L’uomo, un tempo, era il Signore del Creato. Scienza e pratica sono quanto ci occorre per controbattere i Titanici.»
«Di’ un po’, Eric» lo interruppe suo zio. «Sapresti dirmi cosa diavolo è la pratica?»
Eric non ci si raccapezzava più. Qui il catechismo non c’entrava…
«La pratica… la pratica…» balbettò confuso «ecco… credo che sia tutto quello che occorreva all’uomo per fabbricare le bombe a idrogeno o i missili teleguidati, come facevano i nostri avi.»
«Ma, dimmi un po’, quelle armi sono servite, contro i Titanici?»
Eric rimase interdetto, ma si riprese subito.
«L’attacco improvviso» cominciò, ripetendo un’altra risposta del catechismo.
«Piantala» gl’intimò suo zio. «L’attacco improvviso, la perfidia dei Titanici… Ti pare che questa sia una spiegazione? Se i nostri antenati erano davvero i Signori del Creato e le loro armi erano infallibili, come mai i Titanici li hanno vinti? La giustificazione dell’attacco improvviso non regge. Se davvero fossero stati forti come da sempre ci diciamo, se davvero le loro armi fossero state invincibili, passato il primo momento di sorpresa avrebbero contrattaccato. Credimi, lo so per esperienza. Molte volte sono stato assalito all’improvviso con la mia banda, qui nei cunicoli, anch’io ho guidato degli attacchi di sorpresa. Ma non basta la sorpresa per abbattere definitivamente un avversario. Quindi, caro Eric, vuol dire che la scienza dei nostri antenati non era poi un granché, visto che contro i Titanici ha fatto cilecca. Per questo motivo, non servirebbe a niente neppure a noi.»
Eric impallidì. Quelle erano eresie.
Lo zio gli posò una mano sulla spalla sospirando come se finalmente si fosse liberato da un peso sgradevole.
«Eric, noi non abbiamo fatto niente per controbattere i Titanici. Non sappiamo come ricostruire la Scienza ancestrale, ma se anche lo sapessimo e disponessimo degli utensili dei nostri avi e della loro esperienza, o pratica, o come diavolo vuoi chiamarla, non servirebbe a niente. È quindi perfettamente inutile cercare di ricostruire le armi degli avi.»
Allora Eric capì. Capì perché suo zio gli aveva parlato con tanta segretezza. Quello che aveva detto era pericoloso, addirittura mortale.
«Zio Thomas» sussurrò, sforzandosi invano di dominare il tremito della voce, «da quanto tempo hai abbandonato la Scienza degli antenati, per aderire a quella titanica?»
«Da quanto tempo?» ripeté suo zio, dopo una lunga pausa. «Da quando conobbi tuo padre. Apparteneva a un’altra banda e, naturalmente, ci eravamo frequentati pochissimo, prima che sposasse mia sorella. Però lo conoscevo di fama: era un abilissimo ladro. Quando diventò mio cognato, imparai molto da lui: imparai ad aprire le serrature e a distruggere le trappole, e imparai anche molte cose della Scienza titanica.»
Eric l’Unico arretrò spaventato. «No!» gridò in preda alla disperazione. «Mio padre e mia madre, no! Erano persone oneste… Quando morirono si tenne una cerimonia in loro onore…»
Thomas gli chiuse la bocca con una mano.
«Taci, maledetto stupido, se non vuoi perderci tutti e due! Certo che i tuoi genitori erano persone oneste. Chi dice il contrario? Come credi che siano stati uccisi? Tua madre aveva accompagnato tuo padre in un’incursione nel territorio dei Titanici. Hai mai sentito di una donna che accompagni il marito in un Furto? E che porti suo figlio con sé? Credi che si trattasse di uno dei soliti furti? Erano adepti della Scienza titanica, al servizio del loro ideale. E morirono per esso.»
Eric fissava attonito suo zio. Non aveva mai riflettuto sulla stranezza di quella spedizione in cui erano morti i suoi genitori. Un uomo che porta la moglie nel territorio dei Titanici, e la moglie che porta con sé il bambino…
«Di che furto si trattava?» chiese sommessamente.
Thomas lo fissò a lungo. «Lo stesso che compirai tu» rispose poi. «Se sei figlio di tuo padre. Se sei abbastanza uomo da continuare l’opera. Lo sei?»
Eric avrebbe voluto rispondere di sì, ma riuscì solo a fare un piccolo cenno. Non sapeva che cosa dire. Suo zio… Beh, suo zio era il suo modello e il suo capo ed era un uomo forte, abile e saggio. Quanto a suo padre… certo, lui voleva emularlo e continuarne l’opera, qualunque fosse. Ma, dopo tutto, si trattava della sua cerimonia d’iniziazione, e ci sarebbe stato già abbastanza pericolo nel dimostrare la propria virilità. Dovere poi anche intraprendere lo stesso compito che era costato la vita a suo padre, il più gran ladro che la tribù avesse mai vantato… e per di più un compito blasfemo, eretico, come se non bastasse il resto…
«Proverò. Ma dubito di riuscirci.»
«Ci riuscirai» disse lo zio con convinzione. «È già tutto predisposto e non sarà difficile. Devi solo affrontare il Consiglio e mantenerti saldo nelle tue decisioni. Dirai che hai scelto la terza categoria.»
«Ma perché proprio la terza?» chiese Eric.
«Perché è quello che ci occorre. E non ti lascerai convincere a cambiare idea. Ricorda che un iniziando ha il diritto di scegliere quello che vuole rubare.»
«Ma, ascolta, zio…»
Dal fondo del cunicolo venne un fischio. Thomas il Distruggitrappole fece un cenno nella direzione del richiamo.
«Sta per cominciare il Consiglio, ragazzo mio Parleremo dopo. Adesso ricorda una cosa: sei tu che hai scelto la terza categoria, non sono stato io a suggerirtelo. Dimentica le altre cose che ti ho detto. Se avrai dei fastidi col capo, ti proteggerò io. Sono il tuo mallevadore, in fin dei conti.»
Circondò col braccio le spalle del nipote, e insieme si avviarono verso il fondo del cunicolo dove li aspettavano gli altri membri della banda.
La tribù si era raccolta nel cunicolo centrale, che era anche il più grande di tutti ed era rischiarato da lampade appese al soffitto, che potevano essere usate solo in quel luogo. All’infuon delle sentinelle che sorvegliavano gli sbocchi dei corridoi, verso l’esterno, tutta l’Umanità, 128 persone, era radunata lì: uno spettacolo davvero impressionante.
Sul monticello a cui avevano conferito il nome di Tumulo Reale stava pigramente adagiato Franklin, il Padre di Molti Ladri. Condottiero di tutta l’Umanità. Lui solo, fra tutti i guerrieri, ostentava un po’ di pancetta e un paio di braccia flaccide, perché lui solo godeva del privilegio di una vita sedentaria. Pareva quasi femmineo, accanto ai nerboruti capibanda che gli stavano intorno, eppure uno dei suoi molti titoli era: L’Uomo.
Sì, L’Uomo dell’Umanità era Franklin, il Padre di Molti Ladri, al quale andavano il rispetto e l’ubbidienza incondizionata di tutti gli appartenenti alle tribù; lo si capiva dall’atteggiamento rispettoso dei guerrieri, dall’interesse con cui lo guardavano le donne, raggruppate nei ranghi della Società Femminile, dal disprezzo con cui Ottilie, la Prima Moglie del Condottiero, ricambiava quell’interesse, e infine lo si capiva guardando le facce di molti dei bambini che se ne stavano in disparte, formando un piccolo gruppo indisciplinato; moltissimi di loro assomigliavano inequivocabilmente a Franklin.
Il Condottiero batté tre volte le mani, e disse: «In nome dei nostri antenati e della Scienza con la quale un tempo essi dominarono la Terra, dichiaro aperto il Consiglio. Chi ha voluto che questo consiglio fosse convocato?»
«Io» rispose Thomas il Distruggitrappole, staccandosi dalla sua banda e andandosi a mettere davanti al capo.
Franklin annuì, e pose la seconda domanda di rito. «Per quale motivo?»
«Quale capobanda, richiamo l’attenzione su un candidato alla virilità. Un membro della mia banda, che ha portato la lancia per il tempo richiesto ed è stato accettato quale apprendista nella Società Maschile, Mio Nipote, Eric l’Unico.»
Sentendo pronunciare il suo nome, Eric andò a mettersi accanto a suo zio, davanti al capo. Era giunto il momento più importante della sua vita, quello da cui dipendeva tutto il suo avvenire. L’attenzione dell’Umanità intera era puntata su di lui.
«Eric l’Unico» fu la prima domanda che gli rivolse il capo, «hai intenzione di diventare un vero uomo?»
Eric trasse un profondo sospiro e rispose: «Sì.»
«E che cosa farai per diventarlo?»
«Ruberò tutto quello di cui l’Umanità può avere bisogno. Difenderò l’Umanità contro tutti gli stranieri.»
«Giuri?»
«Giuro.»
«Come suo mallevadore» disse il capo rivolgendosi allo zio del ragazzo, «garantisci che manterrà il giuramento?»
Con una sfumatura appena percettibile di sarcasmo, Thomas rispose: «Sì, garantisco che manterrà il giuramento.»
Allora il Condottiero girò la testa e guardò verso il gruppo delle donne: «È stato accettato dagli uomini» disse. «Ora le donne devono chiedergli una prova, poiché solo superando una prova proposta dalle donne potrà conseguire appieno la virilità.»
La prima parte era finita, e non era stata poi né brutta né difficile. Eric si volse verso il gruppo delle comandanti la Società Femminile, al cui centro stava Ottilie, la Prima Moglie del Condottiero. Adesso toccava alle donne. Stava arrivando il peggio.
Eric sapeva che non sarebbe stato facile superare la prova. Aveva sperato che almeno una delle mogli di suo zio facesse parte del gruppo delle esaminatrici: le due donne, infatti, erano d’indole gentile e lo avevano sempre trattato come un figlio, dopo che era rimasto orfano. Ma invece erano state designate a esaminarlo tre megere dalla faccia arcigna, che sicuramente l’avrebbero fatto penare prima di dargli il loro sospirato beneplacito.
La prima a intervenire fu Sarah la Guaritrice. Piantandoglisi davanti a gambe larghe, con le mani sui fianchi, in atteggiamento bellicoso, proclamò in tono sprezzante: «Eric l’Unico» e si soffermò come se quel nome le sembrasse incredibile. «Eric, unico figlio di tua madre e di tuo padre. I tuoi genitori sono riusciti solo a mettere al mondo un unico figlio. Basta questo per fare di te un uomo?»
Eric si sentì avvampare, mentre un risolino sprezzante si levava dalla folla. Se fosse stato un uomo a rivolgergli quelle frasi ingiuriose, gli si sarebbe scagliato contro. Ma Sarah era una donna… e inoltre lui sapeva che uno degli scopi di quell’esibizione era di scoprire se lui possedeva sufficiente autocontrollo.
«Credo di sì» rispose dopo una lunga pausa. «E sono disposto a provarlo.»
«E provalo, allora!» lo beffeggiò la donna. Sollevò la mano destra e lo colpì con un lungo spillone aguzzo. Eric irrigidì i muscoli, mentre lo spillone gli si conficcava nel torace. Poi, guidato dalla mano esperta di Sarah lo spillone frugò nelle sue carni fino a trovare un ganglio nervoso, ed Eric strinse i denti per non urlare, irrigidendosi.
Sarah arretrò di un passo: «Non vedo ancora un uomo» disse, squadrandolo. «Però, forse c’è il principio di un uomo.»
Finalmente Eric poteva rilassarsi. La prova fisica era conclusa.
«Ti ha fatto molto male?» gli chiese Rita la Raccoglitrice dì Ricordi, con un sorriso compassionevole sulla faccia grinzosa di quarantenne. Eric sapeva che era un sorriso falso, perché una donna così vecchia non poteva più provare compassione per nessuno: aveva troppi dolori e grattacapi per suo conto per preoccuparsi anche dei guai altrui.
«Un pochino» rispose. «Non molto.»
«I Titanici ti faranno molto più male, se ti acciufferanno quando andrai a derubarli, lo sai? Ti faranno molto più male di quanto potremmo mai fartene noi.»
«Lo so. Ma la necessità di rubare è superiore al rischio che devo correre. Rubare è la più importante impresa che un uomo possa compiere.»
Rita assentì. «È vero, perché tu ruberai cose necessarie alla sopravvivenza dell’Umanità. Ruberai cose che la Società Femminile convertirà in cibo, abiti e armi per l’Umanità, affinché l’Umanità possa continuare a vivere e a fiorire.»
Lui capì che voleva farlo cadere in un tranello e si affrettò a rispondere: «No. Non è per questo che noi rubiamo. È vero, viviamo del provento dei nostri furti, ma non rubiamo solo per poter sopravvivere.»
«E perché, allora?» chiese la donna, come se tutti i membri della tribù, e lei prima degli altri, non conoscessero già la risposta. «Perché rubiamo? Che cosa è più importante della nostra sopravvivenza?»
Ecco, era venuto il momento di recitare il catechismo.
«Per rendere la pariglia ai Titanici. Per scacciarli dal pianeta, se ci riusciremo. Per riconquistare la Terra all’Umanità, se ci riusciremo. Ma, soprattutto, per rendere la pariglia ai Titanici…»
Continuò a snocciolare la lunga tiritera del rituale, facendo una pausa al termine di ciascuna parte, affinché Rita la Raccoglitrice di Ricordi avesse modo di porgli la domanda appropriata, prima che lui desse inizio alla sequenza successiva.
Una volta, lei cercò di prenderlo in trappola, invertendo l’ordine della quinta e della sesta domanda. Invece di: “Che cosa faremo dei Titanici quando avremo riconquistato la Terra?” chiese: «Perché non possiamo ricorrere alla Scienza titanica per combattere i Titanici?»
Trascinato dalla lunga abitudine, Eric prese a recitare la risposta che cominciava: «Li terremo come i nostri antenati tenevano gli animali esotici, in un posto chiamato zoo, oppure li spingeremo a forza nei nostri cunicoli costringendoli a vivere come siamo costretti a vivere noi…» ma a questo punto si accorse di avere sbagliato risposta e s’interruppe, confuso.
«Tre sono i motivi per cui non potremo mai servirci della Scienza titanica» riprese a dire, correggendosi. «Essa non è umana, è inumana e antiumana. Non possiamo servircene perché non potremo mai comprenderla, in quanto non umana. In secondo luogo, essendo inumana, non ce ne serviremmo nemmeno se riuscissimo a capirla. Infine poiché è antiumana e può solo servire a danneggiare l’Umanità, non potremmo usarla senza correre il rischio di perdere la nostra umanità. La Scienza titanica è l’opposto della Scienza ancestrale, sotto tutti gli aspetti: è brutta e dannosa, mentre la Scienza ancestrale è bella e utile alla nostra morte, la Scienza titanica non ci porterà nel mondo dei nostri antenati, ma in un altro mondo, pieno di Titanici.»
Beh, non c’era male. Se l’era cavata nonostante fosse caduto per un momento nella trappola. Ma la conversazione avuta con lo zio nel cunicolo continuava ad assillarlo, distraendolo, e mentre ripeteva meccanicamente le risposte del catechismo continuava a chiedersi come quei concetti potessero accordarsi con quanto gli aveva rivelato Thomas. Suo zio era un adepto della Scienza titanica, e lo erano stati anche i suoi genitori. Questo voleva dire che loro non erano umani, che erano inumani e antiumani?
