Robert Silverberg La notte di fuoco

Verso il tardo pomeriggio, Elena salì sul picco più alto dell’isola a due gobbe per guardare le prime fasi dell’eruzione. L’aveva accompagnata una moltitudine di ragazzi e bambini, piccole creature dalla pelle gialla, graziosamente sgambettanti, storditi dalla gioia all’idea di accompagnare la donna della Terra. Le rotolavano e sgambettavano accanto, mentre la processione risaliva la strada di montagna, e quando il gruppo, dopo aver girato intorno al cono, giunse in un punto da cui si poteva vedere l’altro picco, uno dei ragazzi disse:

«Vedi il fumo, Elena? Presto ci sarà anche il fuoco.»

Era Vondik che le aveva parlato, uno dei suoi prediletti, uno dei più agili e forse il più intelligènte. Quando Elena si spostò sul ciglio della strada per godere una visuale migliore, il ragazzo le scivolò accanto. La sua fredda mano a sei dita si posò casualmente sulla pelle nuda della gamba sinistra di lei, pochi centimetri sotto il fianco. Poi Vondik sollevò lo sguardo al viso di Elena per rendersi conto se lei disapprovava quel contatto. Certo, in una situazione diversa, sulla Terra per esempio, tra, alunno e maestra un simile contatto sarebbe stato assolutamente inammissibile. Ma quella non era la Terra, e Vondik voleva semplicemente dimostrare la sua premura. Aveva circa nove anni, quindi gli mancavano un paio d’anni per entrare nell’età adulta. Elena, comunque, si disse che in quel contatto innocente non c’era niente di sessuale.

Gli altri ragazzi chiacchieravano tra loro e indicavano il picco lontano. Elena aveva difficoltà a capirli per la rapidità con cui parlavano. L’avvicinarsi dell’eruzione li aveva eccitati e resi frenetici. Erano come scimmie, pensò Elena. Agili scimmie gialle che diventavano nervose all’avvicinarsi del temporale.

«Verrà il fuoco» disse Vondik. «Le pietre si scioglieranno e copriranno tutto. Capisci? Le colate di fuoco avanzeranno sui villaggi e li distruggeranno.»

«Fra quanto tempo?» domandò Elena.

Le dita di Vondik si strinsero sulla gamba della ragazza.

«Due tramonti, o tre. Domandalo ad Haugan. Domandalo al capo. Questa notte, quando vai a dormire con lui, fattelo dire.» Vondik scoppiò a ridere. «Vedi, c’è del fuoco. Lo vedi, Elena?»

Lei girò lo sguardo per la valle, che, da quel punto, offriva un panorama magnifico. Si potevano vedere i verdi pendii dell’altra montagna e due dei tre villaggi che erano sorti sotto la vetta del vulcano dopo l’ultima eruzione, avvenuta alcune generazioni prima. L’isola a due gobbe misurava circa dieci chilometri di diametro, e sorgeva con ripide sponde dalle scure acque del Lago Muuk. Il lago era un gigantesco bacino di qualche antico cratere, la base di quella che doveva essere stata una montagna incredibile. Misurava trenta chilometri di larghezza. A est, Elena poteva vedere il corso a zig-zag del Golden River, giallo per il fango delle montagne. Il fiume scendeva dal nord, sgorgando da fredde zone marnose per rifornire d’acqua il lago che si era formato nel cratere. Il lago pareva che non avesse sbocco. Elena immaginò che una corrente sotterranea portasse via il flusso giornaliero della nuova acqua. Le tonnellate di fango giallo che affluivano quotidianamente si perdevano nelle profondità del Lago Muuk, che rimaneva ostinatamente scuro e ostinatamente profondo, senza mai cambiare, nonostante tutto quello che il Golden River riversava nelle sue acque. Più lontano, oltre le rive del lago, Elena vide l’immensa savana tropicale, abitata da tribù ostili. La gente del lago, autosufficiente, non lasciava mai l’isola, benché le due montagne fossero vulcani attivi, e la più piccola delle due fosse prossima a una eruzione.


