Murray Leinster De Profundis

Io, Sard, faccio rapporto al Shadi durante le Maree della Pace, avendo compiuto un viaggio di ricerca suggerito dallo scienziato Morpt quando discusse con me di un Oggetto caduto dentro Honda dalla Superficie. Temo che il mio rapporto non verrà accettato come veritiero. Perciò, in attesa dei verdetto sulla mia salute mentale, do questo rapporto perché sia accettato come scienza o come delirio a seconda della scelta del Shadi…

Ero presente quando l’Oggetto è caduto. In quel momento ero in comunicazione con lo scienziato Morpt, che stava meditando sui fatti dell’universo. Era piuttosto assonnato, e la sua mente s’impegnava al problema più per senso del dovere che per un’autentica ispirazione mentre rifletteva — a beneficio nostro, dei suoi studenti, cioè — sulle prove della teoria di Caluph sulla struttura dell’universo, secondo la quale questo e, in sostanza, un guscio di materia solida pieno d’acqua la quale, venendo respinta, per sua stessa natura, dal centro, acquista pressione, e noi, gli Shadi, viviamo nella regione di maggior pressione. Morpt si era quasi appisolato del tutto mentre rifletteva, per nostra informazione, che questa teoria giustifica tutti i fenomeni fisici conosciuti, salvo l’esistenza del gas, una sostanza che non è né solida né liquida e si trova soltanto nelle nostre vesciche natatorie. Per questa ragione si suppone, di solito, che sia la nostra parte immortale, la quale s’innalza fino al centro dell’universo quando il nostro corpo si consuma, onde esistere colà per sempre.

Mentre meditava, ricordai gli esperimenti di Morpt, secondo i quali una parte di questo gas poteva venir espulso dal corpo di un Shadi ed esser tenuto in un contenitore rovesciato, mentre il corpo formava una nuova riserva di gas nella vescica natatoria. Aspettavo con ansia l’acuto, penetrante ragionamento di Morpt, il quale aveva sempre negato che una sostanza — per quanto rara e singolare — in grado d’esser confinata in un contenitore, e per di più d’essere espulsa e sostituita in un corpo, possa costituirne l’essenza vitale. Questi esperimenti di Morpt hanno causato grandi turbamenti nei circoli scientifici.

In quel momento, comunque, era soltanto un insegnante assonnato, il quale pensava, mezzo addormentato, una lezione che aveva pensato altre centinaia di volte. Era un po’ infastidito da una pietra aguzza conficcata a metà dentro il suo settimo tentacolo, che, però, non era abbastanza scomoda da indurlo a muoversi.

Io giacevo nella mia caverna in ansiosa attesa. Poi, d’un tratto, fui conscio di qualcosa che stava scendendo dall’alto. L’istinto della nostra razza è di bloccare il trasferimento del pensiero e ghermire il cibo prima che chiunque altro se ne accorga, entrando a sua volta fulmineamente in azione. Mi gettai subito fuori della mia caverna e mi portai nello spazio sotto l’Oggetto. Sollevai i miei tentacoli per afferrarlo. Tutto il procedimento fu automatico: attivazione del blocco mentale, percezioni esterne protese al massimo, messa a fuoco d’ogni immagine mentale proveniente dall’Oggetto che affondava per prevenire ogni suo tentativo di fuga… ma ogni Shadi ben sa come tutto ciò si faccia per puro istinto, ogni qualvolta qualcosa di mobile giunge alla nostra portata.


Tuttavia, due fatti specifici influenzarono il mio comportamento dopo quella prima reazione automatica. Primo, mi ero già nutrito, e da poco. Secondo: ricevetti delle immagini mentali dall’interno dell’Oggetto che curiosamente concordavano con l’argomento della lezione di Morpt e i miei personali pensieri in quel momento. Quando il mio primo tentacolo si calò su quell’Oggetto che scendeva, invece di pensieri di paura e di battaglia, intercettai il messaggio d’una entità che stava esprimendo disperazione, rivolgendosi a un’altra.

«Mia cara, non rivedremo mai più la Superficie», stava pensando.