E lui, cos’era? Sapeva quale sarebbe stato il suo dovere; avrebbe dovuto denunciare subito suo zio davanti a tutta l’Umanità. Ma era una cosa troppo terribile, troppo complessa, e lui era soltanto un ragazzo inesperto.
Quando ebbe terminato di recitare il catechismo, Rita disse: «Questo dunque è quanto tu hai da dire della Scienza ancestrale. Ora vedremo cosa dirà di te la Scienza dei nostri antenati.»
Senza voltarsi, fece cenno con la mano, e due ragazze aspiranti-donne spinsero avanti la grande macchina registratrice che costituiva il fulcro della vita religiosa della tribù. Poi le due ragazze si ritirarono, e Rita la Raccoglitrice di Ricordi girò una manopola sulla sommità della macchina piatta che cominciò subito a ronzare. Rita sollevò le braccia, e tutti, guerrieri, donne, bambini, aspiranti, perfino il capo, chinarono la testa.
«Ascoltate le parole dei nostri antenati» cantilenò Rita. «Osservate attentamente lo spettacolo delle loro imprese sublimi. Quando sentirono approssimarsi la fine e capirono che solo noi, loro discendenti, avremmo potuto un giorno riconquistare la Terra che essi avevano perduto, costruirono questa macchina perché fosse di guida alle future generazioni dell’Umanità, verso la conquista della scienza che fu e che di nuovo sarà.»
La vecchia riabbassò le braccia. Contemporaneamente tutti rialzarono la testa e fissarono in attesa la parete liscia di fronte alla macchina.
«Eric l’Unico!» esclamò Rita facendo girare l’indice di un quadrante con una mano e puntando l’indice dell’altra a caso sul quadrante stesso. «Questa è la scena della Scienza dei nostri antenati che parla solo per te. Questa è la visione a te dedicata e che informerà tutta la tua vita futura.»
Anche Eric fissava la parete, ansimando. Adesso avrebbe scoperto quale sarebbe stata la sua vita. Adesso! La visione destinata a suo zio molti anni prima, aveva suggerito il soprannome che l’avrebbe distinto: il Distruggitrappole. Nel corso dell’ultima cerimonia d’iniziazione, invece, era apparsa sulla parete l’immagine di due enormi macchine volanti degli antenati che si erano scontrate nel cielo. E pochi giorni dopo, il giovane iniziato era morto!
E adesso toccava a lui! Eric si sentiva tremare.
«Tutti da Scattergood!» tuonò una voce mentre sulla parete si vedevano frotte di persone provenienti da tutte le direzioni, vestite con gli strani paludamenti in uso fra gli antenati. Uomini, donne, bambini, correvano dai quattro angoli dello schermo luminoso verso uno strano edificio posto al centro, sparendo attraverso il suo ingresso. E più gente entrava, più ne arrivava.
«Tutti da Scattergood!» tornò a gridare la voce che accompagnava la visione. «Vendita straordinaria! Prezzi eccezionali! Da domani nei tre Magazzini Scattergood. Binocoli, registratori, cineprese, tutto con fortissime riduzioni.»
Adesso si vedevano solo degli oggetti. Strani oggetti, mai visti, prodotti dagli antenati. E a mano a mano che compariva un oggetto, la voce lo decantava. Era proprio magica e potente la perduta Scienza ancestrale.
«Esposimetri Krafft-Yahrmann, i migliori sul mercato, alla portata di tutte le borse, fotometri a prezzi incredibili. Otto dollari e novantacinque. Da domani nei Magazzini Scattergood. Non più di un articolo per cliente! Cineprese automatiche Kyoto da otto millimetri con lenti effe uno virgola quattro e occhio elettrico per la messa a fuoco per una perfetta esposizione. A meno di tre dollari la settimana! Le scorte sono limitate: affrettatevi, affrettatevi, affrettatevi!»
Eric seguiva lo svolgersi della scena con le mani contratte e lo sguardo fisso, in preda a un timore reverenziale. Quello era il nocciolo della sua vita, quella era la chiave del suo avvenire. Quella era la scena, scelta a caso nella macchina degli antenati, che stava profetizzando il suo futuro.
La macchina era onnisciente e non c’era possibilità di errore.
Eric era preoccupato. La visione era molto strana, le parole quasi tutte incomprensibili. Capitava, a volte, che le visioni fossero così difficili da sfidare l’interpretazione delle donne, anche delle più esperte. In questo caso, il giovane cui la visione era destinata sarebbe diventato un peso per se stesso e per la tribù.
O antenati pensò, o scienza, o macchina dei ricordi.… fate che non succeda anche a me!
«Ecco gli speciali binocoli di nostra esclusiva importazione» tuonò la voce, mentre compariva l’immagine di un uomo che si portava agli occhi uno strano oggetto. «Se vi dicessimo il nome del fabbricante lo riconoscereste immediatamente. Ingrandimento sette per cinquanta a solo quattrodici dollari e novantacinque, con l’astuccio. Dieci per cinquanta solo quindici e novantacinque, con l’astuccio. Vedrete meglio, vedrete più lontano, vedrete più chiaro, e pagherete meno. Da Scattergood tutto costa meno. Prezzi fallimentari! Vendita sottocosto! Da domani inizia la vendita straordinaria annuale ai Magazzini Scattergood. Liquidazione! Liquidazione! Prezzi imbattibili!»
Si udì uno scatto e la visione scomparve bruscamente, lasciando sulla parete un rettangolo bianco luminoso. La profezia era finita. Ma che significato poteva avere? Le donne sarebbero state capaci di interpretarla?
Eric si voltò ansioso a guardare Ottilie, la Prima Moglie del Condottiero. Prima Moglie del Condottiero era l’unico titolo che le spettava, in ordine di tempo. Prima era stato Ottilie l’Aùgure, Ottilie la Profetessa, Ottilie capace di leggere i simboli, di preannunciare i portenti.
Toccava a Ottilie l’Aùgure scegliere in una figliata di tre bambini il neonato da uccidere perché prima o poi, avrebbe portato la morte al suo popolo. Era stata Ottilie l’Aùgure, dopo la morte del vecchio capo, a designare Franklin, il Padre di Molti Ladri, alla guida dell’Umanità. E toccava ancora a lei, adesso, trarre gli auspici della visione di Eric.
Dopo avere levato le braccia in alto contorcendosi tutta, Ottilie cominciò a emettere bassi suoni gutturali, urli, gemiti. Eric l’ascoltava intento. Le punture prodotte dallo spillone di Sarah la Guaritrice gli facevano male, ma lui non se ne accorgeva nemmeno, tanto era teso nella spasmodica attesa. Finalmente, dalla bocca di Ottilie cominciarono a uscire suoni di senso compiuto.
«Una volta e tre volte» disse l’Aùgure, con voce che andava facendosi man mano sempre più chiara e ferma. «Una volta e tre volte i nostri antenati hanno dato a Eric il suo nome. In un modo e in un altro modo. Una volta e tre volte hanno detto quello che diventerà perché possa essere utile alla loro Scienza. E voi tutti avete udito, e io pure ho udito, e anche Eric ha udito.»
Confuso e perplesso, Eric si chiese quale fra le tante incomprensibili parole pronunciate dalla Voce degli antenati fosse il suo nome. Aspettò che fosse Ottilie a pronunciarlo. Era tanto ansioso che respirava appena.
«Un occhio elettrico» disse Ottilie. «Ecco cosa ci dice la Scienza degli antenati. Un occhio elettrico per la messa a fuoco» ripeté. E poi: «Vedrete meglio, vedrete più lontano, vedrete più chiaro, così ha dichiarato la macchina a Eric. Quello che gli antenati vogliono da lui è inequivocabile. Inequivocabile è quello che Eric dovrà essere per riconquistare la Terra che è nostra di diritto.»
Grazie alla macchina, grazie agli antenati! Il messaggio era chiaro. Ma che cosa significava?
Ottilie l’Aùgure, si volse verso Eric, che stava solo, in disparte, e ora si era eretto in tutta la persona e guardava gli altri con aria di sfida.
«Eric» disse la donna. «Eric l’Unico, ora tu andrai a compiere il tuo Furto. Se riuscirai e tornerai vivo, diventerai un uomo. E come uomo, non sarai più Eric l’Unico, ma sarai Eric l’Occhio. Eric lo Scrutatore, colui che troverà la strada per l’Umanità. Eric darà il fatto loro ai Titanici, grazie al suo occhio, al suo occhio vigile, al suo occhio elettrico, che vedrà meglio, più chiaro e più lontano. Perché così hanno detto i nostri antenati, e voi tutti avete udito.»
Finalmente Eric poté tirare un gran sospiro, imitato da tutta l’Umanità che pendeva dalle labbra di Ottilie. Eric l’Occhio: ecco il suo destino. Se fosse riuscito a commettere il Furto. Ma doveva riuscire.
Rita la Raccoglitrice di Ricordi e sua figlia Harriet la Cantastorie riportarono la macchina nel sacrario, una nicchia scavata nella parete dietro al Tumulo Reale. Nonostante che fosse impegnata in un compito sacro, la giovane Harriet continuò a tenere gli occhi fissi su Eric. Adesso era diventato una persona importante, o almeno lo sarebbe diventato al ritorno del Furto. Eric notò che anche altre giovani in età da marito lo guardavano nello stesso modo.
Quando Ottilie, tornata al suo ruolo di Prima Moglie del Condottiero, ebbe ripreso il suo posto accanto a Franklin, il giovane andò a porsi davanti al tumulo e, agitando la lancia, cominciò la danza rituale, intonando un canto di promesse per l’Umanità:
«Io sono Eric l’Occhio
Eric l’Occhio Elettrico,
Eric che Vede Meglio,
che Vede più Chiaro,
che Vede più Lontano.
Eric lo Scrutatore
Eric che trova la strada
per l’Umanità.
Vi siete sperduti?
Io vi aiuterò
a ritrovare la strada.
Il cunicolo si divide
in troppe biforcazioni?
Io vi indicherò quella
che vi condurrà a casa.
Vi sono nemici,
trappole nascoste,
pericoli che si annidano nell’ombra?
Io li vedrò
e vi avvertirò in tempo.
Io guiderò
la schiera dei guerrieri
e vedrò per loro…»
E continuò a cantare e a danzare finché Franklin non l’interruppe con un gesto, esclamando: «Così sarà quando avrai eseguito il Furto. Parlamene.»
«Andrò nella casa dei Titanici» annunciò fieramente Eric. «Ci andrò solo, senza compagni ma con le mie armi, come si addice a un guerriero. Ruberò ai titanici, incurante del pericolo. E porterò il ricavato del mio Furto all’Umanità, perché abbia a goderne.»
Franklin annuì e pronunciò la risposta di rito. «Belle parole, e degne di un guerriero. Che cosa prometti di rubare ai Titanici? Sai che, al primo Furto, bisogna promettere, prima, e mantenere la promessa.»
Ci siamo! Eric guardò suo zio, in cerca di aiuto. Ma Thomas il Distruggitrappole guardava da un’altra parte. Eric si passò la lingua sulle labbra. Beh, dopo tutto non c’era niente di male… E i giovani iniziati avevano il diritto di scegliere liberamente, per quello che riguardava il primo Furto.
«Prometto che commetterò un Furto nella terza categoria» dichiarò con un tremito appena percettibile nella voce.
La sua dichiarazione ebbe un effetto superiore al previsto. Franklin, il Padre di Molti Ladri, si lasciò sfuggire un’esclamazione di stupore. Balzò in piedi e fissò attonito Eric.
«Terza categoria, hai detto?» chiese. Il ventre e le braccia flaccide erano scossi da un tremito. «Terza?»
Spaventatissimo, Eric si limitò a fare un cenno di assenso.
Franklin si volse a sua moglie Ottilie, e tutti e due cercarono con gli occhi, tra le file dell’Umanità, Thomas il Distruggitrappole che stava ritto in mezzo ai componenti della sua banda, e che era rimasto imperturbabile.
«Che roba è questa, Thomas?» chiese il capo, dimentico del cerimoniale. «Dove vuoi arrivare? Perché tuo nipote ha scelto la terza categoria?»
Thomas lo guardò con aria innocente. «Dove voglio arrivare, io? E cosa c’entro? Io non ne so niente. È stato il ragazzo a scegliere la categoria. Se vuole la terza, sono affari suoi. Cosa c’entro io?»
Il capo lo fissò a lungo, senza parlare, poi si rivolse a Eric e disse brusco: «Bene. Hai scelto. Terza categoria. E adesso, si dia inizio alla festa.»
Con quanta gioiosa aspettativa aveva atteso la festa che avrebbe fatto seguito alla cerimonia dell’iniziazione!. Ma ora la sua gioia era guastata. Gli pareva di essere coinvolto in qualcosa che avrebbe arrecato danno all’Umanità, anche se non avrebbe saputo dire cosa o perché.
Di solito, un iniziato che stava per prendere parte al suo primo Furto era al centro dell’interesse generale. Tutti gli si accalcavano intorno, tutti volevano parlare con lui. Ma durante il pranzo, il capo rivolse a Eric solo le domande strettamente richieste dal cerimoniale, e la sua attenzione era palesemente concentrata su Thomas il Distruggitrappole.
Di tanto in tanto, il capo scambiava un’occhiata con Ottilie come se volesse dirle qualcosa, anche se non aprì mai bocca. Dopo essersi guardati, come di comune accordo, Franklin e Ottilie si voltavano a guardare di nuovo lo zio di Eric.
Tutti i membri dell’Umanità si rendevano conto della tensione che gravava sulla festa. Gaiezza, risate, allegria, usuali in quel genere di feste, mancavano quasi completamente. La banda dei Distruggitrappole si teneva stretta attorno al suo comandante, con aria tesa e sospettosa. Altri capibanda, come Stephen Fortebraccio e Harold il Lanciatore, avevano l’aria preoccupata, come se fossero assillati da gravi problemi.
Anche i bambini erano insolitamente tranquilli. Servivano i cibi preparati dalle donne, poi tornavano di corsa ai loro posti e mangiavano tenendo gli occhi spalancati fissi sugli adulti.
Eric provò una profonda sensazione di sollievo quando Franklin emise il rutto di cerimonia, si stiracchiò e si sdraiò sul pavimento del cunicolo. Dopo pochi minuti, il capo russava sonoramente.
La notte aveva avuto ufficialmente inizio.
Al termine del periodo di riposo, non appena il capo si fu svegliato sbadigliando e proclamando in tal modo che era l’alba, la banda di Thomas il Distruggitrappole si mise in cammino.
Eric, ancora soprannominato ufficialmente l’Unico, portava le preziose fasce della virilità nella bisaccia dei viveri che le donne gli avevano preparato in previsione di un viaggio della durata di alcuni giorni. In realtà, il ritorno era previsto prima del prossimo periodo di riposo. Nel corso di un’incursione nel territorio dei Titanici, però, poteva succedere qualsiasi cosa.
Avanzavano in fila indiana, in formazione militare, distanziati in modo che ciascun uomo potesse intravvedere quello che marciava davanti a lui. Per la prima volta nel corso della sua carriera militare, Eric portava solo le punte di lancia che sarebbero servite a lui personalmente. Armi e vettovaglie in sovrappiù erano legate alla schiena del nuovo apprendista che marciava dietro a Eric e lo guardava con lo stesso sguardo, in cui si mescolavano paura e invidia, con cui Eric aveva guardato fino al giorno prima gli altri guerrieri.