Una volta, dieci anni prima, Elena era salita sul Vesuvio. Era andata fino in cima e aveva guardato nella nera profondità della terra. Poi, rabbrividendo, aveva guardato verso la morta Pompei. Qui, però, non poteva avvicinarsi molto al cratere: per quella gente era terreno proibito. I villaggi sorgevano nella valle e si arrampicavano sui pendii per centinaia di metri. Sopra le ultime abitazioni si stendeva una grande cintura di foresta fitta, di terra mai coltivata, inviolabile e sacra. Più sopra ancora, si allargava la zona delle ceneri, che raggiungeva la sommità. Quando si erano sentiti i primi brontolii sotterranei, Elena aveva pensato di salire la montagna per valutare il pericolo da vicino. Haugan però glielo aveva proibito. Lui non era soltanto marito. Era anche il capo dei tre villaggi, il Re del Golden River, e non si poteva disobbedire. Così ora Elena si trovava sulle pendici della montagna disabitata, intenta a guardare dall’altra parte della valle, verso il vulcano minaccioso.

«Semina molta morte, quando scoppia» disse Vondik.

«Ma tutti saranno oramai in luogo sicuro» disse Elena.

I ragazzi scoppiarono a ridere. Fu un coro squillante e acuto, che, poco a poco, si affievolì. Quando era arrivata su quel pianeta aveva trovato la risata degli indigeni intollerabile. Poi si era abituata, e ora la trovava affascinante. Ma era logico ridere davanti a un vulcano minaccioso?

Il cielo si stava facendo scuro. Masse di nuvole rossastre si stavano avvicinando da est, dall’oceano, cariche di pioggia. Contro lo sfondò scuro del cielo, Elena poteva perfettamente vedere il materiale incandescente che veniva proiettato nell’aria dall’imbuto di cenere, e che ricadeva sull’isola. Si sentivano sibili e boati. Una fontana di ceneri e di pomice, di color rosso acceso, scaturiva dal cratere e ricadeva lungo i pendii. Attraverso le lenti di osservazione, Elena vide una pioggia di piccole particelle rosse zampillare nell’aria per poi ricadere e perdersi nel grigio delle ceneri che orlava la vetta. Ebbe un brivido. Quanto tempo sarebbe ancora passato prima che il vulcano lanciasse il materiale incandescente fino alla foresta sacra che ricopriva i fianchi della montagna e riversasse la lava fino ai villaggi affollati? La terra sembrava tremare, anche lì, a molti chilometri dal pericolo. Elena sapeva che sotto quell’isola, sotto i due picchi, si agitava una massa di fuoco liquido. Un mostro gigantesco che si stava risvegliando sotto i suoi piedi.


Adesso la mano di Vondik non era più sulla sua gamba. Elena si guardò attorno, e vide l’agile sagoma nuda del ragazzo in cima a un albero: Vondik colse un frutto dorato e lo lanciò. Gli altri ragazzi lo afferrarono al volo e vennero trionfanti verso di lei.

«Un frutto dell’allegria per te.»

Elena accarezzò la guancia del ragazzo per ringraziarlo, poi prese il frutto e lo addentò: i ragazzi rimasero a guardare ansiosi. Lei sorrise, per far capire che il frutto era polposo e squisito. I frutti dell’allegria venivano lasciati maturare sull’albero; ma se vi rimanevano troppo a lungo, il loro sapore diventava aspro. Elena provò un leggero stordimento quando l’alcool del frutto le scese nel corpo. I ragazzi le fecero delle piroette attorno. Come potevano essere così spensierati? Le loro abitazioni stavano per essere distrutte. Quella gente non era semplice e ignorante anzi era acuta e sensibile, in un modo tutto particolare. Eppure nessuno dava l’impressione di essere preoccupato.

Markun, una delle tante sorelle di Vondik, fece dei salti e alzò una mano.

«Adesso arrivano i lampi.»

Si era fatto buio con rapidità tropicale. Il cielo perlaceo era diventato color cenere, e ora la fontana di pomice brillava come una gigantesca candela, avvolta dalla nuvola nera dei gas dell’eruzione. E nella nuvola saettavano delle bianche striature di fulmini. In un primo momento, Elena pensò che provenissero dalla nuvole rossastre che aveva visto poco prima, poi si accorse che provenivano dalla nuvola che si stendeva come un velo sulla cima degli alberi della foresta, ai margini della zona di cenere. I fulmini erano qualcosa che aveva a che fare con le forze che si liberavano dal vulcano. Esplodevano e si allargavano con furia demoniaca.