E ricevetti, nel medesimo istante, una vivida immagine di cos’è la Superficie. Dal momento che descriverò quest’ultima più tardi, ometto la descrizione dell’immagine mentale che ricevetti, restandone quasi abbacinato. Mi diede, comunque, da pensare. E credo sia stata una fortuna. Tanto per cominciare, se avessi spinto l’Oggetto dentro le mie fauci, come l’istinto m’induceva a fare, credo che avrei avuto non pochi problemi a digerirlo. L’Oggetto, come ebbi modo di scoprire ben presto, era fatto di quella rara sostanza solida che compare soltanto sotto forma di manufatti. Un campione del genere è stato descritto a più riprese da Glor. E lungo circa la metà del corpo d’uno Shadi, cavo, appuntito a un’estremità, con uno dei fianchi stranamente piatto, e con escrescenze dalla forma strana, aperture, e due alberi e un tubo cavo che spuntano da esso.

Come ho detto, l’Oggetto era fatto di questo strano materiale solido. Il mio senso spaziale mi disse subito che era cavo. In più, era anche pieno di gas! E ricevevo delle immagini mentali in conflitto fra loro, le quali mi dicevano che c’erano due creature vive dentro di esso! Lasciate che ripeta: c’erano due entità viventi all’interno dell’Oggetto, e vivevano nel gas invece che nell’acqua!

Ero stupefatto. Per lungo tempo non fui conscio di nient’altro che non fossero i pensieri delle creature all’interno dell’Oggetto. Tenevo saldamente l’Oggetto fra due dei miei tentacoli, sbalordito per quell’incredibile fatto. Fui estremamente incauto. Avrei potuto essere ucciso e consumato mentre me ne stavo lì, paralizzato dalla sorpresa. Ma subito mi ripresi, e tornai in fretta alla mia caverna, portando con me l’Oggetto. Mentre facevo questo, fui conscio di pensieri che esprimevano una viva sorpresa:

«Abbiamo toccato il fondo… no! Qualcosa ci ha afferrati. Qualcosa di dimensioni mostruose. Presto sarà finita, ormai…»

Non in diretta risposta, ma in modo indipendente, l’altra entità pensò cose profondamente emotive che mi è impossibile descrivere. Incomprensibili per me. Il prodotto d’una psicologia così aliena nei confronti della nostra che non c’è alcun modo di esprimerle. Posso soltanto dire che la seconda entità era in preda alla più completa disperazione, e perciò bramava intensamente essere stretta fra i due tentacoli dell’altra entità. Ciò, a mio modo di vedere, dovrebbe mettervi in una condizione di totale impotenza, ma è proprio questo che la seconda creatura agognava. Riferisco il fatto senza fare nessun tentativo per spiegarlo.

Mentre scivolavo dentro la mia caverna, mandai casualmente l’Oggetto a sbattere contro il bordo superiore dell’apertura. Fu un colpo duro. Ricevetti di nuovo un’improvvisa ondata di disperazione.

«Ci siamo!» pensò la prima creatura, e si aspettò, con orrore, il rovesciarsi dell’acqua dentro all’Oggetto pieno di gas.

Dal momento che la psicologia di queste creature è del tutto inesplicabile, mi limiterò soltanto a riassumere le poche immagini mentali che ricevetti durante il successivo, breve periodo. Furono queste immagini che, in qualche modo, spiegarono la storia dell’Oggetto.

Tanto per cominciare, si era trattato d’un esperimento scientifico. L’Oggetto era stato creato per contenere il gas dentro il quale quelle creature vivevano, consentendo poi che questo gas fosse calato nelle regioni della pressione. Le due creature appartenevano alla stessa specie, ma erano diverse in un modo per il quale noi non abbiamo pensiero. Una pensava a sé come ad un “uomo”, e l’altra come a una “donna”. Non avevano nessuna paura l’una dell’altra. Avevano accompagnato l’Oggetto allo scopo di registrare le loro osservazioni nella regione della pressione. Per effettuare queste osservazioni avevano sospeso l’Oggetto a un lungo tentacolo che partiva da uno di quei manufatti descritti da Glor.

Una volta che avessero osservato, avrebbero dovuto esser riportati a quel manufatto. Poi il gas sarebbe stato liberato e le due creature si sarebbero riunite ai loro compagni. Il fatto che due creature potessero rimanere assieme, e che entrambe si sentissero sicure, l’una in presenza dell’altra, è già uno strano pensiero. Ma i loro pensieri mi dissero che quaranta o cinquanta altri della loro stessa specie li aspettavano sul manufatto, tutti ugualmente privi dell’istinto di nutrirsi l’uno dell’altro.

