LIBRO SECONDO. Il viaggio

1

Sebbene fossero tutti esausti per via dell’ardua prova nella torre, Rhys non ritenne saggio rimanere a lungo nelle vicinanze del castello di Chemosh. Domandò a Mina se la barchetta a vela potesse raggiungere Flotsam e lei affermò di sì, purché non si avventurassero troppo in mare aperto. Risalirono la costa verso nord, fino alla città portuale di Flotsam.

Il viaggio si svolse in tutta sicurezza, con un solo breve spavento, quando Nightshade all’improvviso si ribaltò e finì disteso sul fondo della barca, dove fu udito biascicare con voce fievole le parole “pasticcio di carne”. Fortemente preoccupata, Mina perlustrò la barca e, come era prevedibile, scoprì altri pasticci di carne nascosti in un sacco. Nightshade si rianimò meravigliosamente all’odore del cibo e, prendendo con sé un pasticcio, si ritirò sul retro della barca a mangiare, evitando così lo sguardo di riprovazione di Rhys.

Trascorsero diversi giorni a Flotsam, a riposarsi e a recuperare le forze. Rhys trovò un locandiere disposto a dare loro qualche coperta e un posto sul pavimento della sala comune dove dormire in cambio di lavoro. Mentre lui passava lo straccio sui pavimenti e lavava i boccali, Nightshade e Mina esploravano la città. Rhys inizialmente aveva proibito a Mina di allontanarsi dalla locanda, pensando che una bambina di sei anni non dovesse vagare per Flotsam, pur essendo una dea. Ma dopo una giornata trascorsa a cercare di svolgere il suo lavoro e impedire a Mina di importunare i clienti, facendo infuriare il cuoco, e a soccorrerla quando ruzzolò giù per il pozzo, Rhys decise che sarebbe stato meno pericoloso se fosse andata in esplorazione con Nightshade.

La principale preoccupazione di Rhys era che Mina accennasse degli oggetti sacri ad estranei. Nightshade aveva descritto la natura dei poteri miracolosi degli oggetti sacri, davvero portentosi. Rhys spiegò a Mina che gli oggetti sacri avevano un valore immenso e per questo la gente avrebbe voluto rubarli, arrivando perfino a uccidere per impossessarsene.

Mina lo ascoltò attentamente. Allarmata al pensiero di poter perdere i suoi doni per Goldmoon, promise solennemente e sinceramente a Rhys di mantenere il segreto al riguardo. Rhys poteva solo sperare che lei mantenesse la parola. Prese da parte Nightshade e insistette col kender sulla necessità di impedire a Mina di parlare, quindi li spedì via entrambi, con Atta a sorvegliarli, a osservare le bellezze di Flotsam, in modo che lui potesse sbrigare un po‘“di lavoro.

Un tempo Flotsam era stata una città malandrina, vanagloriosa, spensierata, turbolenta e scriteriata. Nota per essere un posto malfamato, era stata rifugio di pirati, di ladri, di mercenari, di disertori, di cacciatori di taglie nonché di giocatori d’azzardo. Poi erano arrivati i draghi dominatori, il più grosso e terribile dei quali era una enorme femmina di drago rosso di nome Malys, che pareva deliziarsi nel tormentare la città, piombando periodicamente sulle case per incendiarne una parte, uccidendone o scacciandone molti abitanti.

Malys ormai non c’era più e Flotsam si stava lentamente riprendendo, ma quella bambina selvaggia era stata costretta a diventare adulta e adesso era una città più triste, seppure più saggia.

Molte delle navi ormeggiate nel porto appartenevano alla razza dei minotauri, che dominavano i mari dalle loro isole nel nord fino alle terre sottratte a quella che era stata la nazione degli elfi di Silvanesti, a sud e oltre, poiché la nazione dei minotauri cercava di avvicinarsi agli esseri umani, sforzandosi di guadagnare la loro fiducia. Ben consapevoli del fatto che la loro sopravvivenza economica dipendesse dal commercio con le nazioni umane, i minotauri avevano ricevuto ordine dai loro comandanti di comportarsi in maniera irreprensibile mentre erano a Flotsam. La popolazione di Flotsam, dal canto suo, consapevole dei propri interessi economici, aveva fatto affiggere cartelli di benvenuto ai minotauri in quasi tutte le taverne e botteghe della città.

Di conseguenza una città un tempo nota in tutto Ansalon per le sue risse da osteria, con sedie rotte, tavoli fatti volare, boccali sfondati e ossa spezzate, adesso si limitava a pochi nasi insanguinati e qualche costola incrinata. Se davvero scoppiava una zuffa, veniva rapidamente repressa dai cittadini locali o dai minotauri di guardia. I colpevoli venivano trascinati in prigione oppure ottenevano il permesso di smaltire la sbornia dormendo sottocoperta.

Come Nightshade avrebbe presto constatato, Flotsam era candidata a diventare una cittadina modello. La criminalità era in ribasso. Non vi era più nemmeno una Corporazione dei Ladri, poiché i soci non riuscivano più a raccogliere abbastanza denaro per pagare la quota di iscrizione. Un insediamento di gnomi ubicato fuori città offriva l’unica occasione di divertimento, ma il semplice pensiero di Mina fra gli gnomi faceva rabbrividire Nightshade.

“Potrebbe perfino causare la fine della civiltà come la conosciamo noi”, disse a Rhys.

Il kender era compiaciuto però di trovare persone interessate alle sue capacità di nightstalker. Moltissime persone erano state uccise dal drago, e la capacità di Nightshade di parlare ai defunti incontrava grande richiesta. Trovò un cliente la seconda sera trascorsa a Flotsam.

Mina era ansiosa di andare con Nightshade al cimitero “a vedere i fantasmi”, come diceva lei. Nightshade, notevolmente offeso da questo termine poco dignitoso, le disse con grande severità che i suoi incontri con gli spiriti erano privati, fra lui e i suoi clienti, da non divulgare. Mina si scurì in volto e mise il broncio, ma il kender dimostrò fermezza e quella sera dopo cena uscì da solo, lasciando Mina con Rhys.

Rhys le disse di aiutarlo a spazzare. Mina diede un paio di ramazzate al pavimento della cucina, poi gettò via la scopa e si sedette a importunare Rhys su quando sarebbero partiti per Godshome.

Nightshade ritornò tardi quella sera, portando con sé una serie di abiti smessi e stivali nuovi per sé e per Rhys, i cui stivali vecchi erano laceri e consunti. Venne fuori che il cliente del kender era un ciabattino, e lui aveva accettato gli stivali in pagamento. Nightshade portò anche un osso da spolpare per Atta, che lo accettò con entusiasmo e gli dimostrò la sua gratitudine stendendosi ai suoi piedi mentre lui raccontava le sue avventure.

“Tutto è cominciato ieri notte quando facevo visita al cimitero e chiacchieravo con qualche spirito quando ho notato un bambino…”

“Un bambino vero o un fantasma?” lo interruppe Mina.

“Il termine appropriato è spirito o spettro”, la corresse Nightshade. “A loro non piace essere chiamati “fantasmi”. È piuttosto offensivo. Tu credi agli spiriti, vero?”

“Io credo agli spiriti”, disse Mina. “Solo non credo che tu sia capace di parlare con loro.”

“Ebbene, ne sono capace”, disse Nightshade.

“Dimostramelo”, disse astutamente Mina. “Portami con te domani sera.”

“Non sarebbe giusto”, ribatté Nightshade. “Essendo un professionista, io considero confidenziali le comunicazioni dei miei clienti.” Era soddisfatto di avere pronunciato diverse parole difficili tutte di seguito.

“Ce ne stai parlando in questo momento”, fece notare Mina.

“È diverso”, disse Nightshade, ma per un attimo rimase confuso sul perché. “Non sto facendo nomi!”

Mina ridacchiò e Nightshade arrossì. Rhys intervenne, dicendo a Mina di smettere di provocare Nightshade, e disse a Nightshade di proseguire il suo racconto.

“Il bambino spirito”, disse Nightshade con enfasi, “era davvero infelice. Se ne stava lì seduto sulla lapide e le assestava calci coi talloni. Io gli ho domandato da quanto tempo fosse morto e lui ha risposto cinque anni. Quando è morto aveva sei anni e adesso undici. Questo mi è parso strano, perché i morti di solito non tengono il conto del tempo. Mi ha detto che sapeva quanti anni avesse perché suo padre veniva a trovarlo ogni anno il giorno del suo compleanno. La cosa sembrava rattristarlo, così per rallegrarlo un po‘“mi sono offerto di fare un gioco con lui, ma non voleva giocare. Allora gli ho domandato perché fosse ancora qui tra i vivi quando doveva essere impegnato nel viaggio della sua anima”.

“Non mi piace questa storia”, disse Mina accigliandosi.

Nightshade stava per fare un’osservazione mordace quando incrociò lo sguardo di Rhys e ci ripensò. Proseguì il suo racconto.

“Il bambino ha detto che voleva andarsene. Vedeva un luogo meraviglioso e bellissimo e voleva andarci, ma non poteva perché non voleva lasciare suo padre. Io gli ho detto che suo padre avrebbe voluto che lui proseguisse il suo viaggio e che si sarebbero incontrati di nuovo. Il bambino ha risposto che era questo il problema. Se davvero avesse incontrato di nuovo suo padre, come avrebbe fatto quest’ultimo a riconoscerlo dopo tanto tempo?”

Mina era stata irrequieta per un po’, ma adesso era calma, seduta per terra a gambe incrociate, con i gomiti sulle ginocchia, il mento fra le mani, ad ascoltare attentamente, con lo sguardo d’ambra fisso sul kender.

“Gli ho detto che suo padre l’avrebbe riconosciuto. Il bambino non mi credeva e io gli ho detto che gliel’avrei dimostrato. Sono andato dal ciabattino e gli ho detto che io sono un nightstalker, che ho parlato con suo figlio e c’era un problema. Dapprima il ciabattino è stato piuttosto sgarbato, ed è scoppiata una piccola baruffa quando ha cercato di buttarmi fuori dalla sua bottega. Ma poi gli ho descritto suo figlio, allora si è calmato e mi ha ascoltato. Ho portato il ciabattino al cimitero, e suo figlio era lì ad aspettarlo. L’uomo mi ha detto che pensava a suo figlio ogni giorno e immaginava come sarebbe stato quando fosse cresciuto, e mi ha detto che era per questo che veniva a trovarlo a ogni compleanno. Così con la mente vedeva suo figlio crescere. Quando il bambino ha sentito questa cosa, ha capito che, per quanto cambiasse, suo padre l’avrebbe sempre riconosciuto. Il bambino ha smesso di prendere a calci la lapide e ha abbracciato suo padre e poi è partito. Il padre non vedeva il figlio né lo udiva, naturalmente, ma io penso che abbia sentito l’abbraccio, perché il padre ha detto che gli ho tolto un peso dal cuore. Si sentiva in pace per la prima volta da cinque anni. Così mi ha riportato alla sua bottega e mi ha dato gli stivali e mi ha detto che io sono un…”

Rizzandosi sulla schiena, Mina disse bruscamente: “E se il bambino non fosse morto? Se fosse vissuto e cresciuto e avesse fatto cose malvagie? Molto, ma molto malvagie. Che sarebbe successo allora?”.

“Come faccio a saperlo?” disse stizzito Nightshade. “Questo non c’entra niente con la mia storia. Dov’ero rimasto? Ah, sì. Il ciabattino mi ha dato gli stivali e mi ha detto che io sono un…”

“Te lo dico io”, disse solennemente Mina. “Il bambino non deve mai crescere. In questo modo il padre continuerà ad amarlo.”

Nightshade fissò con stupore Mina. Poi, chinandosi più vicino a Rhys, si lasciò sfuggire con un rumoroso sussurro: “È per questo che lei è una…”.

“Vai avanti con la tua storia”, disse con calma Rhys. Allungò la mano e lisciò delicatamente i capelli ramati di Mina.

Mina fece un sorriso fuggevole, ma non alzò lo sguardo. Rimase seduta a fissare il fuoco.

“Oh, comunque, il ciabattino mi ha dato gli stivali”, disse Nightshade, sottomesso. Rimase seduto sembrando a disagio e poi si rammentò. “Oh, ho anche qualcos’altro!” Andò a recuperare una grossa borsa di tela e la lasciò cadere trionfante.

Rhys aveva notato la borsa, ma era stato attento a non rivolgere alcuna domanda, non essendo davvero sicuro di voler conoscere le risposte.

“È una carta geografica!” affermò Nightshade, estraendo un grande foglio arrotolato di carta oleata. “Una carta di Ansalon.”

Distese la carta geografica sul pavimento e si preparò a metterla in mostra. Purtroppo la carta continuava a riavvolgersi, e lui dovette fissarla con due boccali da birra, una scodella da minestra e la gamba di uno sgabello.

“Nightshade”, disse Rhys, “una carta del genere costa un sacco di soldi…”.

“Davvero?” Nightshade si accigliò. “Non capisco perché. A me sembra piuttosto malandata.”

“Nightshade…”

“Oh, va bene. Se insisti, domattina la riporto indietro.”

“Stanotte”, disse Rhys.

“Il capitano dei minotauri non si accorgerà della sua mancanza fino a domattina”, lo rassicurò Nightshade. “E poi non l’ho portata via. Ho chiesto al capitano se potevo prenderla a prestito. Questo subito prima che lui perdesse i sensi. Il mio minotauro è un po’ irascibile, ma io sono abbastanza sicuro che “Ash kanazi rasckana cloppf”[1] significhi: “Sì, certo che puoi, amico mio”.

“Noi due andremo a restituire la carta stanotte”, disse Rhys.

“Bè, se insisti. Ma prima non vuoi dare un’occhiata? Indica come arrivare a…”

“…a Godshome?” gridò Mina, sobbalzando per via dell’ansia.

“Bè, no, Godshome non è sulla carta. Però c’è Neraka, che è più o meno vicino a dove potrebbe essere Godshome.”

“E cioè dove?” domandò Mina, accovacciandosi accanto alla carta geografica.

Nightshade andò un po’ in cerca, poi mise il dito su una catena montuosa sul lato occidentale del continente.

“E noi dove siamo?” domandò Mina.

Nightshade mise il dito su un puntino sul lato orientale del continente.

“Non è lontano”, disse allegramente Mina.

“Non è lontano?” sbraitò Nightshade. “Sono centinaia e centinaia di chilometri.”

“Bah! Guarda qua!” Mina mise i piedi sulla carta, quasi schiacciando le dita a Nightshade. Posando i piedi l’uno in fila all’altro, si spostò tacco, punta, tacco, punta da un lato all’altro della carta. “Ecco. Vedi? Sono circa tre passi. Non è per niente lontano.”

Nightshade la guardò a bocca aperta. “Ma è…”

“È noioso. Io vado a dormire.” Mina si diresse verso il punto in cui era riposta la sua coperta. Spiegandola, si distese ma subito dopo si rimise seduta. “Partiremo domani per Godshome”, disse loro, e poi tornò a distendersi, si rannicchiò e si mise a dormire.

“Tre passi”, ripeté Nightshade. “Si aspetterà di arrivarci entro domani sera.”

“Lo so”, disse Rhys. “Gliene parlerò.” Guardò malinconicamente la carta geografica e sospirò. “È davvero molta strada. Non mi ero reso conto di quanto fossimo arrivati lontano. E quanto lontano dobbiamo andare.”

“Potremmo prenotare un passaggio su una nave”, suggerì Nightshade. “Potremmo trovarne una che accetti kender…”

Rhys sorrise all’amico. “Potremmo. Ma tu ti rimetteresti nelle mani della Dea del Mare?”

“Non ci avevo pensato”, disse Nightshade con una smorfia. “Immagino che andremo a piedi.”

Si lasciò cadere di peso sul ventre e continuò a studiare la carta. “Non è una linea retta da qui a lì. Come ci ricorderemo la strada?”

Rotolò su se stesso per mettersi comodo sulla schiena, sostenendosi la testa con le braccia. “Il minotauro non si accorgerà della mancanza della carta fino a domattina. Se avessimo qualcosa su cui scrivere, potrei copiarla. Ecco! Potremmo ritagliare la mia vecchia camicia!”

Andò a prendere la camicia insieme con un paio di cesoie che si fece dare in prestito (legittimamente) dal locandiere, una penna d’oca e un po‘“di inchiostro. Nightshade quindi si mise allegramente a eseguire una copia della carta geografica tracciando il loro percorso.

“Tu sai qualcosa di tutti questi paesi diversi?” domandò a Rhys.

“Qualcosa ne so”, disse Rhys. “I monaci del mio ordine spesso si allontanano dal monastero per viaggiare nel mondo. Quando ritornano, raccontano storie di dove sono stati, di ciò che hanno visto. Io ho ascoltato molte storie e descrizioni delle terre di Ansalon.”

Una nota triste nella voce di Rhys indusse Nightshade ad alzare lo sguardo dalla sua opera. “Che c’è?”

“Tutti quelli del mio ordine vengono esortati a compiere un simile viaggio, ma non è obbligatorio”, rispose Rhys. “Io non avevo alcuna intenzione di allontanarmi dal mio monastero. Non pensavo di dover conoscere del mondo più di quanto vedessi dai verdi pascoli dove badavo alle pecore. Sarei rimasto nel monastero per tutta la vita, se non fosse stato per Mina.”

Guardò verso la bambina, addormentata sul pavimento. Il sonno di Mina era spesso inquieto. Gridava, gemeva e si rannicchiava per la paura, e adesso si era aggrovigliata nella coperta. Rhys le risistemò la coperta, gliela rimboccò e confortò Mina finché si fece più tranquilla. Quando la bambina cominciò a respirare in maniera più regolare, Rhys si allontanò da lei e ritornò dove Nightshade stava ancora studiando la carta geografica.

“Mi viene in mente che il superiore del mio ordine potrebbe sapere qualcosa riguardo a Godshome. Anche se non è sulla nostra strada, credo che valga la pena andare prima a farci dare istruzioni nel tempio di Majere a Solace…”

“Solace!” ripeté emozionato Nightshade. “Il luogo che preferisco in tutto il mondo! Lì c’è Gerard, che è lo sceriffo migliore del mondo. Senza contare la giornata di pollo e gnocchi alla Taverna dell’Ultima Dimora. È il martedì? Mi pare sia il martedì. Oppure il martedì è la giornata della braciola di maiale con i fagiolini?”

Il kender si rimise all’opera con rinnovato vigore. Attingendo alle proprie informazioni (ricavate da colleghi kender e pertanto non del tutto attendibili) e alla conoscenza di Rhys riguardo alle terre che avrebbero dovuto attraversare, alla fine determinò il percorso.

“Camminiamo via terra lungo la costa settentrionale del Mare di Kyrman”, spiegò Nightshade quando fu tutto finito. “Superiamo le rovine di Micah, il che vuol dire secondo la carta circa cinquanta chilometri, poi percorriamo altri cento chilometri attraverso il deserto, e arriviamo alla città di Delphon. Che cosa sai degli esseri umani del Khur? Ho sentito dire che sono molto feroci.”

“Sono un popolo fiero, guerrieri famosi, con una grande fedeltà alle loro tribù, cosa che spesso conduce a faide sanguinose. Ma sono celebri per l’ospitalità verso gli stranieri.”

“A quanto pare i kender non sono mai inclusi. Comunque, con tutte quelle faide sanguinose, devono avere un sacco di morti lì attorno. Forse avranno bisogno dei miei servigi.”

Con questa speranza Nightshade tornò alla sua carta. “C’è una strada da Delphon che conduce a ovest attraverso le colline fino alla capitale Khuri-Khan. Poi c’è un altro lungo tratto di deserto e altri centocinquanta chilometri circa dopo questo, e arriviamo nel Blöde, patria degli orchi.”

Nightshade emise un sospiro. “Agli orchi piacciono i kender… per cena. E gli orchi uccidono gli esseri umani oppure ne fanno i loro schiavi. Ma è l’unica strada.”

“Allora dovremo cavarcela come meglio potremo”, disse Rhys.

Nightshade scrollò il capo. “Se superiamo vivi il Blöde (ed è un grosso “se”) arriviamo alla Grande Palude. Ci viveva un drago dominatore di nome Sable, ma quella femmina di drago è morta e la maledizione da lei scagliata su quel territorio è morta con lei. Comunque la palude è un brutto posto, con lucertoloni, piante carnivore e serpenti velenosi. Dopo di che dovremo trovare un modo per attraversare il fiume Westguard, poi andremo un po‘“a ovest, un po‘“a sud, costeggeremo il Mare Nuovo, attraverseremo Linh e Salmonfall e finalmente raggiungeremo l’Abanasinia. Una volta lì, attraverseremo le pianure di Dergoth, quindi passeremo Pax Tharkas entrando in quello che una volta era il Qualinesti oltre il Lago della Morte. Devo ammettere che non vedo l’ora di raggiungere quella zona. Ho sentito dire che nel lago ci sono molti spiriti vaganti. Spiriti di elfi. Mi piacciono gli spiriti degli elfi. Sono sempre molto cortesi. Dopo di che attraverseremo il Fiume della Rabbia Bianca e poi ci avventureremo nella foresta buia di Darkenwood, che non è più tanto buia, a quanto ho sentito. Poi ci dirigeremo sulle pianure dell’Abanasinia, passando attraverso Gateway e finalmente andremo a nord fino a Solace. Uh!”

Nightshade si asciugò la fronte e andò a prendersi un boccale di birra ristoratrice. Rhys sedeva sulla sua sedia accanto al fuoco, contemplando la carta e immaginandosi il viaggio.

Un monaco, un kender, un cane e una dea di sei anni.

A percorrere deserti, montagne, paludi, pianure, foreste. A incontrare guerre civili, scaramucce di confine, battaglie tribali, faide sanguinose. Oltre ai consueti pericoli delle strade: ponti spazzati via dalle acque, incendi boschivi, piogge torrenziali, freddo cane, caldo torrido. E i soliti pericoli: ladri, troli, orchi, uomini-lucertola, lupi, serpenti, qualche gigante vagabondo.