«Ci conviene avviarci verso il villaggio» disse Elena con un certo nervosismo. «È tardi, e si sta facendo buio.»


I ragazzi non fecero obiezioni. Gridando e saltando, si avviarono giù per il pendio, fermandosi di tanto in tanto ad aspettare che lei li raggiungesse.

La discesa fu molto più difficile della salita: la forza di gravità era leggermente inferiore a quella della Terra. Elena era in perfette condizioni fisiche, aveva trent’anni ed era molto forte, ma il sentiero della montagna era scavato con un’inclinazione spaventosa. La salita aveva richiesto soltanto energia, cosa che lei aveva in abbondanza. La discesa le imponeva uno sforzo continuo di reni. Arrivarono ai piedi della montagna, e presto si trovarono a camminare sul terreno ondulato della valle. Comparvero le prime case. I fuochi per la cena erano già stati accesi. Presto Elena, al posto dei venti ragazzi che l’avevano accompagnata in cima alla montagna, venne a trovarsi circondata da cinquanta, cento, centocinquanta ragazzi, che la salutarono con acute grida di gioia, le si strinsero attorno, e le sfiorarono il corpo nudo con le mani.

Le era stato abbastanza facile abituarsi a circolare nuda, però non si era ancora abituata a vedere tanti bambini. Sulla Terra, dove le nascite venivano rigidamente controllate, i bambini si vedevano di rado. Su quel pianeta, il controllo delle nascite era sconosciuto, e, per di più, tra la razza indigena i parti plurimi erano normali. Elena non aveva mai sentito dire che una donna di quel pianeta avesse dato alla luce meno di tre gemelli. Anche sei e sette gemelli non erano una grande rarità. E i bambini prosperavano. L’aria era calda e pura, la valle fertile, e il lago dava pesce in abbondanza.

Con grida gioiose, i ragazzi accompagnarono Elena fino alla Divisione delle Vie.

Quello era un popolo unito, e di una sola cultura. Tuttavia, i tre villaggi erano divisi da barriere di costumi e di casta, alti quanto immense pareti. Largo, il villaggio che sorgeva nella valle, era un agglomerato agricolo; Hulgo, ai piedi del vulcano, era un villaggio di artigiani e di vasai; Gilgo, il villaggio sul pendio, era abitato dai lavoratori incaricati dei lavori pesanti, dai boscaioli, e dai costruttori di canoe. Elena non vedeva una ragione plausibile per questa divisione arbitraria, se non quella di dare agli abitanti dell’isola una struttura esogamica. Un uomo di Gilgo sposava una donna di Largo o di Hulgo. Nessuno sposava mai una donna del proprio villaggio. Questo creava una continua mescolanza delle popolazioni. Ma, a parte i matrimoni, c’erano pochissimi contatti tra gli abitanti di un villaggio e l’altro.

Haugan, il capo dei tre villaggi, abitava nella parte alta di Gilgo. Governava i due villaggi più bassi tramite incaricati. Non c’era molto da fare, tranne il proclamare le celebrazioni e le feste, e amministrare occasionalmente la giustizia. Elena prese la strada per Gilgo, seguita da Vondik, Markun e da pochi altri ragazzi. Sull’isola era discesa un’oscurità umida. Elena cominciava a sentire la stanchezza. Respirava a fatica e sentiva la pelle appiccicosa. Si appoggiò pesantemente al bastone che Vondik le aveva tagliato. Quando entrarono in Gilgo, Elena si fermò a riposare: era soltanto una bionda donna della Terra, esile e nuda, lontana da casa, avvolta in un mantello di preoccupazioni e di umidità.

Guardò verso l’alto, verso la vetta fumante visibile attraverso le piante. Una gigantesca nuvola, orlata da una continua accensione di lampi, sovrastava il picco. A Elena parve che il brontolio sotterraneo si fosse fatto più forte ed ebbe l’impressione che l’aria fosse piena di minuscole particelle di cenere. Si sentì il corpo sudicio, ma passandosi le dita sul petto non si produsse quelle striature che si era aspettata. Riprese a camminare in fretta, avviandosi verso la grande capanna che divideva con Haugan.