Ciò vi sembrerà impossibile, naturalmente, ma io mi limito qui a descrivere le immagini che ricevetti. Era comunque accaduto che, giunto alla massima lunghezza, il tentacolo che sosteneva l’oggetto si era rotto. Perciò l’Oggetto era affondato nelle regioni della pressione dove noi Shadi viviamo. Mentre si avvicinava alla solidità, io avevo allungato un tentacolo, avevo afferrato l’oggetto e per miracolo non l’avevo inghiottito. Avrei potuto farlo facilmente.


Là, dentro alla mia caverna, dopo che per un po’ di tempo mi ero limitato a ricevere i pensieri che provenivano da dentro l’Oggetto, cercai di comunicare. Per prima cosa, com’è naturale, cercai di paralizzare le due creature con la paura. Ma esse non parvero consapevoli della presenza di un’altra mente. Tentai allora, con più delicatezza, di conversare con loro. Ma parevano del tutto prive della facoltà di ricevere. Sono creature razionali ma, avendo le menti bloccate, sono del tutto inconsce dei pensieri degli altri. In effetti, era chiaro che i pensieri dell’una costituivano un segreto per l’altra.

Cercai di capire il perché di tutto questo, ma non ci riuscii. Alla fine, dopo molti inutili sforzi, colto da un doveroso e profondo senso di umiltà, inviai una chiamata mentale a Morpt. Questi stava ancora spiegando in tono sonnolento i vari dettagli della teoria di Caluph — cioè, che il gas uscito dalle vesciche natatorie dei Shadi morti si è tutto raccolto al centro dell’universo in una grande bolla, e che il bordo tra la bolla centrale di gas e l’acqua è la leggendaria Superficie.

Le leggende della Superficie sono ben note. Morpt rifletté, con sonnolenta ironia, che se il gas è la porzione immortale d’uno Shadi, allora, dal momento che due Shadi, quando capitano l’uno in vita dell’altro, iniziano subito a combattere fino alla morte, la grande bolla di gas al centro dell’universo dev’essere la scena d’un gigantesco, eterno, splendido combattimento. Ma la sua ironia andò perduta con me. L’interruppi per dirgli dell’Oggetto e di ciò che avevo già appreso da esso.

Sentii subito altre menti affollarsi in me. Tutti gli allievi di Morpt si misero prontamente all’erta. Oscurai la mia mente con una cautela maggiore del solito per evitar di fornire qualche indicazione della posizione della mia caverna — e servii la scienza meglio che potevo. Dissi con franchezza tutto ciò che sapevo.

In altre condizioni, sarei stato orgoglioso dello scalpore da me suscitato. Parve che ogni Shadi dell’Honda si fosse unito alla discussione. Molti, com’era ovvio, dissero che mentivo. Ma in quel momento ero ben nutrito e pieno di curiosità, perciò non rivelai dove mi trovavo a quelli che mi sfidarono. Aspettai. Perfino Morpt cercò di stuzzicarmi, sperando che facessi qualche incauta rivelazione, e fu colto da un tipico accesso di collera shadi quando non ci riuscì. Ma Morpt ha esperienza, ed è gigantesco. Non avrei avuto nessuna speranza di sopravvivere se ci fossimo affrontati fuori delle Maree della Pace.

Comunque, una volta convinto che non sarebbe stato possibile farmi cadere in trappola, Morpt accettò di discutere il fatto spassionatamente e alla fine suggerì il viaggio dal quale sono appena tornato. Mi consigliò — se, malgrado la mia cautela nei confronti degli altri Shadi (tutti gli allievi di Morpt avranno certo riconosciuto l’ironico tono di sfida con cui pensò questo), non avevo paura di servire la scienza — di riportare l’Oggetto alle Altezze. Avrei dovuto chiedere, naturalmente, istruzioni alle creature dentro l’Oggetto. A mia volta, come protezione dalla loro specie avevo la mia forza e la mia ferocia. Per affrontare le condizioni delle Altezze, Morpt mi ricordò i suoi esperimenti, come l’unica possibile salvaguardia.