“Quanto tempo pensi ci voglia per il viaggio?” domandò Nightshade, detergendosi la schiuma dalle labbra.

Una vita, pensò Rhys.

2

Partirono da Flotsam la mattina dopo, e all’inizio per diversi chilometri il viaggio andò bene. Mina era divertita e distratta dalle novità interessanti. I contadini dei distretti circostanti che trasportavano merci al mercato scambiavano con loro saluti amichevoli. Una carovana di ricchi mercanti sotto scorta occupava l’intera strada. Gli uomini d’arme erano severi e professionali, ma i mercanti salutarono Mina con la mano e, vedendo il monaco, chiesero la sua benedizione per il viaggio e gli gettarono qualche moneta. Dopo di che passarono a cavallo un nobile signore con la sua dama e il seguito; la dama si fermò ad ammirare Mina e le diede qualche dolciume, che Mina divise con Nightshade e Atta.

Incontrarono diversi gruppi di kender, che se ne stavano andando (forzatamente) da Flotsam oppure puntavano in quella direzione. I kender si fermarono a parlare con Nightshade, scambiandosi le ultime notizie e i pettegolezzi. Lui li interrogò sulla strada che li attendeva e ricevette enormi quantità di informazioni, in parte accurate.

L’incontro più interessante fu con un gruppo di gnomi la cui trebbiatrice ambulante a vapore con impastatrice e panificatrice incorporate era impazzita e giaceva in pezzi sul ciglio della strada. Questo incontro causò un notevole ritardo poiché Rhys si fermò per badare alle vittime.

Tutta questa agitazione occupò gran parte della giornata. Mina era contenta, cortese e ansiosa di incontrare altri gnomi. Si fermarono per la notte. Poiché vi era bel tempo, si accamparono all’aperto, e Mina inizialmente pensò che fosse molto divertente, ma non fu dello stesso avviso verso mezzanotte quando scoprì di essersi preparata il letto sopra un formicaio.

Di conseguenza la mattina dopo era stizzita e scontrosa, e il suo umore non migliorò. Più si allontanavano da Flotsam, meno gente incontravano lungo la strada, finché non rimase più nessuno tranne loro. Il paesaggio si componeva di tratti deserti di terreno disabitato, ravvivato da pochi alberi scarni. Mina si annoiava e prese a lamentarsi. Era stanca. Voleva fermarsi. Gli stivali le pizzicavano la punta dei piedi. Aveva una vescica sul tallone. Le facevano male le gambe. Le faceva male la schiena. Aveva fame. Aveva sete.

“Allora quando arriviamo?” domandò a Rhys, attardandosi al suo fianco e strascicando i piedi nella polvere.

“Vorrei percorrere ancora qualche chilometro prima che faccia buio”, disse Rhys. “Allora ci accamperemo.”

“No, non per accamparci!” disse Mina. “Intendo a Godshome. Sono davvero stanca di camminare. Ci arriveremo domani?”

Rhys stava cercando di pensare a come spiegarle che poteva volerci anche un anno per raggiungere Godshome, quando Atta si mise ad abbaiare acutamente. Con gli orecchi ritti, guardava attentamente lungo la strada.

“Arriva qualcuno”, disse Nightshade.

Cavallo e cavaliere erano lanciati nella loro direzione, a un’andatura rapida a giudicare dallo scalpiccio. Rhys prese per mano Mina e in tutta fretta la trascinò verso il ciglio della strada, per metterla al sicuro dagli zoccoli del cavallo. Ancora non riusciva a vedere il cavaliere, per via di una lieve pendenza della strada. Atta rimase obbediente al fianco di Rhys, ma continuò a ringhiare. Il corpo le tremava. Il labbro le si arricciava.

“Chiunque stia arrivando, ad Atta non piace”, osservò Nightshade. “Non è il suo modo di fare.”

Abituata a viaggiare, Atta tendeva a essere amichevole con gli estranei, ma si teneva a distanza e acconsentiva a essere accarezzata solo se non c’era modo di evitarlo. Li stava mettendo in guardia contro questo sconosciuto ancora prima di vederlo.

Cavallo e cavaliere superarono la china e, avvistandoli, aumentarono la velocità, galoppando lungo la strada verso di loro. Il cavaliere era avvolto in un mantello nero. I lunghi capelli gli ondeggiavano nel vento dietro le spalle.

Nightshade rimase senza fiato. “Rhys! È Chemosh! Che facciamo?”

“Non possiamo fare niente”, rispose Rhys.

Il Signore della Morte tirò le redini del cavallo quando fu vicino. Nightshade cercò freneticamente qualche posto per nascondersi. Erano però stati sorpresi in uno spazio aperto. Non c’era né un albero né un fosso in vista.

Rhys ordinò ad Atta di stare calma e la cagna perlopiù obbedì, anche se di quando in quando le sfuggiva un ringhio. Rhys trasse a sé Mina, reggendo con una mano il bastone davanti a lei e tenendo l’altra mano con fare protettivo sulla spalla della bambina. Nightshade rimase saldamente al fianco dell’amico. Rammentandosi di essere un kender con le corna, assunse un’aria oltremodo feroce.

“Chi è quell’uomo?” domandò Mina, fissando curiosa il cavaliere dal mantello nero. Girò la testa all’indietro per guardare in su verso Rhys. “Lo conosci?”

“Lo conosco”, rispose Rhys. “E tu lo conosci, Mina?”

“Io?” Mina era stupita. Scrollò il capo. “Non l’ho mai visto prima d’ora.”

Chemosh smontò da cavallo e si incamminò verso di loro. Il cavallo rimase immobile dove lui l’aveva lasciato, come fosse stato tramutato in pietra. Nightshade si spostò lentamente più vicino a Rhys.

“Kender con le corna”, disse Nightshade per farsi coraggio. “Kender con le corna.”

Atta ringhiò, e Rhys la zittì.

Chemosh ignorò la cagna e il kender. Lanciò un’occhiata priva di interesse a Rhys. L’attenzione del dio era concentrata su Mina. Chemosh aveva il viso contratto, livido di collera. I suoi occhi scuri erano freddi.

Mina fissò Chemosh da dietro la barricata formata dal bastone del monaco, e Rhys la sentì tremare. La strinse più forte con fare rassicurante.

“Non mi piace quest’uomo”, disse Mina con voce tremula. “Digli di andare via.”

Chemosh si fermò e guardò con occhio furioso la bambina dai capelli rossi che si riparava fra le braccia di Rhys.

“Adesso puoi smetterla con questo tuo giochetto, Mina”, disse Chemosh. “Mi hai fatto apparire sciocco. Hai avuto di che ridere. Adesso torna a casa con me.”

“Io non vado da nessuna parte con te”, ribatté Mina. “Non ti conosco nemmeno. E Goldmoon mi ha detto di non parlare mai con gli sconosciuti.”

“Mina, smettila con queste sciocchezze…” esordì rabbiosamente Chemosh allungando la mano per afferrarla.

Mina sferrò al Signore della Morte un calcio negli stinchi.

Nightshade inspirò, chiuse gli occhi e attese la fine del mondo. Poiché il mondo continuava a esistere, Nightshade socchiuse gli occhi e vide che Rhys aveva tratto Mina dietro di sé, facendole scudo col proprio corpo. Chemosh aveva un’aria estremamente arcigna.

“Stai dando un ottimo spettacolo, Mina, ma io non ho tempo per le recite”, affermò impaziente. “Tu verrai con me e porterai con te gli oggetti sacri che vilmente hai rubato nella Sala del Sacrilegio. Altrimenti fra poco incontrerò i tuoi amici nell’Abisso…”

Una pioggia sferzante soffocò il resto della minaccia di Chemosh. Il cielo si fece nero quanto il suo mantello. Nubi temporalesche ribollivano e fremevano. Arrivò Zeboim con una folata di vento sotto il picchiettio della grandine.

La dea si chinò e offrì la guancia a Mina.

“Dai un bacino a tua zia Ze, mia cara”, disse dolcemente.

Mina seppellì il viso nella veste di Rhys.

Zeboim alzò le spalle e spostò lo sguardo su Chemosh, che la osservava con un’espressione tetra e tonante quanto la tempesta.

“Che cosa vuoi, Sgualdrina del Mare?” domandò.

“Ero preoccupata per Mina”, rispose Zeboim, rivolgendo alla bambina un’occhiata affettuosa. “E tu che ci fai qui, Signore del Putridume?”

“Anch’io ero preoccupato…” cominciò a dire Chemosh.

Zeboim rise. “Preoccupato per come hai mandato all’aria splendidamente le cose? Avevi Mina, avevi la torre, avevi il Solio Febalas, avevi i Prediletti. E hai perso tutto. I tuoi Prediletti sono una catasta orripilante di ceneri oleose depositate sul fondo del Mare di Sangue. La torre ce l’ha mio fratello. Il Dio Supremo si è preso il Solio Febalas. Quanto a Mina, ha detto chiaramente che non vuole più avere a che fare con te”.

Chemosh non aveva bisogno di sentirsi recitare di nuovo la litania delle sue disgrazie. Volse le spalle alla dea e si inginocchiò accanto a Mina, che lo osservava con stupore guardingo.

“Mina, mia cara, per favore ascoltami. Mi dispiace di averti spaventata. Mi dispiace di averti fatto del male. Ero geloso…” Chemosh fece una pausa, poi disse: “Ritorna con me al mio castello, Mina. Mi manchi. Ti amo…”.

“Mina, tesoro mio, non andare da nessuna parte con quest’uomo orribile”, disse Zeboim, spingendo via il Signore della Morte. “Sta mentendo. Non ti ama. Non ti ha mai amata. Ti sta usando. Vieni a vivere con la zietta Ze…”

“Io sto andando a Godshome”, disse Mina prendendo per mano Rhys. “Ed è lontana da qui, per cui noi dobbiamo partire. Andiamo, signor monaco.”

“Godshome”, disse Chemosh dopo un istante di attonito silenzio. “E lontano da qui.” Girò sui tacchi e ritornò al cavallo. Montando in sella, guardò giù verso Rhys da sotto le sopracciglia scure e contratte. “Molto lontano. E la strada è zeppa di pericoli. Non ho dubbi che ti rivedrò presto, monaco.”

Premette i talloni nei fianchi del cavallo e si allontanò con ira. Zeboim lo guardò andarsene, poi si volse di nuovo verso Rhys.

“È davvero lontano, Rhys”, disse Zeboim con un sorriso giocoso. “Starete sulla strada per mesi, forse per anni. Se vivrete così a lungo. Ma adesso che ci penso…”

Zeboim si chinò rapidamente per sussurrare qualcosa all’orecchio di Mina.

Mina ascoltò, inizialmente accigliandosi, poi spalancando gli occhi. “Io ci riuscirei?”

“Certo che sì, bambina.” Zeboim le diede una pacca sulla testa. “Tu puoi fare qualsiasi cosa. Viaggiate sicuri, amici.”

Zeboim rise e allargando le braccia divenne un vento sferzante, che poi si ridusse a una brezza molesta, e la dea, sempre ridendo, si dissolse.

La strada era ormai deserta. Rhys sospirò di sollievo e abbassò il bastone.

“Perché quell’uomo dall’aria stupida voleva che andassi con lui?” domandò Mina.

“Si è sbagliato”, disse Rhys. “Pensava che tu fossi un’altra. Una che lui conosceva.”

Era appena metà pomeriggio, ma Rhys, esausto per la tensione dell’incontro con gli dei e per una giornata trascorsa a sopportare Mina, decise di accamparsi presto. Stesero le coperte accanto a un corso d’acqua che serpeggiava nell’erba alta. Un gruppetto di alberi offriva riparo.

Nightshade recuperò presto la sua vivacità e prese a tormentare Mina perché gli riferisse che cosa le aveva detto la dea. Mina scrollò il capo. Stava riflettendo profondamente su qualcosa. Aveva la fronte corrugata, le labbra increspate. Alla fine si scrollò di dosso quello che la infastidiva e, togliendosi scarpe e calze, andò a giocare nel ruscello. Consumarono un pasto frugale a base di piselli essiccati e carne affumicata, quindi si sedettero attorno al fuoco.

“Voglio vedere la carta geografica che hai disegnato”, disse Mina all’improvviso.

“Perché?” domandò sospettoso Nightshade sbattendo la mano con fare protettivo sopra la sacca.

“Voglio solo guardarla”, ribatté Mina. “Tutti continuano a dirmi che Godshome è tanto lontana. Voglio vedere per conto mio.”

“Te l’ho già mostrata”, disse Nightshade.

“Sì, ma voglio vederla di nuovo.”

“Oh, va bene. Ma vai a lavarti le mani”, ordinò Nightshade estraendo la carta dalla sacca e stendendola sopra la sua coperta. “Non voglio ditate unte qui sopra.”

Mina corse al ruscello per lavarsi le mani e il viso.

Rhys si era steso a terra in tutta la sua lunghezza, riposandosi dopo il pasto. Atta era coricata accanto a lui e gli teneva il mento sul petto. Rhys le accarezzava il pelo e osservava il firmamento. Il sole era in equilibrio precario sul margine del mondo. Il cielo era una miscela di sfumature tenui del crepuscolo, rosa e oro, porpora e arancione. Al di là del tramonto, Rhys percepiva occhi immortali intenti a osservare.

Mina tornò di corsa, a far vedere le mani pulite alla bell’e meglio. Nightshade ancorò la carta geografica con qualche sasso e poi indicò a Mina la strada che dovevano percorrere.

“Qui è dove siamo adesso”, disse.

“E dov’è Flotsam da dove siamo partiti?” domandò Mina.

Nightshade indicò a un capello di distanza.

“Tutto questo camminare e siamo arrivati appena qui!” esclamò Mina, sconvolta e sgomenta.

Si accovacciò accanto alla carta e la studiò, col labbro inferiore in fuori. “Perché dobbiamo andare in tutti questi posti, su e giù e in giro? Perché non possiamo semplicemente andare dritti da qui a qui?”

Nightshade le spiegò che arrampicarsi su montagne altissime era piuttosto difficile e pericoloso, ed era molto meglio girarci attorno. “Peccato che ci siano tante montagne”, soggiunse. “Altrimenti potremmo andare dritti a volo di drago e non ci vorrebbe molto.”

Mina fissò pensosamente il puntino che era Flotsam e il puntino che Nightshade diceva essere Solace, dove avrebbero trovato il suo grande amico Gerard e i monaci di Majere che avrebbero detto loro dove cercare Godshome.

Rhys si era lasciato avvolgere in un piacevole velo di oblio crepuscolare quando fu scosso con forza. Nightshade emise uno stridio.

Rhys balzò su tanto rapidamente che spaventò Atta, la quale guaì seccata.

“Che c’è?”

Nightshade puntò un dito tremante.

La carta geografica non era più una serie di linee e scarabocchi tracciati sul dorso di una vecchia camicia di kender. La carta era un mondo in miniatura, con montagne e specchi d’acqua veri che baluginavano sotto la luce morente, deserti veri spazzati dal vento e paludi melmose.

Così gli dei potevano vedere il mondo, disse fra sé Rhys.

Nightshade strillò di nuovo e all’improvviso il kender stava galleggiando in aria, lieve come il pappo di un cardo. Rhys si sentì farsi lieve, il suo corpo perdere peso e massa, le ossa divenire cave come quelle di un uccello, la carne simile a bolle di sapone. I piedi gli si sollevarono da terra, e lui veleggiò in alto. Atta gli si avvicinò librandosi, con le zampe che penzolavano inerti al di sotto.

“Dritti a volo di drago”, disse Mina.

Rhys rammentò l’episodio in cui avevano sfiorato l’annegamento nella torre. Rammentò i pasticci di carne e la conflagrazione infuocata che aveva consumato i Prediletti, e sapeva che doveva porre fine a tutto questo. Doveva riprendere il controllo della situazione.

“Smettila, Mina!” disse severamente Rhys. “Smettila subito! Mettimi giù immediatamente!”

Mina lo fissò, con gli occhi spalancati che cominciavano a luccicarle di lacrime.

“Subito!” disse Rhys digrignando i denti.

Si sentì farsi pesante e ricadde a terra. Nightshade venne giù come un sasso, atterrando con un tonfo. Atta, una volta giù, sgattaiolò via di fretta andando a rannicchiarsi sotto un albero, il più possibile lontano da Mina.

Mina discese molto lentamente atterrando davanti a Rhys.

“Noi andiamo a Solace a piedi”, disse lui, con la voce che gli tremava per la collera. “Mi capisci, Mina? Non ci andiamo a nuoto né in volo. Ci andiamo a piedi!”

Le lacrime le si riversarono fuori e le colarono lungo le guance. Mina si gettò a terra e prese a singhiozzare.

Rhys tremava. Era sempre stato orgoglioso della propria disciplina ed eccolo lì adesso a sgridare una bambina. All’improvviso provò una profonda vergogna.

“Non intendevo sgridarti, Mina…” esordì stancamente.

“Io volevo solo arrivarci più in fretta!” gridò Mina, sollevando il volto rigato di lacrime e imbrattato di terra. “Non mi piace camminare. È noioso e mi fanno male i piedi! E ci vorrà troppo tempo, un’infinità. Inoltre, zia Zeboim mi ha detto che posso volare”, soggiunse con un fremito e un singulto.

Nightshade assestò a Rhys una gomitata nelle costole. “È davvero molto lontano e volare potrebbe essere alquanto interessante, se è per questo…”

Rhys lo guardò. Nightshade deglutì.

“Ma hai ragione tu, naturalmente. Dobbiamo camminare. È per questo che gli dei ci hanno dato piedi e non ali. Adesso andrò a dormire…”

Rhys si inginocchiò e prese Mina fra le braccia. Lei gli cinse il collo con le braccia e gli singhiozzò sulla spalla. A poco a poco i singhiozzi diminuirono, Mina si acquietò. Rhys, abbassando lo sguardo verso di lei, vide che a forza di piangere si era addormentata. La portò alla coperta che lui le aveva steso su un soffice letto d’erba sotto un albero e la distese lì. Le stava rimboccando addosso un’altra coperta quando Mina si svegliò.

“Buonanotte, Mina”, disse Rhys allungando la mano per scostarle delicatamente i capelli dalla fronte.

Mina gli afferrò la mano e le diede un bacio pieno di rimorso.

“Mi dispiace, Rhys”, disse. Era la prima volta che lo chiamava per nome e non “signor monaco”. “Possiamo andare a piedi. Ma potremmo almeno camminare svelti?” soggiunse lamentosa. “Credo di dovere raggiungere Godshome in fretta.”

Rhys era stanco morto, altrimenti avrebbe potuto pensarci due volte prima di acconsentire dicendo che, sì, potevano “camminare svelti”.

3

Il giorno dopo erano a Solace.

“Dopo tutto”, fece notare Nightshade quando si fu ristabilito dal viaggio, “tu le hai detto effettivamente che potevamo camminare svelti”.

La mattina era cominciata bene. Mina era tranquilla e docile. Dal letto del ruscello si levavano pigramente vapori nebbiosi. Partirono presto, con Rhys che camminava il più rapidamente possibile ma evitando di distanziare Mina. L’aumento della velocità fu così graduale che, quando Rhys cominciò a vedere gli alberi e i prati scorrergli accanto rapidamente, fu indotto a pensare che gli occhi gli giocassero uno scherzo.

Ma poi il paesaggio prese a sfrecciargli accanto a una velocità incredibile. Rhys e Nightshade, Mina e Atta continuavano a camminare a quella che pareva un’andatura normale. Gli altri viandanti passavano in un lampo. Le nubi correvano nel cielo. Un momento prima c’era il sole, un momento dopo i temporali li inzuppavano e un momento dopo ancora era ritornato il sole. Attraversarono il deserto a grande velocità. La città di Delphon era una macchia di colore, la città di Khuri-Khan un’esplosione di rumore e di calore.

Gli orchi del Blöde erano lì e poi non c’erano più. La Grande Palude era umida, afosa, soffocante e maleodorante, ma non per molto. Costeggiarono il fiume Westguard e videro il sole scintillare sulle onde del Mare Nuovo e poi subito sparire, e le pianure di Dergoth erano un grande spazio vuoto. Il Lago della Morte era situato dentro un’ombra sinistra, il Fiume della Rabbia Bianca passò rombando. Entrarono e uscirono da Darkenwood, sfrecciarono sulle pianure dell’Abanasinia, oltrepassarono di corsa Gateway, ed ecco Solace, e poi tutto rallentò e si fermò.

Rhys aveva le vertigini per il movimento rapido e afferrò un palo per evitare di cadere. Nightshade per qualche istante barcollò sulle gambe malferme, poi emise un lamentoso “uff!” e crollò. Atta si lasciò cadere di peso sul fianco e rimase lì ansimante.

“Abbiamo fatto tutta la strada a piedi!” disse orgogliosa Mina. “Ho fatto come mi hai detto tu!”

I suoi occhi d’ambra erano limpidi e luccicanti. Il suo sorriso era radioso e felice. Mina riteneva davvero di aver fatto qualcosa di lodevole, e Rhys non ebbe cuore di rimproverarla. Dopo tutto, era stato loro risparmiato un viaggio lungo, difficile e pericoloso, ed erano arrivati sani e salvi a destinazione. Rhys non poteva evitare di sentirsi sollevato. Mentre Rhys arrivava a rendersene conto, Mina non pensava di aver fatto alcunché di straordinario. Per lei, percorrere un continente in una giornata era una cosa che avrebbe potuto fare chiunque, purché si fosse applicato.

Rhys aiutò Nightshade a rimettersi in piedi e assicurò ad Atta che andava tutto bene. Mina si guardava attorno impaziente. Era deliziata da Solace.

“Le case sono costruite sugli alberi! Voglio andare lassù. Che cos’è quel posto?”