Davanti a Eric camminava Roy il Corridore, con la sua caratteristica andatura da marciatore. Primo della fila era Thomas. Eric, naturalmente non poteva vederlo, ma sapeva che procedeva cauto eppure sicuro, girando di continuo la testa a illuminare i bui recessi del cunicolo con la lampada che portava legata alla fronte, un paio di selci affilate strette nei pugni possenti, pronto a servirsene non appena fosse stato necessario.
Quello sì che era un uomo! Essere uomo significava partecipare sempre a spedizioni come quella, spedizioni piene di pericolo ma destinate al bene dell’Umanità. E al ritorno, trionfante e vittorioso, l’uomo avrebbe trovato le donne ad accoglierlo con la danza di benvenuto, pronte a porgergli rinfreschi, ad alleggerirlo dai pesi, a rendersi utili in tutti i modi. E poi, dopo avere mangiato, bevuto ed essersi riposato, avrebbe partecipato alla danza degli uomini, nel corso della quale avrebbe cantato alla tribù le sue imprese, narrando in tutti i particolari i pericoli in cui era incorso, le cose strane e misteriose che aveva visto.
Le cose che aveva visto! E lui, Eric, nella sua qualità di “Occhio” avrebbe forse avuto il diritto di un assolo di danza tutte le volte che ci fosse stato da descrivere qualcosa di particolarmente curioso. E tutte le donne lo avrebbero guardato ammirate mormorando: Eric l’Occhio! Che guerriero! Che compagno per la fortunata che lui sceglierà!
«Ehi, tu, maledetto sognatore d’un figlio unico!» gridò la voce di Roy il Corridore, invisibile oltre la svolta del” cunicolo. «Vuoi muoverti e badare ai segnali, invece di dormire in piedi? Questa è una spedizione nel territorio dei Titanici, non una passeggiata nel quartiere delle donne. Vuoi stare all’erta? Il capitano ha fatto passare parola che ti vuol parlare.»
Fra i sogghigni e le risate di quelli che lo precedevano, e maledizione, anche dell’apprendista che lo seguiva, Eric afferrò la torcia e avanzò verso la testa della colonna. Ogni uomo che lui sorpassò gli chiese il nome della donna che occupava i suoi pensieri, insistendo per scendere nei particolari. E poiché Eric, imbarazzatissimo, teneva la bocca chiusa, ognuno sbrigliò la propria fantasia nei commenti più salaci. Anche l’accoglienza di suo zio non fu molto più gentile: «Eric l’Occhio!» esclamò con sarcasmo. «Eric l’Occhio chiuso, così ti dovresti chiamare, se non decidi di svegliarti. Adesso mettiti al mio fianco e cerca di fare onore davvero al tuo nuovo nome. Questi cunicoli sono pericolosi, e io non ho la vista acuta come la tua. Inoltre devo dirti alcune cose.» Si volse, e, al guerriero che veniva dopo di lui, ordinò: «Distanziatevi! Dovete marciare a distanza di un lancio d’asta l’uno dall’altro.» Poi tornò a rivolgersi a Eric. «Bene. Così possiamo parlare senza che nessuno ci senta. Mi fido dei miei uomini, ma la prudenza non è mai troppa.»
Eric annuì, sebbene non avesse la minima idea di quello di cui voleva parlargli suo zio. Comunque, Thomas il Distruggitrappole era il miglior guerriero dell’Umanità e bisognava fidarsi di lui.
Marciavano affiancati. La luce emessa dalla strana sostanza luminosa della torcia di Eric e della lampada di Thomas accendeva di un bagliore giallastro i muri, il pavimento, il soffitto ricurvo dei cunicoli. Viste dal centro del cunicolo, le pareti parevano fatte di una sostanza morbida e spugnosa, ma Eric sapeva invece quale fatica immane costasse scavarvi sia pure solo una nicchia. Due uomini robusti impiegavano oltre due periodi di veglia e di riposo per scavarne una sufficiente a contenere un piccolo deposito di armi.
Che origine avevano i cunicoli? Alcuni dicevano che erano stati scavati dagli antenati all’inizio della lotta contro i Titanici. Altri sostenevano invece che i cunicoli erano sempre esistiti, in attesa che l’Umanità li trovasse e ne facesse la sua dimora.
Si stendevano in tutte le direzioni, dritti, curvi, diramandosi e biforcandosi bui e silenziosi, finché gli uomini non li ridestavano col rumore dei loro passi e non li illuminavano con il chiarore delle loro lampade e delle loro torce. Eric sapeva che i cunicoli che stavano percorrendo portavano al territorio dei Titanici: li aveva già percorsi più volte, come umile apprendista portatore di armi, quando suo zio e la sua banda si recavano a fare scorrerie per procurare il cibo necessario al sostentamento dell’Umanità. Altri corridoi portavano in altri luoghi, ancora più strani e pericolosi. Ma esistevano posti in cui non c’erano cunicoli?
Che strana idea! Perfino i Titanici vivevano in cunicoli, nonostante la loro mole gigantesca. Ma una leggenda narrava che uh tempo l’Umanità viveva fuori dai cunicoli, fuori dai corridoi che si biforcavano. Dove aveva vissuto, dunque? Il solo pensarci dava a Eric le vertigini.
Giunsero a una biforcazione, e Thomas chiese al nipote quale delle due strade dovesse prendere.
Eric indicò senza esitare la diramazione di destra.
Thomas il Distruggitrappole annuì soddisfatto. «Vedo che hai buona memoria» disse, incamminandosi nella direzione indicata da Eric. «Per essere un buon Occhio occorrono due cose: memoria e istinto. Solo queste permettono di scegliere la via migliore da seguire. Nelle spedizioni in cui mi hai accompagnato ho notato che tu possiedi anche la seconda qualità. È per questo che ho detto alle donne, a Rita e a Ottilie, il nome che avrebbero dovuto importi. Eric l’Occhio, ho detto. Cercate una visione che possa adattarsi a questo nome, ho detto.»
Eric rimase talmente sbalordito che per poco non si fermò.
«Sei stato tu a scegliere il mio nome? Hai detto tu che dovevano scegliere una visione adatta per me?»
Lo zio scoppiò a ridere. «È successo lo stesso quando Ottilie l’Aùgure si è messa d’accordo con Franklin per dire che lui era destinato a diventare il nuovo capo. Lui lo sarebbe diventato, e in cambio l’avrebbe scelta come Prima Moglie, e lei sarebbe diventata automaticamente capo della Società Femminile. Al giorno d’oggi la religione e la politica si mescolano sempre, Eric. Non viviamo più nei tempi antichi in cui la Scienza ancestrale era vera e santa e funzionava a dovere.»
«Ma funziona ancora, no?» chiese Eric in tono quasi supplichevole.
«Non essere sciocco. Certo che funziona. Senza il cerimoniale di rito non oseremmo mai intraprendere una spedizione. Ma non funziona abbastanza, non è abbastanza forte… non è forte come la Scienza titanica. La Scienza titanica funziona a dovere per i Titanici, e funzionerà anche per noi. È qui che entri in gioco tu.»
Eric dovette fare uno sforzo per ricordare che suo zio era un capitano esperto, un guerriero valoroso. La protezione e il consiglio di Thomas il Distruggitrappole avevano fatto di lui, figlio unico e orfano disprezzato da tutti, un giovane alle soglie della piena virilità. Era stata davvero una fortuna per lui che nessuno dei figli delle due mogli di Thomas fosse giunto all’età dell’iniziazione. E aveva ancora molto da imparare da quell’uomo.
«Fra poco» stava dicendo Thomas il Distruggitrappole, tenendo sempre d’occhio i profondi recessi del corridoio che si stendeva davanti a loro, «quando saremo arrivati nei cunicoli dei Titanici, ci entrerai da solo, naturalmente.»
Naturalmente ripeté tra sé Eric. C’era forse un altro modo per commettere il primo Furto? La prima volta che si andava a rubare nel territorio dei Titanici, bisognava agire da soli per dimostrare la propria virilità e il proprio coraggio, nonché il grado di fortuna personale di cui si godeva. Quello non era uno dei normali furti commessi dalle bande per rubare viveri e oggetti utili all’Umanità. Nel corso di queste spedizioni, ogni guerriero poteva contare sull’aiuto e sull’appoggio di tutti i compagni, e sapeva che anche tutti gli altri avevano già dato prova del loro coraggio compiendo da soli il primo Furto.
Rubare ai Titanici era già abbastanza pericoloso anche in quelle condizioni, e solo la consapevolezza di essere in compagnia dei guerrieri più audaci, più intraprendenti e più fortunati, serviva a dare un minimo di sicurezza.
«Una volta entrato» stava dicendo lo zio, «tienti sempre accosto al muro. Non guardare subito in alto, se non vuoi rimanere paralizzato dalla paura. Tieni gli occhi fissi sul muro, e intanto cammina in fretta senza mai perderlo di vista.»
Anche queste raccomandazioni erano superflue. Eric, come tutti gli iniziati, sapeva già come avrebbe dovuto comportarsi. Sapeva che era estremamente pericoloso guardarsi intorno, e soprattutto in alto. Perché bisognasse tenersi attaccati al muro senza guardare intorno, Eric questo non lo sapeva, né l’aveva mai chiesto. Sapeva che era così, e tanto gli bastava.
«D’accordo allora» proseguì lo zio. «Dovrai voltare a destra, non dimenticarlo: a destra, sempre senza guardare in alto, correndo lungo il muro che dovrai sfiorare con la spalla ogni due passi, capito? Dopo quaranta o cinquanta passi ti troverai davanti a una cosa enorme, una costruzione che arriva fin quasi a toccare il muro. Allora volterai a sinistra, seguendo questa costruzione e allontanandoti quindi dal muro, ma sempre senza alzare gli occhi, mi raccomando, fin quando non troverai un ingresso nella costruzione. Non dovrai entrarci. Superalo, e prosegui per altri venti o venticinque passi. A questo punto troverai un’altra apertura, più grande della prinia. Entrerai in questa seconda apertura.»
«Entrerò nella seconda apertura» ripeté Eric, attento a ricordare le parole dello zio.
«Una volta entrato, ti troverai in un cunicolo, che sulle prime ti sembrerà più buio dei nostri, ma la tua torcia lo illuminerà. Dopo un poco, il cunicolo sfocerà in uno spazio più ampio, molto ampio e buio. Tu camminerai sempre diritto, voltandoti ogni tanto a guardare la luce proveniente dall’ingresso, in modo da averla sempre dietro di te. Alla fine ti troverai in un secondo cunicolo, più basso del primo. Alla prima diramazione, volta a destra, e sarai arrivato.»
«Dove? Dove sarò arrivato? Che cosa succederà?» chiese Eric ansiosamente. «Come commetterò il Furto? Dove troverò la terza categoria?»
Thomas il Distruggitrappole esitò. Incredibile, ma pareva incerto e nervoso. «Laggiù troverai uno Straniero. Gli dirai chi sei e come ti chiami. Penserà lui al resto.»
Stavolta Eric non poté fare a meno di fermarsi. «Uno Straniero?» chiese sbalordito. «Qualcuno che non appartiene all’Umanità?»
Suo zio l’afferrò per un braccio costringendolo a rimettersi in marcia.
«Ne hai già visti, di Stranieri, no?» disse, ridendo forte. «Sai bene che nei cunicoli non vive solo l’Umanità.»
Sì, questo Eric lo sapeva.
Fin da bambino aveva accompagnato Thomas e la sua banda nelle spedizioni militari o commerciali verso i cunicoli dell’interno. Sapeva che i loro abitanti guardavano con disprezzo la sua gente, sapeva che erano più ricchi e conducevano una vita più tranquilla e sicura, e tuttavia provava pietà per loro perché, in fin dei conti, non erano che Stranieri, mentre lui era membro dell’Umanità.
E lui era fiero di appartenere all’Umanità, non solo perché la sua gente viveva nei cunicoli di superficie, cioè quelli più vicini alla dispensa dei Titanici, ma anche perche questo enorme vantaggio era controbilanciato dai pericoli connessi a quella posizione, e una vita di pericoli conferiva grandezza all’Umanità. La sua gente era superiore, nonostante l’inferiorità tecnologica. Cosa avrebbero potuto fare, infatti, gli abitanti dei cunicoli interni, se l’Umanità non li avesse riforniti delle materie prime di cui abbisognavano? Cosa avrebbero fatto gli armaioli, i vasai, i tintori e tutti gli altri artigiani di quei cunicoli, se l’Umanità non avesse più portato loro le cose di cui avevano bisogno, cioè cibi, stoffe, metalli? Quelle cose che l’Umanità aveva audacemente rubato ai Titanici? No, l’Umanità era il popolo più grande e coraggioso tra quanti vivevano nei cunicoli. Ma non era questo il punto.
Il punto era che con gli Stranieri non bisognava avere altri rapporti all’infuori di quelli strettamente necessari. Loro erano Stranieri, e dovevano restare al loro posto.
Sì, il commercio era utile, perché l’Umanità aveva bisogno di armi, di vasellame, di fasce lombari, di bisacce, in cambio delle materie prime che non avrebbe saputo lavorare. Capitava anche che qualche donna Straniera si unisse a un membro dell’Umanità, e viceversa, ma erano casi rari, e le donne in questione non riuscivano mai ad amalgamarsi bene con l’Umanità. Capitava poi inoltre che qualche volta si venisse alle mani con gli Stranieri, e questa, dopo le razzie nel territorio dei Titanici, era la fonte di maggiore piacere, di più grande eccitazione, per i guerrieri…
Commercio, unione con le loro donne, guerra. Tutto qui. Per il resto, non bisognava mai avere a che fare con gli Stranieri. Erano tabù, e se capitava di incontrarne uno isolato lungo i cunicoli, lo si uccideva senza rimorso.
Non era certo a loro, dunque, che bisognava chiedere consiglio per il primo Furto!
Eric stava ancora meditando sull’enormità dei consigli di suo zio, quando giunsero alla fine del viaggio. Si trovavano in un ampio cunicolo cieco, sulla cui parete di fondo si scorgeva una linea che partendo dal pavimento arrivava ad altezza d’uomo e poi tornava a curvarsi fino a raggiungere il pavimento.
Era la porta che dava sul territorio dei Titanici.
Thomas il Distruggitrappole si soffermò un momento, con le orecchie tese. Quando ebbe la certezza che non si udivano rumori sospetti nelle vicinanze, si voltò, e portatosi le mani a imbuto intorno alla bocca, emise il lungo richiamo modulato di riconoscimento della sua banda. Poco dopo, gli altri quattro guerrieri e l’apprendista li raggiunsero, e poi, a un segnale del capo, si accoccolarono vicino alla porta.
Prima mangiarono, in fretta e in silenzio. Eric mangiò meno degli altri perché sapeva di doversi mantenere sveglio e leggero in previsione del Furto. Suo zio gli lanciò un’occhiata di approvazione quando vide che tornava a riporre gran parte del cibo nella bisaccia.
