Spider Robinson Elefanti malinconici

Restò seduta in una posizione zazen, concentrata nell’impegno di non concentrarsi, fino a quando fu ora di prepararsi per l’appuntamento. Sembrava che avesse prodotto la solita serenità, e avesse messo tutto in prospettiva. La mano non le tremò, quando incominciò a truccarsi: un viso tranquillo la guardava dallo specchio. Era un po’ sorpresa, anzi, d’essere così calma, fino a quando uscì dall’ascensore dell’albergo al piano del garage e il rapinatore fece la sua mossa. Lei l’uccise anziché storpiarlo. Ovviamente non era un’azione misurata ed equilibrata… le pratiche burocratiche avrebbero rischiato di farla arrivare in ritardo. Irritata con se stessa, nascose il cadavere sotto una lucente roadable Westinghouse nuova il cui proprietario, lo sapeva, si trovava sulla Luna, e proseguì con la sua macchina. Avrebbe dovuto sistemare tutto più tardi, e sarebbe costato parecchio. Non poteva farci niente… Si sforzò di recuperare almeno una parvenza di tranquillità quando la macchina uscì dal garage e svoltò verso nord.

Nulla doveva interferire in quell’incontro e nel ruolo che lei vi avrebbe avuto.

Dozzine di anni-uomo e Dio sa quanti dollari, pensò, buttati in mezz’ora di conversazione. Tutto lo sforzo, tutta la speranza. Insignificante sulla scala della Grande Ruota, naturalmente… ma quando dipende tutto da mezz’ora di conversazione, è come tenere in equilibrio una cartuccia stereo sulla punta di un ago: basta un grammo di peso per logorare un pezzo di diamante. Devo essere più dura del diamante.

Anziché schiarire un finestrino e guardare Washington, D.C.; che si snodava sotto la macchina, accese il televisore. Assorbì e integrò il telegiornale, nel caso che vi fosse qualche notizia appena arrivata che avrebbe potuto sfruttare a proprio vantaggio nell’imminente colloquio. Ma non ce n’erano. Poco dopo, la macchina le parlò: — Devo atterrare, signora. Chiedono l’identificazione oculare. — Quando la macchina si posò, lei schiarì il finestrino e poi l’aprì, presentò il lasciapassare e il documento d’identità al marine in divisa blu, e venne subito autorizzata a proseguire. Su richiesta del marine opacizzò di nuovo il finestrino e lasciò il controllo della macchina al computer di servizio; e quando la macchina si parcheggiò e si spense, scese senza fretta. Un uomo che conosceva la stava aspettando, e sorrideva.

— Dorothy, è un piacere rivederti.

— Salve, Phillip. Sei stato gentile a venirmi ad aspettare.

— Sei incantevole, stasera.

— Troppo gentile.

Non s’irritò per quei convenevoli privi di significato. Aveva bisogno dell’appoggio di Phil, forse. Ma rifletté che tante, tante frasi si erano consumate con l’uso, rese insignificanti da secoli di ripetizioni. Non era un pensiero nuovo.

Se vieni con me, ti riceverà subito.

— Grazie, Phillip. — Avrebbe voluto chiedergli di che umore era il vecchio, ma sapeva che avrebbe messo Phil in una posizione impossibile.

— Credo che abbia avuto fortuna: questa sera il vecchio sembra d’ottimo umore.

Lei sorrise per ringraziare, e decise che se e quando Phil si fosse deciso a farle una proposta, l’avrebbe accettata.

I corridoi attraverso cui la condusse erano ampi, alti e lunghi; l’edificio risaliva a un tempo in cui l’energia costava poco. Persino a Washington, pochi altri si sarebbero permessi di vivere in un ambiente che sprecava tanta energia. L’arredamento estremamente sobrio rafforzava l’impressione creata dalle dimensioni: spazio nudo dal tappeto al soffitto, interrotto approssimativamente ogni quaranta metri da qualche oggetto d’arte squisitamente semplice che valeva almeno un megadollaro, messo in mostra nel modo appropriato. Una ciotola di porcellana bianca, disadorna e perfetta, vecchia più di mille anni, su un ruvido piedistallo di legno di ciliegio. Una sensazionale foto a colori di una strada di campagna coperta di neve, circondata da uno schermo di seta su una lamina d’argento: l’ora del giorno cambiava quando le si passava davanti. Un globo di cristallo d’un metro di diametro, nel quale danzava un ologramma dell’immortale Shara Drummond; dato che aveva smesso di ballare prima dell’avvento della tecnologia olografica, quella doveva essere una dispendiosa ricostruzione realizzata con un computer. Una piccola camera di glassite sigillata contenente la prima scultura a vuoto mai realizzata, la leggendaria Pietra Stellare di Nakagawa. Un visitatore che non avesse avuto fretta avrebbe potuto studiare un oggetto con calma, e poi proseguire per un tratto, assorto nella contemplazione, prima d’incontrarne un altro. Un visitatore che aveva fretta, come Dorothy, non avrebbe incontrato proprio perifericamente gli stimoli straordinari con frequenza sufficiente per imparare il trucco di filtrarli ed escluderli. Ognuno reclamava la sua attenzione, s’insinuava nei suoi pensieri: la distraevano, sia intrinsecamente, sia ricordandole la sterminata ricchezza del loro proprietario. Avvicinare quell’uomo in casa sua, in fretta o senza fretta, significava sentirsi umiliati. Lei sapeva che l’effetto era intenzionale, e non riusciva a trascenderlo: questo la irritava, e sentirsi irritata l’irritava ancora di più. Si sforzò di acquisire un certo distacco.