Morpt mi disse, come già sapevo, che il gas delle nostre vesciche natatorie si espande man mano la pressione diminuisce. In condizioni normali abbiamo dei muscoli che le controllano, cosicché ci è possibile fluttuare all’inseguimento delle nostre prede oppure affondare, a volontà, fino alla solidità. Ma, aggiunse, man mano mi fossi avvicinato all’Altezza, avrei scoperto che la pressione si sarebbe ridotta al punto che perfino i miei muscoli sarebbero stati incapaci di controllare il gas. In queste condizioni, come avevano mostrato gli esperimenti di Morpt, avrei dovuto liberarne una parte. Poi, avrei potuto ridiscendere.

Altrimenti il mio stesso gas in espansione mi avrebbe trascinato sempre più in alto, magari rompendo la cavità natatoria e invadendo altre parti del corpo; espandendosi sempre di più, avrebbe finito per trascinarmi fino alla Superficie e alla bolla centrale della teoria di Caluph.


In questo caso, commentò argutamente Morpt, sarei diventato l’unico Shadi a sapere se Caluph aveva oppure no ragione, ma era assai improbabile che avrei potuto far ritorno a raccontarlo. Tuttavia, insisté a ribadire che, se avessi fatto delle soste per espellere un po’ di gas tutte le volte che avessi provato un’eccessiva spinta di galleggiamento, quasi certamente sarei riuscito a portare l’Oggetto assai vicino alla Superficie, ottenendo così una prova definitiva della verità (o dell’errore) dell’intera cosmologia di Caluph, rendendo così un grande servigio alla scienza. I penseri provenienti dall’interno dell’Oggetto mi sarebbero stati di grande aiuto nell’impresa.

Decisi subito che avrei fatto il viaggio. Tanto per cominciare, non ero affatto sicuro che sarei riuscito a tenere nascosto il luogo dove abitavo, se fossi stato sondato in continuazione da menti più vecchie e più esperte. Soltanto menti di estrema potenza, come quella di Morpt e di altri insegnanti, possono rischiare d’esporsi a continue, e sempre più avide, ispezioni. Com’è ovvio, è proprio dagli errori e dalle imprudenze commesse dai loro studenti, che gli insegnanti traggono il maggior vantaggio…

Sarebbe stata un’autentica prova di saggezza da parte mia lasciare la mia caverna, adesso che avevo richiamato a tal punto l’attenzione su di me. Così, rafforzai al massimo il mio blocco mentale e, con l’Oggetto stretto in un tentacolo, scivolai rapido su per il pendio che circonda Honda, prima che altri Shadi pensassero di pattugliarlo, alla mia ricerca… e alla ricerca l’uno dell’altro.

Salii molto al di sopra del mio solito livello, prima di fare una sosta. Arrivai talmente in alto che il gas nella mia vescica natatoria cominciò a crearmi un sensibile fastidio. Feci le contorsioni che mi aveva suggerito Morpt, finché non ne uscì una parte. Potrà parervi strano che l’abbia fatto con assoluta tranquillità. Ma la mia curiosità era ormai coinvolta, e noi Shadi siamo sperimentatori inveterati. Così, trovai possibile compiere quest’atto — la deliberata liberazione d’una parte del contenuto della mia vescica natatoria — che avrebbe riempito d’orrore, fino a poco tempo fa, intere generazioni di Shadi.

Morpt aveva ragione. Fui in grado di proseguire la mia ascesa senza nessuna scomodità. Inoltre, man mano l’Altezza aumentava, la mia mente aveva sempre più cose a cui pensare. Le due creature — l’uomo e la donna — dentro all’Oggetto, erano stupefatte per ciò che era accaduto al loro contenitore.

«Siamo risaliti di seicento metri dalla nostra massima profondità», disse l’uomo alla donna.

«Mio caro, non devi mentire per farmi coraggio», rispose la donna. «Non m’importa. Non avresti mai potuto tenermi fuori dalla batisfera… preferisco morire con te, piuttosto che vivere senza di te».

Simili pensieri non sembrano compatibili con l’intelligenza. Una razza con una simile psicologia sembrerebbe destinata a estinguersi. Ma non ho la pretesa di capire. Continuai verso l’alto, fino a quando non mi trovai costretto a ripetere un’altra volta gli esercizi raccomandati da Morpt. I movimenti necessari scossero violentemente l’Oggetto. Le creature dentro di esso si chiesero, disperate, il perché di quelle scosse. A queste creature non soltanto manca la facoltà ricettiva, cosicché i loro pensieri rimangono segreti l’uno per l’altro, ma a quanto pare non possiedono nessun senso spaziale, nessun senso della pressione, e sembrano perfino mancare di quel ciclo degli istinti che è così necessario a noi Shadi.

