A NEIL, JESSICA E DAVID, CHE RENDONO MAGICO IL MIO MONDO
Il giorno più caldo dell’estate — almeno fino a quel momento — volgeva al termine e un silenzio sonnacchioso gravava sulle grandi case quadrate di Privet Drive. Le automobili di solito scintillanti sostavano impolverate nei vialetti e i prati un tempo verde smeraldo si stendevano incartapecoriti e giallognoli, perché l’irrigazione era stata proibita a causa della siccità. In mancanza delle loro consuete occupazioni — lavare l’auto e falciare il prato — gli abitanti di Privet Drive si erano rintanati nella penombra delle loro case fresche, con le finestre spalancate nella speranza di indurre una brezza inesistente a entrare. La sola persona rimasta all’aperto era un adolescente che giaceva lungo disteso sulla schiena in un’aiuola fuori dal numero quattro.
Era un ragazzo magro, occhialuto, dai capelli neri, con l’aria sciupata e un po’ malsana di chi è cresciuto molto in poco tempo. I suoi jeans erano laceri e sporchi, la sua T-shirt larga e sbiadita, e le suole delle scarpe da tennis si stavano scollando. L’aspetto di Harry Potter non lo rendeva caro ai vicini, persone convinte che la trascuratezza dovrebbe essere punita per legge, ma poiché quella sera si era nascosto dietro un grosso cespuglio di ortensie, era del tutto invisibile ai passanti. In effetti, avrebbe potuto essere individuato solo se suo zio Vernon o sua zia Petunia avessero ficcato la testa fuori dalla finestra del salotto e guardato diritto dentro l’aiuola.
Nel complesso, Harry era convinto di aver avuto un’ottima idea a nascondersi lì. Forse non stava molto comodo, disteso sulla dura terra calda, ma d’altra parte nessuno lo guardava storto, né digrigliava i denti così forte da impedirgli di ascoltare il notiziario, né gli sparava domande perfide, com’era successo tutte le volte che aveva tentato di sedersi in salotto a guardare la televisione con gli zii.
Come se questo pensiero fosse entrato fluttuando dalla finestra aperta, Vernon Dursley, lo zio di Harry, parlò all’improvviso.
«Sono lieto di vedere che il ragazzo ha smesso di girarci fra i piedi. Dov’è, comunque?»
«Non so» disse zia Petunia, indifferente. «Non è in casa».
Zio Vernon grugnì.
«Guardare il telegiornale…» disse, sprezzante. «Vorrei sapere che cos’ha davvero in testa. Come se a un ragazzo normale potesse importare di quello che dicono al telegiornale… Dudley non ha idea di quello che succede; credo che non sappia nemmeno chi è il Primo Ministro! Comunque, non ci può essere qualcosa che riguarda i suoi simili nel nostro telegiornale…»
«Vernon, ssst!» disse zia Petunia. «La finestra è aperta!»
«Oh… sì… scusa, tesoro».
I Dursley tacquero. Harry ascoltò uno spot sui cereali Fruit ’n’ Bran mentre osservava la signora Figg, una vecchia matta amante dei gatti che abitava nella vicina Wisteria Walk, passare lemme lemme. Era accigliata e borbottava tra sé. Harry fu molto contento di essere nascosto dietro il cespuglio, perché la signora Figg di recente aveva preso l’abitudine di invitarlo a bere il tè tutte le volte che lo incontrava per la strada. Aveva svoltato l’angolo ed era scomparsa, quando la voce di zio Vernon uscì di nuovo dalla finestra.
«Dud è fuori per la merenda?»
«Dai Polkiss» disse zia Petunia, affettuosa. «Ha tanti amichetti, gli vogliono tutti così bene…»
Harry soffocò a fatica uno sbuffo. I Dursley erano straordinariamente stupidi quando si trattava del figlio Dudley. Si erano bevuti tutte le sue ottuse bugie sul fatto di essere invitato a merenda da un membro diverso della sua banda ogni sera delle vacanze estive. Harry sapeva benissimo che Dudley non era invitato da nessuna parte a merenda; lui e la sua banda passavano tutte le sere a fare a pezzi il parco giochi, fumare agli angoli delle strade e tirar sassi alle auto e ai bambini di passaggio. Harry li aveva visti all’opera durante le sue passeggiate serali per Little Whinging; aveva trascorso gran parte dell’estate vagando per le strade a recuperare giornali dai cestini.