In fondo ai corridoi che sembravano non finire mai c’era un ascensore. Phillip la fece entrare, premette un pulsante senza lasciarle la possibilità di vedere il numero del piano, e si ritrasse. — Buona fortuna, Dorothy.

— Grazie, Phillip. C’è qualche argomento che è meglio evitare?

— Ecco… non parlare di emorroidi.

— Non sapevo che qualcuno potesse pensare di parlarne.

Phillip sorrise. — Siamo ancora d’accordo per pranzare con me giovedì?

— A meno che tu preferisca spostare l’appuntamento per cena.

Lui inarcò un sopracciglio. — E colazione?

Lei finse di riflettere. — Brunch — decise. Phillip le rivolse un mezzo inchino e indietreggiò.

La porta dell’ascensore si chiuse e lei dimenticò l’esistenza di Phillip.

Gli esseri senzienti sono innumerevoli; io faccio voto di salvarli tutti. Le passioni illusorie sono innumerevoli; io faccio voto di spegnerle tutte. La verità è illimitata; io…

La porta dell’ascensore si riaprì, troncando il Voto del Bodhisattva. Lei non aveva sentito l’ascensore fermarsi… ma sapeva che doveva essere discesa almeno per cento metri. Uscì dalla cabina.

La stanza era più ampia di quanto si aspettasse: tuttavia la grande poltrona a motore la dominava. La poltrona sembrava dominare anche il suo occupante, almeno visivamente. Era un’impressione ingannevole, perché lui dominava tutta quella casa immensa, tutto ciò che vi stava e, in misura notevole, anche il paese in cui sorgeva. Ma non aveva un aspetto molto sensazionale.

Si stava svolgendo una sinfonia olfattiva, il passaggio della cannella di «Infanzia» di Bulachevski. Era una delle sue preferite, e questo l’incoraggiò.

— Buonasera, senatore.

— Buonasera, Mrs. Martin. Benvenuta in casa mia. Mi perdoni se non mi alzo.

— Certo. È stato molto cortese a ricevermi.

— È un piacere e un onore. Un uomo della mia età apprezza la possibilità di trascorrere un po’ di tempo in compagnia di una donna bella e intelligente come lei.

— Senatore, quando incominceremo a parlare?

Lui sollevò una parte della faccia dove un tempo c’era stato un sopracciglio.

— Finora non abbiamo detto nulla di vero. Lei non si è alzato perché non può. La sua gentile accoglienza mi è costata tre favori importanti e parecchio denaro. Più del normale: lei mi ha ricevuta controvoglia. Ha almeno otto amanti, che io sappia, ognuna delle quali mi farebbe sembrare, al confronto, una matrona stupida e noiosa. Ho nascosto un cadavere ancora caldo mentre venivo qui, perché non potevo permettermi di arrivare in ritardo; ho poco tempo e devo parlare d’una questione urgente. Possiamo incominciare?

Trattenne il respiro e pregò in silenzio. Tutto ciò che era riuscita a sapere sul conto del senatore le diceva che quello era il modo corretto per abbordarlo. Ma lo era davvero?

La faccia mummificata si schiuse in un ampio sogghigno. — Subito, Mrs. Martin. Lei mi è simpatica e questa è la verità. Anch’io ho poco tempo. Cosa vuole da me?

— Non lo sa?

— Posso indovinarlo. Detesto indovinare.

— Mi sono impegnata pubblicamente perché non passi l’S. 4217896.

— Sì, ma per quel che ne so potrebbe essere venuta qui per vendersi.

— Oh. — Lei cercò di nascondere la sorpresa. — Cosa le fa pensare che sia possibile?

— La sua organizzazione è grande, ben finanziata e piuttosto efficiente, Mrs. Martin, e ha qualcosa che non capisco.

— Che cosa?