Indicò un grande edificio annidato sui rami di un gigantesco albero di vallen.

“Quella è la Taverna dell’Ultima Dimora”, affermò Nightshade, annusando l’aria con entusiasmo. Si sentiva quasi tornato alla normalità. “Cavoli bolliti. Questo vuol dire che oggi deve essere la giornata del manzo sotto sale con i cavoli. Aspetta di conoscere Laura. È la proprietaria della Taverna e si occupa della cucina ed è la cuoca migliore di tutto Ansalon. E poi c’è il nostro amico Gerard, lo sceriffo. Lui è…”

“Mina”, disse Rhys, interrompendo, “ti dispiacerebbe correre a quel pozzo a prendere un po‘“d’acqua per Atta?”.

Mina fece come richiesto, correndo via emozionata verso il pozzo pubblico e portandosi dietro la cagna ansimante.

“Non penso che dovremmo dire a Gerard la verità riguardo a Mina”, disse Rhys a Nightshade quando Mina se ne fu andata. “Non vogliamo mettere troppo alla prova la sua capacità di comprensione. Temo che non ci crederebbe.”

“Che lei sia una dea diventata matta? Non sono sicuro di crederci nemmeno io”, disse solennemente Nightshade. Si mise la mano sulla fronte. “Mi gira ancora la testa per tutto quel camminare. Ma capisco quello che vuoi dire. Gerard conosceva Mina, vero? La vecchia Mina, voglio dire. Quando lei era un soldato durante la Guerra delle Anime. Ci aveva raccontato di averla incontrata, quella sera quando si è messo a parlare di quello che gli era successo durante la guerra. Ma adesso lei è una bambina. A me non pare probabile che Gerard metta in collegamento le due. E a te?”

“Non lo so”, disse Rhys. “Potrebbe riconoscerla se sente il suo nome e la vede. Il suo aspetto è straordinario.”

Nightshade osservò Mina ritornare di corsa verso di loro. Trasportava acqua in un secchio rovesciandosene gran parte sulle scarpe.

“Rhys”, disse il kender con un sussurro, “e se Mina riconosce lui? Gerard era un suo nemico. Potrebbe ucciderlo!”.

“Non penso che succeda”, disse Rhys. “Mina sembra avere cancellato quella parte della sua vita.”

“Aveva cancellato anche i Prediletti, ma poi tutto le è tornato in mente”, gli rammentò Nightshade.

Rhys fece un lieve sorriso. “Dobbiamo sperare per il meglio e confidare che gli dei siano con noi.”

“Oh, sono con noi certamente”, brontolò Nightshade. “Se c’è una cosa che non ci manca sono gli dei.”

Dopo che Atta ebbe ingerito la sua acqua, Rhys e i suoi compagni si unirono alla gente che faceva la coda in attesa di un tavolo nella famosa taverna. La coda si snodava sulla lunga scalinata ricurva che conduceva alla porta d’ingresso. Gli ultimi raggi del sole al tramonto rendevano il cielo di un rosso dorato, luccicavano sulle foglie dell’albero di vallen e brillavano sui vetri policromi delle finestre. La gente in coda era di buon umore. Contenta di avere terminato la giornata di lavoro, pregustava un pasto abbondante e una serata trascorsa in compagnia di amici.

“Goldmoon mi ha raccontato delle storie sulla Taverna dell’Ultima Dimora”, stava dicendo Mina emozionata. “Mi ha detto che lei e Riverwind furono portati qui miracolosamente dal bastone di cristallo azzurro, e che incontrarono gli Eroi delle Lance, e come il Teocrate cadde nel fuoco e si bruciò la mano e il bastone lo guarì. E poi vennero i soldati e…”

“Sto morendo di fame”, si lamentò Nightshade. “E questa coda non si è spostata di un passo. Mina, se tu potessi trasportarci in fretta lì davanti…”

“No!” disse severamente Rhys.

“Ma, Rhys…”

“Facciamo a gara!” gridò Mina.

Prima che Rhys potesse fermarla, era schizzata via.

“Vado a prenderla!” si offrì Nightshade, correndo via prima che Rhys potesse afferrarlo.

Raggiungendo la scala, Mina superò i clienti indignati. Nightshade provocò ulteriore scompiglio cercando di acchiapparla. Rhys si affrettò a inseguirli, profondendosi in scuse al suo passaggio. Prese per il collo Nightshade davanti alla porta, ma Mina era troppo veloce ed era già schizzata dentro la taverna.

Diversi clienti gentili gli dissero che poteva passare avanti. Rhys sapeva che stava perdonando un comportamento sbagliato, e sapeva anche che avrebbe dovuto sgridare bambina e kender e riportarli in fondo alla coda. Ma francamente era troppo stanco per impartire lezioni, troppo stanco per sopportare le discussioni e i piagnucolii. Sembrava più facile lasciar perdere.

Laura, la proprietaria della taverna, fu assai contenta di rivedere Rhys. Lo abbracciò, gli disse che poteva riavere il vecchio lavoro se lo desiderava, e soggiunse che lui e Nightshade potevano rimanere lì per tutto il tempo che volevano. Laura diede un altro abbraccio a Nightshade e rimase affascinata quando Rhys le presentò Mina, che Rhys descrisse vagamente come un’orfana con cui avevano fatto amicizia lungo la strada. Laura fece schioccare la lingua per la commiserazione.

“In che condizioni sei, bambina mia!” esclamò Laura, guardando costernata il viso rigato di sporcizia di Mina, i suoi capelli aggrovigliati e gli indumenti sudici e sbrindellati. “E che stracci hai addosso! Misericordia, questo abitino è tanto liso che si vede attraverso.”

Rivolse a Rhys un’occhiata di rimprovero. “Lo so che voi scapoli non sapete niente di come tirare su una bambina, ma potevi almeno fare in modo che si facesse un bagno! Vieni con me, Mina cara. Mangiamo qualcosa di buono e facciamo un bagno caldo e poi via a dormire. E vedrò di farti vestire come si deve. Ho da parte degli abiti vecchi di mia nipote Linsha. Credo che ti possano andare bene.”

“Mi spazzoli i capelli prima che io vada a dormire?” domandò Mina. “Mia mamma mi spazzolava i capelli ogni sera.”

“Tesoro”, disse Laura, sorridendo, “certamente, ti spazzolerò i capelli: e che bei capelli! Dov’è tua mamma, cara?” domandò, conducendo via Mina.

“Mi sta aspettando a Godshome”, rispose solennemente Mina.

Laura parve notevolmente sbalordita a questa affermazione, poi il volto le si intenerì. “Ah, bambina dolcissima”, disse gentile, “è uno splendido modo di ricordarla”.

Nightshade aveva già trovato un tavolo e stava discutendo con la cameriera sui piatti del giorno. Rhys si guardò attorno alla ricerca di Gerard, ma il suo solito tavolo era deserto. Nightshade beatamente si fece una scorpacciata di manzo sotto sale e cavoli. Rhys ne mangiò una piccola quantità, poi diede il resto ad Atta, che annusò sdegnosa il cavolo bollito, ma trangugiò avidamente il manzo.

Rhys insistette per pagare vitto e alloggio aiutando in cucina. Col trascorrere della serata, continuò a cercare Gerard, ma lo sceriffo non arrivò.

“Non c’è da meravigliarsene”, disse Laura quando ritornò a ispezionare la cucina e a effettuare i preparativi per la colazione dell’indomani. “Ultimamente ci sono stati tumulti nella Via dei Templi. Oh, niente di grave, intendiamoci. I chierici di Sargonnas e di Reorx si sono messi a urlare fra loro venendo quasi alle mani. Qualcuno ha scagliato uova marce contro il tempio di Gilean, e sulle pareti del tempio di Mishakal sono state scarabocchiate figure oscene e parolacce. Ci sono forti risentimenti. Lo sceriffo probabilmente è fuori a parlare con la gente, cercando di calmare le acque.”

Rhys ascoltò tutto questo con sgomento. Cercò di dirsi che la rivalità fra gli dei non poteva assolutamente avere a che fare con lui o i suoi compagni, ma sapeva che non era così. Pensò a Zeboim e a Chemosh, due divinità che cercavano di attirare Mina dalla loro parte. Qualunque schieramento avesse scelto (le tenebre o la luce), Mina avrebbe sconvolto l’equilibrio fra Bene e Male, avrebbe fatto pendere la bilancia da una parte o dall’altra.

“È una bambina bellissima”, disse Laura, chinandosi a baciarla sulla fronte quando Mina e Rhys passarono a salutarla prima di andare a riposare. “Dice delle cose strane, però. Ha una fantasia tanto vivida! Già, mi ha detto che ieri eravate a Flotsam!”

Rhys con un senso di gratitudine andò al suo letto, che Laura gli aveva preparato nella camera accanto a quella di Mina. Atta gli si stava sistemando ai piedi quando Rhys fu scosso da un urlo acuto. Accese la candela sul comodino e accorse nella camera di Mina.

Mina dava dei colpi qua e là sul letto, agitando le braccia. I suoi occhi d’ambra erano spalancati e fissi.

“…le vostre frecce, capitano!” stava urlando. “Ordinate ai vostri uomini di tirare!”

Si alzò a sedere, fissando qualche orrore che soltanto lei vedeva. “Così tanti morti. Tutti accatastati… Il Canalone di Beckart. Uccidere i nostri uomini. È l’unico modo, sciocco! Non capite?”

Emise un urlo feroce: “Per Mina!”.

Rhys la prese fra le braccia, cercando di calmarla. Mina lottò contro di lui, lo colpì coi pugni. “È l’unico modo! L’unico modo per vincere! Per Mina!”

Ricadde indietro all’improvviso, esausta. “Per Mina…” mormorò sprofondando nel cuscino.

Rhys rimase al suo fianco finché non fu certo che stesse di nuovo dormendo pacifica. Chiese la benedizione di Majere su di lei e poi tornò al suo letto.

Rimase lì disteso a lungo, cercando di rammentare quando avesse udito il nome “Canalone di Beckart” e perché gli provocasse un brivido al cuore.

“Dove vai stamattina?” domandò Nightshade a Rhys fra un boccone e l’altro di uova strapazzate e patate aromatizzate.

“Al tempio di Majere”, rispose Rhys.

“E Mina?”

“È in cucina con Laura, sta imparando a fare il pane. Tienila d’occhio. Dammi un’oretta e poi portala da me al tempio.”

“I monaci ci faranno entrare?” domandò dubbioso Nightshade.

“Tutti sono i benvenuti nel tempio di Majere. Inoltre”, disse Rhys allungando la mano per picchiettare leggermente la cavalletta d’oro che il kender portava infilata sulla camicia, “il dio ti ha dato il suo talismano. Sarai un ospite riverito”.

“Davvero?” Nightshade era imbarazzato. “E davvero bello da parte di Majere. Ti raccomando di ringraziarlo a nome mio. Che dirai al tuo abate riguardo a Mina?” domandò curioso.

“La verità”, rispose Rhys.

Nightshade scrollò il capo malinconicamente. “Buona fortuna in proposito. Spero che i monaci di Majere non siano troppo arrabbiati con te perché per un po‘“sei stato monaco di Zeboim.”

Rhys avrebbe potuto dirgli che i monaci, per quanto tristi e delusi a causa delle sue manchevolezze, non si sarebbero mai arrabbiati. Si rese conto che questo concetto poteva essere difficile da capire per il suo amico e non aveva il tempo di spiegarglielo. Aveva fretta di andare al tempio, a implorare perdono per i suoi peccati e a chiedere aiuto a chi era più saggio di lui. Non vedeva l’ora di potere riposare e trovare pace in quel silenzio benedetto e adatto alla contemplazione.

Rhys non aveva però dimenticato Gerard, e mentre percorreva la strada principale della città, fresca sotto le ombre variegate delle foglie di vallen, si fermò a parlare con una delle guardie cittadine.

Rhys domandò dove potesse trovare lo sceriffo e gli fu detto che Gerard molto probabilmente era nella Via dei Templi.

“Lì è scoppiato qualche tafferuglio stamattina, almeno così ho sentito dire”, soggiunse la guardia.

Rhys ringraziò la guardia per l’informazione e proseguì. Svoltando un angolo, vide torme di persone (molte delle quali coperte di lividi e insanguinate) che venivano scortate fuori dalla Via dei Templi dalle guardie cittadine, le quali incalzavano e spintonavano chi restava indietro e urlavano ai curiosi di “circolare”. Rhys attese finché la folla si disperse, poi avanzò verso l’inizio della Via dei Templi. Diverse guardie lo osservarono sospettose ma, notando la sua veste arancione, gli permisero di passare.

Trovò Gerard che dislocava le guardie, impartendo ordini. Rhys attese con calma che Gerard finisse e facesse per andarsene, prima di rivolgersi a lui.

“Sceriffo…” esordì Rhys.

“Non adesso!” sbottò bruscamente Gerard continuando a camminare.

“Gerard”, disse Rhys. Questa volta Gerard riconobbe la sua voce e, fermandosi, si girò verso di lui.

Lo sceriffo era rosso in viso; i capelli color del grano gli stavano tutti ritti, poiché aveva l’abitudine di passarsi le mani in testa quando era sotto pressione. Stringeva gli intensi occhi azzurri, con espressione arcigna. Tale espressione non mutò quando vide Rhys. Anzi si intensificò.

“Voi”, ringhiò Gerard. “Mi pareva.”

“Anche per me è bello rivedervi, amico mio”, disse Rhys.

Gerard aprì la bocca, poi la richiuse. Il viso gli si fece ancora più rosso. Parve vergognarsi e allungò la mano per afferrare quella di Rhys impartendogli una stretta piena di rimorso.

“Perdonatemi. Davvero è bello rivedervi, fratello.” Gerard rivolse a Rhys un sorriso mesto. “Però ogni volta che ci sono dei guai in relazione con gli dei sembra che spuntiate fuori sempre anche voi.”

Rhys cercò di pensare a come rispondere, ma Gerard non attese replica.

“Avete già fatto colazione?” Lo sceriffo aveva la voce e l’aria stanche. “Io sto andando alla taverna. Potete venire con me.” Si guardò attorno. “Dov’è il vostro amico Nightshade? E Atta? Non è successo niente a loro, vero?”

“Stanno bene tutti e due. Sono alla taverna. Io vengo proprio da lì. Stavo andando al tempio di Majere a rendere omaggio, ma ho visto il trambusto e vi ho trovato qui. Dite che ci sono stati dei guai. Che è successo?”

“Solo una piccola sommossa”, disse asciutto Gerard. “È un po‘“di tempo ormai che c’è discordia nell’aria. I chierici e i sacerdoti di tutti gli dei hanno cominciato a ringhiare e a mordersi reciprocamente come cani attorno a un osso. Stamattina un chierico di Chemosh si è messo ad azzuffarsi con un sacerdote di Zeboim. Sono accorsi in aiuto sostenitori di entrambe le parti, e in breve ne è venuta fuori una battaglia campale. A peggiorare le cose, tre paladini di Kiri-Jolith sono intervenuti per cercare di sedare la rissa. Alla vista dei paladini, i sacerdoti di Zeboim e Chemosh hanno smesso di lottare fra loro e si sono scagliati contro i paladini. Così sono arrivati in loro aiuto i chierici di Mishakal. E poiché agli adoratori di Reorx niente piace più di una bella zuffa, ci si sono buttati, picchiando chiunque beccassero. Alla fine la cosa si è fatta noiosa, a quanto pare, e qualcuno ha suggerito che fosse tutta colpa di Gilean e che bisognava allora incendiargli il tempio. Puntavano in quella direzione con le fiaccole ardenti quando sono arrivato io con le mie guardie. Abbiamo spaccato qualche testa e arrestato gli altri, e così è finito l’alterco. Farò sì che i santi padri si rinfreschino le idee in prigione, poi li libererò con una multa per disturbo della quiete pubblica e distruzione di proprietà.”

“Come è cominciata la zuffa?” domandò Rhys. “Sapete che cosa riguardasse la lite?”

“I chierici di Chemosh si sono rifiutati di dirlo. Bastardi orripilanti. Credo che sia stato un errore consentire loro di costruire qui un tempio, ma Palin Majere ha insistito nel dire che non sta a noi decretare quali dei la popolazione voglia adorare. Ha detto che fintanto che i chierici di Chemosh e i loro seguaci non violano la legge possono avere il loro tempio. Finora si sono comportati bene. I chierici di Chemosh non hanno resuscitato i morti né saccheggiato i cimiteri… perlomeno che io sappia. Quanto a Zeboim, i suoi sacerdoti erano invece ansiosi di parlare. Stanno dicendo a tutti che Chemosh cerca di insediarsi come signore degli Dei del Male. Quello che mi lascia perplesso è che tutti i chierici, perfino quelli di Kiri-Jolith, covano risentimento nei confronti di Gilean. Non ho idea del perché. I suoi Esteti non sollevano mai il naso dai loro libri.”

Gerard scrutò Rhys. “Per mesi questi sacerdoti e chierici si sono occupati abbastanza pacificamente dei loro affari e poi nel giro di una quindicina di giorni ecco che si prendono per il collo. E adesso vi fate vivo voi. Voi conoscete personalmente Zeboim. In cielo c’è qualcosa che non va. Che cos’è, un’altra Guerra delle Anime?”

Rhys rimase in silenzio.

“Ah-ah, lo sapevo.” Gerard sospirò e si passò la mano fra i capelli. “Ditemi che cosa sta succedendo.”

“Vorrei farlo, amico mio, e lo farei volentieri, ma è una cosa assai complicata…”

“Più complicata di quando la dea vi ha trascinato a combattere contro un cavaliere della morte?” domandò Gerard, tra il serio e il faceto.

“Temo di sì”, disse Rhys. “In effetti sto andando a discutere della situazione con l’abate del mio ordine per chiedere consigli e suggerimenti. Se volete accompagnarmi…”

Gerard scrollò il capo vigorosamente. “No, grazie, fratello. Per oggi ne ho abbastanza di sacerdoti. Voi andate a pregare, io vado a mangiare. Atta starà tenendo d’occhio quel vostro kender? Non voglio che scoppi una sommossa alla taverna.”

“Atta è con lui, e io ho detto a Nightshade di raggiungermi al tempio.” Rhys rivolse un’occhiata incerta alle guardie che pattugliavano il quartiere dei templi. “I vostri uomini lo lasceranno passare?”

“Le guardie sono qui per tenere d’occhio la situazione, non per proibire a qualcuno di andare ai templi. Però se questa violenza torna a scoppiare…” Gerard scrollò il capo. “Vediamoci a casa mia stasera, allora, fratello. Io preparo il mio famoso stufato di pollo, e voi potete raccontarmi che cosa dice il vostro abate.”

“Molto volentieri”, disse Rhys. “Grazie. Un’altra cosa”, soggiunse, mentre Gerard stava per allontanarsi. “Che cosa sapete del nome “Canalone di Beckart?”

Il volto di Gerard si incupì. “Non rammentate le vostre lezioni di storia, fratello?”

“Non molto bene, temo”, rispose Rhys.

“Il Canalone di Beckart fu una giornata buia negli annali di Krynn”, disse Gerard. “Le truppe dei Cavalieri delle Tenebre di Neraka stavano per soccombere nell’assedio di Sanction. Erano in piena ritirata, diretti verso uno stretto valico di montagna chiamato Canalone di Beckart. Il comandante dei Cavalieri delle Tenebre diede ordine agli arcieri di tirare sui loro stessi uomini. I soldati obbedirono al comando, scagliando centinaia di frecce a brevissima distanza contro i loro compagni. I corpi dei caduti si ammassarono come cataste di legna, così dicono, bloccando il valico. I Cavalieri di Solamnia furono costretti a ritirarsi e quello fu per noi l’inizio della fine.”

“Chi era il comandante dei Cavalieri delle Tenebre?” domandò Rhys, anche se conosceva la risposta.

“Quella diavolessa, Mina”, replicò arcigno Gerard. “Ci vediamo stasera, fratello.”

Gerard andò per la sua strada, tornando indietro verso la Taverna dell’Ultima Dimora.

Rhys lo guardò allontanarsi. Si domandò se lo sceriffo si sarebbe imbattuto in Mina e, in tal caso, se l’avrebbe riconosciuta e che cosa sarebbe successo in questa eventualità.

Sono stato uno sciocco a menzionare il Canalone di Beckart, si rimproverò Rhys. Adesso starà pensando a Mina. Forse dovrei tornare indietro…

Rhys osservò il giardino verde e ombreggiato da alberi del tempio di Majere e si sentì fortemente spinto ad andare lì, come se la mano di Majere lo avesse preso per la manica e lo stesse tirando in quella direzione. Ciò nonostante Rhys era indeciso. Temeva che a guidarlo fosse il proprio cuore, non la mano del dio.

Rhys bramava la solitudine pacifica, la serenità tranquilla. Alla fine si arrese, o al comando del dio o ai desideri della propria anima. Aveva bisogno dei consigli dell’abate. Se Gerard avesse davvero riconosciuto Mina e fosse venuto da Rhys, esigendo di sapere che cosa in nome del cielo stesse succedendo, Rhys confidava nel fatto che l’abate fosse capace di spiegarglielo.

Il tempio di Majere era una struttura semplice fatta di blocchi di granito rosso-arancione lucidato. Diversamente dal grandioso tempio di Kiri-Jolith, non vi erano colonne di marmo né decorazioni ricercate. La porta del tempio di Majere era di quercia e non aveva serratura, contrariamente al tempio di Hiddukel, il quale, essendo patrono dei ladri, aveva sempre timore che qualcuno gli rubasse qualcosa. Non vi erano vetrate policrome, come invece ve n’erano nel bellissimo tempio di Mishakal. Le finestre del tempio di Majere non avevano nemmeno il vetro. Il tempio era esposto all’aria, al sole, al canto melodioso degli uccelli, al vento, alla pioggia e al freddo.

