Connie Willis Time-out

«Voglio che venga con me all’aeroporto, dottoressa Lejeune,» disse il dottor Young. «Devo andare a prendere Andrew Simons.»

Era la prima volta che parlava alla dottoressa Lejeune da quando lei gli aveva detto che il suo progetto era idiota, e per le tre settimane successive lei non aveva fatto che pensare a quello che gli avrebbe detto in occasione del loro successivo incontro, ma in quel momento ricordava così tanto il vecchio, sensibile, assennato Max Young che lei prese la borsetta e gli chiese: «Chi è Andrew Simons?»

«Sta tornando dal Tibet,» rispose il dottor Young, facendo strada verso l’uscita dall’edificio di fisica e poi lungo il parcheggio. «Lavora alla Duke University. Ha studiato gli aspetti culturali della percezione del tempo in un monastero tibetano sull’Himalaya. È perfetto. Tre mesi fa ho letto una sua monografia sul deja vu e mi sono messo in contatto con la Duke.» Si fermò accanto a una Porsche rossa.

«Quand’è che si è fatto una Porsche?» domandò la dottoressa Lejeune, guardando la targa. Era WITHIT, un cattivo segno. Così come la Porsche. «E che ci viene a fare qui, di preciso, questo Simons?»

«Lavorerà al progetto di dislocazione temporale,» disse il dottor Young come se fosse una cosa ovvia, e si infilò nella Porsche. «Su. Salga in macchina. L’aereo atterra alle quattro e diciannove.»

Provò a salire a bordo della Porsche. Sperava che avesse rinunciato al progetto di dislocazione temporale. Aveva tentato di dissuaderlo con la dialettica, con il risultato che lui non le aveva parlato per tre settimane, poi aveva sperato che tornasse in sé, ma evidentemente ciò non era avvenuto.

Il progetto era idiota. Lui aveva deciso che il tempo era un oggetto quantico, e di lì era balzato all’idea che si potesse separare in frammenti chiamati odiecroni, a loro volta mescolabili e spostabili. Il viaggio quantico nel tempo. Solo che Young lo chiamava dislocamento degli odiecroni, e lo stupido marchingegno che avrebbe dovuto fare tutto ciò era un oscillatore temporale e non una macchina del tempo.

Lei aveva deciso che stava attraversando una specie di crisi della mezza età, e la Porsche lo confermava. «Sono troppo vecchia per le automobili sportive,» disse richiudendo lo sportello sul lembo posteriore del grembiule da laboratorio. «E anche lei.»

Il dottor Young si allungò per raggiungere il vano portaoggetti e ne tirò fuori un berretto di tweed e un paio di guanti di pelle.

«Simons è decisamente entusiasta del progetto. Ha accettato il lavoro ancora prima che avessi avuto la possibilità di spiegarglielo nei dettagli.»

Il che, considerando il progetto stesso, è probabilmente un fatto positivo, pensò la dottoressa Lejeune afferrandosi al cruscotto mentre la Porsche schizzava via dal parcheggio, imboccando College Avenue e poi l’autostrada.

«Quanti anni ha?» gli gridò tentando di superare il rumore del vento.

«Quarantadue,» strillò di rimando il dottor Young.

«È sposato?»

«Naturalmente no. È stato cinque anni in un monastero tibetano.»

«Non c’è da meravigliarsi che abbia accettato,» disse la dottoressa Lejeune. «Bisogna che gli presenti Bev Frantz. Ha quarant’anni. La conosce? Questo semestre tiene un corso propedeutico per infermieri. Sarebbe perfetta per lui.»

«Assolutamente no,» gridò il dottor Young. «Non le consentirò di mettere a repentaglio questo progetto.» Si infilò a tutta velocità nel parcheggio dell’aeroporto, si tolse il berretto e i guanti, li infilò nel cassettino e scese dalla macchina. «Lo sa che il combinare matrimoni è un surrogato del sesso? È uno dei sintomi tipici della crisi di mezza età.»

Il che è il caso lampante del bue che dice cornuto all’asino, pensò la dottoressa Lejeune mentre sgomitava per uscire dall’auto. «Perché lei come lo definisce, il comprarsi una Porsche?» disse, seguendolo dentro l’aeroporto. «E abbandonare all’improvviso il suo lavoro sulle particelle subatomiche per cercare di costruire una macchina del tempo? Non le sembra che anche quelli siano sintomi tipici

«È un oscillatore temporale, non una macchina del tempo,» precisò il dottor Young. Attraversò il cancelletto di controllo, e quello emise un ronzio. La guardia gli fece cenno di tornare indietro e gli porse un vassoio di plastica nel quale depositare gli oggetti contenuti nelle tasche. «L’università ha la massima fiducia nel progetto. Il dottor Gillis mi ha promesso il pieno appoggio. E un’assoluta libertà nella scelta dei miei collaboratori.»

«Ovviamente,» disse la dottoressa Lejeune. «Dal momento che assume lama tibetani.»

«Il dottor Simons è uno psicologo della ricerca,» disse impettito, posando le chiavi nel vassoio e tentando nuovamente di passare. Questa volta il cancelletto ronzò prima ancora che fosse passato del tutto. Dagli altri cancelletti giunsero alcune guardie per controllare. «Si rende conto che la resistenza alla nuove idee è un sintomo classico delle donne che sono appena entrate in menopausa?» Si sfilò la cintura. «Neanche il governo federale condivide la sua opinione sul mio progetto. Altrimenti non sarei riuscito ad ottenere i fondi, non crede?»

«Ha già ottenuto i fondi?» domandò la dottoressa Lejeune, sbalordita. «La nuova amministrazione deve essere rimbambita come la vecchia.»

Attraversò il cancelletto. Quello ronzò di nuovo. «È per questo genere di atteggiamento negativo che il progetto è già in ritardo di un mese sulla tabella di marcia!» esclamò.

«È sicuro che non si tratti di odiecroni fuori posto?» disse la donna, attraversando il cancelletto. Poi, rivolta alla guardia: «È la catena che porta al collo. È entrato da poco in andropausa. Questo è un sintomo classico.»


«Mamma, a che ora è la cena?» chiese Liz aprendo il frigorifero. «Stasera Lisa e io dobbiamo cominciare a compilare i moduli per l’iscrizione all’università.»

«Appena tuo padre torna a casa,» rispose Carolyn. Scivolò oltre Liz e prese i ravanelli e un pomodoro dallo scomparto delle verdure.

«Mamma, alle sei devo essere all’allenamento di pallavolo,» disse Wendy.

«Credevo che gli allenamenti per la terza media fossero alle quattro,» disse Carolyn, frugando nel cassetto degli utensili in cerca di un coltello da frutta.

«Il lunedì, il martedì e un venerdì sì e uno no,» disse Wendy. «Oggi è mercoledì, mamma.»

L’unico coltello che trovò nel cassetto era un coltello dentellato per il pane. Carolyn tentò di affettare il pomodoro, ma non riuscì nemmeno a tagliare la buccia.

«Come mai papà ha l’allenamento di ginnastica?» chiese Liz. «Credevo che l’anno scolastico cominciasse la settimana prossima.»

«Infatti è così,» disse Carolyn. «Chiudi il frigorifero. Ha un incontro con i suoi collaboratori.»

«Ho bisogno di un paio di scarpe da ginnastica.»

«Te le abbiamo prese quando è iniziata la scuola.»

«Ma queste sono per la pallavolo. Il nostro allenatore, Nicotero, dice che ci vogliono quelle alte fino al tallone, con la suola rialzata e il calcagno rinforzato.»

Suonò il telefono. Liz corse a rispondere. «È per te,» disse poi con disgusto, porgendo la cornetta a Carolyn.

«Ciao, sono Sherri, della scuola elementare,» disse la voce al telefono. «Ho cercato di contattarti quando hai fatto il tuo periodo di volontariato, ma non puoi immaginare che incarico abbia assegnato alla sua segretaria il nostro beneamato preside, il Vecchio Scartafaccio! Mi ha detto di chiamare tutti i genitori e di verificare se l’informazione è corretta. Non si sa mai, dice. Lo sai che tu sei la “persona da contattare se non è possibile raggiungere i genitori” in quattordici diverse indicazioni per casi d’emergenza?»

«Sì,» disse Carolyn. «È per via del fatto che sto a casa tutto il giorno. Forse sono l’unica donna americana che sta a casa tutto il giorno.»

«No, nemmeno la madre di Heidi Dreismeier lavora. Comunque il Vecchio Scartafaccio ha deciso che dovevo chiamare ogni singola “persona da contattare se non è possibile raggiungere i genitori” solo per essere sicuri che si possa veramente contattare e che il suo telefono funzioni correttamente. Quell’uomo è una minaccia.»

«Mamma, sono le cinque,» disse Wendy.

«Comunque,» disse Sherri, «Devo leggerti i nomi di tutti i ragazzi. Heidi Dreismeier, Monica Morales, Ricky Morales…»

«Mamma, non faccio in tempo a mangiare,» disse Wendy.

«Troy Yoder,» continuò Sherri, «Brendan James. A proposito, lo sapevi che i genitori di Brendan stanno per divorziare?»

«Stai scherzando,» disse Carolyn. «Lei è vicepresidente dell’Associazione Genitori-Insegnanti.»

«Non più. Ti ricordi quel tizio Lasciatevi Stupire che se ne andava in giro a vendere scampoli di stoffa colorata? Be’, pare che la madre di Brendan non si sia limitata ad acquistare qualche campione.»

«Mamma, l’allenatore ha detto che dobbiamo aver digerito, prima di fare l’allenamento.»

«Senti, Sherri, adesso ho da fare,» disse Carolyn. «Chiunque abbia messo il mio nome nell’indicazione di emergenza, mi sta bene.»

«Aspetta, aspetta, non è proprio per questo che ti ho chiamata. Ti ricordi quel tipo grasso e pelato dell’università che lo scorso marzo ti fece fare tutti quei test?»

«Il dottor Young?»

«Proprio lui. Insomma, è di ritorno con una squadra di ricerca e vuole che lavori per lui. Sarebbe per l’intera giornata, per circa un mese, ha detto. Ti paga meglio di quanto ti pagano per il volontariato.»

«Oh, cavolo, non lo so,» disse Carolyn, pensando alle scarpe di Wendy. «Don inizia questa settimana gli allenamenti per la ginnastica, e manca poco alla Fiera dell’Associazione Genitori-Insegnanti. Ti ha detto quanto pagano?»

«Sì, e deve proprio volerti a tutti i costi, perché ha detto che ti pagherà quello che vuoi. E dovrai cominciare il 2 ottobre.»

Carolyn tentò di sollevare la pagina di settembre del calendario con la mano che stringeva ancora il coltello da pane. «Sarebbe mercoledì prossimo, no?»

«Mercoledì prossimo ho l’appuntamento con l’ortodontista,» disse Wendy.

«Dovrò riorganizzare i miei appuntamenti. Fino a che ora rimarrai a scuola?»

«Oh, fino a verso mezzanotte se al Vecchio Scartafaccio gli gira. Quando avrò finito con le indicazioni di emergenza, dovrò rifare in ordine alfabetico l’elenco degli insegnanti assegnati all’ora di ricreazione.»

«Ti richiamo io,» disse Carolyn, e riappese.

«È impossibile che per le sei abbia digerito il polpettone,» disse Wendy.

Carolyn fece alcuni fori in un hot dog con la punta del coltello da pane e lo mise nel forno a microonde. Poi chiamò l’ortodontista e spostò l’appuntamento di Wendy alle quattro e un quarto di martedì.

«Il martedì alle quattro ho l’allenamento,» disse Wendy. «Nicotero dice che se perdiamo anche un solo allenamento non ci fa giocare.»

«Che ore libere avete martedì?» domandò Carolyn alla segretaria dell’ortodontista.

«Alle cinque e tre quarti,» rispose la donna.

«Che ne dici delle cinque e tre quarti?» chiese Carolyn a Wendy.

«Va bene,» disse Wendy.

«Giovedì c’è la Mostra all’università,» disse Liz. «Hai promesso che ci avresti accompagnato, Lisa e io.»

«Ho un’ora libera alle tre e mezza di mercoledì,» disse la segretaria.

«Oh, bene. È dopo la scuola. Mi segni pure,» disse Carolyn.

Aveva appena riattaccato, che il telefono squillò di nuovo.

«Salve, sono Lisa. Posso parlare con Liz?»

Carolyn porse la cornetta a Liz e tirò fuori dal forno l’hot dog di Wendy. Le versò un bicchiere di latte.

«L’allenatore Nicotero dice che faremmo bene a mangiare qualcosa di ciascuno dei quattro gruppi di alimenti. Carne, cereali, latticini…»

«Frutta e verdura.» concluse Carolyn. Diede a Wendy il pomodoro.

Liz riappese il telefono. «Ceno da Lisa,» disse. «Puoi portarmici quando accompagni Wendy?» Corse nella sua stanza e ne tornò con un pacco di cataloghi universitari. «Quale università hai frequentato, mamma?»

«Il Nebraska State College,» disse Carolyn.

«Ti è piaciuto?»

Avevo tutto il tempo del mondo, pensò Carolyn. Non dovevo portare nessuno da nessuna parte, e non avevo mai sentito parlare dei quattro gruppi di alimenti. La mia bevanda preferita era il suicidio, che preparavo con la mia compagna di stanza Allison mescolando insieme diversi tipi di bevande gassate.

«Ci sono stata benissimo,» disse Carolyn.

Suonò il telefono.

«Scusa se ti chiamo così tardi, tesoro,» disse Don. «Non siamo nemmeno a metà. Non aspettarmi per cena. Tu e le ragazze andate a mangiare fuori.»


L’aereo rullò sulla pista e si fermò, e tutti si precipitarono verso il corridoio. Andrew occupava il sedile accanto al finestrino. Prese la sacca da viaggio da sotto il sedile davanti a lui e si appoggiò contro lo schienale. Non avrebbe dovuto bere lo scotch sulla tratta L.A.-Denver. Aveva sperato che gli avrebbe favorito il sonno, in modo da non essere costretto ad ascoltare le chiacchiere della coppia palesemente infelice che occupava i sedili a fianco al suo.

Invece gli aveva suscitato una fantasticheria sentimentale del suo primo anno all’università, che era stato l’anno forse peggiore della sua vita. Per poco non lo avevano sbattuto fuori dal corso propedeutico in giurisprudenza, si era preso una cotta per Stephanie Forrester e poi aveva finito col farle da valletto al matrimonio. Non c’era proprio nessuna ragione per ricordare quell’anno sciagurato, tanto meno con nostalgia.

«Non ho detto che non volevo che giocassi a tennis,» disse il marito della coppia infelice. Si alzò in piedi, aprì il compartimento superiore e ne tirò fuori la valigia e l’impermeabile. «Ho solo detto che quattro lezioni al giorno mi sembravano un po’ troppe.»