— Il vostro obiettivo. Le vostre argomentazioni sono deboli e implausibili, e ogni volta che questo vien fatto osservare a qualcuno di voi, voi continuate semplicemente a insistere. Molte volte ho visto la gente assumere posizioni senza logica apparente… ma sono sempre riuscito a scoprire la logica, se continuavo a osservare con attenzione. Tuttavia, secondo me, l’S. ’896 tornerebbe a chiaro e durevole vantaggio del gruppo che lei afferma di rappresentare: gli artisti. Nella vostra organizzazione c’è troppa intelligenza perché possa quadrare con i vostri fini. Quindi devo domandarmi per chi state lavorando, e perché. Una possibilità è che siate disposti a passar sopra alla questione dei diritti d’autore in cambio di ciò che volete veramente. Mi segue?

— Senatore, io lavoro nell’interesse di tutti gli artisti e, in senso più lato…

Il senatore assunse un’espressione addolorata; anzi, ancora più addolorata. — …per tutta l’umanità? Oh, mio Dio, Mrs. Martin, andiamo!

— Lo so che l’avrà sentito dire innumerevoli volte, e probabilmente l’avrà detto altrettanto spesso. — Il senatore sogghignò maliziosamente. — Ma questo è uno dei rari casi in cui è vero. Io credo che, se l’S. ’896 verrà approvata, la nostra specie subirà un trauma significativo.

Il vecchio alzò una mano scheletrita e si tirò il labbro inferiore. — Adesso ho capito da che parte sta, e credo di poterle far risparmiare un’ingente quantità di denaro. Concludendo questo colloquio e facendo in modo che la somma da lei pagata per mezz’ora del mio tempo venga rifusa pro rata.

Lei si sentì stringere il cuore, ma mantenne un tono sereno. — Senza neppure ascoltare la logica nascosta dietro le nostre argomentazioni?

— Sarebbe inutile e crudele invitarla a continuare il suo discorso, signora. Vede, io non posso aiutarla.

Lei avrebbe voluto gridare e, furiosamente, si proibì di farlo. Controllati, bisbigliava una parte della sua mente, e un’altra parte le urlava che un uomo come quello non usava le parole con leggerezza. — Non posso. — Ma doveva aver torto. Forse la frase era soltanto una mossa d’apertura…

Non lasciò trapelare nessun segno del conflitto interiore: la voce era calda e misurata. — Senatore, non sono venuta qui per intrigare. Volevo solo informarla personalmente che la nostra organizzazione intende fare una donazione per la sua campagna, senza condizioni, per l’ammontare di…

— Mrs. Martin, la prego! Prima d’impegnarsi, mi ascolti. Le ripeto che non posso aiutarla. Indipendentemente dalla somma offerta.

— È piuttosto cospicua.

— Ne sono sicuro. Tuttavia è insufficiente.

Lei sapeva che non avrebbe dovuto chiederlo. — Senatore, perché?

Il vecchio aggrottò la fronte. Era uno spettacolo spaventoso.

— Mi ascolti — disse lei, lasciando quasi trasparire la disperazione. — Tenga il pro rata, se questo basta a farmi ottenere una risposta! Sino a quando non sarò convinta che la mia missione è senza speranza, non desisterò: rispondermi è il sistema più rapido per allontanarmi dal suo ufficio. I suoi scanner mi hanno controllata meticolosamente: sa benissimo che non sto cercando di imbrogliarla.

Il senatore annuì, continuando ad aggrottare la fronte. — E sta bene. Non posso accettare la vostra donazione per la campagna perché ne ho già accettata una da un’altra fonte.

La sua paura segreta era una realtà. Il vecchio aveva già preso denaro dall’altra parte. L’unica cosa che ogni politicante era tenuto a fare, per quanto fosse potente, era restar fedele a chi l’aveva comprato. Era finita.


Tutto il panico e la tensione svanirono, sostituiti da una tristezza così grande e penetrante che per un momento lei pensò che, letteralmente, potesse fermarle il cuore.

Troppo tardi! Oh, tesoro mio, sono arrivata troppo tardi!

Si rese conto mestamente che c’era troppa gente nella sua vita, c’erano troppe responsabilità e troppi legami. Sarebbe trascorso almeno un mese prima che potesse suicidarsi onorevolmente.

— … si sente bene, Mrs. Martin? — stava dicendo il vecchio in tono allarmato.

Lei si drappeggiò nella disciplina come in un mantello. — Sì, senatore, grazie. La ringrazio per aver parlato chiaramente. — Si alzò e si allisciò la gonna. — E per…

— Mrs. Martin.

— … la sua gentile ospit… Sì?

— Vuole espormi i suoi argomenti? Perché non dovrei appoggiare l’S. ’896?