Il re le venne incontro e l’abbracciò solennemente.

«Cos’hai visto?»

«Fuoco, fumo e lampi. Haugan, sta per verificarsi una eruzione.»

«Non ancora, non ancora. La cena è pronta.»

La fece entrare. Era più alto di lei… Era l’uomo più alto di tutto il villaggio, come si conveniva, e si muoveva con grazia che la faceva sempre sentire in stato di inferiorità in sua presenza. Malgrado fosse così diverso da lei, Elena gli aveva sempre risposto in un immediato modo fisico, fin dal giorno in cui era arrivata su quel pianeta, spintavi dal suo sciocco desiderio di cercare la verità sugli altri pianeti. Non aveva immaginato di poter diventare la moglie di un extraterrestre.

Certo, Haugan non era molto diverso da un uomo. Aveva troppe dita e troppe articolazioni, la sua pelle era strana e gli occhi erano tutta pupilla; non aveva né capelli né unghie, e lei non riusciva a immaginare come fossero gli organi interni; tuttavia, la conformazione generale del suo corpo era umana. L’evoluzione, rispetto alle specie mammifere dominanti, era arrivata alle identiche conclusioni della Terra. Haugan si teneva eretto, due delle sue quattro membra erano adibite alla deambulazione e due alla prensione e manipolazione degli oggetti; aveva la fronte, gli occhi e i denti sullo stesso piano facciale, e, nell’atto sessuale, si comportava esattamente come gli umani. Elena aveva smesso di considerarlo “diverso”.


Si sdraiarono sul giaciglio.

La cena, composta di carne in umido, vino verde e vegetale, venne servita in silenzio da Leegar, una serva di Haugan. Leegar era al sesto mese di una nuova gravidanza! Haugan logicamente era il padre. Era una prerogativa del capo, quella di poter prendere delle concubine. La ragazza era riservata, ma lasciava trasparire una certa spavalderia. Nel mettere il piatto di fronte a Elena sorrise. “Tu puoi essere la moglie del re” parve dire Leegar “ma io faccio i suoi figli.”

Elena non si era ancora completamente abituata alla vista delle donne con la tripla fila di seni che partivano dal collo e arrivavano all’ombelico. Era una cosa naturale, considerando il fatto che quelle donne avevano sempre parti multipli, tuttavia a Elena sembrava una cosa indicibilmente strana, superiore alle stranezze del corpo di Haugan. Quella sensazione sembrava reciproca. Di notte, quando erano coricati uno accanto all’altro, le mani di Haugan si fermavano spesso sul suo ventre piatto, quasi in continua meraviglia per la mancanza dei seni inferiori.

«Non hai fame?» domandò Haugan.

«Il vulcano mi ha fatto paura, Haugan.»

«Dio ci manda tutte le benedizioni. Siamo preparati a tutto ciò che può succedere.»

«Ma io l’ho visto chiaramente» disse Elena. «Sembra una pentola in ebollizione. Da un momento all’altro ci può seppellire nella lava.»

«I sacerdoti lo stanno osservando. La lava non verrà per diversi giorni ancora.»

«Diversi giorni! Ma…»

Esitò. Spesso si era trovata a dargli spiegazioni, scivolando nel ruolo dell’intelligente donna della Terra che narra cosa sia l’universo. Ma lei odiava quella rappresentazione di se stessa. Quello era il suo mondo, la sua isola, il suo reame. Ed era stupido immaginare di essere superiore ad Haugan per il semplice fatto che la civiltà terrestre possedeva scafi interstellari, mentre quella gente fabbricava ancora vasi di terracotta.


«Che cosa consigli?» domandò Haugan con calma.

«Non so. Mi sembra logico…»

«Cosa?»

«Cominciare l’evacuazione dei tre villaggi e far spostare tutti sull’altra montagna. Non restiamo fermi qui, sotto il cratere, in attesa di essere uccisi.»

«C’è tempo per l’evacuazione.»