«Per tua informazione.» disse la moglie, «Carlos ritiene che abbia delle grandi capacità.» Allungò la mano verso la tasca elasticizzata sullo schienale del sedile, prese l’edizione economica di Passages e la infilò nella borsa.

Andrew si ricordò del progetto del dottor Young e lo prese dalla tasca del suo sedile. Quello era il vero motivo per cui aveva preso lo scotch, cercare di cancellare dalla mente il ricordo delle idee balzane del dottor Young. La sua teoria era che il tempo esisteva non come un flusso continuo, ma come una serie di oggetti quantici separati. Questi venivano percepiti come un flusso a causa di un fenomeno di “persistenza” che si apprendeva fin dall’infanzia. Quella parte della teoria non era così male. La ricerca di Ashtekar all’università di Syracuse aveva già avanzato l’ipotesi della natura quantica del tempo, e l’idea dei blocchi di tempo percettivo di qualche durata era generalmente accettata dagli psicologi temporali. Senza di essa non potevano esistere fenomeni come la musica, che dipendeva dalle relazioni fra le note. Se il tempo fosse stato un flusso continuo, la musica sarebbe stata percepita come una singola nota immediatamente sostituita nella percezione da un’altra, invece che come uno schema di intervallo e di durata.

Ma il concetto di blocchi temporali, o odiecroni, come li aveva battezzati il dottor Young, era un concetto percettivo, non una realtà fisica. Non solo il dottor Young riteneva che i suoi odiecroni fossero reali, ma pensava anche che fossero molto più lunghi di quanto avesse sostenuto qualsiasi psicologo temporale… minuti o addirittura ore, invece dei pochi secondi che occorrevano per ascoltare una melodia. Ma la parte veramente folle della sua teoria era che questi odiecroni si potevano spostare come mattoncini delle costruzioni, e anche metterli uno sopra all’altro.

Tutto ciò non aveva niente a che fare con gli aspetti culturali della percezione del tempo o con il deja vu, e se lui si fosse Ietto fino in fondo la relazione non avrebbe mai accettato la proposta del dottor Young. ma non si era affatto premurato di indagare sul dottor Young. Il dottor Young, invece, aveva indagato su di lui… lo aveva sottoposto a una nutrita serie di test prima di offrirgli l’incarico. E Andrew l’aveva accettato senza nemmeno leggere la relazione. Andrew si alzò e restò lì ricurvo a guardare i passeggeri in fila lungo il corridoio, desiderando che si muovessero.

«Tanto perché tu lo sappia,» disse la donna, «Carlos dice che ho il miglior rovescio che abbia mai visto.»

«Per tua informazione,» disse l’uomo, alle prese con qualche bagaglio nel compartimento superiore, «Carlos è pagato per dire cose come questa alle signore sovrappeso di mezza età.»

Andrew prese dalla tasca del sedile l’avviso plastificato con le istruzioni per la sicurezza e cominciò a studiare i disegni delle uscite di emergenza.

«Pensavo di partecipare a qualche torneo,» disse la donna.

«È proprio questo che voglio dire,» ribatté l’uomo, tirando fuori una racchetta da tennis nella sua custodia color lavanda con chiusura lampo. «Questa dannata storia del tennis ti sta facendo perdere la testa.»

«Come hai perso la testa per i buoni del tesoro di Managua? Come hai perso la testa per quella biondina della banca?» Gli strappò dalle mani la racchetta da tennis.

Secondo le istruzioni c’erano scivoli di emergenza su entrambe le ali. Se fosse riuscito ad arrampicarsi sui sedili fino a raggiungere la fila H e ad abbassare la leva dell’uscita di emergenza…

«Credevo che fossimo d’accordo di non parlare di Vanessa,» disse l’uomo.

«Non sto parlando di Vanessa. Sto parlando di Heather.»

Andrew si accasciò sul sedile, si allacciò la cintura e finse di leggere la relazione, finché tutti non ebbero lasciato l’aereo, a parte il personale di volo. La relazione non aveva più senso adesso di quando l’aveva letta sul serio.

Guardò con desiderio la maniglia dello scivolo di emergenza, poi infilò la relazione nella sacca da viaggio, attraversò la passerella ricoperta e sbucò nel terminal. Il dottor Young e una donna sulla cinquantina dai capelli disorganizzati erano le uniche persone rimaste accanto al cancelletto. La donna stava osservando con interesse qualcosa in fondo alla sala.

«Dottor Simons,» disse il dottor Young, avanzando per stringergli la mano. «Voglio presentarle la dottoressa Lejeune. Dottoressa Lejeune, il dottor Simons dirigerà la parte psicologica del nostro piccolo progetto. Dottoressa Lejeune?»

La dottoressa Lejeune si avvicinò e gli strinse la mano, con gli occhi sempre fissi sull’estremità della sala.

«Quella donna ha appena colpito un uomo con una racchettata sulla testa,» disse.

«È venuta a sapere di Heather,» disse Andrew.

«Siamo molto eccitati che lei lavori con noi,» disse il dottor Young. «Io mi occuperò dell’oscillatore, e la dottoressa Lejeune lavorerà al computer.»

«Da quando?» domandò la donna.

Andrew cominciò a cercare le uscite di emergenza. Ma non sembrava che ce ne fossero.

«Il dottor Gillis mi ha detto che potevo scegliermi i collaboratori di cui avevo bisogno. Gli ho detto che volevo lei come responsabile in seconda.»

La dottoressa Lejeune si stava guardando intorno come in cerca di una racchetta da tennis con la quale colpire in testa il dottor Young. «Gli ha anche detto che secondo me il suo progetto è completamente sballato?»

Avrei dovuto farmi almeno altri due scotch, pensò Andrew. O magari quelle cose che aveva bevuto al matrimonio di Stephanie Forrester. Fermatempo. Sì, gli ci sarebbe voluto un fermatempo.

«Sballato?» ripeté il dottor Young. «Sballato! Il dottor Simons qui presente non pensa che sia sballato. Si è fatto tutto il viaggio dal Tibet per lavorare al progetto. Ci dica, dottor Simons, “sballato” è il termine che le viene in mente per definire questo progetto?»

Il termine che gli veniva in mente era “disastro”. Avrebbe avuto bisogno di diversi fermatempo. Almeno dieci o quindici.

«No,» disse.

«Vede?» disse trionfante il dottor Young alla dottoressa Lejeune. Prese la valigia di Andrew. «Andremo subito al laboratorio e le mostrerò l’oscillatore. Poi le descriverò nei dettagli la mia teoria.»

Il suo primo anno di università non era stato poi così male, pensò Andrew mentre si dirigeva verso la macchina insieme a loro. Aveva dovuto fare da valletto al matrimonio di Stephanie Forrester e quando il sacerdote aveva letto il brano che dice “parli adesso o mai più” tutti gli invitati si erano girati a guardarlo, ma per il resto non era stato affatto male.


La dottoressa Lejeune non rivolse la parola al dottor Young finché non furono arrivati al parcheggio, anche se solo in quel momento lui si rese conto che non c’era posto per tutti e tre sulla Porsche, e le disse di prendere la valigia di Andrew e di andare a cercare un taxi. Andrew, che aveva l’aria stordita per il cambiamento di fuso orario o che forse era semplicemente dispiaciuto di aver lasciato il Tibet, insistette per andare lui stesso col taxi, e il dottor Young occupò l’intero viaggio di ritorno spiegandole che il suo atteggiamento non favoriva la buona riuscita del progetto. Lei si chiuse in un silenzio ostinato.

Lo mantenne quando lui le comunicò che la ricerca non si sarebbe svolta all’università ma in una scuola elementare di una città chiamata Henley che era quasi dalla parte opposta dello Stato, e quando le mostrò l’oscillatore temporale, anche se su quest’ultimo fu piuttosto evasivo. Sembrava una grossa lampada di pietra lavica.

Allora lei si rivolse al dottor Gillis, ma non ottenne niente. Il dottor Gillis ignorò il suo rifiuto di lavorare seriamente al progetto. Peggio, sostenne che gli odiecroni mobili e l’oscillazione temporale concetti erano del tutto plausibili, e quando lei gli disse che a suo parere Max era affetto da una crisi di mezza età, il dottor Gillis si irrigidì e ribatté: «Il dottor Young ha tre anni meno di me. Non lo definirei proprio un uomo di mezza età. Per di più è un uomo troppo intelligente e sensìbile per aver crisi di mezza età.»

«È quello che credevo anch’io,» disse la dottoressa Lejeune, «finché non ho visto la sua Porsche.»

Tornò al laboratorio, dove c’era Andrew Simons che stava fissando l’oscillatore temporale. Aveva un aspetto terribile. Da quando era arrivato Max, non gli aveva concesso un minuto di riposo, ma lei ebbe la sensazione che ci fosse qualcos’altro. Sembrava infelice. Ha bisogno di una moglie, pensò. Dovrei proprio fargli conoscere Bev Frantz. È graziosa, in gamba e nubile. Sarebbe perfetta.

«Come può essere un oscillatore temporale?» disse Andrew. «Sembra una lampada di pietra.»

Giunse il dottor Young, raggiante. «Ho appena parlato con la segretaria della scuola di Henley.» La sommità della testa era di un rosa vivo per l’eccitazione. «Ho deciso che le occorreva un’assistente, dottor Simons, e mi hanno chiamato proprio per dirmi che ne hanno assunta una. Si chiama Carolyn Hendricks. È perfetta. Le darà una mano negli esami, le porterà il caffè e cose del genere.»

«Perché mai deve essere perfetta se l’unica cosa che deve fare è portare il caffè?» fu lì lì per chiedere la dottoressa Lejeune, poi si ricordò che non gli parlava più.

«Ha quarant’anni, è sposata, è segretaria dell’Associazione Genitori-Insegnanti e ha due figlie. Suo marito allena la squadra di ginnastica delle ragazze. La stagione è appena cominciata,» aggiunse, come se anche quello conferisse un tocco di perfezione. «Il che mi fa venire in mente…» disse poi, e scappò via di corsa.

Perché mai il fatto che suo marito alleni un gruppo di ragazzine che fanno ginnastica in body deve essere perfetto?, si domandò la donna. Forse si aspetta che voli via dalle parallele asimmetriche e scompaia nel passato?

«Ha mai sentito parlare di un cocktail chiamato fermatempo?» le chiese Andrew, che continuava a fissare la lampada di roccia lavica. «Lo bevevo quando ero all’università.»

«No,» disse la dottoressa Lejeune, guardando accigliata verso la porta dalla quale era appena uscito il dottor Young.

«Birra e vino,» disse Andrew. «Erano questi gli ingredienti. Il fermatempo.»

«Oh,» disse lei. «Noi lo chiamavamo cataclisma.»


Carolyn lasciò Wendy alla scuola media e diresse verso la scuola elementare.

«Dove dovrei lavorare?» chiese a Sherri una volta giunta in ufficio. «In biblioteca?»

«No,» rispose Sherri, porgendo a Carolyn una manciata di fogli. «Sei al piano di sotto, nella sala musica.»

«E dov’è?»

«Insieme alle aule di educazione fisica. Hanno diviso la palestra in due con dei pannelli adesivi.»

«E l’insegnante di musica l’ha accettato?»

«Ha dovuto. Il Vecchio Scartafaccio le ha rivelato quanto paga il dottor Young per utilizzare la scuola per i suoi progetti.»

«Ma se paga così tanto, perché non gli ha lasciato usare la biblioteca?»

«Non lo so. In effetti la sala musica è piuttosto stretta.»

«Lo so,» disse Carolyn. «L’anno scorso ci ho fatto i test per l’udito. La stanza è a forma di L e l’interruttore della luce si trova in alto, dalla parte opposta della sala, a un milione di miglia dalla zona principale. I ragazzi della terza la spegnevano sempre mentre andavano via e mi lasciavano al buio, perché non ci sono finestre. Non puoi fare in modo che ci mettano nella biblioteca?»

«Chiederò al Vecchio Scartafaccio,» disse Sherri. «Però non capisco perché te la prendi tanto. A me piacerebbe trovarmi rinchiusa in una stanzetta con un uomo affascinante come quello.»

«Il dottor Young

«No. Il tizio con cui lavori.» Frugò in mezzo alle carte sul bancone. «Andrew Qualchecosa.» Prese un foglio rosa e lo guardò. «Andrew Simons. E a proposito di uomini affascinanti, com’è quel tuo adorabile marito?»

«“Adorabile”,» disse Carolyn, sorridendo. «Quando riesco a vederlo. Quando c’è il corso di ginnastica è il momento peggiore dell’anno. E quest’anno è stato ancora peggiore perché ha dovuto assumere una nuova allenatrice.»

«Ho sentito che hanno assunto una tipa sui vent’anni che assomiglia a Farrah Fawcett.»

«È vero,» disse Carolyn, guardando la sua raccolta di moduli. «Don era proprio fuori di sé. Ha passato due settimane a fare i colloqui e poi la commissione assume questa ragazza, questa Linda, che non aveva nemmeno fatto domanda.»

«Scommetto che non è per niente fuori di sé,» disse Sherri. «Lui dovrà lavorare con Farrah Fawcett, tu con questo schianto di psicologo… perché a me non capita mai di lavorare con qualcuno che mi faccia girare la testa?» domandò. «Lo sai che cosa mi è successo quando quel tipo, Lasciatevi Stupire, è venuto a casa mia? Mi ha fasciato la testa con un tovagliolo, mi ha mostrato qualche campione e mi ha detto che col rosa ho un colorito giallastro. Non è giusto. Tutti gli scapoli disponibili se li pappano le donne sposate. Come la madre di Shannon Williams.»

«La madre di Shannon Williams?» ripeté Carolyn alzando gli occhi dalle carte. «Credevo che fosse stata la madre di Brendan a filarsela con quel tipo.»

«Infatti. La madre di Shannon si sta dando da fare con uno che lavora in banca con lei. Pare che abbiano passato un sacco di tempo insieme dentro la camera blindata, e poi… a proposito, quanto tempo dovrà passare Don con questa Linda?»

«Sarà meglio che scenda nella sala musica prima che suoni il campanello,» disse Carolyn. «Questo dottor Simons è già laggiù?»

«Non lo so. Per tutta la mattina ha fatto avanti e indietro, portando materiale. Farò un tentativo per la biblioteca con il Vecchio Scartafaccio. E nel frattempo, tu tieni d’occhio questo Andrew Simons. La sala musica è anche più piccola della camera blindata.» Si mise un foglio rosa davanti al collo. «Pensi anche tu che il rosa mi dia un colorito giallastro?»

«Sì,» disse Carolyn.


Andrew collegò l’oscillatore temporale ai monitor di risposta e allacciò l’intera apparecchiatura all’unica presa che riuscì a trovare nella sala musica. Le luci rimasero accese.

Bene, pensò, e cominciò a collegare gli altri cavi di risposta, che dovevano registrare le reazioni degli studenti sottoposti al test.