Durante tutto il tempo del mio contatto con la loro mente, non ho trovato nessun pensiero di qualcosa che assomigliasse anche in modo approssimativo alle Maree della Pace, quando noi Shadi cessiamo del tutto di nutrirci e, perciò, d’istinto cessiamo di temerci l’un l’altro e ci mescoliamo liberamente per generare. C’è da chiedersi come la loro razza possa continuare a esistere senza le Maree della Pace, a meno che la loro intera vita non si svolga in una Marea della Pace. Ma in questo caso, poiché nessuno si nutre durante le Maree della Pace, perché non muoiono di fame? Davvero, sono inesplicabili.

Fissavano con estrema attenzione i loro strumenti, man mano l’ascesa continuava. Gli strumenti sono manufatti che quelle creature usano per supplire ai loro sensi difettosi.

«Milleduecento metri», disse l’uomo alla donna. «Soltanto il cielo sa cosa è accaduto!»

«Pensi che ci sia una speranza per noi?» chiese la donna con struggente desiderio.

«E come potrebbe esserci?» si chiese l’uomo, in tono amaro. «Siamo sprofondati fino a una profondità di cinquemilacinquecento metri. Ci sono quasi tre miglia d’acqua sopra le nostre teste, e l’ossigeno non durerà per sempre. Vorrei tanto non averti lasciato venire con me. Se soltanto tu fossi lassù, al sicuro!»


Cinquemilacinquecento metri — qualunque cosa ciò significasse — sopra l’Honda, le caratteristiche delle creature viventi erano cambiate. Tutte le forme di vita erano più piccole, e il loro senso spaziale pareva imperfetto. Non erano consce della mia venuta finché, praticamente, non gli ero addosso. Due dei miei tentacoli si affaccendarono senza soste a ghermirle al passaggio. Le luci dei loro corpi erano meno brillanti di quelle delle creature inferiori dell’Honda.

Continuai la mia salita fluttuante verso la Superficie. Di tanto in tanto mi fermavo ad eseguire gli esercizi di Morpt: il volume di gas che liberavo dalla mia vescica natatoria era incredibile. Ricordo di aver pensato, alla stessa maniera ironica di Morpt, che se ogni Shadi possedeva una porzione immortale così ampia, la bolla centrale doveva esser più grande dell’intera Honda! Adesso le creature all’interno dell’Oggetto passavano da uno sbalordimento all’altro, guardando i loro strumenti.

«Siamo risaliti di duemilacinquecento metri», disse l’uomo, come stordito. «Eravamo scesi a cinquemilacinquecento metri, la più grande profondità in questa parte del mondo».

Il pensiero «mondo» si avvicina al concetto shadi per «universo», ma ci sono differenze che lasciano perplessi.

«Siamo tornati a salire d’una buona metà», aggiunse l’uomo.

«Pensi che la zavorra si sia staccata e galleggeremo fino alla superficie?» chiese la donna con ansia.

Il pensiero «zavorra» corrispondeva a una cosa legata all’Oggetto per farlo discendere, e che se si fosse staccata dall’Oggetto l’avrebbe fatto sollevare. Questa parrebbe una sciocchezza, poiché tutte le sostanze scendono, eccettuato il gas. Comunque, io mi limito a riferire soltanto ciò che ho percepito.

«Ma non stiamo galleggiando», obbiettò l’uomo. «Se così fosse, saliremmo costantemente. Invece, finora siamo saliti ogni volta di circa trecento metri, subendo poi una scossa così violenta quasi da morirne. Poi saliamo di altri trecento metri, e c’è un’altra scossa. Non stiamo risalendo liberamente. Veniamo trasportati. Ma il cielo sa cosa ci trasporta, e perché».

