«È pronto il testamento?» disse. «Ho bisogno di…»
«Non ti serve nessun testamento,» dissi, posando la mano sulla fronte bollente. «Hai solo la febbre, marito. Non avresti dovuto trattenerti fino a tardi ieri sera, con Mastro Drayton.»
«La febbre?» disse lui. «Si, dev’essere così. Pioveva quando sono tornato a casa, e adesso ho l’impressione che la mia testa debba spaccarsi in due.»
«Ho mandato a chiamare John perché porti una medicina. Sarà qui a momenti.»
«John?» disse lui, alzandosi a metà sul letto. «Mi ero dimenticato del vecchio John. Devo lasciare qualcosa in eredità a quel vecchio. Quando venne a Londra…»
«Parlavo di John Hall, tuo genero,» gli dissi. «Ti porterà un rimedio per la febbre.»
«Devo lasciare qualcosa al vecchio John, così terrà la bocca chiusa.»
«Il vecchio John non ti tradirà,» dissi. Sono dodici inverni che se ne sta zitto, sepolto nella Chiesa della Trinità, e non costituisce un pericolo per nessuno. «E adesso smetti di parlare, e riposati un po’.»
«Gli lascerò qualcosa di bello e risplendente. Quella coppa di argento dorato che ti ho mandato da Londra. Te la ricordi?»
«Sì, me la ricordo,» dissi.
La coppa era arrivata a mezzogiorno, mentre stavo rifacendo il letto di riserva. Avevo già preparato il letto migliore, quello per gli ospiti, se ne avesse portato qualcuno con sé, facendo prendere aria alle tende e mettendo un nuovo materasso di piume, e stavo andando verso la mia camera a occuparmi del letto di riserva quando mia figlia Judith mi avvisò dalle scale che era giunto un cavaliere. Pensai che fosse lui, lasciai il letto ancora da girare e me ne dimenticai. Prima che mi tornasse alla mente era tardo pomeriggio, tutto era pronto e noi indossavamo i nostri abiti nuovi.
«Avrei dovuto cambiare il materasso,» dissi, richiudendo il coperchio della cassapanca. «Questo è tutto schiacciato e pieno di polvere.»
«Vi sciuperete la gonna nuova, madre,» disse Judith, tenendosi ben a distanza. «Che importa se il materasso è a posto o no? Lui non se accorgerà nemmeno, per quanto sarà felice di rivedere la sua famiglia.»
«Ne sarà felice?» disse Susanna. «Quanto a questo, ha aspettato un bel po’ di tempo prima di tornare a casa. Mi domando invece che cosa voglia.» Prese le lenzuola e le ripiegò. Elizabeth si arrampicò sul letto per prendere un cuscino e me lo porse, benché fosse grande due volte lei.
«Forse per rivedere le sue figlie, o sua nipote, e riconciliarsi con tutti noi,» disse Judith. Prese con circospezione il cuscino dalle mani di Elizabeth e dopo averlo posato si spazzolò la gonna. «Farà buio presto.»
«C’è ancora abbastanza luce per rifare il letto,» dissi, allungando le mani per sollevarlo. «Suvvia, aiutatemi a girare il materasso, figlie.» Susanna afferrò un lato, Judith l’altro, entrambe senza troppo entusiasmo.
«Lo giro io,» disse Elizabeth, facendosi piccola per infilarsi fra la parete e il fondo del letto, desiderosa di rendersi utile ma rischiando di spezzarsi le piccole dita.
«Ti dispiacerebbe andare fuori a vedere se stanno arrivando, nipote mia?» le dissi. Elizabeth zampettò giù dal letto, facendo svolazzare l’abitino e i capelli lunghi.
«Mettiti il mantello, Bess,» le gridò dietro Susanna.
«Sì, madre.»
«Questa stanza è sempre stata buia,» disse Judith. «Non so davvero perché l’abbiate scelta per voi, madre. La finestra è in alto e così piccola, e la porta è tanto stretta che non lascia passare la luce. Nostro padre potrebbe non gradire un letto così angusto.»
Magari lo avesse fatto, pensai. Magari l’avesse trovata buia e stretta, e avesse dormito altrove. «Ora,» dissi, e tutte e tre insieme sollevammo il materasso, issandolo al di sopra della base del letto. Polvere e piume volarono per tutta la stanza.
«Oh, guardate il mio corpetto,» esclamò Judith, spazzolandosi le gale sul petto. «Adesso dovremo pulirlo di nuovo. Non poteva farlo il servo?»
«Sta preparando il fuoco,» dissi, spingendo da sotto.
«La cuoca, allora.»
«Sta cucinando. Suvvia, un altro sforzo e ce l’avremo fatta.»
«Non sentite niente?» disse Judith, sgrullandosi la gonna. «Bess, sono arrivati?» gridò.
Attesi, tendendo l’orecchio per sentire il suono di zoccoli di cavallo, ma non udii niente.
Susanna era in piedi accanto al letto, tenendo il lenzuolo di lino. «Voi che ne pensate di questa visita, madre? Non ne avete mai parlato da quando ci è giunta notizia del suo arrivo.»
Che cosa potevo risponderle? Che avevo paura di quel giorno come non ne avevo mai avuta di nessun altro? Il giorno in cui era giunto il messaggio l’avevo preso dalle mani di Susanna e avevo tentato di comprenderne il significato, anche se me lo aveva dovuto leggere lei perché io non avevo mai imparato a leggere. «A mia moglie,» c’era scritto. «Arriverò a Stratford il dodicesimo giorno di dicembre.» Fin da quel giorno avevo conservato il messaggio, cercando di capire che cosa volesse dire, ma non ero riuscita a decifrarne il significato. A mia moglie. Arriverò a Stratford il dodicesimo giorno di dicembre. A mia moglie.
«Ho avuto molto da fare,» dissi. Diedi una bella spinta al materasso e lo lasciai cadere sulla base. «I lavori in vimini per la sala, la cottura del pane, i letti da rifare.»
«Non è venuto per il funerale dei genitori, né per quello di Hamnet, e nemmeno per il mio matrimonio. Perché viene adesso?»
Sprimacciai il materasso, premendone gli angoli in modo che rimanesse liscio e morbido.
«Se la casa fosse troppo piena di ospiti potrete venire da noi in campagna, madre,» disse Susanna. Spiegò il lenzuolo e me lo porse. «O se lui… sarete sempre bene accolta, a casa nostra.»
«Era solo un cittadino di passaggio,» disse Judith rientrando nella stanza. «Pensate che porterà con sé degli amici da Londra?»
«Il suo messaggio diceva che arriverà oggi.» disse Susanna e aprì a ventaglio il lenzuolo, profumato di lavanda, sopra il letto. «Null’altro. Né se lo avrebbe accompagnato qualcuno né perché viene né quanto si tratterrà.»
«Si tratterrà, vedrete,» disse Judith, avvicinandosi per sistemare il lenzuolo sui fianchi del letto. «Spero che i suoi amici siano giovani e belli.»
Si udì un fruscio in cima alle scale. Ci fermammo tutte, piegandoci sopra il letto.
«Bess?» chiamò Susanna.
«No, la mia nipotina è fuori di casa tutta scoperta,» disse Joan, ed entrò scricchiolando. Indossava una gorgiera gialla così alta che sembrava soffocarla. Era la gorgiera che frusciava, o forse la crinolina di cuoio. «Le ho detto che si sarebbe presa la febbre miliaria. Le ho anche detto di mettersi addosso un mantello più pesante ma non mi ha dato ascolto.»