Quando Rhys mise piede sul sentiero assai battuto che attraversava i giardini del tempio, dove i sacerdoti coltivavano i propri ortaggi, fino alla semplice porta di legno, la forza che l’aveva fatto andare avanti per tanto tempo gli venne meno all’improvviso. Gli sgorgarono lacrime dagli occhi, mentre amore e gratitudine gli si riversavano fuori dal cuore verso il dio che non aveva mai perduto la fede in lui, nemmeno quando lui aveva perduto la fede nel suo dio.

Quando Rhys entrò nel tempio, le ombre fresche lo inondarono, acquietandolo e benedicendolo. Domandò a un sacerdote se potesse chiedere udienza all’abate. Il sacerdote andò a trasmettere la richiesta all’abate, il quale immediatamente abbandonò la sua meditazione e venne a invitare Rhys nel suo studio.

“Benvenuto, fratello”, disse l’abate, stringendogli la mano. “Mi dicono che vuoi parlarmi. Come posso aiutarti?”

Rhys lo guardò fisso, ammutolito per lo stupore. L’abate era un uomo anziano, come erano di solito gli abati, poiché con l’età viene la saggezza. Era muscoloso e forte, poiché tutti i sacerdoti e i monaci di Majere (perfino gli abati) sono obbligati a praticare quotidianamente le arti marziali denominate “disciplina misericordiosa”. Rhys non era mai stato in questo tempio o in qualunque altro tempio di Majere a parte il suo, non aveva mai incontrato quest’uomo, eppure gli sembrava di conoscerlo, l’aveva già visto da qualche parte. Rhys abbassò lo sguardo sulla mano dell’abate, che stringeva la sua, e notò una cicatrice bianca e frastagliata che gli deturpava la pelle bruna, sciupata dalle intemperie.

Rhys ebbe un improvviso ricordo vivido di una strada cittadina, di sacerdoti di Majere che lo accostavano, di Atta che li attaccava con i denti aguzzi e di un sacerdote che ritraeva una mano sanguinante…

L’abate rimase lì in silenzio, paziente, in attesa che Rhys parlasse.

“Perdonatemi, eccellenza!” disse Rhys, colto da un senso di colpa.

“Ti perdono, certo, fratello”, disse l’abate, e poi soggiunse con un sorriso: “Ma mi piacerebbe sapere per che cosa”.

“Io vi ho aggredito”, disse Rhys, domandandosi come l’abate avesse potuto dimenticare. “È stato nella città di New Port. Ero diventato un seguace della dea Zeboim. Voi e i sei fratelli che erano con voi avete cercato di farmi ragionare, di riportarmi al tempio e al culto di Majere. Io… non potevo. Una giovane donna era in estremo pericolo e io mi ero impegnato a proteggerla e…”

La voce di Rhys si fece esitante.

L’abate stava scrollando lievemente il capo. “Fratello, io ho viaggiato in molte parti di Ansalon, ma non sono mai stato a New Port.”

“Invece sì, eccellenza”, insistette Rhys, puntando il dito. “Quella cicatrice sulla mano. Il mio cane vi ha morso.”

L’abate abbassò lo sguardo sulla mano. Parve sbigottito per un attimo, poi il volto gli si rischiarò. Guardò intensamente Rhys. “Tu sei Rhys Mason.”

“Sì, eccellenza”, disse Rhys, sollevato. “Rammentate, allora…”

“Al contrario”, disse dolcemente l’abate, “da tempo mi domandavo come mi fossi procurato questa cicatrice. Mi sono svegliato una mattina e me la sono trovata sulla mano. Ero perplesso, perché non mi ricordavo di essermi ferito”.

“Ma voi mi conoscete, eccellenza”, disse Rhys, meravigliato. “Conoscete il mio nome.”

“Sì, fratello”, disse l’abate, allungando la mano sfregiata per stringere la spalla di Rhys. “E questa volta, fratello Rhys, se ti invito a pregare Majere e a ricercare il suo consiglio e il suo perdono, non aizzerai il tuo cane contro di me, vero?”

Per tutta risposta, Rhys cadde in ginocchio e aprì il cuore al proprio dio.

4

La sommossa nella Via dei Templi quella mattina era stata una messinscena. La zuffa era stata attentamente pianificata dai chierici di Chemosh per ordine dell’Accolito delle Ossa Ausric Krell, allo scopo di mettere alla prova la reazione dello sceriffo e delle guardie cittadine. Quanti uomini sarebbero stati inviati sul posto, come sarebbero stati armati, dove sarebbero stati dislocati? Krell aveva appreso molte cose e ora si preparava a fare buon uso delle sue informazioni al servizio del suo padrone.

Chemosh era rimasto notevolmente sconcertato nello scoprire che Mina aveva trasformato il proprio aspetto in quello di una bambina. Certo, Krell gli aveva detto che adesso era una bambina, ma d’altronde Krell era un idiota. Chemosh continuava a credere che Mina stesse recitando una parte, comportandosi come una servetta respinta che sferzasse un amante infedele. Se Chemosh fosse riuscito a portarla via in qualche luogo appartato, un luogo in cui Mina non fosse assillata da monaci o da altri dei, era sicuro che l’avrebbe convinta a tornare da lui. Avrebbe ammesso davanti a lei di avere avuto torto: non facevano così gli uomini mortali? Vi sarebbe stata un’atmosfera a lume di candela, con tanto di fiori, gioielli e musica dolce, e Mina si sarebbe sciolta fra le sue braccia. Mina sarebbe stata la sua consorte, e lui sarebbe stato il signore del pantheon delle tenebre.

Quanto a quella sciocchezza secondo cui Mina voleva andare a Godshome, Chemosh non credeva a una parola di tutto questo. Era un complotto di Majere. Doveva averle messo in testa questa idea quel maledetto monaco. Pertanto il monaco doveva essere tolto di mezzo.

Chemosh non si faceva illusioni. Gilean avrebbe trovato parecchio da ridire sul fatto che il Signore della Morte rapisse Mina. Il Dio del Libro aveva minacciato ritorsioni contro qualsiasi dio che si fosse immischiato negli affari di Mina, ma Chemosh non era eccessivamente preoccupato. Gilean poteva esternare tutti i rimproveri e le minacce che voleva; non sarebbe stato capace di punire Chemosh. A Gilean mancava il sostegno degli altri dei, molti dei quali erano impegnati a loro volta in progetti e intrighi per attirare Mina dalla loro parte.

Il più pericoloso di tali dei era Sargonnas. Aveva in cantiere qualche complotto efferato: di questo Chemosh era sicuro. Le sue spie gli avevano riferito che un reparto di élite di soldati minotauri era stato inviato in una località sconosciuta per qualche sorta di missione segreta. Chemosh si sarebbe potuto disinteressare della cosa: il Dio della Vendetta era sempre impegnato in intrighi e complotti. Ma questo reparto era comandato da un minotauro di nome Galdar, ex compatriota e amico intimo di Mina. Coincidenza? Chemosh non ci credeva. Doveva agire, e in fretta anche.

Chemosh aveva ordinato a Krell e ai suoi Guerrieri delle Ossa di avvicinare il monaco lungo il cammino. Chemosh non era tanto consumato dal desiderio di Mina da avere dimenticato gli oggetti sacri che il monaco portava con sé. Aveva ordinato a Krell di perquisire il corpo del monaco e di portargli qualunque cosa trovasse. Krell aveva predisposto un’imboscata lungo la strada, ma prima che potesse aggredire il gruppetto Mina aveva mandato all’aria i piani di Chemosh sfrecciando verso Solace alla velocità di una cometa.

Se lei poteva compiere un simile miracolo, poteva farlo anche Chemosh. Ausric Krell e tre Guerrieri delle Ossa arrivarono a Solace appena qualche istante dopo Mina. Gli ordini di Chemosh riguardo al monaco e a Mina erano gli stessi: uccidere l’uno e rapire l’altra. Mentre Rhys, Nightshade e Mina dormivano, Krell aveva trascorso la notte nel tempio di Chemosh a consulto con i sacerdoti, predisponendo un piano d’attacco. La sommossa di quella mattina era la prima fase.

Il tempio di Chemosh a Solace era il primo tempio in onore del Signore della Morte a essere stato costruito sotto gli occhi di tutti. Prima d’allora i sacerdoti di Chemosh avevano tenuto nascosti al pubblico i loro atti tenebrosi, e i più continuavano a fare così, preferendo celebrare i misteri dei loro riti e rituali di morte in luoghi bui e segreti. Ora che la signoria sul pantheon delle tenebre era alla sua portata, Chemosh si rendeva conto che un dio intenzionato a diventare signore degli dei non poteva avere seguaci che si spostavano di soppiatto qua e là per saccheggiare tombe e saltellare sopra gli scheletri. I mortali temevano già il Signore della Morte. Ciò che Chemosh ora voleva era il loro rispetto, forse perfino un po‘“di affetto.

Sargonnas ci era riuscito. Il minotauro Dio della Vendetta era stato umiliato e oltraggiato per secoli e secoli. La sua consorte, Takhisis, lo scherniva. Aveva usato lui e i suoi guerrieri minotauri per combattere le proprie battaglie, poi li aveva abbandonati quando non aveva avuto più bisogno di loro. Quando Takhisis aveva trafugato il mondo, aveva piantato in asso Sargonnas, al pari delle restanti divinità.

Tutto questo era cambiato. Con la scomparsa di Takhisis, Sargonnas aveva acquisito potere per sé e per la sua gente. I suoi minotauri avevano saccheggiato l’antica patria degli elfi di Silvanesti, avevano scacciato gli elfi e si erano impadroniti di quella terra rigogliosa. L’impero dei minotauri adesso era una forza di cui tenere conto. Le navi dei minotauri dominavano i mari. Si diceva che i Cavalieri di Solamnia stessero negoziando trattati con l’imperatore dei minotauri. Sargonnas aveva edificato per sé a Solace un tempio grandioso (seppure troppo appariscente), costruendo il tempio con pietre fatte arrivare con grande dispendio dalle isole dei minotauri. I suoi sacerdoti minotauri percorrevano le strade di Solace e di ogni altra città importante di Ansalon. La vendetta era diventata di moda in certi ambienti. Chemosh guardava con invidia gelosa l’ascesa del dio dalle corna.

Finora l’equilibrio non era stato turbato. Kiri-Jolith, il Dio della Guerra Giusta, si dimostrava un eccellente contrappeso rispetto a Sargonnas. I guerrieri minotauri, che tenevano in gran conto l’onore, pregavano Kiri-Jolith oltre che Sargonnas, e in questo non vedevano alcun conflitto. I sacerdoti di Mishakal, operando con i mistici della Cittadella della Luce, diffondevano la credenza secondo cui amore e compassione, i valori del cuore, potevano contribuire ad alleviare i problemi del mondo. Gli Esteti di Gilean sostenevano e promuovevano l’istruzione, affermando che ignoranza e superstizione fossero strumenti del male.

Per non essere da meno dei suoi colleghi dei, Chemosh aveva ordinato di edificare un tempio a Solace, costruendolo in marmo nero. Il tempio era piccolo, specialmente in confronto a quello di Sargonnas, ma era molto più elegante. Certo, non molte persone osavano avventurarsi all’interno e quelle che lo facevano se ne andavano rapidamente. L’interno del tempio era cupo, buio e odorava fortemente di incenso, che non riusciva a mascherare del tutto l’odore nauseabondo della putrefazione. I sacerdoti erano un gruppo strano, più a proprio agio fra i morti che fra i vivi. Comunque il tempio di Chemosh a Solace era un inizio e, poiché tutti gli uomini prima o poi devono presentarsi davanti al Signore della Morte, molti ritenevano saggio rendergli almeno una visita di cortesia e lasciare una piccola offerta.

Per via di questa nuova immagine, Chemosh non poteva consentire a Krell e ai suoi Guerrieri delle Ossa di essere visti percorrere le strade di Solace e rapire bambine. Un’altra sommossa, più vasta della prima, sarebbe servita da diversivo e avrebbe fatto da copertura per l’attacco di Krell. Krell doveva agire rapidamente, poiché né lui né Chemosh sapevano quando Mina avrebbe deciso di partire. Una loro spia riferì che Mina era alloggiata alla taverna assieme al monaco. La spia aveva udito Rhys e Nightshade parlare e confermò che Rhys aveva in programma una visita al tempio di Majere, e che il kender e la bambina l’avrebbero raggiunto lì.

Krell stava pensando di dover organizzare un attacco alla taverna (nel qual caso un’altra sommossa nella Via dei Templi avrebbe attirato lì Gerard e le sue truppe) e si compiacque nell’udire queste notizie. Avrebbe potuto rapire Mina e uccidere Rhys Mason contemporaneamente. Krell non aveva timore dei sacerdoti amanti della pace di Majere, i quali facevano l’impossibile per evitare una zuffa, al punto di rifiutarsi di portare armi.

Krell era soddisfatto dei suoi nuovi Guerrieri delle Ossa. Non li aveva ancora visti in azione, ma parevano nemici temibili. Tutti e tre erano morti, il che conferiva loro un netto vantaggio sui vivi. Erano stati selezionati da Chemosh, che li aveva scelti fra le anime che gli si presentavano davanti, e tutti erano combattenti addestrati. Uno era un guerriero elfo che era morto in battaglia contro i minotauri e il cui odio implacabile per quella razza gli teneva legata l’anima a questo mondo. Un altro era un assassino umano di Sanction la cui anima era imbevuta di sangue, mentre il terzo era un capotribù hobgoblin che era stato ucciso dalla sua stessa tribù e che adesso era assetato di vendetta.

Chemosh aveva animato i corpi dei tre, preservandone la carne e le ossa, poi rivoltandoli, in modo che lo scheletro, come una spettrale parvenza di armatura, proteggesse la carne in putrefazione. Protuberanze e aguzzi spuntoni ossei che fuoriuscivano dallo scheletro potevano essere usati come armi.

Avendo imparato la lezione con i Prediletti, Chemosh si accertò che i Guerrieri delle Ossa fossero legati a lui e obbedissero ai suoi comandi, o ai comandi di Krell, o di chiunque fosse stato scelto come loro comandante. Chemosh voleva che i suoi Guerrieri delle Ossa fossero temibili, ma non li voleva indistruttibili. Potevano essere uccisi, ma a questo scopo sarebbero stati necessari poteri magici o armi benedette.

I Guerrieri delle Ossa avevano un difetto a cui Chemosh non era stato capace di porre rimedio. Nutrivano un tale odio per i vivi che se il loro comandante avesse perso il controllo su di loro i guerrieri sarebbero diventati delle furie scatenate, sfogando la loro collera su ogni essere vivente che fosse caduto nelle loro grinfie, amico o nemico. I chierici di Chemosh si sarebbero potuti trovare a combattere contro questa empia creazione del loro dio. Un prezzo modesto da pagare, tuttavia.

“Il monaco, Rhys Mason, è entrato nel tempio di Majere”, riferì Krell al suo gruppo.

Lui e i suoi Guerrieri delle Ossa avevano trovato rifugio sicuro in una sala sotterranea segreta ubicata sotto il tempio. Qui i chierici di Chemosh celebravano i riti meno edificanti, quelli a cui era previsto partecipassero soltanto i seguaci più fedeli e devoti. La sala era buia, a parte la luce di un’unica candela rosso sangue collocata sull’altare. Al momento non vi erano cadaveri trafugati, anche se in un angolo erano accatastati un sudario smesso e un lenzuolo funebre.

Era presente la sacerdotessa di Chemosh, con grande irritazione di Krell. Lui era convinto che Chemosh l’avesse piazzata lì per spiarlo, e aveva ragione. Chemosh di questi tempi non si fidava di nessuno. Krell aveva cercato più volte di sbarazzarsi della donna, ma lei insisteva a rimanere e per giunta si sentiva libera di esprimere le sue opinioni.

“Adesso non ci resta che aspettare l’arrivo di Mina”, proseguì Krell. “Quando io do l’ordine, attacchiamo il tempio di Sargonnas, ma faremo sembrare che siano stati i suoi sacerdoti ad attaccare noi.”

Krell puntò il dito verso i tre Guerrieri delle Ossa. “Il vostro compito sarà di tenere occupati gli uomini dello sceriffo, e chiunque altro cerchi di intervenire, per esempio gli schifosi paladini di Kiri-Jolith. Io rapisco Mina e uccido il monaco.”

I Guerrieri delle Ossa alzarono le spalle dall’armatura ossea. A loro non interessava contro chi o che cosa dovessero combattere. Tutto ciò che cercavano era una possibilità di sfogare sui vivi la loro furia immortale.

Avendo detto tutto quanto fosse necessario, Krell stava per alzarsi quando parlò la sacerdotessa.

“Stai commettendo un errore nel consentire a Mina di entrare nel tempio di Majere. Dovresti catturarla prima che metta piede nel giardino. Altrimenti i sacerdoti di Majere la difenderanno.”

Krell mostrò i denti. “E da quando in qua dovrei temere una masnada di monaci? Che cosa mi faranno? Mi prenderanno a calci coi loro piedi nudi? Forse mi colpiranno con un bastone?” Ridacchiò e si picchiò la pesante armatura ossea che gli ricopriva il corpo.

“Non sottovalutare Majere, Krell”, lo avvertì la sacerdotessa. “I suoi sacerdoti sono più potenti di quanto pensi.”

Krell sbuffò.

“Almeno portami con te”, lo sollecitò la sacerdotessa. “Posso affrontare il monaco mentre tu rapisci la bambina…”

“Vado da solo!” affermò stizzito Krell. “Questi sono i miei ordini. Inoltre, la mia battaglia contro il monaco è personale.”

Rhys Mason aveva causato a Krell un’infinità di guai, a partire dal giorno in cui Zeboim aveva lasciato il monaco sul Bastione della Tempesta. Il monaco gli aveva fatto fare brutta figura davanti al suo padrone, e Krell da tempo sognava il momento in cui lo avrebbe avuto alla propria mercé. Comunque, Krell sarebbe stato altrettanto contento di uccidere Rhys nel bel mezzo di una piazza di mercato affollata quanto un tempio, ma c’era un’altra considerazione.

Chemosh aveva impartito a Krell istruzioni specifiche di perquisire il corpo del monaco e portargli qualunque oggetto avesse addosso. Krell aveva domandato a bruciapelo che cosa stesse cercando Chemosh. Il dio era stato evasivo. Krell dedusse che il monaco portasse con sé qualcosa di prezioso. Krell cercò di immaginare di che cosa potesse trattarsi (un tesoro prezioso per un dio) e alla fine stabilì che dovessero essere gioielli. Chemosh probabilmente voleva regalarli a Mina.

“E perché dovrebbe riceverli lei e non io?” si domandò Krell. “Io eseguo tutti i lavori sporchi del mio padrone, e in cambio ottengo ben poca gratitudine. Nient’altro che insulti. Non vuole nemmeno trasformarmi di nuovo in cavaliere della morte. Se devo essere un uomo vivo, voglio essere un uomo vivo e ricco. Terrò per me i gioielli.”

Essendo questa la sua decisione, Krell non poteva consentire a nessuno (per esempio a questa sacerdotessa somma e potente) di essere testimone della morte del monaco. Un bel luogo tranquillo come un tempio era la scena perfetta per l’assassinio. Krell aveva già pianificato che cosa avrebbe fatto col denaro. Sarebbe ritornato al Bastione della Tempesta. Anche se Krell non avrebbe mai pensato di dire una cosa del genere, era giunto ad avere nostalgia del luogo in cui aveva trascorso tanti anni felici da morto vivente. Avrebbe riportato all’antica gloria il Bastione della Tempesta, avrebbe assunto dei delinquenti come guardiani e avrebbe trascorso i suoi giorni a terrorizzare la costa settentrionale di Ansalon.

“Krell? Mi stai ascoltando?” domandò la sacerdotessa.

“No”, disse Krell scontroso.

“Quello che stavo dicendo è importante. Se questa Mina è una dea come afferma Chemosh, come prevedi di rapirla? A me pare più probabile”, soggiunse aspramente la sacerdotessa, “che sia lei a rapire te, o forse semplicemente ad appenderti al soffitto”.

La sacerdotessa aveva superato i quarant’anni, era alta per essere una donna ed era estremamente magra. Aveva un volto sparuto, occhi sporgenti e labbra sottili, e non era minimamente impressionata da Ausric Krell.

“Se Sua Signoria avesse voluto farti conoscere i suoi progetti, te l’avrebbe detto, signora”, rispose Krell con un ghigno.

“Sua Signoria me l’ha detto, in effetti”, rispose freddamente la sacerdotessa. “Sua Signoria mi ha detto di chiedere a te. Forse dovrei rammentarti che tu conti sul fatto che i miei sacerdoti e seguaci rischino la vita per assisterti in questa impresa. Io devo essere informata di ciò che hai pianificato.”

Se Krell fosse stato un cavaliere della morte, le avrebbe spezzato quel collo scarno e rinsecchito quasi fosse un ramoscello altrettanto scarno e rinsecchito. Lui però non era più un cavaliere della morte, e lei era stata fra i primi convertiti di Chemosh. I suoi poteri malefici erano formidabili.

“Se proprio devi saperlo, intendo usare queste contro Mina”, affermò Krell estraendo due sferette di ferro intersecate da lamine d’oro. “Sono magiche. Gliene lancerò una. Quando la sfera la colpisce, le lamine d’oro si staccano e le legano le braccia ai fianchi. Rimarrà immobilizzata. Io la prendo su e la porto via.”

La sacerdotessa si mise a ridere: una risata stridula simile a dita scheletriche intente ad artigliare una lavagna.

“Questa bambina è una dea, Krell!” disse la sacerdotessa, quando riuscì a parlare. La bocca senza labbra le si contrasse. “La magia non avrà alcun effetto su di lei. Tanto varrebbe legarle le braccia con ghirlande di margherite!”

“Tu ne sai davvero tanto”, ribatté stizzito Krell. “Questa Mina non sa di essere una dea. Secondo Nuitari, se Mina vede qualcuno che crea un incantesimo magico contro di lei, ne cade vittima.”