L’attacco della sigla del notiziario delle sette raggiunse le orecchie di Harry e il suo stomaco si contrasse. Forse quella — dopo un mese di attesa — sarebbe stata la sera giusta.
«Un numero record di vacanzieri bloccati affolla gli aeroporti mentre lo sciopero degli addetti spagnoli ai bagagli entra nella seconda settimana…»
«Gli affibbierei una bella siesta eterna, io, a quelli là» ringhiò zio Vernon in coda alla frase del giornalista, ma fuori, dentro l’aiuola, lo stomaco di Harry si rilassò. Se fosse successo qualcosa, certo sarebbe stata la prima notizia; morte e distruzione erano più importanti dei vacanzieri bloccati.
Emise un lungo, lento respiro e scrutò il cielo di un azzurro luminoso. Tutti i giorni di quell’estate erano uguali: la tensione, l’attesa, il temporaneo sollievo, e poi la tensione che saliva di nuovo… e la domanda si faceva sempre più insistente: perché non era ancora successo nulla?
Rimase in ascolto, nel caso ci fosse qualche piccolo indizio, non riconosciuto dai Babbani per quello che era davvero: una scomparsa inspiegabile, forse, o qualche strano incidente… ma lo sciopero degli addetti ai bagagli fu seguito dalla siccità nel Sud-est («Spero che il vicino stia ascoltando!» borbottò zio Vernon. «Lui e i suoi innaffiatoi accesi alle tre del mattino!»), poi un elicottero che aveva rischiato di precipitare in un campo nel Surrey, poi il divorzio di una celebre attrice dal suo celebre marito («Come se a noi interessassero le loro sordide storielle» disse tirando su col naso zia Petunia, che aveva seguito il caso morbosamente in tutte le riviste su cui era riuscita a mettere le ossute mani).
Harry chiuse di nuovo gli occhi contro il cielo ormai fiammeggiante mentre il giornalista leggeva: «… e infine, Bungy il pappagallino ha trovato un nuovo modo per passare una fresca estate. Bungy, che vive alle Cinque Piume di Barnsley, ha imparato a fare lo sci d’acqua! Mary Dorkins ci è andata per noi».
Harry aprì gli occhi. Se erano arrivati ai pappagallini dediti allo sci d’acqua, non ci sarebbe stato nient’altro che valesse la pena di ascoltare. Rotolò cauto sulla pancia e si alzò su gomiti e ginocchia, pronto a strisciar fuori da sotto la finestra.
Si era spostato forse di cinque centimetri quando successero parecchie cose in rapida sequenza.
Un forte, echeggiante crac infranse il silenzio sonnacchioso come un colpo di fucile; un gatto sgattaiolò fuori da sotto un’auto parcheggiata e filò via; uno strillo, un’imprecazione sorda e un rumore di porcellana infranta uscirono dal salotto dei Dursley e, quasi fosse il segnale che aspettava, Harry balzò in piedi sfilando dalla vita dei pantaloni una sottile bacchetta di legno come se sfoderasse una spada… ma prima che potesse raddrizzarsi del tutto, la sua testa urtò contro la finestra aperta dei Dursley. Il frastuono che seguì fece strillare zia Petunia ancora più forte.
Harry si sentì la testa come spaccata in due. Con gli occhi lacrimanti, barcollò, tentando di mettere a fuoco la strada per individuare la fonte del rumore, ma si era a stento rimesso in piedi quando due manone violacee si protesero dalla finestra per serrarsi attorno alla sua gola.
«Mettila… via!» ringhiò zio Vernon nell’orecchio di Harry. «.Adesso! Prima… che… qualcuno… la… veda!»
«Lasciami… andare!» boccheggiò Harry. Per qualche istante lottarono: Harry tirava le dita a salsiccia dello zio con la mano sinistra, e con la destra manteneva una salda presa sulla bacchetta alzata; poi Harry sentì una fitta acuta alla sommità della testa: zio Vernon guaì e lo lasciò andare come se avesse ricevuto una scarica elettrica. Una forza invisibile sembrava aver attraversato suo nipote, rendendo impossibile trattenerlo.
