CAPITOLO TERZO

La strada era qua e là illuminata dalle lanterne blu e bianche appese ai carretti degli schiavi. Una fiu­mana multicolore di persone nei costumi nazionali e regionali, si dirigeva verso la Plaza, dopo aver oltre­passato l’A’Chigua.

Martinho accelerò il passo, guidando i suoi uomini fra la calca. Al loro passaggio la gente si faceva da parte mormorando.

«È Joao Martinho coi suoi Irmandades.»

«…quelli della Piratininga con Benito Alvarez.»

«Joao Martinho…»

Nella Plaza, un autocarro bianco dei bandeirantes Hermosillo aveva i fari puntati sulla fontana. Altri autocarri e numerose auto della polizia sostavano in mezzo al passaggio. Da come si presentava, il ca­mion degli Hermosillo doveva essere appena ritor­nato dal retroterra. I parafanghi estensibili erano ancora sporchi di terra. Nella capsula anteriore si potevano chiaramente distinguere delle incrostazio­ni di terra: una striscia netta che scorreva tutt’intorno al veicolo. Evidentemente l’autocarro era sta­to utilizzato per scavare un campo.

Martinho seguì la traiettoria dei fari e, accompa­gnato dai suoi uomini, si diresse verso la fila di po­liziotti e bandeirantes che trattenevano la folla. «Dov’è Ramon?» chiese.

Vierho gli si fece più vicino. «Ramon è andato a prendere l’autocarro con Thome e Lon. Capo, non vedo la pulce.»

«Guarda là», fece Martinho indicando la fontana.

La folla era stata fatta indietreggiare ed era dispo­sta in cerchio a una cinquantina di metri dalla fon­tana centrale che si ergeva maestosa con un gioco di getti d’acqua luminosi. Di fronte alla folla scorreva un muretto circolare, le cui mattonelle formavano un mosaico raffigurante varie specie di uccelli bra­siliani. All’interno di questo anello, si elevava un’aiuola verde di circa venti metri di diametro, al centro della quale era situata la vasca della fonta­na. Tra la decorazione a mosaico e la fontana l’aiuola presentava qua e là chiazze gialle di erba brucia­ta. Martinho indicò le macchie una per una.

«Acido», mormorò Vierho.

I fari si spostarono bruscamente per illuminare un movimento dietro il getto d’acqua nel bordo del­la fontana. Un sibilo attraversò la folla come un’im­provvisa folata di vento.

«Eccola», fece Martinho. «Adesso lo scettico fun­zionario dell’OIE dovrà crederci.»

Aveva appena finito di parlare quando uno spruz­zo luccicante proveniente dalla creatura si inarcò sull’aiuola.

«Ihhh, uhhh», urlò la folla.

Martinho percepì un debole lamento alla sua sini­stra. Si girò e vide che un medico veniva diretto ver­so il carro degli Hermosillo. Nel farsi strada tra la calca, teneva la borsa sollevata sul capo.

«Chi è stato colpito?» chiese Martinho.

Un poliziotto alle sue spalle rispose: «Si tratta di Alvarez. Ha cercato di catturare quella… cosa, ma aveva con sé soltanto uno scudo protettivo e un fu­cile a gas. Lo scudo non era sufficientemente gran­de per ripararlo dalla rapidità degli spruzzi. La pul­ce lo ha colpito a un braccio».

Vierho diede uno strattone alla manica di Martinho e indicò in direzione della folla alle spalle del poli­ziotto. Rhin Kelly e Chen-Lhu stavano avanzando tra i curiosi che, riconosciuto il distintivo dell’OIE, si facevano da parte.

Rhin, agitando la mano, urlò: «Senhor Martinho… quella cosa, è incredibile. Come minimo è lunga set­tantacinque centimetri. Deve pesare tre o quattro chili».

«Non credono ai propri occhi», osservò Vierho.

«Ci faccia passare, per favore», chiese Chen-Lhu al poliziotto che poco prima aveva parlato di Alvarez.

«Come? Oh… Sì, signore.» La fila di poliziotti si separò.

Chen-Lhu si fermò accanto al capo bandeirante, lanciò un’occhiata a Rhin, quindi si volse nuovamen­te a Martinho. «Eppure, continuo a non crederci. Non so che cosa darei per toccare con mano quella… cosa.»

«Che cosa non crede?» chiese Martinho.

«Penso che si tratti di una specie di automa. Non ti pare, Rhin?»

«Deve essere così», rispose lei.

«Quanto vuole scommettere?» incalzò Martinho.

«Diecimila cruzados.»

«Per favore, tenga lontano l’affascinante dottor Kelly.» Poi si rivolse a Vierho: «Come mai non si vede ancora Ramon con l’autocarro? Vallo a cercare. Voglio il nostro schermo di vetro e il fucile a gas».

«Capo!»

«Muoviti. E procurati anche una provetta di gros­se dimensioni.»

Vierho sospirò e si allontanò per eseguire l’ordine.

«Secondo lei cos’è quella cosa?» chiese Chen-Lhu.

«Non sta a me dirlo.»

«Vuole insinuare che si tratti di una di quelle cose che soltanto i bandeirantes hanno veduto?»

«Non smentisco ciò che i miei stessi occhi hanno veduto.»

«Quello che non mi spiego è come mai a noi non sia mai capitato di imbatterci in simili esemplari», meditò Chen-Lhu a voce alta.

Martinho soffocò a fatica uno scatto d’ira. Questo buffone, qui al sicuro nella zona Verde, osa mettere in dubbio quello che i bandeirantes hanno effettiva­mente veduto.

«Non trova che la mia osservazione sia giusta?»

«Dobbiamo ritenerci fortunati solo per il fatto di aver salva la vita», borbottò Martinho.

«Qualsiasi entomologo le direbbe che quella cosa è un’impossibilità materiale», fece Rhin.

«La materia non può sostenere una simile struttu­ra con quel genere di attività», affermò Chen-Lhu.

«Condivido l’opinione di voi entomologi», disse Martinho.