Secondo il dottor Young il test avrebbe dovuto individuare dei bambini che vedessero il tempo come una successione di blocchi piuttosto che come un flusso continuo. Questi bambini avrebbero avuto degli odiecroni più lunghi poiché, secondo il dottor Young, i loro odiecroni tendevano ad accorciarsi mano a mano che imparavano a percepire il tempo come un flusso.

Una volta che Andrew avesse individuato i bambini, questi sarebbero stati collegati all’oscillatore temporale e avrebbero lavorato in uno stato emotivo di eccitazione, trasferendo i loro odiecroni. Il dottor Young sosteneva di essere già riuscito a provocare il fenomeno a livello subatomico.

«Massima agitazione,» aveva detto il dottor Young. «Il semplice bombardamento non funzionerebbe. La chiave di tutto è la massima agitazione.»

«Ma anche se avviene a livello microcosmico, che cosa le fa credere che lei sarà in grado di farlo avvenire a livello macrocosmico?» gli aveva domandato la dottoressa Lejeune, la prima cosa che gli avesse detto dopo una settimana e mezzo di silenzio.

«Avviene sempre,» aveva risposto il dottor Young. «Lo avete sperimentato entrambi. La sensazione di deja vu. Un odiecrone sposta l’adesso di un millisecondo dal passato, e voi avete la sensazione di aver già visto o sentito prima qualcosa. Di solito succede quando ci si trova in uno stato emotivo eccitato. Il deja vu è una deriva temporale, e quel che noi faremo in questo progetto sarà produrlo in odiecroni più lunghi in modo che la dislocazione duri un secondo, un minuto, fino a parecchie ore.»

Andrew non credeva a una parola di tutto ciò. L’aveva confessato alla dottoressa Lejeune mentre impacchettavano l’apparecchiatura per il trasporto fino alla scuola elementare di Henley.

«Non ci credo neanche io,» aveva detto lei.

«Allora perché è ancora qui?»

Lei aveva alzato le spalle. «Ci vuole pure qualcuno che lo salvi da se stesso, o almeno che raccolga i cocci quando il suo prezioso oscillatore non funzionerà. Ma per lei questo non è un motivo per rimanere. E allora perché rimane?»

Non lo so, aveva pensato lui. Perché mi sono prestato a fare il valletto al matrimonio di Stephanie Forrester? «Forse ho una crisi di mezza età,» aveva risposto.

«Come tutti gli altri qui intorno,» aveva detto la dottoressa Lejeune, poi era diventata pensierosa. «Lei ha quarantadue anni, giusto?» gli aveva chiesto. «Aveva una ragazza in Tibet?»

«Ero in un monastero tibetano sull’Himalaya.»

«Così sia,» aveva detto lei, e gli aveva passato un altro componente.

Ce n’erano troppi, di componenti. Alcuni oggetti lui non sapeva nemmeno che cosa fossero. C’era una scatola grigia di media grandezza con un unico interruttore acceso/spento su di essa e due scatole più piccole senza nemmeno quello, e senza spine né prese per collegarle a qualche cosa. Andrew si domandò se non fossero oggetti lasciati dall’insegnante di musica. Le appoggiò sul pianoforte insieme a! contatore di fotoni e allo spettroscopio.

Le luci si spensero. «Ehi!» esclamò. Le luci si riaccesero.

«Mi scusi,» disse una voce femminile. Percorse l’aula a gomito ed entrò nella sala. Aveva i capelli neri e corti, e indossava una gonna e una giacca sportiva. Protese la mano. «Sono Carolyn Hendricks. Non sapevo se lei fosse qui o no e non volevo rimanere chiusa dentro. Sherri si è dimenticata di darmi la chiave. Ho chiamato un paio di volte, ma la stanza è isolata acusticamente e bisogna strillare per farsi sentire.»

Lui le strinse la mano. «E lei sapeva che mi sarei messo a strillare se avesse spento le luci?»

«Sì,» disse lei. «L’anno scorso ho fatto dei test per l’udito proprio qui, e i ragazzi della terza si divertivano molto a spegnere le luci mentre uscivano.» Sorrise. «Ho strillato a lungo.» Aveva un sorriso dolce.

«Per un attimo ho pensato che fossi stato io a far saltare la corrente,» disse lui indicando il groviglio di cavi. «Lei ci crede che in tutta la sala c’è un’unica presa?»

«Sì,» disse lei. Lo guardò mentre collegava l’analizzatore a spettro al cavo di alimentazione. «Forse sarebbe una buona idea se domani portassi una torcia, solo nel caso che bruciassimo un fusibile.»

«O una lampada da minatore,» disse lui, dando un’occhiata al retro dell’analizzatore. «Quando ha spento le luci qui è diventato buio pesto.»

«“Buio come un pozzo da polo a polo”,» disse lei.

Andrew la fissò.

«Io la conosco,» disse.

«Eh?» disse lei, socchiudendo gli occhi come si fa quando si cerca di decidere se una persona ha un’aria familiare o no.

«È mai stata alla Duke University?»

«No,» rispose lei, guardinga.

«E immagino che di recente non sia stata in Tibet.»

«No,» disse lei, ancora più guardinga, e Andrew si rese conto tutto a un tratto di come doveva suonare tutto ciò, specialmente laggiù, nel buco nero di Calcutta.

«Mi scusi,» disse. «Non vorrei che pensasse che volevo attaccare bottone. Lei deve ricordarmi qualcuno,» aggiunse, aggrottando la fronte.

Era una menzogna. Non gli ricordava nessuno. Era certissimo di non averla mai vista prima, ma per una frazione di secondo, quando lei aveva detto “buio come un pozzo da polo a polo”, avrebbe giurato di conoscerla già.

Carolyn aveva ancora l’aria guardinga. Lui disse. «Ciò che mi serve da lei è che mi aiuti a sistemare questa attrezzatura in modo che possiamo muoverci. Se riusciamo a spostare quello,» e indicò il convertitore di risonanza, «accanto alla lavagna, poi vediamo di togliere di mezzo le sedie…»

«Certo,» disse lei, infilandosi fra l’oscilloscopio e il magnetometro per dargli una mano. Insieme sollevarono il convertitore di risonanza, lo trascinarono accanto alla lavagna e lo posarono a terra. «Se non ne ha bisogno, possiamo portare un po’ di queste sedie fuori dalla sala,» disse lei. «Possiamo metterle nel ripostiglio.»

«Grande,» disse lui.

«Vado a farmi dare la chiave dal portiere,» disse lei. Fece per sollevare una delle sedie, e invece la rovesciò.

«Io…» disse Andrew, inciampando sulla sedia.

Carolyn raccolse la sedia e lo guardò con aria interrogativa.

«Lasciamone un paio per noi,» disse lui con voce fiacca. «E una per il bambino che sottoporremo ai test. E magari sarà meglio lasciarne altre due per il dottor Young e la dottoressa Lejeune, nel caso vogliano assistere. Lasci cinque sedie.»

«D’accordo,» disse lei e si allontanò.

«Io la conosco,» disse Andrew, seguendola con lo sguardo. «Io la conosco.»


La dottoressa Lejeune passò mezza giornata a mettere insieme i componenti del computer e il resto a cercare il dottor Young.

«Ma l’ha visto quel ripostiglio per scope che chiamate aula di musica?» domandò quando lui finalmente fece ritorno. «È più piccola della mia borsa. Ci sono andata stamattina, e quei due quasi non riuscivano a muoversi, figuriamoci farci entrare dei bambini.»

«Perfetto,» disse il dottor Young.

«Perfetto?» disse la dottoressa Lejeune, dubbiosa. Secondo lui, Carolyn Hendricks era perfetta. E a pensarci bene, aveva detto lo stesso di Andrew. «È perfetto,» aveva detto. «Ha quarantadue anni e ha passato gli ultimi cinque in un monastero tibetano.»

«Perché è perfetto?» chiese la dottoressa Lejeune.

«Parlavo di come ha sistemato il computer,» disse il dottor Young. «Sapevo che l’asilo era il posto dove avrebbe lavorato alla perfezione.»

«Be’, non l’aula di musica.»

«Sì, lo so,» disse, scuotendo tristemente la testa calva. «Ho tentato di farmi dare la biblioteca, ma il signor Paprocki ha detto che era occupata per la settimana della prevenzione degli incendi. Forse quando sarà finita potremo spostarci.» disse, e se ne andò prima che gli si potesse chiedere altro.

Lei salì in ufficio. «C’è il signor Paprocki?» chiese a Sherri, che stava piegando in due una pila di fogli arancioni, uno alla volta.

«È in giardino. Brendan James ha fatto a botte con qualcuno. Oggi è la terza volta. Sua madre è scappata con Lasciatevi Stupire.»

La dottoressa Lejeune raccolse uno dei fogli piegati e lo aprì. C’era scritto, “ATTENTI, GENITORI: È ARRIVATA LA VARICELLA!” La dottoressa Lejeune lo ripiegò. «Lasciatevi Stupire?» disse.

«Sì, lo sa, ti dice che colori ti stanno bene addosso in base alle tonalità della pelle. E poi scappa con te, almeno se sei la madre di Brendan James. A me ha solo detto di comprarmi vestiti color fucsia.»

La dottoressa Lejeune prese un po’ di fogli arancioni e cominciò a piegarli.

«In effetti, la cosa non mi ha sorpreso affatto. C’era un articolo sul Woman’s Day che parlava delle Crisi da Scimmia. Sa, quel periodo del matrimonio quando ti senti solo una bestia da soma. Solo la settimana prima aveva portato il pranzo a Brendan, che l’aveva dimenticato a casa, e mi aveva detto che ormai il marito si accorgeva di lei solo quando non trovava più le chiavi di casa. Però mi fa rabbia. Voglio dire. Lasciatevi Stupire era quasi l’unico scapolo rimasto in città.»

«È sposato il signor Paprocki?» chiese la dottoressa Lejeune, piegando i volantini.

«Il Vecchio Scartafaccio?» replicò Sherri, sorpresa. Piegò l’ultimo foglio che aveva ed estrasse timbro e tampone dal cassetto della scrivania. «Sposato? Vuole scherzare? Non alza mai gli occhi dai suoi moduli in triplice copia abbastanza a lungo per notare che sei una donna, figuriamoci se ti si sposa!» Passò il timbro due o tre volte nel tampone e lo sbatté sul volantino. Era una faccina sorridente. Passò al successivo. «E il dottor Simons? Immagino che sia troppo bello per non essere sposato.»

«No,» disse la dottoressa Lejeune, pensando a qualcun altro. «Ha passato gli ultimi cinque anni in un monastero tibetano.»

«Sta scherzando!» disse Sherri. «È perfetto!»

La dottoressa Lejeune socchiuse gli occhi. «Perché dice così?»

«Be’, perché probabilmente é disperato. Io lo sarei dopo cinque anni senza sesso,» disse, continuando a timbrare. «Ma che dico? Io sono disperata dopo cinque anni senza sesso. Da quel punto di vista, scommetto che può prenderselo la prima che passa.»

«Verrò a cercare il signor Paprocki più tardi,» disse la dottoressa Lejeune, passando a Sherri la pila di fogli piegati. «Gli dica solo che gli vorrei parlare a proposito dell’aula di musica.»

«Che problema c’è?»

«È troppo piccola. C’è tutta l’attrezzatura là dentro e quasi non ci si riesce a muovere. Mi chiedevo se non ci fosse qualche altra stanza disponibile.»

«Me l’ha chiesto Carolyn Hendricks stamattina, e io ho domandato al Vecchio… al signor Paprocki. Ha risposto che sapeva che era troppo piccola e aveva proposto al dottor Young di spostarsi in biblioteca, ma quello aveva insistito nel rimanere laggiù. Ha detto che era perfetta per le sue esigenze.»


Mentre Carolyn aspettava Wendy dall’ortodontista, tolse la grappetta dal volantino arancione che aveva ricevuto da Sherri prima di uscire e lo lesse.

“ATTENTI, GENITORI: È ARRIVATA LA VARICELLA!” c’era scritto in lettere maiuscole. C’erano dei sottotitoli: State all’erta, Preparatevi e Informatevi, ognuna con un simpatico disegnino di un’ape accanto. “State all’erta. Dall’inizio dell’anno scolastico sono stati segnalati sedici casi nel nostro Stato, di cui due a Henley, ma finora non ce n’è stato nessuno nelle scuole.”

La sezione Preparatevi elencava i sintomi della malattia, e la sezione Informatevi parlava del periodo di incubazione, che era da tredici a diciassette giorni, e concludeva: “La massima probabilità di contagio da varicella si ha il giorno prima che appaiano i sintomi e durante i primi giorni di malattia.”

Grande, pensò Carolyn. Né Liz né Wendy hanno mai avuto la varicella anche se sono state esposte tutte e due da piccole.

Quando Wendy ebbe finito, Carolyn fece una scappata alla lavanderia e dalla banca, poi andò al supermercato.

«Ricordati che è finita la gassosa,» le disse Wendy. «E l’allenatore Nicotero ci ha detto che dovremmo mangiare qualcosa…»

«Di ciascuno dei quattro gruppi di alimenti,» fece Carolyn. «Ma lo sai che la gassosa non fa parte di nessuno di essi?»

«Dopo mi porti al centro commerciale a comprare le scarpe da ginnastica?» chiese Wendy. «Oggi durante l’allenamento mi si sono slacciate le scarpe e ho chiesto il time-out, ma Sara Perkins ha detto che non ci sono time-out nella pallavolo e io le ho ribattuto che in ogni gioco ci sono. Allora ci andiamo?»

«Andiamo dove?» disse Carolyn, fissando le due bottiglie di gassosa da due litri. Quando era al college, la gassosa si vendeva in bottiglie dal formato ragionevole. Compravano una bottiglia a testa di Coca-Cola, aranciata e limonata per i loro suicidi, e cos’altro? Chinotto? Soda alla panna?

«A comprarmi le scarpe da ginnastica. Al centro commerciale.»

Carolyn guardò l’orologio. «Sono già le cinque meno un quarto, e papà ha detto che sarebbe tornato presto stasera. Ci andiamo stasera dopo cena.»

«Mamma,» disse Wendy, riuscendo in qualche modo ad infilare parecchie altre sillabe dentro “mamma”, «è mercoledì. Ho l’allenamento alle sei.»

Carolyn comprò bottiglie da due litri di Coca-Cola, aranciata, soda alla panna, chinotto, limonata e batterie nuove per la torcia elettrica, dopodiché portò di corsa Wendy al centro commerciale per comprarle le scarpe. Rientrarono solo alle cinque e mezzo.

«Ceno da Lisa,» disse Liz. «Prepariamo le richieste con il suo computer.»

«Ho l’allenamento alle sei,» disse Wendy, allacciandosi le scarpe da ginnastica.

Carolyn le preparò un panino col burro di arachidi e cominciò a togliere la spesa dalle buste. «Liz, ha chiamato papà?»

«No. Ha telefonato Sherri però. Vuole che la richiami a scuola. Che computer avevate al college?»

«Non ne avevamo.» Carolyn tirò fuori le bottiglie di gassosa e le appoggiò sul ripiano. «Non c’erano computer a quel tempo.»