«Haugan, ci sono migliaia di persone… gli animali domestici, gli utensili, i mobili…»

«Non ce ne dovremo andare tanto in fretta.»

Haugan le versò del vino. Elena bevve e si sentì stordita. Haugan continuava a rimanere calmo… spaventosamente calmo. Sembrava una roccia, salda, sicura della sua posizione. In tutte le sue decisioni, dal giudicare una disputa di paternità, al dare l’ordine di evacuare la zona minacciata dall’eruzione, Haugan dimostrava sempre l’antica impassibilità e l’identica sicurezza. Un vero re.

Quando ebbero finito di mangiare, uscirono a passeggio nel villaggio, re e consorte, salutati da tutti. Da un promontorio sul versante orientale, osservarono il vulcano che si ergeva sopra di loro. La nuvola di fumo era diventata molto più grande, come la fontana di fiamme che uscivano dal centro del cono di cenere. Ora sembrava che l’inclinazione della “candela” fosse cambiata e piegasse verso ovest. Elena vide i riflessi rossi allungarsi come un ponte sulle acque scure del Lago Muuk. Di tanto in tanto, sopra di loro avvenivano delle piccole esplosioni. Zampilli di vapore e di materia nera venivano lanciati verso l’alto e ricadevano a terra. Nell’aria c’era un forte puzzo di bruciato. Elena si guardò un braccio e vide che un sottile strato di cenere le ricopriva la peluria bionda. Lo mostrò ad Haugan, e Haugan le accarezzò il corpo.

«Tu sei ricoperta di peluria morbidissima» disse. «Non solo qui, o qui, o qui. A parte alcuni punti, il tuo corpo è ricoperto di peluria meravigliosa.»

«Haugan, questo lo sapevi già. Io volevo farti vedere la cenere. L’aria ne è piena.»

«Sì. E peggiorerà ancora.»

Non sembrava preoccupato.


Più tardi, diversi anziani vennero a visitare Haugan. Il re mandò Elena dentro la capanna, e si mise a sedere con gli altri sulla soglia di casa. Parlarono per più di un’ora. Elena non riuscì a capire cosa stessero dicendo. I vecchi parlavano con voce roca, e Haugan rispondeva a voce bassa, ma la donna ebbe l’impressione che ci fosse tra loro un profondo disaccordo. Qualcosa detta dagli anziani aveva fatto montare in collera Haugan ed Elena lo sentì rispondere in tono secco. Alla fine, la riunione si sciolse; Haugan rientrò nella capanna, e si stese accanto a lei, sul giaciglio notturno.

«Cosa volevano?» domandò Elena.

«Parlare del vulcano. Fare dei piani.»

Elena si sollevò di scatto.

«Haugan, pensano che io sia la causa di questa eruzione?»

«Tu? Perché mai dovrebbe essere colpa tua?»

«Il re ha preso la moglie di un altro mondo. Forse pensano che sia un peccato e che porti la distruzione.»

«Se avessero pensato che era peccato, non avrebbero permesso il matrimonio.»

«So che diversi tuoi sudditi sono stati contrari.»

«Elena, tu sai che dobbiamo prendere la moglie in un altro villaggio. È la regola.»

«In un altro villaggio, sì. Ma tu ti sei preso una donna di un altro mondo…»

«Ti metti in testa delle idee sbagliate» disse Haugan. «È una convinzione del tuo pianeta, quella di pensare che sia un male unirsi con una straniera? Da noi, è una cosa accettabile. Anche necessaria. Più stranieri sono, meglio è. E tu sei la più straniera possibile. Nessuno ti ritiene responsabile del fuoco che brucia in cima alla montagna. Te lo giuro.»

Elena non fu soddisfatta. Per qualche oscura ragione era convinta che i vecchi sacerdoti la ritenessero la causa dell’imminente disastro. Benché nessuno avesse mai fatto cenno a una cosa del genere, lei non riusciva a scuotersi di dosso quella spiacevole sensazione. Le era facile pensare in termini antropologici. In quel luogo, lo scambio esogamico delle donne aveva per lei lo stesso significato del passaggio di messaggi inespressi tra gruppi tribali. Le donne che incarnavano questi silenziosi messaggi erano unità con un significato economico, biologico e simbolico che serviva a mantenere coerente e dinamica la struttura generale della società isolana. Haugan l’aveva fatta entrare in quella struttura. Ma quale poteva essere il messaggio che lei aveva portato, se non morte e distruzione? Gli abitanti dell’isola non sposavano le donne della terra ferma, nonostante la regola dell’esogamia. Non poteva rappresentare una violazione il fatto che Haugan avesse sposato una straniera? Elena non riusciva a scacciare quel senso di colpa.