Rhin lo fissò stupita. Rimase sorpresa del suo rab­bioso cinismo. Attaccava, ma nello stesso tempo non rimaneva sulle difensive. Agiva come se fosse vera­mente convinto che quell’essere straordinario, là nel­la fontana, fosse in effetti un insetto gigantesco. Ma poco prima, al cabaret, aveva ragionato diversamente.

«Ha visto cose simili nella giungla?» domandò Chen-Lhu.

«Non ha notato la cicatrice sul viso di Vierho?»

«Che cosa può dimostrare una cicatrice?»

«Abbiamo visto… quello che abbiamo visto.»

«Ma un insetto non può raggiungere simili pro­porzioni!» protestò Rhin. Concentrò lo sguardo su quell’oscura creatura che si agitava lungo il bordo della fontana, al di là della cortina d’acqua.

«Così sembra», ribatté Martinho. Quindi ripensò alle voci che gli erano giunte dalla Serra Dos Parecis. Una mantide lunga tre metri. Sapeva come controbattere simili affermazioni. Rhin… la scien­za avevano ragione. Gli insetti non potevano assu­mere una simile struttura fisica. Era possibile che quelle cose fossero degli automi? Chi avrebbe po­tuto costruirle? E per quale motivo?

«Devono essere creature meccaniche», asserì Rhin.

«Tuttavia l’acido è autentico», osservò Chen-Lhu. «Guarda quelle chiazze gialle sull’aiuola.»

Martinho dovette ammettere che la sua basilare esperienza lo costringeva a convenire con Rhin e Chen-Lhu. Si era persino rifiutato di credere all’esi­stenza della mantide gigantesca. Sapeva che le chiac­chiere spesso degeneravano. Quel giorno nella zona Rossa c’erano praticamente solo i bandeirantes. E non si poteva certo negare che molti di loro fossero ignoranti, superstiziosi, attratti dal denaro e facil­mente suggestionabili. Scosse il capo. Eppure lui stes­so era presente quel giorno in cui Vierho era stato investito dall’acido. Aveva visto… quello che aveva visto. E adesso, quella creatura là nella fontana.

Il cigolio delle ruote degli autocarri lo riportò alla realtà. Il rumore si faceva sempre più stridulo. La folla indietreggiò per permettere all’autocarro di Ramon di fare marcia indietro e di accostarsi a quello degli Hermosillo. Lo sportello posteriore si aprì e Vierho saltò giù non appena il motore si spense.

«Capo», chiamò. «Perché non utilizziamo l’auto­carro? Ramon potrebbe avvicinarlo il più possibile alla…»

Martinho gli fece cenno di tacere, quindi si rivolse a Chen-Lhu. «Il camion non ha sufficiente manovra­bilità. Ha visto come sono veloci i movimenti di quella cosa.»

«Non mi ha ancora detto che cosa ne pensa», fe­ce Chen-Lhu.

«Glielo dirò quando avrò visto quella cosa dentro una provetta», rispose Martinho.

Vierho gli si accostò e disse: «Ma con il carro po­tremmo…»

«No! Il dottor Chen-Lhu vuole un esemplare in buo­no stato. Procurati delle bombe schiumogene. Ci andiamo a piedi.»

Vierho sospirò, quindi, alzando le spalle, si avviò verso la parte posteriore del carro e scambiò qual­che parola con un compagno. Questi cominciò a pas­sargli il materiale.

Martinho si rivolse al poliziotto che aiutava a trattenere la folla. «Può far avere un messaggio a quelle auto là in sosta?» disse.

«Certamente, signore.»

«Voglio che spengano i fari. Non vorrei rimanere abbagliato mentre sto lavorando. Mi capisce?»

«Comunico subito il messaggio, signore.» Si girò di scatto e andò a dare ordini a un funzionario in fondo alla fila.

Martinho si precipitò verso il camion, prese un fucile a gas ed esaminò il caricatore. Quindi lo estras­se e ne prese uno dalla rastrelliera fissata alla por­tiera del camion. Inserì il nuovo caricatore e lo esa­minò. «Lascia qui la provetta finché non avremo im­mobilizzato quella… cosa», disse. «Verremo a pren­derla in seguito.»

Vierho fece scivolare all’esterno lo schermo pro­tettivo: uno scudo di vetro temperato di due centimetri di spessore, resistente agli acidi, montato su un carrello a due ruote e manovrabile a mano. In una fessura laterale era stato infilato il fucile.

Dal camion un bandeirante porse due tute protet­tive: due strati di una fibra di vetro grigio-argentea rivestita di un tessuto sintetico resistente agli acidi.

Martinho ne infilò una e controllò le chiusure ermetiche. Vierho indossò l’altra.

«Thome potrebbe aiutarmi con lo scudo», fece Martinho.

«Non ha molta esperienza, capo.»

Martinho annuì e prese a controllare le bombe schiumogene e l’equipaggiamento supplementare, quindi appese degli altri caricatori nella rastrelliera dello scudo.

Tutto fu eseguito in silenzio e con la massima ra­pidità, con quell’abilità conseguita dopo una lunga esperienza. La folla dietro l’autocarro aspettava in silenzio, un’attesa carica di tensione. Solo un leggero brusio circondava il camion.

«È ancora là nella fontana, capo», fece Vierho. Impugnò il manico dello schermo protettivo e lo di­resse verso le piastrelle che decoravano il pavimento. La ruota destra si fermò sulla figura di un condor dipinta in una gradazione di blu.

Martinho ripose il fucile nella fessura e disse: «Sa­rebbe più semplice se dovessimo limitarci a soppri­merla».

«Quelle cose sono veloci come una saetta», os­servò Vierho «È una faccenda che non mi piace, capo. Se lo scudo non dovesse ripararci…» Si toccò la manica della tuta. «Questa qui diventerebbe co­me una carta assorbente.»

«Dobbiamo manovrare lo scudo con molta atten­zione.»

«Farò del mio meglio, capo.»

Martinho studiò la creatura, immobile sul bordo della fontana, dietro la cortina d’acqua e disse: «Va’ a prendere una torcia elettrica. Forse riusciamo ad abbagliarla».