Lei batté le palpebre. — Ha appena detto che sarebbe inutile e crudele.

— Se le prospettassi qualche speranza, sì, lo sarebbe. Se preferisce non sprecare tempo, non la costringerò. Ma sono incuriosito.

— Curiosità intellettuale?

Sembrò che il vecchio si raddrizzasse un po’ sulla poltrona… senza dubbio era un’illusione, perché una spina dorsale artificiale non è mobile. — Mrs. Martin, mi sono impegnato a un dato corso d’azione. Ciò non significa che non m’interessi se l’azione è giusta o sbagliata.

— Oh. — Lei rifletté. — Se la convincessi, non mi ringrazierebbe.

— Lo so. Ho visto la sua espressione un momento fa e… mi ha ricordato una notte di molti anni or sono. La notte che morì mia madre. Se la sua tristezza è tanto grande, io posso alleviarla in parte, devo tentare. Si sieda.

Lei sedette.

— Ora mi dica. Cosa c’è di tanto tremendo nell’estendere i diritti d’autore in modo che si adeguino alle realtà della vita moderna? Per principio, cerco sempre di ascoltare entrambe le parti in causa, prima di accettare una donazione per una campagna… ma questa faccenda sembrava così chiara…

— Senatore, quella proposta di legge è un vantaggio a breve termine per alcuni artisti… e a lungo termine è un disastro per tutti gli artisti, sulla Terra e altrove.

A lungo andare, signor presidente… — disse il vecchio, citando Keynes.

— … alcuni di noi sono ancora vivi — finì lei, sottovoce e in tono deciso. — Non è così? Ha appunto indicato una parte del problema.

— A quale disastro si riferisce? — chiese il senatore.

— Il peggior trauma psichico che la razza umana abbia sofferto finora.

Il vecchio la scrutò attentamente e aggrottò di nuovo la fronte. — È una possibilità che non viene neppure accennata nella vostra letteratura e nel vostro materiale.

— Accennarvi significherebbe precipitare il trauma. Attualmente solo poche persone lo sanno, persino nella mia organizzazione. A lei lo sto dicendo perché me l’ha chiesto, e perché sono certa che è l’unica persona che sta registrando questa conversazione. Scommetto che cancellerà il nastro.

Lui batté le palpebre e strinse i denti. — Oh, oh — disse in tono blando. — Mi lasci mettere comodo. — Regolò la poltrona in modo che s’inclinasse all’indietro e gli massaggiasse gli arti inferiori; e lei vide che poteva continuare a osservarla attraverso lo specchio del soffitto, se voleva. Ma aveva gli occhi chiusi. — Sta bene, prosegua.

Lei non aveva bisogno di tempo per scegliere le parole. — Sa quanto è antica l’arte, senatore?

— È antica quanto l’uomo, credo. Anzi, può far parte della definizione.

— È una risposta intelligente — disse lei. — Lo ricordi. Ma a tutti i fini pratici attuali, si potrebbe dire che ha un po’ più di 15.600 anni. È l’età delle opere d’arte superstiti più antiche, i dipinti rupestri di Lascaux. Senza dubbio i pittori cavernicoli cantavano e ballavano, e raccontavano storie… ma tutte queste creazioni artistiche non lasciarono testimonianze più durevoli della memoria di un uomo. Forse furono i cantastorie che poi impararono un sistema per conservare la loro opera. Dovettero passare innumerevoli altre generazioni prima che venisse ideato e standardizzato un metodo funzionante di notazione musicale. Soltanto negli ultimi secoli i coreografi hanno imparato a lasciare una documentazione sia pure rudimentale della loro arte.

«La memoria razziale della nostra specie si è allungata, dopo Lascaux. Il miglioramento più grande venne con l’invenzione della scrittura: l’estensione della nostra memoria passò dalla durata di poche generazioni a quella dell’esistenza della Bibbia. Ma era necessario uno sforzo massiccio per sostenere per tanto tempo un ricordo: era difficile copiare a mano i manoscritti più in fretta di quanto riuscissero a distruggerli i barbari, le pestilenze e le altre calamità naturali. La soluzione più ovvia fu la stampa a caratteri mobili: produrre e diffondere tante copie di un manoscritto o di un’opera d’arte in modo che alcune sopravvivessero a qualunque catastrofe.

«Ma con la stampa nacque un’idea nuova. Di colpo, l’arte divenne accessibile al mercato di massa, e diventò redditizia. Gli scrittori decisero che dovevano essere loro a possedere il diritto di riprodurre la propria opera. Stava per nascere la nozione del diritto d’autore.