«Stai scherzando! E allora che c’era?»

«Sono le sei meno venti,» disse Wendy, masticando il panino.

Carolyn diede una mela a Wendy e telefonò a Sherri.

«Dopo la scuola ho parlato con la madre di Monica e Ricky Morales, e non è sorpresa del fatto che la madre di Brendan sia scappata con quell’uomo, Lasciatevi Stupire. Ha letto un articolo nel Cosmopolitan sui sette sintomi della Crisi dei Quarant’anni, e quella li aveva tutti. Quarantatré anni, un marito che non è mai in casa, e due bambini nell’età critica…»

«Quanto? Tredici e diciassette anni?» chiese Carolyn.

«No. Due e cinque. L’articolo diceva che sarebbe stata preda facile del primo uomo che le avesse rivolto due parole carine.»

«Mamma, manca un quarto alle sei,» disse Wendy.

«So come ci si sente in quei casi,» fece Carolyn.

«Ma io ti conosco,» le disse Sherri. «Non scapperesti mai con nessuno. Sei pazza di Don, e le bambine sono fra le più belle che conosca.»

«Mamma,» fece Wendy, indicando l’orologio della cucina.

«Ho un po’ di fretta,» disse Carolyn. «Magari ti richiamo, va bene?»

«Non ce n’è bisogno. Volevo solo avvertirti che ha telefonato la madre di Heidi Dreismeier. È venuta a sapere che facevi dei test e voleva sapere quello che doveva studiare la figlia. Le ho detto di non preoccuparsi, ma sai com’è fatta. Mi sa che ti richiamerà fra un po’. Ci sentiamo domani,» disse, e mise giù la cornetta.

Carolyn si infilò la giacca e tirò fuori le chiavi della macchina dalla borsetta. Suonò il telefono. Passò le chiavi a Liz e rispose.

«Ciao tesoro,» disse Don. «Com’è andato il primo giorno di lavoro?»

«Bene.» rispose, salutando le ragazze con la mano. «Abbiamo solo spostato attrezzatura. E sedie. Ancora non so bene cosa sia questo progetto. C’è una macchina che assomiglia a una gigantesca lampada di pietra lavica. E quello con cui lavoro…»

«Quello con cui lavori?»

«Niente. Hai sentito che la madre di Brendan James è scappata con Lasciatevi Stupire? E ci sono stati due casi di varicella a Henley.»

«Benissimo,» commentò Don. «Vedrai che le ragazze se la prendono tutte e due. Tu l’hai già avuta, no?»

«Cosa? La varicella?» disse Carolyn. «Per forza che…» e si interruppe. «Non mi ricordo.» Aggrottò la fronte. «Sì. Dev’essere stato quand’ero bambina: voglio dire, tutte le volte che le ragazze potevano prenderla da piccole, avrei potuto averla anch’io, ma non è mai successo, solo che… non è buffo? Non mi ricordo più se l’ho mai avuta.»

«Ti verrà in mente se non ci pensi.» disse Don. «Probabilmente sei solo stanca.»

«Già,» disse lei. «Dopo l’appuntamento dall’ortodontista, Wendy mi ha trascinato per tutto il centro commerciale a cercare scarpe da pallavolo, poi ha telefonato Sherri, e Wendy doveva andare all’allenamento.»

«E hai anche spostato attrezzatura tutto il giorno. Per forza che sei spossata. Linda dice che non si capacita di come tu possa fare tutto, con le ragazze da seguire e adesso pure questo lavoro. Si chiede se ti rimanga abbastanza tempo per fare la moglie.»

«E tu cosa hai risposto?»

«Che sei una moglie fantastica e…» Don disse qualcosa ad una persona e poi tornò al telefono. «Scusa. È entrata adesso Linda. Era andata a comprare dei panini. Ti ho chiamato per questo. Pensavo che sarei tornato a casa presto, ma Linda si sente tanto insicura per la gara di domani. Voleva ripassare di nuovo le sequenze degli esercizi a terra. Ma senti, tesoro, posso dire alle ragazze di tornare a casa prima della scuola domani.»

«No, va bene così,» disse Carolyn. «Sono solo stanca e nervosa.» Le saltò in mente qualcosa. «Mi preparo un suicidio.»

«Un cosa?»

«Un suicidio,» ripeté lei. «Ce li bevevamo al college dopo una brutta giornata.»

Salutò Don, mise giù, e aprì tutte le bottiglie.

Ce li bevevamo al college, pensò, versando della Coca-Cola nel bicchiere. Vi aggiunse dell’aranciata e un po’ di chinotto. Di solito mi sedevo per terra con la mia compagna di stanza Allison e bevevamo insieme, parlando di ciò che avremmo fatto nella vita. Che io ricordi, non si è mai discusso di portare qualcuno dall’ortodontista o all’allenamento di pallavolo o al centro commerciale. Aggiunse una cucchiaiata di succo d’uva, colmò il bicchiere di limonata e rimescolò il drink col coltello ancora sporco di burro d’arachidi.

Che io ricordi, non si è mai discusso di sposarsi un allenatore con un’assistente con la puzza al naso.

Portò il suicidio in salotto, si sedette per terra e ne bevve un sorso. Non assomigliava nemmeno un po’ ai suicidi che avevano fatto loro due, forse perché li preparava sempre Allison. Nel trimestre d’autunno, quando Allison era in Europa, aveva dovuto fare esperimenti per giorni e giorni prima di azzeccare la ricetta. Era stato un brutto periodo. Aveva nevicato sempre, e lei se n’era stata seduta vicino alla finestra a bere suicidi, pensando all’amore, a uomini affascinanti che la corteggiavano e al sesso.

Le tornò tutto in mente. Posò il suicidio sul tavolino da caffè e andò a prendere la torcia per infilarci dentro le batterie.


Andrew arrivò presto a scuola, sperando di guadagnare qualche minuto per farsi venire in mente come mai era convinto di conoscere Carolyn Hendricks, ma lei era già lì.

«Ho portato la torcia,» disse. «Dove la posso mettere, in modo che in caso di emergenza ci ricordiamo entrambi dov’è?»

«Che ne dice di metterla sopra il pianoforte?»

La appoggiò fra due scatole grigie sprovviste di cavo di collegamento. Con gran sollievo di Andrew, oggi lei non aveva l’aria familiare. Era abbastanza scomodo lavorare a un progetto tanto assurdo senza bisogno che egli stesso si comportasse in modo assurdo.

«Oggi facciamo solo qualche test,» disse lui. «L’inventario mnemonico a corto raggio di Idelman-Ponoffo. Si tratta di leggere sequenze di cifre, lettere e parole facendole poi ripetere al bambino, dall’inizio, dalla fine, dal centro…»

«Lo so,» disse Carolyn. «Il dottor Young me li ha dati quando mi ha fatto il test l’anno scorso.»

«Oh,» disse Andrew. Fino ad allora era stato convinto che il dottor Young non la conoscesse, che l’avesse scelta a caso per mezzo della scuola elementare. «Bene. Lei farà le domande e io controllo le risposte. Saranno collegati a un elettrocardiogramma e a dei sensori autonomi di risposta, e io riprenderò l’esame con la telecamera.»

«Non pensa che tutta questa attrezzatura possa spaventare dei bambini di cinque anni?»

«È per questo che lei è qui. Loro già la conoscono, e sarà lei a distrarli in qualche modo. Non cominci subito il test. Gli parli un po’, dopodiché vediamo di collegarli cercando di farci notare il meno possibile e iniziamo le domande.»

Andò a prendere il primo bambino dell’asilo e lo fece entrare. «Ecco Matt Rothaus.» disse.

«Uau, forte!» disse Matt, correndo a guardare l’oscillatore temporale. «Star Trek: The Next Generation!»

Carolyn rise. Si piegò verso di lui. «Ti piace Star Trek?»

Io la conosco, pensò Andrew. Non l’ho mai vista prima, ma l’ho vista ridere e piegarsi in avanti esattamente in quel modo.

«Cosa avete fatto oggi a Descrivi l’Oggetto?» chiese Carolyn a Matt.

«Heidi ha vomitato,» rispose Matt. «Uno schifo pazzesco.»


A pranzo la dottoressa Lejeune appoggiò il vassoio vicino a quello di Sherri. «Come sta Heidi?» domandò. «Non è la varicella, vero?»

«No. Stomaco agitato. Sua madre…»

«Non mi dica. È scappata con l’uomo che le ha installato la TV via cavo.»

«Sta scherzando!» disse Sherri. «Dove l’ha sentito?»

«Scherzavo. Che fa sua madre?»

«Oh, le fa prendere lezioni fino allo sfinimento. Danza classica, tip tap, nuoto, tae-kwon-do. Quella povera ragazzina desidererà che sua madre scappi con qualcuno e la lasci in pace.» Sospirò. «Vorrei tanto che qualcuno scappasse con me.»

«E il signor Paprocki?» chiese la dottoressa Lejeune.

«Il Vecchio Scartafaccio? Scherza? Non mi ha mai degnato di uno sguardo.» Addentò un po’ di pasta, hamburger e salsa di pomodoro. «Credo di avere un tempismo nullo o qualcosa del genere. Incontro sempre uomini già sposati o fidanzati. Ci crederebbe che ero a casa con la gola infiammata quando il dottor Young ha fatto tutti quei test a marzo? Adesso ci potrei essere io, in quella stanzetta col dottor Simons.»

«Quali test?» chiese la dottoressa Lejeune.

«I test di selezione per chi doveva lavorare col dottor Simons.» disse Sherri, mangiando delle fette di pesca. «Ha organizzato una serie di interviste e roba del genere, quindi ha fatto tutti quei test psicologici ai prescelti. Se avessi saputo quant’era figo il dottor Simons, ci avrei provato anch’io, ma pensavo che la persona scelta dal dottor Young avrebbe lavorato con lui!»

Il dottor Young se ne era andato al Fermilab a febbraio ed era spanto per due mesi. Lei aveva immaginato (o meglio, lui le aveva fatto immaginare) che stesse lavorando tutto il tempo al ciclotrone, nel tentativo di sfasare i sui odiecroni subatomici. «Non è che la scuola conserva delle copie di quei test, per caso?»

«Vuole scherzare? Il Vecchio Scartafaccio mi fa sempre fare copie di tutto.» Appoggiò le posate e la busta di latte sul vassoio. «Il mio tempismo è sempre stato nullo. Al college non facevo che incontrare ragazzi chiamati da poco alle armi.» Si alzò e spinse la sedia sotto il tavolo. «Sarebbe forte se questa specie di macchina del tempo del dottor Young funzionasse, no? Si potrebbe ritornare indietro e trovarsi per una volta al momento giusto.»

«Già,» annuì la dottoressa Lejeune. «Sarebbe forte.»


Wendy chiamò la madre dopo la scuola per dirle che avevano una partita di pallavolo fuori città, e chiedere se le poteva portare un po’ di soldi per il McDonald’s e del Gatorade da bere in autobus. «L’allenatore Nicotero dice che abbiamo bisogno di tanti elettroliti.» Lei e Andrew non avevano ancora finito di esaminare Heidi Dreismeier, ma lui le disse che poteva andare e che avrebbe fatto da solo le ultime domande.

Carolyn corse al negozio e comprò il Gatorade e una bottiglia da due litri di gassosa alla ciliegia, ormai convinta che fosse l’ingrediente segreto dei suicidi. Portò il Gatorade e i soldi a Wendy e prese Liz che usciva da scuola.

«Mi lasci a casa di Lisa?» le chiese Liz. «Harvard le ha spedito un video illustrativo. Comunque ancora non ho deciso. Pensi che siano importanti i dormitori misti?»

«Non lo so,» rispose Carolyn, fermando l’auto davanti a casa di Lisa. «Da noi non c’erano.»

«Stai scherzando. Come facevi a incontrare i ragazzi?» Raccolse i libri e scese dalla macchina. «Ah, quasi dimenticavo: ho visto papà. Ti manda a dire che è dovuto andare con Linda al centro commerciale per vedere degli attrezzi da riscaldamento. Dice di non aspettarlo per cena.»

Carolyn tornò a casa e si preparò un suicidio, aggiungendoci un po’ di gassosa alla ciliegia per fare un esperimento. Non solo non avevamo dormitori misti, pensò, ma non ci avevano anche vietato di far entrare ragazzi in stanza. La responsabile del dormitorio faceva una ronda di controllo dei letti a mezzanotte, e chi veniva trovato con un ragazzo nella stanza rischiava l’espulsione, ma in ogni caso riuscivo a incontrarli lo stesso, Liz. Mi si sedevano vicino a lezione, ballavano con me alle feste, e mi telefonavano.

Suonò il telefono. «Grazie tante per avermi piantato in asso,» disse Andrew.

«Che è successo?» chiese Carolyn. «Heidi ha vomitato?»

«Peggio. È venuta sua madre. Mi ci è voluta un’ora e un quarto per farle capire che a Heidi non servono lezioni di odiecronicità.»

«Sherri dice che ha letto un articolo sull’Isterismo delle Casalinghe, e pensa che la madre di Heidi soffra proprio di quello,» disse Carolyn. Bevve un sorso di suicidio. L’ingrediente segreto non era la ciliegia. «Non riesce a trovare uno sfogo socialmente accettabile per le sue frustrazioni e desideri.»

«Per questo costringe la povera Heidi a prendere lezioni di danza del ventre. Mi ha raccontato per tre quarti d’ora delle sue lezioni di violino. Mi sentivo come intrappolato in una terribile dilatazione temporale. Mi sta bene per essermi ficcato in questa faccenda.»

«A proposito, come ha fatto a finire in questa faccenda?» chiese Carolyn, aprendo il frigo e sbirciandoci dentro per vedere se non ci fossero altri tipi di gassosa da provare.

«Vuol dire perché ho deciso di studiare il tempo? Be’, io…» Ci fu una lunga pausa, dopodiché disse con una voce strana: «Non è buffo? Non me lo ricordo più.»

«Vuol dire che ci si è trovato dentro a poco a poco?» C’era un barattolo di ciliegie sotto spirito nello sportello del frigo, con una sola ciliegia dentro. Carolyn la mangiò e versò il succo nel suicidio. «Ci è semplicemente capitato in mezzo?»

«La psicologia temporale non è qualcosa nella quale si capita per caso,» ribatté. «È ridicolo. Non mi viene proprio in mente.»

«Forse non si è ancora abituato all’altitudine, o qualcosa del genere,» disse Carolyn, assaggiando il suicidio. Neanche il succo di ciliegia sotto spirito era l’ingrediente segreto. «E magari sarà anche stressato per via del progetto e tutto il resto. La gente stressata tende a scordarsi le cose.»

«Ci si scorda un numero di telefono o le chiavi di casa. Di certo non come si è scelto il proprio mestiere.»