Ansante, Harry cadde in avanti sul cespuglio di ortensie, si rialzò e si guardò intorno. Non c’era traccia di ciò che aveva provocato la forte esplosione, ma c’erano molte facce che sbucavano da molte finestre vicine. Harry infilò in fretta la bacchetta al suo posto nei jeans e cercò di assumere un’aria innocente.
«Serata deliziosa!» urlò zio Vernon salutando con la mano la signora del numero sette di fronte, che lo guardava torva da dietro le tende a rete. «Sentito che ritorno di fiamma? Io e Petunia ci siamo presi un colpo!»
Continuò a sorridere in un modo orribile, maniacale, finché tutti i vicini curiosi non furono scomparsi dalle varie finestre; poi mutò il sorriso in una smorfia di rabbia, e fece cenno a Harry di avvicinarsi.
Harry mosse qualche passo avanti, badando a fermarsi appena prima del punto in cui le mani tese di zio Vernon avrebbero potuto riprendere a strangolarlo.
«Che cosa diavolo intendevi fare, ragazzo?» chiese zio Vernon con voce rasposa, tremante di furia.
«Che cosa intendevo fare in che senso?» ribatté Harry, gelido. Continuava a guardare a destra e sinistra lungo la strada, nella speranza di vedere il responsabile dell’esplosione.
«Quel fracasso da pistola proprio fuori dalla nostra…»
«Non sono stato io» disse Harry con decisione.
La faccia magra, cavallina di zia Petunia comparve accanto al faccione largo e violetto di zio Vernon. Era furiosa.
«Perché stavi appostato sotto la finestra?»
«Sì, sì, hai ragione, Petunia! Che cosa ci facevi sotto la nostra finestra, ragazzo?»
«Ascoltavo il telegiornale» rispose Harry con voce rassegnata.
Zio e zia si scambiarono uno sguardo indignato.
«Ascoltavi il telegiornale? Ancora?»
«Be’, sapete, tutti i giorni è diverso» disse Harry.
«Non fare il furbo con me, ragazzo! Voglio sapere che cos’hai davvero in mente… e non rifilarmi più queste sciocchezze sul fatto che vuoi ascoltare il telegiornale! Sai perfettamente che i tuoi simili…»
«Attento, Vernon!» sussurrò zia Petunia, e zio Vernon abbassò la voce tanto che Harry lo sentì a fatica: «…che i tuoi simili non finiscono nel nostro telegiornale!»
«Questo lo dite voi» replicò Harry.
I Dursley lo guardarono con gli occhi sbarrati per qualche istante, poi zia Petunia disse: «Sei un perfido piccolo bugiardo. Che cosa fanno…» e anche lei abbassò la voce, tanto che Harry dovette leggerle le labbra per il resto della frase «…tutti quei gufi, se non portarti notizie?»
«Aha!» esclamò zio Vernon in un sussurro trionfante. «Vediamo come te la cavi adesso, ragazzo! Come se non lo sapessimo, che tutte le notizie ti arrivano con quegli uccelli pestilenziali!»
Harry esitò un momento. Gli costava dire la verità, questa volta, anche se gli zii non potevano sapere quanto soffriva ad ammetterlo.
«I gufi… non mi stanno portando nessuna notizia» confessò, con voce piatta.
«Non ci credo» disse subito zia Petunia.
«Nemmeno io» aggiunse zio Vernon con energia.
«Sappiamo che hai in mente qualcosa di strano» disse zia Petunia.
«Non siamo stupidi, sai» aggiunse zio Vernon.
«Be’, questa sì che è una notizia» rispose Harry, che si stava arrabbiando, e prima che i Dursley potessero richiamarlo indietro, si voltò, attraversò il prato, scavalcò il muretto del giardino e marciò su per la strada.
Era nei guai, e lo sapeva. Avrebbe dovuto affrontare gli zii più tardi e pagare il prezzo della sua insolenza, ma al momento non gl’importava granché; aveva questioni molto più gravi per la testa.
Era sicuro che l’esplosione fosse stata provocata da qualcuno che si Materializzava o si Smaterializzava. Era esattamente il rumore che faceva Dobby l’elfo domestico quando svaniva nel nulla. Possibile che Dobby fosse lì in Privet Drive? Che lo stesse seguendo proprio in quell’istante? Nel pensarlo, Harry si voltò a guardare Privet Drive, che però appariva completamente deserta. Ed era certo che Dobby non sapesse rendersi invisibile.