«Ha incominciato a nevicare, cognata?» domandai.
«No, ma non dovrebbe mancare molto.» Si sedette sul letto. «Non vi siete ancora vestita, e mio fratello sta per arrivare?» Allargò la sopraggonna sui due lati in modo da mettere in rilievo la sottoveste di raso. «Avete l’aspetto di una comunissima moglie di provincia.»
«Io sono una comunissima moglie di provincia,» dissi. «Buona sorella, dobbiamo rifare il letto.»
Si alzò in piedi, con la gorgiera che frusciava come se fosse l’insegna di una taverna. «Un freddo benvenuto per vostro marito,» disse. «Il letto sfatto, i bambini trascurati e voi in quell’abito così ordinario.» Si mise a sedere sul coperchio della cassapanca. «Un benvenuto invernale.»
Infilai con forza i cuscini nelle federe. «Dov’è vostro marito, signora?» le chiesi, mentre sistemavo i cuscini sul letto, pressandoli un poco sui lati per farli diventare ben rigonfi.
«È a casa con la febbre,» rispose lei, voltandosi verso Susanna. La gorgiera emise un rumore sinistro. «E il tuo?»
«A visitare un paziente a Shottery,» disse Susanna, sempre gentile. «Sarà qui fra non molto.»
«Perché hai scelto quell’azzurro sconveniente, Susanna?» disse Joan. «Judith, il tuo colletto è così piccolo che si vede appena.»
«Ma almeno non fa rumore,» replicò Judith.
«Non ti riconoscerà, Judith, per quanto è diventata tagliente la tua lingua. Eri una bambinetta quando è partito. E non riconoscerà neanche voi, buona sorella Anne, con quell’aria così pallida e invecchiata. Lui non avrà questo aspetto, ne sono certa. Ma del resto non è vecchio come voi.»
«No, e nemmeno così occupato,» dissi. Presi la coperta dalla ringhiera e la sistemai sul letto.
«Mi ricordo benissimo quando andò a Londra, Anne. Voi dicevate che non lo avreste mai più rivisto. Adesso che cosa dite?»
«Non è ancora qui, e fra poco sarà buio,» disse Susanna. «Io dico che non viene più.»
«Mi domando che cosa penserà mio fratello delle figlie impertinenti che ha fatto crescere,» disse Joan.
«Non ci ha fatto crescere lui,» disse Susanna, piccata, e Judith esclamò quasi all’unisono: «Almeno non fingiamo di…»
«Non discutiamo,» dissi, mettendomi fra loro e la zia. «Siamo tutte stanche e preoccupate perché si è fatto così tardi. Buona sorella Joan, mi ero dimenticata di dirvelo. Proprio oggi è giunto un dono da lui, una coppa d’oro e d’argento. È sopra il tavolo, nell’atrio.»
«Oro?» disse Joan.
«Sì, e argento. Una grossa coppa per il ponce. Vi accompagno a vederla.»
«Scendiamo, allora,» disse lei alzandosi dalla cassapanca con gran rumore, come una vela gonfiata dal vento. Risollevai il coperchio.
«Sono arrivati!» gridò Elizabeth. Irruppe nella stanza con il cappuccio del mantello a penzoloni dietro la schiena e le guance rosse come mele. «Sono in quattro! A cavallo!»
Joan si portò per un attimo le mani al petto, poi si sistemò la gorgiera. «Che aspetto ha, Bess?» chiese alla bambina. «È molto cambiato?»
Elizabeth le rivolse un’occhiata impaziente. «Non l’ho mai visto prima d’ora. Non so nemmeno qual è dei quattro.»
«Quattro, hai detto?» disse Judith. «Gli altri sono giovani?»
«Te l’ho detto,» replicò Elizabeth, battendo i piedini. «Non so qual è.» Si aggrappò alla manica della madre. «Andiamo!»
Susanna mi tolse una piuma dal cappello. «Madre…?» disse.
Mi alzai in piedi, sempre aggrappandomi al coperchio della cassapanca come se fosse uno scudo. «Il letto non è ancora fatto,» dissi.
«Accidenti, io non permetterò che mio fratello arrivi senza nessuno che lo accoglie,» disse Joan. Sollevò la gonna da terra. «Vado giù da sola.»
«No!» dissi. Lasciai perdere la cassapanca. «Dobbiamo andare tutte insieme.» Presi Elizabeth per la mano e lasciai che mi guidasse lungo le scale davanti alle altre, in modo che Joan non potesse raggiungere la porta prima di me.
«Adesso mi sovviene,» disse lui. «Ho lasciato la coppa a Judith. E a Joan che cosa tocca?»
«I tuoi abiti,» risposi sorridendo. «Hai detto che almeno camminando avrebbe fatto meno rumore.»
«In fede mia, ella è posseduta da strani e numerosi rumori come scricchiolii, tintinnii, mugolii e muggiti…» Mi prese la mano. La sua era asciutta e ruvida come la sua camicia da notte, e calda come il fuoco. «Silenzio. Deve rimanere in silenzio. Avrei dovuto lasciarle qualcos’altro.»
«Il testamento le concede venti sterline all’anno e la casa di Henley Street. Non hai bisogno di comprare il suo silenzio. Non sa nulla.»
«È vero, ma se vedendo il mio cadavere rigido e freddo dovesse rendersi conto all’improvviso?»
«Che cos’è questo parlare di cadaveri?» dissi, ritraendo irritata la mano. Tirai il lenzuolo per coprirlo. «Tu hai solo passato una serata di bisboccia con i tuoi amici, e adesso hai la febbre. Ben presto tornerai a star bene.»
«Stavo già male quando sono tornato,» disse lui. «Come sembra lontano. Tre anni. Ero malato, ma tu mi hai fatto star bene come prima. Ho tanto freddo. È inverno?»
Desiderai che John fosse già lì. «È aprile. È la febbre che ti fa sentire freddo.»
«Era inverno quando sono tornato, ricordi? Una giornata fredda.»
«Sì, una giornata fredda.»
Era rimasto seduto sul suo cavallo. Gli altri erano smontati. Il più anziano e grosso di loro piegato in due, le mani sulle ginocchia come se dovesse riprendere fiato, i due più giovani che si strofinavano le mani per il freddo. Un cane bianco gli correva fra le gambe, abbaiando stupidamente. I giovani avevano barbe a punta e volti ancora più aguzzi, anche se dai loro abiti si capiva che erano dei gentiluomini. Il padrone del cane, se tale era, aveva una gorgiera grossa il doppio di quella di Joan, l’altro un cappuccio marrone con piume rossastre strappate a un gallo da cortile.
«Non avrei dovuto togliervi la piuma dal cappello, madre.» disse Susanna. «Vanno di moda.»
«Oh, guardate.» esclamò Joan uscendo a fatica dalla porta. «Non è cambiato di un capello!»
«Qual è mio nonno?» chiese Elizabeth, la manina sempre stretta alla mia.
Si girarono verso di noi, quello piumato con il volto astuto di una volpe, quello con la gorgiera con un’espressione istupidita. L’uomo piegato in due si raddrizzò con un gemito che attirò l’attenzione del cane. Il farsetto era imbottito e rigonfio, quasi l’uomo volesse apparire largo il doppio della sua circonferenza. «Andiamo, Will, andiamo,» disse voltandosi a guardarlo, sempre in sella al suo cavallo. «Siamo giunti alla casa sbagliata. Queste signore sono troppo giovani e belle per essere la tua famiglia.»