«Io non mi ricordo se ho mai avuto la varicella,» disse Carolyn. «Ho anche telefonato a mia madre. Mi ha detto che non l’ho presa da piccola, ma le sembrava che me l’avessero attaccata al college, e quando me l’ha detto ho avuto l’impressione che fosse così, ma proprio non mi viene in mente. È come se ci fosse un buco enorme nel…»

«Nebraska State College,» disse Andrew.

«Che?» fece Carolyn.

«Il suo college. È andata al Nebraska State College. Ecco perché la conosco.»

«Sta scherzando. Ci è andato anche lei?»

«No, Stanford, ma…» Si interruppe. «Non è mai stata in California durante il college, no? Per esempio durante le vacanze di primavera?»

«No,» rispose Carolyn. «E lei è mai venuto in Nebraska?»

«No, e lei ancora pensa che stia recitando il solito numero del “Non l’ho già vista da qualche parte?”, vero?»

«No,» disse lei. «Forse le ricordo la sua ragazza ai tempi del college.»

«Impossibile. Stephanie Forrester era bionda e perfida.»

Per fargli fare da valletto al matrimonio, lo era di sicuro, pensò Carolyn.

«Marrone e oro» fece lui.

«Cosa?»

«I colori della sua scuola. Marrone e oro.»

Guardò il suicidio e lo versò nel lavello. I colori della sua scuola erano marrone e oro, e Andrew non aveva mai nominato Stephanie Forrester fino a quel momento, ma lei sapeva tutto, che anche il capo valletto era innamorato di lei, che erano andati a bere i fermatempo insieme e…

«Devo preparare la cena prima che torni mio marito,» disse, e riattaccò.


La dottoressa Lejeune aveva sperato che Sherri le cercasse subito i test, ma quando andò al suo ufficio dopo la scuola, lei disse: «Oh, mi è completamente passato di mente. Il Vecchio Scartafaccio ha deciso di punto in bianco che avrei dovuto fare un inventario del ripostiglio, compresa una conta di tutti i fogli della carta per costruzioni.»

«Quanti anni ha il signor Paprocki?» chiese la dottoressa Lejeune.

«Sei, sette,» disse Sherri, contando i fogli verdi. «Quarantatre.»

«Quarantatre,» ripeté la dottoressa Lejeune pensierosa, guardando Sherri che contava. «Lei è consapevole del fatto che un’attenzione eccessiva al dettaglio è un sintomo tipico di repressione sessuale?»

«Diciannove… vorrà scherzare.» disse Sherri. Osservò la pila rimasta a metà. «Dov’ero rimasta?»

«A diciannove,» rispose la dottoressa Lejeune. «Sei sicura che non ti abbia mai notata?»

«Sicurissima. Mi sono vestita di fucsia per una settimana intera.» Finì di contare la pila e la pareggiò ordinatamente da entrambi i lati. «Vediamo se trovo quei test appena ho finito di inventariare, va bene?»

La dottoressa Lejeune scese nell’aula di musica per sapere qualcosa in più da Carolyn, ma lei non c’era, e nemmeno Andrew. Probabilmente si sono persi in mezzo a tutti questi apparecchi, pensò la dottoressa Lejeune, osservando le scatole metalliche appoggiate una sopra l’altra accanto al pianoforte e allineate sotto la lavagna. Si chiese a cosa gli servisse il contatore di fotoni. E l’analizzatore di spettro. Qualcuno di questi oggetti le era completamente sconosciuto. Raccolse una scatola di ferro grigio che non era collegata a niente. Non c’erano quadranti o marcature sopra, solo un interruttore per l’accensione. Qualunque cosa fosse, era accesa.

Si spensero le luci. «Ehi!» gridò la dottoressa Lejeune. Fece un passo verso la porta. Urtò contro il cestino. «Ehi!» gridò di nuovo.

«Mi scusi,» disse il dottor Young, e riaccese la luce. Percorse la stretta aula a gomito fino alla fine, con l’aria stranamente colpevole, come se l’avessero colto con le mani nel sacco. «Non sapevo che ci fosse qualcuno, e ho visto la luce accesa. Lasciare la luce accesa in una stanza vuota è uno spreco di elettricità e…» si interruppe. «Che stava facendo?»

«Niente,» rispose lei, sorpresa.

Lui fissava la scatola che la dottoressa teneva ancora in mano. La appoggiò sul pianoforte. «Cercavo il dottor Simons.»

«Perché?» chiese sospettoso. «Non è che voleva fargli combinare qualcosa con Bev Frantz, vero?»

«Volevo solo chiedergli un’opinione sui bambini esaminati finora,» rispose fredda. «Il computer non segnala la minima traccia di odiecroni, né lunghi né corti. E dovrebbe stare attento quando spegne la luce, lei. Qua dentro è buio come una miniera di carbone.»

Il dottor Young assunse di nuovo un’espressione colpevole, e non riusciva a staccare gli occhi dalla scatola sul pianoforte.

«Vado a terminare i calcoli delle estrapolazioni,» disse la dottoressa Lejeune, e se ne tornò in ufficio.

Sherri faceva la conta della carta per costruzioni gialla. La dottoressa le chiese se poteva fare una telefonata all’università dall’ufficio del signor Paprocki. «Quarantadue, quarantatré,» disse Sherri. «Come no. Compili questi.» Le passò un fascio di moduli alto un centimetro.

«La telefonata è a carico del destinatario,» disse la dottoressa Lejeune. Andò in ufficio, chiuse la porta e chiamò il dipartimento di fisica. «Mi serve qualcuno che abbia lavorato all’oscillatore temporale con il dottor Young,» disse all’assistente laureato che rispose al telefono. «Vorrei sapere con esattezza a che serve.»

«Parla dell’unità principale?»

«Penso di sì,» rispose la dottoressa Lejeune. Non sapeva nemmeno che ci fosse più di un componente.

«Ha due funzioni. Fornisce gli stimoli agitazionali, e accumula l’energia temporale raccolta dalle ricetrasmittenti portatili.»

«Stimoli agitazionali?»

«Sì. Una combinazione di emissioni infrasoniche e messaggi subliminali che producono uno stato emozionale di agitazione nei soggetti testati.»

Sì, e scommetto già quello che dicono i messaggi subliminali, pensò la dottoressa Lejeune.

«Immagino che questa “unità principale” non assomiglia a una lampada di pietra lavica, no?»

«Lampada di pietra lavica? Perché mai un oscillatore temporale dovrebbe assomigliare a una lampada di pietra lavica?»

«Bella domanda,» disse lei. «Mi parli delle ricetrasmittenti portatili.»


Ci vollero altri due giorni abbondanti per finire con l’asilo. Brendan James era l’ultimo in lista. «Magari faremmo meglio a saltarlo,» disse Carolyn. «È parecchio stressato.»

«In ogni caso non faremmo in tempo oggi,» disse Andrew. Erano quasi le due e mezzo. Se n’era accorto dal fracasso dei bambini della terza che correvano a fare ricreazione. «Rimandiamo tutto a domani, così chiedo se…»

Le luci si spensero.

«Aspetti un attimo,» disse Andrew. «Prendo la torcia. Non si vede niente qua dentro.»

Era un eufemismo. Là dentro era nero come la pece, nero come una miniera. Era tanto buio che gli sembrò di perdere anche l’orientamento. Fece un passo verso il pianoforte e urtò il ginocchio contro la scrivania. Non da quella parte. Si girò e camminò in direzione opposta, con le braccia protese davanti a sé.

«Cerco l’interruttore,» fece Carolyn, e ci fu uno schianto metallico.

«Rimanga esattamente dov’è,» disse Andrew. Colpì la tastiera del pianoforte producendo un baccano di note. «Ci sono quasi.» Raggiunse la cima del pianoforte con la mano e toccò prima una delle scatole quadrate di ferro, poi quell’altra. La torcia non c’era. Tastò tutta la superficie del pianoforte. «Ha spostato la torcia?» domandò.

«No,» rispose. «E lei?»

«No,» disse, girandosi nella direzione da cui proveniva la sua voce. Rovesciò il cestino. «Non vedo niente,» disse. «È buio come un pozzo da polo a polo qua. Lei dov’è?»

Per un attimo lei non rispose, ma non era necessario che glielo dicesse. All’improvviso Andrew seppe con certezza dov’era lei. Non vedeva niente; non c’era abbastanza luce perché gli occhi potessero abituarsi, ma sapeva con certezza dov’era.

«Sono vicino alla lavagna, credo,» disse lei. Non era vero. Era fra il contatore di fotoni e l’oscilloscopio, e lui avrebbe dovuto solo allungare il braccio e avvicinarla a sé. Lei aveva già alzato il viso verso il suo nel buio pesto. Lui avrebbe solo dovuto chiamarla.

E dopo? L’avrebbe resa protagonista del prossimo pettegolezzo messo in giro da Sherri? Be’, lo sapete che è successo alla madre di Wendy e Liz, no? È scappata con l’uomo degli odiecroni. «La lavagna è da questa parte,» disse lui, mettendole la mano sulla spalla e facendola voltare delicatamente in quella direzione. Tastò la superficie con la mano libera, ora assolutamente sicuro sulla disposizione della stanza. Avrebbe potuto camminare lungo lo stretto tunnel fino all’interruttore senza mai mettere un piede in fallo. «Lo sa meglio di me dov’è l’interruttore,» disse lui, lasciandole la spalla. «Tenga la mano sul portagessetti, e quando è finito continui a tastoni lungo il muro.»

«È contro il regolamento,» disse lei. «L’insegnante di musica non vuole che i bambini tocchino il muro con le mani come sto facendo adesso.»

Tutto nella sua voce lasciava intendere che non aveva alcuna idea di quanto avessero sfiorato la tragedia, e probabilmente non se ne era resa conto davvero. Era felicemente sposata con l’allenatore di ginnastica. Aveva una figlia adolescente pronta per andare al college e un’altra alla partita di pallavolo fuori città. Forse non aveva nemmeno notato che là dentro non ci si poteva muovere senza toccarsi.

«Di sicuro l’insegnante di musica farà un’eccezione, per stavolta,» disse. «Si tratta di un’emergenza.»

Sentì che lei si fermava, con la mano già sull’interruttore. «Lo so.»

Accese la luce. «Sarà meglio andare a parlare con l’insegnante della terza,» disse lei, e aprì la porta.

«Sarà meglio,» ripeté lui.


Dopo la scuola, la dottoressa Lejeune andò nell’ufficio del signor Paprocki a chiedergli se poteva utilizzare il telefono per un’interurbana al Fermilab.

«È incredibile,» disse Sherri. «Era l’ultimo uomo scapolo dello stato, e se ne va.»

«Chi se ne va’?» chiese la dottoressa Lejeune. «Il dottor Simons?»

«Già. È venuto su alle due e mezzo a dire che era in partenza, ha fatto sapere al dottor Young che se ne tornava in Tibet.»

«È tutto? Non ha lasciato messaggi?»

«No.» rispose Sherri. «Non è giusto. Mi sono comprata un intero guardaroba color fucsia.»

La dottoressa Lejeune andò a cercare il dottor Young. Era in terza classe a distribuire leccalecca. «Andrew se n’è andato,» gli disse.

«Lo so,» rispose lui. Le diede un leccalecca.

«Dice che torna in Tibet,» fece lei. «Non tenta di fermarlo?»

«Fermarlo?» disse. «E perché mai dovrei farlo? Così scontento, sarebbe solo un peso per il progetto, no? Inoltre,» — scartò un leccalecca — «lei sa utilizzare la telecamera, vero?»

«Lo ha fatto venire addirittura dal Tibet. Ha detto che era perfetto.»

«Certo,» annuì, osservando meditabondo il leccalecca. «Be’, tutti possiamo sbagliare.»

«Avrei dovuto presentarlo a Bev Frantz finché ero in tempo,» disse la dottoressa Lejeune sottovoce.

«Che cosa?» fece il dottor Young.

«Dicevo, che ne sarà del progetto?»

«Il progetto,» disse il dottor Young, infilandosi in bocca il leccalecca, «procede come previsto.»


«Cattive notizie,» disse Sherri a Carolyn quando quest’ultima arrivò a scuola la mattina dopo.

«Non mi dire,» fece Carolyn, osservando la tabella degli esami. «La madre di Pam Lopez è scappata col sacerdote luterano.»

Sherri non abboccò. «Il dottor Simons se n’è andato,» disse.

«Oh,» disse Carolyn, spostando il nome di Brendan James alla fine della prima classe. «Dov’è andato?»

«In Tibet.»

Bene, pensò Carolyn. Magari adesso la smetterai di fare la collegiale. Non hai diciannove anni e non vivi nel dormitorio. Hai quarantuno anni. Sei sposata con due bambine, ed è meglio che lui stia in Tibet invece che in quella auletta di musica dove non ci si può muovere senza strusciarglisi addosso. «E il dottor Young porterà avanti il progetto?» chiese.

«Sì.»

Anche la madre di Brendan James era sposata con due figli, pensò Carolyn, e… che diavolo ti è preso? La madre di Brendan James è ed è sempre stata assolutamente svitata, e tu ami tuo marito, vuoi bene a Liz e Wendy, e solo perché in questo periodo hanno la ginnastica, il college e la pallavolo per la testa, non c’è motivo di comportarsi come una collegiale che si è presa una cotta. «Mi chiedo chi è che lo sostituirà. Forse il dottor Young?»

«Non so. Sinceramente, non mi sembri tanto sconvolta per la sua partenza,» disse Sherri. «Be’, magari non ti importa che l’ultimo uomo scapolo a disposizione se ne sia appena andato in un altro continente, ma a me sì.»

Un altro continente, pensò Carolyn. L’università non era abbastanza lontana. Nemmeno la Duke University era abbastanza lontana. Doveva farsi tutta la strada fino in Tibet per allontanarsi da me.

«C’è sempre il signor Paprocki,» disse Carolyn, e scese nell’aula di musica.

«Il dottor Simons è dovuto partire improvvisamente,» le disse il dottor Young. Stava spiegando il funzionamento della telecamera alla dottoressa Lejeune. «Una specie di emergenza,» aggiunse.

Una specie di emergenza. «Si tratta di un’emergenza,» aveva detto Andrew, ma in effetti non se ne era reso conto affatto. Lei aveva saputo con esattezza dove si trovasse, in piedi in quel buio pesto. Non era riuscita nemmeno a vedersi la mano davanti al viso, e non aveva trovato l’analizzatore di spettro nemmeno quando ci aveva sbattuto contro, ma sapeva con esattezza dov’era Andrew. Avrebbe solo dovuto mettergli la mano dietro al collo e avvicinarlo a sé.

«Scusate il disturbo,» disse Sherri, consegnando un biglietto a Carolyn. «Cattive notizie. Hanno appena telefonato dal liceo. Liz ha la varicella.»


Andrew prese l’autobus per l’università. Qualcuno aveva lasciato una copia del McCall’s sul sedile accanto. In copertina c’era una foto di Elizabeth Taylor con la didascalia: “Siete pronti per una storia d’amore? Ve lo dice il nostro test.”