Il pavimento, sotto i loro piedi, vibrava e gorgogliava incessantemente, segno che si trovavano proprio al di sopra di una delle tubature dell’impianto costruito dai Titanici. In quel punto correvano due enormi tubi. Uno era la fognatura, dove l’Umanità gettava i rifiuti e seppelliva i morti dopo le cerimonie di rito, l’altro era una conduttura d’acqua potabile, a cui gli uomini attingevano per le loro necessità, e senza la quale non avrebbero potuto sopravvivere. Eric sapeva che al ritorno, prima di rimettersi in cammino verso casa, Thomas avrebbe aperto un foro in quel tubo, per riempire le borracce di acqua fresca. Qui, vicino al territorio dei Titanici, si trovava l’acqua più fresca e dolce.
Finito di mangiare, Thomas si alzò e chiamò Roy il Corridore. Mentre gli altri guardavano, i due si avvicinarono alla parete cieca, nel punto dove correva la linea curva, e vi appoggiarono l’orecchio. Finalmente, soddisfatti, inserirono una punta di lancia in quella linea che era una fessura e, facendo leva, trassero pian piano verso di sé il macigno che faceva da porta. Non appena l’ebbero tolto e deposto con cautela sul pavimento, un fiotto di luce abbacinante si riversò nel corridoio.
Territorio titanico. E quella luce strana, sfolgorante, era la luce dei Titanici. Eric aveva visto molti guerrieri uscire in quella luce, ed ora toccava a lui.
Impugnando la pesante punta di lancia, suo zio sporse la testa oltre l’apertura, guardando in tutte le direzioni. Quando ebbe finito, si ritrasse. «Non ci sono trappole» disse a voce bassa. «Quella che ho distrutto nel corso dell’ultima spedizione è ancora lassù, appesa al muro. Non l’hanno nemmeno riparata. E ora va’, Eric, ragazzo mio.»
Eric si alzò e si diresse con lui verso la porta, ricordando di tenere gli occhi bassi. Suo zio lo esaminò attentamente per accertarsi che tutto fosse a posto, gli fece impugnare una selce leggera ma molto aguzza e gli impartì gli ultimi consigli: «Se ti vede un Titanico, un’arma più pesante non ti servirebbe. Devi cercare di metterti al riparo, più in fretta che puoi, e intanto lanciargli contro la punta di lancia. Forse il Titanico non riuscirà a distinguere fra te e l’arma, e inseguirà quella.»
Eric annuì macchinalmente. Sapeva a memoria anche quella parte delle istruzioni. Aveva la bocca asciutta, e il cuore che gli batteva forte.
Thomas il Distruggitrappole si tolse dalla fronte la fascia con la lampada e l’avvolse intorno alla testa di Eric. Poi spinse il giovane oltre la soglia. «Vai a commettere il tuo Furto, Eric» bisbigliò. «Vai, e torna uomo.»
Eric varcò la soglia. Era in territorio titanico. La strana luce dei Titanici, il loro mondo incredibile, lo circondavano. I cunicoli, l’Umanità, tutto quello che gli era familiare, era rimasto alle sue spalle.
Un’ondata di panico gli salì dallo stomaco alla gola.
Non guardare in alto. Tieni gli occhi bassi altrimenti resterei paralizzato dalla paura. Tienti rasente al muro. Tieni lo sguardo fisso sul muro e seguilo. Volta a destra e segui il muro. Corri.
Eric voltò a destra. Sfiorò con la spalla il muro e cominciò a correre tenendo gli occhi bassi e sfiorando il muro con la spalla a intervalli regolari. Correva più svelto che poteva, contando mentalmente i passi.
Venti passi. Da dove proveniva la luce? Era ovunque, così bianca, così scintillante… Venticinque passi. Sfiora il muro con la spalla. Soprattutto non ti allontanare mai dal muro. Trenta passi. Con una luce simile, la sua lampada era inutile. Trentacinque passi. Il pavimento era diverso da quello dei cunicoli. Era piano e duro. E così anche il muro. Quaranta passi. Corri tenendo sempre gli occhi bassi. Sfiora la parete con la spalla. Continua a correre. Tieni gli occhi sempre bassi. Quarantacinque passi.
Per un pelo non andò a sbattere contro la costruzione di cui gli aveva parlato lo zio, ma la prontezza di riflessi e gli avvertimenti ricevuti gli permisero di voltare in tempo a sinistra. Qui il colore era diverso e anche il materiale. Tieni gli occhi bassi. Non guardare in alto. Giunse davanti a un ingresso che pareva quello di un piccolo cunicolo.
Non devi entrarci, Eric. Superalo. Correndo, riprese a contare. Ancora venticinque passi, ed ecco un secondo ingresso, più ampio, vi s’infilò. In principio sarà buio. Illuminerai le pareti con la luce della tua lampada.
Eric si fermò, ansimando. Era contento di trovarsi al buio. Dopo la spietata luce abbagliante a cui non era abituato, il tenue chiarore della sua lampada gli ricordava i suoi cunicoli dandogli un senso di sicurezza.
Sapeva di potersi permettere un attimo di sosta. La prima parte, la peggiore, era passata. Non era più allo scoperto.
Aveva seguito le istruzioni ed era ancora vivo. Il peggio era passato. E adesso poteva rischiare di dare un’occhiata. Moriva dalla voglia di farlo.
Si volse prontamente, col cuore stretto dalla paura, alzò gli occhi, e guardò.
Il grido che gli sfuggì involontariamente dalle labbra lo atterrì quasi quanto ciò che vide. Chiuse gli occhi e si ritrasse nell’ombra, incapace di muoversi. Non era possibile! Non poteva avere visto bene. Non poteva esistere niente di così incredibilmente alto ed esteso.
Dopo un poco, tornò ad aprire gli occhi, badando bene a tenere lo sguardo fisso sul buio che lo circondava, rischiarato appena dal chiarore giallastro della sua lampada. Riusciva a distinguere le pareti di quel cunicolo così diverso dagli altri, quelle pareti che, invece di essere ricurve formando un tutto unico dal pavimento al soffitto, si staccavano da essi ad angolo retto. Il cunicolo sfocerà in uno spazio molto grande e buio.
Che spazio poteva essere? Apparteneva anch’esso ai Titanici?
Doveva dare un’altra occhiata alle sue spalle, all’aperto. Un’occhiata rapida. Dopo tutto, lui era l’Occhio, e un Occhio deve essere in grado di guardare tutto. Doveva dare un’altra occhiata, ma con molta, molta cautela.
Eric si voltò ancora una volta, aprendo pian piano gli occhi e serrando forte i denti per impedirsi di urlare. Ma anche così riuscì a stento a trattenere un grido. Richiuse in fretta gli occhi, aspettò un momento, e poi li riaprì. Poco a poco, facendo uno sforzo immane, riuscì a guardare in quell’immenso spazio bianco e abbacinante senza perdere il dominio dei nervi. Era uno spettacolo sconvolgente, incredibile, tuttavia si costrinse a guardare.
La distesa era enorme, correva a perdita d’occhio. Uno spazio incredibile, immerso in quella luce bianca, e del quale non si scorgeva la fine. Ma sì, invece. Aguzzando lo sguardo Eric riuscì a vedere dove finiva: laggiù, in fondo in fondo, c’era un muro immane, una costruzione gigantesca che partendo dal pavimento s’innalzava all’infinito.
E in quello spazio immenso erano sparsi degli oggetti. Oggetti enormi che solo l’immensità di quella spianata faceva sembrare piccoli, oggetti enormi e di fattura mai vista, incredibilmente estranei, tutti tranne alcuni. Eric aveva spesso sentito descrivere quegli oggetti dai guerrieri che tornavano da una scorreria in territorio titanico. Erano come enormi bisacce, prive però di cinghie. E ciascuna di esse conteneva quantità di cibo sufficiente a sfamare l’Umanità intera per un incredibile numero di anni. Le armi degli uomini non erano abbastanza robuste per praticare aperture sul fondo di quelle bisacce, perché in quel punto il materiale di cui erano fatte era durissimo. Ma gli uomini si arrampicavano su di esse finché il materiale, a metà altezza, opponeva minor resistenza, e vi praticavano un foro attraverso il quale afferravano manate del cibo contenuto nell’interno. Poi ridiscendevano con cautela e portavano il bottino alle donne che coi loro riti magici riuscivano a distinguere quali cibi andavano bene per l’Umanità e quali no. Se avesse scelto la prima categoria, Eric avrebbe dovuto commettere un Furto simile.
Invece il Furto che doveva compiere non era normale. Era di terza categoria. Ricordi dei Titanici.
Con un sospiro, Eric si voltò incamminandosi nell’oscurità. Nel tenue chiarore della lampada notò che il cunicolo si allargava come aveva detto suo zio, e stette bene attento di avanzare in linea retta, voltandosi di tanto in tanto per allinearsi alla luce proveniente dall’apertura alle sue spalle. Finalmente lo spazio tornò a restringersi, e lui si trovò in un altro cunicolo, sgradevolmente basso e angusto. Ma ecco una biforcazione. Con una sensazione di sollievo, Eric voltò a destra, come gli aveva detto Thomas il Distruggitrappole.
Era arrivato.
C’erano molte lampade accese, e Stranieri: molti Stranieri. Tre, quattro… No, addirittura cinque! Erano tutti seduti in un angolo di quel basso e largo cunicolo quadrato. Tre stavano parlando animatamente fra loro. Gli altri due erano intenti a fare qualcosa con degli utensili che Eric non aveva mai visto.
Balzarono in piedi al suo arrivo, disponendosi a semicerchio di fronte a lui. Eric rimpianse di avere solo una punta di lancia leggera invece di due pesanti, con le quali avrebbe potuto sicuramente abbattere tutti e cinque gli Stranieri. Ma pur sentendosi in svantaggio si fermò davanti a loro con aria fiera, come si addiceva a un guerriero, pronto a scagliare la lancia.
Fu un momento di grande tensione, subito dissolta però dall’intervento di uno degli Stranieri, un uomo di mezza età, dai lineamenti decisi, che fece un passo avanti e disse con circospezione: «La salvezza prima di tutto?»
Eric cominciò a rilassarsi. Quella era l’antica formula di saluto di pace, quando un guerriero ne incontrava un altro nel territorio titanico. Si esclamava “la salvezza prima di tutto” per significare che esistevano nelle vicinanze creature molto più pericolose e spaventevoli degli esseri umani e come reciproco ammonimento di quanto si doveva soprattutto tenere presente in un posto tremendo come quello.
Eric pronunciò la risposta di rito: “La salvezza soprattutto”, per far capire in quel modo che intendeva osservare la tregua vigente in territorio titanico, per cui si mettevano da parte tutte le controversie individuali in nome della salvezza comune e della reciproca protezione contro i pericoli tremendi da cui erano circondati.
L’uomo di mezza età accolse la sua risposta con un cenno di assenso. «Chi sei?» chiese. «Come ti chiami? A quale tribù appartieni?»
«Eric l’Unico.» Poi si affrettò ad aggiungere: «Destinato a diventare Eric l’Occhio. Appartengo all’Umanità.»
«Me lo aspettavo. È uno dei nostri» disse l’uomo rivolgendosi ai suoi compagni che, poco dopo, tornarono alle loro occupazioni interrotte dalla comparsa di Eric. «Benvenuto, Eric l’Unico dell’Umanità. Deponi la lancia e vieni a sederti con noi. Io sono Arthur l’Organizzatore.»
Eric infilò la punta di lancia nel supporto di cinghie intrecciate che portava sospeso alla spalla, ed esaminò lo Straniero.
Arthur l’Organizzatore aveva pressappoco l’età di suo zio, ma era meno robusto, sebbene i suoi muscoli fossero abbastanza ben sviluppati. Indossava le fasce lombari del guerriero e, come se queste non bastassero, altre cinghie intorno al petto e alle spalle. Ma non portava bisaccia, come usava spesso fra gli Stranieri. Altra usanza degli Stranieri era la cinghia che teneva legati i capelli dietro la testa, mentre di solito i guerrieri li lasciavano sciolti. Per di più, le fasce e le cinghie erano decorate con curiose incisioni ornamentali, indizio della mollezza degli Stranieri.
Chi, se non loro pensò Eric con disprezzo, si sarebbe mai sognato di fermarsi in gruppo in un posto sconosciuto, senza appostare sentinelle agli ingressi del cunicolo? Oh, l’Umanità ha ben ragione di disprezzarli!
Tuttavia doveva riconoscere che l’uomo che gli stava di fronte era un capo, dotato di un piglio sicuro, superiore perfino a quello di Thomas il Distruggitrappole, capitano della banda più forte dell’Umanità. Anche l’altro lo stava studiando con occhio attento, catalogandolo, e pensando certo di servirsi di lui per qualche progetto. Bastava guardarlo, infatti, per capire che Arthur l’Organizzatore era un uomo con la testa piena di progetti destinati a raggiungere un determinato scopo.
Con gesto amichevole Arthur prese Eric per un braccio e lo portò con sé verso il gruppo degli altri seduti a parlare o a lavorare. Quello non era un cunicolo tribale, sembrava piuttosto un «tempio in esilio», il quartier generale di una nuova fede. Gli uomini seduti per terra a lavorare sarebbero diventati un giorno i sacerdoti che avrebbero diffuso quel credo fra le genti. E Arthur l’Organizzatore ne sarebbe stato il Pontefice Massimo.
«Ho conosciuto tuo zio qualche tempo fa» disse Arthur a Eric, «quando venne nei nostri cunicoli nel corso di una spedizione commerciale. Uomo di prim’ordine, tuo zio. Un vero progressista. Ha partecipato regolarmente alle nostre riunioni segrete, e nel grande cunicolo che scaveremo ci sarà un posto importante per lui. Sarà uno dei capi del nuovo mondo che stiamo costruendo. Mi ricorda molto tuo padre. Ma anche tu gli assomigli, ragazzo mio.»
«Hai conosciuto mio padre?»
Arthur l’Organizzatore annuì sorridendo. «Molto bene. Avrebbe potuto diventare un grand’uomo. Ha dato la vita per la Causa. Un uomo davvero indimenticabile, tuo padre… Ma parleremo a lungo di lui, in un’altra occasione. Adesso devi tornare al più presto da tuo zio.»
Prese una tavoletta ricoperta di segni strani e l’esaminò alla luce di una lampada.
«Cosa ne dici?» stava sussurrando intanto uno dei tre intenti al lavoro a uno dei compagni. «Gli ha chiesto di che tribù è, e lui ha risposto “Umanità”. Umanità!»
L’altro sghignazzò. «È una tribù dei cunicoli di superficie. Tutte le tribù di superficie si chiamano così. Secondo quei primitivi, solo loro sono esseri umani. E sai come chiamano le tribù dei cunicoli dell’interno? Stranieri. Ai loro occhi non c’è molta differenza fra noi e i Titanici.»
«Proprio quello che dicevo. Sono dei Selvaggi con le idee strette. Autentici Selvaggi. Cosa ce ne facciamo di gente simile?»
Arthur l’Organizzatore guardò prima Eric, poi lanciò un’occhiata penetrante all’uomo che aveva parlato per ultimo.