Questo, faccio notare, è segno di razionalità. Sapevano che la loro ascesa era del tutto inspiegabile, secondo i loro criteri. La mia curiosità crebbe. Dovrei spiegare a questo punto in che modo quelle creature conoscevano la loro posizione. Non hanno senso spaziale o un qualche senso della pressione. Per quest’ultimo usavano degli strumenti — manufatti — che rivelavano ad essi la loro ascesa. La cosa straordinaria era il fatto che ispezionavano questi strumenti per mezzo di una luce che non producevano essi stessi. Anche la luce era prodotta da un manufatto. E questa luce artificiale era intensa abbastanza da esser riflessa, non soltanto in modo percettìbile, ma anche assai chiaro, cosicché gli strumenti venivano visti soltanto per riflesso. Temo che Kanth, il quale grazie alla scoperta che la luce può esser riflessa si è guadagnato una grossa reputazione di scienziato, negherà che una luce qualsivoglia possa essere tanto potente da fare in modo che oggetti non luminosi sembrino possedere una propria luce, ma devo andare perfino oltre. Man mano imparavo a condividere con le creature dell’Oggetto non soltanto i pensieri formati in modo consapevole ma anche le loro impressioni sensoriali, appresi che per loro la luce ha qualità diverse. In altre parole, alcune luci hanno qualità che le rendono diverse da altre.

Essi chiamano, la luce che noi conosciamo, «azzurra». E conoscono altri termini, che definiscono «rosso», «bianco» e «giallo», e altri ancora. Come noi percepiamo la differenza nella solidità delle rocce e della melma, essi percepiscono la differenza negli oggetti a seconda della luce che riflettono. Dunque, essi possiedono un senso che noi Shadi non abbiamo. Sono ben conscio che gli Shadi sono il più elevato tipo di organismo possibile, ma quest’osservazione sulle creature dell’Oggetto — se non è follia — costituisce un’importante fatto da meditare.

Ma io continuai a fluire costantemente verso l’alto, fermandomi soltanto per eseguire le contorsioni indispensabili a espellere nuove porzioni di gas dalla mia vescica natatoria, la cui espansione minacciava di diventare incontrollabile. Man mano salivo sempre più in alto, l’uomo e la donna si riempirono di emozioni di natura del tutto straordinaria. Queste emozioni erano d’una intensità del tutto insopportabile per loro, e c’è da dubitare che uno Shadi abbia mai provato sensazioni del genere. Certo, l’emozione che essi chiamano «amore» è inconcepibile per uno Shadi, a meno che non si trovi a osservarla, appunto, in creature del genere. Essa conduce a ogni sorta di stravaganze… ad esempio la donna mise i suoi tentacoli gemelli intorno all’uomo e gli si aggrappò senza fare nessun tentantivo per sbudellarlo o squartarlo.

L’idea di due creature della stessa specie che assaporano il piacere di trovarsi insieme senza divorarsi fra loro — salvo che durante le Maree della Pace, com’è naturale — è quasi inconcepibile per uno Shadi. Tuttavia, sembra che sia parte integrante della loro psicologia.

Ma questo rapporto si sta facendo troppo lungo. Fluttuai sempre più verso l’alto. Le creature dell’Oggetto provavano emozioni sempre più intense e incredibili. In successione, l’uomo riferì alla donna che si trovavano soltanto a milleduecento dei loro «metri» sotto la Superficie, poi a seicento, poi a trecento. Adesso, ero completamente posseduto dalla curiosità. Avevo appena compiuto quello che risultò essere l’ultimo, indispensabile esercizio di Morpt e mi stavo muovendo ancora più in alto, quando il mio senso spaziale mi trasmise un nuovo, incredibile messaggio. Sopra di me, c’era una barriera alla sua capacità di funzionare.

Non posso in alcun modo trasmettervi la sensazione che si prova trovando una barriera al proprio senso spaziale. Ero consapevole dell’ambiente in cui mi trovavo in ogni direzione, ma a un certo punto, sopra di me, all’improvviso non c’era niente… niente! Niente!

A tutta prima, fu allarmante. Fluii verso l’alto di metà della mia lunghezza, e la barriera si fece più vicina. Con cautela, perfino con timore, fluii lentamente sempre più vicino.

«Centocinquanta metri», annunciò l’uomo dentro l’Oggetto. «Cielo, soltanto centocinquanta metri! Dovremmo cominciare a intravedere qualche barlume di luce attraverso gli oblò… No, adesso è notte».