Fece il test, simulando le risposte come avrebbe potuto darle Carolyn. Si ricordò che il marito faceva l’allenatore, per cui rispose sì a “Mi sento quasi sempre sola.” Inoltre rispose sì alla domanda, “A volte ho delle fantasie su qualcuno che conosco,” benché fosse sicuro che quello era ciò che desiderava lui.

Sotto il test c’era scritto, “Assegnatevi un punto per ogni ‘sì’. Da 0 a 5: Non siete pronti. Da 6 a 10: Ci siete quasi. Da 11 a 15: Pronti o no, è il momento. Da 16 in su: PERICOLO!”

Carolyn realizzò quattro.

Fissò un attimo lo sguardo fuori dal finestrino, poi fece lui stesso il test, riformulando le domande in modo che fossero adatte per un uomo. Per eliminare ogni pregiudizio sessuale, rispose no a tutte le domande meno quelle sulla Sindrome Premestruale e ancora no a quella che diceva, “Ripenso spesso a una vecchia fiamma.” Non aveva in mente Stephanie Forrester mentre fissava fuori dal finestrino, e d’altra parte non vedeva come Carolyn Hendricks potesse considerarsi una vecchia fiamma quando lui non aveva fatto altro che sapere dov’era nell’oscurità.

Realizzò ventidue. Ricominciò e rispose no anche a quelle sulla Sindrome Premestruale. Era sceso solo a diciassette.


Il dottor Young non sembrava sconvolto per la dipartita di Carolyn più di quanto lo fosse stato per Andrew. A tutti gli effetti, sembrava piuttosto allegro mentre enumerava le sequenze di cifre a Troy Yoder. Appena ebbe finito, la dottoressa Lejeune si offrì di andare a prendere il bambino successivo della prima e salì in ufficio. «Ha trovato quei test?» domandò a Sherri.

«No,» rispose lei, disgustata. «Ho la varicella fin sopra i capelli, e lui decide che i conti del latte vanno tenuti in partita doppia. Prometto che glieli cerco non appena ho un secondo libero.»

«Non c’è problema,» disse la dottoressa.

«Ma se ha fretta, potrebbe chiedere alla madre di Heidi Dreismeier,» disse Sherri. «Probabilmente avrà trafugato delle copie dei test per provarli a casa con la figlia.»

«La madre di Heidi Dreismeier?» chiese la dottoressa Lejeune. «Ma di preciso il dottor Young quanta gente ha esaminato?»

«Be’, ha cominciato con una selezione generale del personale, i volontari e le responsabili delle aule, ma quella era solo una specie di intervista. Quindi ha ristretto la scelta a circa cinque persone che hanno fatto tutta la trafila dei test.»

«Chi erano queste cinque persone?»

«Be’, Carolyn Hendricks ovviamente, poi la madre di Heidi, Franane Williams…»

«La madre di Shannon?» chiese la dottoressa Lejeune.

«Sì, e chi altro?» Ci pensò su un attimo. «Oh. La madre di Brendan James. Per fortuna non l’hanno scelta, eh? E Maribeth Greenberg. L’anno scorso insegnava qui in quarta.»

«Quanti anni ha?» chiese la dottoressa Lejeune.

«Quaranta,» rispose Sherri all’istante. «Le abbiamo fatto una festa di compleanno proprio prima che se ne andasse.»

«Non è che magari è scappata con qualcuno, no?»

«Maribeth?» disse Sherri. «Vuole scherzare? Si è fatta suora.»


Non sembrava che Liz stesse tanto male quando Carolyn l’andò a prendere a scuola, ma la mattina dopo era già sotto le coperte. «Come faccio adesso?» gemette. «La settimana prossima ho l’appuntamento per la foto di classe.»

«Telefono e dico di spostarlo,» propose Carolyn, ma il telefono squillò prima che facesse in tempo a trovare il numero.

«Ancora brutte notizie,» disse Sherri.

«Wendy?» fece Carolyn, pensando, fai che se la prendano tutte e due insieme, per favore.

«No. Monica e Ricky Morales. Non riesco a contattare la madre. È all’agenzia immobiliare. E c’era il tuo nome sul bigliettino per i casi di emergenza.»

«Vengo subito,» disse Carolyn. Diede uno sguardo a Liz, che dormiva sul divano del salotto, ed andò alla scuola elementare. Lungo la strada, si fermò un attimo al negozio e fece scorta di Seven-up, ghiaccioli e lozione di calamina. Comprò anche una bottiglia di Dr. Pepper, che era di sicuro l’ingrediente mancante per fare i suicidi di Allison.

Quando arrivò a scuola, Monica e Ricky se ne stavano seduti in ufficio tutti arrossati e con gli occhi lucidi. «Abbiamo registrato cinque casi stamattina,» le disse Sherri. «Cinque casi! E Heidi Dreismeier ha vomitato, ma penso che sia solo agitazione di stomaco.» Aiutò Monica a infilarsi la giacca. «Continuerò a cercare la madre. L’ufficio dice che stava facendo vedere degli appartamenti a uno scapolo.»

Carolyn portò Monica e Ricky in macchina. Ricky si sedette dietro senza indugio e non si mosse più. Carolyn dovette mettere la spesa nel bagagliaio per far sedere Monica davanti vicino a lei. Le allacciò la cintura di sicurezza e avviò l’auto.

«Aspetta, aspetta!» urlò Sherri, bussando sul vetro dalla parte di Monica. Carolyn si allungò e aprì il finestrino. «Ce n’è un altro per te,» disse col fiatone. «Non era agitazione di stomaco. Heidi è tutta coperta di macchie sul petto. Quasi dimenticavo. Ha chiamato Don. Ti ha cercato a casa. Farà tardi. Due sue alunne l’hanno presa, e dovrà studiare con Linda una sequenza alla trave per una delle matricole.»

Carolyn spense la macchina. «Perché devo prendere Heidi?» disse. «Sua madre non lavora.»

«È andata a un seminario di tre giorni sul tema “Come Passare Più Tempo con Tuo Figlio”.»


Giunto all’università, Andrew si recò subito nell’ufficio del dottor Gillis per comunicargli le sue dimissioni. «Sì, sì, mi ha chiamato Max e mi ha raccontato tutto,» disse il dottor Gillis. «È un peccato, ma se hanno bisogno di lei in Tibet, be’, allora mi sa che non ci rimane che sospendere il progetto. Adesso, cosa si può fare per farla tornare al più presto in Tibet?» Chiamò la Duke University e il delegato americano in Cina fece fare i preparativi a Bev Frantz per un’iniezione di richiamo contro il colera e gli trovò un alloggio al campus dove risiedere fino alla partenza.

L’ultima non fu una buona idea. Il dormitorio gli ricordava quello dove aveva abitato durante il terzo anno a Stanford quando era innamorato di Stephanie Forrester. In quell’anno sarebbe stato meglio incontrare Carolyn Hendricks piuttosto che Stephanie. Così Carolyn Hendricks non sarebbe diventata quello che era. Non si sarebbe sposata e non avrebbe avuto due figlie, e lui avrebbe potuto innamorarsene invece di perdere la testa per una che invitava i suoi ex a farle da valletti al matrimonio. Anche il capo valletto era stato un suo ex. L’aveva detto ad Andrew dopo cinque o sei fermatempo, e avevano deciso di comune accordo che gliene servivano altrettanti. Non seppe mai quanti se ne scolarono, ma furono di certo abbastanza da fargli dimenticare tutto in una notte, e fargli anche passare la cotta per Stephanie.

Una cura infallibile. Peccato che non si potesse bere alcolici nei dormitori.


Il dottor Young si rifiutò di abbandonare il progetto, benché alla fine della prima settimana non ci fosse praticamente rimasto nessuno da testare. «Lavoreremo sui dati attualmente in possesso finché la varicella non sarà sparita dalla circolazione,» disse, in tutta tranquillità. «Quanto ci vuole per guarire dalla malattia?»

«Due settimane,» rispose la dottoressa Lejeune, «ma Sherri dice che la fase iniziale dura circa un mese. Perché non ce ne torniamo all’università finché non è passata? Possiamo lasciare qui l’attrezzatura.»

«Assolutamente no!» tuonò il dottor Young. «È questo tipo di atteggiamento che ha minacciato il progetto sin dall’inizio!» Se ne andò a passi pesanti, presumibilmente per andare a elaborare i dati raccolti fino a quel momento.

Non abbiamo dati, pensò la dottoressa Lejeune salendo in ufficio, e non è il mio atteggiamento a minacciare il progetto. Si chiese perché se la fosse presa tanto. Non aveva battuto ciglio né alla partenza di Andrew né a quella di Carolyn, e nemmeno per il propagarsi della varicella. Ma la sola ipotesi di andarsene da lì gli aveva acceso la testa calva di un rosa carico.

Sherri stava tamponando uno della quarta con lozione di calamina. «Finalmente ho trovato i test,» disse. Li passò alla dottoressa Lejeune. «Mi scusi per il tremendo ritardo, ma stamattina ho dovuto congedare sei bambini, tre dei quali sono a casa di Carolyn Hendricks.»

La dottoressa Lejeune guardò i test. Il primo era l’Idelman-Ponoffo che avevano fatto ai bambini, dopodiché c’era una raccolta di svariati esami psicologici.

«E come se non bastasse, il Vecchio Scartafaccio vuole che gli metta in ordine alfabetico i permessi di uscita per la gita scolastica.»

L’ultimo test era qualcosa chiamato il Rick. La dottoressa Lejeune non lo conosceva. Chiese a Sherri se poteva utilizzare il telefono nell’ufficio del signor Paprocki per chiamare il dipartimento di psicologia all’università.

«È un test sulla capacità di ragionamento, sul senso di responsabilità e sull’attaccamento al dovere,» disse l’assistente laureato.

«Anche sulla fedeltà?» chiese lei.

«Ah, certo. Infatti, il dottor Young del dipartimento di fisica lo ha utilizzato proprio in un suo progetto. Voleva testare le probabilità di scoppio di una storia d’amore fra quarantenni.»

«Mettiamo che uno prenda 692 nel Rick, quante sono le probabilità che si faccia coinvolgere in una relazione extraconiugale?»

«692?» disse l’assistente. «Nulle. Settecento è il massimo della fedeltà.»

Perfetto, pensò la dottoressa Lejeune. «Non è che per caso avete il risultato del test fatto al dottor Andrew Simons?»

«So che il dottor Young gli ha fatto il Rick, ma non sono sicuro se…»

«Non fa niente,» lo interruppe la dottoressa. «Già lo so quanto ha preso.»


Carolyn controllò la pancia di Wendy per due settimane, ma non vide mai sintomi di varicella, benché alla fine si ritrovasse con cinque pazienti distribuiti fra il letto di Wendy, il letto matrimoniale e il divano in salone. «Non posso prendermela,» le disse Wendy, tirandosi giù la maglia dopo il solito controllo alla pancia. «C’è una partita oggi pomeriggio. Devo subentrare io. Sarah Perkins s’è ammalata ieri. L’allenatore Nicotero ha dovuto chiamare il time-out e farla sostituire.»

Proprio quello mi serve, pensò Carolyn, accompagnandola agli allenamenti. Un time-out. Peccato che il gioco che faccio non li preveda.

«Ho ristretto la scelta a Vassar, Carleton e Tufts,» disse Liz quando Carolyn rientrò. Era sdraiata sul divano a tamponarsi la lozione di calamina sulle gambe mentre leggeva gli opuscoli delle università. «Mamma, è importante un videoregistratore in camera?»

Squillò il telefono. «Mi dispiace tanto di doverti sempre disturbare,» disse Sherri, «ma non c’è altro da fare. È Shannon Williams. Ho chiamato sua madre in banca. Dici che ho fatto bene?»

«Lei c’era?»

«Non so,» rispose Sherri, a voce bassa. «Ha risposto lui al telefono e ha detto che non c’era, ma mi sembrava proprio furioso e credo che lo fosse davvero. Allora la vieni a prendere?»

«Arrivo subito,» disse Carolyn.

Sistemò Erin nel letto di Wendy e le diede un ghiacciolo e alcuni fumetti della figlia. «Vado a prendere Shannon Williams,» disse a Liz, che aveva messo da parte l’opuscolo e guardava All My Children.

«Anche sua madre lavora in un’agenzia immobiliare?»

«No,» rispose Carolyn. Sua madre sarà in guai grossi se il marito lo viene a sapere. E com’è successo? Lo so com’è successo, pensò Carolyn. Sapeva con esattezza dov’era lui, e non stava pensando al marito o ai bambini perché in quel momento non esistevano. Quando si parla di dislocamento temporale. Era come se quel momento, quando se ne era stata al buio e aveva saputo di dover solo mettergli una mano sul collo e avvicinarlo a sé, fosse anch’esso fuori del tempo.

Solo che non lo era. La madre di Shannon Williams si stava semplicemente ingannando nella convinzione che lo fosse. Sarebbe stato bellissimo se fosse stato possibile uscire dal tempo, secondo la teoria del dottor Young, e tornare indietro ai tempi del college e della libertà totale da famiglia e responsabilità, ma questo era impossibile. E standosene lì al buio, la madre di Shannon avrebbe dovuto pensare al dolore di suo marito per quel che stava facendo. Avrebbe dovuto pensare a come portare Shannon agli allenamenti di pallavolo e dall’ortodontista, dopo aver ottenuto il divorzio.

Suonò il telefono. Era Don. «Come vanno le cose?»

«Benissimo,» rispose. «Erin Peterson è sul divano, io sto andando a prendere Shannon Williams, abbiamo finito tutti i ghiaccioli e le lozioni di calamina, e mi hai appena telefonato per dirmi che farai tardi di nuovo.»

«Già,» disse lui. «Non vorrei proprio complicarti la vita con tutti quei bambini cui devi stare dietro, ma qualcuno ha cancellato il nastro con la musica per gli esercizi a terra e domani c’è una gara importante. Per fortuna Linda ha una doppia piastra a casa, adesso ci andiamo. Torno il prima possibile. E senti, cerca di rilassarti un po’. Mi sembri stanca morta.»

«Grazie,» disse Carolyn fredda. Aprì il frigorifero. Avevano anche finito la gassosa.

«Questo voglio dire. Sei così irascibile. Linda pensa che tu stia facendo troppo per tutti quei ragazzini ammalati. Dice che una donna alla tua età dovrebbe stare attenta a non strafare.»

«O magari l’artrite si farà sentire di nuovo?» disse. Riattaccò il telefono, chiamò la banca e chiese di parlare con il capo ufficio prestiti.

«Dica alla madre di Shannon Williams che non mi importa se c’è o non c’è, ma sua figlia è malata e dovrebbe venirsela a prendere,» disse, e mise giù.

Squillò ancora il telefono. «Cattive notizie,» disse Sherri.

«Chiunque sia,» disse Carolyn, «che se lo vada a prendere la madre.»

«È Wendy,» fece Sherri.


Dopo tre settimane qualche bambino pieno di croste cominciò a tornare alla spicciolata, ma il dottor Young non sembrò interessato a testarli.