«Ti dirò io cosa ce ne facciamo, Walter» spiegò brusco. «La Causa ha bisogno di loro. Se le tribù dei cunicoli di superficie sono con noi, restano aperte le vie di rifornimento in territorio titanico. Inoltre, abbiamo bisogno del maggior numero possibile di guerrieri. Tutte le tribù devono essere dalla nostra, se vogliamo che la Scienza titanica diventi la religione predominante nei cunicoli, e se vogliamo evitare il fiasco dell’ultima insurrezione. Gli uomini dei cunicoli di superficie sono necessari in quanto abili corridori, capaci di procurare le materie prime. Quelli dei cunicoli interni sono necessari per la loro abilità di artigiani e perché sono più progrediti. Insomma, in questo momento abbiamo bisogno di tutti.»
L’uomo che rispondeva al nome di Walter depose il lavoro e ribatté: «Ti dirò io di cosa abbiamo soprattutto bisogno. Abbiamo bisogno di ben altro che di questi barbari dei cunicoli di superficie. Ho detto che sono più o meno come i selvaggi, e lo ripeto. Invece, la Gente di Aaron… se la Gente di Aaron fosse con noi, allora sì…»
La faccia dell’Organizzatore s’incupì. Gli era tornato alla memoria uno dei suoi progetti più importanti, conclusosi con un disastro. «Quegli snob» mormorò. «Quei bastardi egoisti e. schizzinosi. Accidenti a loro! Stammi bene a sentire, Walter. Se davvero sei convinto che non ci sia differenza tra le tribù dei cunicoli e i Selvaggi dell’esterno, affronta un branco di Selvaggi, la prima volta che faranno irruzione nei cunicoli, e prova ad avviare un dialogo con loro. Sai cosa succederà?»
«Se lo mangeranno crudo» dichiarò un altro. «Lo faranno a pezzetti e se lo mangeranno crudo. Un pezzetto di Walter l’Armaiolo per uno.»
Tutti risero, e anche Eric, dopo un attimo di esitazione, fece eco alle risate, anche se poco convinto. Aveva sentito parlare anche lui dei Selvaggi, che di tanto in tanto si riversavano a orde nei cunicoli da un posto sconosciuto genericamente definito “l’Esterno”. Erano cannibali indisciplinati, sanguinari, che grugnivano invece di parlare… Ma lui aveva sempre creduto che si trattasse di leggende. Veri o leggendari che fossero, però, era un insulto essere paragonati a loro.
E la Gente di Aaron, che era mai? Se gli Stranieri, molli e poco coraggiosi com’erano, li definivano snob e schizzinosi, chissà che razza di gente erano. Eric non riusciva nemmeno a immaginarselo.
D’un tratto, sentì il pavimento vibrare sotto i suoi piedi, e per poco non cadde. Riuscì tuttavia a mantenersi in equilibrio, mentre l’aria risonava di tonfi pesanti, ritmati. «Cos’è?» chiese ad Arthur gridando per farsi sentire sopra quel fracasso assordante. «Cosa succede?»
«Non hai mai sentito camminare un Titanico prima d’ora?» ribatté incredulo l’Organizzatore. «Ma già… Questo è il tuo primo Furto. È un Titanico, ragazzo mio, un Titanico che è entrato nella sua dispensa a fare non so cosa. Dopo tutto, è nel suo pieno diritto» aggiunse con un sorriso, «visto che la dispensa gli appartiene. Noi siamo solo dei… diciamo visitatori.»
Eric notò che nessuno di loro aveva l’aria preoccupata. Trasse un profondo respiro e tornò a deporre la lancia che si era affrettato a impugnare. Come tremavano il pavimento e le pareti! Che creatura enorme, fantastica, doveva essere il Titanico.
Alzò gli occhi al soffitto piatto del cunicolo, e chiese ad Arthur l’Organizzatore: «Dove ci troviamo? È strano, questo posto, molto diverso, come materiale e struttura, dai nostri cunicoli.»
L’altro scrollò le spalle. «Ci troviamo nell’interno di uno dei loro mobili» spiegò. «Non so che mobile sia né a cosa serva. Noi ci troviamo in una delle cavità che loro lasciano sempre alla base di tutti i mobili, non so perché. Penso che lo facciano per renderli più leggeri e più facilmente spostabili.» Ascoltò un momento mentre l’eco dei passi titanici si allontanava fino a svanire, e poi continuò: «Veniamo al sodo. Eric, questo è Walter l’Armaiolo della gente Maximilian. Walter, che arma hai per la tribù di Eric?»
«Non vorrei dare proprio niente a una tribù dei cunicoli di superficie» protestò l’altro. «Nonostante tutte le spiegazioni, non capiscono mai niente e sbagliano sempre… Ma vediamo un po’. Questa dovrebbe essere abbastanza semplice.»
Frugò nel mucchio di strani oggetti che gli stava davanti e afferrò una specie di pallottola di sostanza rossa, gelatinosa.
«Devi limitarti a strappare un pezzetto con la punta delle dita» spiegò. «Un pezzettino, non di più. Poi sputaci sopra e lancialo. Bada bene di liberartene appena ci hai sputato sopra. Sei capace di ricordartene?»
«Sì.» Eric prese la palla rossa e la guardò perplesso. Mandava un odore strano, irritante, che pizzicava il naso. «Ma cosa succede dopo? Come funziona?»
«Non pensarci» gli disse Arthur l’Organizzatore. «Saprà tuo zio cosa farne. Tu hai commesso il furto di terza categoria e hai il tuo Ricordo dei Titanici. Una cosa che nessuno della tua tribù ha sicuramente mai visto. E di’ a tuo zio di portare la sua banda nel mio cunicolo dopo tre periodi di riposo a partire dal prossimo. Sarà l’ultima volta che c’incontreremo prima del grande giorno. Digli che i suoi uomini portino le armi che riusciranno a racimolare.»
Eric annuì. Non si raccapezzava più. Succedevano troppe cose strane.
Osservò Arthur l’Organizzatore che era occupato ad aggiungere un altro simbolo alla tavoletta tutta coperta di strani segni. Quella era una delle altre usanze degli Stranieri, resa necessaria dalla loro poca memoria, così inferiore a quella dell’Umanità.
L’Armaiolo gli si avvicinò mentre lui riponeva la palla rossa nella bisaccia. «Non c’è niente di bagnato, lì dentro?» chiese, frugando fra gli oggetti contenuti nella sacca. «Non c’è acqua? Ricorda che non devi assolutamente bagnare questa sostanza.»
«L’Umanità conserva l’acqua nelle borracce» spiegò seccato Eric, indicando la borraccia che portava appesa alla cintura. «Non crederai che la teniamo nella bisaccia mescolata alle provviste.»
Arthur l’Organizzatore lo accompagnò fino allo sbocco del cunicolo. «Non fare caso a Walter» disse. «È convinto che nessuno, all’infuori di lui, sia capace di maneggiare le armi che riesce a sottrarre ai Titanici. Adesso sarà bene che ti rinfreschi un po’ la memoria circa la strada che devi seguire. Non voglio che tu ti perda.»
«Non mi perderò» rispose freddamente Eric. «Ho un’ottima memoria e, per tornare, mi basta seguire al contrario le istruzioni di mio zio. E poi ricorda che io sono Eric l’Occhio. Non posso perdermi.»
Si sentiva molto fiero di sé, mentre si avviava di buon passo senza voltarsi. Ma l’ultimo commento che udì alle sue spalle: «Come sono permalosi, questi primitivi!» non mancò di ferirlo profondamente. Gliel’avrebbe fatta vedere lui, prima o poi, a quegli snob smidollati, che cosa voleva dire essere uomini!
Rifece il percorso, sempre rimuginando fra sé, e stava per iniziare l’ultimo tratto allo scoperto, lungo il muro, quando il pavimento ricominciò a tremare forte, strappandolo a forza dai suoi pensieri. Si fermò trasalendo, paralizzato dalla paura.
Era allo scoperto, e stava avvicinandosi un Titanico!
Lontanissimo, in quella distanza che dava le vertigini, scorgeva un lunghissimo corpo grigio, corrispodente alle descrizioni sentite fin dall’infanzia, più alto di cento uomini messi uno sull’altro, con le gambe grigie più grosse di due uomini uniti insieme. Ebbe appena il tempo di dargli un’occhiata, prima che il panico si impadronisse di lui.
Per fortuna riuscì a controllarsi quel tanto che gl’impedì di mettersi a correre allontanandosi dal muro. Ma, probabilmente, non lo fece solo perché, altrimenti, sarebbe andato direttamente verso il Titanico.
Poi, in un momento di lucidità, ricordò che la porta non doveva essere lontana. Non distava più di trenta, trentacinque passi. E là, era la salvezza. Là lo aspettavano suo zio con la banda, e i cunicoli, così stretti, così bui, così sicuri.
Eric partì come una freccia correndo come non aveva mai corso in vita sua, piangendo, quasi, per lo sforzo, ma ricordandosi tuttavia di non fare rumore, di stare sempre attaccato al muro, di non guardare in alto. Secondo guanto gli avevano insegnato, la vista e l’udito del Titanico, a quella distanza, non erano così acuti da potere percepire la sua presenza. Corri, corri, Eric, corri se vuoi salvarti!
E finalmente ecco la porta. Era chiusa! La lastra era stata rimessa al suo posto, e con orrore incredulo, Eric rimase a fissare la sottile linea curva disegnata sulla parete che stava a indicare il punto in cui la lastra era stata incastrata. Una cosa simile non era mai successa prima!
Eric batté freneticamente sulla porta coi pugni chiusi. Ma avrebbe fatto abbastanza rumore da essere udito dalla parte opposta di quella pesante lastra? E se invece tutto quel bussare fosse servito solo a richiamare l’attenzione del Titanico?
Voltò la testa, ma solo per un attimo, al fine di valutare a che distanza fosse il pericolo. Le gambe del Titanico si muovevano così lentamente che la sua velocità sarebbe stata risibile se la lunghezza delle gambe non gli avesse consentito di superare a ogni passo una distanza enorme. E non c’era proprio niente di ridicolo in quel lunghissimo collo sottile, sormontato da una testa relativamente piccola. E tutte quelle orribili cose rosa intorno al collo, proprio dietro la testa…
Era molto più vicino di quanto fosse stato solo pochi secondi prima, ma Eric non riusciva a capire se si fosse accorto o meno della sua presenza. Cosa doveva fare? Battere contro la porta con l’asta della lancia? Avrebbe fatto più rumore… ma anche il Titanico l’avrebbe sentito.
C’era una sola cosa da fare. Arretrò di qualche passo e poi si scagliò contro la lastra, spingendo con la spalla. Sentì che cedeva leggermente. Provò ancora.
Il tonfo dei passi del mostro era talmente vicino da assordarlo. Da un momento all’altro, uno di quegli enormi piedi grigi poteva calare su di lui e schiacciarlo. Eric arretrò ancora una volta per prendere la rincorsa, costringendosi a non voltarsi a guardare.
Al terzo tentativo la lastra si scostò, lasciando intravvedere una fessura. Eric spinse con le mani e coi piedi. La lastra cedeva a poco a poco, lentamente rivelando la fessura scavata tanto e tanto tempo prima.
Ma intanto, dov’era il Titanico? Era vicino? Quanto?
Con uno schianto improvviso, la porta cadde nell’interno del cunicolo ed Eric, trascinato dalla spinta, vi cadde sopra. Incurante del dolore, si rimise immediatamente in piedi e partì di corsa lungo il corridoio.
Non aveva il tempo per respirare. Continuava a ripetere mentalmente la lezione, per rammentarsi bene quello che doveva fare in una situazione simile.
Corri per un po’, poi fermati, ma tenendoti pronto a ripartire subito. Aspira quanta più aria puoi. Ti potrà servire. Se senti un sibilo, un fischio acuto, smetti di respirare e corri, corri finché resisti, poi torna a respirare a fondo. Ma soprattutto corri e trattieni il fiato più che puoi.
Eric aspettò, pronto a ripartire, la schiena rivolta alla porta.
Non guardarti in giro, guarda solo nella direzione della corsa. Di una cosa sola devi preoccuparti, una cosa sola devi cercare di sentire: un sibilo lungo, quasi un fischio. Se lo senti, trattieni il respiro e corri.
Eric aspettò, coi muscoli contratti.
Il tempo passava. Si ricordò di contare. Se si arrivava fino a cinquecento, contando lentamente, e non succedeva niente, voleva dire che, con tutta probabilità, il Titanico non aveva notato la presenza dell’uomo.
Così almeno dicevano i guerrieri esperti, coloro che avevano vissuto un’avventura come la sua.
Cinquecento. Tanto per essere più sicuro, tornò a contare, sempre teso e pronto a rimettersi a correre. Arrivò così al numero più grande concepito dall’uomo. Mille.
Niente sibili, niente fischi. Niente che facesse presagire un pericolo.
Eric si rilassò, e si lasciò cadere al suolo, tutto tremante.
Era finita. Aveva commesso il Furto. Era un uomo.
Si era trovato a tu per tu con un Titanico, ed era riuscito a salvarsi. Aveva incontrato degli Stranieri e aveva trattato con loro in veste di rappresentante dell’Umanità. Erano tutte cose che avrebbe raccontato a suo zio.
A suo zio. Ma dov’era? Dov’era la banda?
Notando solo allora come tutto fosse diverso da come avrebbe dovuto essere, Eric si alzò in piedi e tornò cautamente verso la porta rimasta aperta. Tutto il cunicolo era deserto. Non lo avevano aspettato.
Ma no, anche questo era incredibile! Una banda non abbandonava mai un iniziato a se stesso. Lo aspettava finché non fossero trascorsi almeno due giorni interi. Ed Eric era certissimo che suo zio lo avrebbe aspettato anche più a lungo. E poi, lui era stato via pochissimo. Cosa poteva essere successo?
Con estrema circospezione, sbirciò oltre la soglia. Questa volta, non provò alcun senso di vertigine, e la sua vista si mise subito a fuoco. Il Titanico era affaccendato al capo opposto della dispensa. Dunque, si era limitato ad attraversare la stanza, senza seguirlo né attaccarlo. Probabilmente non si era nemmeno accorto della sua presenza.
Fantastico! E sì che aveva fatto tanto rumore, con tutto quel correre avanti e indietro e quel battere sulla lastra.
A proposito della lastra: doveva rimetterla subito al suo posto. Non poteva lasciare la porta aperta. Ci infilò sotto le mani e tentò di sollevarla. Com’era pesante! Continuò a spingerla, lentamente, gonfiando i muscoli, trattenendo il fiato, tutto rosso per lo sforzo, finché non l’ebbe drizzata; allora, pian piano, riuscì a incastrarla nell’apertura. Sospirò, soddisfatto. Era riuscito a compiere da solo un lavoro che solitamente richiedeva gli sforzi riuniti di due guerrieri robusti. Si guardò intorno con calma.
Non gli ci volle molto per capire che lì si era svolta una breve, sanguinosa battaglia. Molti, inequivocabili indizi stavano a dimostrarlo.
Una lancia spezzata, macchie di sangue sul muro, parte di una bisaccia strappata. Niente cadaveri, naturalmente. Mai, dopo le battaglie, rimanevano cadaveri sul terreno. Uno degli imperativi categorici di tutte le tribù era di sbarazzarsi immediatamente dei morti, amici o nemici che fossero. La loro presenza avrebbe impestato l’aria dei cunicoli, con grave danno per tutti.
Dunque, c’era stata battaglia. Suo zio e la sua banda non lo avevano abbandonato deliberatamente. Dovevano essere stati assaliti da forze preponderanti. La banda aveva sostenuto l’assalto per un poco, poi aveva probabilmente subito perdite tali per cui era stata costretta a ritirarsi.