Vierho bloccò lo scudo e si precipitò verso il ca­mion. Riapparve dopo pochi minuti con una torcia appesa alla cintura della tuta.

«Andiamo», ordinò Martinho.

Vierho allentò il freno dello scudo e avviò il mo­tore che emise un debole ronzio. Spostò di due tac­che la leva di comando e lo scudo avanzò lentamen­te, sollevandosi per superare il cerchio di mattonel­le in rilievo, quindi si fermò nell’aiuola.

Uno spruzzo di acido scaturì dalla creatura e schizzò sull’erba a dieci metri da loro. Un fumo bian­castro si levò dall’aiuola e, sospinto da una leggera brezza, si dissolse alla loro sinistra.

Martinho notò la direzione della brezza e ordinò a Vierho di girare lo scudo controvento.

Un altro getto di acido ricadde vicino a loro, qua­si alla stessa distanza.

«Sta cercando di dirci qualcosa, capo», scherzò Vierho.

Lentamente le si avvicinarono, attraversando una chiazza di erba ingiallita.

Un ulteriore spruzzo d’acido si levò dal bordo del­la fontana.

Vierho spostò il carrello all’indietro. L’acido schiz­zò il vetro e scivolò sulla parte anteriore del carrel­lo. Un odore acre li investì.

Un mormorio concitato si levò dalla folla radunata attorno alla Plaza.

«Sono pazzi a rimanere così vicini», fece Vierho. «Se quella cosa dovesse attaccare…»

«Qualcuo le sparerebbe addosso», ribatté Martinho. «E sarebbe la fine della pulce.»

«La fine di un esemplare per le ricerche del dottor Chen-Lhu», proseguì Vierho, «e addio ai dieci­mila cruzados».

«Sì», proseguì Martinho, «non dobbiamo dimen­ticare la ragione per cui corriamo un simile rischio».

«Non penserai che lo faccia per divertimento», disse Vierho e spostò in avanti lo scudo di un altro metro.

Una nuvola di vapore si addensò nel punto in cui l’acido era ricaduto.

«Ha intaccato il vetro!» esclamò Vierho in tono sbalordito.

«Dall’odore sembra acido ossalico», affermò Mar­tinho. «Deve essere anche più potente. Fa’ attenzio­ne, adesso. Non dobbiamo mancare il bersaglio.»

«Perché non provi con una bomba fumogena?»

«Vierho!»

«Ahhh, sì, l’acqua.»

La creatura cominciò a scivolare lungo la fontana alla loro destra. Vierho girò lo scudo per difendersi dal nuovo attacco. La creatura si fermò, quindi re­trocesse.

«Aspetta un momento», disse Martinho. Studiò la creatura attraverso un punto nitido del vetro.

Si spostava avanti e indietro, chiaramente visibile sullo sfondo oscuro della folla. Aveva le stesse ca­ratteristiche del suo piccolo omonimo, esattamente come una caricatura potrebbe evidenziarle. Le se­zioni del suo corpo erano sorrette da zampe nervate ricoperte di ispida peluria. Le antenne, rigide e ba­gnate sulla punta, brillavano alla luce dei fari. D’un tratto sollevò la proboscide e schizzò una gran quan­tità di liquido in direzione dello scudo.

Martinho si abbassò di scatto. «Dobbiamo avvici­narci ancora», disse, «non dobbiamo darle il tempo di riprendersi, dopo averla stordita».

«Con che cosa è caricato il fucile, capo?»

«Con una miscela speciale: solfuro diluito e su­blimato corrosivo in una capsula di butile che a con­tatto dell’aria si condensa. Voglio fare in modo che le zampe si aggroviglino.»

«Mi auguro che tu abbia anche qualcosa per ot­turare il foro della proboscide.»

«Muoviti, vecchio mio», lo esortò Joao.

Vierho avvicinò a sé lo scudo e si sporse per scru­tare attraverso la nube provocata dall’acido.

La pulce gigante saltò lateralmente, si girò, sfrec­ciò a destra lungo il bordo della fontana. D’un trat­to fece un giro su se stessa e spruzzò un abbondante getto d’acido nella loro direzione. Il liquido, illumi­nato dai fari dei camion, scintillava come una casca­ta di gioielli.

Vierho riuscì a stento a spostare lo scudo per di­fendersi da questo ulteriore attacco. «Al diavolo i diecimila cruzados!» brontolò. «Non mi va di ri­schiare la pelle in questo modo. Non siamo dei toreri, noi.»

«Questo non è un toro, fratello. Non ha le corna.»

«Ti dirò che preferirei avesse le corna.»

«Stiamo perdendo tempo in chiacchiere», fece Martinho. «Avviciniamoci ancora, d’accordo?»

Vierho spinse in avanti lo scudo fino ad arrivare a soli due metri dalla creatura. «Spara!» sibilò.

«Un colpo solo», disse Martinho. «Non dobbiamo danneggiare l’esemplare. Il dottor Chen-Lhu lo vuole intatto.»

E pensò: Anch’io lo voglio.

Puntò il fucile contro la creatura, ma questa bal­zò prima sull’aiuola, poi ritornò sul bordo della fon­tana. Un urlo si levò dalla folla.

Martinho e Vierho si acquattarono per osservare la loro preda che continuava a saltare avanti e in­dietro sull’aiuola.

«Perché diavolo non si ferma un momento?» fe­ce Martinho.

«Capo, se dovesse saltare sotto lo scudo, saremmo rovinati. Che cosa aspetti? Falla fuori!»

«Devo essere sicuro di centrarla.»

Fece oscillare il fucile da una parte e dall’altra, se­guendo i movimenti dell’instancabile insetto. Ogni volta sfuggiva alla loro visuale per spostarsi sempre più verso destra. Improvvisamente si girò e sfrecciò verso il lato opposto attorno al bordo della fontana. Ora l’intera cortina d’acqua li separava dalla preda, ma i fari ne avevano seguito la ritirata e potevano segnalarne la posizione. In quel momento Martinho fu colto dal sospetto che la cosa stesse cercando di attirarli in un tranello. Sollevò lo schermo visivo della tuta e si asciugò la fronte con la mano sinistra. Era madida di sudore. La notte era calda, sebbene lì, vicino alla fontana, ci fosse una frescura carica di umidità, mescolata all’odore amarognolo dell’acido.