«Se non utilizziamo l’aula, perché almeno non spostiamo una parte dell’attrezzatura e facciamo un po’ di spazio per l’insegnante di musica?» suggerì la dottoressa Lejeune.

«Lei non sposta niente da nessuna parte,» urlò il dottor Young, con la testa calva color fucsia. «È questo tipo di atteggiamento che…»

«Lo so, lo so,» lo interruppe lei, ma scese lo stesso nell’aula di musica. Almeno poteva togliere di mezzo qualcosa in modo che l’insegnante di musica riuscisse a raggiungere il pianoforte.

Smontò la telecamera e la ripose nell’armadietto. In fondo, fra due xilofoni, c’era una torcia elettrica. Potrebbe tornare utile in caso di black-out, pensò la dottoressa Lejeune. Se la mise in tasca e si fece strada verso il pianoforte per prendere l’oscillatore temporale. La scatola grigia senza cavi era ancora sopra al pianoforte, ma le altre due più piccole erano sparite.

Salì in ufficio e telefonò a Carolyn. «Il dottor Young le ha fatto portare niente a casa?» chiese.

«Le copie trascritte dei colloqui,» rispose Carolyn, con voce sfinita. «Pensava che avrei avuto tempo di riguardarmele, ma ho un mucchio di roba da…»

«Veda un po’ se non c’è anche una scatola grigia piatta.» la interruppe la dottoressa Lejeune.

«Non credo. Aspetti un attimo,» disse Carolyn. Ci mise un bel po’ a ritornare. «Sì, c’è. Non so come ci sia finita in mezzo. Vuole che la riporti a scuola?»

«No,» rispose la dottoressa Lejeune. «Ce la riprenderemo insieme alle trascrizioni. Lei non ci pensi.»

«È sparita anche l’altra? Ce n’erano due sopra al pianoforte.»

«No, non è sparita,» disse la dottoressa Lejeune. «Lo so io dov’è.»


Anche con l’aiuto del dottor Gillis, ci vollero tre settimane per organizzare tutto, dopodiché Andrew ebbe qualche problema a trovare un volo per Los Angeles. Quello sul quale riuscì finalmente a salire era strapieno. Se ne stava incastrato fra un uomo addormentato e una bambina. Quando arrivò la hostess con il carrello delle bibite, ordinò un fermatempo.

«Chiedo scusa, signore,» disse. «Non conosco questo drink. Come si prepara?»

«Voglio una coca,» disse la bambina.

«Basta che mi dia una birra e del vino, poi li mescolo da solo,» disse lui.

«Mi dispiace, signore. Posso venderle solo una bevanda alla volta.»

«Va bene,» replicò, indicando l’uomo addormentato vicino al finestrino. «La birra è per lui e il vino per me, pago tutto io.»

La hostess gli sbatté un tovagliolo sul vassoio e gli versò in un tozzo bicchiere di plastica una bevanda di un colore fra il rosa e il marrone dall’aspetto pessimo. A guardarla, non invitava a niente di più di un semplice assaggio, ma se la bevve lo stesso.

La ragazzina prese il bicchiere con tutte e due le mani e tentò di infilarsi la cannuccia in bocca rigirando il bicchiere finché riuscì ad afferrarla coi denti. «Vado a trovare la mamma,» disse, masticando la cannuccia. «Vive a Santa Monica. E papà vive a Philadelphia. Stanno per divorziare.»

«Oh?» fece Andrew. Si girò nel sedile e tentò di richiamare l’attenzione della hostess, ma il carrello era già quindici file più indietro.

«La mamma è andata in California per trovare se stessa,» disse la bambina. Mise giù il bicchiere e cominciò a soffiarci dentro con la cannuccia. «Vive con uno che si chiama Carlos. Lui gioca a tennis.»

Il carrello delle bibite scomparve in fondo all’aereo.

«Il mio papà ha una nuova ragazza di nome Heather.»

Arrivò un’altra hostess con le cuffie. «Le interessa un film? È il mese dei nostalgici.»

«Che film c’è?» chiese la bambina, provando a piegare la cannuccia per bere al contrario.

«An Affair to Remember.»

Andrew comprò un paio di cuffie. Se le mise, abbassò il volume al mìnimo e chiuse gli occhi.

«Secondo lo psichiatra, il divorzio mi ha traumatizzato,» disse la ragazzina, tenendo in alto la cannuccia per farla sgocciolare sulla lingua. «Dice che mi sento sola e trascurata.»

Andrew si tolse le cuffie e le mise alla ragazzina. Reclinò lo schienale, sottrasse la coperta all’uomo addormentato e fissò lo sguardo fuori dal finestrino. Sembrava che nevicasse.


Dopo aver atteso che gli insegnanti se ne fossero andati quasi tutti, la dottoressa Lejeune scese nell’aula di musica e prese la scatola grigia con l’interruttore di accensione sopra. La portò di sopra in ufficio e chiese del signor Paprocki.

«Farà tardi oggi,» disse Sherri. «Un’insegnante del secondo anno è tornata a casa a mezzogiorno con la varicella.»

«Oh,» fece la dottoressa. «Ti ha parlato dell’aula di musica?»

Sherri scosse la testa. Aveva l’aria un po’ disfatta, e non vestiva di fucsia, ma non era tanto importante.

«Vuole che tutte le partiture musicali siano riordinate secondo la segnatura in chiave,» disse.

Appena Sherri fu scesa di sotto, la dottoressa Lejeune uscì in giardino. Incontrò il signor Paprocki che entrava. «Sherri mi ha mandata a cercarla. È nell’aula di musica. Mi sa che si è presa la varicella.»

Il signor Paprocki prese immediatamente il volo. La dottoressa Lejeune gli tenne dietro, ancora con la scatola grigia in mano, e appena fu arrivato in fondo all’aula di musica, lei spense la luce.

«Ehi!» strillarono Sherri e il signor Paprocki.

La dottoressa chiuse la porta a chiave e tornò all’asilo. «Voglio sapere quello che succede,» disse.

Il dottor Young era seduto al computer. «Succede?» fece, girandosi. «Che vuol dire?» Vide la scatola grigia. La testa calva gli divenne pallida. «Che ci fa con quello?»

«Spegnerò l’oscillatore temporale fra dieci secondi se non mi dice che cosa sta succedendo,» disse lei, con la mano sull’interruttore. «Questo è l’oscillatore temporale, no? Insieme alle ricetrasmittenti che ha mandato a casa di Carolyn e… dov’è quella di Andrew Simons? Fra i suoi bagagli?»

«Sì,» disse il dottor Young. «Non… cosa vuole sapere?»

«Voglio sapere la verità sul suo progetto, e non mi dica che sta facendo esperimenti sugli odiecroni dei bambini dell’asilo, perché lo so che è solo una copertura,» disse. «Che cosa fa veramente? Ha assunto una casalinga con un marito sempre fuori casa e uno psicologo che non ha fatto sesso per cinque anni, li ha ficcati in quella stanzetta laggiù dove non ci si può muovere senza toccarsi, poi ha spento la luce e ha cominciato a bisbigliargli nelle orecchie a livello infrasonico.» Avvicinò la mano all’interruttore. «Evidentemente lei voleva che avessero una storia, e voglio proprio sapere perché.»

«Non volevo che avessero una storia.»

«Non ci credo,» disse, stringendo l’interruttore fra le dita.

«È vero! Va bene, va bene, le dico tutto! Ma per favore tolga la mano dall’interruttore.»

La dottoressa ubbidì. Il dottor Young crollò su una delle sedioline dell’asilo. «Mi serviva la massima agitazione, ma i messaggi infrasonici e subliminali non erano sufficienti per produrre uno stato emozionale di eccitazione, dunque mi servivano dei soggetti già sotto stress. I più stressati sono quelli che attraversano una crisi di mezza età. Si preoccupano di invecchiare, pensano alla morte, hanno nostalgia del passato. La maggior parte di loro trova una valvola di sfogo per questi desideri…»

«Come scappare via con Lasciatevi Stupire,» disse lei.

«O trovare Dio,» aggiunse il dottor Young, «o farsi prendere dall’ossessione per i figli, per il lavoro…»

«Ma chi ottiene 690 nel Rick non ha valvole di sfogo.»

«Giusto. E ha gli odiecroni al massimo stato di agitazione.»

«E se anche non lo fossero, lei farebbe in modo che si agitassero lo stesso,» disse severa la dottoressa. «Che altro ha fatto oltre che inviare messaggi infrasonici? Ha detto a Sherri di spargere pettegolezzi sull’amico della madre di Shannon Williams che lavora in banca? Ha messo in circolazione il virus della varicella?»

«Non ho niente a che fare con Sherri o la varicella,» disse nervoso. «Volevo semplicemente portarli al massimo stato di agitazione per destabilizzare tutti i loro odiecroni. Gli odiecroni stabili non si lasciano mescolare.»

«Che mi dice di Carolyn e Andrew?»

«Sono semplici fonti di energia temporale, che viene accumulata nell’oscillatore. I veri esperimenti di dislocazione temporale verranno condotti su cavie da laboratorio.»

«Oh. Sono semplici fonti di energia temporale. E come la mettiamo per tutto ciò che gli succederà in futuro?»

«Non gli succederà niente in futuro,» replicò il dottor Young, fissando l’accumulatore come se stesse per scagliarcisi sopra. «L’oscillatore temporale non ha alcun effetto su di loro.»

«Nessun effetto? E tutti i sentimenti che ha sconvolto? Che cosa se ne faranno?»

«Gli passerà tutto appena verranno scollegati dall’oscillatore temporale. Il livello di agitazione tornerà normale, e se ne dimenticheranno completamente. Non so proprio di cosa si preoccupa. Non possono avere una storia visto che Andrew se ne torna in Tibet e ho in programma di rimandare Linda al centro assunzioni appena…»

«Lei ha fatto avere il posto a Linda!» proruppe la dottoressa Lejeune, con la mano che le tremava sull’interruttore.

«Ho dovuto. Carolyn ha ottenuto 690 nel Rick. Tutti gli altri hanno fatto meno di 500. Il suo era un matrimonio troppo felice.»

«E lei voleva la massima agitazione e per questo ha dovuto rovinarglielo.»

«Oh, non penso,» disse il dottor Young, avvicinandosi a lei con cautela. «Suo marito ha fatto 480, e Linda ha ricevuto l’ordine esplicito di…»

«Lei voleva la massima agitazione,» disse la dottoressa Lejeune, tanto infuriata che quasi non riusciva a parlare, «e probabilmente ha preso le uniche due persone al mondo che non ingannavano il coniuge e li ha punzecchiati, eccitati e bombardati di messaggi subliminali finché si sono innamorati e sono sprofondati nella disperazione, e aveva in mente di andarsene e lasciarli così, facili prede della prima barista tibetana o del primo venditore di stoffe colorate che passa, vero? Vero?»

Il dottor Young fece qualche altro passo con estrema cautela. «Secondo me sta esagerando. Hanno fatto più di 600 sul test. Non scapperanno con nessuno. Andrew se ne tornerà al monastero e Carolyn tornerà da suo marito.»

«E tutto il rancore, la sfiducia e il desiderio che si sono accumulati nel frattempo? E tutta quella nostalgia del passato?»

«La utilizzerò nei miei esperimenti di dislocazione temporale,» rispose il dottor Young.

«Col cavolo che lo farà.»

Il dottor Young si lanciò sull’oscillatore temporale e lo afferrò prima che lei premesse l’interruttore. «Non potevo permetterle di spegnerlo,» fece lui. «Lei non si rende conto degli effetti che produrrebbe un improvviso rilascio di tutta questa energia temporale.»

«Troppo tardi,» replicò lei. «Già l’ho fatto.»


Linda telefonò poco dopo che Don fu partito per il meeting statale. «Mi chiedevo se non potrebbe servire una borsa da viaggio. A sentire le previsioni del tempo, sembra che dovremo pernottare qui. Gira ancora la varicella da voi?»

«Sì,» disse Carolyn, «le possibilità di contagio sono ancora alte, per cui sarebbe meglio se non ti avvicinassi troppo a Don. Non ha mai avuto la varicella, e sarebbe terribile se ve la prendeste anche tu e tutte le ragazzine del corso.»

Dopo aver riattaccato, andò a controllare gli ammalati. Liz si era addormentata sul divano con un opuscolo in mano della Texas A M. Susy Hopkins era nel letto matrimoniale. Sua madre aveva chiamato per farle sapere che aveva il turno tardi al lavoro per via di tutti i casi varicella nel reparto pediatria. Wendy non era ancora entrata nella fase critica. Aveva la pelle arrossata.

Carolyn appoggiò la mano sulla fronte di Wendy, aspettandosela calda al tatto, e invece era fredda. Si tastò la fronte. Era calda, anche troppo. Dopo tutto credo di non aver mai avuto la varicella, pensò. Però l’aveva avuta. Al college. In tutto il dormitorio, era stata l’unica a prendersela, e il dottore non era riuscito a spiegarsi come avesse fatto.

Rimboccò le coperte a Wendy. C’era un plaid ai piedi del letto. Lo portò nella stanza di Liz e se lo avvolse intorno sdraiandosi sul letto.

Era stata dieci giorni in ospedale, e il dottore le aveva fatto compilare una lista dei possibili contagiati, e aveva fatto il nome di Don perché le stava seduto vicino alla lezione di psicologia, e così si erano incontrati.

Tremava moltissimo, rannicchiata sotto il minuscolo plaid. Le faceva male la gola. Mi sono proprio presa la varicella, pensò. Solo che è impossibile. L’ho avuta nell’autunno del secondo anno di college. Il semestre in cui Allison era in Europa. Adesso mi ricordo. Si mise la mano sulla guancia bollente e si addormentò.


Si spensero le luci, e non vide più nulla. Lui fece un passo avanti e urtò contro qualcosa. Un cestino. Non si ricordava che ci fosse stato alcun cestino vicino al bar. Tentò di rimetterlo a posto e sbatté il ginocchio contro qualcos’altro. Una sedia. Non c’erano nemmeno sedie nel bar. Tantomeno sgabelli. Lui e il capo valletto di Stephanie Forrester avevano dovuto starsene appoggiati al bancone per bersi i loro fermatempo. Doveva essere già tornato in stanza.

«Chi è là?», disse una voce femminile. «C’è qualcuno?»

Non era la sua stanza. Fece un passo indietro e rovesciò di nuovo il cestino.

«Lo so che c’è qualcuno,» disse la voce, con tono spaventato. Sentì qualcosa che cadeva in terra, dopodiché o lei spalancò le tende o tirò su l’avvolgibile della finestra, perché improvvisamente lui la poté distinguere alla pallida luce di un lampione stradale.

Stava seduta sul letto ancora intatto, avvolta in una coperta. Accanto a lei, sul letto, c’era un libro aperto. Doveva essersi addormentata mentre leggeva. C’era una sveglia sul comodino. Segnava le tre e mezzo. La lampada che aveva tentato di accendere si era rovesciata in terra. Lui fece per raccoglierla.