Joan rise, un suono chioccio come il coccodè di una gallina.
«È quello a cavallo?» domandò Elizabeth, stringendomi la mano intorpidita e saltellando su e giù.
«Non mi avevate detto che era di così bell’aspetto, madre,» mi sussurrò all’orecchio Judith.
Prese una cassetta metallica dietro di lui e la porse all’uomo tondeggiante, il quale la passò al signore con le piume e poi protese la mano per aiutarlo a smontare. Scese in modo strano, afferrandosi alla spalla imbottita con una mano, al collo del cavallo con l’altra, per poi issarsi e appoggiarsi sulla gamba sinistra. Fece un passo avanti con andatura rigida, fissandoci.
«Guardate come zoppica!» esclamò Joan.
Non sentivo il vento, anche se agitava il suo mantello corto e i capelli di Elizabeth. «Chi è mio nonno?» tornò a chiedere la bambina, danzando per l’impazienza.
Avrei dovuto risponderle, ma non riuscivo a parlare né a muovermi. Me ne stavo lì immobile come una statua, e lo guardavo. Sembrava più vecchio di me, con i capelli radi in cima alla testa. Non immaginavo che avesse un aspetto così senile. Il suo volto era segnato da rughe che gli conferivano un’aria triste, come se avesse dovuto sopportare troppe raffiche novembrine. Un volto invernale, triste e stanco ma non cattivo, né mai avevo pensato che potesse esserlo.
Il gentiluomo con il ventre rotondo si girò verso di noi e sorrise. «Signore, è un piacere conoscervi,» disse con un vocione allegro che ebbe la meglio anche sul vento. «La strada da Londra è stata molto lunga e io non speravo di incontrare alla fine delle così belle signore. Il mio nome è Michael Drayton. E questi due signori sono Gadshill…» indicò quello con la gorgiera, poi l’altro con la faccia da volpe, «…e Bardolph. Due attori, e io un poeta e un amante delle belle donne.» La sua voce e il suo modo di porgersi erano allegri, ma continuava a spostare nervosamente lo sguardo da me a Joan. «Suvvia, ditemi i vostri nomi e chi di voi è sua moglie e chi le figlie, in modo che io non parli a vanvera.»
«Avanti, madre, parlate e date loro il benvenuto,» disse in un sussurro Judith, dandomi una leggera gomitata, ma io ancora non riuscivo a parlare, né a muovermi o a respirare.
Neanche lui si muoveva, benché Drayton lo tenesse d’occhio. Non riuscivo a leggere sul suo viso. Era sgomento, o contrariato, o solo stanco?
«Se non lo salutate voi, lo farò io,» sibilò Joan, piegando la testa verso di me con un rumore secco. Protese le mani verso di loro. «Benvenuti…»
Scesi dal porticato. «Marito, ti porgo il benvenuto,» dissi, e lo baciai sulla guancia segnata. «All’inizio non riuscivo a parlare, marito mio, tanto ero emozionata nel rivederti dopo tutto questo tempo.» Lo presi sottobraccio e mi rivolsi a mastro Drayton. «Porgo il benvenuto anche a voi, e a voi, e a voi,» dissi, facendo un cenno col capo in direzione degli altri due uomini. Quello con la gorgiera mostrava adesso un sorriso sciocco, mentre l’altro aveva sempre quell’espressione volpina. «È un benvenuto di provincia, semplice e povero, quello che possiamo offrirvi, ma il fuoco è acceso, la cena calda e i letti morbidi.»
«Sì, e le fanciulle graziose,» disse Drayton. Mi prese la mano e la baciò secondo l’uso francese. «Penso che resterò per tutto l’inverno.»
Gli sorrisi. «Suvvia, andiamo al caldo,» dissi.
«Come vi sembra. Madre?» mi bisbigliò Susanna mentre passavo. «Lo trovate molto cambiato?»
«Sì, molto cambiato,» risposi.
«Non ho lasciato niente a Drayton,» disse. «Avrei dovuto farlo.»
«Non ce n’è bisogno,» dissi, mettendogli un panno fresco sulla fronte. «È tuo amico.»
«Avrei dovuto lasciargli un pegno della mia amicizia. E a te un pegno del mio amore. Lo sai perché non posso lasciarti in eredità il mio patrimonio.» Mi afferrò la mano; la sua bruciava. «Se si venisse a sapere dopo la mia morte, non vorrei che si dicesse che ho comprato il tuo silenzio.»
«Ho la mia parte di vedova, e Susanna e John si prenderanno cura di me,» dissi, liberandomi dalla sua mano per immergere di nuovo il panno nell’acqua, e strizzarlo. «È una buona figlia.»
«Sì, una buona figlia, anche se all’inizio non mi amava. E neanche tu.»
«Questo non è vero,» dissi.
«Suvvia, signora Anne, quand’è che mi hai amato?» chiese. Gli posai il panno sulla fronte. Lui chiuse gli occhi e sospirò, e parve addormentarsi.
Avanzammo a piccoli passi, lui appoggiato a me mentre varcavamo la soglia ed entravamo nell’atrio. «La mia gamba si irrigidisce dopo un po’ che sono a cavallo,» disse. «Ho solo bisogno di riposarmi un momento accanto al fuoco.»
Joan era subito alle nostre spalle, con la crinolina che riempiva la porta, così che gli altri non potevano entrare finché lei non fosse passata del tutto. Seguiva Mastro Drayton, intento a raccontare a Judith e Susanna, sempre con quel tono di voce grosso e festoso, tutto quello che era successo durante il viaggio da Londra. «Mentre stavamo attraversando il ponte mi si sono avvicinati quattro spavaldi malviventi.» Drayton gesticolava con fare un po’ spaccone. Elizabeth lo fissava ad occhi sgranati.
I due giovani, Volpe e Collarino, entrarono nell’atrio portando i bagagli e la cassetta metallica. Si fermarono appena oltre la porta per ascoltare il racconto di Drayton. Collarino lasciò cadere le sacche sul pavimento con un rumore sordo. Volpe poggiò la cesta accanto a loro.
«Questi quattro hanno cominciato a infastidirmi, ma io ho reagito.»
«Marito,» dissi, approfittando di quella voce così forte. «Devi assolutamente complimentarti con tua sorella Joan Hart per la sua gorgiera. Ne va molto orgogliosa.» Lui mi guardò, ma ancora non riuscivo a decifrare la sua espressione. «E anche le tue figlie hanno indossato dei capi particolarmente eleganti per l’occasione. Susanna ha una gonna con…»
«Di certo un uomo riconosce le proprie figlie,» intervenne Joan prima che potessi terminare la frase, «anche se non ha avuto modo di riverirle. Tua moglie vorrebbe averti tutto per sé.»
«Buona sorella Joan,» disse lui. Fece un inchino. «Ti avrei salutata all’esterno, ma non ti ho riconosciuta.»
«Non mi hai riconosciuta?» disse Joan con voce acuta. La guardai ansiosamente, ma sul suo viso non vidi altro che stizza. Anche Volpe si soffermò a guardarla.
«Non ti ho riconosciuta perché hai un aspetto così giovanile.»