Tuttavia c’erano alcuni particolari che non quadravano. In primo luogo era estremamente difficile che bande di Stranieri si avvicinassero tanto al territorio titanico… I cunicoli dell’Umanità, meta naturale delle loro eventuali scorrerie, erano situati molto più all’interno. In quel punto, si poteva tutt’al più avventurare un solo gruppetto nel corso di una scorreria.
Gli uomini di suo zio, armati di tutto punto, e sempre all’erta, avrebbero facilmente avuto ragione di un gruppetto sparuto, composto da mercanti e artigiani. Li avrebbero respinti o fatti prigionieri, e poi avrebbero continuato ad aspettare il suo ritorno.
Restavano quindi due possibilità. Una, assai improbabile, che due o tre bande di Stranieri in pieno assetto di guerra avessero assalito suo zio e i suoi uomini; e l’altra, ancora più improbabile, che fossero stati aggrediti da qualche tribù dei cunicoli di superficie. Ma le tribù che, come l’Umanità, abitavano nei cunicoli di superficie e avevano i cunicoli e gli sbocchi sul territorio titanico, per tacito accordo non interferivano mai con le altre tribù.
E c’era ancora un particolare. Tutti gli uomini, oltre suo zio, erano scomparsi. Impossibile che fossero morti tutti; era un’idea che Eric si rifiutava di accettare. E i sopravvissuti, in qualsiasi condizione fossero stati ridotti, si sarebbero fatti un punto d’onore di aspettarlo. Così richiedeva il giuramento che avevano prestato, e mai si sarebbero presentati alle donne senza avere assolto il compito di aspettare il ritorno di un iniziato dal suo primo Furto.
Forse la battaglia durava ancora e i contendenti si erano spinti nei cunicoli più interni. Ma in questo caso, avrebbe sentito dei rumori. Invece, nei cunicoli regnava un silenzio innaturale.
Eric rabbrividì. Era terribile trovarsi lì, solo, senza sapere cosa fosse successo. Nessuno si avventurava mai solo nei cunicoli, all’infuori di qualche Straniero espulso dalla sua tribù; nessuno, mai, per nessun motivo.
Senza fermarsi a mangiare, sebbene fosse affamato, si rimise in marcia. Dapprima camminò, ma poco dopo si mise a correre: voleva arrivare al più presto fra la sua gente.
Com’erano più bui quei corridoi, ora che solo la sua lampada li rischiarava appena! E com’erano più silenziosi! Lui era abituato a essere sempre in mezzo alla gente della sua tribù, e non aveva mai immaginato che trovarsi solo nei cunicoli deserti fosse una cosa da fare raggricciare i nervi a quel modo. Ovunque potevano nascondersi dei nemici, quegli stessi che avevano assalito suo zio… E se avevano avuto ragione di una valorosa banda di guerrieri, dovevano essere un’orda di esseri sanguinari. Figurarsi se sarebbero arretrati davanti a un uomo solo… Ma al di sopra della paura, mescolato al ricordo di antiche leggende che narravano di creature mostruose annidate nel buio dei cunicoli, restava il mistero della scomparsa di suo zio. Eric non riusciva a persuadersi che gli fosse capitato qualcosa di grave. Thomas il Distruggitrappole era un veterano di mille pericolose avventure. E allora, dov’era andato? E dove aveva portato la sua banda? E chi aveva richiuso la porta che si apriva sul territorio dei Titanici? Se era vera l’ipotesi della battaglia, se era vero che suo zio e i suoi uomini erano stati vinti e si erano ritirati, era mai possibile che i vincitori si fossero fermati a chiudere la porta? Naturalmente, no. Neppure se i fantomatici assalitori avessero trucidato tutti i componenti della banda. Ma chi aveva potuto fare una cosa simile?
Oh, finalmente si avvicinava al territorio della sua tribù! Da un momento all’altro avrebbe avvistato una sentinella, e non avendo voglia di fare da bersaglio al suo tiro, incominciò a gridare forte: «Sono Eric! Eric l’Unico. Eric l’Occhio» aggiunse, perché, nonostante tutto quello che poteva essere successo, era pur sempre fiero della sua impresa. Ma nessuno rispose al suo grido. E sì che dovevano esserci delle sentinelle pronte ad avvistare chiunque si dirigesse verso il territorio dell’Umanità e a colpire spietatamente i nemici.
Anche questa era una cosa inesplicabile…
Superò l’ultima curva e vide finalmente la sentinella… No, non una sola. Tre. E non erano sentinelle. Uno era Stephen Fortebraccio, e gli altri due erano uomini della sua banda. Ma perché erano lì, e perché non avevano risposto al suo richiamo?
Aspettarono in silenzio che si fosse avvicinato, impugnando le lance, invece di abbassarle in segno di benvenuto. «Sono Eric» balbettò il giovane, perplesso. «Eric l’Occhio. Ho commesso il mio Furto, e…»
Stephen non lo lasciò finire. Gli si avvicinò con espressione torva, gli puntò la lancia contro il petto, e intimò: «Non ti muovere!» E ai suoi uomini: «Barney, John! Legatelo.»
Lo disarmarono, gli legarono saldamente le mani dietro la schiena con le cinghie della sua bisaccia e lo spinsero nel grande cunicolo centrale dell’Umanità.
L’ampio locale era pressoché irriconoscibile.
Sotto le direttive di Ottilie, la Prima Moglie del condottiero, un’orda di donne, forse tutte le componenti della Società Femminile, stava erigendo una piattaforma di fronte al Tumulo Reale. Data la grande scarsità di materiale di qualsiasi genere di cui soffriva l’Umanità, una costruzione di quel genere era sorprendente e insolita, e tuttavia e era in essa qualcosa che ridestava in Eric ricordi sgradevoli. Ma fu spinto brutalmente oltre la sala troppo in fretta, e aveva troppe altre cose a cui pensare per soffermarsi a chiarire quel ricordo nebuloso.
Ebbe però il tempo di notare due donne legate mani e piedi, e sdraiate contro un muro. Erano entrambe coperte di sangue e bastava guardarle per scorgere sui loro corpi martoriati i segni di lunghe torture. Nel passare loro accanto, Eric le riconobbe con un sussulto: erano le due mogli di Thomas il Distruggitrappole.
Dappertutto aleggiava un senso di tensione e di paura. Ma che cosa stava succedendo? Franklin, il Padre di Molti Ladri, era seduto sul Tumulo e, cosa insolita, impugnava due lance. Era intento a parlare animatamente con un gruppo di uomini, evidentemente capibanda. Con suo enorme sbalordimento, Eric ebbe il tempo di notare che erano Stranieri!
Stranieri in quel luogo! Stranieri liberi di andare e venire in mezzo all’Umanità!
Quando il capo scorse Eric, lo indicò a uno degli Stranieri con un sorriso sprezzante. «Eccolo. È lui» disse. «È suo nipote. Quello che aveva scelto il Furto di terza categoria. Adesso li abbiamo presi tutti.»
Lo Straniero non ricambiò il sorriso. Diede una breve occhiata a Eric, e poi distolse subito lo sguardo. «Sono contento che lo pensiate» disse: «Dal nostro punto di vista, invece, è solo uno di più.»
«Beh, voi capite quello che voglio dire» spiegò Franklin, mentre il suo sorriso andava trasformandosi in una smorfia contratta. «E quell’idiota è tornato indietro di sua spontanea volontà. Ma così ci ha risparmiato un sacco di fastidi, voglio dire. Non è così, forse?» Non ottenendo risposta, si strinse nelle spalle, poi si rivolse alle guardie che avevano arrestato Eric. «Portatelo dove sapete» ordinò. «Fra poco saremo pronti.»
La punta di una lancia punzecchiò Eric alle reni, e lui fu costretto ad attraversare il grande spazio centrale e ad andare verso l’imbocco di uno stretto cunicolo. Appena ebbe varcato la soglia, una delle guardie, con un violentissimo calcio, lo fece ruzzolare nell’interno. Non potendo servirsi delle braccia, ancora legate, il ragazzo cadde malamente. Mentre cadeva, sentì un’esplosione di risate alle sue spalle. Rotolò su un fianco, mentre un rivolo di sangue cominciava a scorrere da un taglio a una guancia.
Non era certo quello il genere di benvenuto che si era aspettato al ritorno dal suo primo Furto! Ma cosa mai stava succedendo?
Si guardò intorno e capì subito dove l’avevano gettato. Era un minuscolo cunicolo cieco, una specie di sgabuzzino dove solitamente si custodivano le provviste in sovrappiù, in attesa di trasportarle nei magazzini dell’interno, appena questi si fossero vuotati. Di tanto in tanto serviva anche da prigione per gli Stranieri maschi catturati nel corso di qualche battaglia. Venivano tenuti lì in attesa che la loro tribù pagasse un riscatto adeguato.
In caso contrario…
Allora, di punto in bianco, Eric ricordò cos’era quella strana cosa che le donne stavano erigendo di fronte al Tumulo Reale, e rabbrividì.
Ma no, non potevano prepararare un orrore simile per lui, un componente dell’Umanità, un guerriero. Un simile trattamento non lo riservavano neppure ai guerrieri Stranieri, in quanto un guerriero veniva sempre rispettato. Al massimo, se la situazione lo esigeva, veniva subito messo a morte e non… No, no, impossibile.
«No!» si ritrovò a gridare. «No!»
«Oh, sì!» lo contraddisse una delle guardie rimasta di sentinella all’imboccò del cunicolo. «Proprio sì, invece. Avremo da divertirci un bel po’, con voi due, appena le donne saranno pronte.»
Con voi due? Eric si guardò attentamente intorno. Lo sgabuzzino buio conteneva qualche bisaccia di provviste, ma in un angolo, alla luce della lampada che portava ancora legata alla fronte, Eric finì col distinguere una forma diversa dalle altre. C’era un uomo, a terra, vicino al muro.
Suo zio.
Eric si mise in ginocchio e si trascinò fino a lui.
Il Distruggitrappole era semincosciente. L’avevano massacrato di botte, e non era in condizioni migliori delle sue mogli. Una spessa crosta di sangue che gl’impastava i capelli era il segno di un violento colpo di lancia. Altre ferite profonde, tutte inferte con una lancia, gli segnavano il corpo. Gli sanguinavano una spalla, un fianco e una coscia.
«Zio Thomas» sussurrò Eric, ansioso. «Cos’è successo? Chi ti ha ridotto così?»
Il ferito aprì gli occhi e fu scosso da un tremito. Si guardò intorno con sguardo atono, come se non riuscisse a localizzare il suo interlocutore, e tentò invano di muovere le braccia muscolose, legate come quelle del nipote dietro la schiena. Quando finalmente riconobbe Eric, sorrise. Un sorriso penoso, perché qualcuno gli aveva fracassato quasi tutti i denti. «Ciao, Eric» farfugliò. «Che battaglia, eh? E gli altri della banda… si è salvato qualcuno?»
«Non lo so. Sono io che lo chiedo a te. Al ritorno dal Furto, non ho trovato nessuno. La banda era scomparsa. Sono venuto qui di corsa e mi pare che siano tutti impazziti. Ci sono Stranieri che vanno e vengono come se niente fosse… Chi sono?»
«Stranieri?» ripeté Thomas, che pareva avere ripreso completamente conoscenza. «Sì, c’erano degli Stranieri a dare man forte alla banda di Stephen Fortebraccio contro di noi. Dopo la nostra partenza, Franklin si è messo in contatto con gli Stranieri. Hanno confrontato i dati di cui erano in possesso. Dovevano essere segretamente in contatto da parecchio tempo. Umanità, Stranieri, che differenza c’è, quando la loro fetente Scienza ancestrale è minacciata? Avrei dovuto ricordarmelo.»
«Che cosa?» chiese Eric. «Che cosa avresti dovuto ricordare?»
«È così che bandirono la Scienza titanica, l’altra volta. Un capo è sempre un capo ed è più affine agli altri capi, anche Stranieri, che non alla sua gente. Attaccando la Scienza ancestrale, si mina il loro potere di capi. E allora si coalizzano. Si scambiano uomini, armi, informazioni… sono disposti a tutto per combattere il nemico comune. Questo nemico è il solo che ha veramente intenzione di dare il fatto suo ai Titanici. Sì, avrei dovuto ricordarmene! Mi era sembrato che il capo e Ottilie fossero insospettiti, e avrei dovuto immaginarmi quello che avrebbero fatto… quali provvedimenti avrebbero preso. Avrebbero chiamato gli Stranieri, e si sarebbero coalizzati contro di noi.»
Eric guardava lo zio, senza riuscire a capire del tutto quello che Thomas diceva. Evidentemente, oltre a una società segreta di adepti alla Scienza titanica, ne era esistita un’altra, basata più che altro su un tacito accordo fra i capi delle diverse tribù, e volta alla difesa della Scienza ancestrale. La scienza degli antenati era il credo delle loro tribù, e la base del potere dei capi… e, a pensarci bene, anche delle donne. Tutti i privilegi speciali di cui godeva la Società Femminile derivavano dalla conoscenza della Scienza ancestrale: senza di essa, sarebbero diventate donnette qualsiasi prive del potere magico di sapere distinguere i cibi commestibili fra quelli rubati dai guerrieri ai Titanici.
Lamentandosi per il dolore, Thomas riuscì penosamente a mettersi a sedere, appoggiando la schiena al muro.
«Ci hanno colti di sorpresa» continuò con voce rotta, ansimando penosamente. «Stephen Fortebraccio e la sua banda sono arrivati appena tu sei entrato in territorio titanico. Una banda dell’Umanità con un mesaggio del capo… Chi poteva sospettare qualcosa? Abbiamo pensato che qualche banda di Stranieri avesse invaso i nostri cunicoli, e il capo li avesse mandati a chiedere aiuto. Stranieri, proprio! Ma erano loro alleati, e riempivano i cunicoli, bande e bande di Stranieri.»
Eric cominciava finalmente a farsi un quadro esatto dell’accaduto.
«Poi, appena si furono avvicinati, e prima che noi potessimo fare un gesto, ci assalirono. E non ci risparmiarono, Eric! Ci avevano colto talmente di sorpresa, che ebbero ragione di noi senza bisogno di rinforzi. Ci disarmarono. Noi ci difendemmo alla meglio con le mani nude, poi anche le bande degli Stranieri ci saltarono addosso.» Al ricordo, gli si spezzò la voce. «Non avrei mai creduto di svegliarmi vivo» mormorò. «E forse sarebbe stato meglio morire.»
Thomas ansimava e un penoso gemito gli usciva dalla gola a ogni respiro. «Mi hanno riportato indietro» continuò a fatica. «Le mie mogli… Stavano torturandole. Quelle sgualdrine della Società Femminile, Ottilie, Rita e le altre… le hanno torturate sotto i miei occhi. Erano brave donne… tutte e due, e mi amavano. Avrebbero potuto diventare importanti. Più d’una volta Franklin avrebbe voluto avere dei figli da loro, ma loro hanno sempre rifiutato. Mi amavano, mi amavano sinceramente.»
Eric represse a stento un singhiozzo. Sapeva per esperienza quanto fossero state buone le mogli di suo zio, oneste, fidate, leali. E adesso erano morte, o moribonde, e i loro bambini sarebbero stati dati a un’altra donna che avrebbe tratto vantaggi dall’accresciuto numero di figli.