«Poi, negli ultimi quattrocentocinquant’anni sono venuti i più grandi balzi in avanti della memoria razziale umana. La tecnologia della registrazione. Visiva: fotografia, film, video, Xerox, ologrammi. Audio: bassa fedeltà, alta fedeltà, stereo, digitale. Poi i computer, il culmine dello storage delle informazioni. Ognuna di queste nuove tecnologie generò nuove forme d’arte, e nuovi modi per conservare le forme antiche dell’arte. E ognuna di esse imponeva una nuova valutazione dell’idea del diritto d’autore.

«Lei conosce il sistema che abbiamo ora, e che è immutato fin dalla metà del secolo ventesimo. I diritti d’autore decadono cinquant’anni dopo la morte del detentore. Ma la consistenza della razza umana è aumentata drasticamente dal Novecento… e anche la durata media della vita. La maggioranza della gente, nelle nazioni sviluppate, oggi può aspettarsi di vivere fino ai centoventi anni: lei, per esempio, è considerevolmente più vecchio. E quindi, naturalmente, ora l’S. ’896 cerca di estendere i diritti d’autore in perpetuo.

— Bene — interruppe il senatore, — che c’è di male in questo? L’opera di un uomo dovrebbe cessare d’essere sua semplicemente perché ha dimenticato di continuare a respirare? Mrs. Martin, lei stessa sarà ricca per tutta la vita se quel progetto di legge verrà approvato. Desidera davvero regalare il genio del suo defunto marito?

Lei rabbrividì.

— Perdoni la mia franchezza, ma è ciò che capisco di meno nella sua presa di posizione.

— Senatore, se cercassi di tesaurizzare i frutti del genio di mio marito, potrei rovinare la mia razza. Non capisce cosa comporta il diritto d’autore perpetuo? È la memoria razziale perpetua! Quel progetto di legge dà alla razza umana la memoria di un elefante. Ha mai visto un elefante allegro?

Il vecchio rimase a lungo in silenzio. Poi: — Non sono ancora sicuro di aver compreso il problema.

— Non si avvilisca per questo, senatore. Il problema è sotto gli occhi di tutti noi da ottant’anni almeno, e quasi nessuno se ne è reso conto.

— Perché?

— Credo sia dovuto a una specie di carenza innata dell’intuizione matematica, comune a molti umani. Noi tendiamo a confondere qualunque numero sufficientemente alto con il concetto d’infinito.

— Bene, tutto ciò che supera dieci all’ottantacinquesima può essere infinito.

— Prego?

— Mi scusi… non dovevo interromperla. È l’attuale stima più accreditata del numero degli atomi dell’Universo. Continui.

Lei si sforzò di ritornare in argomento. — Bene, basta molto meno per eguagliare l’«infinito» agli occhi di moltissima gente. Per milioni di anni abbiamo guardato l’oceano e abbiamo detto: «È infinito. Accetterà i nostri rifiuti e la nostra immondizia, per sempre.» Abbiamo guardato il cielo e abbiamo detto: «È INFINITO: POTRÀ CONTENERE UN QUANTITATIVO INFINITO DI FUMO.» Noi amiamo l’idea d’infinito. Un problema che include l’infinito è di facile soluzione. Per quanto tempo si può continuare a inquinare un pianeta infinitamente grande? È semplice: per sempre. Non è il caso di preoccuparsi.

«E poi un giorno scopriamo di essere tanti che il pianeta non sembra più infinitamente grande.

«Perciò andiamo altrove. Ci sono riserve infinite nel resto del sistema solare, no? Credo che lei sia una delle poche persone al mondo abbastanza sagge per rendersi conto che non vi sono risorse infinite nel sistema solare, e abbastanza sofisticate per includere questa consapevolezza nei loro piani.

Il senatore, adesso, sembrava turbato. Sorseggiò qualcosa con una cannuccia. — Provi a collegare tutto questo al suo problema.

— Ricorda un caso di un’ottantina di anni fa, a proposito della canzone «My Sweet Lord» di George Harrison?

— Se lo ricordo? Fui io a effettuare le ricerche. Il mio studio legale vinse la causa.

— Il suo studio legale convinse il tribunale che Harrison aveva tratto il motivo di quella canzone da un’altra, intitolata He’s So Fine e scritta più di dieci anni prima. Poco tempo dopo Yoko Ono fu accusata di aver tratto abusivamente You’re My Angel dal classico Makin Whoopee, scritto più di trent’anni prima. Gli eredi di Chuck Berry trascinarono in tribunale gli eredi di John Lennon per Come Together. Poi, alla fine degli Anni Ottanta, la grande Piaga del Plagio incominciò veramente a imperversare nei tribunali. Da allora, fu aperta la stagione di caccia ai compositori di musica leggera, ed è aperta ancora adesso. Ma raggiunse il massimo all’inizio del secolo, quando fu dimostrato che Ringsong di Brindle era sostanzialmente simile a uno dei concerti di Corelli.