«Siamo nei guai», mormorò Vierho. «Con la fon­tana di mezzo, come faremo a catturarla?»

«Andiamo», disse Martinho. «Se rimane dov’è, faccio uscire un’altra squadra. Allora non potrà sfuggirci.»

Vierho prese a manovrare lo scudo lateralmente attorno alla fontana. «Sono ancora dell’idea che avremmo dovuto utilizzare il camion», affermò.

«Troppo grande e ingombrante», replicò Martinho. «Inoltre avrebbe potuto spaventarla tanto da indurla a cercare riparo fra la folla, mentre così può pensare di avere una via di scampo.»

«Sono d’accordo con te, capo.»

In quel momento la pulce gigante sfrecciò verso di loro, poi si fermò e strisciò all’indietro tenendo la proboscide rivolta verso lo scudo. Sembrava un ber­saglio sicuro, ma la grande quantità di acqua che sgorgava fra la bestia e Martinho impedì a quest’ul­timo di sparare.

«Abbiamo il vento alle spalle, capo», osservò Vierho.

«Lo so. Speriamo che non le salti in mente di spruzzare acido in questo momento. Il vento ce lo farebbe ricadere sulla schiena.»

La pulce si ritrasse in una zona in cui la struttura superiore della fontana la riparava dalla luce acce­cante dei fari. Andava avanti e indietro nella zona buia, un movimento oscuro attraverso la cortina di acqua.

«Capo, ho idea che quella cosa non rimarrà lag­giù a lungo.»

«Tieni lo scudo un momento», disse Martinho. «Credo che tu abbia ragione. Dobbiamo sgombrare la piazza. Se le saltasse in mente di assalire la folla, qualcuno potrebbe farsi del male.»

«Hai detto una cosa giusta.»

«Vierho, prendi la torcia e vedi di abbagliarla, nel frattempo mi sposterò sulla destra e cercherò di colpirla a distanza.»

«Capo!»

«Hai un’idea migliore?»

«Almeno spingiamo il carrello più avanti, là nel­l’aiuola. Così non saresti troppo vicino se…»

Ancora nascosta all’ombra della fontana, la pulce balzò sull’aiuola.

Vierho alzò la torcia e un fascio di luce bianco-azzurra inondò la creatura. «Dio mio, capo! Ammaz­zala.»

Martinho fece roteare il fucile per puntarlo nella nuova direzione, ma la fessura dello scudo gli bloc­cò il movimento a metà. Imprecò e afferrò la leva di comando, ma, prima che potesse girare lo scudo, una sezione dell’aiuola, illuminata a giorno dalla lu­ce della torcia, si sollevò dietro la pulce come una botola. Una sagoma nera, sormontata da qualcosa che sembrava una testa tricorne, emerse parzialmen­te dal buco con un suono simile a uno stridulo ri­chiamo.

La pulce sfrecciò oltre la sagoma misteriosa e scomparve nel buco.

Adesso la folla urlava, un frastuono assordante mi­sto a rabbia, paura ed eccitazione selvaggia riempi­va l’atmosfera della Plaza.

Ciononostante, Martinho poté udire la voce di Vie­rho che recitava una preghiera, quasi una cantilena: «Santa Maria, Madre di Dio…»

Martinho cercò di spinger lo scudo verso la crea­tura nascosta nel buco, ma Vierho, che invece voleva retrocedere, glielo impedì. Lo scudo fece un giro su se stesso e i due rimasero allo scoperto, mentre là nell’aiuola la sagoma nera si sollevava di un altro mezzo metro. Martinho poteva vederla distintamen­te immersa nel chiarore della torcia: la cosa asso­migliava a un gigantesco cervo volante, alto più di un uomo e con tre corna.

Disperatamente, Martinho sfilò il fucile e lo puntò contro la sagoma mostruosa.

«Capo, capo, capo!» insisteva Vierho.

Martinho puntò l’arma e fece partire una scarica in direzione della creatura.

La miscela velenosa la investì in pieno e l’avvolse.

La creatura, con la gigantesca mole contorta per l’effetto dello spruzzo, esitò, quindi emerse ulterior­mente dalla tana con un grido stridulo simile a un grugnito che risuonò distintamente al di sopra delle urla della folla.

All’improvviso un silenzio agghiacciante scese sul­la Plaza, mentre la creatura enorme sovrastava la folla… un mostro corazzato verde, nero e luccicante, con una mole che superava di un metro quella di un uomo.

Martinho poté udire un suono, uno strano gorgo­glio simile a quello della fontana, ma più distinto.

Con cautela puntò nuovamente il fucile contro la testa tricorne e in dieci secondi svuotò il caricatore. Il mostro si impennò minaccioso e parve lottare con­tro la nube appiccicosa di gas, quindi indietreggiò e scomparve nella sua tana.

«Capo, andiamocene da qui», insisteva Vierho. «Per favore, capo.» Girò lo scudo in modo che fun­gesse da barriera tra loro e l’insetto gigantesco. «Per favore», ripeté, tentando di far retrocedere Mar­tinho con lo scudo.

Martinho prese un altro caricatore, lo infilò nel fucile e con la mano sinistra afferrò una bomba schiu­mogena. Era come svuotato di qualsiasi emozione, ma sentiva impellente la necessità di attaccare quel mostro e di ucciderlo. Fece per lanciare la bomba quando si accorse che il carrello era come inchiodato al terreno. Alzò lo sguardo e scorse una massa com­patta di liquido che dalla creatura mostruosa si ri­versava sul carrello.

«Scappa!» urlò Vierho.

Fecero un balzo indietro, trascinando via lo scudo.