“Stai dicendo che è soggetta al potere di suggestione?” domandò scettica la sacerdotessa.

Krell non era sicuro di stare dicendo questo o no, poiché non aveva idea di che cosa intendesse la sacerdotessa.

“Tutto quello che so è che il mio signore Chemosh mi ha detto che funzionerà”, rispose Krell con tono scontroso. “Se vuoi, puoi vedertela con lui.”

La sacerdotessa rivolse a Krell uno sguardo furioso, poi si alzò altezzosamente e uscì dalla sala a grandi passi. Poco dopo, la spia inviò al tempio un messaggio per riferire che Mina, accompagnata da un kender e da un cane, si trovava nella Via dei Templi.

“È ora di prendere posizione”, disse Krell.

5

Rhys raccontò all’abate la sua storia dall’inizio alla fine, partendo da quando era arrivato al monastero il suo povero fratello, e proseguendo fino al termine, quando Mina li aveva condotti da Flotsam a Solace in una giornata. Rhys guardava la luce solare che balenava sul lontano albero di vallen e raccontava la sua storia con semplicità, senza abbellimenti. Confessò liberamente le proprie colpe, accennò appena alle sue tribolazioni e sottolineò l’amicizia, l’aiuto e la fedeltà di Nightshade. Disse tutto ciò che sapeva riguardo a Mina.

L’abate ascoltò la storia del monaco senza interruzioni, rimanendo calmo e composto. Di quando in quando si toccava con le dita la cicatrice sul dorso della mano e talvolta, specialmente quando Rhys parlava di Nightshade, l’abate sorrideva.

Finalmente Rhys sospirando giunse al termine del suo racconto. Chinò il capo. Si sentiva stremato come se l’avessero spremuto.

Finalmente l’abate si scosse e parlò: “Il tuo è un racconto mirabile, fratello Rhys Mason. Devo confessare che lo troverei difficile da credere se non ne fossi stato coinvolto anch’io”. Di nuovo si passò la mano sulla cicatrice. “Sia lode a Majere per la sua saggezza.” “Sia lode a Majere”, ripeté sottovoce Rhys.

“E così, fratello”, disse l’abate, “hai promesso di portare questa dea bambina a Godshome”.

“Sì, eccellenza, e non so come fare. Non so come trovare Godshome. Non so nemmeno dove cominciare a cercare, tranne il fatto che secondo la leggenda è ubicata da qualche parte sui Monti Khalkist.”

“Hai considerato la possibilità che forse Godshome non esista affatto?” suggerì l’abate. “Alcuni pensano che Godshome sia il simbolo della fine del viaggio spirituale che ogni mortale intraprende quando apre gli occhi alla luce del mondo.”

“Voi ci credete, eccellenza?” domandò Rhys, turbato. “Se è vero, che devo fare io? Gli dei rivaleggiano per Mina, ciascuno vuole portarla dalla sua parte. Io sono stato avvicinato da Chemosh e da Zeboim. Lo sceriffo mi ha detto della sommossa di questa mattina nella Via dei Templi. La disputa in cielo ricade come una pioggia tossica sulla terra. Noi potremmo essere invischiati in un’altra Guerra delle Anime.”

“È questo il motivo per cui tu rischi la vita e intraprendi un lungo viaggio per portarla in un luogo che potrebbe anche non esistere, fratello?”

L’abate non lasciò a Rhys il tempo di rispondere, ma fece seguire la domanda da un’altra: “Perché pensi che la dea bambina sia venuta da te?”.

La domanda fece sobbalzare Rhys. Rimase in silenzio per un attimo, riflettendoci sopra. Alla fine disse: “Forse perché anch’io so come ci si sente a trovarsi smarriti, soli e raminghi nel buio di una notte infinita. Anche se”, soggiunse Rhys con tono afflitto, “pare che tutto ciò che ha ottenuto Mina venendo da me sia che adesso siamo smarriti e raminghi in due”.

L’abate sorrise. “Non sembrerà granché, però potrebbe essere tutto. E per rispondere alla tua domanda, fratello, io credo veramente che Godshome sia un luogo reale, un luogo che gli esseri mortali possano visitare. Ho letto il resoconto di Tanis Mezzelfo, uno degli Eroi delle Lance. Lui e i suoi compagni visitarono Godshome, anche se per quanto io mi rammenti lui afferma di non ricordare come raggiunsero quel luogo e nemmeno pensa di poterlo mai ritrovare. Lui e i suoi amici furono condotti lì da un mago di nome Fizban che era in verità Paladine…”

La voce dell’abate si smorzò quando gli venne in mente un pensiero improvviso.

“Paladine…” mormorò.

“State pensando a Valthonis”, disse Rhys, sentendosi ridestare la speranza. “Ritenete che possa conoscere la strada, eccellenza?”

“Quando Paladine si sacrificò per preservare l’equilibrio, assunse su di sé il pesante fardello della mortalità”, rispose l’abate. “Non ebbe più poteri divini. La sua mente è quella di un mortale, eppure è un mortale che un tempo era un dio e questo lo rende più saggio di quasi tutti noi. Se vi è qualcuno su Krynn in grado di guidare te e Mina a Godshome, sì, questo sarebbe il Dio che Cammina.”

“Valthonis è noto come Dio che Cammina perché non rimane mai a lungo nello stesso posto. Chissà dove si trova adesso?”

“In realtà”, disse l’abate, “io lo so. Diversi nostri sacerdoti hanno scelto di viaggiare con Valthonis, come fanno molti altri. Quando i nostri fratelli per caso incontrano qualcuno del nostro Ordine, mi fanno avere delle relazioni. Ho avuto notizie di uno di loro proprio la scorsa settimana, e mi diceva che Valthonis e i suoi seguaci erano diretti a Neraka”.

Rhys si alzò, rinvigorito, rinnovato. “Grazie, eccellenza. Non sono sicuro che sia opportuno incoraggiare Mina a usare i suoi poteri miracolosi, ma in questo caso ritengo di poter fare un’eccezione. Potremmo essere a Neraka all’imbrunire…”

“Sei ancora un uomo molto impetuoso, fratello Rhys”, osservò l’abate con un lieve rimprovero. “Hai dimenticato le tue lezioni di storia sulla Guerra delle Anime, fratello?”

Era la seconda volta che Rhys si sentiva domandare delle lezioni di storia. Non riusciva a capire che cosa intendesse l’abate.

“Temo di non capire, eccellenza…”

“Al termine della guerra, quando gli dei avevano recuperato il mondo scoprendo il grande crimine di Takhisis, giudicarono che la dea dovesse essere resa mortale. Per preservare l’equilibrio, affinché gli Dei del Bene avessero un numero pari agli Dei del Male, Paladine si sacrificò, divenne mortale a sua volta. Sotto i suoi occhi, l’elfo Silvanoshei uccise Takhisis, che morì fra le braccia di Mina, e Mina incolpò Paladine della dipartita della sua Regina. Stringendo il corpo della sua Regina, Mina promise solennemente di uccidere Valthonis.”

Rhys si accasciò sulla sedia, vedendo svanire le sue speranze. “Avete ragione, eccellenza. L’avevo dimenticato.”

“Il Dio che Cammina ha guerrieri elfi che lo proteggono”, suggerì l’abate.

“Mina potrebbe uccidere un esercito pestando un piede”, disse Rhys. “Questa è un’amara ironia! L’unica persona che possa dare a Mina ciò che desidera di più a questo mondo è l’unica persona di questo mondo che lei abbia giurato di uccidere.”

“Tu dici che sotto forma di bambina sembra non rammentare il suo passato. Non ha riconosciuto il Signore della Morte. Forse non riconoscerà Valthonis.”

“Forse”, disse Rhys. Stava pensando alla torre, ai Prediletti, e a come Mina, costretta a fronteggiarli, era stata obbligata ad affrontare se stessa. “La domanda è: rischiamo la vita di Valthonis contando sulla probabilità che lei non se lo rammenti? Da quanto ho sentito dire, Valthonis è riverito e amato dovunque vada. Ha fatto un gran bene nel mondo. Ha negoziato la pace fra nazioni che erano in guerra. Ha dato speranza a chi era disperato. Anche se il suo volto non ha più lo splendore radioso del dio, comunque lui apporta luce alle tenebre dell’umanità. Dobbiamo rischiare di distruggere una persona di tale valore?”

“Mina è figlia degli Dei della Luce”, disse l’abate, “nata nella gioia del momento della creazione. Ora è smarrita e spaventata. Ogni genitore non sarebbe forse contento di ritrovare la figlia perduta e riportarla a casa, anche a costo della sua stessa vita? Il rischio c’è, fratello, ma io ritengo che Valthonis sarebbe disposto a correrlo”.

Rhys scrollò il capo. Non ne era sicuro. Vi era per lui la possibilità di trovare Godshome da solo. Altri ce l’avevano fatta. Certo, Tanis Mezzelfo viaggiava in compagnia di una divinità, ma d’altronde anche Rhys.

Cercava di pensare a come spiegare i propri dubbi quando vide lo sguardo dell’abate spostarsi verso la porta, dove uno dei sacerdoti di Majere si trovava in silenzio all’ingresso, attendendo con pazienza di attirare l’attenzione dell’abate.

“Eccellenza”, disse il sacerdote, inchinandosi, “perdonatemi se vi disturbo, ma due ospiti chiedono di fratello Rhys. Uno è un kender e sembra particolarmente ansioso di parlare col nostro fratello”.

“La nostra faccenda è conclusa, vero, fratello?” disse l’abate, alzandosi. “Oppure c’è qualcos’altro che io possa fare per te?”

“Mi avete dato tutto quanto mi servisse e molto di più, eccellenza”, rispose sinceramente Rhys. “Vi chiedo ora soltanto la vostra benedizione per il viaggio difficile che ci attende.”

“Con tutto il cuore, fratello”, disse l’abate. “Hai la benedizione di Majere e la mia. Andrai a cercare Valthonis?” domandò, mentre Rhys stava per allontanarsi.

“Non lo so, eccellenza”, disse Rhys. “Devo tenere conto di due vite: quella di Valthonis e quella di Mina. Temo che le conseguenze di un tale incontro possano essere terribili per entrambi.”

“Sta a te la scelta, fratello”, disse solennemente l’abate, “ma ti rammento l’antico detto: “Se ti guida la paura, non uscirai mai di casa”.

6

Nightshade, Mina e Atta furono accolti nel tempio di Majere da uno dei sacerdoti, che li salutò con solenne cortesia. Ogni visitatore del tempio di Majere veniva accolto con cortesia, nessuno veniva mai mandato via. Tutto ciò che i sacerdoti chiedessero era che gli ospiti parlassero a bassa voce, per non disturbare le meditazioni dei fedeli. I sacerdoti stessi parlavano a voce bassa, attutita. I visitatori che provocassero rumore o scompiglio venivano invitati educatamente ad andarsene. Raramente vi erano problemi, poiché la serenità mirabile del tempio era tale per cui tutti entrando percepivano un senso di tranquillità.

Perfino i kender erano i benvenuti, cosa che compiacque Nightshade.

“I kender sono i benvenuti in pochissimi luoghi”, disse al sacerdote.

“Vi serve qualcosa?” domandò il sacerdote.

“Solo il nostro amico Rhys”, rispose Nightshade. “Siamo d’accordo di incontrarci qui.” Lanciò un’occhiata di traverso a Mina e con tono eloquente disse: “Se poteste chiedergli di affrettarsi, ve ne sarei grato”.

“Il fratello Rhys è a colloquio con sua eccellenza”, disse il sacerdote. “Gli dirò che siete qui. Nel frattempo, posso offrirvi da mangiare o da bere?”

“No, grazie, fratello, ho appena fatto colazione. Bè, forse potrei mangiare qualcosina”, rispose Nightshade.

Mina scrollò il capo silenziosamente. Pareva improvvisamente timida, poiché se ne stava con la testa china, lanciando occhiate all’ambiente circostante da sotto le palpebre abbassate. Era pulita, spazzolata e vestita graziosamente con un bell’abito lungo con i bottoni di madreperla sulla schiena e maniche lunghe e attillate. Pareva l’immagine stessa della schiva figlia del mercante, anche se non recitava questa parte. Le sue marachelle alla taverna e poi lungo la strada verso il tempio avevano quasi fatto impazzire Nightshade.

Mina si era stancata di fare il pane e Laura l’aveva mandata fuori a giocare. Una volta fuori della taverna, Mina aveva schivato le guardie ed era schizzata su per le scale fino in cima all’albero, costringendo Nightshade e un paio di guardie a rincorrerla per farla scendere. Ritornati a terra per mettersi in cammino, Mina aveva preso a pestare i talloni a Nightshade cercando di fargli lo sgambetto, e gli mostrava la lingua quando lui la rimproverava.

Stancandosi presto di importunare Nightshade, aveva stuzzicato Atta, tirandole la coda e gli orecchi, finché la cagna aveva perso la pazienza e l’aveva morsa. I denti della cagna le avevano appena scalfito la pelle, ma Mina aveva strillato come fosse stata stritolata dai lupi, inducendo tutti in strada a fermarsi a guardare. Sgraffignò una mela da un carretto, poi diede la colpa a Nightshade, provocando la reazione di un’anziana signora che era sorprendentemente vigorosa per la sua età e aveva nocche straordinariamente spigolose. Nightshade si stava ancora strofinando la testa dolorante dopo quell’incontro. Quando raggiunsero il tempio, il kender era ormai esasperato e non vedeva l’ora di consegnare Mina a Rhys.

Il monaco li condusse a una parte del tempio chiamata loggia, una sorta di giardino esterno interno, come la definì Nightshade. La loggia era di forma lunga e stretta, fiancheggiata da colonne di pietra che facevano affluire nella sala aria fresca e luce solare. Al centro della loggia vi era una fontana costruita in pietra lucidata, da cui stillava acqua limpida con un suono molto rilassante. Attorno alla fontana erano collocate panche di pietra.

Il sacerdote portò a Nightshade pane appena cotto e frutta e disse loro che Rhys li avrebbe raggiunti entro breve. Nightshade ordinò a Mina di sedersi e di comportarsi bene e, con sua sorpresa, lei obbedì. Si appollaiò su una panca e guardò attorno dappertutto: l’acqua che scorreva sulle pietre, le campanelle che ondeggiavano dolcemente all’esterno, il pavimento chiazzato dal sole, una gru che camminava con passo maestoso tra i fiori di campo. Prese a dare calci alla panca, ma si fermò spontaneamente prima che Nightshade potesse rimproverarla.

Nightshade si rilassò. Gli unici suoni che udisse erano i richiami degli uccelli, i mormorii musicali dell’acqua e il vento che sussurrava attorno alle colonne, fermandosi di quando in quando a far suonare le campanelle d’argento che pendevano dai rami degli alberi all’esterno. Trovando l’atmosfera del tempio piuttosto rilassante ma anche un po‘“noiosa, pensò di poter anche schiacciare un pisolino per riprendersi dai rigori della mattinata. Dopo aver mangiato il pane e quasi tutta la frutta, si stese sulla panca e, dicendo ad Atta di tenere d’occhio Mina, chiuse gli occhi e si assopì.

Atta si sistemò ai piedi di Mina. La bambina accarezzò la cagna sulla testa.

“Mi dispiace di averti stuzzicata”, disse con rimorso.

Atta rispose leccandole la mano, per dimostrarle che tutto era perdonato, poi si distese con la testa sulle zampe a osservare la gru e forse a pensare ansiosamente a quanto sarebbe stato divertente correre dietro a quell’uccello dalle zampe lunghe, abbaiando come una matta.

Rhys quando entrò nella loggia trovò una scena pacifica: Nightshade addormentato; Atta stesa a terra, che sbatteva gli occhi con aria sonnolenta; Mina seduta tranquilla sulla panca. Il monaco posò l’emmide accanto alla panca e sedette vicino a Mina. Lei non lo guardò, ma continuò a osservare la luce solare che scintillava sull’acqua.

“Il tuo abate ti ha detto come trovare Godshome?” domandò.

“Non lo sa”, disse Rhys, “però sa di uno che potrebbe saperlo”.

Pensò che gli avrebbe chiesto il nome di questa persona, ed era indeciso se dirglielo o no. Mina però non glielo domandò, e di questo Rhys si sentì grato, poiché non aveva ancora deciso se andare a cercare il Dio che Cammina.

Mina continuò a starsene seduta tranquilla. Nightshade sospirò nel sonno, passò il braccio sopra la testa e quasi rotolò giù dalla panca. Rhys lo rimise a posto con attenzione. Atta si distese sul fianco e chiuse gli occhi.

Rhys consentì a quel silenzio calmante di filtrargli fin dentro l’anima. Offrì al dio i propri fardelli, i propri affanni, le proprie preoccupazioni e paure. Era con Majere, cercando di raggiungere l’irraggiungibile (la perfezione del dio), quando un urlo squarciò la tranquillità del mattino. Atta balzò in piedi abbaiando. Nightshade rotolò e ruzzolò giù dalla panca.

L’urlo fu seguito da varie grida, tutte provenienti dalla Via dei Templi. Le voci urlavano di collera, di rabbia o di stupore. Rhys udì qualcuno gridare “al fuoco!” e sentì odore di fumo. Quindi giunse il suono di numerose voci cantilenanti (un suono freddo e ultraterreno) e ancora urla e gemiti di paura e terrore, il cozzare dell’acciaio e poi i muggiti irati dei minotauri che invocavano Sargonnas e voci umane che lanciavano grida di battaglia invocando Kiri-Jolith.

L’odore del fumo si fece più intenso, e ora Rhys vedeva orribili pennacchi neri ondeggiare attraverso i giardini del tempio sul retro e cominciare a penetrare fra le colonne. Atta annusò l’aria e starnutì. Le grida di allarme si facevano più forti, avvicinandosi.

I sacerdoti di Majere, strappati alle loro meditazioni, accorrevano da varie parti del tempio o dei giardini dove erano al lavoro. Perfino in questa emergenza, i sacerdoti mantenevano il loro atteggiamento calmo, spostandosi a passo normale senza dare alcuna sensazione di fretta o di panico. Diversi sorrisero e rivolsero un cenno del capo a Rhys, e la loro calma era rassicurante. I sacerdoti si radunarono attorno all’abate, che era uscito dal suo studio. Questi mandò fuori due sacerdoti a vedere che cosa stesse succedendo e tenne gli altri con sé.

Qualunque cosa stesse avvenendo sulla strada fuori del tempio, il luogo più sicuro in cui stare era nelle mani di Majere.

Rhys udiva adesso altre grida e una voce profonda che le sovrastava, urlando ordini.

“Questo è Gerard”, disse Nightshade. Strofinandosi il gomito, scrutò fuori tra le colonne. “Vedete qualcosa? Che succede?”

Un filare di alberi e un’alta siepe che cresceva davanti al tempio ostruiva la visuale verso la strada, ma Rhys vedeva attraverso la copertura del fogliame delle fiamme di un arancione vivido. Nightshade si arrampicò sulla sua panca.

“Un edificio è in fiamme”, riferì. “Non so dire quale. Spero che non sia la taverna”, soggiunse preoccupato. “È la serata di pollo e biscotti.”

“L’incendio è troppo vicino perché sia la taverna”, disse Rhys. “Deve essere uno dei templi.”

Mina si strinse accanto a Rhys, tenendolo per mano. I suoni del vociare e del cozzare di acciaio si facevano più forti. Il fumo era più denso e serrava la gola. I due sacerdoti ritornarono per fare rapporto. Avevano un’espressione austera e parlavano rapidamente. L’abate ascoltò per un attimo, quindi impartì degli ordini. I sacerdoti si dispersero verso le loro celle. Quando ritornarono, portavano bastoni e cantilenavano preghiere a Majere. Muovendosi tutti insieme, uscirono con passo lento e misurato dal tempio, diretti verso quella che dal rumore pareva ormai una battaglia campale in corso sulla strada.

L’abate venne a parlare con Rhys. “Tu e i tuoi amici dovreste rimanere qui all’interno delle nostre mura, fratello. Come sono certo tu possa sentire, vi sono tumulti nella Via dei Templi. Non è prudente avventurarsi fuori.” Un urlo insolitamente forte fece trasalire Mina, che impallidì ed emise un piccolo gemito. L’abate la guardò e la sua espressione austera si intensificò.

“Che sta succedendo, signore?” domandò Nightshade. “Siamo in guerra? La taverna non va a fuoco, vero? È la serata di pollo e biscotti.”

“Sta bruciando il tempio di Sargonnas”, rispose l’abate. “I sacerdoti di Chemosh l’hanno incendiato e adesso stanno attaccando i templi di Mishakal e di Kiri-Jolith. Corre voce che i sacerdoti abbiano evocato demoni dall’oltretomba per farli combattere al loro fianco.”

“Demoni dall’oltretomba!” ripeté emozionato Nightshade. Balzò giù dalla panca. “Dovete scusarmi. Non ho quasi mai l’occasione di parlare con demoni dall’oltretomba. Non avete idea di quanto possano essere interessanti.”

“Nightshade, no…” esordì Rhys.

“Non starò via molto. Voglio solo scambiare due chiacchiere con questi demoni. Non si sa mai, potrei convincerli a redimersi. Torno subito, lo prometto…”

“Atta! Guardia!” ordinò Rhys puntando il dito verso il kender.

La cagna si mise in posizione davanti a Nightshade e lo fissò col suo sguardo intenso. Quando lui si muoveva, si muoveva anche lei. Non gli toglieva mai gli occhi di dosso.

“Rhys! Sono demoni!” piagnucolò Nightshade. “Demoni dall’oltretomba! Non vorrai farmi perdere l’occasione, vero?”

Il fumo si era fatto più denso e si poteva udire lo scoppiettio delle fiamme. Mina prese a tossire.