«Bugiardo,» disse Volpe, girandosi verso Drayton. «Quei quattro non erano affatto dei malviventi, ma dei mendicanti. Chiedevano l’elemosina.»
«Ah, ma è una bella storia lo stesso,» disse Drayton.
«Non ti ho riconosciuta. Gli anni sono stati molto più clementi con te che con me, sorella.»
«Non è così,» disse Joan scuotendo la testa. La sua gorgiera gemette. «Tu sei lo stesso di quel giorno in cui partisti per Londra. Quel giorno tua moglie disse che non avrebbe più rivisto suo marito. Che cosa dite adesso, Anne?» Mi sorrise con livore.
«La tua gonna è di gran moda, sorella,» disse lui.
«Davvero?» disse Joan, allargando le sottane con le mani. «Ho pensato che fosse conveniente vestirmi all’ultima moda per il tuo ritorno, fratello.» Rivolse un’occhiataccia alla mia semplice gonna. «Tua moglie no, invece. Ragazze!» gridò poi con una voce stridula che sopraffece quella di Drayton. «Venite a incontrare vostro padre.»
Non avevo avuto la possibilità di parlare e di dire: «Susanna ha una gonna con il pettino azzurro.» Vennero avanti, Bess stringendo la mano di Judith, e mi accorsi con costernazione che anche la camicetta di Susanna aveva una pettorina azzurra.
«Marito,» dissi, ma lui si era già fatto avanti, zoppicando appena. Joan si passò le mani sul farsetto, aspettando di vedere che cosa avrebbe detto.
Judith fece un passo avanti anche lei, tenendo Bess per la mano. «Io sono vostra figlia Judith, e questa è la piccola Bess, la figlia di Susanna.»
«E questa deve essere Susanna,» aggiunse lui. Lei annuì con un gesto secco. Lui si chinò per prendere la mano di Bess. «Elizabeth è il tuo vero nome?»
Bess lo guardò dal basso in alto. «Chi sei tu’?»
«Tuo nonno,» le rispose Judith, ridendo. «Ancora non lo riconosci?»
«Non può riconoscere suo nonno,» disse Susanna. «Non era ancora nata, e io ero una bambina della sua età quando ci avete lasciato. Come mai siete ritornato dopo tutti questi anni, padre?»
«Susanna!» esclamò Joan.
«Non sapevo che aspetto avevate, se eravate belle o no,» rispose lui tranquillamente, «se stavate bene ed eravate felici. Sono tornato per vedere se c’era qualcosa che potevo fare per voi.»
«C’è qualcosa che puoi fare per me, Will,» disse Drayton, posandogli una mano sulla spalla. «Offrimi un bicchiere di vino, uomo. Sono mezzo congelato, e stanco, e sono stato aggredito dai ladri. E ho anche fame.»
«Ci penso io,» disse Judith, sorridendo a Collarino. «È pronto in cucina, già caldo e mescolato con lo zucchero.»
«Vi aiuto,» si offrì Collarino.
Volpe disse: «Signora, dove posso sistemare queste sacche e le casse?»
«Nelle camere da letto,» risposi. «Marito, dove vuoi che sia messa la tua cassetta?»
«Lasciala lì,» disse lui. «La porterò io stesso.»
Judith tornò con il vino dentro una caraffa attorno alla quale era stato sistemato un tovagliolo e lo versò, fumante, nel bicchiere.
«Sento un profumo delizioso,» disse Drayton. «Che cosa c’è dentro?»
«Cannella,» rispose Judith, sempre sorridendo a Collarino. «E zucchero. Oltre a diverse spezie. Padre, ne gradite un bicchiere?»
Lui le sorrise con dolcezza. «Prima devo sistemare questa in un luogo sicuro.» Sollevò la cassetta metallica e si voltò verso di me. «Buona moglie, dove mi farai dormire?»
«Che c’è nella cassetta?» chiese Elizabeth.
«Infinite ricchezze,» rispose Drayton vuotando il bicchiere.
Lo precedetti su per le scale fino alla mia camera da letto, e lui mi seguì trascinando un po’ la gamba sotto il peso della cassetta.
«Dove vuoi che la metta, moglie?» mi domandò quando fummo entrati. «Nell’angolo?» Abbassò la cassetta e si piegò verso la parete, la mano appoggiata sulla gamba. «Sono troppo vecchio per portare pesi del genere.»
Mi appoggiai contro la porta. Lui si raddrizzò e mi guardò, il volto sconosciuto segnato da rughe tristi e profonde.
«Dov’è mio marito?» gli domandai.
«Dov’è il testamento?» chiese.
Pensavo che dormisse e mi ero diretta silenziosamente verso la porta per vedere se fosse arrivato John. «Devi smetterla di parlare di testamenti e cercare di dormire,» dissi, rincalzando le lenzuola sotto il materasso in modo che non le facesse scivolare a terra. Il materasso fece un rumore frusciante.
Si mise a sedere, poi tornò a sdraiarsi. «Mi sembrava di aver sentito Joan.»
«Non temere,» dissi. «Non verrà. È in lutto.»
Mi guardò come se non capisse di cosa stessi parlando. Aggiunsi: «Suo marito è morto dieci giorni fa.»
«Di febbre perniciosa? O per troppo rumore?» disse, e mi sorrise, poi il suo viso si intristì, e le rughe sembrarono incavarsi. «Non mi ha riconosciuto.»
«No, ed è meglio che sia stato così.»
«Meglio, sì,» disse. «Quando si sono avvicinate a me, all’inizio, pensavo che non sarebbe stato possibile. Magari qualcuna avrebbe detto, lo riconosco dalla voce, o dallo spirito, o dal portamento. Ma nessuna lo ha detto. Tutte ci credevano, e alla fine ci ho creduto anch’io, e sono arrivato a convincermi di avere una moglie e delle figlie.»
«Tu le hai,» dissi.
«Dov’è mio marito?» avevo chiesto, e dapprima lui non mi rispose, ma aveva emesso un lungo sospiro, come di sollievo.
«Non sapevo di avere moglie e figli finché suo padre non è venuto a Londra a dirmi che il ragazzo era morto,» disse.
«Che ne avete fatto di mio marito?»
Si sedette pesantemente sul Ietto. «Non posso rimanere a lungo in piedi sulla gamba malata,» disse. «L’ho ucciso.»
«Quando?»
«Quasi vent’anni fa.»
E così da quasi vent’anni lui giaceva nella tomba. «Come mai lo avete ucciso? È successo in duello?»
«No, signora.» Si strofinò la gamba. «È stato assassinato.»
Mi rispondeva con pacatezza, mentre io gli rivolgevo le domande con un filo di voce così aereo e leggero che temevo non sarebbe riuscita nemmeno ad attraversare la stanza.
«Come è stato assassinato?»
«Ha avuto la sfortuna di rassomigliarmi in qualche modo nella fisionomia,» rispose.
Mi sedetti sulla cassapanca coperta da un drappo. Morto. Non avevo mai immaginato che potesse essere morto.
«Ho avuto qualche problema con la regina,» disse infine. «Le rendevo dei… dei servigi, di tanto in tanto. La cosa mi ha reso temerario. Ritenendomi al sicuro dal fuoco ho parlato in modo irriguardoso di cose che avevano bruciato altri uomini, e sono stato arrestato. Sono scappato e mi sono rivolto a degli amici, chiedendogli di aiutarmi a raggiungere la Francia. Loro mi hanno detto di rimanere segretamente a Londra in una certa casa finché non avessero organizzato il passaggio, ma quando sono venuti mi hanno detto che era tutto a posto. L’uomo era morto, e io ero libero di assumere la sua identità.»