Non appena si trovarono fuori bersaglio, l’attacco cessò. Martinho si fermò e guardò indietro. Sentiva Vierho tremante accanto a sé. L’oscura creatura sta­va lentamente scomparendo nella sua tana. Era la ritirata più minacciosa a cui Martinho avesse mai assistito. Dai suoi movimenti trapelava chiaramen­te l’intenzione di ritornare all’attacco. In breve scom­parve dalla vista e la sezione dell’aiuola si chiuse dietro di essa.

Come se quello fosse stato un segnale, le grida del­la folla si alzarono tutt’intorno alla Plaza. Martinho poteva captare la paura nelle voci della gente anche se non riusciva a distinguere le parole.

Sollevò lo schermo visivo della tuta e rimase in ascolto. Gli giungevano parole simili a grida acute, frasi spezzettate: «È un insetto mostruoso?» «Hai udito le voci che giungono dalla costa?» «L’intera regione rischia di essere infestata!» «…al convento del Monte Ochoa… l’orfanotrofio…»

La stessa domanda veniva continuamente ripetuta in ogni angolo della Plaza: «Che cos’era?» «Che cos’era?» «Che cos’era?»

Martinho avvertì la presenza di qualcuno alla sua destra, si volse e scorse Chen-Lhu con gli occhi fissi nel punto in cui la forma nera era scomparsa. Non c’era traccia di Rhin Kelly.

«Sì, Johnny», disse Chen-Lhu. «Che cos’era?»

«Sembrava un enorme cervo volante», rispose Martinho, sorpreso della calma che traspariva dalla sua stessa voce.

«Era più alto di un uomo», mormorò Vierho. «Capo… quelle voci sulla Serra Dos Parecis…»

«Ho udito la folla parlare del Monte Ochoa e del­l’orfanotrofio», fece Martinho. «Di che cosa si trat­ta?»

«Rhin è andata a fare delle indagini per suo con­to», spiegò Chen-Lhu. «Si sentono delle voci molto preoccupanti. Sto facendo sgombrare la piazza e di­sperdere la folla.»

«A che cosa si riferiscono le voci?» chiese Mar­tinho.

«Deve essere successa una tragedia sulla costa e anche al convento del Monte Ochoa, all’orfanotro­fio.»

«Che tipo di tragedia?»

«È ciò che Rhin sta cercando di scoprire.»

«Ha visto quella cosa là nell’aiuola», chiese Martinho. «Ora non avrà più dubbi circa le nostre re­lazioni di questi ultimi mesi.»

«Ho visto un automa che spruzzava acido e un uomo mascherato da cervo volante», disse Chen-Lhu. «Sarei curioso di sapere se lei era al corrente di que­sta simulazione.»

Vierho imprecò sommessamente.

Martinho fece una pausa per soffocare un improv­viso impeto d’ira e si limitò a dire: «Non mi è parso affatto un uomo mascherato». Scosse il capo. Non poteva permettere che l’emozione gli annebbiasse la ragione, non era il momento. Gli insetti non possono raggiungere quelle dimensioni. La forza di gravità… Di nuovo scosse il capo. Allora che cos’era? «Do­vremmo almeno prelevare dei campioni di acido là nell’aiuola», disse. «Ed esaminare attentamente il buco.»

«Ho già incaricato il nostro Servizio di Sicurez­za», dichiarò Chen-Lhu, mentre meditava su come avrebbe steso il rapporto per i suoi superiori dell’OIE e quello speciale per il suo governo.

«Non ha notato come sembrava dissolversi nel buco quando l’ho colpito con lo spruzzo?» chiese Martinho. «Il veleno può essere doloroso, Travis. Un uomo avrebbe urlato.»

«Un uomo in una tuta protettiva», disse Chen-Lhu. Cominciò ad avere dei dubbi sul conto di Martinho. La sua perplessità sembrava genuina. Pazienza. In ogni modo l’incidente si sarebbe dimostrato utile. Questo, Chen-Lhu l’aveva capito.

«Ma è uscito di nuovo dalla tana», disse Vierho. «L’ha visto con i suoi occhi.»

Improvvisamente un suono simile a un lamento riecheggiò lugubremente fra la folla che veniva al­lontanata dalla Plaza.

Martinho si volse e chiamò: «Vierho».

«Sì, capo?»

«Va’ a prendere le carabine dal camion.»

«Subito, capo.» Vierho attraversò di corsa l’aiuola e si diresse verso l’autocarro, ora parcheggiato in una zona scoperta e attorniato da un gruppo di bandeirantes.

Martinho notò che gli uomini di Alvarez erano i più numerosi; c’erano anche gli Hermosillo e i Junitza.

«Che cosa vuole fare con la carabina?» chiese Chen-Lhu.

«Vado a dare un’occhiata in quel buco.»

«I miei uomini saranno qui da un momento al­l’altro. Meglio aspettarli.»

«Ci vado adesso.»

«Martinho, le dico che…»

«Lei non è un rappresentante del governo brasi­liano, dottore. Sono stato incaricato dal mio gover­no di portare a termine un determinato compito e lo farò comunque.»

«Martinho, se lei distrugge la prova di…»

«Lei non si trovava in prima linea, dottore, ma era al sicuro nelle retrovie, mentre io mi stavo gua­dagnando il diritto di guardare in quel buco.»

I lineamenti di Chen-Lhu si irrigidirono per l’ira, ma egli si impose di non ribattere finché non fosse riuscito a controllare la sua voce. Quindi disse: «In tal caso verrò con lei».

«Come vuole.»

Martinho si girò e notò che i bandeirantes stavano sfilando le carabine dalla rastrelliera dell’autocar­ro. Vierho le prese e riattraversò l’aiuola.

Un negro di alta statura, completamente calvo e con il braccio destro al collo, gli si mise di fianco. Indossava un’uniforme bianca da bandeirante, con il distintivo dorato da caposquadra sulla spalla destra. I suoi grossi lineamenti erano tirati in una smorfia di sofferenza.

«Ecco Alvarez», disse Chen-Lhu.

«Già.»

Chen-Lhu si mise di fronte a Martinho e con un mesto sorriso in armonia con il tono della sua voce, disse: «Johnny, non dobbiamo litigare. Lei sa per­ché l’OIE mi ha inviato in Brasile».