“Credo che faresti meglio a condurre i tuoi protetti nelle mie stanze, fratello”, disse l’abate. “Lì l’aria è più pulita.”

Un sacerdote raggiunse l’abate e gli parlò con tono concitato. L’abate rivolse a Rhys un sorriso rassicurante, quindi si allontanò col sacerdote. Mina continuava a tossire. A Rhys cominciavano a pizzicare gli occhi. Tizzoni, ceneri e fuliggine piovevano sul giardino esterno alla loggia, innescando piccoli incendi di erba. Rhys raccolse l’emmide. “Venite con me, voi due…”

“Rhys, sinceramente penso che potrei essere d’aiuto contro i demoni”, sostenne Nightshade. “Dipende da quali demoni siano, naturalmente. Ci sono i demoni dell’Abisso e quelli…”

“Mina!” gridò una voce aspra.

Mina si girò nella direzione da cui proveniva la voce e vide emergere dalle spire di fumo una figura temibile che indossava un’armatura d’osso.

“Sono venuto a prenderti”, intonò Krell. “Mi ha mandato Chemosh.”

Rhys capì subito che cosa stesse succedendo. La battaglia in strada, l’incendio appiccato dai sacerdoti di Chemosh: era tutto un diversivo. L’obiettivo era Mina. Sollevò l’emmide e si interpose fra Krell e Mina.

“Nightshade, prendi Mina e scappa!”

Il kender balzò giù dalla panca e afferrò Mina per la mano. Le urla e le grida, il fumo e il fuoco la confondevano e la spaventavano. Mina si aggrappò a Rhys.

Avvinghiata alla veste del monaco, gridò a Krell: “Non vado via!”.

“Mina, dobbiamo scappare”, la sollecitò Nightshade, cercando di staccarla.

Mina scrollò il capo e non fece che stringersi ancora più saldamente a Rhys.

Krell tirò fuori una sfera di ferro decorata con lamine d’oro.

“Vedi questa, Mina? Questo giocattolino è magico. Quando la sfera ti colpisce, la magia ti lega stretta. Tu non potrai muoverti e dovrai venire con me. Ti faccio vedere come funziona. Guarda qui.”

Krell scagliò la sfera di ferro. Nightshade compì un tentativo disperato per deviarla balzando davanti a Mina. La sfera non era stata però puntata contro Mina.

La sfera colpì Rhys al petto.

“Lega!” urlò Krell. Le lamine d’oro si srotolarono staccandosi dalla sfera e circondarono Rhys, serrandogli le braccia e le gambe. Rhys lottò contro le lamine che lo legavano, cercando di liberarsi, ma più lottava e più le lamine gli si stringevano addosso.

Krell, sorridendo compiaciuto sotto l’elmo a forma di cranio, avanzò a grandi passi verso Mina. Atta abbaiò ferocemente contro di lui e gli si slanciò contro. Krell afferrò una delle aguzze protuberanze ossee della spalla, la staccò e colpì la cagna con quell’osso acuminato. Nightshade afferrò Atta per la collottola e trascinò sotto una panca la cagna ringhiante.

Le lamine d’oro stringevano, penetrando dolorosamente nelle braccia di Rhys, inchiodandogli le braccia al corpo e bloccandogli la circolazione nelle gambe. Mina cercò di tirare e strattonare le lamine con tutte le sue forze, ma le sue forze erano quelle di una bambina, non di una dea. Atta fremeva per la furia e continuava a puntare Krell.

Krell sbirciò Nightshade e lo colpì con l’asta. Ridendo nel vedere il kender farsi piccolo per la paura e la cagna cercare di mordere, Krell tenne d’occhio Mina, che continuava a strattonare le lamine addosso a Rhys. Krell la osservava con divertimento.

“Non c’è mai un dio in giro quando ce n’è bisogno, eh, monaco?” lo schernì Krell. Allungò il dito indice e, con una risata fragorosa, lo piantò nel petto a Rhys.

Rhys barcollò. Con le gambe e le braccia legate, non riusciva a mantenere l’equilibrio. Krell lo colpì di nuovo, questa volta più forte, e Rhys cadde all’indietro. Non aveva modo di attutire la caduta e atterrò, battendo la testa sul duro pavimento di pietra. Ebbe una fiammata di dolore. Una vivida luce gli esplose dietro agli occhi.

Si sentì precipitare nella spirale dell’incoscienza e cercò di opporvisi, ma quando toccò il fondo il buio si richiuse sopra di lui.

7

Nightshade dovette mollare la presa su Atta. La cagna inferocita caricò da sotto la panca e puntò alla gola di Krell. Utilizzando il bracciale d’osso dell’avambraccio, Krell le assestò un manrovescio sul muso. Atta si accasciò accanto a Rhys e rimase lì distesa, scuotendo la testa, intontita. Perlomeno respirava ancora. Nightshade le vedeva muoversi le costole. Non poteva dire altrettanto di Rhys.

Mina era a terra accanto a lui, lo scuoteva e lo pregava di svegliarsi. Rhys aveva gli occhi chiusi. Rimaneva disteso, immobile.

Krell incombeva su Mina. Aveva gettato a terra l’asta d’osso e ostentava in mano un’altra sfera di ferro. “Sei pronta a venire con me adesso?”

“No”, gridò Mina, sollevando la mano per respingerlo. “Vattene! Per favore, vattene!”

“Non voglio andarmene”, disse Krell. Si stava divertendo. “Voglio giocare a palla. Prendi la palla, bambina!”

Lanciò a Mina la sfera di ferro. La sfera la colpì al petto. Le spire d’oro si aprirono sferzanti, rapide come serpenti all’attacco, e si avvolsero attorno alle braccia e alle gambe della bambina. Mina giaceva inerme a terra, guardando su verso Krell con occhi colmi di terrore.

“Mina, sei una dea!” gridò Nightshade. “La magia non ha effetto su di te! Alzati!”

Krell si girò di scatto per guardare con occhio furioso il kender, il quale si fece quanto più piccolo poté, usando la panca come riparo.

Mina non lo udì, oppure, più probabilmente, non gli credette. Rimase stesa a terra, singhiozzando.

“Una dea! Bah!” la schernì Krell, mentre Mina urlava di terrore e cercava pateticamente di divincolarsi da lui. “Non sei altro che una monella piagnucolosa.”

Nightshade emise un sospiro rassegnato. “Immagino che tocchi a me. Scommetto che questa è la prima volta nella storia del mondo che un kender deve soccorrere una divinità.”

“Ce ne andremo fra un attimo”, disse Krell a Mina. “Prima ho un monaco da uccidere.”

Krell staccò un’altra asta ossea e rivolse l’attenzione a Rhys. “Svegliati”, gli ordinò, sferrandogli un colpo fra le costole con l’asta. “Non è divertente uccidere qualcuno privo di sensi. Voglio che tu veda che cosa ti aspetta. Svegliati!” Sferrò un altro colpo a Rhys. Il sangue macchiò la veste arancione del monaco.

Nightshade si deterse un rivolo di sudore che gli scendeva lungo il collo e poi, allungando nella direzione di Krell le dita umide per il sudore, il kender prese a cantare sottovoce.

Sei stanco. Non sorridi più.

Ti sembra di aver corso fin quassù.

I muscoli ti fanno male.

Ora ti metti a tremare.

E presto sarai tutto un barcollare.

E mentre cadi in ginocchio

è più ora di prima

che finisca la rima

o grosso ranocchio.

Il termine “ranocchio” non faceva realmente parte dell’incantesimo mistico, ma Nightshade aggiunse questa parola perché faceva rima ed esprimeva bene i suoi sentimenti. La sua cantilena fu interrotta un paio di volte quando il fumo gli scese nella trachea costringendolo a tossire, e il kender si preoccupò che questo potesse rovinare l’incantesimo. Attese un attimo in tensione poiché non accadeva nulla, e poi percepì la magia. La magia giunse dall’acqua e gli filtrò nelle scarpe. La magia giunse dal fumo e lui la inspirò. La magia giunse dalla pietra ed era fredda e lo fece rabbrividire. La magia giunse dal fuoco ed era calda ed entusiasmante.

Quando tutte le parti della magia si furono mescolate assieme, Nightshade lanciò il suo incantesimo.

Dalle sue dita sprizzò un raggio di luce nera.

Questa era la parte preferita da Nightshade: il raggio di luce nera. Gli piaceva perché non poteva esistere una luce “nera”. Ma così veniva chiamato l’incantesimo, o perlomeno così gli aveva detto sua madre quando gliel’aveva insegnato. E in realtà la luce non era veramente nera. Era una luce purpurea con un nucleo bianco. Comunque Nightshade poteva capire come mai la si potesse definire una luce “nera”. Se non fosse stato tanto preoccupato per Rhys e Atta, si sarebbe davvero divertito.

La luce nera colpì Krell alla schiena, avvolgendolo in un bagliore purpureo, e poi si dissolse.

Krell ebbe un sobbalzo repentino e quasi lasciò cadere l’asta. Scrollò la testa munita di elmo, come domandandosi che cosa gli fosse arrivato addosso, poi guardò con sospetto Mina.

La bambina era distesa dove lui l’aveva lasciata, legata dalle spire magiche. Aveva smesso di piangere e fissava Nightshade con stupore e con gli occhi spalancati.

“Non dire niente!” disse Nightshade col solo movimento delle labbra. “Per favore una volta tanto tieni la bocca chiusa!” Strisciò ancora più indietro sotto la panca.

Krell evidentemente pensò di essersi immaginato quella cosa. Sollevò l’asta, afferrandola meglio e preparandosi a conficcarla nel petto di Rhys. Nightshade capì allora che il suo incantesimo aveva fallito e digrignò i denti per la frustrazione. Stava per scagliare il proprio corpicino contro Krell in quello che probabilmente sarebbe stato un tentativo per lui fatale di gettarlo a terra, quando Krell all’improvviso barcollò. Fece qualche passo vacillante. L’asta ossea gli scivolò di mano.

“Eccolo!” gridò gioiosamente Nightshade. “Ti senti stanco. Molto, ma molto stanco. E quell’armatura è davvero, ma davvero pesante…”

Krell si accasciò sulle ginocchia. Cercò di rialzarsi, ma l’armatura ossea lo appesantiva, e si riversò a terra. Incassato nell’armatura ossea, rimase disteso inerme sulla schiena, agitando debolmente le braccia e le gambe come una tartaruga rovesciata.

Nightshade strisciò fuori dal suo nascondiglio. Non aveva molto tempo. L’incantesimo non sarebbe durato a lungo.

“Aiuto!” urlò, tossendo nel fumo. “Aiutatemi! Ho bisogno di aiuto! Rhys è ferito! Abate! Qualcuno! Chiunque!”

Non venne nessuno. I sacerdoti e l’abate erano fuori in strada, a combattere una battaglia che, a giudicare dai rumori, stava ancora infuriando e si intensificava. Anche l’incendio sembrava propagarsi, poiché la sala era ormai oscurata dal fumo, e il kender vedeva le fiamme innalzarsi rapidamente sopra le cime degli alberi.

Nightshade si impadronì dell’asta ossea. Krell lo fissava furioso dalle orbite dell’elmo e imprecava con veemenza contro di lui. Nightshade cercò un punto carnoso da trapassare con l’asta, ma l’armatura ossea ricopriva ogni pezzetto del corpo dell’uomo. Per disperazione, Nightshade colpì Krell sulla testa munita di elmo. Krell sbatté gli occhi per il colpo, ringhiò una parolaccia e si agitò, cercando di afferrare il kender. Krell era ancora sotto l’effetto dell’incantesimo mistico, però, ed era troppo esausto per muoversi. Ricadde fiaccamente all’indietro.

Nightshade colpì di nuovo alla testa Krell, che gemette. Il kender continuò a colpire Krell finché questi smise di gemere e di muoversi. Avrebbe continuato a colpire Krell sennonché l’asta si ruppe. Nightshade scrutò Krell. Il kender non pensava che il suo nemico fosse morto, ma soltanto stordito e privo di sensi, e questo voleva dire che prima o poi sarebbe rinvenuto e allora sarebbe stato di pessimo umore. Nightshade si inginocchiò accanto a Rhys.

Mina si contorceva a terra, cercando di attirare la sua attenzione, ma il kender sarebbe arrivato da lei in un secondo momento.

“Come hai fatto?” domandò Mina. “Come hai creato quella luce purpurea?”

“Non adesso”, sbottò Nightshade. “Rhys, svegliati!”

Nightshade scrollò l’amico per le spalle, ma Rhys rimaneva disteso immobile. Aveva la pelle cinerea. Nightshade raccolse la bisaccia di Rhys, intendendo usarla come cuscino. Ma quando sollevò la testa del monaco notò sul pavimento una pozza di sangue. Ritrasse la mano. Era ricoperta di sangue. Nightshade conosceva un altro incantesimo mistico con proprietà di guarigione e cercò di richiamarlo alla mente, ma era agitato e sconvolto e non riusciva a ricordare le parole. Continuava a ronzargli in testa la cantilena della luce nera, come una canzone fastidiosa che quando l’hai ascoltata continui a sentirla per quanto ti sforzi di evitarlo.

Sperando che le parole gli venissero in mente in maniera inaspettata se avesse pensato a qualcos’altro, Nightshade si girò verso Atta, che era stesa sul fianco, con gli occhi chiusi. Il kender appoggiò la mano sul petto della cagna e percepì il suo cuore battere forte. Atta sollevò la testa e rotolò su di sé. La coda sbatté contro il pavimento. Nightshade le diede un abbraccio e poi si tirò indietro a sedere sui talloni guardando con dispiacere Rhys e cercando disperatamente di rammentare l’incantesimo di guarigione.

“Nightshade…” esordì Mina.

“Zitta!” le disse Nightshade, con un tono piuttosto feroce. “Rhys è ferito davvero gravemente e io non riesco a ricordarmi l’incantesimo e… ed è tutta colpa tua!”

Mina si mise a piangere. “Queste lamine mi pizzicano! Devi tirarmele via.”

“Tiratele via da sola”, ribatté seccamente Nightshade.

“Non posso!” piagnucolò Mina. Sì che puoi, sei una dea! Nightshade voleva risponderle urlando, ma non lo fece perché ci aveva già provato e non aveva funzionato. Ma poteva esserci un altro modo…

“Certo che non puoi!” disse sdegnoso Nightshade. “Sei un essere umano, e gli esseri umani sono indicibilmente grassi e stupidi. Qualsiasi kender saprebbe farlo. Io potrei divincolarmi da quei legami così!” Fece schioccare le dita. “Ma poiché tu sei umana e per di più una femmina, immagino che tu sia bloccata.”

Mina smise di piangere. Nightshade non aveva idea di che cosa lei stesse facendo, e non gli importava. Era troppo preoccupato per Rhys. Poi a Nightshade parve di udire Krell muoversi o sbuffare, e gli rivolse un’occhiata spaventata, temendo che si svegliasse. Krell continuò a stare lì disteso come un grosso mucchio coperto d’ossa, ma era solo questione di tempo. Il kender scrollò l’amico per le spalle e lo chiamò per nome.

“Rhys”, disse ansioso, “mi senti? Per favore, svegliati!”.

Rhys gemette. Le palpebre gli tremarono, e Nightshade si sentì incoraggiato. Rhys aprì gli occhi. Fece una smorfia e ansimò per il dolore, e gli occhi gli si rovesciarono all’indietro.

“Oh, no!” gridò Nightshade, afferrando la veste di Rhys. “Non svenirmi di nuovo! Resta con me.”

Rhys accennò un sorriso e i suoi occhi rimasero aperti, anche se parevano strani; una pupilla era più grande dell’altra. Sembrava avere difficoltà a mettere a fuoco.

“Come ti senti?” domandò Nightshade.

“Non troppo bene, temo”, rispose fiaccamente Rhys. “Dov’è Mina? Sta bene?”

“Sono qui, Rhys”, rispose Mina con un sussurro.

Nightshade sobbalzò a quel suono, che proveniva da dietro le sue spalle. Il trucco aveva funzionato. Le lamine d’oro erano ancora in posizione, sempre attorcigliate sul pavimento, ma Mina non era più al loro interno.

Era in piedi e guardava giù dispiaciuta verso Rhys. Aveva il viso gonfio di pianto, le guance sudice di lacrime e fuliggine.

“Hai ragione, Nightshade”, disse. “È colpa mia.”

Aveva un’aria tanto spaventata e infelice che Nightshade si sentì peggio che un verme.

“Mina, non intendevo sgridarti…” esordì.

Mina non lo ascoltava. Si inginocchiò e baciò Rhys sulla guancia. “Adesso ti sentirai meglio”, disse sottovoce. “Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Ma non dovrai più prenderti cura di me.”

E poi, prima che Nightshade potesse fare o dire alcunché, Mina raccolse la bisaccia con gli oggetti sacri e corse via.

“Mina!” le gridò dietro Nightshade. “Non fare la stupida!”

Mina continuò a correre, e lui la perdette di vista nel fumo.

“Mina!” esclamò Rhys. “Torna indietro!”

Aveva la voce forte. Aveva gli occhi vigili e limpidi e stava riacquistando colore in viso.

“Rhys! Stai meglio!” gridò gioiosamente Nightshade.

Rhys cercò di alzarsi in piedi, ma era ancora legato dalle lamine d’oro magiche e ricadde all’indietro, frustrato.

“Nightshade, devi rincorrere Mina!”

Nightshade rimase lì.

Rhys sospirò. “Amico mio, lo so…”

“Lei sta bene, Rhys!” affermò Nightshade. “L’incendio, i demoni dall’oltretomba, Krell che ti ferisce: è tutta colpa sua. I combattimenti, i morti… anche questo è colpa sua! E io non ti abbandono per correre dietro a lei. Krell si sveglierà da un momento all’altro e anche se la tua testa è guarita tu sei ancora bloccato da queste lamine magiche. E Krell ha detto che ti avrebbe ucciso!”

Rhys alzò lo sguardo verso di lui. “Tu sei l’unico su cui io possa contare, amico mio. L’unico di cui io possa fidarmi. Devi trovare Mina e riportarla qui al tempio. Se io sono… non più qui… l’abate saprà che cosa fare.”

Il labbro inferiore di Nightshade prese a tremare. “Rhys, non farmi…”

Rhys sorrise. “Nightshade, io non ti faccio fare niente. Te lo chiedo… da amico.” Nightshade lo guardò furioso.

“Non è giusto!” disse stizzito. “Va bene, vado.” Agitò il dito verso Rhys. “Ma prima di andare a rincorrere quella monella, trovo qualcuno che ti aiuti! Dopo andrò a cercare Mina. Forse”, soggiunse sottovoce.

Diede una rapida occhiata a Krell, che era ancora privo di sensi, ma probabilmente non lo sarebbe stato ancora a lungo. Una volta esauritosi l’incantesimo, Krell si sarebbe sentito più forte che mai, doppiamente furioso e tre volte più deciso a uccidere Rhys.

“Atta, tu rimani con lui”, disse Nightshade, accarezzando la cagna.

“Atta, vai con Nightshade”, ordinò Rhys.

La cagna balzò in piedi e si scrollò tutta. Nightshade rivolse a Rhys un’ultima occhiata, pregandolo di ripensarci.

“Non preoccuparti per me, amico mio”, disse Rhys, con tono rassicurante. “Io sono nelle mani di Majere. Vai a cercare Mina.”

Nightshade scrollò il capo e poi corse via. Seguì la direzione presa da Mina, che naturalmente era la peggiore possibile. Era corsa fuori dal lato anteriore del tempio, dirigendosi proprio verso la strada e la battaglia.

Nightshade sfrecciò incautamente attraverso il giardino, con Atta a corrergli dietro, e tutti e due calpestarono i fiori e gli ortaggi che comunque erano già ricoperti di fuliggine. Nel fumo il kender riusciva a malapena a vedere qualcosa, e gli veniva da tossire. Continuò a correre, tossendo e agitando la mano contro il fumo. Atta sbuffava e starnutiva.

Quando raggiunse la strada, il kender fu grato di constatare che l’aria era più pulita. Il vento sospingeva il fumo in una direzione diversa. Nightshade cercò Mina e, cosa ancora più importante, qualcuno per salvare Rhys.

Questo si sarebbe rivelato difficile. Nightshade si fermò bruscamente e rimase a guardare sgomento. La Via dei Templi era intasata da persone che combattevano, e la confusione era tale che lui non riusciva a distinguere chi stesse da una parte e chi dall’altra.

Uomini che indossavano la livrea delle guardie cittadine cercavano di abbattere un minotauro infuriato. Non lontano da loro, paladini di Kiri-Jolith con la loro armatura scintillante combattevano contro chierici che cantilenavano incantesimi e portavano vesti e cappucci neri. Tutto attorno vi erano persone stese a terra, alcune delle quali urlavano di dolore, altre non si muovevano.

Gli incendi ardevano ancora. Sotto gli occhi di Nightshade, il tempio di Sargonnas crollò diventando un mucchio di macerie infuocate, mentre dal tetto del tempio di Mishakal si sprigionavano fiamme.

Nightshade cercò Mina, ma un po‘“per via della folla e della confusione e un po‘“per via del fatto deplorevole che lui avesse gli occhi all’incirca all’altezza del ventre delle persone, non riusciva a vederla da nessuna parte.

“Se avesse un minimo di buon senso, non correrebbe lì fuori nel bel mezzo dell’infuriare di una battaglia. Ma d’altronde”, rammentò malinconicamente, “stiamo parlando di Mina”.

E Rhys era steso, legato e inerme, nel tempio, e Krell ormai poteva essere sveglio.