La sua mano strinse la colonna del letto. «Avevano ucciso vostro marito, signora, in una piccola locanda di Deptford e avevano sostenuto che la vittima ero io, non lui. Testimoniarono che io li avevo aggrediti a causa del conto e che loro, per difendersi, mi avevano accoltellato. Me lo raccontarono pieni di orgoglio, come se si trattasse di un compito svolto bene.»
Si alzò in piedi, afferrando la colonna come se fosse un bastone da passeggio. «Il risentimento della regina sarebbe passato, l’omicidio mai. Vostro marito ha avuto la sua vendetta su di me, signora. Per certo ha preso la mia vita così come io ho preso la sua.»
Udii un rumore da fuori la stanza. Attesi, tendendo le orecchie, poi uscii a passo felpato sul ballatoio, ma non c’era nessuno per le scale, solo il fragore delle risate che proveniva dal basso, e la voce di Drayton. Tornai nella stanza.
«Come mai mio marito si trovava in quella locanda?» domandai.
«Lo avevano attirato con la promessa di una parte da recitare. Era un attore, e nel vederlo sul palcoscenico avevano notato che mi rassomigliava molto. Hanno trascorso con lui un’intera giornata prima di ucciderlo, riempiendolo di vino e di domande, quali erano le sue abitudini, i suoi amici, in modo che potessi recitare meglio la messinscena. Non ha detto loro che aveva una moglie e dei figli.» Percorse il ristretto spazio fra il letto e la mia gonna, poi si voltò e tornò indietro. «Lo hanno anche costretto a scrivere il suo nome su un foglio di carta, in modo che potessi ricopiarlo.»
«E il vostro inganno ha avuto successo?»
«Sì. La casa in cui ero stato rintanato per quelle due settimane era quella in cui abitava lui. Mi ero già preso gioco del proprietario e dei vicini senza volerlo.» Da sotto provenne un altro scroscio di risate.
«Che ne è stato dei vostri amici?»
«I miei amici,» rispose con amarezza, «sono stati prosciolti. Walsingham ha ritenuto che non fossi stato sufficientemente grato a lui e Poley per l’aiuto che mi avevano dato, e non l’ho più visto. Skeres è in prigione. Di Frizer non ho più saputo nulla. Ho sentito che era morto, ma non si può credere a tutto ciò che si sente dire.»
«E nessuno vi conosceva?»
«No.» Tornò a sedersi. «Sono stato lui per questi ultimi vent’anni, e nessuno mi ha smascherato. Fino a ora.» Fece un sorriso fiacco. «Che cosa volete che faccia, signora, adesso che mi avete scoperto? Che vi lasci in pace così come vi ho trovato? Potrei partire domani, andare a Londra e non fare più ritorno. O confessare pubblicamente il mio delitto. Che ne dite? Farò ciò che voi mi ordinate.»
«Ma che succede?» La voce di Drayton rimbombò per la scale. «E allora? La coperta è già ai piedi del letto? Il padrone di casa e sua moglie se ne vanno a dormire così presto?» Piombò fragorosamente nella stanza. «La cena non è ancora in tavola, anche se voi due già banchettate con gli occhi.» Scoppiò a ridere, facendo tremare il suo stesso stomaco, ma quando volse gli occhi verso di me, in essi non c’era allegria. «Buona signora, so che ce la siamo presa un po’ comoda lungo la strada, ma non ditemi che è già ora di andare a letto, senza cena, e di riporre le posate, non ditemi questo, o mi spezzerete il cuore.»
Lui si era alzato in piedi quando Drayton era entrato, spostando il peso del corpo sulla gamba malata come se volesse addestrarsi al dolore, ma non guardava Drayton.
«Per l’amor di Dio, uomo, suvvia!» esclamò Drayton prendendolo per un braccio. «Divento più magro ogni minuto che passa.»
«Mastro Drayton, sei un ospite davvero importuno,» disse, con gli occhi fissi su di me.
«Di qualsiasi cosa voi stiate parlando, di certo potrà aspettare fino a dopo la cena.»
«Sì,» dissi, «ha già aspettato così a lungo.»
«Ho tanto freddo,» disse. Mi inginocchiai accanto alla cesta e ne tirai fuori una coperta imbottita. Lui si sporse per guardarmi. «Che ci tieni adesso dentro quella cassetta?»
Disposi la coperta sopra di lui. «Lenzuola, coperte e candele»
«Meglio così,» disse. «Hai bruciato tutto?»
«Sì, marito.»
«Ho ricopiato il suo nome tante di quelle volte che era diventato quasi il mio, ma esse sono nelle mie mani. Se qualcuno venisse a richiederle, devi dire che le hai bruciate insieme alla biancheria quando sono morto.»
«Sento un rumore per le scale,» dissi. Corsi verso la porta. «Sono felice che tu sia venuto, genero,» dissi a bassa voce. «La sua febbre sta peggiorando.»
John appoggiò sulla cassapanca una coppa chiusa da un coperchio e poggiò la mano sulla fronte di mio marito. «Avete la febbre.»
«Non sento nessuna febbre,» disse lui, battendo i denti. «Sono come due persone che giacciono fianco a fianco nello stesso letto, e tutte e due stanno gelando. Un po’ di vino mi riscalderebbe.»
«Ho qualcosa per voi che è meglio del vino.» Fece scorrere la mano dietro la testa di mio marito per aiutarlo a sollevarsi. Io gli misi dei cuscini dietro la schiena. «Bevete questo.»
«Che cos’è?»
«Un decotto di erbe. Aromatizzato con chiodi di garofano e sciroppo di violette. Suvvia, suocero,» disse dolcemente John. «Farà bene per la vostra febbre.»
Ne trangugiò una sorsata. «Che ignobile pozione!» esclamò. «Perché non me la versi direttamente nell’orecchio e così la facciamo finita?» Le sue mani tremavano a tal punto che rovesciò sul letto una parte del decotto, ma lo bevve comunque e poi restituì la coppa a John.
«Vuoi distenderti di nuovo, marito?» dissi, con la mano sui cuscini.
«No, lasciali,» rispose. «Così respiro meglio.»
«C’è nient’altro che posso fare per aiutarlo?» domandai a John prendendolo da una parte.
«Accertatevi che abbia sempre delle coperte calde e le lenzuola pulite.»
«Le ho cambiate da poco, e il materasso è nuovo. L’ho fatto io stessa con le mie mani.»
«Il letto di riserva,» disse mio marito, poi si voltò e si addormentò.
Scendemmo le scale, con Drayton in mezzo a noi, come un padre che avesse sorpreso i figli a sbaciucchiarsi in un angolo, che blaterava di letti e di cena in modo da impedirci di parlare. «Andiamo, uomo,» disse Drayton, «non hai ancora bevuto un bicchiere di vino dalla tua stessa caraffa.»
La tavola era già pronta. Judith stava sistemando la tovaglia, Joan portava i sali e la piccola Elizabeth disponeva i cucchiai. Joan disse: «Ancora una volta mi hai rubato mio fratello, Anne. Non siete mai stati così affettuosi, nei vecchi tempi.»