«Lo so. La Cina ha già portato a termine il pro­gramma di ricerca di un nuovo equilibrio ecologico.»

«Non ci rimangono che le api abnormi adesso, Johnny… non una sola creatura che diffonda malattie o che si nutra del cibo destinato agli esseri umani.»

«Lo so, Travis. So anche che lei è qui per facili­tare il nostro lavoro.»

Chen-Lhu aggrottò la fronte captando un tono di paziente incredulità nella voce di Martinho. «Esat­tamente», disse.

«Allora perché non permette ai nostri osservatori o a quelli dell’ONU di andare loro stessi a control­lare?»

«Johnny! Certamente non ignora le sofferenze pa­tite dal mio popolo sotto il dominio degli imperiali­sti bianchi. Tra la nostra gente c’è chi è convinto che il pericolo sia ancora latente. Vedono spie ovunque,»

«Ma lei è un uomo di mondo, è un uomo intelli­gente, eh, Travis?»

«Certamente! La mia bisnonna era inglese, una Travis-Huntington. L’apertura mentale è sempre sta­ta una caratteristica della nostra famiglia.»

«Strano che il suo paese le accordi fiducia», os­servò Martinho. «Lei è in parte un imperialista bian­co.» Si volse per salutare Alvarez. «Ciao, Benito. Mi dispiace per il tuo braccio.»

«Ciao, Johnny.» La voce di Alvarez era profonda e tonante. «Dio mi ha protetto. Guarirò presto.» Lanciò un’occhiata alle carabine, quindi si volse nuo­vamente a Martinho. «Ho udito il Padre richiedere delle carabine. Che cosa hai intenzione di fare?»

«Devo guardare in quel buco, Benito.»

Alvarez accennò un rigido inchino a Chen-Lhu. «Lei non si oppone, vero, dottore?»

«Vorrei oppormi, ma non ne ho l’autorità», ri­spose Chen-Lhu. «Il suo braccio è ferito gravemen­te? Le manderò uno dei miei medici a dargli un’oc­chiata.»

«Il braccio guarirà», tuonò Alvarez.

«Vuole veramente sapere se sei davvero ferito», si intromise Martinho.

Chen-Lhu lo guardò con aria interrogativa, ma fece finta di nulla.

Vierho porse una carabina al suo capo, dicendo: «Capo, allora andiamo?»

«Perché il buon dottore dovrebbe dubitare che io sia ferito?» chiese Alvarez.

«Gli sono giunte delle strane voci», spiegò Martinho.

«Quali voci?»

«Che noi bandeirantes stiamo infestando di nuovo le zone Verdi per prolungare il nostro lavoro e che alleviamo strani insetti in laboratori segreti.»

«Che stupidaggini!» brontolò Alvarez.

«E di quali bandeirantes si tratterebbe?» chiese Vierho. Guardò cupamente Chen-Lhu, quindi imbrac­ciò la carabina come se volesse puntarla contro il funzionario dell’OIE.

«Vacci piano, Padre», fece Alvarez. «Le voci sono sempre molto vaghe, non fanno mai nomi.»

Martinho volse lo sguardo nel punto in cui la gi­gantesca figura del cervo volante era scomparsa. Trovava più allettante il dialogo con Chen-Lhu e con i suoi compagni dell’idea di dover andare a perlu­strare la tana del mostro. L’aria della sera era cari­ca di un senso di oscura minaccia… di isterismo. E ciò che gli pareva più strano era la sua riluttanza ad agire di fronte a tutti. Era come la tregua dopo un’ardua battaglia.

È una specie di guerra, disse fra sé.

In Brasile stavano ormai lottando da otto anni. In Cina la lotta era durata ben ventidue anni. E, se­condo l’opinione dei cinesi, il Brasile ce l’avrebbe fatta in dieci anni. Per un attimo il pensiero che po­tesse durare ventidue anni, vale a dire altri quattor­dici, lo fece rabbrividire. Una fatica mostruosa.

«Dovete ammettere che stanno accadendo strane cose», disse Chen-Lhu.

«Già», convenne Alvarez.

«Perché nessuno sospetta i Carsonites?» insinuò Vierho.

«Una domanda intelligente, Padre», disse Alvarez. «I Carsonites possono contare su numerosi appoggi esterni… tutte le nazioni alleate: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Europa.»

«Paesi che non hanno mai avuto grossi fastidi con gli insetti», osservò Vierho.

Stranamente, adesso era Chen-Lhu che protesta­va: «No, le nazioni alleate non sono realmente in­teressate, ma soddisfatte di vederci occupati in que­sta lotta».

Martinho annuì. Sì, la stessa cosa l’avevano detta i suoi compagni al tempo in cui studiava in Nord America. Non se ne curavano minimamente. «Ades­so vado a dare un’occhiata in quel buco», annunziò.

Alvarez prese la carabina di Vierho e se la mise a tracolla sulla spalla sana, quindi impugnò la ma­novella del carrello. «Vengo con te, Johnny.»

Martinho guardò Vierho e notò un’espressione di sollievo sul suo viso. Si rivolse ad Alvarez. «E il tuo braccio?»

«Non preoccuparti, me ne rimane un altro.»

«Travis, si metta dietro di noi», disse Martinho.

«I miei uomini sono appena arrivati», fece Chen-Lhu. «Aspettate un momento, propongo di accer­chiare il luogo. Dirò loro di portare gli scudi.»

«Lo trovo saggio, Johnny», approvò Alvarez.

«Ci avviamo lentamente», aggiunse Martinho. «Padre, va’ all’autocarro e di’ a Ramon di guidarlo fino al bordo dell’aiuola. Poi fa’ in modo che i fari del carro Hermosillo siano puntati sull’aiuola.»

«Subito, capo.»

«Non manderete all’aria tutto?» disse Chen-Lhu.

«Anche noi siamo ansiosi di scoprire che cosa c’è là dentro», rispose Alvarez.

«Andiamo», intimò Martinho.