Al mattino il cataclisma non era ancora arrivato, ma era molto prossimo. Ora il vulcano eruttava vapori e cenere a intervalli regolari. Una sottile nuvola di vapore si era distesa sopra tutta la superficie del lago. In cima al vulcano il cono di cenere sembrava essere aumentato una dozzina di metri dal pomeriggio del giorno prima. Si alzava minacciosamente più alto dalla parte del lago che non verso la valle. Verso mezzogiorno, una nuova scossa fece crollare la parte più alta, dando al cono la forma di uno zoccolo di cavallo. Una cascata di sassi divenne una frana che si andò a fermare al margine superiore della foresta. La foresta stessa era ricoperta da uno strato di cenere, e a ogni soffio di vento la cenere volava lontano fino al villaggio.

Tra la gente dei villaggi del Golden River, la vita sembrava continuare nel modo normale.

Gli uomini tagliavano i tronchi per trasformarli in canoe; le donne allattavano i bambini; i ragazzi giocavano. Nel villaggio della valle si continuava il raccolto. Nessuno sembrava allarmato. Haugan rimase assente per quasi tutto il giorno a conferire con i sacerdoti e con gli anziani nelle capanne che si trovavano nella parte superiore del villaggio. Elena si aspettò che da un momento all’altro venisse dato l’ordine di sgombero. Ma l’ordine non venne dato.

Quel giorno l’oscurità scese molto prima. Il cielo era tanto coperto di ceneri da non permettere il passaggio degli ultimi raggi di sole.

Ci fu una festa, quella sera. Elena guardò la colonna di fuoco che sovrastava il villaggio. Le parve di sentire sulla pelle nuda il soffio dell’aria calda, simile al respiro di un mostro. Presto il vulcano avrebbe vomitato terra e sassi. Poi sarebbe sceso il fiume di lava devastante.

Quella notte Haugan rimase occupato a scrivere delle liste su fogli di corteccia. Non ebbe tempo per Elena. Durante la notte svolse alcuni colloqui a bassa voce. Alla fine parve mostrare un certo senso di preoccupazione; ma erano solo lui e il gruppo dei sacerdoti incartapecoriti a interessarsi delle spaventose forze del vulcano. Comunque, nessuno perdeva la calma. Elena era l’unica a provare una vera paura.


Si giunse alla terza mattina dal giorno in cui erano cominciate le scosse e i brontolii. Attraverso la cortina di cenere, il sole sembrava debole e malato. Piccole esplosioni si susseguivano alla distanza di cinque minuti una dall’altra. Un leggero strato di cenere ricopriva tutto il villaggio.

Haugan disse:

«Vieni al bagno con me, Elena.»

Lei fu felice di uscire da Gilgo e mettere la maggiore distanza possibile tra lei e il vulcano. Attraversarono i due villaggi inferiori e raggiunsero la spiaggia. Erano tutti e due sudici, anche se sul corpo levigato di lui si era fermata meno cenere che su quello di Elena. Le acque del lago erano calme. Ma quando Elena vi introdusse un piede lo ritirò di scatto.

«È bollente, Haugan!»

«Non ancora. Possiamo entrare.» Haugan avanzò fino ad avere l’acqua all’altezza dei fianchi, poi si girò per farle cenno di entrare. Elena tornò a rimettere i piedi nell’acqua. Una volta, in Giappone, aveva fatto un bagno con dell’acqua caldissima: questa aveva una temperatura più o meno uguale. Avanzò fino ad avere l’acqua ai fianchi, poi si mise in ginocchio e si immerse fino al mento. Il fango sotto i suoi piedi era voluttuosamente caldo. Haugan le venne accanto e le passò le mani sul corpo per toglierle la cenere. Lei fece altrettanto con lui. Dopo circa cinque minuti uscirono di corsa dall’acqua, perfettamente puliti. La pelle di lei aveva un insolito colore rosso. Quella di lui era immutata.