Non so che cosa le risposi, né ciò che feci, se servii prima il pollo o lo stufato allo zucchero, né ancora ciò che mangiai. Tutto ciò che riuscivo a pensare era che mio marito era morto. Non avrei mai potuto immaginarlo, in tutti quegli anni in cui non mi giungeva nemmeno una parola e il vecchio John mi accusava di essere una bisbetica che l’aveva fatto scappare via. Non lo immaginavo nemmeno quando il vecchio John aveva inchiodato lo stemma blasonato sulla porta della nostra nuova casa.
Avevo pensato che forse mio marito aveva permesso che qualche ladro ci rubasse a lui, come un uomo disattento che si fa sottrarre la borsa con il danaro, o che ci avesse perso al gioco, mettendoci come posta così come aveva fatto con l’argenteria di mia madre, e che il vincitore sarebbe venuto a reclamarci, noi, la casa e tutto il resto. Ma non era così. Lui era stato assassinato e adesso giaceva nella bara di un qualcun altro.
Si sedette a capotavola, Drayton accanto a lui. Drayton non permise che Elizabeth fosse allontanata dal tavolo dopo aver detto la preghiera, ma la fece sedere sulle grosse ginocchia. Parlò e parlò, raccontando una storia dopo l’altra.
Joan tenne il broncio e si pavoneggiò, a turno, Judith si mise a sedere fra Volpe e Collarino, servendo occhiate e sorrisi prima all’uno poi all’altro. «Vi ricordate di vostro padre?» le chiese Volpe. «Era zoppo allora?»
Lei gli rispose, tutta innocenza, nel modo in cui suo padre doveva aver risposto ai suoi assassini. Lui vedeva soltanto ciò che il suo desiderio gli faceva vedere, era sempre stato il suo debole. E quello di suo padre, che non sopportava la faccia di uno straniero, tanto era accecato dai colori del suo blasone. Ed era anche il debole di sua sorella, che non riusciva a vedere neanche al di là di una gorgiera inamidata. Tutti ciechi, e lui più di tutti. Probabilmente non aveva nemmeno visto il coltello che calava su di lui.
Quando la cena fu quasi al termine e i piatti portati via arrivò John, il marito di Susanna, tutto ricoperto di neve, e si mise a sedere; furono riscaldati i piatti e vennero rivolte delle domande. «Questo è mio nonno,» disse Elizabeth.
«Felice di conoscervi, finalmente,» disse John, ma io vidi, guardando dalla cucina, che aveva aggrottato la fronte. «Ho impiegato molto tempo a far nascere il figlio di un ciabattino, e ho impiegato molto tempo a tornare a casa.»
Drayton propose un brindisi per il neonato, poi un altro. «Dobbiamo brindare alla nascita di Elizabeth, perché non siamo stati presenti al suo battesimo,» disse. «Ah, e non le abbiamo fatto il regalo di battesimo.» Disse a Elizabeth di guardargli nell’orecchio.
Lei si alzò in punta di piedi, gli occhi sgranati. «Non c’è niente, se non sporcizia,» disse.
Drayton scoppiò in una risata allegra. «Non hai guardato bene,» disse, e tirò fuori dall’orecchio un nastro di raso.
«È un trucco,» affermò solennemente Elizabeth, «non è vero, nonno?»
«Già, è un trucco,» rispose lui. Lei gli si arrampicò sulle ginocchia.
«Non è come lo ricordavo,» disse Susanna, osservandolo mentre annodava il nastro sui capelli di Bess.
«Avevi solo quattro anni e Judith era ancora in fasce, quando se ne andò. Ti ricordi davvero di lui?» le chiesi.
«Solo un poco. Avevo paura che fosse come la zia Joan, vestito alla moda, e sempre pronto a recitare il ruolo di padrone di casa anche se non ne ha il diritto.»
«Ma questa è casa sua,» affermai, e ripensai al nome sull’atto, quel nome che avevano costretto a scrivere a mio marito, con chissà quali raggiri, perché lui potesse imitarne la firma. «E tutto ciò che c’è è stato acquistato con il suo denaro.»
«Accidenti, certo che è casa sua, anche se fino a ora non l’aveva mai vista,» disse lei. «Temevo che l’avrebbe reclamata per sé, e noi con essa.»
Lui annodò goffamente il nastro, fissandolo a un ricciolo di Bess. «Però non recita quel ruolo,» dissi.
«No. Lo sapete che cosa mi ha detto, madre, quando gli ho portato il vino? Ha detto, “Tuo padre è stato uno sciocco a lasciarti”.»
Si avvicinò John Hall e restò in piedi accanto a noi, osservando il fiocco del nastro. «Ma guarda, si è sciolto tutto,» disse Susanna. «Vado a farglielo io.»
Si diresse verso Bess con l’intenzione di rifarle il nodo, ma lei scosse la testa in segno di diniego.
«Me lo farà il nonno,» disse, e si ritrasse verso le sue ginocchia.
«Le mie mani sono troppo goffe per queste cose, figliola,» disse lui. Le rughe sul suo volto si erano già ammorbidite. Guardò la bambina e Bess, piegandosi verso di lui, gli disse di riannodarle il nastro così e così e poi di tirarlo in un certo modo. Venne anche Judith, che rimase ferma a guardare, sorridendo e dando qualche consiglio.
«Non avete notato nulla di strano in vostro marito?» mi chiese John.
«Di strano?» ripetei. Mi mancò il respiro. Avevo dimenticato che John era stato a Cambridge e a Londra, che era un uomo istruito.
«Temo che sia malato,» disse John.
Bess corse verso di noi. «Padre!» gridò. «Guarda il mio nuovo nastro,» poi corse di nuovo indietro. «Non è bellissimo, nonno?» Si lanciò fra le sua braccia e lo baciò sulla guancia.
«Dolce Bess, non è stato un mio regalo, ma di Drayton.»
«Ma il fiocco l’hai fatto tu.»
«È molto malato?» chiesi.
John mi guardò con dolcezza. «L’aria di questa regione lo farà star bene di nuovo, e così le vostre cure. Vogliamo andare in sala?»
«No,» dissi. «Devo salire a sistemare il letto.»
Uscii dalla cucina. Volpe e Collarino erano vicini alle scale e parlavano sottovoce. «Tu sei pazzo,» stava dicendo Collarino. «Guarda come lo ha accolto la sua famiglia, come le sue figlie gli stanno intorno. È solo una voce senza fondamento, e niente più.»
Mi nascosi dietro la porta della cucina in modo da potere ascoltare la loro conversazione.
«Le sue figlie erano appena delle bambine quando lo hanno visto per l’ultima volta,» dichiarò Volpe.
«La sorella afferma che non è cambiato affatto.»
«La sorella è una sciocca. Sua moglie non lo ha accolto poi con tanto entusiasmo. Hai notato che era rigida come una statua, quando siamo arrivati? È lei che dovremmo tenere d’occhio.»
Entrai nella sala. I due mi fecero un inchino. Volpe stava per dire qualcosa quando giunse Drayton e disse: «Buona signora, ho perso le vostre tracce. Vi aspettavo nella sala.»
«Sarò da voi fra un minuto. Devo finire di sistemare il letto di riserva.»
«No, vi accompagno,» disse lui. «E voi due badate ai cavalli. Nessuno gli ha dato da mangiare.»