Continuò a camminare, senza nemmeno pensare a che strada stava facendo, perché di recente aveva battuto quelle vie così spesso che i piedi lo portavano automaticamente verso i suoi rifugi preferiti. Ogni due o tre passi si guardava alle spalle. Un essere magico era vicino a lui quando era disteso tra le begonie morenti di zia Petunia, ne era certo. Perché non gli aveva rivolto la parola, perché non aveva cercato un contatto, perché ora si nascondeva?
E poi, proprio quando la frustrazione era al culmine, la sua sicurezza svanì.
Forse non era un rumore magico, dopotutto. Forse lui era così avido del minimo segno di contatto da parte del suo mondo che aveva solo una reazione eccessiva a rumori perfettamente ordinali. Poteva essere certo che non fosse stato il fragore di qualcosa che si rompeva in casa di un vicino?
Provò la sorda sensazione che lo stomaco gli sprofondasse e, prima che se ne rendesse conto, la disperazione che lo aveva afflitto tutta l’estate gli fu di nuovo addosso.
L’indomani mattina avrebbe messo la sveglia alle cinque, in modo da poter pagare il gufo che consegnava La Gazzetta del Profeta: ma aveva senso continuare a comprarla? Harry dava appena un’occhiata alla prima pagina e poi la gettava via; quando quegli idioti del giornale avessero finalmente capito che Voldemort era tornato, sarebbe stata una notizia da titoloni, ed era l’unico genere di notizie che gli interessava.
Se avesse avuto fortuna, ci sarebbero stati anche i gufi dei suoi migliori amici Ron e Hermione, anche se la speranza che le loro lettere gli portassero notizie si era infranta da tempo.
Non possiamo dire molto di Tu-Sai-Chi, ovviamente… Ci è stato raccomandato di non scrivere niente d’importante nel caso che le lettere vadano perse… Abbiamo parecchio da fare ma non posso spiegarti i dettagli… Stanno succedendo un sacco di cose, ti diremo tutto quando ci vedremo…
Ma quando si sarebbero visti? Nessuno pareva preoccuparsi di indicare una data precisa. Hermione aveva scribacchiato Spero che ci vedremo presto in fondo al suo biglietto di auguri di compleanno, ma quanto presto era presto? Per quello che poteva dedurre Harry dalle vaghe allusioni nelle loro lettere, Hermione e Ron si trovavano nello stesso posto, presumibilmente a casa di Ron. Riusciva a stento a sopportare il pensiero di quei due che si divertivano alla Tana quando lui era bloccato in Privet Drive. In effetti, era così arrabbiato con loro che aveva gettato via senza aprirle le due scatole di cioccolatini di Mielandia che gli avevano mandato per il suo compleanno. Più tardi se n’era pentito, dopo l’insalata appassita che zia Petunia aveva proposto a cena quella sera.
E che cosa teneva Ron e Hermione tanto occupati? Perché lui, Harry, non era occupato? Non si era dimostrato capace di affrontare molte più cose di loro? Si erano dimenticati tutti di quello che aveva fatto? Non era stato lui a entrare nel cimitero, ad assistere all’assassinio di Cedric, a venire legato a quella lapide e a rischiare di essere ucciso?
Non pensarci, si disse Harry con fermezza per la centesima volta. Era già abbastanza brutto continuare a rivisitare il cimitero negli incubi senza indugiare in quei pensieri anche nelle ore di veglia.
Svoltò l’angolo in Magnolia Crescent; a metà della via passò davanti allo stretto vicolo sul lato di un garage dove per la prima volta aveva scorto il suo padrino. Sirius, almeno, sembrava capire quello che Harry provava. Bisognava ammetterlo, le sue lettere erano prive di vere notizie quanto quelle di Ron e Hermione, ma se non altro, invece di tormentarlo con vaghe allusioni, cercavano di metterlo in guardia e di consolarlo: So che dev’essere frustrante per te… Sta’ alla larga dai pasticci e andrà tutto bene… Sta’ attento e non agire d’impulso…
Be’, pensò Harry mentre attraversava Magnolia Crescent, svoltava in Magnolia Road e puntava verso il parco giochi sempre più buio, si era comportato (più o meno) secondo i consigli di Sirius. Almeno aveva resistito alla tentazione di legare il baule alla scopa e partire da solo per la Tana. In fondo si era comportato anche troppo bene, considerato come si sentiva deluso e arrabbiato per essere bloccato in Privet Drive da tanto tempo, ridotto a nascondersi tra le aiuole nella speranza di scoprire qualcosa su Lord Voldemort. Tuttavia era piuttosto irritante sentirsi dire di non agire d’impulso da uno che aveva trascorso dodici anni ad Azkaban, la prigione dei maghi, era evaso, aveva cercato di commettere l’omicidio per il quale era stato condannato in origine e poi era fuggito con un Ippogrifo rubato.