«Esistono ottantotto note. Centosettantasei, se ha un orecchio abbastanza affinato per cogliere i quarti di tono. Aggiunga le pause e il resto, i tempi differenti. Scelga un numero per indicare il massimo di note che una melodia può contenere. Non conosco il massimo numero possibile di melodie, perché vi sono troppe variabili… ma sono sicura che è molto alto.

«Tuttavia, sono certa che non è infinito.

«Innanzi tutto, molte di queste possibili disposizioni delle ottantotto note non verranno percepite come melodia, come musica, dall’orecchio umano. Forse più della metà. Non si potranno canticchiare, fischiettare, ascoltare… alcune saranno sgradevoli. Un’altra percentuale cospicua sarà costituita da melodie così simili l’una all’altra da essere praticamente identiche: se lei cambia tre note della Sonata del Chiaro di Luna, non ha creato qualcosa di nuovo.

«Non so quale sia il numero massimo delle melodie apprezzabili, e sono egualmente certa che sia elevato, ma sono altrettanto sicura che non è infinito. Al mondo siamo sedici miliardi, senatore, più di tutti gli umani che siano mai vissuti in passato. Grazie alla nostra tecnologia, più della metà non hanno un lavoro significativo da svolgere; il cinquantaquattro per cento della nostra popolazione è registrato negli elenchi fiscali sotto la dicitura artisti. Perché il sintetizzatore costa poco ed è versatile, in maggioranza questi artisti sono musicisti, e moltissimi sono compositori. Lei sa cosa significa essere compositore ai giorni nostri, senatore?

— Conosco alcuni compositori.

— Che lavorano ancora?

— Ecco… tre.

— Con quanta frequenza producono un pezzo nuovo?

Un silenzio. — Direi ogni cinque anni, in media. Uhm. Non ci avevo mai pensato, ma…

— Sapeva che attualmente su cinque opere presentate per il copyright alla Divisione Musica, due vengono respinte dopo la prima ricerca al computer?

Il volto del vecchio aveva smesso di esprimere sorpresa, se non per fini istrionici, più di un secolo prima; tuttavia lei capiva di averlo sconvolto. — No, non lo sapevo.

— Perché avrebbe dovuto saperlo? Chi ne parla mai? Tuttavia è una realtà. Un’altra realtà è che, quando si tiene conto dell’aumento del numero dei compositori attivi, la percentuale delle presentazioni all’Ufficio Copyright segna una diminuzione significativa. Vi sono più compositori che mai, ma la loro produttività individuale è in declino. Chi è il compositore vivente più popolare?

— Uh… credo che quel Vachandra…

— Giustissimo. Lavora da poco più di cinquant’anni. Se lei incominciasse ora a suonare in successione tutte le note scritte da lui, finirebbe in dodici ore. Wagner scrisse più di sessanta ore di musica… soltanto la Tetralogia dell’Anello ne dura ventuno. I Beatles, che in pratica erano due compositori, produssero più di dodici ore di musica originale in meno di dieci anni. Perché i grandi del passato erano tanto più prolifici?

«Perché c’erano più permutazioni piacevoli delle ottantotto note che essi potevano trovare.

— Oh — mormorò il senatore.

— Ora ritorniamo ancora agli Anni Sessanta. Ricorda il caso di plagio di Radici? E le dozzine che seguirono? Più o meno in quel tempo uno scrittore che si chiamava van Vogt fece causa ai realizzatori di un film di successo, Alien, accusandoli di aver plagiato un suo racconto scritto quarant’anni prima. Altri due scrittori, Bova ed Ellison, chiamarono in giudizio uno studio televisivo perché aveva rubato l’idea per una serie di telefilm. Tutte e tre le cause furono vinte dai querelanti.

«Questo pone fine al principio legale secondo il quale una persona non ha il copyright sulle idee bensì sulla disposizione delle parole. Il numero delle disposizioni di parole, ma il numero di idee è molto minore. Certamente, possono essere raccontate di nuovo in modi innumerevoli… West Side Story è una brillante rielaborazione di Romeo e Giulietta. Ma fu possibile solo perché Romeo e Giulietta era di dominio pubblico. Rammenti inoltre che, del numero finito di vicende che si possono raccontare, una notevole percentuale è costituita da vicende brutte.