«Dimmi» chiese Eric, «perché le vogliono morte? Che cos’hanno di tanto terribile?»
Thomas rialzò la testa che aveva reclinato sul petto e lo guardò fisso: «Non lo capisci? Erano mie mogli, e tanto basta. E così, inoltre, Franklin ha potuto direttamente vendicarsi dei loro rifiuti… Siamo stati dichiarati Fuorilegge, Eric.» A queste parole il giovane rabbrividì: essere dichiarato Fuorilegge era la cosa più terribile che potesse capitare a un guerriero. «Ci hanno dichiarato Fuorilegge» continuò Thomas, «perché abbiamo cospirato contro la Scienza degli antenati. E questo, per loro, è il peggiore sacrilegio. Non facciamo più parte dell’Umanità, ci hanno escluso da essa, dalla legge, dalla religione. E sai che ne è dei Fuorilegge, Eric? Possono farci di tutto… Di tutto.»
Fin dall’infanzia, Eric ricordava di avere atteso con ansia cerimonie di quel genere. Uno Straniero isolato catturato da una banda, veniva dichiarato Fuorilegge, e lo si accusava di sacrilegio: le donne, depositarie della Scienza ancestrale, coi loro riti e le loro formule magiche riuscivano sempre a formulare e provare un’accusa adatta. Poi veniva proclamata una specie di festa. Le componenti della Società Femminile, servendosi dei pezzi di legna rubati durante le scorrerie dei guerrieri in territorio titanico e messi da parte a quello scopo, erigevano una costruzione le cui caratteristiche erano state tramandate di madre in figlia da innumerevoli generazioni e che risalivano agli antenati che avevano costruito la Macchina dei Ricordi. Quella costruzione veniva denominata Palco o Teatro, ma Eric l’aveva sentita chiamare anche Patibolo… Di una cosa, comunque, era sicuro. Su di essa si sarebbe svolto un dramma religioso: il definitivo trionfo dell’Umanità sui Titanici. Per questo, il protagonista doveva rispondere a due requisiti: essere intelligente come i Titanici, così da poter essere capace di soffrire, come un giorno l’Umanità avrebbe fatto soffrire i Titanici, ed essere inumano, come i Titanici, cosicché tutto l’odio, il risentimento, la paura che l’Umanità nutriva per quei mostri da generazioni e generazioni potesse riversarsi su di lui senza rimorsi né sentimenti di consanguineità. E perciò i Fuorilegge erano considerati i protagonisti ideali di quei drammi.
In quelle occasioni di festa, tutti si radunavano nel cunicolo centrale, e tutti avevano la possibilità di sfogarsi a loro piacimento, dal capo al bambino più piccolo capace di recitare il catechismo della Scienza ancestrale. A turno, salivano sul Palco eretto dalle donne e trattavano il prigioniero come avrebbero trattato un Titanico. Sarah la Guaritrice sovrintendeva alla cerimonia, badando che nessuno eccedesse, perché tutti dovevano partecipare alla festa e la vittima non doveva essere uccisa. Poi, intonando le loro cantilene magiche, Sarah e altre donne avrebbero dato fuoco al Palco e a quanto restava del Fuorilegge, a simboleggiare quello che sarebbe successo ai Titanici il giorno del Rendiconto.
E poi, danze, banchetti, festa, canti a non finire. Eric ricordava quanto lui stesso aveva fatto in simili occasioni e quanto aveva visto fare dagli altri, e un lungo brivido di paura gli corse per la schiena.
Ma quelli erano Stranieri, esseri inumani… No, non tutti erano Stranieri. Eric ricordò che già due volte un membro dell’Umanità era stato dichiarato Fuorilegge. La prima volta… meglio non pensarci. Eric rifiutò il ricordo del corpo martoriato che le fiamme avevano poi distrutto insieme al Palco. La seconda volta… la seconda volta il prigioniero era scappato prima della cerimonia.
Scappato! Ecco la soluzione. Anche lui doveva scappare. Una volta dichiarato Fuorilegge, non poteva sperare né pietà né remissione della pena. Scappare… Era una parola. Ma come? Anche se fosse riuscito a sciogliere i nodi che gli stringevano i polsi, al primo movimento sospetto la sentinella di guardia lo avrebbe trafitto con la lancia. E se non l’avesse colpito la sentinella, fuori c’erano altri guerrieri, tutti quelli della tribù, e altri ancora.
Come? Come?
Si costrinse a restare calmo e a valutare mentalmente tutte le possibilità alternative. Sapeva di disporre di pochissimo tempo. Fra non molto, infatti, le donne avrebbero terminato la costruzione e le guardie sarebbero venute a prenderlo.
Pur senza molta speranza, Eric cominciò a cercare di sciogliere i nodi che gli serravano i polsi. Se fosse riuscito a liberarsi le mani, forse sarebbe riuscito a sgattaiolare fino all’ingresso, e poi con un balzo avrebbe tentato la fuga. Che importava se una lancia lo avesse colpito? Sarebbe sempre stata una morte più rapida e migliore di quella che gli stavano preparando.
Alcuni Stranieri passarono davanti all’ingresso del ripostiglio. Evidentemente, pensò Eric, stavano andandosene. Forse anche la loro tribù stava preparando qualche festeggiamento.
Chissà se Walter l’Armaiolo e Arthur l’Organizzatore si trovavano anche loro prigionieri come lui. Ma ne dubitava. Qualcosa gli diceva che quelli non erano uomini da lasciarsi cogliere tanto facilmente di sorpresa, com’era successo a suo zio. Arthur, per dirne una, era troppo intelligente, e chissà Walter di quali armi disponeva per difendersi… Magari di un’arma come quella che gli aveva dato e che si trovava ancora nella sua bisaccia. E la bisaccia le guardie non gliel’avevano portata via.
Ma era poi un’arma? Eric non avrebbe saputo dirlo. Ma anche se non lo era, avrebbe potuto suscitare una certa sorpresa, e questo sarebbe stato a suo vantaggio. Approfittando di una momentanea confusione, lui avrebbe potuto tentare di squagliarsela, trascinandosi dietro suo zio.
Questo era un grave problema. Lo zio. Con le mani legate in modo da non potere essere sciolte, come adesso sapeva, lui, Eric, avrebbe avuto bisogno dell’aiuto dello zio, e invece Thomas era ridotto troppo male per poter essere d’aiuto.
Distruggitrappole continuava a borbottare fra sé parole prive di senso con voce sommessa e monotona, sussultando di tanto in tanto per il dolore che lo tormentava, e di tanto in tanto il mormorio era interrotto da lunghi gemiti.
Eric pensava che chiunque altro ridotto in quelle condizioni sarebbe già morto. Solo un fisico robusto come quello di Thomas poteva resistere tanto. E, chi lo sa, forse, se riuscivano a fuggire, sarebbe anche guarito.
Ma prima bisognava riuscire a scappare.
«Zio Thomas» disse chinandosi sul ferito. «Credo di avere trovato il modo di salvarci. Forse è possibile scappare.»
Nessuna risposta. Thomas continuò a balbettare fra sé, in modo incoerente.
«Le tue mogli» continuò Eric disperato. «Non vuoi vendicare le tue mogli?»
«Le mie mogli erano brave donne…» mormorò il ferito con un filo di voce. «Proprio brave. Non hanno mai accettato le proposte di Franklin…» poi il barlume di conoscenza si spense e Thomas riprese a delirare.
«Non vuoi scappare? Zio, zio, mi senti?» insisté Eric.
Temendo di farsi sentire dalla sentinella, il giovane guardò verso l’imbocco del cunicolo. Ma la sentinella era voltata dall’altra parte, intenta a seguire le ultime fasi della costruzione del Palco. Bisognava approfittarne, perché, fra l’altro, si avvicinava il momento in cui sarebbero venuti a prenderlo. Doveva liberarsi da solo… Eric si mise a sedere con la schiena contro il muro e cominciò a sfregare le cinghie che gli legavano i polsi contro le asperità della parete. Ma dopo un po’ dovette smettere. Niente da fare. Zio Thomas era la sua unica speranza. Doveva riuscire a farlo tornare in sé, perché lo aiutasse.
Tornò a chinarsi su di lui e gli sussurrò all’orecchio: «Sono Eric, zio, Eric l’Unico. Ti ricordi di me? Ho commesso il mio Furto. Un Furto di terza categoria, come mi hai ordinato tu. Ce l’ho fatta, zio. Adesso sono Eric l’Occhio. Dimmi, mi riconosci?»
Gli rispose solo un borbottio incoerente.
Disperato, Eric continuò: «Ho visto Arthur l’Organizzatore; mi ha detto che ti conosce. Quando l’hai incontrato la prima volta?»
Niente.
«Parlami della Scienza titanica… Che cos’è? E chi è la Gente di Aaron? Dimmi…»
Finalmente aveva trovato la chiave. La testa di Thomas si sollevò con penosa fatica, e il suo sguardo spento s’illuminò un poco.
«La Gente di Aaron…» mormorò. «Strano che tu me lo chieda.»
«Perché?» volle sapere Eric, felice di essere finalmente riuscito a destare l’attenzione di suo zio.
«Perché tua nonna apparteneva alla Gente di Aaron. Ricordo di averne sentito parlare, da ragazzo. La banda di tuo nonno fece un lungo viaggio, il più lungo che avesse mai fatto. Catturò la tua nonna, e la portò qui.»
«Mia nonna?» Per un momento Eric dimenticò la situazione critica in cui si trovava. Aveva sempre saputo che la figura di sua nonna era circondata da un alone di mistero. L’Umanità parlava pochissimo di lei, ma fino a quel momento Eric aveva attribuito questo al fatto che sua nonna aveva avuto un figlio davvero sfortunato, in quanto era stato padre di un figlio unico, ed era rimasto ucciso insieme a sua moglie in una scorreria nel territorio dei Titanici.
«Mia nonna apparteneva alla Gente di Aaron?» chiese.
«Sì. Deborah la Cantatrice di Sogni.» Thomas ciondolava paurosamente la testa, e insieme alle parole dalle labbra gli usciva un filo di saliva mista a sangue. «Sai, perché la chiamavano così, Eric? Perché, secondo le donne, quello che lei raccontava poteva succèdere soltanto nei sogni. Ma Deborah insegnò molte cose a tuo padre, che le assomigliava moltissimo. E le donne avevano paura di unirsi a lui. Mia sorella fu più coraggiosa delle altre… e tutti, poi, dissero che si era meritata quello che le riservò il destino.»
D’un tratto, Eric si rese conto che nel grande cunicolo esterno si era fatto silenzio. Avevano già finito e stavano per venire a prenderlo?
«Zio Thomas, ascolta, ho un’idea. Gli Stranieri mi hanno dato un ricordo titanico. Non so cosa sia né come funzioni, ma vorrei usarlo. Però non riesco a prenderlo. Adesso mi volto e tu fruga nella mia bisaccia…»
Ma il Distruggitrappole non lo ascoltava. «Era un’adepta della Scienza titanica» stava dicendo. «Tua nonna è stata la prima di loro a entrare in contatto con l’Umanità. Io credo che tutti gli Aaron siano fedeli alla Scienza titanica. Immagina, tutta una tribù…»
Eric mandò un gemito di esasperazione. Quel moribondo era la sua unica speranza, e lui non riusciva a farsi capire da lui.
Tornò a guardare la sentinella. Stava sempre con le spalle voltate verso di lui.
«Thomas» sussurrò brusco. «Ascoltami. Questo è un ordine. Nella mia bisaccia c’è una pillola di sostanza gelatinosa rossa. Ora ci mettiamo schiena contro schiena e tu frugherai nella bisaccia, a tentoni, finché non l’avrai trovata. Ne strapperai un pezzetto. Hai capito? È un ordine, guerriero Thomas!»
Suo zio annuì, con aria docile. «Sono guerriero da un tempo infinito. Ho dato e ricevuto ordini. Non ho mai disubbidito…»
«Presto» lo incitò Eric. Si voltò e si mise schiena a schiena con Thomas, in modo che la sua bisaccia fosse all’altezza delle mani legate dello zio. «Fruga… È una massa di sostanza gelatinosa. Strappane un pezzetto. Svelto!»
Dall’esterno, adesso, si udiva distintamente un rumore di passi che si avvicinavano. Dovevano essere le comandanti della Società Femminile, il capo, e una scorta di guerrieri. E la sentinella poteva voltarsi da un momento all’altro.
«Svelto! Ti ho detto di fare in fretta. È un ordine!»
Mentre le dita dello zio frugavano faticosamente nella bisaccia, Eric stava con le orecchie tese. Era sorpreso per la prontezza con cui Distruggitrappole aveva eseguito l’ordine, e per il tono autoritario che lui stesso era riuscito a conferire alla propria voce.
«Adesso andrai nei cunicoli della gente di Aaron» disse a un tratto Thomas, tornando alle sue fantasticherie. «Sono lontani, molto lontani. Al loro confronto, i cunicoli degli Stranieri si potrebbero chiamare cunicoli di superficie.»
Eric sentì che le dita di Thomas si infilavano nella bisaccia.
Nello stesso momento, sulla soglia comparvero Ottilie, Sarah e Rita, seguite dal capo e da due capitani di banda armati di tutto punto.
Ottilie si fermò sull’ingresso. «Guardate» gridò indicando i prigionieri. «Cercano di liberarsi a vicenda. E che cosa faranno quando si saranno liberati?» aggiunse in tono ironico.
Franklin andò a mettersi accanto alla moglie e osservò i due uomini sdraiati schiena contro schiena. «Cercheranno di scappare» spiegò con lo stesso tono Ottilie. «E anche senza armi quei due sono un pericolo persino per il miglior guerriero dell’Umanità!»
Mentre il capo parlava, Eric sentì le mani uscire dalla bisaccia legata al suo braccio. Poi ci fu un leggero tonfo, come se una sostanza molliccia fosse caduta sul pavimento.
Non devi fare altro che strapparne un pezzetto con le dita, sputarci sopra e lanciarlo più in fretta che puoi gli aveva detto Walter l’Armaiolo.
Lui però non poteva usare le mani per lanciare il pezzo di sostanza rossa. La bocca! Si girò, chinò la testa, afferrò il frammento con le labbra e poi lo strinse fra i denti e lo. inumidì con la lingua. Fatto questo, puntò i piedi, e con un balzo si alzò.
Dopo averci sputato su lanciala lontano, più in fretta che puoi.
Impossibilitato a usare le braccia per reggersi in equilibrio, barcollò verso la sua gente.
«Non so cosa stia facendo quel ragazzo, ma qualsiasi cosa sia non mi piace» disse una voce, e Stephen Fortebraccio fece un passo avanti.
Eric chiuse gli occhi, spinse la testa all’indietro, trasse un profondo respiro e poi scagliò con tutta la forza di cui era capace la pallina che stringeva fra i denti. Riaprì gli occhi per seguirne la traiettoria. Per un momento non riuscì a vedere dove fosse finita, ma lo capì subito, dall’espressione attonita e sbigottita di Stephen.
Sulla fronte del capitano spiccava una piccola macchia rossa.
Tutto qui? Eric continuava a tenere gli occhi fissi su Stephen, che ora aveva sollevato una mano per ripulirsi la fronte. Eric sentì svanire la speranza. Non era successo niente.