Mi fermai, dibattendo tra me la situazione. Ero abbastanza vicino alla barriera da poter allungare il mio primo tentacolo e toccarla. Esitai a lungo. Poi la toccai. Non accadde nulla. Arditamente, vi cacciai dentro il tentacolo. E penetrò nel nulla. Là, dove adesso si trovava, non c’era acqua. Con viva emozione, mi resi conto che sopra di me c’era la bolla centrale e che io solo, fra tutti gli Shadi viventi, l’avevo raggiunta e avevo osato toccarla. La sensazione sul mio tentacolo all’interno della bolla, oltre la Superficie era quella d’un peso enorme, come se il gas degli Shadi defunti mi stesse spingendo indietro. Ma non mi attaccarono, non tentarono neppure di farmi del male.

Sì, ero tremendamente orgoglioso. Mi sentivo come se avessi sopraffatto e consumato uno Shadi grande il doppio di me. E mentre esultavo, fui conscio delle emozioni delle creature all’interno dell’Oggetto.

«Sessanta metri!» esclamò l’uomo, frenetico. «Non può fermarsi qui! Non deve! Mia cara, il destino non può essere così crudele!»

Provai piacere nell’avvenire le emozioni delle due creature. Adesso provavano una nuova emozione che era anch’essa assai strana, almeno quanto tutte le mie altre esperienze con loro. Era un’emozione che sembrava anticiparne altre. La donna le diede un nome.

«È follia», dichiarò all’uomo, «ma per qualche motivo, comincio a sperare di nuovo».


E, nel mio piacere e interesse intellettuale, parve una cosa proprio da niente, per uno come me che aveva già tanto osato, stimolare ancora un poco quelle emozioni.

Risalii ancora un poco. La barriera che bloccava il mio senso spaziale, la Superficie, si fece ancora più vicina.

«Trenta metri», disse l’uomo, con un’emozione che per lui era angoscia, ma che, per la sua novità, era una fonte di piacere intellettuale per me.

Trasferii l’Oggetto su uno dei tentacoli anteriori e lo spinsi avanti. Urtò contro la solidità del pendio, che in quel punto era molto vicino e addirittura penetrava oltre la Superficie.

L’uomo sperimentò con grandissima intensità quell’emozione chiamata «speranza».

«Cinquantacinque metri!» gridò. «Tesoro, se ricominceremo a scendere, aprirò il portello e noi usciremo fuori non appena la batisfera sarà completamente allagata. Non so se siamo oppure no vicini alla riva, ma tenteremo».

La donna gli si era premuta addosso. L’angosciata speranza che la riempiva era una sensazione che si mescolava piacevolmente con la grande euforia che provavo per il mio coraggio e il mio successo. Spinsi di nuovo l’oggetto in avanti. Qui la Superficie era così vicina alla Solidità che una parte del mio tentacolo sali sopra la Superficie. E le emozioni all’interno dell’Oggetto raggiunsero l’apice. Continuai a spingere con forza, contro il peso che mi schiacciava all’interno della Bolla, fino a quando anche P Oggetto ruppe la Superficie, e poi ancora più oltre, finché non fu più nell’acqua ma nel gas, adagiato sopra quella Solidità che era, essa stessa, toccata soltanto dal gas.

L’uomo e la donna lavorarono frenetici all’interno dell’Oggetto. Una parte di esso si staccò. Essi si arrampicarono fuori. Aprirono le loro fauci e pronunciarono grida. Si avvinghiarono l’un l’altro coi tentacoli e si toccarono vicendevolmente le fauci, non per divorarsi, ma per esprimere le loro emozioni. Si guardarono intorno storditi per il sollievo, ed io vidi attraverso i loro occhi. La Superficie si perdeva in lontananza fin dove i loro sensi erano in grado di rivelarla, era mobile e irregolare, eppure piatta. Si trovavano sopra una Solidità dalla quale delle cose sporgevano. Sopra, c’era una vasta oscurità, penetrata da innumerevoli piccole fonti risplendenti di luce.

«Grazie a Dio!» esclamò l’uomo. «Poter vedere di nuovo gli alberi e le stelle!»

Si sentivano del tutto sicuri, e in pace, come in una Marea della Pace moltiplicata per mille. E forse io ero inebriato dal mio ardimento o forse dalle emozioni che ricevevo da loro. Spinsi i miei tentacoli attraverso la Superficie. Il loro peso era enorme. Ma lo è anche la mia forza.