Un soldato minotauro che combatteva contro un chierico dalla veste nera si precipitò verso Nightshade, obbligandolo a indietreggiare in fretta per evitare di essere bastonato, e il kender cadde nel fossato. Lì disteso, dedusse che starsene coricato a terra fosse più prudente che stare in piedi, e rotolò dietro una siepe. Atta si accovacciò accanto a lui. Nightshade era in collera con se stesso. Avrebbe dovuto trovare Mina e salvare Rhys e invece languiva in un fossato. Gerard doveva essere qui attorno da qualche parte. Oppure l’abate. Doveva esserci un modo per cercare aiuto. Magari potesse avere una visuale migliore della strada! Si sarebbe potuto arrampicare su un albero. Cominciava a pensare di alzarsi e uscire dal fosso quando sentì una cosa strisciargli giù lungo la nuca. Mise la mano dietro, la afferrò ed era una cavalletta.

E questo gli diede un’idea. Nightshade guardò lo spillone a forma di cavalletta che aveva sul petto.

“Mina diceva qualcosa riguardo al saltare. Immagino che non faccia male provare. Chissà se devo pregare? Spero di no, perché non sono molto bravo.”

Nightshade si sfilò la piccola cavalletta d’oro e la strinse forte tra le mani. Piegò le ginocchia e saltò.

Guardandosi attorno, si trovò in alto sopra il tetto del tempio. Era così sbalordito ed emozionato che si dimenticò di quello che doveva fare, ed era già pronto a saltare quando se lo ricordò. Temeva che l’atterraggio fosse duro, ma non lo fu. Atterrò lieve come una cavalletta.

Nightshade saltò di nuovo, trovando la cosa molto divertente. Questa volta andò più in alto, molto al di sopra del tetto del tempio, e guardando giù verso il tumulto sanguinoso nelle strade, con quella che immaginava fosse la visuale di un dio, pensò: “Ehi, se non sembriamo stupidi”. Salutò con la mano Atta, che correva avanti a indietro sotto di lui, abbaiando freneticamente nella sua direzione, mentre lui cercava Mina o Gerard o l’abate.

Non li vide, però vide una persona che indossava una veste rossa e se ne stava calma sotto un albero ad osservare con interesse la battaglia.

Nightshade non riusciva a vedere chiaramente chi fosse, per via del fumo, e tuttavia sperava che si trattasse di uno dei sacerdoti. Una volta ritornato a terra, Nightshade diede alla cavalletta una pacca di ringraziamento e se la infilò in tasca. Quindi sfrecciò verso la persona in rosso, gridando “aiuto” mentre correva, e agitando le braccia.

L’individuo lo vide arrivare e subito sollevò entrambe le braccia. Dalle dita crepitarono fulmini azzurri, e Nightshade si fermò con una scivolata. Non era un sacerdote di Majere. Era un mago delle Vesti Rosse.

“Non avvicinarti di più, kender”, lo avvertì il mago con tono terribile.

La voce del mago era quella di una donna, profonda e melodiosa. Nightshade non vedeva il suo volto, messo in ombra dal cappuccio, ma riconobbe gli anelli scintillanti alle dita e il sontuoso velluto rosso della veste.

“Vostra Signoria Jenna!” gridò, afflosciandosi per il sollievo. “Sono così contento che siate voi!”

“Tu sei Nightshade, vero?” domandò lei, stupita. “Il kender nightstalker. Con la signora Atta.” Salutò la cagna, che ringhiò e non volle avvicinarsi.

I fulmini che le si sprigionavano dalle dita avevano ormai cessato di crepitare, e la maga gli tese la mano per farsela stringere. Ma Nightshade la osservò dubbioso e nascose le mani dietro la schiena, casomai rimanesse ancora un po‘“di magia a scottargli la carne.

“Vostra Signoria Jenna, ho bisogno del vostro aiuto…” esordì, ma lei lo interruppe.

“In nome di Lunitari, che cosa sta succedendo qui?” domandò. “La gente di Solace è pazza furiosa? Stavo cercando Gerard e mi è stato detto che avrei potuto trovarlo qui. Ho sentito dire che vi erano tumulti, ma non immaginavo di entrare in un campo di battaglia…”

Scrollò il capo. “Davvero straordinario! Chi combatte contro chi e per che cosa? Sai dirmelo?”

“Sì, signora”, rispose Nightshade. “Anzi, no, signora. Cioè, potrei, ma non posso. Non ne ho il tempo. Dovete andare a salvare Rhys, Vostra Signoria! È nel tempio, legato con lamine d’oro magiche e c’è un cavaliere della morte che ha giurato di ucciderlo. Io lo aiuterei, ma Rhys mi ha detto che devo trovare Mina. È una dea, sa, e non possiamo lasciarla correre qua e là da sola. Grazie tante! Mi dispiace di non poter parlare. Devo scappare, adesso. Arrivederci!”

“Aspetta!” gridò Jenna, afferrando Nightshade per il colletto mentre questi si preparava a schizzare via. “Che hai detto? Rhys e legami magici e un che?”

Nightshade aveva consumato tutto il fiato per raccontare una volta la sua storia. Non aveva abbastanza fiato per ripeterla e proprio in quel momento intravide quello che pareva l’abito di Mina scomparire in un turbine di fumo.

“Rhys… tempio… da solo… cavaliere della morte!” ansimò. “Andate a salvarlo, Vostra Signoria! Correte!”

“Alla mia età, non corro da nessuna parte”, disse severamente Jenna.

“Allora camminate svelta. Per favore, affrettatevi!” gridò Nightshade. Contorcendosi e divincolandosi si sottrasse alla presa di Jenna e corse a rotta di collo lungo la strada, con Atta a inseguirlo.

“Hai detto un cavaliere della morte” gli gridò dietro Jenna.

“Ex cavaliere della morte!” urlò Nightshade voltandosi, e tutto soddisfatto di sé proseguì, ormai completamente libero di cercare Mina.

“Ex cavaliere della morte. Bè, è proprio un sollievo”, mormorò Jenna.

Assai perplessa, rimase lì a domandarsi che cosa pensare di tutta la vicenda. Avrebbe potuto liquidare il racconto di Nightshade in quanto storiella da kender (una dea che corre qua e là da sola?), ma lo conosceva, e Nightshade non era un kender qualunque. Aveva conosciuto Nightshade l’ultima volta che si era recata a Solace: in quell’infausta occasione quando lei, Gerard, Rhys e un paladino di Kiri-Jolith avevano cercato invano di catturare uno dei Prediletti.

Jenna era giunta a rispettare e ammirare quel monaco affabile e gentile, Rhys Mason, e sapeva bene che Rhys stesso nutriva grande considerazione per il kender, il che era un punto a favore di Nightshade. E dovette ammettere che Nightshade si era comportato bene durante quell’ultima crisi, agendo in maniera sensata e razionale, cosa che non poteva dirsi della maggior parte dei kender, a prescindere dalle circostanze.

Jenna dedusse pertanto che Rhys poteva certo essere in pericolo come affermato da Nightshade (sebbene ammettesse di avere dubbi sull’esistenza di un cavaliere della morte, ex o no). Riconoscendo la necessità di affrettarsi, si tirò il cappuccio sopra la testa, pronunciò una parola magica e si lasciò trasportare rapidamente ma con calma e compostezza attraverso il tempo e lo spazio.

Come Jenna aveva detto al kender, alla sua età non correva da nessuna parte.

8

Legato dalle lamine d’oro magiche, Rhys era steso inerme sul pavimento del tempio, incapace di fare alcunché tranne osservare il fumo dell’incendio passare accanto alle colonne. Il dolore alla testa era svanito, la ferita era stata guarita dal bacio di Mina. Pensò all’ironia della sorte, strana e terribile: il bacio che aveva ucciso suo fratello aveva guarito lui.

Lì vicino Krell gemeva, cominciando a riprendere conoscenza.

La tentazione di lottare contro i legami magici era forte, ma la lotta sarebbe stata vana e gli avrebbe fatto sprecare energie. Pregò Majere, invocando la benedizione del dio, chiedendogli di concedergli coraggio e saggezza per combattere il suo nemico e la forza di accettare la morte quando sarebbe sopraggiunta, poiché era ben consapevole del fatto che, per quanto fosse deciso a combattere, non potesse vincere.

Conclusa la preghiera, Rhys spostò in posizione d’attesa il corpo prono e poi non vi fu più nulla da fare tranne aspettare.

Krell grugnì e sollevò la testa dolorante. Cercò di alzarsi in piedi, ma si accasciò e gemette di dolore. Mormorando che l’elmo gli stava troppo stretto, armeggiò con quest’ultimo e riuscì a toglierselo con qualche difficoltà. Scagliandolo a terra, gemette di nuovo e si mise la mano sulla fronte. Aveva un grosso bernoccolo sopra l’occhio sinistro, e la guancia sinistra gonfia. Non presentava ferite sulla pelle, ma doveva soffrire di un mal di testa lancinante. Krell si toccò con cautela i punti ricoperti di lividi e imprecò ferocemente.

Krell raccolse l’elmo e se lo ficcò sulla testa, quindi si alzò pesantemente in piedi. Vide Rhys, ancora steso a terra legato, e le lamine d’oro vuote che in precedenza avevano stretto Mina.

Staccò un altro spuntone d’osso dalla spalla e tornò indietro a passi pesanti per affrontare Rhys.

“Dov’è andata?” Krell era proprio infuriato. “Dimmelo, dannazione a te!”

Cercò di pugnalare il monaco, ma Rhys spostò il proprio corpo e, rotolando sul pavimento, urtò Krell, spingendo la spalla contro gli stinchi coperti d’osso dell’uomo. Krell si rovesciò a testa in giù sopra Rhys e atterrò sul pavimento di pietra con un tonfo che scosse le colonne.

Krell gorgogliò per un attimo, poi con fracasso si tirò su a quattro zampe e, con l’aiuto della panca di pietra, si rimise in piedi. Raccolse l’asta d’osso e lentamente si mosse zoppicando per affrontare Rhys, che giaceva a terra respirando con difficoltà.

“Pensi di essere in gamba, vero, monaco?”. Krell sollevò l’asta d’osso. “Vedi se sai schivare questa!”

Stava per scagliare l’arma quando una donna abbigliata con una veste rossa si materializzò nell’aria pervasa di fumo proprio davanti a lui. Quell’apparizione improvvisa e inaspettata disorientò Krell, che fece scattare la mano; il gesto gli fece sbagliare mira. L’asta mancò il bersaglio e cadde sbattendo a terra.

Sua Signoria Jenna rivolse un cenno del capo incappucciato a Rhys, che la fissava altrettanto stupito quanto Krell.

“Per essere un monaco, conducete una vita particolarmente interessante, fratello”, disse freddamente Jenna. “Per favore, permettetemi di aiutarvi.”

Pronunciando una formula magica, agitò la mano con un gesto sdegnoso e le lamine d’oro che legavano Rhys si staccarono, liberandolo. Un gesto da parte di Jenna fece rimbalzare le lamine e la sfera di ferro dentro la fontana. Liberato dai suoi legami, Rhys afferrò l’emmide e si girò per affrontare Krell.

L’ex cavaliere della morte si era considerato più che all’altezza del compito di combattere contro un monaco disarmato, un kender e una bambina. Nessuno però gli aveva detto nulla riguardo a una maga. Vedendosi circondato, Krell chiamò aiuto. Udendo il richiamo pressante del suo padrone, un Guerriero delle Ossa abbandonò la battaglia contro i chierici di Mishakal e si lanciò in soccorso di Krell.

Rhys colse un movimento con la coda dell’occhio e gridò un avvertimento.

Jenna si girò e vide un minotauro guerriero arrivare muggendo dal giardino. A una prima occhiata sbalordita pareva che il minotauro fosse stato rivoltato. Portava lo scheletro sopra la carne e la pelliccia opaca. Colava sangue incessantemente dalle orribili ferite aperte. Le viscere gli fuoriuscivano. Il guerriero aveva la gola tagliata, e un occhio gli pendeva orribilmente dall’orbita del cranio di minotauro che gli faceva da elmo. Portava in mano una spada insanguinata e, strillando di furia e di tormento, accorse dritto verso Jenna.

La maga lasciò perdere l’incantesimo che stava per creare, poiché non avrebbe funzionato contro questo mostro morto vivente.

“Un Guerriero delle Ossa”, osservò fra sé. “Chemosh deve essere sull’orlo della disperazione.”

Osservazione interessante, ma di scarso aiuto. Jenna non aveva mai combattuto prima d’ora contro un Guerriero delle Ossa e aveva soltanto pochi istanti per escogitare come distruggerlo prima che fosse lui a farlo.

Sicuro che la fastidiosa maga non avrebbe più costituito una preoccupazione, Krell si preparò a farla finita col monaco. Riprese in mano l’asta e rimase sconcertato nel vedere Rhys raccogliere il suo bastone. Krell rammentava quel bastone, lo rammentava vividamente. Quando il monaco era stato “ospite” di Krell al Bastione della Tempesta, l’emmide si era trasformato in una mantide religiosa. L’insetto era volato contro Krell, gli aveva cinto il corpo con quelle zampe orribili e gli aveva succhiato il cervello. Krell all’epoca era un cavaliere della morte, e il bastone non aveva arrecato veri e propri danni, ma Krell aborriva gli insetti e l’esperienza era stata terrificante. Soffriva ancora di incubi al riguardo.

Ringhiò per la furia. L’unico modo per garantire che l’emmide non si trasformasse di nuovo in un insetto era uccidere il suo padrone. Krell scagliò l’asta contro il monaco, e questa volta la mira era giusta.

Jenna, a quel punto, non poteva preoccuparsi dei vivi. Doveva concentrarsi sul morto. Aveva letto qualcosa riguardo ai Guerrieri delle Ossa, ma questo risaliva ad anni prima, nel corso dei suoi studi. Nessun Guerriero delle Ossa si era visto su Krynn dall’epoca del Re-Sacerdote, e anche allora ce n’erano stati in giro ben pochi. Jenna presumeva che i libri di testo spiegassero come distruggere questi morti viventi, ma in tal caso non riusciva a ricordarselo. E non aveva tempo per dedicare alla questione molte riflessioni.

Il Guerriero delle Ossa minotauro adesso era davanti a lei. Sollevando sopra la testa un’enorme scure, sferrò un colpo dall’alto in basso con la lama, con tutta l’intenzione di fenderle il cranio. Ci sarebbe riuscito, ma guarda caso il cranio della maga non si trovava lì in quel momento. La spada del minotauro fendette un’illusione di Jenna.

La vera Jenna si era spostata rapidamente posizionandosi dietro il minotauro, mentre continuava a cercare di immaginarsi come uccidere quel demone. Sperava che il guerriero minotauro continuasse ad attaccare l’illusione dandole il tempo di pensare. La sua speranza era ben fondata, poiché in genere i morti viventi non erano molto perspicaci e facevano a pezzi un’illusione senza rendersi mai conto della verità. Chemosh doveva però avere trovato il metodo per apportare migliorie ai suoi morti viventi. Quando il primo colpo non riuscì a uccidere la maga, il Guerriero delle Ossa si girò di scatto e si mise a cercare la sua nemica.

Il minotauro la scorse immediatamente e, facendo oscillare la spada, arrivò ruggendo nella sua direzione. Jenna mantenne la posizione. La breve tregua le aveva dato il tempo di preparare il suo incantesimo, il tempo di pensare alle formule, il tempo di rammentare i corretti movimenti delle mani. Creare questo incantesimo era rischioso, non soltanto per lei (se avesse fallito, Jenna non avrebbe avuto né il tempo né la forza per crearne un altro) ma anche per Rhys, che avrebbe potuto subirne effetti indiretti. Sperando in Lunitari per non accecare accidentalmente il monaco, Jenna tese la mano e prese a cantilenare formule magiche.

Rhys era vagamente consapevole di Jenna intenta a combattere contro la creatura demoniaca richiamata da Krell. Il monaco non poteva fare niente per aiutare la maga, non certo col proprio nemico temibile da combattere, e immaginò che Jenna non avrebbe comunque apprezzato il suo aiuto. Con ogni probabilità l’avrebbe soltanto intralciata.

Rhys strinse saldamente il bastone, affrontando il nemico senza paura. Krell aveva un’armatura fatta di ossa e, nella mente di Rhys, erano le ossa di tutti coloro che erano stati uccisi da Krell. Krell aveva le mani macchiate di sangue. Puzzava di morte, la sua anima era schifosa e putrescente quanto il suo corpo.

Majere è noto per essere un dio paziente, dedito alla disciplina, che non cede all’emozione. Majere è rattristato dalle colpe dell’uomo, raramente incollerito. Pertanto insegna ai suoi monaci a usare la “disciplina misericordiosa” per fermare quanti vorrebbero fare del male a loro o ad altri, per impedire a quanti hanno intenti malvagi di commettere atti di violenza, senza però ricorrere alla forza. Punire, dissuadere, non uccidere.

Eppure ci sono occasioni in cui Majere conosce la furia. Occasioni in cui il dio non può più sopportare di vedere soffrire degli innocenti. La sua furia non è impetuosa e imprevedibile. La sua ira è mirata, controllata, poiché il dio sa che altrimenti ne verrà divorato. Pertanto insegna ai suoi seguaci a usare la collera come un’arma.

Non lasciatevi dominare dalla collera, viene insegnato ai monaci. Altrimenti sbaglierete la mira, vi tremeranno le mani e i piedi slitteranno.

Sebbene fossero trascorsi mesi da quel momento terribile, Rhys rammentava vividamente come fosse stato divorato dall’ira quando aveva osservato con orrore i corpi dei suoi confratelli assassinati. La collera e l’amarezza l’avevano accecato, facendolo precipitare nelle tenebre infernali. Adesso conosceva l’ira, ma questa volta era diversa. La furia del dio era fredda e pura, luminosa e infuocata come le stelle.

Jenna intonò l’ultima parola dell’incantesimo. Il minotauro infuriato le era tanto vicino che la maga aveva conati di vomito per l’odore schifoso di disfacimento proveniente da quel corpo in putrefazione, mentre in preda alla tensione attendeva l’effetto della magia.

Si deliziò di un’ondata di calore, un fremito formicolante che le percorse tutto il corpo. La magia le schiumò, ribollì e fluttuò nel sangue. Jenna la afferrò, la guidò, la scagliò fuori. La magia si scisse. Dalle dita di Jenna partirono fasci di luce colorata. Come se fosse riuscito ad afferrare un arcobaleno dal cielo scagliandolo sul minotauro, sette getti infuocati di luce rossa e arancione, gialla e verde, azzurra, indaco e violetta si riversarono sopra il suo nemico.

I fasci luminosi gialli scaricarono scosse di energia nel corpo del minotauro, dissolvendo l’empia magia che conferiva al cadavere quell’orribile parvenza di vita. Gli arti furono scossi da un tremito.

Il minotauro si contrasse dimenandosi. Il fascio luminoso rosso gli colpì la scure d’arme, mandandola in fiamme. Il raggio arancione prese a divorare quello che rimaneva della sua carne orribile.

Il raggio verde, veleno, non avrebbe avuto alcun effetto sul minotauro, ed evidentemente anche l’azzurro fallì, poiché il cadavere animato non si tramutò in pietra. Jenna pregò Lunitari che la potenza del raggio violetto funzionasse, poiché doveva rimandare il demone al suo creatore.

Il minotauro strillò orribilmente, barcollò verso di lei e poi scomparve.

Jenna si accasciò inerte sulla panca. Quell’incantesimo potente l’aveva prosciugata, lasciandola debole e tremante.

Sperava invocando il cielo che Rhys Mason riuscisse a eliminare quell’elemento dall’aspetto raccapricciante contro cui combatteva. Jenna riusciva a malapena a stare seduta dritta sulla panca, figurarsi a scagliare altri incantesimi.

“Alla tua età, dovresti essere più sensata”, si rimproverò stancamente. Poi sorrise. “Ma quello che hai creato era un incantesimo bellissimo, mia cara. Davvero splendido…”

L’asta di Krell volava verso di lui. Rhys saltò in alto, e l’asta con un sibilo cadde innocua ai suoi piedi. Ancora a mezz’aria, Rhys inarcò la schiena, fece una giravolta e atterrò lieve in piedi davanti allo sbalordito Krell. Rhys spostò la presa sull’emmide. Con un affondo colpì con l’estremità del bastone la corazza ossea di Krell. La forza del colpo incrinò la corazza e la clavicola sottostante, e spinse Krell all’indietro facendolo barcollare.

Dotato dal suo dio di un’armatura fatta di ossa dei morti, Krell si era considerato con soddisfazione invulnerabile davanti a spade, lance e frecce, e ora era stato ferito da un monaco armato di bastone. Soffriva per il dolore e, al pari di tutti i bravacci, era terrorizzato. Voleva che lo scontro avesse termine. Usando il braccio buono, Krell staccò dall’armatura un altro spuntone acuminato. Brandendolo come una spada e ruggendo imprecazioni, attaccò Rhys, sperando di spaventare il monaco e sopraffarlo con la pura forza bruta.

L’emmide scattò in fuori e mandò in frantumi la spada d’osso. Roteando il bastone fra le mani, Rhys si lanciò in una danza micidiale attorno a Krell, attaccandolo di fronte e ai fianchi e da dietro, colpendolo sull’elmo e sulla corazza, picchiandolo sulle spalle e sulle braccia, percuotendogli le gambe e le cosce. L’emmide troncò gli spuntoni ossei sulle spalle e ruppe un corno dell’ariete sull’elmo. Dovunque l’emmide toccasse l’armatura ossea, questa si incrinava e si spaccava.

Rhys conficcò l’emmide nelle crepe dell’armatura, allargandole. Parti dell’armatura presero a staccarsi cadendo a terra, e l’emmide colpì la carne tenera e flaccida sottostante. Le ossa si spezzarono, ma adesso erano le ossa di Krell, non quelle di qualche disgraziato cadavere. Un altro colpo spaccò in due l’elmo, che si staccò e rotolò qua e là sul pavimento.

Krell aveva il viso purpureo e gonfio. Gli colava sangue dalle ferite. In preda al dolore, ricoperto di lividi e insanguinato, cadde a terra in ginocchio riducendosi a un ammasso fradicio e insanguinato ai piedi di Rhys. Krell piagnucolava e biascicava frasi incomprensibili.