«Non ti avvicinare!» sussultò la ragazza, arretrando fino in cima al letto, ancora con la coperta appiccicata addosso. «Come hai fatto a entrare?»

«Non lo so,» rispose. Si guardò intorno. La porta era incatenata. La finestra. Forse aveva scavalcato la finestra e se l’era chiusa dietro. Nevicava. I fiocchi turbinavano intorno al lampione, e poteva vederli accumularsi sul davanzale. «Non lo so,» disse con l’aria spersa.

La ragazza guardò la finestra e la porta incatenata. «Sei un amico di Allison?» chiese.

«No.» Stephanie Forrester. Aveva fatto da valletto al matrimonio di Stephanie Forrester e… «Sei un’amica di Stephanie?»

«No,» fece lei. «Hai bevuto?»

Ecco come stavano le cose. Aveva bevuto. Questo avrebbe risolto tutta una serie di problemi, ad esempio il fatto che non si ricordasse cosa ci faceva nella stanza di questa strana ragazza nel bel mezzo della notte. «Ho bevuto,» disse, e all’improvviso gli tornò tutto in mente. «Stavo bevendo dei fermatempo con il capo valletto di Stephanie. Birra e vino. Mescolati insieme.»

«Allora tutto si spiega,» commentò lei, ormai abbastanza tranquillizzata. Aveva allentato un po’ la presa sulla coperta, e lui riuscì a distinguere la maglietta marrone che le copriva a malapena i fianchi. Nebraska State College, dicevano le lettere in giallo sulla maglietta. Cercò di non preoccuparsene. Lo stesso fece per la neve.

C’era una semplice spiegazione a tutto ciò. Aveva cominciato a nevicare quando lui era al bar con il capo valletto. A volte nevicava in California. La maglietta le era stata regalata dal suo ragazzo del Nebraska.

«Ce l’hai il ragazzo?» le chiese, e se ne pentì all’istante. Lei si guardò selvaggiamente intorno alla ricerca di qualcosa con cui difendersi. «La maglietta,» aggiunse in fretta e furia. «Pensavo che magari te l’avesse regalata il tuo ragazzo, visto che non è di questa scuola.»

«È di questa scuola,» ribatté lei. «Nebraska State College.»

«Nebraska?» disse. Si appoggiò allo schienale della sedia e per poco non la rovesciò un’altra volta.

«Dov’è che stavi bevendo questi fermatempo di preciso?» chiese la ragazza.

«In California.»

Entrambi rimasero in silenzio per un po’. A un certo punto lei chiese: «Non ti ricordi come hai fatto ad arrivare qui?»

«Sì,» rispose. «Io stavo… no.»

«Ti vena in mente se non ci pensi,» disse la ragazza, e poi sembrò spaventata. «Mi sembra di averlo già detto prima, o di averlo sentito dire da qualcuno. Solo che ho questa strana impressione che non sia ancora accaduto.»

Si fece avanti, appoggiandosi sulle mani, e lo guardò negli occhi. «Io ti conosco,» disse. «Sei uno psicologo temporale.»

«Sono uno studente di lettere,» replicò lui. «Me ne stavo a bere un fermatempo con il capo valletto di Stephanie Forrester, e tutto a tratto si è fatto buio come…»

«Un pozzo da polo a polo,» terminò la ragazza.

Rovesciò la sedia. «Io ti conosco,» disse. «Sei Carolyn Hendricks.»

Scosse la testa. «Sono Carolyn Rutherford.»

«Quello è il tuo cognome da signorina. Quello da sposata è Hendricks.»

«Non sono sposata,» disse lei, di nuovo impaurita.

«Non ancora. Ma lo sarai. Avrai due figlie.»

«Tu sei il dottor Andrew Simons,» fece lei all’improvviso. «Hai passato gli ultimi cinque anni in Tibet a studiare il deja vu.»

«Ho passato gli ultimi cinque anni fra la scuola superiore e Stanford. E perché dovrei studiare il deja vu? Sono uno studente di lettere.»

«Eri uno studente di lettere. Penso che da stanotte ti trasferirai probabilmente a psicologia.» Si rimise a sedere sui talloni. «Hendricks, eh? Mi sa che c’è uno di nome Hendricks a lezione di psicologia.»

«Ma ancora non l’hai incontrato,» disse lui, non più disorientato né a disagio. «E nemmeno io ti ho ancora incontrata. Ma lo farò. Fra circa vent’anni.»

«Sì,» disse lei, «e mi sposerò e avrò due figlie, e tu sarai in Tibet.»

«E ci sarà impossibile unirci perché sarà il momento sbagliato,» aggiunse lui.

«Tutto è possibile.» disse lei. «Sono le tre e mezzo.» Fece un sorrisetto, avvicinandosi a lui. «Non controllano più le stanze dopo la mezzanotte.»

«E la tua compagna di stanza?» domandò lui, e fu quasi sconcertato dal suo improvviso sguardo di allegro stupore.

«Oh,» fece tutta contenta, «in questo trimestre Allison è in Europa.»


«Non riuscivo a trovarti,» disse Don. Stava in piedi sopra di lei con un bicchiere in mano.

«C’era Susy nel nostro letto,» disse assonnata. «Com’è andato il meeting?» Si mise a sedere e si tirò il plaid sulle ginocchia.

«Siamo arrivati secondi.» Si appoggiò sul letto e le passò il bicchiere. «Jennifer Whipple sì è sentita male e non ha potuto fare il numero alla sbarra, e Linda se n’è andata. Tu come stai?»

«Bene,» rispose lei bevendo un sorso. «Che roba è questa?»

«Un suicidio,» disse lui. «Mi ricordo che ci andavi matta al college, allora mi sono fermato al supermercato e ho comprato un po’ di succo di zenzero e…»

«Succo di zenzero!» esclamò Carolyn. «Ecco l’ingrediente che non mi veniva in mente.» Ne bevve un altro sorso. «Ha proprio lo stesso sapore di quelli che faceva Allison. Oh, a proposito di Allison, finalmente mi è venuto in mente quando ho preso la varicella. È stato il trimestre in cui Allison era in Europa. È stato stranissimo. Io… Linda se n’è andata?»

«A metà degli esercizi di volteggio. Non è nemmeno voluta venire sull’autobus con noi. Ho provato a telefonarti.»

«Per dirmi che se n’era andata?»

«No. Per dirti che hai avuto la varicella. Jennifer si è sentita male, e tutto a tratto mi è venuto in mente che l’avevi presa al college. Proprio strano che me lo fossi dimenticato, visto che ci siamo conosciuti per quello. Ti ero venuto a trovare in ospedale.»

«Mi ricordo,» disse Carolyn. «Il dottore mi fece compilare una lista di possibili contagiati, e io feci il tuo nome perché mi sedevi vicino a psicologia.»

«Avevi un aspetto spaventoso quando ti sono venuto a trovare in ospedale,» disse lui, sogghignando. «Eri piena di croste sulla pelle. E standomene lì seduto a guardarti, ebbi una strana visione di noi due sposati con due figli ed entrambi con la varicella. Mi sa che Linda questa parte non l’ha capita.»

«L’hai raccontato a Linda?»

«Certo. Mi diceva quanto eri permalosa al telefono. Ha detto che solo chi sta per prendersi una malattia può essere così acido, e tutto d’un tratto mi sono ricordato come ti ho conosciuta e gliel’ho raccontato.»

«Lo credo che se n’è andata,» disse Carolyn.

«Sì, immagino che per una ragazza del genere fosse noioso stare ad ascoltare questo vecchio bislacco che le raccontava fatti di tanto tempo fa. Tuttavia, la cosa più strana è che non mi sembra sia passato tantissimo tempo, non so se mi capisci. È come se fosse successo ieri.»

«Lo so,» disse Carolyn. «Non è l’unica cosa strana. Io…»

«Senti, cara, devo correre a scuola,» la interruppe Don. Le diede una pacca sul ginocchio. «Devo scaricare gli attrezzi. Volevo solo controllare come stavi dato che non rispondevi al telefono.»

Si avvolse il plaid intorno alle spalle e lo seguì in salotto. «Non l’ho sentito suonare,» fece lei. «E non è l’unica cosa strana. Io…»

«Ho scelto il college,» disse Liz. Se ne stava seduta sul divano a tamponarsi le braccia con la lozione di calamina. «NSC.»

«NSC?» disse Carolyn. «Mi sembrava che avessi ristretto la scelta fra Vassar, Carleton e Tufts.»

«Be’, era così, ma non riuscivo a dormire perché mi prudeva tutto, e ho pensato, papà e mamma non fanno altro che parlare di quanto era forte il NSC, quindi ho cambiato idea e l’ho scelto.»

«Era proprio forte,» disse Don. «È li che ho incontrato tua madre. Aveva la varicella e…»

«Lo so,» disse Liz. «Me l’hai raccontato un milione di volte.»

«Il vecchio bislacco colpisce ancora,» disse Don. Diede un bacio a Carolyn. «Torno fra un’ora se non mi rimbambisco all’improvviso mentre scarico la roba dall’autobus.» Diede un altro bacio a Carolyn.

«Non vedo cosa ci sia di tanto romantico nella varicella,» disse Liz dopo che se ne fu andato.

«Lo era,» disse Carolyn.


La dottoressa Lejeune andò a trovare Andrew all’ospedale dell’università. «Ti saluta Sherri Paprocki,» disse. «Vuole sapere come hai fatto a prenderti la varicella. Il periodo di incubazione è solo di due settimane, e ti sei ammalato solo cinque settimane dopo il tuo arrivo.»

«Me l’avrà attaccata la ragazzina seduta vicino a me sull’aereo per Los Angeles,» rispose lui. «Per fortuna ho deciso di non andare subito in Tibet.»

«Mi scusi,» disse Bev Frantz. Arrivò con un termometro in mano. «Le devo prendere la temperatura.»

«Bene,» disse Andrew. «Speravo di rivederla di nuo…»

Gli ficcò il termometro in bocca e guardò la scatola. Lui le sorrise. Si concentrò con la massima attenzione sulla lettura del display a cristalli liquidi.

Non sembrava che stesse male, a parte le croste ricoperte di calamina su tutta la faccia e le braccia. In effetti, sembrava stare meglio di quanto la dottoressa lo avesse mai visto in precedenza. Più felice.

La scatola emise un suono. Bev gli tolse il sensore dalla bocca e lo infilò nella sua custodia. Si voltò verso la dottoressa Lejeune. «Il dottor Young voleva vederla.»

«Davvero, dovrebbe andare a trovarlo,» disse Andrew. «Penso che si voglia scusare.»

«Dovrebbe fare le sue scuse a lei piuttosto,» disse lei, e poi lo guardò da vicino. «O no? È sicuro che sia stata la bambina ad attaccarle la varicella?»

«Guardi che Max ci tiene molto a lei,» disse Andrew. «Mi ha detto che il vero motivo di questo progetto, inizialmente, era quello di far colpo su di lei.»

«Hmmm,» fece la dottoressa Lejeune. Salutò Andrew e uscì in corridoio.

«Mi chiedo se posso parlarle due secondi del dottor Simons,» disse Bev. «Mi piace davvero, ma quando gli ho fatto l’iniezione di richiamo del colera, prima, ho avuto l’impressione che fosse innamorato di qualcun’altra.»

«Lo è stato,» disse la dottoressa Lejeune. «Di una ragazza che ha conosciuto al college. Ma è stato tanto tempo fa. Non c’è da preoccuparsi.»

Si allontanò dalla porta, girò l’angolo e andò in ufficio da Max. Era in pessime condizioni. Aveva la varicella sulla testa calva e portava indosso un paio di mezzi guanti con del nastro adesivo ai polsi. «Be’?» fece. «Le ha già chiesto di uscire?»

«Chi?» disse la dottoressa Lejeune.

«Andrew. Ha chiesto a Bev di uscire? Gli ho detto che farebbe meglio a rimorchiarsela finché ne ha la possibilità. Ho tentato di farli mettere insieme sin da quando sto qua dentro. È il minimo che possa fare.»

«Ma non aveva detto che combinare matrimoni è un surrogato del sesso?»

«È vero,» disse. «Come la mia macchina del tempo. Volevo andare indietro nel tempo e tornare giovane.»

«Ma lei non è tanto vecchio. Si è preso la varicella, no?»

«Non è successo niente, lo sapeva? Quella quantità di energia rilasciata tutta d’un colpo, e non è successo niente. Carolyn ha dormito sempre.» Alzò la mano per grattarsi la faccia e poi la lasciò cadere sulle ginocchia. Nessuno le aveva mai fatto così tanta pena in tutta la vita.

«Vuole che le spalmi un po’ di calamina?» disse lei.

«Nulla. Non è successo nulla nemmeno a lui.»

«Si è preso la varicella.» Aprì la bottiglia di calamina e gliene tamponò un po’ sulla guancia. «Lo sapeva che Carolyn, quando se la prese ai tempi del college, fu l’unico caso in tutto il dormitorio? Nessuno riuscì a capire chi l’avesse contagiata. Secondo me gliel’hanno attaccata tutti quei bambini ammalati a casa sua. E adesso Andrew ha la varicella, e nessuno capisce come sia possibile.»

«Ha detto di averla presa da una ragazzina seduta vicino a lui in aeroplano.»

«Secondo me, se l’è presa da Carolyn.» Si alzò in piedi e gli tamponò la calamina sopra la testa.

«Vuol dire che…» fece lui, alzando visibilmente la testa.

«Stando alla sua teoria, si può dislocare un intero odiecrone. Compreso il virus della varicella. Supponiamo che Carolyn abbia contratto la varicella da uno di quei ragazzini che aveva in cura, e che pur essendo già contagiosa non ne avesse ancora i sìntomi. Supponiamo che abbia passato la varicella ad Andrew al college.»

«Potremmo chiamare la compagnia aerea e scoprire chi era la bambina e se si è presa la varicella,» disse lui eccitato. Cominciò a staccarsi il nastro adesivo dai polsi con le mani infilate nei mezzi guanti. «Possiamo rifare l’esperimento. La madre di Heidi Dreismeier ha fatto 490, e troveremo di sicuro…» Si interruppe e appoggiò di nuovo le mani in grembo. «Non possiamo rifare l’esperimento. Aveva ragione. Non avevo alcun diritto di rovinare la vita altrui.»

«Chi parlava di rovinare la vita altrui? Non si può fare l’esperimento su noi stessi? Io mi preoccupo della vecchiaia, ho nostalgia del passato, e sono disperata di sesso quasi quanto loro. Mi piacerebbe farmi chiudere in una angusta stanzetta insieme a lei.»

Il dottor Young le prese le mani nelle sue, ancora con i mezzi guanti indosso. «A me non sembra proprio vecchia,» disse lui. Si fece avanti per darle un bacetto sulla guancia.

Arrivò Bev col termometro in mano. «Oops, scusate,» disse. «È evidente che sono nel posto sbagliato al momento sbagliato.»

«Forse risolveremo noi il problema,» disse la dottoressa Lejeune.

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