Harry scavalcò con un salto il cancello chiuso del parco e s’incamminò nell’erba rinsecchita. Il parco era vuoto come le strade attorno. Quando fu alle altalene, si lasciò cadere sull’unica che Dudley e i suoi amici non erano ancora riusciti a distruggere, attorcigliò un braccio attorno alla catena e rimase lì a fissare ingrugnito il terreno. Non poteva più nascondersi nell’aiuola dei Dursley. L’indomani avrebbe dovuto pensare a un nuovo modo per ascoltare il telegiornale. Nel frattempo, l’unica sua prospettiva era un’altra notte di sonno disturbato, perché anche quando sfuggiva agli incubi su Cedric faceva sogni sconvolgenti di lunghi corridoi ciechi o che finivano contro porte chiuse a chiave, cosa che attribuiva alla sensazione di prigionia che provava da sveglio. Spesso la vecchia cicatrice sulla fronte prudeva fastidiosa, ma Harry non s’illudeva più che Ron o Hermione o Sirius l’avrebbero trovato interessante. In passato, il dolore alla cicatrice era stato il segnale d’avvertimento che Voldemort stava ridiventando forte, ma adesso che lui era tornato probabilmente gli avrebbero detto che era ovvio che fosse sempre irritata… niente di cui preoccuparsi… roba vecchia…
L’ingiustizia di tutto questo gli fece montare una rabbia quasi da urlare. Se non fosse stato per lui, nessuno avrebbe nemmeno saputo che Voldemort era tornato! E la sua ricompensa era restare prigioniero a Little Whinging per ben quattro settimane, completamente isolato dal mondo magico, ridotto ad accucciarsi tra le begonie moribonde per sentir parlare di pappagallini che facevano sci d’acqua! Com’era possibile che Silente l’avesse dimenticato così facilmente? Perché Ron e Hermione erano in vacanza insieme e non avevano invitato anche lui? Quanto ancora doveva sopportare che Sirius gli dicesse di star calmo e fare il bravo, o resistere alla tentazione di scrivere a quella stupida Gazzetta del Profeta per far notare che Voldemort era tornato? Questi pensieri furibondi vorticavano nella testa di Harry, e le sue viscere si contorcevano per la rabbia nell’afosa notte di velluto che calava attorno a lui, l’aria carica dell’odore di erba calda e secca, unico rumore il sordo brontolio del traffico sulla strada oltre le inferriate del parco.
Non sapeva quanto fosse rimasto seduto sull’altalena prima che un rumore di voci interrompesse le sue riflessioni. Alzò lo sguardo. I lampioni delle strade attorno gettavano un bagliore nebuloso abbastanza intenso da delineare un gruppo di persone che avanzavano nel parco. Uno cantava a gran voce una canzone volgare. Gli altri ridevano. Un dolce ticchettio si alzava dalle costose bici da corsa che spingevano.
Harry sapeva chi erano. La sagoma in testa era senz’ombra di dubbio quella di suo cugino, Dudley Dursley, che si avviava verso casa accompagnato dalla sua fedele banda.
Dudley era enorme come sempre, ma un anno di dieta ferrea e la scoperta di un nuovo talento avevano sortito un certo cambiamento nel suo fisico. Come zio Vernon raccontava deliziato a chiunque lo ascoltasse, Dudley di recente era diventato il Campione di Pesi Medi Juniores Scolastici del Sud-est. La “nobile arte”, come la definiva zio Vernon, aveva reso Dudley ancora più temibile di quanto non fosse apparso a Harry ai tempi della scuola elementare, quando lo aveva usato come primo punching-ball. Harry non era più neanche lontanamente intimorito dal cugino, ma non pensava che il fatto che Dudley imparasse a prendere a pugni gli altri con crescente precisione fosse da osannare. I bambini del…