Chen-Lhu girò a destra e si affrettò verso un trat­tore dell’OIE che stava sopraggiungendo lentamente da una strada laterale. La folla ostacolava il passag­gio e non voleva essere allontanata dalla Plaza.

Alvarez girò la manovella e lo scudo cominciò a strisciare sull’aiuola. «Johnny, perché il dottore non sospetta i Carsonites?» chiese a voce bassa.

«Controlla la rete di spionaggio migliore del mon­do», rispose Martinho. «Se non lo sa lui.» Così di­cendo teneva lo sguardo fisso su quella sezione di aiuola, quel luogo misterioso di fianco alla fontana.

«Tuttavia, quale migliore sistema di sabotarci se non screditando i bandeirantes?»

«È vero, ma non credo che Travis Chen-Lhu com­metterebbe un simile errore.» E pensò: Strano co­me quel pezzo di aiuola attragga e ripugni al tempo stesso.

«Spesso questioni di lavoro ci hanno messi l’uno contro l’altro, Johnny. Ma non dimentichiamo di avere un nemico comune.»

«Quale nemico?»

«Un nemico che si nasconde nella giungla, nei prati della savana e nei sottosuolo. I cinesi ci hanno impiegato ventidue anni…»

«Hai motivo di sospettarli?» Martinho, guardando il suo compagno, notò sul suo viso un’espressione torva. «Non ci metteranno al corrente delle loro sco­perte.»

«I cinesi sono affetti da paranoia. Ne avevano la predisposizione ancora prima di venire in urto con il mondo occidentale e quest’ultimo non ha fatto che evidenziare la loro malattia. Sospettare i cinesi? No, non ci penso nemmeno.»

«Io sì», ribatté Martinho. «Io sospetto di chiun­que.» Al suono della sua stessa voce fu colto da un improvviso senso di malinconia. Era vero: sospetta­va di chiunque, persino di Benito, di Chen-Lhu… e dell’affascinante Rhin Kelly. Disse: «Spesso penso ai vecchi insetticidi, a come gli insetti si rafforzavano sempre più, malgrado, o a causa dei veleni».

Un suono alle loro spalle richiamò l’attenzione di Martinho. Pose una mano sulla spalla di Alvarez, fermò il carrello e si volse.

Era Vierho seguito da un carretto carico di attrez­zi. Martinho notò un grosso piede di porco, un vo­luminoso cappuccio sicuramente destinato ad Alva­rez e pacchi di esplosivo al plastico.

«Capo… ho pensato che ci fosse bisogno di questi», disse Vierho.

Martinho fu pervaso da un sentimento di affetto nei confronti del Padre, tuttavia disse bruscamente: «Tieniti alle nostre spalle, hai capito?»

«Certo, capo.» Porse il cappuccio ad Alvarez. «È per lei, capo Alvarez; questo le eviterà altri incon­venienti.»

«Ti ringrazio, Padre», disse Alvarez. «Ma prefe­risco sentirmi libero nei movimenti. D’altra parte ho talmente tante ferite che una in più non farà gran differenza.»

Martinho si guardò attorno e vide che altri scudi stavano avanzando attraverso l’aiuola. «Presto», dis­se. «Dobbiamo arrivare per primi.»

Alvarez manovrò la leva di comando e lo scudo si mise in moto.

Vierho andò a mettersi di fianco al suo capo e mormorò a bassa voce: «Capo, sono appena giunte notizie allarmanti dalla costa. Sembra che qualche creatura abbia divorato le palafitte di un magazzino facendolo crollare. Pare ci siano alcuni morti. La po­polazione è sconvolta».

«Ne ho udito parlare da Chen-Lhu», disse Martinho.

«Non è questo il posto?» si intromise Alvarez.

«Ferma lo scudo», ordinò Martinho. Fissò il ter­reno, alla ricerca delle tracce lasciate in precedenza dallo scudo. «È qui», disse. Allungò la carabina a Vierho e aggiunse: «Passami il piede di porco… e una carica di esplosivo».

Vierho gli porse un pacco di esplosivo al plastico provvisto di detonatore, il genere di ordigno solita­mente usato nelle zone Rosse per far saltare i nidi de­gli insetti.

Martinho calò la visiera protettiva e prese il piede di porco. «Vierho, rimani qui e vedi di coprirmi. Benito, puoi maneggiare la torcia?»

«Certo, Johnny.»

«Capo, non hai intenzione di usare lo scudo?»

«Non c’è tempo.» Si mosse prima che Vierho po­tesse ribattere. La luce della torcia rischiarava il ter­reno davanti a lui. Si inginocchiò, fece scorrere la punta della sbarra sull’erba e cominciò a scavare. La sbarra colpì ripetutamente il suolo, quindi affondò nel vuoto. Improvvisamente urtò contro qualcosa e Martinho fu pervaso da un fremito di eccitazione. «Padre, quaggiù.»

Vierho si chinò, imbracciando la carabina. «Che cosa c’è, capo?»

«Qualcosa là sotto!»

Vierho puntò l’arma e fece partire due colpi.

Un rumore simile a un violento raschio giunse da sotto l’aiuola. Qualcosa era scoppiato.

Vierho sparò ancora. Le pallottole, esplodendo, provocarono un suono curioso simile a un tonfo.

Si udì un furioso gorgoglio, come se là sotto ci fos­se un banco di pesci intenti a cibarsi in superficie.

Silenzio.

Altre torce lampeggiarono sull’aiuola. Martinho alzò lo sguardo e vide un cerchio di scudi attorno a lui… uniformi dell’OIE e dei bandeirantes.

Concentrò nuovamente lo sguardo sulla sezione di aiuola. «Padre, ho intenzione di aprire la botola. Tienti pronto.»

«Certo, capo.»

Martinho mise un piede sotto la sbarra per far le­va sul terreno e lentamente sollevò la botola. Sem­brava saldata con una sostanza gommosa che si al­lungava in sottili filamenti. Dalla zaffata di solfuro e sublimato corrosivo Martinho capì che la sostanza gommosa non era altro che il contenuto della capsu­la sparata col fucile a gas. Dopo l’ultimo poderoso colpo, la botola si spalancò e ricadde sull’aiuola.