Volpe e Collarino si misero i mantelli e uscirono nella neve. Drayton salì le scale appresso a me, sbuffando e continuando a parlare. Io andai nella mia camera e accesi le candele.
Si guardò intorno. «Una grande resa dei conti in una piccola stanza,» disse con voce più dolce del solito. «Gli avevo sconsigliato di venire. Gli ho detto che non era sicuro farsi vedere finché c’era ancora qualcuno vivo che poteva riconoscerlo, ma lui voleva rivedere le figlie. La sorella lo sa?»
«No,» risposi. Misi la coperta sul letto e la sistemai in modo che i bordi ricadessero diritti sui lati, poi disposi i cuscini. «Chi è?»
Lui si sedette sulla cassapanca, le mani poggiate sulle ginocchia robuste. «C’è stato un tempo in cui avrei potuto darvi una risposta,» disse. «Lo conosco da molto.»
«Da prima dell’omicidio?»
«Da prima degli omicidi.»
«Ne hanno uccisi degli altri?» chiesi. «Oltre a mio marito?»
«Solo un altro,» rispose. La sua voce, dabbasso, era stata alta e potente, la voce di un attore, ma adesso era così bassa che la sentivo appena, come se parlasse a se stesso. «Mi avete chiesto chi è. Non lo so, anche se era poco più di un ragazzo quando lo vidi per la prima volta, un furfantello pieno di ambizione e toccato dal genio, ma avventato, orgoglioso, che pensava solo a se stesso.» Si interruppe e si strofinò le mani sulle cosce. «Quel maledetto giorno a Deptford, Walsingham e i suoi scagnozzi uccisero più uomini di quanto credessero. In seguito l’ho incontrato per strada e non lo riconoscevo, era così cambiato. Voglio mostrarvi una cosa,» disse, e si rialzò a fatica. Andò alla cassetta nell’angolo, l’aprì e mi mostrò alcune delle carte che conteneva. «Leggetele,» mi disse.
Io gliele restituii. «Non so leggere.»
«Allora è tutto perduto,» disse. «Pensavo di fare un accordo con voi: la sua vita in cambio di queste opere.»
«Volete comprarmi.»
«Non credo che possiate essere comprata, ma, sì, sarei disposto a comprare anche voi per salvargli la vita. In questi due ultimi inverni è stato molto male. Ha bisogno della vostra protezione. L’aria di Londra è letale per lui, e poi corrono delle voci, anche se non so chi le abbia propalate.»
«I giovani signori che avete portato con voi le hanno sentite.»
«Sì, e aspettano la loro occasione. So che niente può sostituire vostro marito.»
«No,» dissi, pensando a come mi aveva rubato l’onore, e l’argenteria di mia madre, ed era scappato a Londra.
«Anche se rivelerete tutto al mondo non potrete richiamare vostro marito dal mondo dei morti. Non farete che provocare un altro omicidio. Non sto dicendo che la vita di un uomo sia più degna di quella di un altro.» Afferrò le carte e le strinse fra le mani. «No, perdio, lo devo dire! Vostro marito non avrebbe mai potuto scrivere parole come queste. Quest’uomo vale quanto cento uomini, e non permetterò che venga impiccato.»
Rimise le carte dentro la cassetta e richiuse il coperchio. «Torniamo a Londra, e manteniamo il silenzio.»
Elizabeth irruppe nella stanza. «Vieni, nonna, vieni. Facciamo il teatro.»
«Il teatro?» Drayton prese in braccio la bambina. «Signora, lui non ha alcuna vita salvo quella che gli garantirete voi,» disse, e la portò giù per le scale.
«Il decotto lo farà dormire,» affermò John Hall.
Già dormiva, e il sonno gli aveva disteso i lineamenti. «E gli abbasserà la febbre?»
Lui scosse la testa. «Non lo so. Temo che sia il suo cuore, a causarla.»
Infilò la coppa nella borsa che aveva portato con sé. «Vi do questo,» disse, e mi porse un fascio di carte scritte fittamente.
«Che cos’è?»
«Il mio diario. C’è la malattia di vostro marito, la mia cura, e tutti i miei pensieri… Vorrei che lo bruciaste.»
«Perché?»
«Siamo stati amici, in questi tre anni. Abbiamo bevuto birra insieme, e siamo stati seduti a parlare. Un giorno mi ha parlato per caso di un’opera che aveva scritto, la storia triste di un uomo che ha venduto l’anima al demonio. Ne parlava come se avesse dimenticato che ero con lui: come era stata scritta e quando, e dove era ambientata. Non si accorse che lo fissavo con stupore, e dopo un po’ passammo a parlare di altro.»
Richiuse la borsa. «L’opera di cui parlava era di Kit Marlowe, che fu ucciso in una rissa a Deptford molti anni fa.» Riprese le carte e le avvicinò alla fiamma della candela.
«Lo avete detto a Susanna?»
«Non volevo privarla del padre per la seconda volta.» I fogli presero fuoco. Li gettò nel focolare e li guardò ardere.
«La sua unica preoccupazione è l’eredità di Susanna,» dissi, «e di Judith. Mi ha detto di bruciare le sue opere.»
«E quella di Marlowe?» chiese, dividendo con il piede le pagine in fiamme, in modo che bruciassero meglio. «Avete bruciato anche quella?»
Un frammento di carta annerita svolazzò, la scrittura ormai illeggibile. «Sì,» risposi.
«Judith ha detto che faremo il teatro,» disse Elizabeth mentre scendevamo le scale. Si liberò dall’abbraccio di Drayton e corse nella sala.
«Judith?» ripetei e la cercai con lo sguardo. Vicino a lei c’era Volpe, il cappello piumato umido di neve. Se ne stava appoggiato alla parete, e sembrava che non ascoltasse nemmeno. Collarino era acquattato accanto al camino, e si fregava le mani sul fuoco.
«Oh, nonno, fallo, ti prego!» disse Elizabeth, quasi arrampicandosi sulle sue ginocchia. «Non ho mai visto il teatro.»
«Sì, fratello, uno spettacolo teatrale,» incalzò Joan.
Drayton si intromise fra i due. «Siamo troppo pochi per formare una compagnia, signorina Bess,» disse, tirando il nastro di Elizabeth per farla ridere, «e poi è troppo tardi.»
«Solo uno piccolo, nonno?» lo pregò la bambina.
«È molto tardi,» disse lui, guardandomi, «ma avrai il tuo teatro.»
Volpe fece un passo avanti, troppo rapidamente, prendendo Collarino per la manica e facendolo alzare in piedi. «Che cosa faremo, mastro Will?» disse, sorridendo con i suoi denti aguzzi. «La recita dentro la recita?»
«Sì,» affermò Drayton ad alta voce. «Facciamo la compagnia di Bottoni nel Piramo e Tisbe.»
Il sorriso di Volpe si fece più largo. «O la trappola per topi?» Tutti lo fissarono, Judith sorridendo, Volpe con i denti pronti ad azzannare, Mastro Drayton con un’espressione improvvisamente seria. Ma lui non li guardava, e non guardava nemmeno Bess, che gli era salita in grembo. Guardava me.
«D’inverno è più adatta una storia triste,» disse. Si girò verso Collarino. «Facciamo la scena della lettera da Misura. Comincia tu. “Fate giustiziare questo Bernardino…”»
Collarino si mise in posa, le mani protese verso l’alto come per colpire. «Fate giustiziare questo Bernardino stamattina, e portate la sua testa ad Angelo,» declamò con tutta la voce che aveva.