Con grande coraggio sollevai il mio corpo. Spinsi tutta la mia parte anteriore attraverso la Superficie dentro la bolla centrale. Ero nella bolla centrale e vivevo ancora! Il mio peso crebbe al di là di ogni possibile calcolo, ma per un lungo, orgoglioso intervallo, mi profilai sopra la Superficie e vidi con i miei occhi — tutti e ottanta — la Superficie sotto di me e il tratto di Solidità sopra il quale si trovavano l’uomo e la donna. Io, Sard, feci questo!

Mentre tornavo a sprofondare sotto la Superficie, ricevetti gli stupefacenti pensieri delle creature.

«Un serpente di mare!» pensò l’uomo, e dubitò della sua salute mentale, proprio come io temo che anche la mia sarà posta in dubbio. «Ecco cos’è stato».

«Perché no, tesoro?» rispose con calma la donna. «È stato un miracolo, ma non si poteva permettere che due persone, che si amano come noi ci amiamo, dovessero morire!»

Ma l’uomo fissava la Superficie sotto la quale ero scomparso. Colsi il suo pensiero turbato.

«Nessuno ci crederebbe. Direbbero che siamo pazzi. Ma, accidenti, qui c’è la nostra batisfera, e il nostro cavo si è spezzato proprio quand’eravamo sopra la Fossa. Quando ci troveranno, diremo soltanto che non sappiamo cos’è successo… e che cerchino pure d’immaginarselo loro!»

Rimasi in stato di riposo, vicino alla Superficie, pensando a molte cose. Dopo un lungo periodo ci fu luce. Una luce feroce e insopportabile. Divenne più forte, e ancora più forte. Era insopportabile. S’insinuava giù, fino alle più vicine profondità.

Ciò avvenne molte maree fa, poiché non osai far ritorno a Honda con una porzione così enorme dei gas della mia vescica natatoria liberati dentro la bolla centrale. Sostai non molto al di sotto della Superficie, fino a quando la mia vescica natatoria mi parve tornata normale. Scesi un tratto dopo l’altro, e ad ogni tappa aspettai finché la mia «parte immortale» non si fu riempita. È difficile nutrirsi adeguatamente con creature tanto piccole come quelle che abitano le Altezze. Mi ci volle molto tempo per completare la discesa, per tutto quel tratto che, grazie alla scoperta di Morpt, avevo eseguito con tanta rapidità in salita. Passai tutto il mio tempo da sveglio intento alla cattura del cibo, ed ebbi perciò poco tempo per meditare. Non una sola voita fui realmente sazio, durante tutte le soste che feci per aspettare che la mia vescica natatoria si riempisse. Ma quando feci alfine ritorno alla mia caverna, scoprii che, nel frattempo, era stata occupata da un altro Shadi. Mi nutrii assai bene.

Poi, arrivarono le Maree della Pace. E ora, avendo generato, metto il rapporto di questo mio viaggio alla Superficie a disposizione di tutti gli Shadi. Se verrà decretato che sono folle, non dirò altro. Ma questo è il mio rapporto.

Adesso decidete, o Shadi. Sono pazzo?


Io, Morpt, durante le Maree della Pace, ho ascoltato il rapporto di Sard, e dopo essermi consultato con altri Shadi, dichiaro che, con tutta evidenza, egli ha confuso l’immaginario con il reale.

Le descrizioni degli aspetti scientifici del suo viaggio, che non sono collegati con le supposte creature dell’Oggetto, si adeguano alla nostra scienza. Ma è manifestamente impossibile che qualsivoglia creatura possa vivere in modo permanente in vicinanza dei suoi compagni senza l’istinto di nutrirsi di essi. È manifestamente impossibile, altresi, che delle creature possano vivere nel gas. La distinzione fra luce e luce, poi, è una palese assurdità. La psicologia di creature come quelle descritte da Sard è frutto di sogni.

Perciò, per generale consenso, il rapporto presentato da Sard non è scienza. Comunque, non è detto che Sard sia folle. Gli effetti fisiologici del viaggio che ha ammesso di aver compiuto fino alle più grandi Altezze ha probabilmente provocato quei disordini, nel suo corpo, che sono sfociati in illusioni. La lezione scientifica che dobbiamo imparare da questo rapporto è che i viaggi alle Altezze, anche se possibili grazie agli esercizi corporali da me inventati, sono molto poco saggi e non dovrebbero esser mai compiuti dagli Shadi.

Redatto durante le Maree della Pace…

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