Alla luce delle torce Martinho poté scorgere una massa di acqua scura. Aveva l’odore del fiume.

«Sono venuti dal fiume», osservò Alvarez.

Chen-Lhu si avvicinò a Martinho e disse: «Sem­bra che gli individui mascherati siano fuggiti. Tutto procede per il meglio». E pensò: Ho fatto bene a impartire ordini a Rhin e l’ho fatto nel momento più opportuno. Dobbiamo far saltare la loro organizza­zione. Questo capo bandeirante, educato tra gli im­perialisti yankee, è un nemico. È uno di quelli che cercano di distruggerci. Non può esserci altra spie­gazione.

Martinho ignorò lo scherno nella voce di Chen-Lhu; era troppo esausto per poter reagire. Si sollevò e si guardò attorno. L’aria era ferma come se da un momento all’altro dovesse scatenarsi qualche sorta di calamità. Un gruppetto di osservatori, pro­babilmente pubblici funzionari, sostava al di là del­la cerchia di guardie, la folla invece era stata sospin­ta nelle strade adiacenti.

Da una strada laterale sopraggiunse a gran velo­cità una camionetta rossa. I finestrini luccicavano al­la luce dei proiettori e i fanali si accendevano e si spegnevano quando rasentava passanti e altri vei­coli. Alcuni poliziotti le aprivano la strada. Marti­nho riconobbe l’insegna dell’OIE sul cofano ante­riore. L’auto si arrestò sobbalzando ai margini del­l’aiuola e ne uscì Rhin Kelly.

Aveva indossato la tuta da lavoro dell’OIE. Sotto le luci della Plaza, il verde della tuta dava l’impres­sione di una chiazza d’erba scolorita dal sole.

Attraversò in fretta l’aiuola, con gli occhi fissi su Martinho; intanto pensava: Deve essere utilizzato per i nostri scopi, quindi scaricato. È un nemico. Non ci sono più dubbi.

Martinho la osservava avvicinarsi, ammirando la grazia e la femminilità del suo portamento accentua­te dalla semplice foggia dell’uniforme.

Si fermò davanti a lui e gli parlò con voce rau­ca e affannosa: «Senhor Martinho, sono venuta a salvarle la vita».

Lui scosse il capo, incredulo. «Cosa…»

«Si sta scatenando il finimondo!» spiegò lei.

Martinho poté udire degli spari in lontananza.

«La folla è in tumulto», riprese Rhin. «Si è ar­mata.»

«Che cosa diavolo sta succedendo?» chiese lui.

«Stanotte ci sono stati dei morti», rispose Rhin. «Donne e bambini fra gli altri. È crollata una pa­rete della collina dietro il Monte Ochoa, rivelando la presenza di numerose tane.»

Vierho disse: «L’orfanotrofio…»

«Sì», proseguì Rhin. «L’orfanotrofio e il con­vento situati sul Monte Ochoa sono stati travolti. La colpa è dei bandeirantes. Sa cosa si dice su…»

«Parlerò con questa gente», la interruppe Mar­tinho. Si sentì oltraggiato al pensiero di essere mi­nacciato da coloro che aveva sempre protetto. «È un’assurdità! Non abbiamo fatto nulla per…»

«Capo», intervenne Vierho. «Non si può ragionare con la folla in preda al panico.»

«Due uomini della squadra Lifcado sono già sta­ti linciati», disse Rhin. «L’unica via di scampo per lei è di fuggire immediatamente. I vostri autocarri sono a portata di mano.»

Vierho lo prese per un braccio. «Dobbiamo seguire il suo consiglio, capo.»

Martinho rimase in silenzio, ascoltando le infor­mazioni che i bandeirantes si scambiavano fra loro: «La folla… colpa nostra… orfanotrofio…»

«Dove possiamo andare?» chiese Martinho.

«I tumulti sembrano localizzati…», disse Chen-Lhu. Si interruppe e rimase in ascolto: le urla della folla si erano fatte più distinte. «Vada a casa di suo pa­dre, a Cuiaba, e si porti dietro la sua squadra. Gli al­tri possono rifugiarsi nelle zone Rosse.»

«Perché dobbiamo…»

«Rhin la raggiungerà non appena avremo esco­gitato un piano di azione.»

«Devo sapere dove trovarla», fece Rhin, pren­dendo la palla al balzo. E pensò: La casa di suo padre, già. Deve essere il centro di… là o nel Goyaz, come sospetta Travis.

«Ma non abbiamo fatto nulla», protestò Martinho.

«La prego», insistette Rhin.

Vierho lo tirò per un braccio.

Martinho trasse un profondo sospiro. «Padre, rag­giungi i tuoi compagni. Sarete più al sicuro nella zo­na Rossa. Userò il camioncino per andare a Cuiaba. Devo discutere questa faccenda con mio padre, il prefetto. Qualcuno deve mettersi in contatto con le alte sfere e farsi sentire.»

«Sentire cosa?» si intromise Alvarez.

«Il lavoro… deve essere sospeso… momentanea­mente», disse Martinho. «È necessario svolgere varie indagini.»

«È pazzesco», tuonò Alvarez. «Chi vuoi che dia ascolto a quelle fesserie?»

Martinho provò a deglutire, aveva la gola secca. L’aria della notte era fredda… opprimente, le urla della folla inferocita erano sempre più vicine. I poliziotti e i militari non sarebbero riusciti a trat­tenerla a lungo.

«Non ti ascolteranno», mormorò Alvarez, «nem­meno se hai ragione».

Le urla della folla sottolinearono la verità che trapelava dalle sue parole. Martinho sapeva che gli uomini al potere non avrebbero ammesso alcun er­rore. Erano al potere in quanto erano state fatte determinate promesse. Se quelle promesse non ve­nivano mantenute qualcuno avrebbe fatto da ca­pro espiatorio.

Forse è già stato trovato, pensò Martinho.

Lasciò che Vierho lo conducesse agli autocarri.

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