«In quanto alle arti visive… ecco, una volta un uomo dimostrò in laboratorio la capacità di distinguere esattamente tra ottantun diverse sfumature di colore. Credo sia un limite massimo. C’è una quantità massima d’informazioni che l’occhio può assorbire, e in gran parte è l’equivalente del rumore…

— Ma… ma… — Il vecchio aveva fama di non avere mai esitato, in nessuna circostanza. — Ma ci saranno sempre cambiamenti… ci saranno sempre scoperte nuove, nuovi orizzonti, nuove mentalità sociali che infonderanno nell’arte nuovi…

— Non con la stessa rapidità con cui si riproducono gli artisti. Ricorda la grande spaccatura nella letteratura all’inizio del ventesimo secolo? Il mainstream abbandonò sostanzialmente il Romanzo di Idee dopo Henry James, e rivolse la sua attenzione al Romanzo di Carattere. Prima della metà del secolo quel filone s’era inaridito, e ancora oggi stanno rimasticando gli avanzi. Ma nel frattempo un piccolo gruppo di scrittori, alla ricerca disperata di qualcosa di nuovo da scrivere, di una vicenda nuova da raccontare, inventò un nuovo genere chiamato fantascienza. Frugarono nel futuro in cerca di idee. Il futuro infinito… come il carbone e il petrolio e il rame in quantità infinite di cui disponevano allora. In meno d’un secolo avevano esaurito anche quel filone: da più di cinquant’anni non c’è stata una sola idea originale nella fantascienza. La fantasy è sempre stata presentata come la letteratura dalle possibilità infinite …ma c’è un limite teorico persino per il significativamente impossibile, e stiamo per raggiungerlo molto in fretta.

— Possiamo creare nuove forme d’arte — disse il vecchio.

— Da moltissimo tempo la gente cerca di creare forme d’arte nuove, senatore. Quasi tutte sono cadute lungo il percorso. Al pubblico non piacciono.

Impareremo ad apprezzarle. Accidenti, dovremo farlo.

— E saranno utili, per un po’. Negli ultimi due secoli sono nate più forme d’arte nuove di quanto ne fossero spuntate nel milione d’anni precedente… ma negli ultimi quindici anni non ne è nata nessuna. Le sinfonie olfattive, la scultura tattile, la scultura cinetica, la danza a gravità zero… sono tutti campi nuovi e ricchi, e stanno generando montagne di nuovi diritti d’autore. Montagne di grandezza finita. La strozzatura finale è questa: abbiamo soltanto cinque sensi con cui apprezzare l’arte, ed è un numero finito. Posso avere un po’ d’acqua, per favore?

— Certo. — Il vecchio sembrava aver ritrovato l’abituale autocontrollo, ma il bicchiere che emerse dal bracciolo della poltrona conteneva succo di mela. Lei non vi badò e proseguì.

— Ma non è questo che mi fa paura, senatore. La teorica morte termica dell’espressione artistica è qualcosa alla quale, in realtà, non potremo mai avvicinarci. Il gioco finirà molto prima di quel punto.

Tacque per raccogliere i suoi pensieri e assaggiò il succo di mele. Una parte della sua mente notò che si armonizzava con il ricorrente motivo della cannella della sinfonia di Bulachevski, che era ancora in corso di svolgimento.

— Gli artisti si sono illusi per secoli, si sono illusi di creare. In verità non lo fanno. Gli artisti scoprono. Nella natura della realtà c’è un numero di combinazioni di toni musicali che verranno percepiti come piacevoli da un sistema nervoso centrale umano. Per millenni le abbiamo scoperte, implicite nell’universo… e abbiamo continuato a ripeterci che eravamo noi a «cercarle». Creare implica una possibilità infinita; scoprire una possibilità finita. Come specie, credo che reagiremo male nel trovarci di fronte alla constatazione che in effetti siamo scopritori e non creatori.

Smise di parlare e rimase seduta, eretta. Inspiegabilmente, aveva i piedi indolenziti. Chiuse gli occhi e continuò a parlare.

— Mio marito scrisse una canzone per me, in occasione del quarantesimo anniversario del nostro matrimonio. Era il nostro amore in musica, unico, speciale, intimo, la melodia più bella che abbia udito in tutta la mia vita. Lui era felice di averla composta. Delle sue ultime dieci composizioni, cinque le aveva bruciate perché erano derivate, e le altre non avevano ottenuto il copyright. Ma quella era fresca, eccezionale… diceva, scherzando, che gliel’aveva ispirata il mio amore per lui. Il giorno dopo la presentò per farla registrare, e si sentì rispondere che era stata un’aria popolare ai tempi della sua prima infanzia, e che dopo la registrazione originale era stata presentata inutilmente già quattordici volte. Una settimana dopo bruciò tutti i suoi manoscritti e i suoi nastri e si uccise.

Rimase in silenzio a lungo, e il senatore non disse nulla.