Sulla spiaggia, Elena guardò a sinistra, verso il vulcano fumante, poi girò lo sguardo a destra verso il secondo picco. Perché non c’erano villaggi su quella montagna? Non era sacra. C’erano animali, e i ragazzi andavano a scalarla, ma nessuno l’abitava. La gente del Golden River era ammassata attorno alla montagna più piccola. Elena non se ne era mai domandata la ragione. Le pendici dell’altra montagna erano ricoperte da una fitta giungla, ad eccezione della strada e della zona di antiche ceneri vicino alla vetta.

Il vulcano brontolò. Elena si accorse che il brontolio si era fatto più minaccioso ed era diventato una specie di sibilo acuto. Il fracasso del demone che si stava per scatenare?, si domandò.

Si strinse ad Haugan.

«Torniamo indietro» disse. «Devi dare ordine alla popolazione di abbandonare i villaggi.»

«Davvero?» domandò lui divertito.

«Morranno tutti, se comincia l’eruzione.»

«Sì» disse Haugan con calma. «Alcuni morranno. Altri no.»

Elena lo guardò stupita, senza riuscire a comprendere.

«Non manca molto. Forse oggi pomeriggio comincerà a scendere la lava.»

«Molto prima, Elena» disse Haugan. «Entro un’ora.»

«Come fai a saperlo?»

«Lo so.»

«E la gente… la tua gente…» «Quelli che si devono salvare, stanno già lasciando i villaggi. Guarda.»

Elena seguì l’indicazione del suo braccio, e vide una lunga fila di gente che attraversava la valle dirigendosi verso la seconda montagna. Da lontano la processione di persone cariche delle loro cose più preziose sembrava una fila di formiche. Elena si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Così l’esodo era cominciato! Ma quando girò lo sguardo verso il villaggio, vide ancora molta gente al lavoro, incurante del pericolo imminente. Non riuscì a capire.

«Se manca soltanto un’ora, perché non se ne vanno?» domandò.

«Quelli rimangono» disse Haugan. «Partono soltanto quelli che dovranno costruire i nuovi villaggi. Il nostro numero sale rapidamente, come sempre, e siamo in troppi. Ho scelto quelli che devono andare dall’altra parte dell’isola. Non è la prima volta.»

«Non è la prima…»

«La Notte di Fuoco avviene ogni cinque generazioni. Ogni montagna si ripulisce dei villaggi che ha sulle pendici, a turno. Costruiremo nuovi villaggi, e continueremo a costruirli.»

Haugan sorrise, e lei ebbe un brivido. Lui le prese una mano.

«Adesso ho dei doveri da compiere. Puoi starmi a guardare, Elena.»


Lo seguì lungo la spiaggia, fino al punto in cui le acque battevano contro la parete stessa del vulcano. Attorno la vegetazione si era afflosciata per il calore che saliva dal lago. Elena vide che la foresta era squarciata da un canale che portava le acque del lago fino ai piedi della montagna. Sapeva che, negli ultimi mesi, molti uomini erano scesi a lavorare in quel punto, e ora poteva vedere cos’avevano fatto. Haugan si avviò verso l’interno dell’isola. Elena vide che il canale terminava contro una barricata di tronchi saldamente uniti a formare una specie di chiusa. L’acqua calda del lago batteva contro la barricata, ma non riusciva a passare dall’altra parte.

Haugan si lasciò cadere in ginocchio. Raccolse una manciata di fango caldo e se lo passò sul corpo. Poi pronunciò parole di una lingua sconosciuta, che Elena non aveva mai sentito. Alla fine, fece dei gesti verso la montagna lontana.

«Dentro la montagna c’è il fuoco» disse Haugan girandosi verso la moglie. «Quando le acque del lago incontrano il fuoco, la lava comincia a uscire. Questa è la porta del lago. Ora la devo aprire.»

Haugan afferrò un palo appuntito.

«Vuoi dire che le acque penetrano all’interno della montagna?» domandò Elena.