“Mi arrendo!” gridò, sputando sangue. “Risparmiami!”

Respirando a fatica, Rhys teneva d’occhio il bestione corpulento che gli tremava ai piedi. Poteva mostrare clemenza. Poteva risparmiare la vita a Krell. Rhys gli aveva inflitto la lezione della disciplina misericordiosa. Ma il monaco sapeva, con la lucidità della collera fredda del suo dio, che essere clemente con Krell sarebbe stata un’indulgenza eccessiva da parte di Rhys, un’indulgenza che gli avrebbe conferito una sensazione di giustizia e rettitudine, ma che avrebbe lasciato questo mostro libero di assassinare e torturare altre vittime.

Rhys vide Krell che lo osservava con la coda dell’occhio gonfio. Krell era sicuro di sé, certo che il monaco avrebbe mostrato clemenza. Dopo tutto, Rhys era un uomo buono, e gli uomini buoni erano deboli.

Rhys sollevò l’emmide. “Ci viene detto che le anime degli uomini lasciano questo mondo e passano all’altro, imparando dagli errori commessi in questa vita, acquisendo conoscenza fino ad arrivare al compimento del viaggio dell’anima. Ritengo che questo valga per la maggior parte degli uomini, ma non per tutti. Ritengo che ve ne siano alcuni, come te, tanto intimamente legati alla malvagità che l’anima si è rimpicciolita fin quasi a scomparire. Tu trascorrerai l’eternità intrappolato nelle tenebre, a rodere ciò che rimane di te stesso, a divorarti senza essere mai divorato.”

Krell lo fissò con gli occhi spalancati e terrorizzati.

Rhys lo colpì alla tempia con l’emmide.

Krell si rovesciò sul pavimento macchiato di sangue: era morto. Aveva gli occhi spalancati e fissi. Dalle labbra flaccide gli colava una schiuma insanguinata.

Rhys rimase a sorvegliare il bestione, con l’emmide pronto a colpire ancora. Sapeva che Krell era morto, ma intendeva accertarsi che rimanesse tale. Dopo tutto era servitore di un dio noto per riportare i morti a un’orribile parvenza di vita.

Krell non ebbe la minima contrazione. Alla fine persino Chemosh l’aveva abbandonato.

Rhys si rilassò.

“Ben fatto, monaco”, disse fiaccamente Jenna.

Aveva il viso stravolto, la pelle pallida, le spalle curve. Pareva troppo esausta per muoversi. Rhys accorse al suo fianco.

“Siete ferita, Vostra Signoria? Che posso fare per aiutarvi?” domandò Rhys.

“Niente, amico mio”, rispose lei, riuscendo a sorridere. “Non sono ferita. La magia riscuote il suo tributo. Ho solo bisogno di riposarmi un po’.”

Lo guardò intensamente. “E voi, fratello?”

“Non sono ferito, sia lode a Majere”, disse Rhys.

“Avete fatto la cosa più giusta, fratello. Uccidere quel bestione.”

“Spero che il mio dio sia d’accordo con voi, Vostra Signoria”, disse Rhys.

“Lo sarà. Sapete contro che cosa stavo combattendo io, fratello? Un Guerriero delle Ossa di Chemosh. Simili demoni non si vedevano su Krynn dall’epoca del Re-Sacerdote.”

Indicò il cadavere. “Quel mucchietto è… o era… un Accolito delle Ossa. Chemosh si è impadronito dell’anima disgraziata del minotauro, usando la sua furia per intrappolarlo. E probabilmente ce n’è più di uno. L’Accolito avrà avuto al suo servizio tutti i Guerrieri delle Ossa che ritenesse di poter comandare. E questi guerrieri sono micidiali, fratello. Forse i vostri confratelli stanno combattendo contro di loro, adesso”, soggiunse gravemente. “Uccidendo l’Accolito, avete reso più facile a chi combatte contro i Guerrieri delle Ossa distruggerli. L’Accolito li comanda e, una volta morto lui, i guerrieri impazziscono e combattono con furia cieca.”

Il fumo si era diradato. Gli incendi venivano domati, ma loro due udivano i rumori della battaglia che ancora infuriava all’esterno. Rhys si preoccupò per Nightshade e Mina invischiati in quel caos. Era ansioso di andare a cercarli, ma non voleva lasciare Jenna, specialmente se vi erano in giro altri Guerrieri delle Ossa.

Lei gli lesse nel pensiero e gli diede una pacca sulla mano. “Siete preoccupato per il vostro amico kender. È sano e salvo, perlomeno lo era l’ultima volta che l’ho visto. È stato lui a mandarmi in vostro soccorso. La signora Atta era con lui, e tutti e due stavano inseguendo Mina.” Jenna fece una pausa, poi disse: “Ho udito racconti strani sul suo conto, fratello. È per questo che sono venuta a Solace per andare a cercare Gerard, che una volta l’aveva conosciuta, almeno così mi è stato detto. Non vi farò perdere tempo chiedendovi dettagli. Voi dovete andare a cercarla, naturalmente. Ma posso esservi d’aiuto in qualche modo?”.

“Mi avete aiutato più che a sufficienza, Vostra Signoria. Sarei morto ormai se non fosse stato per voi.”

Jenna rise. “Fratello, non mi sarei persa questa cosa per tutto l’oro del mondo. Pensare che… ho combattuto contro un Guerriero delle Ossa di Chemosh! Dalamar sarà verde di invidia.”

Jenna gli diede per finta uno schiaffo sulla mano. “Andate a cercare la vostra piccola dea, fratello. Io starò bene qui. Posso cavarmela da sola.”

Rhys si alzò in piedi, ma esitava ancora.

Jenna inarcò le sopracciglia. “Se non ve ne andate, fratello, comincerò a pensare che mi consideriate un’anziana signora inerme e inferma, e mi sentirò estremamente offesa.”

Rhys si inchinò verso di lei con profondo rispetto. “Penso che siate una grandissima dama, Vostra Signoria Jenna.”

Lei sorrise di compiacimento e gli fece segno di allontanarsi.

“E poi, fratello”, gli gridò dietro Jenna mentre lui se ne andava, “desidero ancora quel cane in grado di fare la guardia ai kender che mi avete promesso!”.

Correndo via, Rhys promise a se stesso che Sua Signoria Jenna avrebbe avuto il cucciolo più bello della prima figliata di Atta.

9

Quando Rhys si spinse attraverso i giardini e oltre il prato anteriore fin sulla strada, le guardie cittadine erano ormai riuscite a riacquistare una parvenza di controllo della situazione. Rhys si fermò, sconvolto alla vista del massacro. La strada era disseminata di corpi, molti dei quali si muovevano e gemevano, ma alcuni erano senza vita. I ciottoli erano scivolosi per il sangue. Gli incendi erano stati domati, ma la puzza di bruciato gli faceva fremere le narici. Le guardie avevano bloccato la strada e ora che la battaglia era terminata erano impegnatissimi a tenere a bada amici e parenti che cercavano i loro cari.

Rhys non sapeva dove incominciare a cercare Nightshade, Mina e Atta. Vagò su e giù per la strada, chiamandoli per nome. Non ebbe risposta. Tutti quelli che vedeva erano ricoperti di fuliggine, di sporcizia e di sangue. Non riusciva a definire l’identità di una vittima semplicemente guardandone gli abiti, e ogni volta che vedeva steso sulla strada un cadavere delle dimensioni di un kender gli saliva il cuore in gola.

Pur continuando le ricerche, Rhys fece quello che poté per aiutare i feriti, sebbene (non essendo un sacerdote) potesse fare ben poco a parte offrire conforto e alleviare la paura assicurando loro che i soccorsi erano in arrivo.

Normalmente i feriti sarebbero stati condotti al tempio di Mishakal, poiché i sacerdoti di quella dea erano abili nella guarigione. Questo tempio però era stato danneggiato dall’incendio, e così fu aperto alle vittime il tempio di Majere, così come i templi di Habbakuk e Chislev. Tra i feriti erano all’opera sacerdoti di vari dei, che assistevano amici e nemici allo stesso modo, senza fare distinzioni.

In questo i sacerdoti erano aiutati dai mistici, che erano accorsi sul posto per offrire aiuto, e con loro erano giunti gli erboristi e i medici di Solace. I corpi dei defunti venivano trasportati al tempio di Reorx, dove riposavano in pace finché giungevano familiari e amici per sottoporsi al compito doloroso di identificarli e portarli via per la sepoltura.

Rhys si imbatté nell’abate, intento a organizzare i portantini. Molti dei feriti erano in condizioni terribili, e l’abate era estremamente occupato, poiché vi erano vite umane appese a un filo. Rhys detestava interrompere la sua opera, ma era quasi disperato. Non aveva ancora trovato i suoi amici. Il monaco stava per approfittare di un breve istante per chiedere all’abate se avesse visto Mina, quando scorse Gerard.

Lo sceriffo era imbrattato di sangue e zoppicava per una ferita alla gamba. Una guardia gli camminava accanto, supplicandolo di farsi curare. Gerard con rabbia ordinò all’uomo di andarsene, dicendogli di aiutare coloro che erano davvero feriti. La guardia esitò, poi (vedendo l’espressione minacciosa dello sceriffo) ritornò ai suoi compiti. Quando l’uomo se ne fu andato, Gerard, ritenendo che nessuno lo osservasse, si accasciò contro un albero, inspirò profondamente tremando e chiuse gli occhi con una smorfia.

Rhys accorse al suo fianco. Sentendo dei passi arrivare verso di lui, Gerard si drizzò bruscamente e cercò di allontanarsi come se nulla fosse. La gamba ferita gli cedette, e sarebbe caduto se Rhys non lo avesse soccorso adagiandolo a terra.

“Grazie, fratello”, disse a malincuore Gerard.

Ignorando le insistenze di Gerard secondo cui la ferita era soltanto un graffio, Rhys esaminò lo squarcio sulla coscia dello sceriffo. Il taglio era profondo e sanguinante. La lama aveva lacerato carne e muscolo e forse incrinato l’osso. Gerard sussultò, quando le dita di Rhys esplorarono la ferita, e imprecò sottovoce. I suoi occhi azzurri intensi luccicavano più di collera che di dolore.

Rhys aprì la bocca come per richiamare a gran voce un sacerdote. Gerard però non aspettò di sentirlo.

“Se dite una sola preghiera, fratello”, gli disse Gerard, “se pronunciate una sola parola sacra, ve la ricaccio in gola!”.

Rimase senza fiato per il dolore e si appoggiò all’indietro contro l’albero, gemendo sottovoce.

“Io sono un monaco di Majere”, disse Rhys. “Non dovete preoccuparvi. Io non ho il dono della guarigione.”

Gerard arrossì, vergognandosi del suo scatto. “Mi dispiace di avervi sgridato, fratello. È solo che ne ho fin qui dei vostri dei! Guardate che cosa hanno fatto i vostri dei alla mia città!”

Con un gesto indicò i corpi stesi sulla strada, i sacerdoti che si spostavano tra i feriti. “Gran parte del male che si fa in questo mondo si fa in nome di un dio o dell’altro. Senza di loro staremmo meglio.”

Rhys avrebbe potuto rispondere che si faceva anche un gran bene in nome degli dei, ma non era il momento di intavolare in una disputa teologica. Inoltre lui capiva Gerard. C’era stato un tempo in cui Rhys aveva provato gli stessi sentimenti.

Gerard scrutò il suo amico, poi emise un sospiro. “Non prestate attenzione a me, fratello. Non volevo dire quello che ho detto. Bè, non del tutto. La gamba mi fa un male d’inferno. E oggi ho perso alcuni uomini validi”, soggiunse arcigno.

“Mi dispiace”, disse Rhys. “Mi dispiace davvero. Sceriffo, detesto disturbarvi adesso, ma devo domandarvelo. Avete…” Rhys si sentì inaridire la gola mentre poneva la domanda. “Avete visto da qualche parte Nightshade?”

“Il vostro amico kender?” Gerard scrollò il capo. “No, non l’ho visto, ma non vuol dire. Là fuori c’era soltanto un caos sanguinoso, tra il fumo, il fuoco e quegli orribili demoni morti viventi che massacravano chiunque incontrassero.”

Rhys sospirò profondamente.

“Nightshade ha più buon senso del consueto, per essere un kender”, disse Gerard. “Atta è con lui? Quel cane è più in gamba di molte persone di mia conoscenza. Probabilmente è tornato alla taverna. È la serata di pollo e biscotti, sapete…”

Cercò di sorridere, ma inspirò con forza e ondeggiò avanti e indietro, imprecando sottovoce. “Che male!”

Il posto migliore per Gerard sarebbe stato in uno dei templi, ma Rhys sapeva fin troppo bene come lo sceriffo avrebbe accolto il suggerimento.

“Perlomeno lasciate che vi aiuti a tornare alla taverna, amico mio”, suggerì Rhys, sapendo che Gerard sarebbe stato in mani sicure con Laura a prendersi cura di lui. Gerard acconsentì e con riluttanza permise a Rhys di aiutarlo a rimettersi in piedi.

“Ho la ricetta di un impiastro che allevia il dolore e consente alla ferita di guarire come si deve”, gli disse Rhys, cingendolo col braccio.

“Non ci mettete dentro anche una preghiera, vero, fratello?” domandò Gerard burbero, appoggiandosi all’amico.

“Potrei dire due paroline a Majere per vostro conto”, rispose Rhys, sorridendo. “Ma farò in modo che non mi sentiate.”

Gerard grugnì. “Appena raggiungiamo la taverna, spargerò la voce riguardo al kender.”

Avevano percorso solo una breve distanza quando divenne chiaro che Gerard non poteva proseguire senza un aiuto più consistente di quello che potesse offrirgli Rhys. A causa della perdita di sangue lo sceriffo ormai era troppo debole per opporsi, e Rhys chiamò aiuto. Tre giovanotti robusti giunsero immediatamente in suo soccorso. Issando Gerard su un carro, lo condussero alla taverna e lo trasportarono su per le scale fino a una camera. Laura si diede da fare attorno a lui, aiutando Rhys a preparare l’impiastro, pulendo e fasciando la ferita.

Laura si preoccupò molto sentendo che Nightshade era disperso. In risposta alla domanda di Rhys, replicò che il kender non era ritornato alla taverna. Non l’aveva visto tutta la mattina. Era tanto preoccupata per il kender che Rhys non ebbe cuore di dirle che aveva perso anche Mina. In risposta alle domande ansiose di Laura disse che Mina era con un amico. Non era propriamente una bugia. Lui sperava che fosse con Nightshade.

Gerard si lamentò aspramente dell’odore dell’impiastro, giurando che questo l’avrebbe ucciso se non ci avesse pensato la ferita. Rhys interpretò le lamentele dello sceriffo come indizio del fatto che si sentisse meglio.

“Vi lascerò riposare un po’”, disse Rhys preparandosi ad accomiatarsi.

“Non andatevene, fratello”, disse nervosamente Gerard. “Fra la puzza di questa roba vischiosa che mi avete messo addosso e il dolore, non riuscirò a dormire. Sedetevi e parlate con me. Tenetemi compagnia. Distraetemi la mente da queste cose. E smettetela di camminare su e giù per la stanza. Riceveremo presto notizie del vostro kender. Che cosa c’è poi nella poltiglia che mi avete messo addosso?” domandò sospettoso.

“Piantaggine, pimento, corteccia, zenzero, pepe di cayenna e chiodi di garofano”, rispose Rhys.

Non si era reso conto di camminare su e giù e si costrinse a fermarsi. Sentiva di dover essere là fuori a condurre una ricerca attiva, però era il primo ad ammettere di non avere idea di dove cominciare a cercare. Gerard aveva detto alle sue guardie di stare all’erta riguardo al kender e al cane e di spargere la voce fra la popolazione. Non appena avessero avuto notizie dei dispersi, le avrebbero riferite a Gerard.

“Una volta che trovo il kender, non voglio essere costretto a rincorrere voi”, disse Gerard a Rhys, il quale ammise che era logico.

Rhys portò una sedia accanto al letto di Gerard e si sedette. “Raccontatemi che cosa è successo nella Via dei Templi”, disse Rhys.

“Hanno cominciato i sacerdoti e i seguaci di Chemosh”, rispose Gerard. “Hanno dato fuoco al tempio di Sargonnas e poi hanno cercato di incendiare il tempio di Mishakal scagliando dentro tizzoni ardenti, mentre altri hanno incominciato a uccidere. Hanno evocato due demoni che erano come mostri tratti da qualche incubo dovuto alla febbre. Indossavano armature fatte di ossa, avevano le interiora che fuoriuscivano e uccidevano tutto quello che si muovesse. Li guidava una sacerdotessa di Chemosh. Ci sono voluti i paladini di Kiri-Jolith per annientarli alla fine, ma solo dopo che quei mostri morti viventi si erano ribellati contro la sacerdotessa facendola a pezzi.”

Gerard scrollò il capo. “Quello che trovo maledettamente strano è perché i seguaci di Chemosh abbiano fatto tutto questo in piena luce del giorno. Quegli spettri in genere operano le loro malefatte col favore delle tenebre. Sembra quasi che fosse una sorta di diversivo…”

Lo sceriffo fece una pausa, osservando attentamente Rhys.

“E stato un diversivo, vero?” Gerard sbatté la mano sul copriletto. “Lo sapevo che in qualche modo c’entravate voi. Mi dovete una spiegazione, fratello. Ditemi, in nome del cielo, che cosa sta succedendo.”

“È un modo appropriato di esprimersi. Vi spiegherò”, disse Rhys con un sospiro malinconico, “ma voi troverete difficile credere al mio racconto. La storia non incomincia da me. Incomincia dalla donna che voi conoscete come Mina…”.

Riferì la storia, per quanto la conoscesse. Gerard ascoltò in silenzio, stupito. Tacque finché Rhys giunse al termine del racconto, riferendo di come avesse ucciso Krell, quindi Gerard scrollò il capo.

“Avete ragione, fratello. Non sono sicuro di crederci. Non che io dubiti della vostra parola”, si affrettò a soggiungere, “è soltanto che è… tanto poco plausibile. Una nuova divinità? Ci mancava proprio questo! E per giunta una divinità impazzita! E allora…”.

Furono interrotti da un colpo alla porta. Rhys aprì e trovò una delle guardie cittadine in compagnia di una donna anziana che indossava abiti da viaggio.

La guardia si toccò la fronte in segno di rispetto verso Rhys, quindi parlò a Gerard. “Ho informazioni su quel kender che stavate cercando, sceriffo. Questa signora lo ha visto.”

“È vero, sceriffo”, disse in modo sbrigativo la donna. “Io sono rimasta vedova di recente. Io e mio marito avevamo una fattoria, a nord di qui. L’ho venduta: troppo difficile gestirla, per me, e così mi sto trasferendo a Solace per vivere con mia figlia e suo marito. Eravamo per la strada stamattina, e ho visto un kender come quello descritto. Viaggiava con un cane bianco e nero e una bambina.”

“Siete sicura che fossero loro, signora?” domandò lo sceriffo.

“Sì, sceriffo”, disse la donna, incrociando con vanità le mani sotto il mantello. “Me li ricordo perché ho pensato che fosse inconsueto vedere un terzetto così strano, e il kender e la bambina se ne stavano in mezzo alla strada a litigare per qualcosa. Io stavo per fermarmi a vedere se potessi aiutarli, ma Enoch (è mio genero) ha detto che non devo parlare ai kender, a meno che non voglia essere derubata di tutto. Qualunque cosa facesse il kender, probabilmente non era niente di buono e non era affar nostro. Io non ne ero sicura. Sono una madre, e a me pareva che la bambina stesse scappando di casa. Mia figlia ha fatto la stessa cosa a quell’età. Ha raccolto le sue cosine in un sacco di iuta ed è partita. Non è andata lontano perché le è venuta fame ed è tornata indietro, ma io ero mezza morta di paura. Mi ricordo che cosa ho provato, e la prima cosa che ho fatto quando abbiamo raggiunto Solace è stata di dire a una guardia quello che avevo visto. Mi ha detto che voi stavate cercando questo kender, e così ho pensato di venire a dirvi quello che ho visto e dove l’ho visto.”

“Grazie, signora”, disse Gerard. “Avete visto per caso se proseguivano per la strada verso nord?”

“Quando mi sono voltata indietro la bambina stava camminando per la strada, diretta a nord. Il kender e il cane la seguivano più indietro.” “Grazie ancora, signora. La benedizione di Majere sia su di voi”, disse Rhys raccogliendo il bastone.

“Buona fortuna, fratello Rhys”, disse Gerard. “Non voglio dire che sia stato un piacere conoscervi, perché non mi avete portato che guai. Dirò che è stato un onore.”

Tese la mano. Rhys gliela prese, stringendola calorosamente.

“Grazie per tutto il vostro aiuto, sceriffo”, disse. “Lo so che voi non credete negli dei, ma (come ha detto qualcuno una volta a un mio amico) loro credono in voi.”

Rhys uscendo si fermò a dire a Laura che Nightshade era stato individuato e che lui, il kender e Mina avrebbero ripreso il loro viaggio.

“È una bambina tanto cara e dolce. Cerca di fare in modo che si faccia un bagno ogni tanto, fratello”, gli disse Laura e lo spedì in viaggio con un abbraccio e lacrime e tutto il cibo che lui potesse trasportare e che accettò di prendere.

Guardando fuori dalla finestra, Gerard osservò il monaco nella sua consunta veste arancione farsi strada con discrezione tra la folla, prendendo la strada che conduceva a nord.

“Chissà se saprò mai come va a finire questa strana storia”, si domandò Gerard. Sospirò profondamente e tornò a distendersi sui cuscini. “Non vedo venirne fuori nulla di buono, questo è certo.”

Stava proprio per mettersi a dormire quando arrivò una guardia per informare lo sceriffo che una folla inferocita stava sfogando la sua furia contro il tempio di Chemosh.

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