Ars longa, vita brevis — disse alla fine lei. — Questo è stato una specie di consolazione, per migliaia d’anni. Ma l’arte è lunga, non infinita. La magia se ne va. Un giorno l’avremo usata tutta… a meno che impariamo a riciclarla come ogni altra risorsa finita. — La sua voce acquistò forza. — Senatore, quella proposta di legge deve cadere, a costo di dovermi opporre a lei per spuntarla. Forse non vincerò… ma lotterò! Non si deve permettere che un copyright duri più di cinquant’anni… e dopo quel termine deve essere cancellato dalla banca-memoria dell’Ufficio Diritti d’Autore. Abbiamo bisogno di un’amnesia volontaria selettiva, se gli Scopritori dell’Arte dovranno continuare a lavorare senza danni psichici. I fatti devono essere ricordati… ma i sogni? — Rabbrividì. — I sogni dovrebbero essere dimenticati al risveglio. Altrimenti un giorno scopriremo d’essere incapaci di dormire. Dati otto miliardi di artisti con vite attive superiore al secolo, non possiamo più permettere ai singoli individui di possedere le loro scoperte in perpetuo. Dobbiamo fare come fece la razza umana per un milione di anni… dimenticare e riscoprire. Perché un giorno, il numero infinito di scimmie non avrà niente altro da scrivere eccettuate le opere complete di Shakespeare. E probabilmente preferiranno non saperlo, quando questo accadrà.

Ora aveva finito; non aveva altro da dire. Era finita anche la sinfonia olfattiva, il cui ultimo motivo si stava dileguando lentamente nell’aria. Non c’era un orologio che ticchettasse, un congegno che emettesse suoni. Il silenzio rimase completo per quasi mezzo minuto.

— Se si vive abbastanza a lungo — disse lentamente il senatore, — non c’è nulla di nuovo sotto il sole. — Si spostò leggermente sulla grande poltrona. — Se si è fortunati, si muore prima. Da cinquant’anni non ho più sentito una barzelletta nuova. — Sembrò raddrizzarsi. — Farò cadere l’S 4217896.

Lei s’irrigidì, scossa. Dopo un po’, si rilassò un poco e riprese a respirare. C’erano tante emozioni che lottavano per la supremazia che aveva appena il tempo di riconoscerle mentre turbinavano. Non riusciva a parlare.

— Inoltre — continuò il senatore, — non dirò a nessuno perché lo faccio. Segnerà la fine della mia carriera nella vita pubblica, che non avevo intenzione di abbandonarla: ma lei mi ha convinto che devo farlo. Sono nel contempo… lieto e… — Il viso si contrasse in una smorfia angosciata. — E amaramente dispiaciuto che lei mi abbia detto perché devo farlo.

— Dispiace anche a me, senatore — disse lei sottovoce.

Il vecchio la scrutò attento. — In certe lotte non è piacevole neppure la vittoria. Ci sono soltanto due categorie di persone che intraprendono battaglie di questo genere: gli sciocchi e le persone straordinarie. Credo che lei sia una persona straordinaria, Mrs. Martin.

Lei si alzò, rovesciando il bicchiere di succo di mele. — Vorrei tanto essere una sciocca, — esclamò. Sentiva che il suo autocontrollo stava incominciando a incrinarsi.

— Dorothy! — tuonò il vecchio.

Lei trasalì come se l’avesse colpita. — Senatore? — disse automaticamente.

Non vada a pezzi! È un ordine. È troppo tesa: potrebbe darsi che i frammenti non si ricomponessero più.

— E allora? — chiese lei amaramente.

Il vecchio stava usando tutta la potenza della sua voce, la voce che aveva evitato almeno una guerra. — Quanti amici crede che abbia un uomo della mia età, accidenti? Crede che siano frequenti, le menti come la sua? Ora abbiamo in comune questo interesse, e ciò ci rende amici. È la prima persona che sia uscita da quell’ascensore e mi abbia veramente sorpreso, in un quarto di secolo. E presto, quando circolerà la notizia che sono venuto meno all’impegno preso, la gente smetterà di uscire dall’ascensore. Lei pensa come me, e non posso permettermi di perderla. — Sorrise, e il sorriso parve cancellare molti decenni dal suo volto.

— Resista, Dorothy — disse, — e ci conforteremo a vicenda nella nostra consapevolezza terribile. D’accordo?

Per quasi un minuto lei si concentrò quasi esclusivamente sul proprio respiro, per rallentarlo e regolarizzarlo. Poi, incerta, sondò le proprie emozioni.

— Sì — disse in tono di stupore. — È meglio… in comune.

— Tutto lo è.

Lei lo guardò, si sforzò di sorridere e finalmente ci riuscì. — Grazie, senatore.

Il vecchio ricambiò il sorriso, mentre cancellava la registrazione del colloquio. — Mi chiami Bob.

— Sì, Robert.

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