Si interruppe e puntò il dito contro Volpe, il quale non rispose.
«È una vecchia commedia,» dichiarò Drayton. «Non la conoscono. Suvvia, facciamo Bottoni. Io recito la parte dello stupido.»
«Se non la conoscono, allora gliela spiegherò io,» disse Volpe. «La commedia ha per nome Misura per misura. È la storia di un giovane che ha dei problemi con la legge e deve essere impiccato, ma un altro viene ucciso al posto suo.» Indicò Collarino. «Ricomincia.»
«Fate giustiziare questo Bernardino stamattina, e portate la sua testa ad Angelo,» disse Collarino.
Volpe guardò Drayton. «Angelo li ha visti entrambi, e riconoscerà i lineamenti.»
Collarino sorrise, e fu il sorriso più crudele e sinistro che avessi mai visto, un sorriso da lupo. «Oh, la morte è una grande contraffattrice,» disse.
«Basta così!» esclamai.
Mi fissarono entrambi, Volpe e Collarino, disturbati dalla loro preda.
«La bambina si è quasi addormentata,» dissi.
«Non è vero!» protestò Bess strofinandosi gli occhi, cosa che fece molto ridere tutti i presenti.
La feci scendere dal suo grembo. «Potrai vedere il teatro domani, e dopodomani, e il giorno dopo ancora. Tuo nonno è tornato per rimanere.»
Susanna si precipitò in avanti. «Buonanotte, padre. Sono molto felice che siate a casa.» Avvolse il mantello attorno a Bess.
«Domani reciterai per me, nonno?» chiese la bambina.
Lui le scarruffò i capelli. «Certo, domani.»
Bess gli strinse le braccia al collo. «Buonanotte, nonno.»
John Hall prese in braccio la figlia, che abbandonò la testa sulla sua spalla. «Porterò con me gli attori,» mi disse in un bisbiglio. «Non mi fido a lasciarli in casa con Judith.»
Si rivolse a Volpe e Collarino e disse con voce chiara: «Signori, stanotte dormirete da noi. Volete venire? Zia Joan, vi accompagnamo a casa.»
«No,» rispose Joan, sprezzante, gonfiando il petto per sembrare più orgogliosa. La sua gorgiera gemette e cigolò. «Vorrei restare un altro po’, e anche loro.»
John aprì la porta, e se ne andarono via nella neve, con Elizabeth già addormentata.
«Perbacco, adesso che se ne sono andati potremo avere la nostra commedia, fratello.»
«No,» dissi, inginocchiandomi per poggiare le mie mani sulle sue. «Sono una moglie che è stata a lungo separata da suo marito, e vorrei andare a letto con lui prima dell’alba.»
«Non amavate vostro marito così tanto, ai vecchi tempi,» disse Joan, portandosi le mani alle labbra. «Fratello, non lascerai che ti comandi così?»
«Farò tutto ciò che vorrà.»
«C’è una scena che si adatta perfettamente alla situazione,» intervenne Drayton, allargando le braccia. «“Adesso le nostre gozzoviglie sono terminate”.» Indossò l’enorme mantello. «Andiamo, signora Joan, accompagno voi a casa e questi due alla fattoria di Hall, poi me ne andrò in una taverna a scolarmi un paio di bicchieri di vino prima di fare ritorno qui.»
Judith li accompagnò fino in fondo alla sala e aprì la porta. Io rimasi in ginocchio con le mie mani fra le sue. «Perché lo avete fatto?» mi domandò. «Drayton vi ha comprato con la sua pietà?»
«No,» dissi piano. «Non puoi andare via. Le tue figlie sarebbero tristi nel vederti partire, e hai promesso ad Elizabeth di recitare per lei. Hai chiesto se c’era qualcosa che potevi fare per loro. Sii il loro padre.»
«Lo sarò, e tu rispondi a una mia domanda. Dimmi, quando mi hai scoperto?»
«Lo sapevo da prima che tu tornassi.»
Le sua mani strinsero le mie.
«Quando Hamnet morì, e il vecchio John andò a Londra per riferirlo a mio marito,» dissi, «tornò con uno stemma dicendo che lo aveva fatto suo figlio per lui, ma io non gli credetti. Suo figlio, mio marito, non avrebbe mai alzato un dito per aiutare suo padre o per dare alle figlie una casa in cui abitare. Sapevo che non era stato lui ad avere questa premura, ma qualcun altro.»
«Per tutti questi lunghi anni ho pensato che nessuno sapesse niente di me, che tutti mi credessero morto. E infatti era come se fossi morto, e sepolto a Deptford, e come se quello vivo fosse lui. Ma tu lo sapevi.»
«Sì.»
«E non mi hai odiato, anche se avevo ucciso tuo marito.»
«Non sapevo che fosse morto. Pensavo che ci avesse perso giocando a dadi, o che ci avesse vendute a un padrone più gentile.»
«Vendute?» ripeté. «Ma quale genere di uomo venderebbe un tesoro simile?»
«“La lingua di ferro della mezzanotte ha detto che sono le dodici.” Buona notte, buon riposo!”» strillò Drayton da fuori la porta. «“Dolci corteggiatori, a letto”.»
Mi alzai, sempre stringendogli le mani. «Andiamo, marito,» dissi. «Il letto infine è pronto, giusto in tempo per andare a dormire.»
«Il letto,» disse, così debolmente che riuscii a sentirlo appena.
«Che c’è, marito?»
«Nel testamento ho lasciato un dono anche a te.» Mi sorrise. «Ne sarai contenta, quando verrà letto il testamento.»
Si era dimenticato che ero seduta accanto a lui quando aveva stilato il testamento.
«Quello stupido decotto di John mi ha fatto star meglio,» disse. «Adesso sono di nuovo uno, non più diviso in due.»
Gli posai la mano sulla fronte. Era più calda che mai. Andai a prendere un’altra coperta nella cassapanca.
«No, resta seduta vicino a me e tienimi le mani,» disse. «Ho pagato al becchino una corona francese perché scriva una maledizione sulla mia tomba, in modo che non venga nessuno a scavare e a dire, “non è lui”.»
«Ti prego, non parlare di morte,» dissi.
«Non ho scritto il mio testamento, l’ho solo firmato. Quelli gli hanno fatto scrivere il suo nome e poi lo hanno ucciso, così ho potuto ricopiarlo.»
«Lo so, marito. Stai calmo, non ti agitare con questa…»
«Non importa di chi sia il nome che c’è sulle opere, ma che l’eredità delle mie figlie sia salva. Hai bruciato tutto?»
«Sì,» risposi, ma non l’ho fatto. Ho infilato le carte nel nuovo materasso. Mi accerterò che non vengano bruciate insieme alla biancheria quando morirà, e così le salverò, a meno che la casa stessa debba bruciare. Non farò niente che possa minacciare l’eredità delle figlie né l’amore che portano a loro padre, ma negli anni a venire le carte potranno essere ritrovate e su di esse potrà essere apposto il suo vero nome. La soluzione è nel testamento.
«Moglie, siediti accanto a me e tienimi le mani,» dice, anche se gliele stringo già. «Ti ho lasciato qualcosa nel testamento, un ricordo di quella notte in cui sono venuto qui per la prima volta. Ti ho lasciato il letto di riserva.»