Poi, il rombo dell’esplosione fu talmente forte che, per un attimo, Eric temette che sarebbe crollato il tetto del cunicolo. Fu sbattuto con violenza contro il muro e cadde come se fosse stato trafitto da una lancia.
Quando l’ultima eco dell’esplosione fu svanita, regnò un silenzio attonito, immediatamente seguito da un coro di grida isteriche. Erano le donne che urlavano. Stephen Fortebraccio non aveva più la testa! Incredibilmente, stava ancora in piedi. Poi, all’improvviso, crollò a terra e non si mosse più.
Le donne avevano smesso di gridare e fissavano attonite e sgomente lo spaventoso spettacolo. Poi, sempre insieme e all’improvviso, reagirono. Rimettendosi a urlare come pazze si accalcarono verso l’uscita, spingendosi e trascinando con loro la sentinella e l’altro capitano, contagiati dal panico.
Eric sentì il gruppo allontanarsi di corsa. Poi tornò il silenzio. Un silenzio rotto solo dai lamenti e dal vaniloquio di Thomas.
Eric si drizzò in piedi, incapace di ricostruire l’accaduto. Walter, lo Straniero, aveva detto che quella palla rossa era un’arma, ma funzionava in modo completamente diverso dalle armi che conosceva lui o di cui aveva sentito parlare. Chissà, forse gli antenati avevano posseduto armi simili. Quello, però, era un prodotto della Scienza titanica. Cos’era? Come aveva fatto a distruggere la testa di Stephen?
Nella bisaccia ne aveva ancora un bel po’, forse gli sarebbe tornata utile. Ma per il momento aveva altro a cui pensare. Doveva approfittare dell’occasione. Non sapeva quanto sarebbe durata la confusione dovuta al panico e da un momento all’altro poteva arrivare una banda di guerrieri. Non c’era tempo da perdere. Imponendosi di vincere il disgusto, si chinò sul cadavere insanguinato, e riuscì ad afferrare la lancia che Stephen stringeva ancora in pugno. Adesso non aveva tempo per tagliare i legacci che gli stringevano i polsi, ma in seguito anche la lancia gli sarebbe servita.
«Alzati, zio Thomas» intimò poi. «Dobbiamo andarcene subito. Svelto, alzati.»
Il ferito lo fissò con occhi vacui. «…corridoi lunghissimi come non hai mai visto né immaginato» stava mormorando. «E lampade dappertutto. Corridoi e corridoi…»
Per un attimo, Eric pensò di abbandonarlo. Suo zio gli sarebbe stato solo d’impaccio e avrebbe potuto compromettere il successo della fuga. Ma lui non aveva il coraggio di andarsene abbandonandolo in quelle condizioni.
«Alzati» tornò a ripetere. «È un ordine. Guerriero Thomas. Eric l’Occhio ti ordina di alzarti e di seguirlo.»
Ancora una volta, il tono perentorio fece il miracolo. Con sforzo palese e a prezzo di dolori lancinanti, il ferito riuscì a mettersi in piedi. Ricadde però subito. Non aveva la forza di stare in piedi. Eric si affrettò a sorreggerlo, e sostenendolo come poteva riuscì a trascinarlo alla meglio fino all’imbocco del cunicolo.
Fu una fatica improba, perché avevano tutti e due le mani legale, e lui poteva sorreggere il peso morto di Thomas solo con le spalle e coi fianchi. Ma Thomas era finalmente riuscito a reggersi in piedi, per quanto vacillando.
Trascinandosi dietro la lancia, Eric uscì dal ripostiglio con il ferito. Il grande cunicolo centrale era deserto. Ovunque si notavano i segni di una fuga precipitosa. Armi, vasellame, oggetti disparati erano sparsi qua e là, dove i loro atterriti proprietari li avevano lasciati cadere. Davanti al Tumulo Reale si ergeva il Palco, ormi completato. I corpi delle due mogli di Thomas dovevano essere stati portati via in precedenza, perché non c’erano più.
Ricordandosi di avere sentito i passi dei fuggitivi perdersi lungo il cunicolo di sinistra, Eric decise di voltare a destra.
Come aveva previsto, zio Thomas costituiva un grosso problema. Ogni pochi passi si fermava ansimando e gemendo, e sprecava il poco fiato che aveva continuando a parlare della Gente di Aaron con frasi spezzate e per lo più prive di senso. Eric doveva spingerlo a spallate, per indurlo a rimettersi in cammino.
Raggiunta la rete dei corridoi esterni, Eric cominciò a sentirsi un po’ più tranquillo. Ma fu solo dopo molte svolte e giri, dopo avere percorso molte diramazioni, qundo si trovarono in una zona di cunicoli completamente disabitati da tempo, che tirò finalmente un sospiro di sollievo. Allora si fermò, e aiutandosi con la punta della lancia riuscì finalmente a segare i legacci. Quindi, slegò le mani di Thomas, poi, passandogli un braccio intorno alla vita, e tenendolo stretto a sé riuscì a farlo camminare. Naturalmente procedevano adagio, sia perché Thomas era allo stremo delle forze, sia perché era così massiccio che Eric faceva fatica a reggerlo. Tuttavia il giovane continuò a camminare, perché voleva mettere la maggiore distanza possibile ira loro e il resto dell’Umanità.
Non sapeva ancora dove andare, ma un posto valeva l’altro. Ovunque fossero andati, non sarebbero mancati certamente i pericoli mortali.
Doveva avere espresso il suo dilemma a mezza voce, perché, con sua grande sorpresa, Thomas si mise a parlare con voce fievole ma coerente.
«La porta del territorio titanico, Eric» disse. «Quella da dove sei uscito per il Furto. Andiamo là.»
«Perché?» chiese il giovane.
Non ebbe risposta. Thomas aveva reclinato la testa sul petto. Il breve momento di lucidità era passato. Eppure il vecchio guerriero continuava a camminare, come un automa.
Territorio titanico. Erano più al sicuro là che fra gli esseri umani? Chissà.
Tuttavia Eric ubbidì. Dovevano compiere un ampio arco attraverso un dedalo di corridoi per arrivarci, ma Eric conosceva la strada. In fin dei conti sono Eric l’Occhio si disse. Ma si corresse subito. No, ormai sono Eric il Fuorilegge, senza casa e senza famiglia. All’infuori del moribondo che lui trascinava dietro, tutti gli erano nemici.
Thomas il Distruggitrappole era rimasto ferito gravemente durante l’attacco di sorpresa che aveva distrutto la sua banda. In circostanze normali sarebbe stata Sarah la Guaritrice a occuparsi di lui, e grazie all’abilità e alla lunga esperienza l’avrebbe curato e guarito. Invece…
Lo sforzo sostenuto e la tensione della fuga lo avevano svuotato delle ultime forze. Aveva gli occhi vitrei e le spalle cadenti. Pareva un sonnambulo che camminasse barcollando verso la morte.
Quando si fermarono per riposare, Eric lavò con cura le ferite con l’acqua della borraccia e fasciò le più profonde con pezzi di stoffa strappati dalla bisaccia. Di più non poteva né avrebbe saputo fare. Del resto Thomas era ormai ridotto in uno stato tale che nessuno avrebbe potuto fare qualcosa per lui.
Il pensiero che fra poco si sarebbe ritrovato solo in quei cunicoli bui e deserti terrorizzava Eric. Invano cercò di fare trangugiare allo zio un po’ di cibo e acqua; il ferito non riusciva nemmeno a inghiottire. Da quando si erano fermati, il suo respiro si era fatto più leggero e più rapido, e il suo corpo scottava.
Per quanto lo riguardava, Eric mangiò invece il più possibile. Non toccava cibo da parecchio, e chissà quando avrebbe avuto tempo di mangiare ancora. Mangiando, continuò a tenere gli occhi fissi su Thomas, steso accanto a lui, e intanto cercava disperatamente di formulare un piano d’azione. Però non riuscì a escogitare niente di meglio che trascinarsi appresso il moribondo, sorreggendolo, e continuare la marcia verso il territorio dei Titanici.
Una volta messo in posizione eretta, Thomas riusciva a camminare, ma strascicava sempre di più i piedi, e dopo un po’ Eric fu costretto a fermarsi ancora perché aveva la sensazione di trascinare un morto.
Quando aiutò lo zio a stendersi, notò che il suo corpo si abbandonava, afflosciato. Thomas rimase steso a terra, gli occhi sbarrati che fissavano, senza vederlo, il soffitto a volta del corridoio, su cui la lampada che portava legata alla fronte disegnava un cerchio luminoso.
Il battito del cuore era debolissimo, appena percettibile.
«Eric» sussurrò con un filo di voce.
«Sì, zio.»
«Ascoltami… Cresci in fretta. Voglio dire… diventa adulto… sul serio. È la tua unica possibilità. Un ragazzo come te… qui nei cunicoli, o cresce in fretta o è perduto… Non…» Un violento accesso di tosse gli squassò il petto. «… Non credere ciecamente in niente e in nessuno. Impara… e diventa uomo. Ma presto, Eric… presto.»
«Mi ci proverò. Farò tutto il possibile.»
«Perdonami per averti trascinato in questa vicenda… Non ne avevo il diritto. Dopo tutto, la tua vita ti appartiene. Tu… le mie mogli… la banda. Ho condotto tutti alla morte… È colpa mia.»
Eric dovette fare uno sforzo per non piangere. «È stato per la Causa, zio Thomas» disse. «Non è colpa tua.»
Un gorgoglio sinistro uscì dalle labbra del moribondo, ed Eric pensò che fosse il rantolo della morte. Poi, con raccapriccio capì che era una risata, ma così orribile quale mai aveva sentito prima.
«La Causa?» fece Thomas. «Quale Causa? Lo sai… lo sai qual era… la Causa? Volevo diventare il capo… Io… E ci sarei riuscito solo con l’aiuto della… Scienza titanica… degli Stranieri… Ecco la mia Causa… Tutto… tutti questi morti… Volevo diventare il capo. Il capo!»
S’irrigidì dopo l’ultima parola. Ebbe un ultimo spasimo, poi tornò a rilassarsi. Era morto.
Eric rimase a lungo a fissare il cadavere. Aveva come una gran nebbia nel cervello ed era incapace di sentire e di pensare.
Finalmente riuscì a scuotersi, si chinò, afferrò il corpo per le ascelle, e camminando a ritroso lo trascinò verso il territorio dei Titanici.
C’era una cosa che doveva fare subito. Il compito che tutti gli abitatori dei cunicoli eseguivano quando qualcuno moriva. Ora, l’espletamento di questo compito riusciva almeno a distrarlo dai pensieri che lo assillavano.
Suo zio era stato un uomo eccezionalmente robusto, e trascinare il suo cadavere si rivelò una fatica immensa. Eric dovette fermarsi di tanto in tanto per riprendere fiato, ma finalmente arrivò alla porta, e fu lieto che, dopo tutto, lo zio Thomas non fosse morto più lontano da lì.
Nella parete accanto alla porta correva una conduttura di acqua potabile, segno che non molto lontano doveva esserci un tubo di scarico. Infatti i Titanici avevano l’abitudine di installare i due condotti pressoché nello stesso posto.
Eric localizzò quello dell’acqua potabile senza difficoltà, grazie al continuo, sommesso mormorio che proveniva da un punto sotto il pavimento. Dopo aver cercato un poco scoprì la lastra mobile tagliata a costo di immensa fatica da chissà quale generazione dell’Umanità. Dopo averla sollevata vide che vicino al tubo dell’acqua ne correva un altro, enorme, che aveva un giunto scoperto. Aprirlo fu più difficile che trovarlo. Eric aveva visto più d’una volta gli anziani compiere quell’operazione, ma non gli fu facile, da solo, esausto com’era, smuovere una pesante piastra di metallo prima verso destra, poi tirarla verso sinistra, infilare le dita sotto la sporgenza e sollevarla al momento opportuno.
Finalmente il giunto si aprì e una zaffata dell’incredibile puzzo delle fognature titaniche lo colpì, mentre l’acqua sporca correva turbinosa sotto di lui. Eric tolse allo zio tutti gli oggetti che potevano essergli utili, poi trascinò il cadavere verso la cavità, ve lo infilò a fatica, e lo lasciò quindi cadere nella corrente che subito lo trascinò via. Prima di richiudere il giunto, recitò quella parte del cerimoniale per i defunti che riusciva a ricordare, e terminò con l’invocazione: «O Antenati, vi supplico di accogliere il corpo di questo membro dell’Umanità, Thomas il Distruggitrappole, guerriero ineguagliabile, famoso capitano di banda, e padre di nove figli.»
Thomas era scomparso per sempre.
Eric chiuse il giunto, rimise a posto la piastra, e si drizzò in piedi.
Adesso era completamente solo. Dai suoi simili un Fuorilegge poteva aspettarsi soltanto una morte lenta per tortura. Non aveva compagni, né casa, né fede che lo sostenesse. Le ultime parole pronunciate dallo zio Thomas continuavano a riecheggiargli nel cervello: Volevo diventare il capo.
Era già abbastanza brutto scoprire che la religione nella quale era cresciuto era solo propaganda atta a conquistare il grado di condottiero, e che la misteriosa Società Femminile non era capace, come lui aveva invece creduto, di leggere nel futuro. Ma sapere che l’antagonismo di suo zio nei confronti di quelle sciocchezze si era basato unicamente sull’ambizione personale, un’ambizione priva di scrupoli, disposta a sacrificare tutto e tutti pur di essere soddisfatta… Bene, cosa poteva esserci di peggio? Cosa restava nella vita? In che cosa poteva ancora credere?
Suo padre e sua madre erano stati più ingenui del più ingenuo bambino dei cunicoli. Si erano sacrificati per che cosa? Per opporre una superstizione a un’altra, per le segrete manovre politiche di qualcuno che voleva contrastare qualcun altro.
Ma lui no. Lui era libero. Scoppiò in una risata piena di amarezza. Doveva essere libero. Non aveva scelta: era un Fuorilegge.
Eric si accorse di essere terribilmente stanco. Aveva commesso il Furto, e tornato a casa aveva avuto quell’orrenda sorpresa, era fuggito, aveva trascinato e sepolto suo zio… e non aveva mai dormito.
Si accoccolò accanto al muro e chiuse gli occhi. Ma dormì il sonno del guerriero, coi sensi all’erta e la mente parzialmente desta.
E, in quel dormiveglia, continuò a esaminare alternative, a formulare piani. Quando si rialzò, sbadigliando e stiracchiandosi, era giunto a una decisione.
Fatti pochi passi, si trovò davanti alla porta dei Titanici. Smuovere da solo, dall’interno, la pesante lastra incastrata fu un lavoro molto più faticoso di quando l’aveva spinta dall’esterno. Alla fine ci riuscì, e la depose piano piano per terra. Una volta uscito, non avrebbe potuto richiuderla, ma non aveva alternative, anche se lasciandola aperta sapeva di commettere un terribile delitto sociale. Ma ormai, che importanza poteva avere nella sua situazione?
Davanti a lui si stendeva l’enorme spazio del territorio titanico, illuminato dall’accecante luce bianca. Alle sue spalle c’era il dedalo dei corridoi oscuri, dove una volta aveva vissuto sicuro e felice. Ora non c’era più sicurezza né felicità, per lui, in nessun posto.
Con un sospiro, Eric promise a fior di labbro: «Crescerò presto, zio Thomas. Diventerò un uomo… devo farlo.»
Poi varcò la soglia ed entrò nel territorio dei Titanici.