«Sì.»

«E tu vuoi aprire lo sbarramento?»

«Sì» disse ancora e infilò un palo tra i tronchi che formavano lo sbarramento.

Era abilmente costruito. Haugan infilò il palo in una mezza dozzina di punti e la grande porta cominciò a girare su cardini invisibili. Elena fissò gli occhi nell’oscurità che c’era all’interno della montagna. Non poteva vedere le fiamme che si agitavano nelle profondità del vulcano. Vedeva soltanto l’oscurità, l’oscurità di una notte profonda, e l’oscurità di una razza che si suicidava per una questione di rito. Si sentì girare la testa e fu sul punto di cadere. Haugan la sorresse, e lei rimase con gli occhi fissi all’imboccatura della galleria e sulle acque del lago che scorrevano nel canale, per gettarsi sulla materia ribollente e provocare la scintilla che avrebbe fatto scattare l’eruzione. In preda al panico, cercò di fuggire, ma lui la trattenne; e, in quel momento, la pelle di lui contro la sua parve terribilmente diversa.

Il re rallentò la stretta quando Elena riuscì a trovare la calma.

«Ora torniamo al villaggio» disse Haugan.

«Per unirci alla gente che fugge?»

«No» rispose lui. «Il re deve rimanere.»


Mentre risalivano veloci il pendio, Elena riuscì vagamente a capacitarsi di quella situazione: i due vulcani, le località su cui sorgevano alternativamente i villaggi, la distruzione che si abbatteva su certa gente, mentre quella prescelta a sopravvivere fuggiva sull’altra montagna; i nuovi villaggi che sorgevano, mentre i vecchi venivano sommersi dalla lava; il sacrificio rituale del re, il deliberato provocare l’eruzione del vulcano. Non c’era da farsi meraviglia se l’altra montagna era disabitata. Sotto le pendici ricoperte di foreste dovevano esserci le rovine di chissà quanti villaggi del passato. E ora ne sarebbe sorto uno nuovo. La mente di Elena cercò di trovare interpretazioni e teorie. Ma non riuscì a trovare una risposta. Quello era un suicidio.

Attraversarono il villaggio di Hulgo e si diressero verso il lago. Accanto a loro, passava una fila di profughi calmi, senza la minima paura. Un terribile tremito di agonia scendeva dal vulcano e scuoteva tutta l’isola.

Raggiunsero la capanna di Haugan. Gli anziani lo stavano aspettando, e sembravano compiaciuti.

«Vedi?» disse Haugan. «Questa è una cosa che non ha niente a che fare con te. Non ci hai portato sventura. Per il nostro popolo, questa è una benedizione.»

«Una benedizione. Morire in questo modo?»

«Noi ne siamo convinti. Tu puoi andare, Elena. Mettiti in salvo. C’è ancora tempo.»

Elena si strinse a lui, smarrita. Riusciva a capire ben poco, perché si trovava di fronte a qualcosa che non aveva origini umane. E Haugan aveva ragione; quello non era affar suo. Non sarebbe mai riuscita a capire. Apparteneva a un altro mondo. Aveva cercato di diventare parte di quel nuovo mondo, ma non era stato che un semplice tentativo.

Tuttavia, era la moglie di Haugan.


La luce del sole era scomparsa, anche se era soltanto mezzogiorno. L’isola mandò un gemito. Elena cercò di immaginare il suo corpo nudo, sepolto da un’improvvisa valanga di lava. I sacerdoti cantavano a bassa voce.

Una lingua di fiamma si alzò verso il cielo.

Vondik e le sue sorelle vennero di corsa verso di loro, eccitati, felici.

«Adesso arrivano i sassi di fuoco!» gridò Vondik. «Fra poco li potremo vedere.»

Elena guardò dentro un’oscurità che stava oltre la sua comprensione, e in quella oscurità vide una sola cosa a cui afferrarsi: quella gente era ormai la sua gente, e lei non poteva, non voleva fare diversamente da loro.

«Non vuoi andare?» disse Haugan.

Lei non rispose e l’abbracciò più strettamente. Poi aspettò muta, con gli altri, l’inizio della Notte di Fuoco.

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